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Sommario del 13/12/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai nuovi ambasciatori: dare ai giovani non solo istruzione ma anche un'anima
  • Il Papa su Twitter. De Bortoli: gesto coraggioso che dà senso ai social network
  • Mons. Raspanti: con Twitter il Papa sta in ogni piazza del mondo
  • Il Presepe in Piazza San Pietro ambientato fra i Sassi di Matera
  • Il cardinale Ouellet: rinnovare lo slancio missionario nel continente americano
  • Uganda. Il card. Filoni invita i laici di Gulu alla santità e alla riconciliazione
  • Cina. Mons. Savio Hon: l'Associazione dei Vescovi Cinesi non ha potere di revocare una nomina episcopale
  • Il cardinale Sandri in Iraq: sabato la consacrazione della Cattedrale siro-cattolica di Baghdad
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Bce: dal 2014 controllerà istituti di credito europei. Sbloccati aiuti alla Grecia
  • Rasmussen: regime siriano al collasso. Georgieva: aumenta l'impegno umanitario dell'Ue
  • Italia ancora contaminata dall'amianto. Parte una campagna di Anmil
  • Apre al Gemelli di Roma il primo Centro nazionale per bambini con deficit visivo
  • Fondazione Missio: presentato il "Vademecum della Missione"
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Siria: 150 mila fedeli sotto tiro nei villaggi della "Valle dei cristiani"
  • Siria. Il vescovo maronita di Latakia: “Cristiani nel mirino di islamisti radicali e di banditi”
  • Siria: Msf chiede di evacuare feriti e malati da Deir Azzour
  • Mons. You Heung-sik: il missile di Pyongyang pagato dai nordcoreani che muoiono di fame
  • Uruguay: alla Camera passa la legge sui matrimoni gay
  • Filippine. Il card. Tagle: il valore della vita umana vincerà sul controllo delle nascite
  • Sacramenti e testimonianza: i vescovi dell’Asia per la nuova evangelizzazione
  • Usa. I vescovi: sul matrimonio “non possiamo rimanere in silenzio”
  • Africa orientale: vescovi di 45 Paesi chiedono di delimitare le frontiere contro nuove violenze
  • Cuba: a 50 giorni dal passaggio dell’uragano, ancora migliaia di persone senza casa né servizi
  • Polonia: critiche dei vescovi alla Convenzione per la lotta contro la violenza sulle donne
  • Madagascar: le ostetriche tradizionali aiutano a salvare le partorienti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai nuovi ambasciatori: dare ai giovani non solo istruzione ma anche un'anima

    ◊   Oggi più che mai, i giovani hanno diritto a essere educati al senso della responsabilità e dell’impegno, e i governi devono offrire loro libertà di istruzione e un buon esempio di rettitudine. È l’auspicio di fondo che ha attraversato il discorso rivolto questa mattina da Benedetto XVI ai nuovi ambasciatori presso la Santa Sede di Guinea, Niger, Zambia, Thailandia, Sri Lanka e dello Stato insulare di Saint Vincent e Granadine, situato nelle Antille, ricevuti per la presentazione delle Lettere credenziali. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Le droit à une éducation aux justes valeurs…
    Il diritto a una educazione ai giusti valori non dovrebbe mai essere dimenticato o negato. E il diritto a educare a questi valori non deve giammai essere interrotto o indebolito da qualsiasi interesse politico nazionale o sovranazionale”.

    Questa affermazione netta di Benedetto XVI arriva dopo una disamina priva di illusioni sullo stato delle generazioni più giovani in rapporto ai loro obiettivi di vita. Il quadro delineato all’inizio del suo discorso ai diplomatici è fosco. Famiglia e scuola – nota – non sembrano essere più un “terreno fertile primario e naturale” dal quale i giovani possono trarre la linfa vitale per la loro esistenza. Anche l’Università, osserva, non solo vede l’autorità dei docenti “messa in discussione” – talvolta, dice, anche per loro “carenze antropologiche” – ma sembra essere diventata incapace “di creare progetti in grado di una teleologia trascendente in grado di sedurre i giovani nella loro interiorità”. Il risultato sono così le scorciatoie: i giovani, certamente “preoccupati per il loro futuro”, sono “tentati – afferma il Pontefice – dal facile successo col minimo sforzo”, a volte con un utilizzo improprio “delle possibilità offerte dalla tecnologia moderna”, allo scopo di raggiungere “in breve tempo uno status sociale e professionale significativo, ignorando le formazione, le competenze e l'esperienza”. Ed è qui, asserisce Benedetto XVI, che bisogna intervenire:

    “Avec l’éducation à la rectitude…
    Con l'educazione alla rettitudine di cuore e di pensiero, i giovani hanno bisogno oggi più che mai di essere educati al senso dell’impegno e della perseveranza nelle difficoltà. Essi devono sapere che qualsiasi atto che riguarda la persona umana deve essere responsabile e coerente con il suo desiderio di infinito, e che questo atto accompagna la sua crescita alla formazione di una umanità sempre più fraterna e libera da tentazioni individualistiche e materialistiche”.

    Ma ai giovani servono esempi, che spesso latitano dal versante degli adulti. Così il Papa dirige lo sguardo a chi esercita a vario titolo delle responsabilità, a partire dai capi di Stato e di governo. A un livello più alto, esorta, non si lasci, a certe scelte politiche o economiche, la possibilità di “erodere” gli antichi patrimoni antropologici e spirituali propri delle nazioni di provenienza dei neo ambasciatori; patrimoni evolutisi nei secoli “sulle basi del rispetto” della persona umana nella sua essenza. Poi, a un livello più concreto, Benedetto XVI rilancia:

    “J’invite donc vos gouvernements…
    Esorto i governi a contribuire con coraggio al progresso della nostra umanità, favorendo l'educazione delle nuove generazioni grazie alla promozione di una solida antropologia, base indispensabile per qualsiasi educazione autentica, e conforme al patrimonio naturale comune (...) E ai governanti chiedo nuovamente di avere il coraggio di lavorare sul consolidamento dell’autorità morale – intesa come invito a una vita coerente – necessaria per una vera e sana educazione delle giovani generazioni”.

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    Il Papa su Twitter. De Bortoli: gesto coraggioso che dà senso ai social network

    ◊   A meno di 24 ore dal primo tweet di Benedetto XVI, il suo account, in otto lingue, @Pontifex ha raggiunto 1 milione e 700 mila follower. Fede e gioia hanno contraddistinto i primi tweet del Papa. Un evento planetario che ha suscitato interesse, attenzione anche semplice curiosità ma che non ha lasciato nessuno indifferente. Sull’importanza di questa iniziativa del Papa, da molti giudicata di portata storica, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore del “Corriere della Sera”, Ferruccio De Bortoli:

    R. – Io direi che è un grandissimo gesto di coraggio, perché quella dei social network e di Twitter, in particolare, è una terra incognita. E’ come se ad un certo punto, infatti, il Pontefice si mischiasse alla gente comune, con il rischio ovviamente di avere oltre a una grande attenzione e una grande dimostrazione di affetto anche qualche pericolo connesso. Abbiamo visto che la reazione è stata straordinaria, come se fosse attesa. La considerazione che faccio è che i social network sono straordinari, ma qualche volta possono anche trasformarsi in piazze confuse, disordinate, nelle quali non si capisce il senso. Una presenza come quella del Santo Padre, che mette se stesso persino in gioco, trovo che sia un fatto straordinario e credo che dia senso anche a questo grandissimo flusso di informazioni, di umori, di battute, di cose che a volte ci sembrano prive di senso, che fanno parte della confusione espressiva di questa modernità liquida. Ebbene questo gesto, al di là del fatto che possa essere definito storico, è un gesto soprattutto di coraggio: è la Parola che entra in un circuito comunicativo, nel quale non poteva non esserci.

    D. – Sicuramente anche questa presenza del Papa su Twitter sottolinea la centralità dei social network, che ormai sembrano una realtà imprescindibile per chi voglia comunicare…

    R. – Sono una realtà straordinaria, perché ci avvicinano tutti e nello stesso tempo ci allontanano. Uno dei fenomeni che ho notato, infatti, nella diffusione dei social network è che abbiamo tutti la sensazione di essere interconnessi con il mondo, quindi di essere vicini al nostro prossimo, ma spesse volte abbiamo un senso di inutilità che si accompagna ad una sensazione di solitudine. Per questo è importante quello che è accaduto ieri e quello che accadrà tutti i giorni, perché immagino che sarà un lavoro costante... Si tratterà di trovare una modalità espressiva, che renda in qualche modo il senso di un’appartenenza al social network. Questo senso qualche volta sfugge. Abbiamo l’impressione a volte di riempire di parole inutili e vuote un grandissimo fiume che scorre davanti ai nostri occhi, ma non deposita assolutamente nulla. Ecco, dopo quello che è accaduto ieri, è diverso.

    D. – Allargando un po’ l’orizzonte, questo successo su Twitter come anche del libro del Papa, da settimane il più venduto in Italia - anche come e-book – dimostra secondo lei che c’è anche una ricerca di fede, in un tempo che sembra voler emarginare Dio? In fondo, anche chi usa Twitter per offendere il Papa, dimostra paradossalmente che ha interesse o comunque dà peso alla presenza e alle parole del Papa…

    R. – Sì, anche chi fa delle battute, chi offende, comunque partecipa, fa parte della scena. E’ come se in qualche modo gli fosse riservato un angolo in una narrazione evangelica, che continua da tanti secoli. Quindi, tutto sommato, anche questo fa parte dell’apostolato e fa parte anche della missione della Chiesa.

    D. – Lei ha un suo account su Twitter, anche molto seguito, che sensazione le fa anche personalmente poter avere il Papa su questo social network?

    R. – Innanzitutto, dà emozione il fatto che ci siano tutti, che non manchi nessuno! Io credo che il Papa abbia fatto un grandissimo gesto per avvicinarsi alla modernità e trovo che questo sia rivoluzionario.

