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Sommario del 18/12/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Libro del Papa su Gesù. Don Bux: un bestseller che unisce cuore e ragione
  • Il card. Bertone: amministrare con trasparenza i beni della Chiesa a servizio della sua missione
  • Il card. Bertone al Bambin Gesù: proteggere l’infanzia, mai più stragi come Newtown
  • Campagna Uer "WhyPoverty?": l'impegno della Chiesa per i poveri del Sahel
  • 20 anni del Catechismo: Gesù è la chiave per interpretare tutta la Bibbia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Iraq, ieri giornata di sangue. Il presidente Talabani colpito da ictus
  • Abu Mazen: chiederemo all'Onu di bloccare i nuovi insediamenti israeliani
  • L’Onu teme l’uso di armi chimiche in Siria. Liberato il giornalista della Nbc
  • Unicef: 200 milioni i bambini malnutriti nel mondo, impegnarsi contro la mortalità infantile
  • Giornata Internazionale del Migrante. L'Onu chiede di proteggere i diritti degli immigrati
  • Amnesty International: in Italia, si fermi lo sfruttamento dei migranti in agricoltura
  • Annuario Statistico Istat: sull'Italia il peso della crisi, più vecchi e meno assistiti, mentre ai giovani manca il lavoro
  • Nel segno della speranza, la festa del Natale al Policlinico Gemelli
  • Un audiolibro su don Guanella, sacerdote che dedicò la sua vita agli ultimi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Colombia: il processo di pace riparte dal Forum per lo sviluppo agrario
  • Centrafrica: i ribelli della coalizione Seleka conquistano Bria, importante centro diamantifero
  • Congo: la Corte Penale Internazionale assolve Mathieu Ngudjolo Chui
  • Congo: Kabila delude nel discorso sul Nord Kivu. La preghiera della Chiesa per la pace
  • Congo: da Bukavu grido dei cristiani contro le violenze inumane per donne e bambini
  • Caritas in prima linea per i rifugiati siriani in Giordania
  • Siria. I frati della Custodia: "Nonostante le sofferenze i cristiani non hanno perso la fede"
  • Siria-Libano: è Ioann X il nuovo patriarca della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia
  • Terra Santa: gioia per il Patriarca Twal a Gaza per celebrare il Natale
  • Vietnam: conclusi i lavori della 10.ma Assemblea plenaria delle Conferenze episcopali d'Asia
  • Filippine: sì del senato a legge su controllo nascite. La Chiesa: "E' una bomba-morale a tempo"
  • Argentina: sacerdote minacciato di morte continua la lotta contro la droga
  • Messico: per il Natale i vescovi invocano giustizia sociale, verità e pace
  • Uruguay: dedicato alla difesa della vita il messaggio natalizio dei vescovi
  • Bangladesh: ancora niente aiuti alimentari né assistenza medica per i Rohingya
  • Cambogia. Sfruttamento sessuale, lavori forzati, indigenza: causa di morte per molti bambini
  • È morto padre Paolo, il cappuccino che diede l’unzione degli infermi a Padre Pio
  • Vaticano: nella parrocchia di Sant'Anna un presepe ispirato all'Anno della Fede
  • Il Papa e la Santa Sede



    Libro del Papa su Gesù. Don Bux: un bestseller che unisce cuore e ragione

    ◊   “L’infanzia di Gesù” di Joseph Ratzinger si conferma, da alcune settimane, il libro più venduto in Italia ed è un besteller anche a livello internazionale. Ancora una volta, dunque, i libri di Benedetto XVI - ma lo stesso si potrebbe dire per le sue Encicliche - diventano dei successi editoriali. Per una riflessione sui frutti che si possono raccogliere nella lettura di questo libro, Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede:

    R. – Credo che i frutti siano la possibilità di mettere insieme cuore e ragione, perché il Papa con questo libro si avvicina a entrambe queste due dimensioni, e tra l’altro le attribuisce alla figura stessa di Maria, come donna di grande interiorità, che tiene insieme il cuore e la ragione. E’ proprio ciò di cui noi oggi abbiamo bisogno, cioè di tenere insieme questi due elementi, il cuore e la ragione. Può aiutare tantissimi a capire, con entrambe queste fondamentali facoltà del nostro essere, una figura, una presenza come quella di Gesù. E’ chiaro che il Papa lo fa con uno stile di grande studioso - che a mio giudizio dovrebbe far riflettere tanti esegeti, ecclesiastici e laici - per far capire come bisogna aiutare le persone ad avvicinarsi alla Sacra Scrittura. La fa con un taglio ad un tempo dotto ma anche molto semplice e questo fa anche capire come oggi bisogna argomentare e presentare la fede, le ragioni della fede.

    D. – Possiamo dire che anche in questa modalità di comunicazione - i libri, la presenza su Twitter e quindi anche sui social network - ci sia questo grande impegno del Santo Padre di raggiungere l’uomo di oggi in tutte le modalità possibili per annunciare il Vangelo…

    R. – Assolutamente, perché per annunciare il Vangelo bisogna saper argomentare. Il problema della diffusione del Vangelo dipende dalla sua capacità di difesa: se io so difendere, se ho gli argomenti, posso diffonderlo, ma se mi mancano gli argomenti come faccio a diffondere qualcosa? Credo che il problema odierno della teologia sia che ha perso le ragioni che, dal greco, si chiamano apologetiche, cioè di dare le ragioni della fede, come dice anche San Pietro nella sua celebre Lettera. Il Papa sa fare questo, con stile non retorico, molto discorsivo, da disputa, come le grandi dispute accademiche medievali, che bisogna riscoprire, mutatis mutandis: avere il coraggio, sia dentro che fuori la Chiesa di discutere. Chi ha argomenti convincenti vincerà.

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    Il card. Bertone: amministrare con trasparenza i beni della Chiesa a servizio della sua missione

    ◊   I beni gestiti dagli enti vaticani sono al servizio della missione universale della Chiesa e oggi, in particolare, è richiesto “un impegno sempre più incisivo” di correttezza e trasparenza amministrativa. Sono due dei concetti principali ribaditi questa mattina dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, nel discorso tenuto alla presentazione del nuovo Regolamento della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Fu Paolo VI a volere che, nella Curia Romana da lui riformata, vi fosse un Ufficio preposto alla gestione degli Affari Economici della Santa Sede. Tale ufficio doveva assolvere a compiti precisi: conoscenza, controllo, vigilanza e coordinamento “di tutti gli investimenti e le operazioni economiche più importanti della Santa Sede”. In Papa Montini c'era l'esigenza di ammodernare tutto il lavoro svolto con il fondamentale obiettivo di assicurare alla Chiesa un aspetto essenziale per la sua stessa esistenza, quello della “autosufficienza economica”. Del resto, ha sottolineato il cardinale Bertone, la Chiesa si è “sempre preoccupata di considerare la mera strumentalità dei beni temporali in rapporto allo svolgimento della propria missione”, e cioè “il culto divino, le opere di apostolato e di carità, l’onesto sostentamento del clero e degli altri ministri”. Anche il Codice di Diritto Canonico – ha ricordato il segretario di Stato – stabilisce che per il raggiungimento dei suoi “fini istituzionali” sia lecito per la Chiesa “l’acquisto, il possesso, l’alienazione e l’amministrazione dei beni temporali”.

    Tuttavia, ha proseguito il segretario di Stato, “la Chiesa, in quanto tale, non possiede beni: essa li possiede per il tramite degli enti che la compongono” e dunque ecco spiegato il ruolo centrale svolto da un organismo come la Prefettura degli Affari Economici. Nel recente passato, ha notato il cardinale Bertone, la prassi aveva in certo modo ridotto i compiti con i quali la Prefettura era stata pensata, trasformandola in “una sorta di ragioneria centrale della Santa Sede” e vedendo offuscati i compiti di “programmazione e coordinamento economico generale”. Invece, con il nuovo regolamento, ha soggiunto, “si ritorna allo spirito originario”, per cui – la Prefettura degli Affari Economici si pone come un ente superiore rispetto alle singole amministrazioni vaticane, in diretto rapporto con la Segreteria di Stato, con la quale è tenuta a concordare le linee di “indirizzo e programmazione”.

    Il nuovo Regolamento, promulgato lo scorso febbraio, vede la luce nel periodo in cui – ha affermato il segretario di Stato – la Santa Sede ha deciso di adeguarsi “alle norme internazionali di controllo finanziario” e di conseguenza, ha asserito, “la necessaria trasparenza delle attività economiche e finanziarie della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano esige un impegno sempre più incisivo e congiunto di correttezza da parte delle singole Amministrazioni nella gestione del patrimonio e delle attività economiche”. Infine, il cardinale Bertone ha fatto riferimento alla situazione di crisi che ha investito il mondo, ribadendo che “anche la Santa Sede” non “può che procedere ad una riduzione graduale, ma effettiva dei costi a fronte di una perdurante impossibilità di aumentare i ricavi, almeno in proporzione ai disavanzi che ultimamente si stanno registrando nei consuntivi consolidati”. “E’ quanto mai necessario – ha concluso – che si accresca in tutti la consapevolezza di dover sostenere non solo la missione della Chiesa e della Santa Sede, ma anche la sua credibilità”.

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    Il card. Bertone al Bambin Gesù: proteggere l’infanzia, mai più stragi come Newtown

    ◊   I bambini hanno bisogno di gioia e sicurezza: è quanto sottolineato dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, nel corso della visita di stamani all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, in occasione degli auguri natalizi. Il cardinale Bertone ha portato a tutti la benedizione del Papa che, ha detto, “segue con attenzione” l’operato dell’ospedale. Quindi, ricordando la recente strage nella scuola di Newtown nel Connecticut, il porporato ha invocato da parte delle autorità “misure efficaci di protezione dei bambini”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Un nodo ci serra la gola” pensando ai bimbi uccisi nel Connecticut: così, il cardinale Bertone ha espresso il sentimento che accomuna tutti in questi giorni dopo la strage nella scuola di Newtown. “L’angoscia per questa tragedia – ha affermato – si trasformi in preghiera fervida e commossa e susciti in tutti e soprattutto in coloro che detengono il potere, la ferma volontà di stabilire misure efficaci di protezione della vita dei bambini”. Quindi, ha osservato che i “bambini per crescere armoniosamente hanno bisogno di gustare la gioia e la sicurezza, ad iniziare dall’ambito familiare”. I bambini, ha detto ancora, “hanno bisogno di trovare risposta ai loro tanti perché”. E ha soggiunto: c’è “un sapere e un capire che si sperimentano attraverso l’incontro con la sofferenza, e questa è una lezione di vita che noi adulti dobbiamo saper impartire ai bambini e ai giovani”. Il cardinale Bertone che ha ringraziato tutti per “l’operosità e professionalità” ha quindi rivolto l’augurio di “saper superare ogni egoismo, retaggio dell’uomo vecchio dentro di noi, e di vivere nella verità del tempo nuovo inaugurato con la nascita del Redentore”.

