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Sommario del 11/12/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Le celebrazioni presiedute da Benedetto XVI durante le prossime feste
  • P. Spadaro: su Twitter il Papa si mette in gioco per incontrare l’uomo di oggi
  • Nomine
  • P. Lombardi sulla vicenda di Ma Daqin, ausiliare di Shangai: nessuna novità, ma situazione clero è grave
  • Il card. Maradiaga: la nuova evangelizzazione in America Latina è di impronta mariana
  • 20 anni del Catechismo: dagli Apostoli ai vescovi, i duemila anni della "tradizione" cristiana
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nuovo golpe in Mali: i militari arrestano il premier Diarra
  • Siria: violenti scontri ad Aleppo. L’Ue riconosce l'opposizione guidata da Al-Khatib
  • Egitto, ancora manifestazioni e tensione tra fazioni pro e contro Morsi
  • Il card. Sarr: il negoziato di pace in Casamance è sulla buona strada
  • Nobel Ue. L'ambasciatrice Argimon Pistre: i valori cristiani hanno plasmato l'Europa dei diritti
  • Spread e Unione europea: confronto Monti- Berlusconi
  • Emergenza freddo. Mons. Feroci: Roma apra il suo cuore agli homeless
  • Il presidente Napolitano sulla sanità: chi ha di più contribuisca maggiormente
  • Progetto GreenAccord, le famiglie e i consumi ecosostenibili
  • Diritti umani. L'Acat premia tesi di laurea di due giovani contro la tortura
  • Compie 50 anni il progetto "Giusto tra le Nazioni". Intervista con l'ambasciatore Evrony
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Filippine: domani voto decisivo su Legge controllo nascite. Protestano cattolici e pro-life
  • Regno Unito: cattolici e anglicani contro la ridefinizione del matrimonio
  • Congo: aiuti della Caritas per le vittime delle violenze sessuali nei campi profughi
  • Congo: Natale solidale di Intersos per l'educazione di 400 ex bambini soldato
  • Unicef: nel 2012 nel Sahel curati 850mila bambini affetti da malnutrizione acuta grave
  • Conferenza di Doha sul clima: si a "Kyoto II" ma senza i grandi inquinatori
  • Egitto: posticipato l'incontro dei vescovi cattolici con il patriarca Tawadros
  • Siria: Campagna di vaccinazioni contro morbillo e polio per più di un milione di bambini
  • Canada: messaggio dei vescovi per la Giornata dei popoli autoctoni
  • Messico: appello dei vescovi contro l'aumento della violenza a Coahuila
  • India: ancora gravi violazioni dei diritti umani
  • Pakistan: trasferita in Svezia la missionaria cristiana ferita
  • Pakistan: profanata una statua della Madonna in una parrocchia di Faisalabad
  • Il card. Koch: l'Unità "visibile" della Chiesa non è "un'illusione"
  • Consiglio Mondiale delle Chiese: messaggio di Natale del segretario generale Tveit
  • Ebrei e cristiani insieme per la memoria del cardinale Martini
  • Anche in Nepal il Natale è dono ai poveri
  • In aumento in Italia il numero di rifugiati e richiedenti asilo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Le celebrazioni presiedute da Benedetto XVI durante le prossime feste

    ◊   Inizierà alle ore 22 la Messa della Notte di Natale che Benedetto XVI celebrerà nella Basilica di San Pietro. Lo si apprende dalla notificazione dell’Ufficio delle Celebrazioni pontificie, che comunica gli orari dei successivi eventi del periodo, a cominciare dal tradizionale messaggio natalizio che il Papa rivolgerà “Urbi et Orbi” alle 12 del 25 dicembre dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana.

    Il 31 dicembre, il Pontefice presiederà dalle 17 in San Pietro i Primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, con l’esposizione del Santissimo Sacramento e il canto del “Te Deum”. Il giorno successivo, primo gennaio 2013, Benedetto XVI celebrerà alle 9.30 nella Basilica petrina la Messa della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale, 46.ma Giornata mondiale della Pace sul tema “Beati gli operatori di pace”.

    Domenica 6 gennaio, sempre nella Basilica Vaticana, il Papa presiederà la Messa nella Solennità dell’Epifania a partire dalle ore 9, durante la quale conferirà l’Ordinazione episcopale ad alcuni presbiteri. Infine, alle 9.45 della domenica successiva, 13 gennaio, il Pontefice presiederà in Cappella Sistina la celebrazione eucaristica nel corso della quale amministrerà il Sacramento del Battesimo ad alcuni bambini.