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    Mons. Raspanti: con Twitter il Papa sta in ogni piazza del mondo

    ◊   Tutti i fedeli, non solo il Papa, sono chiamati all’evangelizzazione del “continente digitale”. Il giorno dopo i primi tweet di Benedetto XVI, Emanuela Campanile ha chiesto a mons. Antonio Raspanti, vescovo di Acireale, presente su Twitter, un commento sull’iniziativa del Papa:

    R. – Ci portiamo, da alcuni decenni, una sorta di cappa addosso come se la Chiesa, siccome andrebbe lenta, siccome nelle decisioni non è così istintiva, allora è come se andasse sempre a “rimorchio” delle innovazioni, quando invece i Pontefici, tutti i Pontefici, spesso nel momento in cui, si sono scoperte la bontà di molte innovazioni, dalla tecnologia umana, la Santa Sede, i Pontefici in prima persona, mai si sono tirati indietro, anzi sono stati sempre pronti all’appello perché è il bene dell’uomo, è la bellezza del Creato, cui la Santa Chiesa guarda.

    D. – Social network come Twitter o Facebook sono quelli che vengono definiti “luoghi di senso”. Possiamo definirli “varchi” anche per il messaggio cristiano?

    R. – Certo, è da alcuni decenni che parecchi documenti della Santa Sede, oltre che della Conferenza episcopale italiana e delle varie conferenze episcopali del mondo, hanno insistito nel guardare a questi mass-media e in modo particolare ai social network come ambienti, non come semplici mezzi attraverso cui passa un messaggio precostituito. Questo significa che il senso si costituisce nell’ambiente stesso, nel mezzo stesso che lo veicola, e quindi che non si limita ad essere soltanto uno strumento ma è un luogo all’interno del quale colui che lo usa, gli interlocutori - perché tu non lo usi mai da solo, tu lo costruisci insieme ad altri, la comunicazione, il messaggio lo fai insieme ad altri, non lo fai da solo - non sono in senso unico. In questo c’è la possibilità di un varco.

    D. – Però si è anche aperti così, si offre un po’ il fianco alle critiche…

    R. – Io colgo in questo l’ulteriore passo avanti compiuto ieri dal Santo Padre. Il social network è una piazza dove, tutto sommato, tu parli ma su quello che tu dici ti presti immediatamente a che l’altro ti parli addosso, ti dica, ti giudichi. Questa è la grande novità di un social network. Ieri, ripensando all’evento che stava per accadere, pensavo che da epoche in cui il Papa era veramente difficilmente raggiungibile - perché faceva parte della cultura di un’epoca e nessuno si meravigliava -, si è passati a un Papa che va in televisione, che parla alla radio, e oggi a un Papa che sta nella piazza. Al di là di piazza San Pietro, stare in un social network del mondo significa stare in qualunque piazza, lasciandosi anche gridare addosso critiche, oltre che ovviamente approvazioni e scambi. Direi che è una prova strepitosa.

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    Il Presepe in Piazza San Pietro ambientato fra i Sassi di Matera

    ◊   Quest’anno arriva dalla Basilicata il Presepe di Piazza San Pietro, ambientato nel paesaggio dei Sassi di Matera. A presentare stamani questa scena della Natività, in Sala Stampa vaticana, sono stati, con mons. Giuseppe Sciacca, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, e Vito de Filippo, presidente della Regione Basilicata. A realizzare l’opera, il maestro Francesco Artese. Il servizio di Debora Donnini:

    Una rivisitazione in chiave artistica del suggestivo paesaggio dei Sassi di Matera - realizzato con malta cementizia a effetto tufo - e della cultura lucana rappresentata dall’architettura del luogo e dagli abiti dei contadini del tempo indossati dalle oltre 100 statuine di terracotta, alte fra i 28 e i 22 cm. Questo è il Presepe che quest’anno sorge al centro di Piazza San Pietro, allestito per circa 150 metri quadri, sollevato da terra di 90 cm e alto fra i 6 e gli 8 metri. Una tradizione, quella di rappresentare la Natività, iniziata nel 1223 da San Francesco e che nel corso dei secoli ha affascinato i più grandi artisti: da Giotto a Velasquez e Caravaggio. Unico e insieme plurale, il Presepe: poiché tutte le creature – uomini e animali – vi sono rappresentate in un clima di fraternità. Così, in sintesi, il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci spiega il grande fascino del Presepe, soffermandosi sull’ambientazione fra i Sassi di Matera di quello creato dal maestro Artese e donato dalla Basilicata al Papa:

    “La città delle grotte, i famosi Sassi di Matera: un’organizzazione mirabile, una sapientissima strutturazione di strade, di percorsi, di linee d’acqua. E’ una città piena di cappelle, di chiese, di fontane, di spazi per il mercato, di stalle, di luoghi percorsi dalle greggi che vanno al pascolo. Tutto questo ha fatto il maestro Artese nel suo presepio. Ha riprodotto molto bene, in polistirolo dipinto, monumenti che chi conosce Matera, come io la conosco, ritrova: per esempio, i pezzi della chiesa di San Nicola dei Greci, del campanile di Barisano, sono stati montati da lui in questo straordinario collage di luoghi, di emozioni, di persone, di animali, che si trovano nel cuore della Piazza, che rappresenta la gloria barocca di Roma”.

    Il Presepe è un’icona del mistero dell’Incarnazione, afferma mons. Giuseppe Sciacca, segretario generale del Governatorato. Celebrare il Natale – spiega – non significa fare una fredda commemorazione accademica, come si può fare per personaggio del passato, ma fare memoria sacramentale, “riattualizzante” dell’evento salvifico della nascita di Gesù a Betlemme. Un evento per noi decisivo:

    “Dio, in Gesù che nasce a Betlemme, non ha esitato a piantare la tenda della sua vera umanità in mezzo a noi, nella nostra storia, nella nostra quotidianità, nella nostra ferialità, condividendo il nostro destino e conferendo appunto al nostro destino un senso, sottraendolo in tal modo al caos e al nulla”.

    Forte, dunque, la presenza della Basilicata in questo Presepe. Il costo complessivo sostenuto per realizzarlo e per il trasporto, ricorda il presidente della regione Vito De Filippo, è stato di circa 90 mila euro, quasi completamente offerto da imprese private che vogliono valorizzare la zona. Per l’allestimento, invece, il Governatorato ha sostenuto un costo di circa 21.800 euro, risparmiando, dunque, rispetto al passato, circa 180 mila euro. Ma qual è l’intento della realizzazione di questo Presepe offerto dalla Basilicata? Sentiamo lo stesso De Filippo:

    “Offrire al Santo Padre, in una delle piazze più belle del mondo, l’immagine di una comunità sobria e umile, che si sintonizza proprio in una fase, in un tempo difficile per la storia del mondo, e anche per la storia del nostro Paese, per molti territori del nostro Paese, sicuramente per i più deboli, ma anche per le istituzioni. Quindi, stare in questa piazza con questo significato rappresenta molto per noi ed è anche un incoraggiamento e un possibile rilancio di speranza e di fede, che sono alla base anche delle iniziative laiche, civili ed istituzionali”.

    Nel Presepe, realizzato dal maestro Artese, vi saranno come da tradizione il bue e l’asino. Nel libro di Benedetto XVI “L’Infanzia di Gesù”, si ricorda che nel Vangelo non si parla di animali ma anche che vi è un legame fra Antico e Nuovo Testamento e che, dunque, la meditazione guidata dalla fede rimanda ad Isaia. “Il bue – scrive il Profeta – conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende”. Con la mangiatoia compaiono quindi i due animali “come rappresentazione dell’umanità” di per sé – sottolinea nel testo il Papa – priva di comprensione, ma che davanti alla comparsa di Dio arriva alla conoscenza. L’iconografia cristiana ha dunque colto ben presto questo motivo e “nessuna raffigurazione del presepe – conclude Benedetto XVI – rinuncerà al bue e all’asino”.

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    Il cardinale Ouellet: rinnovare lo slancio missionario nel continente americano

    ◊   “Siamo venuti a ravvivare il dono della fede che abbiamo ricevuto 500 anni, fa il patrimonio più prezioso che unisce il Sud al Nord dell’America. Ora possiamo dirci pronti a diffondere il messaggio del Vangelo con ardore nuovo, modi e linguaggi rinnovati”: è quanto ha affermato ieri sera il cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America latina, nella Chiesa romana di Santa Maria in Traspontina, in occasione Messa di chiusura del Congresso internazionale “ Ecclesia in America” apertosi in Vaticano il 9 dicembre scorso alla presenza di delegati da tutto il continente. Il porporato ha auspicato che tutti i battezzati d’America proclamino la loro fede nel rispetto della libertà altrui ma coscienti di doverla passare alle nuove generazioni dell’era digitale. Nelle sue parole anche il ricordo delle due indigene d’America canonizzate, l’ultima, nell’ottobre scorso, a cui il cardinale Ouellet ha affidato l’unità del continente americano e la diffusione della fede cattolica nel mondo, auspicando il fiorire di nuovi santi. Quindi la lode della Vergine di Guadalupe, nel giorno della sua festa, patrona delle Americhe, invocata ieri anche dal Papa all’udienza generale. Olivier Tosseri ha chiesto al cardinale Marc Ouellet di fare un bilancio del Congresso:

    R. – Ce fut un Congrès très riche…
    E’ stato un Congresso molto ricco, molto ricco nella metodologia e anche nella qualità della comunione che si è creata tra i partecipanti che provenivano da tutta l’America. Inoltre, c’è stato come un risveglio in relazione all’unità che ci è stata donata attraverso il Battesimo. Quindi, con questa responsabilità di testimoniare il nostro Battesimo, abbiamo anche la responsabilità missionaria, cioè di curare la comunione della Chiesa che è fondata sul Battesimo e poi anche di portarla agli altri. E’ per questo che, verso la fine, il Congresso ha avuto uno slancio missionario: l’obiettivo principale era quello di risvegliare la comunione ma allo stesso tempo di fare di noi, nello spirito dell’assemblea di Apareçida, discepoli missionari.