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    Campagna Uer "WhyPoverty?": l'impegno della Chiesa per i poveri del Sahel

    ◊   Nella Campagna dell'Unione Europea di Radiodiffusione (UER) sulla povertà "Why Poverty?", non poteva mancare l'aiuto della Chiesa per le martoriate popolazioni africane del Sahel, afflitte da siccità e desertificazione. Un aiuto che si esprime attraverso la Fondazione "Giovanni Paolo II per il Sahel" del Pontificio Consiglio "Cor Unum", il dicastero per la carità del Papa. Una fondazione voluta dallo stesso Beato Papa Wojtyla e che all'interno di Cor Unum è seguita dal segretario del dicastero vaticano mons. Giovan Pietro Dal Toso il quale spiega al microfono di Roberto Piermarini cosa ha spinto Giovanni Paolo II a creare questa realtà caritativa:

    R. - Lo ha spinto il fatto di aver visto con i propri occhi questa situazione drammatica che negli anni ’80 il Sahel viveva. Come sappiamo, la Fondazione è nata nel 1984, perché qualche anno prima, nel 1980, Giovanni Paolo II aveva visitato tra i primi Paesi, all’inizio del suo Pontificato, quelli estremamente poveri. Da questo incontro drammatico con la povertà in Africa è nata questa idea di istituire una Fondazione che si prendesse cura specialmente di questi Paesi, che sono probabilmente i più poveri del pianeta.

    D. - La Fondazione quale contributo ha dato al fenomeno della desertificazione, che colpisce la regione del Sahel? Ci sono stati dei risultati?

    R. - I risultati ci sono stati, anche se è chiaro che in queste cose è sempre difficile misurarli. Possiamo, però, sicuramente dire che nei diversi Paesi – si tratta di 9 Paesi che rientrano tra i beneficiari della Fondazione – si è creata tutta una serie di progetti, soprattutto a base comunitaria, quindi per villaggio, per favorire la costruzione di pozzi, per favorire la piantagione di alberi e così via. Un altro aspetto che mi sembra molto importante - per questo dico che non è sempre facilmente misurabile - è l’aspetto della formazione, perché da sempre la Fondazione ha anche finanziato progetti di formazione, proprio per rendere le persone più capaci di affrontare il problema.

    D. - Quali progetti ha portato avanti la Fondazione e quali deve ancora realizzare?

    R. - Chiaramente, ce ne saranno sempre da realizzare, perché il problema non è risolto, anzi, come sappiamo, in questo ultimo anno, i problemi alimentari nel Sahel sono aumentati. Io penso, sinceramente, che la questione più importante in questo momento sia quella di investire sulle persone, cioè di aiutare anche le popolazioni del Sahel a sviluppare quelle capacità che hanno, a sviluppare ulteriormente quelle possibilità che li rendono capaci di affrontare il problema in maniera diretta. Quindi, di nuovo, appunto, torniamo sull’aspetto della formazione.

    D. - Cosa prova quando lei si reca nel Sahel per coordinare gli aiuti del Papa per le popolazioni povere della regione?

    R. - L’incontro con la povertà, che sia in Africa o che sia in America Latina, è sempre un incontro scioccante, anche perché è ovvio che noi viviamo una situazione di vita completamente diversa. Quello che, però, dobbiamo chiederci sempre – mi sembra –, e che forse è una domanda un poco trascurata e che dovremmo tornare a farci, riguarda proprio il rapporto con le persone, soprattutto in questi Paesi particolarmente colpiti dalla fame o dalla sete. Dobbiamo chiaramente aiutarli a sopravvivere, ad avere il minimo necessario per vivere, ma oltre a questo la domanda è quale sia lo sviluppo che vogliamo portare, perché su questo mi sembra ci sia poca chiarezza. Qual è alla fine il punto di arrivo dei nostri interventi? Qual è anche la concezione di persona alla quale vogliamo rifarci, per favorire la crescita delle persone che abbiamo davanti? Allora, sono tutta una serie di domande alle quali, devo dire, anche grazie all’incontro in loco con una serie di persone che soffrono le conseguenze della fame, ma anche una serie di persone che aiuta chi soffre le conseguenze della fame, il nostro dicastero vorrebbe cercare di dare una risposta.

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    20 anni del Catechismo: Gesù è la chiave per interpretare tutta la Bibbia

    ◊   La comprensione della Bibbia non può essere solo frutto di un atto individuale, ma deve essere messa a confronto con l’insegnamento della Chiesa. Questo principio viene sottolineato con chiarezza dal Catechismo della Chiesa Cattolica, nella parte in cui il testo sviluppa il rapporto tra la Rivelazione e la sua trasmissione. Il gesuita padre Dariusz Kowalczyk ne parla nell’ottava puntata della sua rubrica dedicata ai 20 anni dalla pubblicazione del Catechismo:

    La trasmissione della Rivelazione divina si realizza in due modi: attraverso la Tradizione e con la Sacra Scrittura. Questi due modi – come insegna il Catechismo – “sono tra loro strettamente congiunti e comunicanti” (CCC 80).

    La Chiesa considera la Bibbia la “norma suprema” della fede. Non soltanto quindi consideriamo le Sacre Scritture un testo profondamente religioso, ma riteniamo che esso sia ispirato dallo stesso Dio. La Bibbia, in quanto tale, è dunque libera da ogni errore relativamente alla nostra salvezza. Questo vuol dire che nei testi biblici ci possono essere per esempio delle imprecisioni a carattere storico o geografico, dovute ai limiti dell’autore umano, ma la verità che Dio ci ha voluto rivelare ai fini della nostra salvezza è senza errore.

    Nella Bibbia troviamo la vera Parola di Dio riportata dalla lingua dell’uomo. Perciò – come leggiamo nel Catechismo – “la fede cristiana non è ‘una religione del Libro’” (CCC 108). Il Nuovo Testamento non è caduto dal cielo, ma è un frutto della predicazione delle prime comunità cristiane. Per questo le Scritture vanno lette e interpretate nella Tradizione vivente di tutta la Chiesa. Questo principio non ci impedisce una lettura individuale della Bibbia. Anzi, siamo invitati a farlo sistematicamente. La nostra comprensione personale deve però essere messa al confronto con l’insegnamento della Chiesa. Leggendo le diverse pagine della Bibbia dobbiamo ricordare che il suo centro è costituito da Gesù. La sua morte e la sua risurrezione sono dunque la chiave interpretativa di tutta la Bibbia.

    Leggiamo dunque le Sacre Scritture, individualmente e insieme alla Chiesa, scoprendo la moltitudine dei sensi che esse contengono. Per invogliarci a tale lettura, il Catechismo ci ricorda le famose parole di san Girolamo: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” (CCC 133).

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La testimonianza cristiana dell'accoglienza: in prima pagina, Riccardo Burigana sulle iniziative ecumeniche in occasione della Giornata dei migranti.

    Sfida tra testimoni di una Nazione: nell’informazione internazionale, Giuseppe M. Petrone sulle presidenziali in Corea del Sud.

    In cultura, un articolo di Francesco Scoppola dal titolo “Musica e architettura si fondo a Palazzo Altemps”: nella Cappella di Sant’Aniceto i segni dell’amore di un figlio che riabilita la memoria del padre attraverso le arti.

    Avanguardia preraffaellita sulle rive del Tamigi: Alessandro Scafi intervista Alison Smith, curatrice della mostra londinese; Sandro Barbagallo sul libro di Maria Teresa Benedetti “Preraffaelliti”.

    Tra le partiture che resero grande la stagione musicale della Roma barocca: Michela Gasbarro sulla rassegna “Inedita” che si chiude domani, nella basilica di Sant’Apollinare, con la Messa a tre cori di Ruggero Giovannelli.

    Un po’ fantascienza, e un po’ no: Giulia Galeotti recensisce l’interessante romanzo di esordio della statunitense Karen Thompson Walker, con protagonista l’età delicata, difficile e affascinante della crescita.

    Una legge contro le nuove generazioni: nell’informazione religiosa, l’episcopato in Uruguay sulle unioni tra persone dello stesso sesso.

    Sulla strada della trasparenza e della credibilità: nell’informazione vaticana, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e il cardinale presidente, Giuseppe Versaldi, al convegno sul nuovo regolamento della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede.

    Il Natale dell’Anno della fede: sui riti presieduti da Benedetto XVI intervista di Gianluca Biccini a Guido Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.

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    Oggi in Primo Piano



    Iraq, ieri giornata di sangue. Il presidente Talabani colpito da ictus

    ◊   Il presidente dell’Iraq, Talabani, è stato colpito da un ictus. La notizia è giunta questa mattina, mentre il Paese era scosso per l’aggiornamento delle violenze di ieri: 42 persone, tra civili, agenti di polizia e soldati sono state uccise e un centinaio sono rimaste ferite. La nuova serie di attentati è avvenuta in varie province dell'Iraq contro forze di sicurezza, minoranze religiose e pellegrini sciiti iraniani. Esattamente un anno fa, si completava il ritiro delle forze americane dall’Iraq. Della situazione, Fausta Speranza ha parlato con il prof. Marco Lombardi, docente di Politica della sicurezza all’Università Sacro Cuore di Milano:

    R. – La prima cosa da dire è che l’Iraq lo considero come il Paese attualmente più pericoloso. Lei sa che sono spesso in Afghanistan, e l’Afghanistan dal mio punto di vista è meno pericoloso dell’Iraq. L’Iraq è il risultato anche di un intervento disastroso – se vogliamo prendere il discorso alla larga – nel senso che sostituire una leadership senza avere un’alternativa è sempre una cosa drammatica. Poi, intervenire presupponendo di poter portare un modello di governance che si pensa globale, e che invece non lo è, è un altro dramma. Poi, ci troviamo di fronte a centri di potere che godono di massima libertà nell’affermare la propria capacità con le milizie; a un Paese in cui la criminalità spadroneggia, perché tanti attentati sono dovuti anche puramente alla criminalità. Inoltre, è un Paese che attorno a sé ha una serie di Paesi confinanti, tutti in conflitto tra di loro tranne forse sul fatto che nessuno di essi ha interesse che l’Iraq diventi una grande potenza regionale. Tutte queste cose messe insieme fanno prevedere un futuro nerissimo per l’Iraq.

    D. – Che dire delle forze politiche?

    R. – Le forze politiche non riescono a combinare nulla. Per quale ragione? Tuttora, stiamo assistendo a una epurazione degli ex-baatisti, anche se il tempo è passato. Soprattutto, stiamo assistendo ad una guerra costante tra sunniti e sciiti e questa non fa che bloccare il processo di decisione. Non dimentichiamo anche che all’interno del governo c’è una minoranza – pure importante – di deputati che rimandano all’esercito del Mahdi e quindi alle pressioni iraniane. Direi pertanto che il processo decisionale iracheno è completamente bloccato. In più, si tratta di una dimensione politica che non ha nessun interesse a prendere in conto le disperate situazioni della gente normale, di chi vive in Iraq tutti i giorni, di quei cittadini che hanno – ricordiamolo – la corrente elettrica per cinque, sei, sette ore al giorno, pur vivendo sul petrolio; che non hanno servizi e che non hanno nessun tipo di assistenza.

    D. – Torniamo un po’ al contesto geopolitico intorno all’Iraq, per parlare però di possibili influenze sulla sfera politica, sul quadro politico. Secondo lei, è cambiato qualcosa, di recente? Sta cambiando qualcosa?