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    P. Spadaro: su Twitter il Papa si mette in gioco per incontrare l’uomo di oggi

    ◊   Benedetto XVI approda su Twitter con lo stesso spirito che animò Pio XI nel dar vita alla Radio Vaticana: utilizzare le nuove tecnologie per incontrare gli uomini e annunciare il Vangelo. E’ la continuità che vede padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, alla vigilia del primo tweet che il Papa lancerà, domani, nell’udienza generale sul suo account @Pontifex. Sul significato di questa presenza del Papa su Twitter, Alessandro Gisotti ha intervistato proprio padre Spadaro:

    R. – Intenderei questa presenza come una presenza "normale": oggi è chiaro che la comunicazione non coincide più con la semplice trasmissione di un messaggio, ma con la condivisione di questo all’interno di reti sociali. E nel Magistero di Benedetto XVI sulle comunicazioni questo elemento è un elemento chiave, da leggere molto bene. La Chiesa sa che oggi i messaggi di senso passano attraverso i network sociali, che sono dei veri e propri "luoghi di senso", dove la gente condivide la vita, i desideri, le impressioni, le domande, le risposte… Quindi, la presenza del Papa su Twitter è una presenza che sostanzialmente vedrei come in continuità con la presenza del Papa in strumenti come la radio, quindi alla decisione di Pio XI di trasmettere il messaggio del Vangelo attraverso la Radio Vaticana. Direi che la Chiesa è sempre stata molto attenta all’avanguardia comunicativa, proprio perché il Vangelo va incarnato nel tessuto comunicativo della storia.

    D. – Qualcuno, riferendosi al fatto che c’è chi sta usando Twitter per offendere il Papa, per offendere la fede cristiana, sostiene che questa iniziativa è troppo rischiosa. Cosa ne pensa?

    R. – Certamente è rischioso, perché significa comunque esporre il messaggio del Vangelo. In ogni caso, questo è essenziale. Chi commenta negativamente il fatto che ci siano vari messaggi polemici nei confronti del Papa, probabilmente non si è accorto che in realtà questi sono ovunque nella Rete, ma direi anche nei giornali, in tante altre forme di espressione… E direi che questi commenti fanno parte della comunicazione ordinaria: certamente verranno meno. Ci sono anche domande molto interessanti che vengono poste al Pontefice. Quindi, direi che è una tappa in un cammino di crescita, ma non le vedrei come problematiche.

    D. – La presenza del Papa su Twitter dovrebbe suscitare un rinnovato impegno dei cristiani sulle reti sociali – sui social network – specie dei giovani, dei cosiddetti "nativi digitali"?

    R. – Io penso che la presenza del Papa su Twitter incoraggi i cattolici a essere presenti nell’ambiente digitale e questo per me è un elemento di riflessione assolutamente fondamentale. Cioè, l’uomo oggi vive anche in Rete: si può essere d’accordo o meno, si può essere contenti o meno di questo fatto, però di fatto la Chiesa è chiamata a essere presente lì dove sono gli uomini. E oggi gli uomini sono anche in Rete, perché una parte della loro vita di comunicazione è lì, in questo ambiente digitale. Quindi: la vita è una sola, sia che essa sia nell’ambiente fisico, sia che sia nell’ambiente digitale. La realtà della Rete non è una realtà parallela, rispetto all’esistenza. E quindi, i cattolici sono chiamati a essere nell’ambiente digitale così come nell’ambiente fisico. Il Papa, sostanzialmente, incoraggia questa presenza.

    D. – Come raccogliere, soprattutto da parte dei pastori e dei sacerdoti, delle persone più impegnate nella vita della Chiesa, la sfida lanciata dal Papa affinché soprattutto questa, come altre iniziative, non restino delle "cattedrali nel deserto"?

    R. – Direi che una sfida molto interessante riguarda il rapporto tra la Parola annunciata e il contesto culturale attuale. Noi sappiamo che il contesto ordinario delle persone, dell’uomo di oggi, è un contesto frammentato, frazionato e proprio all’interno di questo contesto si avverte la necessità di messaggi di senso, di sapienza, anche profondi, ma brevi, appuntiti. E il Papa stesso, nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni del 2012, ha affermato che in Rete – proprio in Rete – è possibile trovare spazi di silenzio. Quindi, vedrei come la comunicazione in Rete non sia, non debba essere, contrapposta a una comunicazione silenziosa. Il tweet del Papa è un messaggio molto breve che può aiutare le persone a riflettere, quindi a porsi domande importanti, anche a dialogare grazie all’hashtag #askpontifex con il Papa.