    D. – Quali sono gli ostacoli alla comunione della Chiesa nel continente americano? Forse la secolarizzazione che avanza, i modi diversi di vivere la fede nel continente?

    R. – Certainment que la sécularization…
    Certo, la secolarizzazione è una sfida enorme, ma anche la diseguaglianza e le leggi ingiuste, per esempio in relazione all’immigrazione: ne abbiamo parlato molto. La fede, infatti, è ricevuta e mantenuta in America anche grazie all’arrivo dei latinos che pure hanno bisogno di attenzione pastorale. Noi ci siamo soffermati su queste sfide che sono numerose, perché l’attenzione era incentrata sulla presa di coscienza che la nostra forza è nella fede e dunque in Cristo, ed è a partire da Lui che possiamo trovare la grazia, il coraggio e anche mezzi per impegnarci nella trasformazione della società.

    D. – Secondo lei, l’immigrazione è una possibilità per il continente e per questo slancio missionario di cui parlava?

    R. – C’est à la fois un défi et une chance…
    E’ una sfida e una possibilità insieme. Se penso all’America del Nord è certamente una possibilità, perché la secolarizzazione è più avanzata e l’arrivo dei latinos ci riporta alle nostre radici cristiane. E’ una grande sfida perché la capacità di assorbimento di una società ha limiti ben precisi, e quindi è soprattutto lì che la Chiesa deve impegnarsi di più per creare comunità di accoglienza e permettere a queste popolazioni di integrarsi socialmente, di trovare lavoro, di riunire le famiglie e conservare il loro patrimonio religioso e culturale.

    D. – E per quanto riguarda il dialogo tra le diverse Chiese e le diverse confessioni che ci sono nel continente americano?

    R. – Là-dessus nous nous sommes arretés…
    Lì ci siamo soffermati senza attardarci molto, pur mettendo l’accento sul Battesimo: noi siamo un continente di battezzati e questo riguarda tutte le diverse comunità cristiane. C’era, in sottofondo, una sorta di pensiero ecumenico: c’è, da parte della Chiesa cattolica, una grande apertura nei riguardi di tutti coloro che sono stati battezzati e che nel profondo aspirano, a volte senza saperlo, all’incontro con la Madre di Dio, che è il cuore della Chiesa, e con l’Eucaristia, che è il dono per eccellenza del Risorto. Credo che l’ecumenismo rimanga una grande sfida per questa testimonianza di unità che potrà rendere il continente più credibile agli occhi del resto del mondo.

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    Uganda. Il card. Filoni invita i laici di Gulu alla santità e alla riconciliazione

    ◊   “Non posso fare a meno di esprimere a voi, cari fratelli e sorelle, tutto il mio apprezzamento per il servizio disinteressato che rendete così bene a Cristo e alla Chiesa attraverso il vostro insegnamento del catechismo, la vostra apertura caritatevole verso i più bisognosi, la vostra educazione dei giovani, la vostra riconciliazione tra le famiglie o i gruppi divisi, la vostra assistenza agli anziani, il vostro aiuto nelle parrocchie, e il vostro aiuto con le liturgie domenicali; in breve, la vostra dedizione attraverso ogni forma di apostolato e di animazione missionaria. Siate sempre uomini e donne di bontà, di riconciliazione, di santità della vita cristiana, e di pace”. Questa l’esortazione che il Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, il card. Fernando Filoni, ha rivolto questa mattina ai fedeli laici della prefettura ecclesiastica di Gulu, in Uganda, durante la celebrazione eucaristica che ha presieduto nella cattedrale della diocesi di Arua per il centenario dell’evangelizzazione. Alla festa giubilare di Arua - riporta l'agenzia Fides - si sono infatti unite le altre circoscrizioni che compongono la provincia ecclesiastica di Gulu, che hanno da poco commemorato anch’esse la ricorrenza: l’arcidiocesi di Gulu (2011) e le diocesi di Lira (2011) e Nebbi (2010). Salutando i vescovi e i sacerdoti presenti, il cardinale ha ringraziato dell’invito a partecipare “a questo Centenario dell’evangelizzazione di questa terra benedetta, dove santi missionari, religiosi e religiose, hanno letteralmente speso la loro vita per far nascere questa Chiesa ad Arua. Non possiamo permettere che questo Centenario speciale passi senza fermarci a riflettere, a pregare e a ringraziare Dio, con un senso di gratitudine per tutti coloro che hanno portato il Vangelo in questo luogo. Noi siamo gli eredi di quella grande opera di evangelizzazione che ora è nelle nostre mani. Noi, che amiamo il Battesimo che abbiamo ricevuto, abbiamo il sacro dovere di continuare il loro lavoro, ciascuno secondo la chiamata e la grazia affidataci da Dio, come vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici”. Nella sua omelia il card. Filoni si è soffermato in particolare a riflettere sul tempo liturgico dell’Avvento: “All'inizio di ogni nuovo ciclo annuale, la sacra liturgia invita la Chiesa a rinnovare il suo annuncio divino a tutti i popoli, e lo riassume in due parole: ‘Dio viene’… Non è al passato (Dio è venuto), né al tempo futuro (Dio verrà). Piuttosto è al tempo presente: ‘Dio viene’, questo implica un presente continuo, cioè, un atto sempre continuo: è successo, sta succedendo ora, e accadrà anche in futuro. In tutti questi momenti ‘Dio viene’. Proclamare semplicemente queste due parole equivale ad annunciare Dio stesso, che è essenzialmente il ‘Dio-che-viene’. Il tempo di Avvento - ha detto il card. Filoni - invita tutti i credenti a diventare più consapevoli di questa verità e ad agire di conseguenza”. (R.P.)

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    Cina. Mons. Savio Hon: l'Associazione dei Vescovi Cinesi non ha potere di revocare una nomina episcopale

    ◊   In merito alla decisione, presa dalla cosiddetta Conferenza dei Vescovi Cattolici di Cina e dall’Associazione Cattolica Patriottica Cinese, di ritirare l’«approvazione» a mons. Taddeo Ma Daqin, il Segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, mons. Savio Hon Tai-Fai, attraverso l'agenzia Fides ha dato la sua risposta espressa in quattro punti: 1) Nella Chiesa cattolica, le Conferenze Episcopali non hanno la potestà di nominare o approvare un vescovo, di revocarne il mandato o di imporre sanzioni contro di lui. Tanto meno lo può fare la cosiddetta Conferenza dei Vescovi Cattolici di Cina, la quale non è stata riconosciuta dalla Santa Sede. Pertanto, mons. Ma Daqin rimane nel suo ufficio di vescovo ausiliare di Shanghai. Il provvedimento in parola, sotto il profilo ecclesiale, è quindi privo di qualsiasi valore giuridico; inoltre crea inutilmente una divisione nel Paese. 2) Il presule si è comportato con lodevole fedeltà alla Chiesa e ha professato sincero amore per la sua Patria. Il cardinale Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha già espresso sostegno a mons. Ma nel suo recente intervento, apparso nel N. 167 della rivista Tripod di Hong Kong. 3) Numerosi fedeli cattolici da tutto il mondo si sono rivolti a questo Dicastero per manifestare il proprio rammarico per il sopruso, commesso dalla cosiddetta Conferenza Episcopale dei Vescovi Cattolici di Cina e dall’Associazione Patriottica. Tale sopruso è tanto più doloroso, perché attenta alla comunione e alla disciplina della Chiesa cattolica proprio nell’Anno della Fede. 4) I cattolici sono invitati ad unirsi alle iniziative ecclesiali di preghiera, promosse in varie diocesi, per manifestare partecipazione alle vicende di mons. Ma e di quanti in Cina vivono in situazioni simili. A tal fine mons. Savio Hon chiede di includere un’intenzione di preghiera nella celebrazione eucaristica. (R.P.)

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    Il cardinale Sandri in Iraq: sabato la consacrazione della Cattedrale siro-cattolica di Baghdad

    ◊   Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, ha iniziato questa mattina a Baghdad un viaggio di 5 giorni in Iraq. Momento centrale della visita è la consacrazione, sabato 15 dicembre, della restaurata Cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, teatro il 31 ottobre 2010 di una strage compiuta da un commando di al Qaeda in cui morirono circa 50 fedeli e due sacerdoti. Il porporato porterà il saluto e la vicinanza del Papa alle comunità cristiane irachene, particolarmente colpite dalle violenze che imperversano ormai da anni nel Paese. Domani il cardinale assisterà al Concerto di Natale organizzato per l’Anno della fede nella Cattedrale armena di Baghdad. Domenica 16 dicembre incontrerà a Kirkuk la comunità caldea. Ultima tappa del porporato sarà la Messa celebrata in rito latino nel Seminario di Erbil.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   I giovani hanno bisogno di verità: Benedetto XVI durante la presentazione delle lettere credenziali di sei nuovi ambasciatori presso la Santa Sede.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, l’accordo sulla vigilanza bancaria.

    Un anno da volare: Giuseppina e Chiara Di Mizio su bilanci e programmi per l’Agenzia Spaziale Italiana, con un’intervista al presidente Enrico Saggese.

    Vette sfuggite in cerca del consenso: Sandro Barbagallo su una mostra, al Vittoriano, per il centenario della nascita di Renato Guttuso.

    Con gli occhi negli occhi dell’altro: uno stralcio dell’introduzione del cardinale Fiorenzo Angelini al sedicesimo volume “Il volto dei volti, Cristo”.

    Uno hobbit ancora troppo piccolo: Gaetano Vallini recensisce il primo film - sotto tono - della nuova trilogia di Peter Jackson.

    Non importa chi dei due ha guidato l’altro verso Gesù: nell’informazione religiosa, il patriarca ecumenico Bartolomeo alla delegazione della Santa Sede per la Festa del Trono.