    R. – Io non credo stia cambiando molto, ultimamente. Ripeto: le pressioni attorno sono tutte interessate e in realtà, anche al livello politico del Paese, quello che crea il confronto all’interno del parlamento sono evidentemente proprio le diverse pressioni iraniane, ma anche wahabite. E comunque, c’è disinteresse che un Iraq che potrebbe essere la grande potenza regionale, anche con relazioni forti con l’Occidente, possa diventare tale. Teniamo anche conto che all’interno delle forze politiche si scontrano interessi molto frammentati del Paese. Il Paese è completamente disgregato: essere a Baghdad non è essere a Erbil, non è essere a Sulaymaniyah… E’ un Paese che definirlo "a macchia di leopardo" è dir poco: è completamente frammentato e disgregato. E, quindi, si uniscono queste due congiunture: interessi disgregatori che vengono dall’esterno e disinteresse aggregatore che viene dall’interno.

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    Abu Mazen: chiederemo all'Onu di bloccare i nuovi insediamenti israeliani

    ◊   Il presidente palestinese, Abu Maze,n ha detto di volersi rivolgere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per fermare i nuovi 1.500 insediamenti a Gerusalemme Est annunciati, per la seconda volta in poche settimane, dal governo israeliano di Benyamin Netanyahu. I cristiani di Terra Santa vivono con grande difficoltà questa situazione di perdurante tensione. In occasione delle imminenti difficoltà natalizie, il custode francescano di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, esorta i cristiani a non abbandonarsi allo sconforto, ma di continuare ad essere “pietre vive in questa terra in cui siamo stati chiamati a vivere”. Ma quale la strategia dello Stato ebraico? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Janichi Cingoli, direttore del Cipmo, Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente:

    R. - Netanyahu si sente forte, non trova competitori nelle prossime elezioni di fine gennaio e si rivolge all’elettorato del centrodestra: i sondaggi, in questo momento, gli danno ragione. Di fatto questa decisione rappresenta un po’ anche una sfida agli Stati Uniti: Obama, dopo la rielezione, ha mantenuto un atteggiamento che può essere definito di distacco, non ostile, ma certamente non di coinvolgimento come nel precedente mandato. Tutto questo ha creato un forte irrigidimento a livello europeo: molti Stati hanno convocato gli ambasciatori israeliani per significare la loro disapprovazione per questa decisione. Quindi, c’è una situazione di crescente disconnessione, di isolamento di Israele verso l’Europa, di crescente tensione a livello internazionale e di forza all’interno del Paese.

    D. - La presa di posizione israeliana ha, questa volta, un significato nuovo alla luce dell’ingresso della Palestina all’Onu, tanto più che il presidente Abu Mazen ha chiesto l’intervento del Consiglio di sicurezza…

    R. - Ha un senso perché vuole essere una reazione a questo voto che riconosce che è uno Stato e questo gli dà il diritto di dire foro internazionale, come anche alla Corte internazionale di giustizia. Ovviamente, questa è una cosa che può essere intrapresa per gli insediamenti decisi dopo quel voto, come in questo caso.

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    L’Onu teme l’uso di armi chimiche in Siria. Liberato il giornalista della Nbc

    ◊   Le Nazioni Unite rafforzeranno le misure di sicurezza della missione di osservatori in Golan (Undof), come protezione in caso di utilizzo delle armi chimiche in Siria. Il capo delle operazioni di pace dell'Onu precisa che si sta lavorando a piani di emergenza sulla base di diversi scenari possibili nel Paese mediorientale. Mentre Damasco lancia accuse agli Stati Uniti proprio in tema di armi chimiche, dalla Siria è arrivata la notizia della liberazione del capo dei corrispondenti Esteri della Nbc, Richard Engel, che risultava disperso da 24 ore. Il servizio di Fausta Speranza:

    L'ambasciatore Jaafari, delegato di Damasco al Palazzo di Vetro, in una lettera al Consiglio di Sicurezza dell'Onu e al segretario generale Ban Ki-moon accusa gli Stati Uniti di sostenere i terroristi in Siria e solleva l’ipotesi che possano farlo anche con armi chimiche. Washington sostiene di aiutare i ribelli con mezzi “non letali” e assistenza umanitaria. Taglia corto il primo ministro britannico, Cameron: un'azione in Siria dove il bilancio dei morti continua salire, non è solo una questione “strategica” – afferma – ma anche un “imperativo morale”. Sui media siriani in queste ore si parla solo della visita ieri del premier siriano, Halqi, nella martoriata città di Aleppo. Resta da dire che sono due cittadini russi gli altri due rapiti in Siria con l'ingegnere catanese Mario Belluomo. E che c’è una bella notizia per il capo dei corrispondenti Esteri della Nbc, Richard Engel, che risultava disperso da 24 ore. E’ stato appena annunciato che è stato liberato.

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    Unicef: 200 milioni i bambini malnutriti nel mondo, impegnarsi contro la mortalità infantile

    ◊   Una tenda al centro di Piazza del Popolo a Roma per raccontare cosa, con poco, si può fare, per salvare un bambino dalla morte per malnutrizione. E’ quanto da oggi sta facendo l’Unicef, che nella capitale ha presentato il nuovo rapporto focalizzato sulla malnutrizione dei più piccoli anche con campagne rivolte ai donatori al fine di debellarla. Questa emergenza invisibile colpisce nel mondo 200 milioni di bambini tra 0 e 5 anni. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Oltre un terzo delle morti infantili sotto i cinque anni nel mondo - 2,3 milioni di bambini nel 2011 - ha come causa concomitante la malnutrizione. Circa 40 milioni di questi bambini soffrono della forma acuta moderata di malnutrizione e oltre 20 milioni di quella grave, la quale uccide un milione di bambini l’anno. Perdita di peso progressiva e ritardi della crescita sono lo stillicidio quotidiano in assenza di cure adeguate. L’80% di questi bambini vive in Asia meridionale e in Africa sub-sahariana, dove alla carenza nutrizionale si aggiungono malattie, povertà, emergenze umanitarie e catastrofi naturali. La riflessione di Giacomo Guerrera, presidente Unicef Italia:

    “Le inondazioni, i cambiamenti climatici hanno creato dei grandi problemi. Inoltre, l’aumento della benzina, dei generi alimentari... Ciò incide su persone che hanno l’80 percento delle loro risorse destinato proprio all’alimentazione”.

    Un bambino – dice il rapporto - è malnutrito se la sua dieta non gli fornisce componenti mirati alla crescita o se è incapace di assorbire adeguatamente il cibo perché malato. L’azione dell’Unicef si svolge almeno su tre fronti:

    “Per quanto riguarda la malnutrizione, il circolo vizioso fra mamma e bambino è facilmente comprensibile, per cui noi abbiamo messo in atto degli interventi che diano un continuum assistenziale che va dal concepimento ai primi anni di vita con l’allattamento al seno. Serve una serie di interventi educativi e formativi. Un altro intervento è quello di creare dei centri nutrizionali dove i bambini vengono assistiti ad esempio con latte, vitamine; quindi una forte attenzione alla crescita. Per andare oltre - dato che è difficile per le comunità che vivono nelle campagne, nella periferie della grandi città accedere a questi centri - abbiamo pensato ad un aiuto a domicilio”.

    Nel nuovo spazio interattivo – aperto a Roma fino al 23 dicembre - è possibile scoprire il lavoro sul campo attraverso l'esposizione di articoli salvavita e donare per acquistarli. Basta veramente poco. Un alimento terapeutico pronto all’uso costa 0,28 centesimi di euro, un braccialetto per la diagnosi sulla malnutrizione 0,05, un kit di primo soccorso 20 euro e bastano solo 4 euro per una zanzariera con insetticida a lunga durata. E in occasione del Natale c’è anche la possibilità di un "regalo intelligente". Ancora Giacomo Guerrera:

    “Invitiamo tutti gli italiani - piuttosto che fare dei regali tradizionali –a regalare un cartoncino dove c’è scritto cosa avete fatto, se avete comprato una zanzariera, un kit medico o quant’altro. Noi vi diamo la possibilità di avere questo cartoncino che voi date agli amici. È un modo simpatico per fare un regalo pensando a coloro che stanno peggio di noi”.

    L’obiettivo è arrivare ad abbattere la mortalità infantile: ogni giorno sopravvivono 14 mila bambini in più rispetto a due decenni fa, eppure ancora 19 mila ne muoiono. Sono troppi. Lo dice anche un testimonial d’eccezione, l’ambasciatore dell’Unicef, Lino Banfi, appena tornato da un centro logistico per gli aiuti Unicef di Copenaghen:

    “Quello che mi ha molto scioccato è il fatto che il governo danese abbia dato questa grande cifra per fare una così bella struttura. Magari ci fosse anche in Italia! E poi l’amore con cui lavorano tutte queste persone. È sempre più forte la mia convinzione che bisogna fare del bene. Vogliamo che la mortalità infantile arrivi a zero!”.

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    Giornata Internazionale del Migrante. L'Onu chiede di proteggere i diritti degli immigrati

    ◊   Sono 214 milioni le persone che ogni anno si spostano in cerca di un futuro migliore, di un lavoro, di una vita diversa. E’ il dato che il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha voluto ricordare nel suo messaggio in occasione dell’odierna Giornata internazionale del Migrante. Il numero uno del Palazzo di Vetro ha esortato la politica ad adottare misure che depenalizzino l’immigrazione irregolare. Benedetta Capelli ne ha parlato con Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati:

    R. – La migrazione come tale è una tendenza anche all’interno della globalizzazione, significa lavorare non necessariamente nel proprio Paese, ma cercare condizioni migliori in un altro. L’emergenza è un fenomeno che non viene gestito. Innanzitutto, come dice il segretario generale dell’Onu, nel momento di una crisi finanziaria, economica, le prime vittime sono i migranti ed in particolare quelli con una situazione irregolare che vengono quindi discriminati. Questo comporta anche un crescente fenomeno in Paesi con tendenze xenofobe, si registrano infatti numerosi atti di violenza razzista.

    D. - Lei ha parlato di crisi economica: si può quantificare l’impatto che sta avendo proprio la crisi sul fenomeno della migrazione?

    R. – Prendiamo l’esempio dell’Italia dove, secondo una statistica, sono 500mila i lavoratori migranti che si trovano senza lavoro e che in questi ultimi tempi hanno perso il posto di lavoro. Questo certamente è un numero allarmante considerando anche che, secondo la normativa italiana, un lavoratore migrante che perde il posto di lavoro dopo sei mesi diventa irregolare. D’altra parte, vediamo anche Paesi come la Spagna, dove c’è stata un’enorme crescita della popolazione migrante negli ultimi 10 anni, che solo lo scorso anno ha avuto un cosiddetto saldo migratorio negativo. Sono, infatti, più le persone che hanno lasciato la Spagna rispetto ai nuovi migranti che sono entrati. E’ chiaro che la crisi economica, innanzitutto quella nel Sud Europa, produce pure una diminuzione dell’arrivo e della presenza dei migranti. Sappiamo anche di molti che tornano nei propri Paesi, magari nel Nord Africa o in Turchia, dove ormai trovano migliori condizioni rispetto ai Paesi di immigrazione tradizionale come Italia, Spagna o altri Paesi dell’Europa.

    D. - Quali sono le misure da chiedere alla politica? Ban Ki-moon parla della necessità di depenalizzare l’immigrazione irregolare…

    R. - Questo appello del segretario generale dell’Onu va proprio in contro tendenza, ad esempio con l’introduzione della norma in Italia che prevede il reato del soggiorno irregolare come fosse quasi un atto criminale. Depenalizzazione vuol dire trovare i modi prima di tutto di procedere a una regolarizzazione e di abolire questa clausola che prevede la perdita del permesso di soggiorno dopo che si è perso il lavoro. Poi, in modo molto più generoso e molto più ampio, si può anche appoggiare un ritorno volontario nel Paese di origine. Queste sono misure che si possono prendere immediatamente per le quali ci sono anche fondi comunitari dell’Unione Europea a disposizione e che dovrebbero essere utilizzati, come dice anche la normativa comunitaria.