    Per una fede rinnovata e rivitalizzata: nell’informazione vaticana, la conclusione del cardinale Ouellet del congresso su “Ecclesia in America”.

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    Oggi in Primo Piano



    Bce: dal 2014 controllerà istituti di credito europei. Sbloccati aiuti alla Grecia

    ◊   Dopo quasi 17 ore di lavori, i ministri delle finanze della Ue, riuniti a Bruxelles, hanno dato il via libera alla prima fase dell'unione bancaria, ovvero la supervisione unica della Banca centrale europea (Bce). Tutto partirà da primo marzo 2014. Intanto, oggi l'Eurogruppo ha approvato il rilascio della tranche da 49,1 miliardi di euro di aiuti alla Grecia. I fondi saranno erogati da qui a fine marzo. Lo ha confermato il presidente, Jean-Claude Juncker. Il commissario Ue, Olli Rehn, da parte sua, ha ribadito che l’intesa raggiunta oggi ''segna la conclusione di molti mesi d'incertezza per la Grecia'' e ''apre la strada al ritorno della fiducia''. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

    “Un accordo storico!” è stato il tweet dell'eurocommissario Michel Barnier, dopo quasi 17 ore di negoziati a Bruxelles. La Banca Centrale Europea, dal primo marzo 2014, avrà il potere di monitorare tutti gli istituti di credito della zona euro - e dei Paesi fuori dalla moneta unica che aderiranno all'unione - con asset per almeno 30 miliardi di euro o che rappresentano il 20% del pil del Paese. Rimangono fuori dall’accordo, che mira a ''restaurare la fiducia nel sistema e interrompere il circolo vizioso tra banche e crisi dei debiti'', Gran Bretagna, Svezia e Repubblica Ceca. La vigilanza è di fatto il primo passo verso l'unione bancaria vera e propria. Per ora, saranno più di cento gli istituti che finiranno sotto la supervisione di Francoforte. Creato anche un organo di mediazione composto da ogni autorità nazionale, quindi in caso di conflitti la decisione ultima sarà degli Stati aderenti. La maratona negoziale, di fatto, apre la strada alla ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del fondo salva-Stati Esm, passo necessario per non far pesare sui debiti pubblici le operazioni di sostegno agli istituti in difficoltà. L'accordo sarà oggi stesso, per la firma, sul tavolo dei capi di Stato e di governo, sarà poi il Parlamento europeo a dare l’ultimo placet.

    Sulla supervisione unica della Bce, abbiamo intervistato Carlo Secchi, docente di politica economica europea alla Bocconi di Milano:

    R. – Il tema è centrale per il buon funzionamento del mercato finanziario europeo e della politica monetaria comune della zona euro. Chiaramente, ha trovato molte resistenze, soprattutto rispetto all’idea iniziale, che era quella di una supervisione bancaria, affidata alla Bce, per tutte le banche, comprese quelle di medie e piccole dimensioni e comprese le banche regionali della Germania. Quindi, non c’è da stupirsi che il compromesso sia stato raggiunto con fatica. L’importante però è che ci sia stato un risultato. Sarebbe stato meglio avere un risultato pieno, ma bisogna soprattutto ritenerlo una prima importante tappa.

    D. – Nonostante, dunque, il compromesso e le difficoltà, il giudizio è positivo...

    R. – Molto positivo, perché le regole sottostanti alla vigilanza bancaria nell’eurozona, ora affidata alle banche centrali nazionali sono diverse e rischiano di creare problemi, almeno da due punti di vista: diversi criteri nel valutare la solidità delle banche e diversi requisiti da imporre. Quindi, è un passo avanti molto importante, paragonabile a quello dell’unione fiscale o del fiscal compact, sul quale pure si sta progredendo con discussioni e problemi non facili da risolvere.

    D. – In concreto, quanto potrà incidere la Banca centrale europea?

    R. – Prima di tutto, detta regole comuni. Quindi, requisiti patrimoniali, la struttura dei bilanci: le varie voci concorrono a determinare un giudizio positivo o più cauto sulla solidità delle banche stesse e così via. La vigilanza però non si limita a dare giudizi di solidità, ma ha potere ispettivo: ha il potere di dettare regole sulla loro organizzazione, sulle modalità di erogazione del credito, sulle modalità di rapportarsi con la clientela… Quindi, avremo finalmente uniformità di gestione del sistema bancario.

    D. – C’è chi dice che, comunque, andare verso l’unione bancaria comporti una contrazione di libertà per quanto riguarda le politiche nazionali...

    R. – Degli eccessi di libertà goduti dalle banche nazionali, stiamo tuttora pagando le conseguenze. Qui, riduzione di libertà significa regole precise anche dal punto di vista degli impieghi: basti pensare a come sono stati utilizzati senza controllo i titoli "tossici", i derivati e così via. Queste regole servono per evitare guai come quelli che dal 2008 ci stanno affliggendo a livello mondiale e negli ultimi due anni a livello europeo.

    D. – C’è il pericolo che controllando le banche si arrivi poi a controllare le economie di un Paese, quindi la politica di un Paese?

    R. – Il controllo del sistema bancario, cioè la vigilanza prudenziale, non la nazionalizzazione del sistema, serve a garantire efficacia alla politica monetaria, che poi utilizza determinati strumenti che producono i propri effetti sull’economia reale, sul sistema produttivo, su occupazione… E’, quindi, fondamentale che questo sia sottoposto a regole precise e ad un’attività di vigilanza da parte della Banca Centrale.

    D. – Oggi, l’approvazione anche della tranche di aiuti nei confronti della Grecia. Una risposta compatta dell’Europa alla crisi?

    R. – Credo proprio di sì. E’ un segnale importante, pur con la lentezza, le contraddizioni e i tentennamenti che hanno caratterizzato l’intero processo negli ultimi mesi. Però, si va nella direzione giusta, quella che ci può consentire di mettere in sicurezza le situazioni più a rischio e di vedere, finalmente, una via di uscita a questa situazione di crisi. Una via d’uscita che avremmo potuto trovare anche prima – con un po’ più di raziocinio e coerenza – ma, meglio tardi che mai.

    D. – Nei confronti degli aiuti, si è parlato di boccata d’aria. Questa, in realtà, è una speranza concreta per la Grecia…

    R. – Certo perché vuol dire che i progressi compiuti dal Paese ellenico sono stati considerati soddisfacenti, hanno incontrato l’approvazione. Quindi, si mette mano al portafoglio, perché si è convinti che questo possa servire ad andare verso una soluzione definitiva.

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    Rasmussen: regime siriano al collasso. Georgieva: aumenta l'impegno umanitario dell'Ue

    ◊   Nuova escalation di violenza in Siria. Sarebbero 25 le vittime dell’esplosione di un’autobomba non lontano da Damasco; una trentina, invece, i morti negli scontri avvenuti in varie aree del Paese. L’opposizione denuncia l’uso di missili scud da parte dell’esercito siriano, ma Damasco smentisce. Intanto per la prima volta Mosca ha affermato che il governo siriano starebbe perdendo gradualmente il controllo del territorio, non escludendo la vittoria degli insorti. E per il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, il regime di Assad "è prossimo al collasso". Nel frattempo, aumenta l’emergenza umanitaria, per la quale l’Unione Europea ha stanziato nei giorni scorsi altri 30 milioni di Euro, che vanno a sommarsi agli oltre 300 milioni già destinati nei mesi scorsi alla crisi siriana. Ma qual è la situazione attualmente sul campo? Salvatore Sabatino ha intervistato Kristalina Georgieva, commissario Ue per la cooperazione e gli aiuti umanitari, in partenza per i campi profughi in Turchia e Libano:

    R. – The Syrian crisis is profound, because it is affecting a very large number …
    La crisi siriana è profonda, perché sta coinvolgendo un numero molto grande di persone in maniera drammatica e determina anche uno stato di grande ansia nei Paesi limitrofi – Giordania, Libano, Turchia e Iraq – rischiando di destabilizzarli, oltre a creare nuove ondate di sofferenza. Il grande problema che ci troviamo di fronte è che con il passare dei giorni, sempre meno aiuti raggiungono le persone che ne hanno necessità in Siria, perché i combattimenti si intensificano e le condizioni di sicurezza per gli operatori umanitari peggiorano costantemente.

    D. – Lei ha parlato dei Paesi limitrofi che, comunque, subiscono la crisi siriana: parliamo della Turchia, della Giordania, del Libano … Tra questi Paesi, la Turchia ha reagito meglio – forse perché è un Paese più grande. I Paesi che, invece, subiscono le conseguenze maggiori sono il Libano e insieme ad esso la Giordania, che è molto piccolo che fa molta fatica a gestire questa crisi …

    R. – First let me say that the most dramatic problem is still inside Syria. …
    Devo dire prima di tutto che il problema più drammatico però rimane dentro i confini siriani, dove ci sono almeno un milione e 200 mila persone sfollate internamente; quattro o cinque milioni sono, invece, le persone che hanno bisogno di assistenza in quanto vittime dirette della guerra, e attualmente solo una persona su quattro ne riceve. E’ vero, però, che anche i vicini sono seriamente colpiti da questa crisi: abbiamo superato i 500 mila rifugiati e il carico su Giordania e Libano, in particolare, è aumentato in misura tale da mettere in pericolo la capacità di resistenza dei Paesi a questo urto. Ed è a questo punto che la nostra responsabilità deve farci intervenire per aiutare questi Paesi.

    D. – Ultimamente, l’Europa ha stanziato 30 milioni di euro che vanno a sommarsi agli altri circa 300 milioni di euro, già stanziati in precedenza. La comunità internazionale, secondo lei, si sta muovendo nel modo giusto?