    D. – Spesso quando si parla di migrazione si evidenziano i problemi, le emergenze ma nel messaggio di Ban Ki-moon si evidenzia pure la speranza, il coraggio e la determinazione di costruire una vita migliore. Forse questi sono aspetti che la stessa comunicazione spesso dimentica…

    R. – C’è molta ignoranza anche nell’opinione pubblica. Per esempio, se è vero che tanti lavoratori migranti in Italia hanno perso il posto di lavoro è anche vero che tanti altri hanno aperto attività autonome, micro-imprese, e sono addirittura datori di lavoro per lavoratori italiani. Quindi abbiamo una percentuale di circa il 12 per cento di nuove piccole imprese aperte da migranti. Sono dati che bisogna sottolineare. Senza la presenza di migranti, settori interi dell’economia crollerebbero, anche in questo periodo di crisi, perché sappiamo molto bene che ci può essere da una parte una disoccupazione, anche nazionale, e dall’altra parte una mancanza di manodopera in settori come l’agricoltura, l’edilizia, i servizi, il turismo.

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    Amnesty International: in Italia, si fermi lo sfruttamento dei migranti in agricoltura

    ◊   Africani, asiatici, ma anche europei, come bulgari e romeni. Sono i lavoratori migranti sfruttati nell’agricoltura in Italia, la cui condizione è stata denunciata da Amnesty International in un rapporto pubblicato oggi. Francesca Sabatinelli:

    In Italia, lo sfruttamento lavorativo dei migranti in agricoltura è grave e diffuso su tutto il territorio nazionale, sebbene assuma forme diverse a seconda delle regioni. Con l’introduzione del crimine del caporalato, nel 2011, si è fatto un passo avanti, ma il problema non è stato risolto. La denuncia di Amnesty International è forte, ma non sorprende, poiché da anni si conoscono le gravi violazioni dei diritti di lavoro dei braccianti. Paghe al di sotto di quelle concordate tra le parti sociali, mancati pagamenti degli stipendi, sono solo alcune delle violenze che queste persone devono subire. Il commento di Francesca Pizzutelli, ricercatrice di Amnesty presso il Segretariato internazionale a Londra, autrice del rapporto:

    In provincia di Latina, un salario minimo per un bracciante agricolo dovrebbe essere, tolte le tasse, tra i 5,60 euro e i 6,60 euro. In realtà, i braccianti agricoli migranti, vengono pagati circa 3,50 l’ora, il 60 per cento di quello che spetterebbe loro. Inoltre, i salari vengono pagati in ritardo, a volte soltanto parzialmente, e i lavoratori sono costretti a lavorare per orari lunghissimi, dalle 10 alle 12 ore al giorno. Inoltre, bisogna dire che, soprattutto in alcune aree, le condizioni abitative sono estremamente precarie. Nell’area di Caserta, ad esempio, noi abbiamo visto migranti alloggiati in fabbriche dismesse, quindi senza elettricità, senza acqua. Si tratta di situazioni alloggiative simili a quelle che, ad esempio, furono denunciate a Rosarno ai tempi della rivolta e che ancora adesso si trovano in altre parti d'Italia.

    Le province di Latina e di Caserta sono state le aree prese in esame nel rapporto dell’organizzazione che si concentra sulle varie forme di sfruttamento a danno di questi lavoratori, provenienti soprattutto da Paesi dell’Africa subsahariana, dall’Africa del Nord e dall’Asia:

    Il caso di Caserta, è un po’ un esempio di quello che succede in molte parti dell’Italia meridionale. Quello di Latina è un po’ diverso, nel senso che lo sfruttamento dei migranti lì è meno conosciuto rispetto ad altre aree. Si tratta anche di una popolazione di migranti che è “meno alla ribalta”, perché la comunità che si trova a Latina è formata da indiani, non sono migranti africani. Quello che vogliamo far vedere è che lo sfruttamento esiste sia nelle zone in cui si sa, sia nelle zone in cui il problema è meno conosciuto.

    Amnesty mette sotto inchiesta le politiche migratorie italiane e denuncia come i datori di lavoro riescano a sfruttare queste persone, a prescindere che siano regolari o irregolari. In entrambi i casi, il permesso di soggiorno diviene arma di ricatto. Ancora la Pizzutelli:

    Abbiamo due richieste. La prima è l’abrogazione del reato di soggiorno di ingresso irregolare nel territorio dello Stato: il cosiddetto reato di clandestinità, introdotto nel 2009. Chiediamo che venga abrogato perché si tratta, di fatto, di una violazione del diritto alla giustizia dei migranti irregolari, nel senso che costituisce una barriera tra il migrante irregolare e qualsiasi istituzione pubblica: se il migrante si trova ad essere vittima di violenza, o di sfruttamento lavorativo, come succede spessissimo, non si può rivolgere alla polizia, ai carabinieri, o alle istituzioni, perché rischia di essere arrestato e espulso in quanto, per l’appunto, clandestino. Questa è una situazione inaccettabile che deve essere cambiata. La seconda richiesta che facciamo al prossimo governo, è quella di una modifica radicale della politica migratoria italiana perché non funziona. Viene facilmente abusata, e altrettanto facilmente diventa uno strumento di sfruttamento dei migranti.

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    Annuario Statistico Istat: sull'Italia il peso della crisi, più vecchi e meno assistiti, mentre ai giovani manca il lavoro

    ◊   Italiani sempre più insoddisfatti delle proprie condizioni economiche e preoccupati per la mancanza di lavoro. A descriverli così è l’Annuario statistico 2012 dell’Istat presentato oggi a Roma. In Italia si vive di più, aumentano le nascite e il matrimonio celebrato in chiesa è ancora la scelta più diffusa, ma non nelle regioni del Nord. Il servizio di Adriana Masotti:

    E’ il dramma della disoccupazione a pesare di più sugli italiani più giovani: oltre un milione dei senza lavoro ha meno di 35 anni. E' quanto emerge dall'Annuario statistico italiano dell’Istat presentato, oggi, che fa riferimento ai dati del 2011. Tempi duri anche per le donne il cui tasso d'inattività, nonostante un leggero miglioramento, resta ancora elevato, specie nel Mezzogiorno, dove oltre sei donne su dieci non sono né occupate né cercano lavoro. In generale l'occupazione cresce nelle fasce più adulte, fra i 35 e i 54 anni (+143.000), e soprattutto fra gli over 55 anche per effetto della riforma delle pensioni.

    La crisi si fa sentire e gli Italiani sono sempre più insoddisfatti delle loro condizioni economiche. Sono anche sempre più vecchi, l’aspettativa di vita cresce infatti sia per gli uomini (79,4) che per le donne (84,5). Il matrimonio religioso resta la scelta più diffusa (60,2%) ma nelle regioni del Nord quello civile nel 2011 ha raggiunto il 51,7% rispetto a quello celebrato in chiesa. L'Italia non è più maglia nera in Europa per numero di figli. Si registrano più nascite al Nord, dove si registra 1,48 figli per donna, a fronte di 1,42 a livello nazionale, ma si diventa mamme sempre più tardi. Le famiglie italiane vivono in grandissima parte in case di loro proprietà. Fra le spese domestiche a incidere di più sono la bolletta del gas, quella dell'energia elettrica e quella telefonica.

    Cala il numero dei reati denunciati, tra le tipologie di delitto, l'unico incremento si registra per lo sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, con un aumento del 21%. Alto il numero degli arresti e delle contravvenzioni nei confronti dei trasgressori di leggi che tutelano l’ambiente. Per quanto riguarda l’istruzione diminuiscono gli iscritti all'Università: le matricole nell'anno accademico 2010/2011 sono 6400 in meno rispetto all'anno precedente. Il cinema continua a raccogliere il maggior pubblico (il 49,8% della popolazione), seguito da musei e mostre, con nel 2011 un incremento di visitatori. Si passano meno ore davanti alla TV che rimane però un'abitudine consolidata per il 92,4% delle persone, mentre l'ascolto della radio interessa il 58,3% della popolazione. La lettura dei libri è l’unico consumo culturale, a livello nazionale, a non conoscere flessioni. Gli utilizzatori del computer crescono di anno in anno, così come, l'uso di Internet che coinvolge il 52,5% della popolazione.

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    Nel segno della speranza, la festa del Natale al Policlinico Gemelli

    ◊   Festa di Natale oggi, nella hall del Policlinico Gemelli. Personaggi dell’arte e dello spettacolo si stanno alternando da questa mattina in un susseguirsi di canzoni, pièces teatrali, gag e giochi di prestigio. La giornata è organizzata dalla Direzione del Policlinico-Ufficio Relazioni con il Pubblico, in collaborazione con le associazioni di volontariato che operano nei reparti pediatrici del Gemelli. Una festa per far trascorrere momenti di allegria ai degenti ricoverati, in particolare ai pazienti pediatrici. Al microfono di Eliana Astorri, il prof. Giorgio Meneschìncheri, Responsabile emergenza sanitaria, Pronto Soccorso e Unità Degenze e responsabile Urp-Relazioni esterne del Gemelli:

    R. – Noi non ci dobbiamo assolutamente dimenticare dell’importanza dei nostri pazienti. I pazienti sono l’obiettivo principale e in questo periodo di festa purtroppo non tutti possono festeggiare. Quindi, abbiamo organizzato una festa di Natale al Gemelli, oltre chiaramente a tutte le varie iniziative che ogni anno in questo periodo si susseguono nelle varie unità di degenza. Quest’anno abbiamo organizzato nella piazza principale, la hall del Gemelli che noi chiamiamo la “piazza del Gemelli”, una festa di Natale per i pazienti. Si tratta di una serie di iniziative che sono state organizzate in collaborazione con le associazioni di volontariato - che è giusto e importante ricordare: Agop (Associazione Genitori Oncologia Pediatrica), "Ali di Scorta", Andrea Tudisco, Atip (Associazione Amici della Terapia Intensiva Pediatrica), Genitin (Associazione per i neonati prematuri), Sale in Zucca e Associazione Italiana “Sindrome X Fragile” - e insieme a queste associazioni abbiamo deciso di fare un programma che si attiva questa mattina alle 11.15-11.30 e finirà questa sera intorno alle 18. Si susseguono vari personaggi del mondo dello spettacolo dell’imprenditoria per far divertire, o meglio rallegrare - divertire è una parola un po’ troppo forte per chi è ricoverato in ospedale - i pazienti che scenderanno dai reparti nella hall. Ci saranno Maurizio Battista con Maria Grazia Cucinotta, Roberto Ciufoli, Sebastiano Somma, Livia Azzariti, Gianni Rivera, Milly Carlucci e tutti questi personaggi, molto vicini a queste iniziative, daranno un loro contributo affinché tutto possa andare al meglio.

    D. – Ci sono anche appuntamenti con il teatro e con la musica?

    R. - Ci sono campagne teatrali che svolgeranno situazioni umoristiche a tema particolarmente sempre sull’allegro, nulla di triste. Ricordiamoci che è importante la cantante che è stata un nostro eroe nelle Paralimipiadi che è Annalisa Minetti che si esibirà in varie canzoni, anche natalizie.