    R. – We are increasing funding, keeping in mind the absorptive capacity of …
    Noi stiamo aumentando i finanziamenti, in considerazione della capacità di assorbimento dei nostri partner. Loro, infatti, operano in condizioni molto difficili e noi continueremo ad aumentare la nostra assistenza, anche l’anno prossimo. A tutt’oggi, solo la Commissione Europea ha fornito 126 milioni di euro e non ci fermeremo qui. La mia richiesta è rivolta ad altri donatori, affinché facciano la stessa cosa. Non è sufficiente disporre di denaro: dobbiamo assicurarci anche che questo denaro raggiunga proprio le persone che ne hanno bisogno. Abbiamo una responsabilità nei riguardi dei cittadini europei: dobbiamo infatti garantire che i denari che hanno donato non vadano sprecati. In una crisi complessa come quella siriana, bilanciare gli aiuti alle persone con la certezza che questi aiuti non siano deviati o sprecati, è una responsabilità cui diamo grande peso.

    D. – Barroso, ricevendo il Premio Nobel per la Pace 2012, ha detto: “La Siria è una macchia nella coscienza del mondo”. In molti hanno parlato di una posizione piuttosto debole dell’Europa, di fronte a questa crisi. Lei, che è molto impegnata quotidianamente nella gestione della guerra siriana, non accetta queste critiche. Come si può rispondere a queste critiche?

    R. – We Europeans, we have done 50 per cent of the assistance to the Syrian …
    Noi europei abbiamo fornito il 50 per cento dell’assistenza al popolo siriano, mentre rappresentiamo soltanto il 20 per cento dell’economia mondiale. Quindi, sì, è vero, dobbiamo fare di più per la gente che soffre, ma altrettanto dovrebbero fare altri, soprattutto le economie di mercato emergenti: con un maggiore benessere viene anche una maggiore responsabilità.

    D. – E allora, perché ci sono tutte queste critiche?

    R. – I believe the critics are coming from the perspective of Europe always being …
    Credo che le critiche vengano dalla prospettiva secondo cui l’Europa è sempre in prima linea nel fornire finanziamenti per aiuti umanitari e sviluppo; ma ora che abbiamo le nostre difficoltà economiche, questo fa nascere la preoccupazione che possiamo ridurre il nostro sostegno ai più bisognosi. Inoltre, va ricordato che l’Europa dona generosamente e in maniera molto discreta: le azioni concrete ci sono, ma non vengono comunicate …

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    Italia ancora contaminata dall'amianto. Parte una campagna di Anmil

    ◊   Ogni anno, in Italia, muoiono almeno tremila persone per malattie collegate all’amianto. Per questo, la Fondazione “Sosteniamoli Subito” dell’Anmil ha lanciato una campagna nazionale di sensibilizzazione, orientata soprattutto verso i ragazzi tra i 18 e i 35 anni. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    "Malattie sociali", così potremmo chiamare le patologie legate all’esposizione all’amianto. L’Associazione mutilati e invalidi sul lavoro, l’Anmil, assieme ai sindacati ha lanciato una campagna dal titolo “Asbetus Free”. Corpi che appunto hanno tatuato questo motto per indicare che dall’amianto ci si può e ci deve liberare. Basta pensare che in Italia, nonostante questa sostanza sia stata bandita dal ’92, ci sono ancora 75 mila ettari di terreno contaminati e che nel 2025 ci aspetta il picco delle patologie collegate. Il ministro della Salute, Renato Balduzzi:

    "Disegnare una strategia comune, ambiente-lavoro-salute, sulla questione amianto. Questo piano nazionale amianto, che stiamo confezionando, credo possa trovare la luce, spero, nel mese di gennaio".

    Un aspetto fondamentale è lo smaltimento dell’amianto. Giuseppe Secchi, presidente della Fondazione “Sosteniamoli Subito”:

    "È un aspetto molto difficile: prepareremo, se è possibile, dei progetti per poter snellire anche la procedura dello smaltimento".

    Un vero "killer" è il mesotelioma del polmone. Antonio Bergamaschi, professore di medicina del lavoro alla Cattolica di Roma:

    "Anche con interventi chirurgici precoci, di pulizia accurata delle lesioni, la prognosi rimane molto drammatica. La chemioterapia, in pratica, non dà al momento nessun tipo di speranza".

    L’informazione è fondamentale per evitare che aumenti il numero di chi si ammala.

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    Apre al Gemelli di Roma il primo Centro nazionale per bambini con deficit visivo

    ◊   Viene inaugurato oggi,, presso il Day Hospital di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Gemelli di Roma, il Centro di diagnostica e riabilitazione visiva per bambini con deficit plurisensoriali. Si tratta di una realtà unica in Italia, che consentirà di intervenire tempestivamente nella diagnosi e nella cura di seri problemi di ipovisione, spesso associati ad altri disturbi neurologici e degli altri organi di senso, che possono comparire fin dalla nascita e compromettere il corretto sviluppo del bambino. Il Centro nasce dalla collaborazione tra il Gemelli e l’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità - Iapb Onlus. Eliana Astorri ne ha parlato con l’avv. Giuseppe Castronovo, presidente dell’Agenzia, che spiega quali servizi offrirà la nuova struttura:

    R. - Tutti i servizi di riabilitazione in campo visivo: tratteremo infatti bambini con minorazioni visive e altre minorazioni che purtroppo si aggiungono. Questo è il primo Centro in Italia che sorge presso il Gemelli, grazie alla collaborazione tra l’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità (Iapb) e la clinica neuropsichiatrica, guidata dal prof. Eugenio Maria Mercuri. Noi visiteremo i bambini con l’ausilio del riabilitatore visivo, del riabilitatore psicologico, del riabilitatore per l’orientamento e la mobilità, a seconda della loro età, nonché per altri interventi di natura medica e psicologica e neurologica, in modo che questi bambini possano recuperare il recuperabile, secondo la gravità. Se si tratta di bambini che hanno una gravità del 50%, in generale la speranza del miglioramento può essere alta, mentre per i bambini che hanno una gravità del 90-95% è più difficile. Ma ciò che otterremo è sempre un risultato civilissimo, e civilissimi saranno gli interventi che faremo nei riguardi di questi meravigliosi bambini. E’ un aiuto importante anche per i genitori e per la famiglia, perché questi genitori si sentono abbandonati, senza l’appoggio e senza il sostegno di nessuno. Allora, presso questo Centro – insieme all’intervento dello psicologo presso le famiglie stesse – possono ricevere proprio questo sostegno, che io ritengo indispensabile per la continuità dell’assistenza alla famiglia e della nostra assistenza specialistica presso il Gemelli.

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    Fondazione Missio: presentato il "Vademecum della Missione"

    ◊   E’ stato presentato oggi, presso la Fondazione "Missio", organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana, il Vademecum della Missione. Destinato ai Centri Diocesani Missionari e alle altre realtà italiane che operano in questo ambito, il volume è una guida per rispondere alle domande essenziali sulla missione. Al microfono di Davide Maggiore, don Gianni Cesena, direttore di "Missio", illustra la prospettiva in cui è inserito:

    R. – Credo che oggi la connotazione sia quella della missione globale. Gesù stesso manda gli Apostoli fino agli estremi confini della Terra e noi abbiamo sempre inteso questo tema dei confini come un tema di carattere geografico. Ormai il confine passa nel cuore dell’uomo, passa tra essere umano ed essere umano, ed è il confine tra la fede e l’incredulità, il confine tra le condizioni umane del ricco e del povero, il confine delle culture. Essere missionari oggi è presentare Gesù come Colui che è in grado di proporre nelle diverse lingue, nelle diverse tradizioni culturali, un modello di rapporto con Dio e di rapporto fraterno con l’altro, che, appunto, pur tenendo conto delle necessarie diversità, sia in grado di superare i confini, cioè le barriere.

    D. – Una missione che, dunque, inizia anche a livello locale: il Vademecum si rivolge ai centri missionari diocesani...

    R. – La Chiesa locale ci è stata consegnata dal Concilio Vaticano II come protagonista di tutti gli aspetti di Chiesa, e come scriveva Paolo VI nell’ “Evangelii Nuntiandi”: “la Chiesa esiste per evangelizzare”, e quindi la Chiesa ha una natura missionaria. Siamo abituati a dire che è missionaria o non è. La missione si fa nelle piccole abituali mansioni di una parrocchia, di una diocesi nella sua vita quotidiana, e la si fa appunto avendo questo sguardo universale. La sottolineatura del centro missionario diocesano e di queste "istruzioni per l’uso" che il Vademecum vuole fornire è esattamente questa: che ogni chiesa mantenga il suo sguardo e il suo orizzonte universale. I vescovi italiani hanno scritto appunto che noi abbiamo bisogno di sentire quest’universalità, perché forse duemila anni di storia di cristianesimo rischiano di creare non solo abitudine, ma perfino una certa sonnolenza, un certo addormentamento.

    D. – L’edizione del Vademecum avviene nel contesto dell’Anno della Fede e a seguito del Sinodo sulla nuova evangelizzazione. Che rapporto c’è tra missione e nuova evangelizzazione?

    R. – L’abbiamo letto nella “Redemptoris Missio” di Papa Giovanni Paolo II: missione ad gentes, nuova evangelizzazione e cura pastorale sono tre dimensioni dell’agire della Chiesa. I tre aspetti s’intrecciano e, di fatto, nell’esperienza quotidiana di una comunità, di una parrocchia normale, non si distingue tra le tre cose, ma si cerca di stare sul territorio, dando a ciascuno ciò che è suo. La distinzione tra missione ad gentes e nuova evangelizzazione è forse quella di intuire meglio l’interlocutore. Vi sono molti che sono cristiani di nome o per anagrafe, ma che non sono stati evangelizzati. Quindi, la nuova evangelizzazione è rioffrire loro quella freschezza del Vangelo, che per qualche motivo è andata perduta. Ma non possiamo assolutamente dimenticare quella gran parte di umanità alla quale Cristo ci invia, dicendo: “Andate per le strade del mondo”. Sostanzialmente si tratta della stessa operazione: offrire a qualsiasi essere umano l’incontro con il Signore Gesù, perché questo incontro con il Signore Gesù dia solidità alla sua vita. La distinzione tra i due aspetti – missione ad gentes e nuova evangelizzazione – è che non possiamo più farlo con uno stile di massa, non possiamo più farlo ‘a pioggia’, come si direbbe, ma dobbiamo farlo cercando di intuire di che cosa abbia bisogno ogni interlocutore. In questo senso è la piccola via della missione, quella del cuore che parla al cuore, quella dell’incontro personale, quella che ci aiuterà nel futuro.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Siria: 150 mila fedeli sotto tiro nei villaggi della "Valle dei cristiani"

    ◊   Circa 150 mila cristiani vivono nel terrore in oltre 40 villaggi della "Valle dei Cristiani", nella Siria occidentale. La valle, storica roccaforte dei cristiani siriani, in prevalenza greci-ortodossi, ha accolto nei mesi scorsi migliaia di rifugiati provenienti da Homs e da altre province. Oggi i cristiani sono sotto il fuoco di milizie islamiste che si sono stabilite nella fortezza crociata di "Krak des Chevaliers", eretta nel secolo XI da un emiro musulmano, ricostruita dagli Ordini ospedalieri crociati e oggi patrimonio dell‘Unesco. Lo riferisce l’agenzia Fides che, citando fonti locali, scrive che “da giorni le milizie, dalla collina su cui sorge la fortezza, sparano senza sosta colpi di mortaio contro i villaggi sottostanti. Nell‘area sono infatti state erette delle barricate dall‘esercito regolare siriano, obiettivo dei militanti. I civili cristiani, in questa prova di forza, sono ‘vittime collaterali’ che vengono colpite senza alcuna cura. Nei giorni scorsi una pioggia di fuoco si è abbattuta sul villaggio di Howache, distruggendo numerose case, provocando la morte di tre giovani cristiani, ferendo molti civili. "I cristiani vogliono essere neutrali. Oggi la nostra valle è assediata dalla violenza che ci disorienta e terrorizza” dice a Fides un sacerdote locale che chiede ai belligeranti di "non colpire gratuitamente i civili, di rispettare la neutralità dei cristiani”. Da Aleppo, una fonte missionaria dell'agenzia Misna riferisce la situazione in una città ormai trasformata in un campo di battaglia dove le bombe “non riconoscono tra un soldato, un combattente dell’opposizione e un bambino” e dove le vittime sono soprattutto civili. “I feriti arrivano in continuazione qui da noi, ma anche negli altri ospedali rimasti in funzione. In realtà molte strutture non sono più agibili, non hanno materiale medico a disposizione, non hanno né luce né acqua; noi riusciamo ancora a lavorare anche grazie a un generatore. I primi a morire – aggiunge la fonte – sono i bambini. Sono loro i più vulnerabili, quelli che non hanno le stesse difese di un adulto, la stessa forza per sopravvivere all’esplosione di un ordigno, alla caduta di un muro, a una pallottola vagante. E qui ad Aleppo ormai si muore anche di fame”. (R.P.)

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    Siria. Il vescovo maronita di Latakia: “Cristiani nel mirino di islamisti radicali e di banditi”

    ◊   Nella zona di Latakia, Tartus e Tal khalakh, e nella “Valle dei Cristiani”, “c'è il caos: milizie islamiste e bande criminali stanno approfittando della situazione di instabilità generale. I civili cristiani sono obiettivo di sequestri e sono nel mirino di gruppi armati che hanno ideologia fondamentalista”: è l’allarme lanciato da mons. Elias Sleiman, vescovo maronita di Latakia che, in una nota pervenuta all’agenzia Fides, esprime forti timori per la sorte della popolazione cristiana della Siria. “I cristiani, un decimo della popolazione siriana – rimarca il vescovo – non prendono posizione con l’una o l’altra fazione in lotta, ma vogliono solo pace, dialogo e ricostruzione del paese. Per la nostra fede non crediamo nella violenza, ma nella riconciliazione. Ora temiamo fortemente gli islamisti radicali: ci sono molti mercenari fondamentalisti che vogliono alterare la natura del popolo siriano e istigare alla guerra confessionale”. “I fedeli cristiani – spiega – anche se minacciati, non prendono le armi perché non vogliono il potere. Vogliamo pace, non armi, come ha ricordato Benedetto XVI nella sua visita in Libano”. Esprimendo il timore che la Siria “diventi un altro Iraq, con un esodo di massa dei fedeli”, mons. Sleiman ribadisce che “la Chiesa siriana, nelle sue diverse espressioni e confessioni, è solidale con quanti vogliono rimanere nella propria terra”. Per questo, aggiunge, “facciamo molto per i rifugiati che fra la Valle dei cristiani, Latakia, Tartus, sono oltre 100mila. I profughi cristiani erano giunti qui perchè c'era maggiore stabilità rispetto ad altre aree, dove infuriano i combattimenti. Ma ora il conflitto è arrivato anche qui e la stabilità si sta perdendo, mentre cresce il caos”. “La nostra terra è una terra di martiri, non la lasceremo – profetizza il vescovo – anche se siamo o saremo sotto pressione. Siamo forti nella fede, nonostante le prove e cercheremo sempre di essere un fattore di coesione e un segno di riconciliazione nella società siriana, oggi e domani”, conclude. (R.P.)

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    Siria: Msf chiede di evacuare feriti e malati da Deir Azzour

    ◊   Deir Azzour, una città ad est di Damasco che prima dello scoppio del conflitto siriano contava circa 600.000 abitanti, è in piena emergenza umanitaria: i feriti e i malati vanno evacuati immediatamente dall’unico ospedale presente in zona e trasportati verso aree più sicure, “nel rispetto del diritto umanitario internazionale”. A chiederlo è Medici Senza Frontiere (Msf) che, come altre organizzazioni, non è ancora stata autorizzata dalle autorità siriane a intervenire con i propri programmi di assistenza medica neutrale nel Paese. Il presidente di Msf Italia Loris de Filippi è appena rientrato dalla Siria: “Deir Azzour ha un solo ospedale di fortuna, con solo quattro medici che vi lavorano. I medici sono esausti dopo sei mesi di lavoro in una zona di combattimento, ma si rifiutano di lasciare la città.” I dottori operano qui in condizioni di perenne emergenza, con forniture mediche quasi impossibili da ottenere, i continui bombardamenti aerei e il fuoco incrociato dei cecchini. I farmaci e i prodotti per le trasfusioni di sangue stanno terminando mentre il numero di feriti continua ad aumentare. Decine di migliaia di persone risultato intrappolate nella città, soprattutto soggetti vulnerabili come poveri e anziani senza la volontà o la possibilità di fuggire. L’organizzazione sottolinea nel comunicato che “la popolazione locale è stata generosa nel fornire assistenza ma non è in grado di rispondere a tutti i bisogni impellenti delle persone costrette ad abbandonare le proprie case”. Gli ospedali intorno a Deir Azzour non riescono più a gestire l’emergenza: uno di questi ha ricevuto la scorsa settimana oltre 300 pazienti. Alcuni feriti vengono trasferiti verso la Turchia, “nella speranza di poter attraversare il confine per ottenere un’adeguata assistenza sanitaria”. Msf è attiva in Siria con tre ospedali nelle zone controllate dai ribelli armati dell’opposizione e nei paesi limitrofi (Giordania,Libano e Iraq) fornisce assistenza medica ai rifugiati siriani. (L.P.)

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    Mons. You Heung-sik: il missile di Pyongyang pagato dai nordcoreani che muoiono di fame

    ◊   Il missile lanciato dalla Corea del Nord "l'hanno pagato i cittadini che muoiono di fame. La Chiesa cattolica è del tutto contraria alle provocazioni militari di Pyongyang, ma quello che personalmente mi fa soffrire è pensare a quante vite umane avrebbe potuto salvare il denaro che il regime del Nord ha scelto di sprecare per questo razzo". A parlare con l'agenzia AsiaNews è mons. Lazzaro You Heung-sik, vescovo di Daejeon e presidente della Commissione episcopale per la cura dei migranti. Il presule conosce molto bene la situazione della Corea del Nord: ha visitato spesso il Paese e segue una serie di progetti caritatevoli che puntano alla cooperazione economica e allo sviluppo dell'economia locale. E proprio da questo punto di vista, spiega, "il missile è un errore enorme. Quello che noi diciamo sempre alla nostra controparte è che, anche se si tratta di progetti scientifici, è comunque un enorme spreco di denaro. Devono dare da mangiare al popolo". Secondo alcune stime del governo sudcoreano, Pyongyang ha speso dagli anni '90 almeno 1,74 miliardi di dollari per il proprio programma missilistico. I numeri sono confermati dal regime stesso: il denaro speso per il lancio dell'Unha-3 avrebbe potuto comprare 5,8 milioni di tonnellate di granturco, sufficienti a sfamare 20 milioni di persone per 19 mesi. "La gente muore di fame - continua mons. You - e questo spreco di denaro è da folli. In ogni caso la Chiesa cattolica non si scoraggia: continuiamo con i nostri progetti e cerchiamo ogni strada per entrare nel Nord. La pazienza e il desiderio di aiutare i nostri fratelli sono armi più forti dei missili. Certo, in questo modo le cose peggioreranno ancora". L'Unha-3 ha colpito anche le elezioni presidenziali che si svolgeranno nel Sud il prossimo 19 dicembre. I due candidati rimasti - il democratico Moon e la conservatrice Park - hanno visioni opposte su come trattare con Pyongyang: "Moon è per il dialogo, mentre i conservatori sono sempre stati contrari in maniera feroce a una politica di confronto pacifico. Questa ultima provocazione cambia la situazione anche elettorale: tutti i votanti stanno calcolando chi è più utile e chi farà meglio nei confronti del regime". (R.P.)