    D. – E poi non possono mancare i clown dottori?

    R. – Ci sono i clown dottori. Chiaramente i clown dottori sono famosi perché sono continuamente presenti nei nostri reparti e rallegreranno i bambini che scenderanno dai reparti pediatrici. Ricordiamoci che è una festa non solamente per i bambini ma anche per i pazienti adulti. Quindi nella hall ci saranno sia i pazienti pediatrici che i pazienti adulti.

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    Un audiolibro su don Guanella, sacerdote che dedicò la sua vita agli ultimi

    ◊   E’ stato dedicato a don Guanella il nono audiolibro della collana Phonostorie, realizzato da multimedia San Paolo Editore. Un modo per far conoscere al pubblico un grande sacerdote dei primi del ‘900, che seppe tradurre in atti concreti il Vangelo. L’opera è stata presentata questa mattina nella sede della nostra emittente. Ce ne parla Alessandro Guarasci:

    Don Guanella è conosciuto per le Case della Divina Provvidenza, sparse in 19 Paesi del mondo. Lì trovano rifugio malati, emarginati, insomma, chi è in difficoltà. Storie di povertà e sofferenza che si riflettono negli scritti di don Guanella raccolti nell’audiolibro “Pane e Paradiso”.

    "Per fare un po' di bene per l'anima e per il corpo bisogna tenere queste buone regole. Anzitutto, non bisogna lasciar salire il sangue alla fronte, né credere che una cosa a farsi sia difficile, e per poco impossibile".

    Un racconto che scorre fluido, come dice Mite Balduzzi, del Centro Europeo Risorse Umane, tra i curatori dell’opera.

    "Si viene a comporre una specie di prodotto unitario, dove musica e testo dialogano fra loro".

    Assieme alla Fondazione Migrantes e al Centro Studi Guanelliani un apporto fondamentale alla realizzazione è stato dato da Caritas Italiana. La riflessione del direttore mons. Francesco Soddu:

    "Oggi, don Guanella per noi è un esempio vivo di non banalizzare anche la carità, ma di essere veramente il segno vivo di coloro che maggiormente hanno bisogno. E tra i poveri c'è anche questa gradazione di povertà".

    Un possibile regalo per Natale, ma con l’occhio a tutto l’anno. Don Alfonso Crippa, Superiore Generale dei Guanelliani:

    "Il Signore nasce nelle persone più umili ogni giorno. Quando ci si presenta una persona che ha bisogno di noi, noi dobbiamo accoglierla come abbiamo accolto il Signore nel presepio e nella nostra umanità".

    Un messaggio che fa riflettere ancor più nei momenti di crisi economica.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Colombia: il processo di pace riparte dal Forum per lo sviluppo agrario

    ◊   “Creare le condizioni per una pace sostenibile”: è l’obiettivo del Forum intitolato “Politica di sviluppo agrario integrale: Focus territoriale” aperto ieri a Bogotá per dare voce alla società civile nel processo di pace tra il governo e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc) in corso dal 19 novembre all’Avana. Di fronte a un migliaio di partecipanti, tra leader civici regionali, esponenti di organizzazioni non governative, rappresentanti della cooperazione e di organismi internazionali, dell’esecutivo e del Congresso, il delegato dell’Onu in Colombia, Bruno Moro, ha messo in evidenza che “il tema rurale – primo punto nell’agenda dei colloqui di pace – è la causa fondamentale del conflitto”. Per Moro - riporta l'agenzia Misna - risulta quindi “decisiva la partecipazione della società civile” che rappresenta “i veri protagonisti della costruzione della pace. La Colombia – ha concluso il suo intervento – non è condannata a vivere altri 50 anni di guerra e 100 di solitudine”. Invitata, la Federazione nazionale degli allevatori (Fedegán) ha tuttavia rifiutato di partecipare all’evento di Bogotá, frutto della prima intesa tra governo e guerriglia alle trattative cubane. “Invece di aiutare il processo di pace questo Forum lo danneggia perché emergeranno posizione antagoniste sul modello di sviluppo rurale. Il dialogo sociale come contributo al negoziato è inutile e non darà frutti” ha sostenuto il presidente della Federazione, José Félix Lafaurie. Riferendosi ad alcuni dei soggetti che partecipano al Forum, intervistato da El Tiempo Lafaurie non ha esitato a definirli “Organizzazioni non governative che non rappresentano nessuno, solo chi le costituisce”. E’ noto che gli allevatori – nelle cui mani si concentrano 38 dei circa 44 milioni di ettari di terre disponibili in Colombia – si rifiutano di appoggiare un’eventuale riforma agraria, istanza all’origine della nascita delle Farc nel 1964. Secondo il rapporto dell’Onu del 2011 sullo sviluppo umano in Colombia, il 52% della proprietà terriera è detenuta dall’1,15% della popolazione. Nel corso del Forum, il ministro dell’Agricoltura e dello sviluppo rurale, Juan Camilo Restrepo, ha peraltro confermato che fra il 2013 e il 2014, dopo 41 anni, si effettuerà in Colombia un censimento agro-zootecnico, “una delle grandi necessità che ha il Paese per capire meglio cosa sta accadendo nei campi”. (R.P.)

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    Centrafrica: i ribelli della coalizione Seleka conquistano Bria, importante centro diamantifero

    ◊   Il centro diamantifero di Bria, al centro della Repubblica Centrafricana, è stato conquistato oggi dagli uomini della Seleka, una coalizione di tre formazioni ribelli, che la stanno saccheggiando. È quanto afferma una fonte dell’esercito locale ripresa dall’agence France Press. Bria si trova a 300 km da Ndélé, altro centro conquistato dai ribelli nei giorni scorsi, e a più di 400 km dalla capitale Bangui, dove, secondo fonti locali contattate dall’agenzia Fides, la situazione è calma. I membri di Seleka minacciano di rovesciare il Presidente François Bozizé perché, a loro dire, non ha rispettato gli accordi del 2007 e del 2011, firmati dal suo governo con i gruppi che hanno aderito alla coalizione. La stampa locale riferisce che il governo si trova di fronte a scelte difficili. Negoziare partendo da una posizione di debolezza, vista la rapida avanzata dei ribelli? Oppure scegliere la soluzione militare? Quest’ultima è resa difficile dalla partenza degli elementi ciadiani della Guardia Presidenziale, dal ritiro programmato della Micopax (la forza di pace dell’Africa centrale dispiegata in Centrafrica) e dal mutato atteggiamento del governo di Parigi, che non sembra disposto a intervenire in aiuto delle autorità di Bangui. La Francia ha una lunga tradizione di spedizioni militari in Centrafrica. L’ultima risale al 2006, quando le truppe di Parigi stanziate in Ciad intervennero per respingere un’offensiva ribelle simile a quella di questi giorni. Il giornale “L’Hirondelle” si chiede se “i nuovi alleati del potere”, Cina e Sudafrica, saranno disponibili ad agire al posto della Francia. (R.P.)

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    Congo: la Corte Penale Internazionale assolve Mathieu Ngudjolo Chui

    ◊   Mathieu Ngudjolo Chui, ex capo della milizia armata nella Repubblica Democratica del Congo, è il primo imputato assolto nei 10 anni di storia della Corte Penale Internazionale (Cpi). Era accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità per la strage di Bogoro, un villaggio congolese in cui nel 2003 vennero uccise circa 200 persone. Questa mattina il presidente della Corte, il giudice Bruno Cotte, ha letto la sentenza che assolve Ngudjolo da tutte le accuse, dichiarando che “non si è riusciti a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che l’imputato fosse responsabile” dei crimini commessi, anche a causa di testimonianze “troppo contraddittorie e annebbiate”. Nelle motivazioni della sentenza, i giudici hanno sottolineato che l’assoluzione all’unanimità di Ngudjolo non significa che a Bogoro non siano stati commessi crimini, “né viene messa in discussione la sofferenza delle persone di quella comunità in quell’occasione”. Ngudjolo si era sempre dichiarato estraneo ai fatti, sostenendo di aver saputo dell’attacco al villaggio alcuni giorni dopo la strage. L’accusa, rappresentata dall’avvocato Besnouda, è ricorsa in appello contro la decisione della Corte di richiedere l’immediato rilascio di Ngudjolo. Human Rights Watch ha commentato dichiarando che “il verdetto lascia le vittime di Bogoro e di altri massacri senza giustizia per la loro sofferenza”, mentre Geraldine Mattioli-Zeltner, direttore dell’International Justice Program, sostiene che la Cpi abbia bisogno di “rafforzare le sue indagini sui responsabili dei gravi crimini commessi a Bogoro e in tutta la provincia di Ituri, tra cui funzionari di alto rango in Congo, Rwanda e Uganda che hanno sostenuto i gruppi armati che combattono in queste zone”. (L.P.)

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    Congo: Kabila delude nel discorso sul Nord Kivu. La preghiera della Chiesa per la pace

    ◊   “Provocatorio e preoccupante”. Così alcune fonti locali dell’agenzia Misna hanno commentato il discorso del presidente congolese Joseph Kabila davanti a deputati e senatori, evidenziando come la popolazione sperasse in un impegno maggiore per arrivare alla pace nel Nord Kivu. Nonostante abbia nuovamente promesso il suo sforzo per la ricerca di una soluzione alla crisi, il capo dello Stato ha nuovamente attaccato il vicino Rwanda e ha illustrato nuovi piani diplomatici, il dispiegamento di forze internazionali neutrali al confine e i primi risultati del dialogo a Kampala con i rappresentanti dell’M23. L’obiettivo del conflitto nell’Est è quello di “accendere focolai di tensione, provocare l’insicurezza per alimentare il caos, scoraggiare gli investimenti e impedire l’attuazione del programma di ricostruzione nazionale. Solo così cercano di giustificare la balcanizzazione del Paese” ha detto Kabila, invitando i cittadini a “superare le divergenze a nome della coesione nazionale per ritrovare il nostro bene più caro: il Congo” e proponendo una “prossima apertura di consultazioni aperte a tutte le forze politiche e sociali”. Nel Nord Kivu, a migliaia di chilometri dal luogo in cui il capo dello Stato ha tenuto il suo discorso, la tensione resta alta. Dopo il ritiro dei ribelli a Goma il 1° dicembre, una fonte della società civile afferma che“sul terreno la situazione rimane incerta e instabile. Ci sono sempre più attacchi armati notturni e furti che ricolleghiamo ai detenuti evasi dal carcere ma anche a miliziani rimasti in zona”. In questo scenario di incertezza, la Chiesa congolese è attiva per ridare sollievo e speranza alla popolazione del Nord del Kivu colpita dal conflitto. Fino al 24 dicembre in tutte le comunità e le chiese della diocesi verrà organizzata la “Novena di preghiera per una pace durevole in Congo e a Goma”. Un’iniziativa che si presenta solidale con “una generazione di bambini e giovani arruolati con la forza da milizie di ogni genere”, con “migliaia di sfollati interni costretti ad affrontare fame, malattie e stupri diventati armi di guerra”. (L.P.)