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    Uruguay: alla Camera passa la legge sui matrimoni gay

    ◊   Se meno di tre mesi fa era diventato il quarto Paese latinoamericano a depenalizzare l’aborto, ora l’Uruguay è vicino all’approvazione della legge che lo renderebbe secondo Stato del Sudamerica dopo l’Argentina a legalizzare il matrimonio per gli omosessuali. La norma del cosiddetto “matrimonio egualitario” è stata approvata dalla Camera dei Deputati con 81 voti a favore su 87 e ora passerà all’esame del Senato, in cui Frente Amplio (la coalizione di sinistra del premier Josè Mujica) ha una maggioranza abbastanza forte da rendere probabile la promulgazione della legge agli inizi del 2013. Con questa legge l’istituzione del matrimonio verrà regolata “indipendentemente dal sesso delle persone contraenti o dalla loro opzione sessuale” come fortemente voluto dalla maggioranza al governo. Dal 2007 in Uruguay le coppie omosessuali possono registrare le loro unioni civili e adottare minori, mentre tra le novità inserite nella delibera di ieri si trova il permesso ai genitori di scegliere l’ordine dei cognomi dei figli (ciò non è possibile in nessun Paese dell’America Latina). Come riportato dal quotidiano Avvenire, la Chiesa era già intervenuta nel dibattito prima del voto con le parole del vescovo Jaime Fuentes, presidente del settore Famiglia della Conferenza episcopale uruguayana il quale aveva dichiarato che “dare a questo tipo di unioni gli stessi diritti e doveri del matrimonio rappresenterebbe una grave discriminazione contro il matrimonio tra un uomo e una donna”, senza dimenticare la questione dei bambini, “che hanno diritto ad avere un padre e una madre, naturali o adottivi, per crescere”. Anche mons. Alberto Sanguinetti, vescovo della diocesi di Canelones, aveva espresso la contrarietà della Chiesa uruguayana alla proposta di legge: “Parlare di matrimonio egualitario – applicato a qualsiasi tipo di unione o patto tra uomo e uomo o donna e donna – è una bugia, e una impossibilità reale”. (L.P.)

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    Filippine. Il card. Tagle: il valore della vita umana vincerà sul controllo delle nascite

    ◊   "Il voto a favore della legge sul controllo delle nascite spinge tutta la Chiesa, in particolare l'arcidiocesi di Manila, a impegnarsi ancora di più nel servizio ai poveri, alle famiglie, alle donne e ai bambini". È quanto afferma il card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, in un comunicato pubblicato questa mattina dal sito della Conferenza episcopale filippina e ripreso dall'agenzia AsiaNews. Il messaggio giunge all'indomani della vittoria del "si" alla Camera dei deputati al decreto legge sulla salute riproduttiva. In nome dello sviluppo economico e del sesso sicuro, esso obbliga le coppie a non avere più di due figli, promuove l'utilizzo di preservativo, pillole abortive, favorendo la sterilizzazione volontaria. La prossima settimana vi sarà la votazione definitiva al Senato. Nel suo messaggio ai cattolici filippini, il porporato definisce "tragico" il passaggio della legge, ma invita la Chiesa all'unità e a non considerare la scelta fatta dai deputati come una sconfitta. Secondo il cardinale, in futuro la Chiesa e tutta la comunità cristiana "dovranno lavorare per diffondere e testimoniare la santità della vita, il valore della persona, l'educazione dei giovani ai veri valori, l'aiuto ai poveri, il sacramento del matrimonio" educando la popolazione ad una cura responsabile del dono della procreazione. L'arcivescovo ringrazia i legislatori, i laici e le organizzazioni che in questi anni "hanno lavorato senza sosta per rendere noti i difetti di questa legge", studiando metodi alternativi a contracettivi e pillole abortive. Con il loro lavoro essi hanno "contribuito a formare la coscienza della popolazione, spingendola verso una vera ricerca del bene comune". Dopo varie modifiche, la legge approvata ieri alla Camera dei deputati rifiuta l'aborto clinico, ma promuove un programma di pianificazione familiare che spinge le future coppie a non avere più di due figli. Essa permette l'obiezione di coscienza, ma allo stesso tempo favorisce la sterilizzazione volontaria. Chiesa e associazioni cattoliche sostengono invece il Natural Family Programme (Nfp), che mira a diffondere tra la popolazione una cultura di responsabilità e amore basata sui valori naturali. Il disegno di legge è promosso soprattutto dalle grandi organizzazioni internazionali, come ad esempio Onu e Unicef, che legano l'alto tasso di natalità alla povertà del Paese. I Paesi che non si attengono a tali norme perdono il diritto a ricevere aiuti umanitari. (R.P.)

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    Sacramenti e testimonianza: i vescovi dell’Asia per la nuova evangelizzazione

    ◊   Un ringraziamento all'opera dei "missionari stranieri" e dei "martiri vietnamiti", che hanno permesso di piantare il seme della fede nel Paese. E un richiamo all'importanza dei sacramenti, quale via di "riconciliazione" con Dio e di "testimonianza" verso quanti non hanno ancora incontrato Cristo e il Vangelo. Attorno a questi punti - riferisce l'agenzia AsiaNews - si concentreranno i lavori dei delegati - cardinali, vescovi e sacerdoti - che partecipano alla 10ma Assemblea generale della Conferenza dei vescovi asiatici (Fabc), in programma dall'11 al 15 dicembre a Xuan Loc, nel sud del Vietnam. La giornata conclusiva si terrà invece il 16 dicembre nell'arcidiocesi di Ho Chi Minh City, con la celebrazione di una messa solenne. L'ospitalità dell'evento ecclesiale nel Paese socialista, come sottolinea il rappresentante non permanente della Santa Sede mons. Leopoldo Girelli, "è un segno dei tempi". Alla conferenza di apertura dei lavori hanno partecipato 200 personalità della chiesa dell'Asia, fra cui sei cardinali, 113 arcivescovi e vescovi, monsignori e sacerdoti. Fra questi l'inviato del papa, il card. Oswald Gracias e mons. Leopoldo Girelli. L'apertura dei lavori ha registrato anche la presenza di alte personalità del governo di Hanoi, tra le quali Pham Dung, vice ministro degli Interni e capo del Comitato governativo per gli Affari religiosi. Intervenendo all'assemblea, il ministro Pham Dung ha salutato i presenti e manifestato "apprezzamento" per la Chiesa cattolica locale, che "ha contribuito allo sviluppo della nostra nazione, in special modo alle [opere di] riforme". Il card Gracias, segretario Fabc e coordinatore dei lavori, ha spiegato che la nascita della Conferenza è uno dei frutti del Concilio Vaticano II e quest'anno essa festeggia i 40 anni di vita (1972-2012). Come sottolineato da alcuni sacerdoti locali, per la prima volta un summit cattolici di portata internazionale si tiene in Vietnam, nazione socialista, ed è occasione per i fedeli del Paese e per tutte le Chiese dell'Asia di conoscenza e aiuto reciproco. Per questo egli ha volto sancire i "buoni rapporti" fra Santa Sede e Hanoi, ricordando che la Chiesa "non si occupa di politica" ma "di attività spirituali e pastorali". La Fabc è nata il 16 novembre 1972 grazie alla volontà dell'allora papa Paolo VI. Essa include oggi le Conferenze episcopali di Bangladesh, India, Indonesia, Giappone, Kazakistan, Corea del Sud, Laos, Cambogia, Malaysia, Singapore, Brunei, Myanmar, Pakistan, Philippines, Sri Lanka, Taiwan, Thailandia e Vietnam. A questi si aggiungono altre 10 realtà affiliate: Hong Kong, Macao, Mongolia, Nepal, Kirghizistan, Siberia (Russia), Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Timor Est. In un continente, l'Asia, dove solo il 2,9% della popolazione è cattolica su un totale di 3,5 miliardi di persone. "Il tema di quest'anno - sottolinea l'inviato del Papa - sono le sfide che le Chiese dell'Asia devono affrontare" in questo periodo di cambiamento. Per questo, aggiunge il card. Rosales, è importante "rivedere la missione" alla luce di due eventi attuali e contemporanei: l'Anno della fede e il Sinodo dei vescovi, che si è tenuto a Roma nell'ottobre 2012. Il porporato filippino invita i fedeli alla "ri-evangelizzazione" attraverso i sacramenti, fra i quali "battesimo, cresima, eucaristia e confessione", perché solo attraverso la riconciliazione con Dio è possibile raggiungere "pace e felicità di cuore". A questo si unisce il compito di "testimonianza" ai non cattolici, perché anch'essi possano incontrare e "riconoscere Gesù". L'arcivescovo Peter Nguyen Van Nhon, presidente della Conferenza episcopale vietnamita, dedica un ringraziamento particolare ai "missionari stranieri" che hanno svolto un ruolo da "pionieri nel gettare il seme della fede". Esso è stato quindi innaffiato dal "sangue dei martiri vietnamiti", che hanno contribuito all'opera di annuncio. Adesso "la nostra missione è portare la Buona Novella a tutti". Per il rappresentante non permanente in Vietnam "la conferenza Fabc è un segno" dei tempi che cambiano. Il prelato invita i Paesi asiatici a una "nuova evangelizzazione" dentro e fuori la Chiesa. Mons. Girelli chiede un approccio positivo all'apprendimento del catechismo e "una fede salda e profonda". Da ultimi egli si appella ai parrocchiani, che sono "testimoni" ultimi del Vangelo "nella vita di ciascuno". (R.P.)