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    Congo: da Bukavu grido dei cristiani contro le violenze inumane per donne e bambini

    ◊   “I predatori hanno rubato Dio a troppi bambini e donne di questo Paese perché sia ancora possibile tacere”. È una delle provocazioni contenute in una lettera dall’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), dove le violenze inumane contro la popolazione civile non solo costituiscono un crimine, ma interrogano la Chiesa che deve essere faro di speranza e portatrice dell’amore di Cristo, pur in una situazione umanamente disperata. Per tentare di dare una risposta a questa sfida per l’evangelizzazione, un gruppo di riflessione formato da cattolici e protestanti (Groupe Chrétien de Réflexion et d’Action, Gcra) ha tenuto un incontro a Bukavu (capoluogo nel sud Kivu) nei mesi scorsi. Il documento conclusivo della riunione intitolato “Lasciateci vivere” è stato ora inviato all’agenzia Fides. Le donne sono le principali vittime delle violenze nella regione che durano da più di 15 anni. Le testimonianze raccolte dal Gcra sono sconvolgenti: donne violentate di fronte a marito e figli, torture sessuali, mariti assassinati, figlie rapite per farne schiave sessuali, saccheggio e distruzione delle abitazioni. “Le famiglie, le comunità, la cultura, la vita sociale, tutto è distrutto da questi atti” si afferma nel documento. “È un processo di disumanizzazione che stritola tutto…fino alla creazione. Senza dubbio gli esecutori di questi crimini non comprendono che sono i primi a essere colpiti dalla disumanizzazione che infliggono agli altri. Alcuni di loro sono essi stessi vittime delle violenze del loro gruppo armato e sono obbligati ad agire così”. Il Gcra sottolinea che la Chiesa locale deve essere in grado di accogliere le vittime (spesso colpevolizzate dalla comunità per le violenze subite), accrescendo gli sforzi che già si fanno in campo sanitario, psicologico, sociale e pastorale. Il Gcra propone alcuni suggerimenti per aiutare le comunità locali a orientarsi alla luce della Parola e per continuare ad offrire una luce di speranza anche a coloro che hanno perso qualsiasi illusione. (R.P.)

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    Caritas in prima linea per i rifugiati siriani in Giordania

    ◊   40mila morti dal marzo 2011 e quasi 700mila rifugiati previsti per l’inizio del 2013 nei campi di Turchia e Giordania. Sono alcuni tra i dati inseriti nel rapporto di Caritas Giordania, che sta seguendo quotidianamente gli sviluppi del conflitto siriano e organizza campi di accoglienza per coloro che si sono messi in fuga dalle città. Come riportato dall’agenzia Fides, lo scopo delle attività è anche quello di coordinare gli aiuti internazionali: Caritas Giordania coopera infatti con le Caritas di Germania, Danimarca, Svizzera, Lussemburgo e Repubblica Ceca nei vari campi profughi organizzati nei territori di confine con la Siria in cui attualmente vengono assistite circa 60mila persone. Salgono le preoccupazioni per la sicurezza interna dei campi e con l’arrivo del freddo invernale la Caritas internazionale sta pianificando una campagna per i prossimi mesi per la distribuzione di coperte, caloriferi e cibo. Anche l’Unicef denuncia la situazione drammatica dei rifugiati: a Zaatari sta predisponendo l’erogazione di acqua calda e la consegna di pane da parte di forni locali e in molti altri campi proseguono le vaccinazioni contro la polio e il morbillo. Un conflitto, quello siriano, che continua ogni giorno a creare morti, distruzione e profughi e che nonostante questo sembra ancora lontano da una reale soluzione. (L.P.)

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    Siria. I frati della Custodia: "Nonostante le sofferenze i cristiani non hanno perso la fede"

    ◊   Non sono rassicuranti le notizie che giungono dalla Siria. Padre Halim, frate libanese della Custodia di Terra Santa e ministro regionale della Regione San Paolo, segue con apprensione l’evolversi della situazione. E’ quanto riferisce lo stesso religioso, in stretto contatto con i confratelli siriani, ai microfoni del Franciscan Media Center. Nel riferire la situazione che stanno vivendo i cristiani nella guerra civile - riporta l'agenzia Sir - il francescano afferma: “i cristiani dicono sempre di non avere altra speranza se non in Dio. Nessuno li può salvare se non un miracolo dall’alto. Un frate mi ha detto che la gente ha visto che le chiese - nonostante tutte queste difficoltà - durante la messa e le celebrazioni eucaristiche sono piene. E qualche volta anche di più dei tempi normali”. Motivo di così tanta affluenza sta nella frase riferita da padre Halim: “Se dobbiamo morire è meglio morire in chiesa che a casa. E quindi nonostante tutto c’è ancora uno spiraglio di fede, di gente che tenta ancora e ha una fede forte in Dio. É solo lui che potrebbe salvarli. Il Principe della Pace di cui celebriamo il Natale, che porti la pace nei cuori di tutti i siriani, che ci sia la pace dappertutto”. (R.P.)

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    Siria-Libano: è Ioann X il nuovo patriarca della Chiesa greco-ortodossa di Antiochia

    ◊   La Chiesa greco-ortodossa di Antiochia ha eletto ieri Ioann Yazigi patriarca di Antiochia e di tutto l‘Oriente. Succede al patriarca Ignazio IV Hazim, morto due settimane fa a 92 anni, e prenderà il nome di Ioann X. Ad eleggerlo - riferisce l'agenzia Sir - sono stati 20 arcivescovi nel monastero di Nostra Signora di Balamand, a nord di Beirut. “Abbiamo tanto lavoro da fare per i giovani e le università”, ha detto il nuovo patriarca in un discorso pronunciato ieri sera al monastero dedicando parole anche ai “nostri fratelli musulmani”, con i quali “condividiamo la stessa sorte” e “lavoreremo insieme”. Rispondendo alla domanda di un giornalista, il patriarca ha sottolineato che “i cristiani resteranno in Siria perché è la loro terra”. “Il nostro Paese ha sofferto un periodo di grandi difficoltà ma ci rimarremo”, ha aggiunto: “Nel corso della storia siamo sempre stati con tutte le parti e tutti i gruppi in Siria”. Nato a Lattaquié, nel nord ovest della Siria, 57 anni, Yazigi è originario di Mar Marita, la più grande valle cristiana della Siria. Dal 2008 era metropolita dell‘Europa occidentale e centrale. La Chiesa greco-ortodossa di Antiochia, che ha sede a Damasco ed è una delle 14 Chiese autocefale della Comunione ortodossa, conta 1,8 milioni. (R.P.)

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    Terra Santa: gioia per il Patriarca Twal a Gaza per celebrare il Natale

    ◊   Natale anticipato a Gaza per il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, che come tradizione, si è recato domenica nella piccola parrocchia della Sacra Famiglia dove è stato accolto dai 185 parrocchiani, guidati da padre Jorge Hernandez. La visita giunge a 3 settimane dalla fine dell’operazione israeliana “Colonna di nuvola”. “Natale è un dono del cielo - ha detto Twal - ma ha bisogno di uomini di buona volontà affinché porti la pace”. Da qui l’appello ai fedeli “ad avere una fede forte per restare a vivere in questa terra. Anche Gesù - ha ricordato - ha vissuto l’ingiustizia”. Il parroco, padre Hernandez, ha ringraziato il patriarca: “i nostri fedeli - ha detto - sono molto sensibili a questa visita, è come se un pezzo di Gerusalemme sia giunto fin qui”. Dopo la fine delle ostilità nella Striscia - riferisce l'agenzia Sir - la vita è ripresa come testimonia la riapertura delle 3 scuole cattoliche che accolgono oltre 1500 alunni in maggioranza musulmana. Ora la sosta natalizia permetterà alla direzione scolastica di riparare i danni provocati dai bombardamenti. Oggi nella piccola chiesa latina di Gaza, sono attese 450 persone per un concerto di Natale promosso dal Consolato francese di Gerusalemme. Resta, infine, da verificare quanti cristiani di Gaza potranno recarsi a Betlemme, la notte del 24 dicembre, per assistere alla messa di Natale. Tutto dipenderà dai permessi che verranno rilasciati dagli israeliani. (R.P.)

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    Vietnam: conclusi i lavori della 10.ma Assemblea plenaria delle Conferenze episcopali d'Asia

    ◊   Con una solenne Messa nella cattedrale di Ho Chi Minh Ville in Vietnam e l’annuncio del messaggio finale si sono conclusi domenica i lavori della decima Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze episcopali d’Asia (Fabc), iniziati il 10 dicembre Xuân Lộc con al centro il tema “I quarant’anni della Fabc e le sfide dell’Asia”. Alla riunione, ospitata per la prima volta dal Vietnam, hanno partecipato oltre 100 delegati, eletti dalle 19 Conferenze episcopali membri della Fabc, insieme ai rappresentanti di dieci associati costituiti da tre diocesi (Hong Kong e Macau in Cina, Novosibirsk in Russia) e da sette Paesi (Kyrgyzstan, Tadjikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Mongolia, Nepal e Timor Est), che non hanno conferenze episcopali. Numerosi e di ampio raggio gli argomenti affrontati durante la sessione che ha preso spunto da 14 “grandi linee di tendenza” della Chiesa in Asia elencate nel documento di lavoro: dalla globalizzazione al rapporto con le culture; dal dialogo interreligioso al tema della libertà religiosa; dalla lotta alla povertà alla difesa delle popolazioni indigene; dalle migrazioni all’ecologia. Ma anche il ruolo dei laici, delle donne, dei giovani, le vocazioni e il diffondersi delle sette pentecostali. Tutti temi che rappresentano altrettante sfide per l’evangelizzazione in un continente dove i cattolici rappresentano appena il 3% della popolazione complessiva. La riunione ha quindi offerto ai delegati l’occasione per illustrare le situazioni dei rispettivi Paesi, prendere coscienza dei problemi comuni e condividere le loro riflessioni. Ne è emerso un quadro articolato, anche se con diversi denominatori comuni, che suggerisce strategie altrettanto articolate. Secondo il Presidente della Conferenza episcopale del Bangladesh mons. Patrick D’Rozario, la risposta alla sfida della nuova evangelizzazione in Asia parte dalla consapevolezza di due realtà della società contemporanea: una cultura sempre più secolarizzata e il “silenzioso” bisogno di spiritualità. Parlando del Bangladesh, l’arcivescovo di Dacca ha indicato sei aree di attenzione per la Chiesa locale: le popolazioni indigene che costituiscono la metà della popolazione cristiana in Bangladesh; la sovrappopolazione e il controllo artificiale delle nascite; le pesanti conseguenze dei cambiamenti climatici sul fragile tessuto socio-economico del Paese; l’annuncio del Vangelo tra i musulmani; la promozione della dignità della donna e l’ingiustizia e la corruzione diffusa. La globalizzazione; la diffusione di dottrine incompatibili con gli insegnamenti della Chiesa; la promozione della famiglia; l’attenzione ai giovani: queste invece le priorità della neo-costituita Conferenza episcopale di Timor Est, secondo quanto ha affermato nel suo intervento il suo presidente mons. Roberto do Amaral. Sulle nuove minacce alla missione evangelizzatrice della Chiesa in Asia rappresentata dalla secolarizzazione si è soffermato anche il vescovo siro-malankarese indiano Thomas Mar Antonios. Per il presidente della Conferenza episcopale indiana, card. Telesphore Toppo, quattro sono le priorità per la Chiesa nell’Asia Meridionale: la promozione della fede cattolica attraverso il dialogo interreligioso e l’inculturazione; l’assunzione di un ruolo profetico da parte della Chiesa di fronte al diffondersi di tendenze e pratiche contrarie all’etica come la contraccezione, l’aborto e l’eutanasia; evangelizzare preservando le identità culturali locali e l’attenzione pastorale alle popolazioni tribali ed indigene. Sempre a proposito di inculturazione, l’arcivescovo siro-malabarese di Tellicherry, George Valiamattam ha sottolineato, da parte sua, il grande contributo che possono dare all’evangelizzazione del continente la Chiesa siro-malabarese e le altre Chiese di rito orientale. Il Presidente dei vescovi giapponesi, mons. Joseph Mitsuaki Takami, ha sottolineato, da parte sua, la necessità di un maggiore impegno della Fabc nel dialogo interreligioso e il ruolo delle piccole comunità ecclesiali nelle terre di missione. Anche per il presidente della Conferenza episcopale thailandese, mons. Louis Chamniern Santisukniran, il dialogo interreligioso è un “perfetto strumento per la nuova evangelizzazione”. E dell’importanza del dialogo con le religioni e con le culture, soprattutto nel nuovo contesto della globalizzazione e della secolarizzazione, ha parlato nel suo intervento anche il presidente dei vescovi vietnamiti, mons. Peter Nguyen Van Non. Il vescovo di Cheju Peter Kang U-Il, alla guida dell’Episcopato sud-coreano, ha sottolineato invece la necessità di una più stretta collaborazione e solidarietà tra le Chiese in Asia. Il presidente della Conferenza episcopale del Kazakhstan, mons. Tomasz Peta, l’arcivescovo di Astana, ha invocato una maggiore “spiritualità di comunione” dei vescovi del continente attraverso la preghiera. Per il segretario generale della Conferenza episcopale pakistana mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad-Rawalpindi, nei Paesi in cui i cristiani sono una piccola minoranza come in Pakistan, occorre puntare sulla catechesi, la formazione del clero e dei religiosi e la promozione delle vocazioni. Sulla stessa linea il card. Malcolm Ranjith, presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka per il quale “l’evangelizzazione degli evangelizzati” è fondamentale. La pubblicazione del documento finale con le conclusioni dell’assemblea della Fabc è atteso nei prossimi giorni. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Filippine: sì del senato a legge su controllo nascite. La Chiesa: "E' una bomba-morale a tempo"

    ◊   "Una bomba morale a tempo": mons. Socrates Villegas, arcivescovo di Lingayen-Dagupan e vicepresidente della Conferenza episcopale delle Filippine definisce in una lettera pastorale pubblicata sul sito dell'episcopato l'approvazione fatta ieri dal senato filippino della legge sul controllo delle nascite, già approvata dalla Camera. La legge "di salute riproduttiva" - Rh Bill 4244 - ha atteso quasi 14 anni per essere approvata dopo cinque diverse modifiche e oltre un anno di discussioni in parlamento e la fiera opposizione della Chiesa. Il provvedimento approvato ieri - riferisce l'agenzia AsiaNews - rifiuta l'aborto clinico, ma promuove un programma di pianificazione familiare che invita le coppie a non avere più di due figli. Essa permette in alcuni casi l'obiezione di coscienza, ma allo stesso tempo favorisce la sterilizzazione volontaria. Chiesa e associazioni cattoliche sostengono invece il Natural Family Programme (Nfp), che mira a diffondere tra la popolazione una cultura di responsabilità e amore basata sui valori naturali. Il disegno di legge è promosso soprattutto dalle grandi organizzazioni internazionali, come ad esempio Onu e Unicef, che legano l'alto tasso di natalità alla povertà del Paese. I Paesi che non si attengono a tali norme perdono il diritto a ricevere aiuti umanitari. Secondo mons. Villegas, "l'ampia e libera possibilità di accedere ai contraccettivi", consentita dalla nuova legge, "finirà col portare alla distruzione della famiglia", "aprirà ulteriormente le porte all'aborto e alla violenza contro le donne. Il denaro speso per i contraccettivi - ha aggiunto - potrebbe essere speso meglio per l'educazione e una vera tutela della salute". "E' solo questione di tempo e vedremo maggiori violazioni del 'Non uccidere' e 'Non commettere adulterio' nelle nostre famiglie e i nostri giovani". Per allontanare tale prospettiva l'arcivescovo, in una lettera pastorale assicura la sua diocesi della volontà di rafforzare l'educazione morale e spirituale dei giovani e dei bambini per rafforzare la loro fibra morale. Iniziative vengono annunciate anche per la tutela della salute delle donne incinte e per rendere accessibile alle coppie povere il sacramento del matrimonio. "Vogliamo diffondere attraverso corsi prematrimoniali l'insegnamento della Chiesa sui metodi naturali di pianificazione delle nascite e al tempo stesso mettere in guardia sugli effetti pericolosi delle pillole contraccettive per la salute delle donne". (R.P.)

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    Argentina: sacerdote minacciato di morte continua la lotta contro la droga

    ◊   Il sacerdote José María "Pepe" Di Paola, che tempo fa aveva lasciato il quartiere Barracas della capitale argentina, perché minacciato dai trafficanti di droga, tornerà a Buenos Aires per proseguire il suo programma di prevenzione e di recupero dei tossicodipendenti. “Si tratta di continuare ad accompagnare le persone con tali dipendenze e in lotta contro questo flagello che uccide tanti innocenti in pochi mesi. Un compito al quale mi sento chiamato nella Chiesa” ha detto il sacerdote. La nota inviata all’agenzia Fides riferisce che don Di Paola quasi 3 anni fa lasciò Barracas per la città di Campo Gallo, nella diocesi di Añatuya, dopo essere stato minacciato di morte dai trafficanti di droga a causa della sua lotta contro la tossicodipendenza. Proprio nella parrocchia di Nostra Signora di Caacupé aveva dato inizio alla comunità “Hogar de Cristo”, per reinserire nella società adolescenti e giovani tossicodipendenti. Ora torna a Buenos Aires, ha spiegato, "per continuare la missione incompiuta". Anche se il sacerdote non ha detto dove andrà di preciso, fonti della Chiesa consultate dalla stampa locale hanno detto che sarà "nel territorio della diocesi di Lomas de Zamora". Don Di Paola è uno dei sacerdoti che hanno alzato la voce contro l'iniziativa legislativa di legalizzare le droghe cosiddette "ricreative", in particolare la marijuana, e di permetterne la coltivazione, ma ha sempre ribadito la sua posizione di non criminalizzare il tossicodipendente. La grande Buenos Aires soffre molto il problema della droga, tanto che la Chiesa ha insistito, anche ultimamente per lottare contro questo flagello. (R.P.)

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    Messico: per il Natale i vescovi invocano giustizia sociale, verità e pace

    ◊   Fra le tradizioni natalizie messicane, un ruolo rilevante è costituito dalle cosiddette “posadas”, che nei giorni della novena di Natale, dal 16 al 24 dicembre, fanno rivivere in forma di drammatizzazione la ricerca di un alloggio da parte di Maria e Giuseppe. “Le ‘posadas’ nel nostro Paese sono diventate parte della cultura popolare, una buona pratica ricca di insegnamenti che dovrebbe essere rafforzata, celebrata e tramandata di generazione in generazione" si legge nella riflessione dell'arcivescovo di Antequera-Oaxaca, mons. José Luis Chávez Botello. "Nel contesto in cui viviamo – prosegue -, le posadas sono davvero respiro e ossigeno per molti individui e per la società stessa, perché si dimostra che è possibile avere contatti umani in modo costruttivo, vivere in pace e in tranquillità con persone e famiglie diverse, nei quartieri e nelle comunità”. “Le posadas ci incoraggiano ad aprirci agli altri, a condividere, a vivere insieme e a gioire insieme… sono una scuola pratica di valori fondamentali per la vita sociale e la sana convivenza”. La nota inviata all'agenzia Fides dalla Conferenza episcopale del Messico, spiega brevemente la storia delle posadas, nate nel XVI secolo nei cortili dei conventi con lo scopo di evangelizzare. Il termine “posada” indica una locanda a gestione familiare. Gli indiani che impersonano Giuseppe e Maria a Betlemme, girano chiedendo accoglienza in un clima di preghiera, con canti e versi poetici che li accompagnano mentre bussano alle diverse porte. “Qualcuno li rifiuta, ma questa tristezza è compensata dalla gioia condivisa quando una famiglia apre la sua casa – spiega la nota -. Un modo plastico per dimostrare che, quando si aprono le porte della propria casa a Dio, i frutti di una vita sana e felice non tardano”. Mons. Chávez Botello conclude il suo scritto chiedendo: "Diamo alloggio alla giustizia sociale, alla verità e alla pace vera, che ci portano i Santi pellegrini. Celebriamo in questo modo le posadas in ogni angolo del nostro stato di Oaxaca per rovesciare risentimenti e pregiudizi, per guarire le ferite del passato e contribuire alla salute della nostra società. Abbiamo bisogno di creare spazi e momenti di interazione e una vita sana, senza escludere nessuno. Coloro che vivono in Oaxaca non sono nemici, ma fratelli che condividono la stessa terra, abbiamo gli stessi bisogni e stesse sofferenze. I nostri nemici sono l'ambizione, la corruzione, l'ingiustizia sociale, la povertà e la violenza”. (R.P.)

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    Uruguay: dedicato alla difesa della vita il messaggio natalizio dei vescovi

    ◊   È dedicato alla difesa della vita il nucleo principale del messaggio della Chiesa uruguaiana per il Natale. Nel documento, siglato da mons. Carlos Collazzi, presidente della Conferenza episcopale locale (Ceu) si esorta “a garantire e a fare in modo che non si sfiguri il valore della vita, soprattutto attraverso la violenza ingiustificata sulle persone più indifese, sui più poveri, su chi non ha voce o forza o possibilità di esprimersi”. In particolare, la Ceu nota che il valore della vita si sta “appassendo a causa dell’irrazionalità e della radicalizzazione”, mentre vengono meno “le esperienze di valori che riguardano la natura umana”. Di qui, la sottolineatura forte del fatto che “la Chiesa desidera rinnovarsi nella sua capacità di mostrare, con un nuovo entusiasmo, il volto di Gesù Cristo che chiama alla sua sequela” e che “ci invita ad essere fratelli, solidali, positivi, accoglienti”. In questo senso, la Chiesa dell’Uruguay ricorda “la grande gioia dei cristiani di fronte alla nascita di Gesù”, una gioia “basata sull’amore del Padre che ha inviato Cristo per salvarci”, facendoci passare “dalla tristezza alla gioia, dall’assurdo e contraddittorio al senso profondo della vita, dalla stanchezza e disperazione alla speranza che non delude, dalle divisioni e frammentazioni alla crescita del valore dell’unità”. Questa gioia, afferma ancora il messaggio della Ceu, “non è un sentimento artificiale o un sentimento passeggero”, bensì “è basata sulla certezza della presenza di Dio vicino al suo popolo”, grazie al quale è possibile raggiungere tutti, soprattutto “coloro che soffrono”. Infine, i vescovi auspicano che il Santo Natale faccia emergere”nel cuore di ciascuno” i sentimenti di “fraternità, gioia condivisa, prosperità, speranza e pace”. (I.P.)