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    Usa. I vescovi: sul matrimonio “non possiamo rimanere in silenzio”

    ◊   “Nessun’altra unione è in grado di provvedere al bene comune come lo è, invece, il matrimonio fra un uomo e una donna: realtà questa che la legge dovrebbe riflettere. Per questo motivo non possiamo rimanere in silenzio.” A dichiararlo è il cardinale arcivescovo di New York nonché presidente della Conferenza Episcopale statunitense Timothy Michael Dolan, nell’ambito della riflessione che la Chiesa cattolica sta portando avanti sulla legalizzazione dei “matrimoni” tra persone dello stesso sesso, tema che negli Usa sta acquistando sempre più spazio all’interno del dibattito pubblico. Dopo i referendum dello scorso 6 novembre gli stati in cui sono legali le unioni omosessuali sono diventati nove e il Governo ha da tempo smesso di difendere la costituzionalità del Defense of Marriage Act (Doma), legge che tutela il matrimonio tradizionale tra un uomo e una donna. Una legge federale che verrà esaminata presto dalla Corte Suprema insieme alla legge in vigore in California che non consente di legalizzare le unioni tra persone dello stesso sesso. A rendere necessario l’intervento della Corte Suprema è stata la contestazione di un’anziana donna dichiaratamente omosessuale che ha voluto denunciare la legge federale come “discriminatoria”, unendosi alla battaglia degli attivisti che chiedono di usufruire di diritti ereditari e agevolazioni fiscali. La Corte di appello del secondo circuito (costituito da Connecticut, New York e Vermont) aveva accolto la richiesta della donna, definendo la legge come “discriminatoria e non sostanzialmente collegata a un importante interesse dell’amministrazione pubblica”. Il verdetto della Corte Suprema è atteso per giugno 2013 e i vescovi statunitensi hanno voluto esprimere un auspicio per il lavoro che occuperà i giudici nei prossimi mesi: “Che la verità e la giustizia possano guidare le vostre sentenze”- hanno dichiarato in una nota – “la parola matrimonio significa solamente un’unione legale tra un uomo e una donna come marito e moglie, e la parola sposo o sposa si riferisce solamente a una persona del sesso opposto che è marito o moglie”. I vescovi hanno voluto aggiungere che “pregheranno affinché la Corte affermi che l’istituto del matrimonio, che è antico quanto l’umanità ed è scritto nella nostra vera natura, è l’unione tra un uomo e una donna”. Matrimonio come “il fondamento di una società giusta, in quanto protegge i più vulnerabili tra noi, i bambini”, unico istituto che “unisce i figli con i loro padri e con le loro madri insieme”. L’episcopato ha annunciato che, all’interno del programma di iniziative a favore della tutela della vita, del matrimonio e della libertà religiosa, verrà proposta una nuova edizione della Fortnight for freedom, la campagna di insegnamento e testimonianza per la libertà religiosa promossa dalla Chiesa cattolica, cui sono chiamate ad aderire altre comunità religiose. “La chiamata alla preghiera è provocata dai rapidi cambiamenti sociali e politici in atto tra i quali ci sono tentativi di ridefinire il matrimonio” – si legge nella presentazione del programma. “La vita, il matrimonio e la libertà religiosa non sono solo temi fondamentali per la dottrina sociale cattolica, ma per il bene di tutta la società”. (L.P.)

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    Africa orientale: vescovi di 45 Paesi chiedono di delimitare le frontiere contro nuove violenze

    ◊   I vescovi delle diocesi confinanti di Sud Sudan, Kenya, Uganda ed Etiopia hanno lanciato un appello per la delimitazione delle frontiere, per impedire i conflitti e giungere ad una pacifica convivenza tra le comunità limitrofe dei quattro Paesi. Secondo quanto riferisce il Sudan Catholic Radio Network l’appello è stato lanciato nel corso di una conferenza inter-diocesana sulla pace e sull’evangelizzazione transfrontaliera, che si è tenuta nella diocesi di Lodwa, in Kenya. Mons. Dominic Kimengich, vescovo di Lodwa, ha lanciato l’appello alla comunità internazionale per contribuire alla demarcazione dei confini, al fine di prevenire le tensioni e gli scontri tra le comunità di pastori limitrofe. Non sono infatti infrequenti raid di bande dedite alla razzia di bestiame da un confine all’altro, specie tra Kenya ed Etiopia, che causano morti e feriti. Il vescovo di Lodwa ha esortato i responsabili della Chiesa ad operare per la costruzione della pace attraverso la riconciliazione delle popolazioni a loro affidate. Il vescovo di Torit, mons. Johnson Akio Mutek, ha suggerito il coinvolgimento degli anziani dei diversi gruppi pastorali per risolvere i problemi delle frontiere e stemperare le tensioni. L’incontro dei vescovi dei 4 Stati è nato dall’esigenza di trovare una posizione comune sul problema del triangolo di Ilemi, un territorio di 14.000 kmq conteso da Sud Sudan, Kenya ed Etiopia. (R.P.)

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    Cuba: a 50 giorni dal passaggio dell’uragano, ancora migliaia di persone senza casa né servizi

    ◊   La Conferenza episcopale dell’Uruguay ha ricevuto un appello del vescovo emerito di Melo (Uruguay), mons. Luis del Castillo, che da due anni vive come missionario a Santiago de Cuba. La Chiesa uruguaiana, raccogliendo l’appello di mons. del Castillo, ha lanciato una campagna di solidarietà per le centinaia di migliaia di cubani ancora senza casa dopo il passaggio dell'uragano Sandy, che ha devastato tutta quella regione nelle prime ore del mattino di giovedì 25 ottobre. Secondo le informazioni ufficiali, riferisce la nota inviata all’agenzia Fides dall’Uruguay, nella città di Santiago de Cuba, la seconda del Paese, non c'è un quartiere che non abbia subito danni significativi alle abitazioni, al servizio elettrico, alle comunicazioni, ai luoghi di lavoro e ai centri industriali. Secondo le stime, sono più di 100mila le case colpite, di cui circa 20mila in rovina; tutti i comuni hanno ancora problemi alla rete elettrica e ci sono state 17.300 interruzioni telefoniche. I danni, altrettanto gravi, riguardano anche il commercio, le unità sanitarie, le scuole e il 90% delle chiese e cappelle, tra cui il Santuario nazionale della Madonna del Cobre, patrona di Cuba. (R.P.)

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    Polonia: critiche dei vescovi alla Convenzione per la lotta contro la violenza sulle donne

    ◊   II vescovi polacchi criticano la decisione del Governo di firmare la nuova Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Secondo l’Episcopato, essa è basata su “presupposti ideologici e non veritieri inaccettabili”. Composto di 81 articoli, il Trattato, firmato dalla Polonia il 4 dicembre, individua una serie di nuove tipologie di reato, quali le mutilazioni genitali femminili, il matrimonio forzato, gli atti persecutori (stalking), l’aborto forzato e la sterilizzazione forzata, descrivendo la violenza contro le donne come una “manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi”. Così come formulato – ha spiegato all’agenzia cattolica polacca Kai ripresa dalla Cns, il segretario generale della Conferenza episcopale, mons. Wojciech Polak – il documento lascia intendere che la violenza contro le donne abbia radice nella “religione, la tradizione e la cultura”. “La Chiesa - ha puntualizzato il presule - è sempre stata contro la violenza” nei confronti delle donne, ma “è un segnale preoccupante che il principio corretto di contrastarla sia associato al tentativo di interferire nel nostro sistema di valori”. Già a luglio l’Episcopato aveva criticato in una nota il Governo per non avere mantenuto l’impegno a promuovere un dibattito pubblico aperto a tutte le voci sul documento. A destare le obiezioni dei vescovi sono in particolare l’articolo 3 che definisce il “genere” come “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”. Tale definizione, si osserva, “ignora completamente le naturali differenze biologiche tra uomini e donne, con ciò facendo intendere che il sesso possa essere scelto”. Per lo stesso motivo è discutibile anche l’articolo 14 che impegna gli Stati contraenti a intraprendere le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici materiali didattici su temi quali “la parità tra i sessi e i ruoli di genere non stereotipati”. Un altro punto controverso è poi l’articolo 12 che impegna le Parti a “promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini” e a vigilare “affinché la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto "onore" non possano essere in alcun modo utilizzati per giustificare nessuno degli atti di violenza”. I vescovi hanno infine fatto notare che la legislazione polacca già offre tutti gli strumenti necessari per contrastare le violenze contro le donne. Finora la Convenzione di Istanbul è stata sottoscritta da 25 dei 47 Stati membro del Consiglio d’Europa. Riserve ufficiali sul trattato sono state espresse da Germania, Malta e Serbia. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Madagascar: le ostetriche tradizionali aiutano a salvare le partorienti

    ◊   Il Madagascar si trova ad affrontare una triplice sfida: rapido incremento demografico, crescente povertà e instabilità politica. E’ quanto emerge dal rapporto del Fondo delle Nazioni Unite (Unfpa) sullo Stato dell’Ostetricia nel mondo. Nel Paese africano ci sono circa 3 mila centri sanitari, ma molti sono in stato di abbandono o chiusi a causa della crisi politica. Ci sono solo 4 ostetriche professioniste ogni 1000 nati vivi e, nonostante vi siano 21 scuole di ostetricia, dove si insegnano le norme igieniche per partorire e far fronte ad eventuali complicazioni, il numero di laureati non soddisfa il fabbisogno. In molte aree del Paese - riferisce l'agenzia Fides - le donne fanno affidamento su levatrici tradizionali, conosciute come ‘matrone’ che, spesso, vengono accusate di non essere in grado di far fronte alle complicazioni, minacciano il parto sicuro o fanno partorire in ambienti malsani. Tuttavia nel Centre Sante de Base (CSB II) a Betraka, un piccolo villaggio 50km a nord della città costiera di Manakara, attualmente le matrone vengono reclutate per una campagna a favore del parto in clinica o in ospedale, con l’obiettivo di ridurre il tasso di mortalità materno e neonatale. Per far fronte alle precarie infrastrutture e alla mancanza di personale qualificato soprattutto nelle province, il governo del Madagascar ha fatto della salute materna e neonatale una priorità assoluta. Nel 2008 ha lanciato un piano nazionale che prevede assistenza sanitaria gratuita alla nascita, compresi i costosi parti cesarei, oltre all’incremento di personale ostetrico competente. Molte zone sono ancora lontane da questo obiettivo e, convincendo le ‘matrone’ a promuovere il parto negli ospedali, gli operatori sanitari hanno trovato un alleato prezioso. (R.P.)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 348

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