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    Bangladesh: ancora niente aiuti alimentari né assistenza medica per i Rohingya

    ◊   Nel mese di agosto le autorità bengalesi hanno bloccato la distribuzione degli aiuti umanitari, compresi farmaci e generi alimentari, da parte delle tre Ong Médecins Sans Frontières (Msf), Action Against Hunger e Muslim Aid Uk, ai profughi Rohingya privi di documenti, sostenendo che questi servizi avrebbero ulteriormente incoraggiato la gente a fuggire verso il Bangladesh, dove già ne vivono 40 mila. Da quando le Ong sono state fermate, la popolazione musulmana non ha da mangiare, i bambini non hanno le cure mediche necessarie. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), in Bangladesh ci sono oltre 200 mila Rohingyas, dei quali solo 30 mila sono in possesso di documenti di identità e vivono nei campi assistiti dalle Ong. Di questi, circa 12 mila vivono nel campo di Kutupalong, distretto di Cox's Bazar, altri 18 mila più a sud, a Nayapara, entrambi a 2 chilometri dal Myanmar. A questi il Programma Alimentare Mondiale (Wfp) fornisce razioni alimentari, ricoveri, generi non alimentari, servizi idrico-sanitari, formazione professionale e cibo supplementare per le persone malnutrite. Molti Rohingya sono rimasti clandestini dopo che l’Unhcr non ha permesso di registrare nuovi arrivi dalla metà del 1992. Soltanto quelli che hanno documenti identificativi ricevono assistenza regolare, mentre quelli che ne sono privi dipendono prevalentemente dalle ong internazionali che fino a poco tempo fa erano autorizzate a lavorare nell’area. Prima del divieto del governo, le condizioni nei campi di fortuna allestiti erano tra le peggiori al mondo, secondo i medici che si occupano di diritti umani. La maggior parte delle persone al di fuori del campo di Kutupalong vivono in capanne fatiscenti, fatte di rami e teli di plastica, prive di aiuti alimentari, vicini a fogne a cielo aperto. Secondo i medici di Msf il 27% dei profughi del campo di Kutupalong, dove vivono 20 mila profughi clandestini, soffre di malnutrizione acuta. Le cifre del governo riportano 200-500 mila Rohingya clandestini che vivono in villaggi e città al di fuori dei campi, molti a Cox's Bazar, Bandarban e Chittagong. L’Unhcr ha più volte fatto appello a Dhaka per l’eliminazione del divieto per le Ong, ma la situazione è ancora ferma e rimane drammatica. (R.P.)

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    Cambogia. Sfruttamento sessuale, lavori forzati, indigenza: causa di morte per molti bambini

    ◊   Il destino di molte bambine del Sudest Asiatico è segnato dalla miseria che le porta allo sfruttamento sessuale. Per far fronte a questa emergenza, periodicamente, la Ong spagnola Anesvad promuove una campagna per recuperare queste piccole e formarle, per dare loro opportunità di lavoro dignitose. Da una parte sono le bambine stesse che, pur di guadagnare qualcosa per vivere, si prostituiscono spontaneamente. Dall’altra i gruppi criminali le sfruttano e le loro famiglie le vendono per sopravvivere. Spesso le stesse bambine si organizzano e si prostituiscono, creando delle reti indipendenti. E’ quanto ha dichiarato la coordinatrice dell’organizzazione cambogiana “Our Home”. Secondo le Pontificie Opere Missionarie, ci sono 14 milioni di orfani a causa dell’Aids. Inoltre, della metà dei 600 milioni di poveri nel mondo, 130 milioni non vanno a scuola, 180 milioni sono denutriti, 250 milioni sono sfruttati nel lavoro e un milione di minori cade nella rete del commercio sessuale. Si stimano che ci siano 400 milioni di ragazzi schiavi dello sfruttamento. Tra questi ci sono piccoli incatenati ai lavori forzati nei campi, nelle miniere, nelle industrie e come schiavi dei proprietari terrieri; mezzo milione di bambini soldato e circa 2 milioni di bambini sfruttati sessualmente. Infine, un bambino su 7, nato nei paesi più indigenti, è destinato a morire prima di aver compiuto 5 anni di età. Ogni anno muoiono 250 mila bambini, la maggior parte per carenze alimentari che li debilitano, ne riducono il peso e la crescita, rendendoli più vulnerabili alle malattie. Nei paesi in via di sviluppo, si legge nello studio portato avanti da Anesvad, questi bambini sono esposti ad un rischio molto elevato di malattie infettive come diarrea, malattie respiratorie acute, malaria e morbillo, colpevoli di una grande parte delle morti infantili. (R.P.)

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    È morto padre Paolo, il cappuccino che diede l’unzione degli infermi a Padre Pio

    ◊   È morto ieri padre Paolo Covino, il frate minore cappuccino che amministrò l’unzione degli infermi a Padre Pio nella notte tra il 22 e il 23 settembre, quando il Santo terminò la sua missione terrena. Padre Paolo avrebbe compiuto 94 anni tra pochi giorni. Era nato, infatti, a San Giovanni Rotondo il 25 dicembre 1918, anche se all’anagrafe fu registrato il 2 gennaio, dichiarando che la sua nascita era avvenuta il primo giorno dell’anno. I suoi genitori, Michele Covino e Maria Assunta Magno, lo fecero battezzare con il nome di Pietro il 4 gennaio 1919 nella chiesa madre del paese dal canonico don Domencio Palladino. Un mese dopo Assunta portò quel bambino al convento dei Cappuccini per farlo benedire da Padre Pio, che da quattro mesi portava impresse le stimmate nelle mani, nei piedi e nel costato. Il Frate tracciò un segno di croce sul capo del neonato e disse alla donna: «Auguri… auguri… auguri!». «Perché tanti auguri?», chiese Assunta. «Questo bambino sarà sacerdote», rispose Padre Pio. Pietro, ignaro della profezia fatta dal Cappuccino di Pietrelcina a sua madre, dall’età di sei o sette anni cominciò a frequentare il convento e a servire la Messa di Padre Pio. Nacque così la sua vocazione. Il 17 settembre 1935, nel convento di Morcone, Pietro indossò l’abito cappuccino e cambiò il suo nome in fra’ Paolo da San Giovanni Rotondo. Dopo gli studi teologici, compiuti nel convento di Campobasso, il 21 marzo 1942, fra’ Paolo fu ordinato sacerdote nella chiesa del Sacro Cuore del capoluogo molisano da mons. Secondo Bologna, vescovo della città, che morirà l’anno seguente, sotto le macerie dei bombardamenti americani, dopo essersi offerto vittima per la sua diocesi. Solo dopo la Messa di ordinazione mamma Assunta confidò al figlio: «Ora posso morire contenta, perché si sono avverate le parole di Padre Pio». E gli raccontò della profezia fatta dal cappuccino stigmatizzato 24 anni prima. Divenuto sacerdote, padre Paolo svolse il suo ministero in vari conventi. Nel giugno del 1968, venne destinato a San Giovanni Rotondo come sacrista. Spesso serviva la Messa a Padre Pio. E servì anche l’ultima, la mattina del 22 settembre 1968, quando l’anziano Cappuccino di Pietrelcina stava per svenire a causa di un collasso e fu sorretto proprio da padre Paolo e, soprattutto, dalle più possenti braccia di padre Giuseppe Pio da Brooklyn. Nella notte padre Paolo fu svegliato verso le due dalla voce concitata di padre Pellegrino Funicelli, che prestava assistenza notturna a Padre Pio. Corse nella cella del Cappuccino stigmatizzato e si rese conto che stava molto male. Si recò con sollecitudine in sacrestia per prendere l’olio degli infermi. Al ritorno chiese al superiore del Convento, padre Carmelo Di Donato, il permesso di amministrare l’ultimo sacramento e di impartire l’assoluzione sub conditione al moribondo. Poco dopo, Padre Pio, ripetendo i nomi di Gesù e di Maria, chinò la testa e spirò. Padre Paolo, essendo stato testimone privilegiato della vita di Padre Pio, aveva scelto di non tenere per sé quanto aveva potuto vedere e ascoltare e, a tal fine, aveva raccolto i suoi ricordi e quelli delle persone a lui vicine in un libro, intitolato “Ricordi e testimonianze”, pubblicato dalle Edizioni Padre Pio da Pietrelcina. La salma di padre Paolo è stata composta nella chiesetta antica di Santa Maria delle Grazie per ricevere l’omaggio dei fedeli. I funerali si celebrano questa mattina, nel santuario di Santa Maria delle Grazie, saranno presieduti da fr. Francesco Daniele Colacelli, ministro provinciale dei Frati Minori Cappuccini della Provincia religiosa di Sant’Angelo e Padre Pio e saranno trasmessi in diretta da Padre Pio Tv. (R.P.)

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    Vaticano: nella parrocchia di Sant'Anna un presepe ispirato all'Anno della Fede

    ◊   Un presepe che fa varcare la porta della fede, richiamando alla lettera enciclica di Benedetto XVI Porta fidei e all’Anno della Fede appena iniziato. E’ il suggestivo allestimento della parrocchia del Papa, la parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, dove il parroco, padre Bruno Silvestrini, ha voluto dar vita ad una scenografia che richiama all’incarnazione di Dio nel mondo che poi conduce l’uomo alla porta della fede, la porta d’uscita da dove l’uomo giunge nel mondo per essere testimone di fede. Il presepe sarà inaugurato la notte del 24 dicembre, alle 23.30 e il 26 dicembre sarà benedetto dal cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato della Città del Vaticano, che presiederà la Messa delle ore 18. “Come i pastori andarono a vedere Gesù appena nato e tornarono ad annunciare nella loro vita ciò che avevano visto – spiega padre Silvestrini – così anche noi che osserviamo il presepe dobbiamo rendere la nostra testimonianza al mondo”. L’idea di un presepe che mette in primo piano la grotta di Betlemme, dove Dio si manifesta ai semplici e ai piccoli, nasce per rendere protagonista l’uomo di oggi, con le sue insoddisfazioni, le speranze deluse, la continua precarietà di cui soffre. Ne è stato sviluppato un lavoro minuzioso, realizzato da un artigiano marchigiano, Mariano Piampiani, che ha evidenziato la nascita di Cristo a partire dal desiderio di chi attende Qualcuno e va alla ricerca del senso della vita. Nel presepe della parrocchia di Sant’Anna un suggestivo gioco di riflessi lascia intravedere in trasparenza un angelo che annuncia ai pastori la buona notizia, poi gente semplice attorno al Figlio dell’uomo che giace in una mangiatoia, Lui Pane di vita, che viene al mondo a Betlemme, “la casa del pane”. Tema sviluppato da una donna che reca una cesta con del pane quotidiano, non il solo di cui l’uomo può vivere. La novità del presepe sta nella porta che si apre dietro la sacra rappresentazione, è la porta della Fede, che reca anche il simbolo dell’Anno della Fede, a voler significare che dalla grotta si esce per tornare nella propria quotidianità, avendo accolto il messaggio degli angeli. “Chi accoglie l’annuncio degli angeli adora il Signore – chiarisce padre Silvestrini – esce per la porta con il grande dono della fede ed entra nel mondo con il cuore rinnovato”. Tra le singolarità del presepe della parrocchia di Sant’Anna, dove si alterna il giorno e la notte nel paesaggio delle costruzioni tipiche della Galilea, la neve, che soffice e leggera giunge dal cielo e incanta. (T.C.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 353

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.