    D. – Come uomo di fede e di comunicazione, impegnato proprio sulla frontiera delle nuove tecnologie, cosa le dice personalmente, cosa la colpisce di questa presenza di Benedetto XVI su Twitter?

    R. – Mi colpisce la disponibilità: la disponibilità del Papa a mettersi in gioco su un terreno su cui anche altri leader religiosi, come sappiamo, si sono messi in gioco. Quindi, la disponibilità a entrare con coraggio e con semplicità anche all’interno di questo mondo comunicativo. In fondo, ciò che caratterizza la Chiesa è la passione per l’umanità. Chiaramente, i rischi sono tanti, ci sono sempre e ovunque. Penso che la strada migliore sia affrontare le sfide con coraggio ed essere presenti: comprendere le sfide ed i problemi dall’interno, non trincerarsi all’interno di una situazione comoda o già nota. Quindi, questa disponibilità, questa flessibilità mi colpisce e credo sia una spinta molto interessante per i cristiani a vivere con coraggio il contesto delle sfide attuali.

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    Nomine

    ◊   Il Santo Padre ha nominato Capo Ufficio della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica la Dottoressa Daniela Leggio, Officiale del medesimo Dicastero.

    Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Australia Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Paul Richard Gallagher, Arcivescovo titolare di Hodelm, finora Nunzio Apostolico in Guatemala.

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    P. Lombardi sulla vicenda di Ma Daqin, ausiliare di Shangai: nessuna novità, ma situazione clero è grave

    ◊   “La Santa Sede non dispone in questo momento di informazioni diverse da quelle apparse nei media”. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, ha risposto così verbalmente alle domande dei giornalisti che chiedevano notizie circa la situazione del vescovo ausiliare di Shangai, mons. Thaddeus Ma Daqin, al quale – secondo quanto riferito ieri da fonti di agenzia – sarebbe stata revocata la nomina dalle autorità cinesi, dopo che già da tempo al presule erano stati comminati gli arresti domiciliari. Il giorno della sua ordinazione, il 7 luglio scorso, mons. Ma Daqin aveva presentato le dimissioni da membro dell'Associazione patriottica, l'organismo preposto al controllo della Chiesa cinese da parte dello Stato.

    Nella sua risposta ai giornalisti, Padre Lombardi ha ricordato quanto autorevolmente asserito dal cardinale Filoni, che in una recente intervista alla rivista Tripod circa la posizione della Santa Sede aveva affermato: “La situazione permane grave. Alcuni vescovi e sacerdoti sono segregati o privati della propria libertà, come recentemente è avvenuto nel caso del Vescovo Ma Daqin di Shanghai per avere dichiarato la propria volontà di dedicarsi al ministero pastorale a tempo pieno, deponendo incarichi che, fra l'altro, non sono neanche di competenza di un Pastore. Il controllo sulle persone e sulle istituzioni si è acuito e si ricorre sempre più facilmente a sessioni di indottrinamento e a pressioni. In mancanza di libertà religiosa o in presenza di forti limiti, non tocca a tutta la Chiesa difendere i legittimi diritti dei fedeli cinesi e primariamente alla Santa Sede di dare voce a chi non ne ha?”.

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    Il card. Maradiaga: la nuova evangelizzazione in America Latina è di impronta mariana

    ◊   Il Sinodo per la Chiesa americana a 15 anni di distanza è di luce per la nuova evangelizzazione. Ad affermarlo è il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, in Honduras, che partecipa ai lavori del Congresso “Ecclesia in America”, organizzato dalla Pontificia Commissione per l’America Latina e dai Cavalieri di Colombo e in corso in Vaticano fino a domani. Le parole del porporato honduregno raccolte dal collega Raul Cabrera, della sezione spagnola della nostra emittente:

    R. – Sono passati 15 anni dal Sinodo in America e 15 anni dopo l’Esortazione apostolica avvertiamo che tornare con questo Congresso ai punti principali di quel Sinodo significa rivivere tanta ricchezza. Soprattutto perché le sfide della nuova evangelizzazione ci ricordano come l’idea originale del Beato Giovanni Paolo II sia stata quella di una sola America, senza un Nord che fosse una parte diversa del continente. Una sola America che abbia veramente questa vocazione a essere una forza di evangelizzazione e di nuova evangelizzazione. Abbiamo avuto già all’inizio del Congresso non solo una celebrazione eucaristica molto bella, ma anche un messaggio molto stimolante dal cardinale Ouellet, e poi una preziosa conferenza sulla Madonna di Guadalupe, che è l’anima di tutta l’evangelizzazione, la stella della nuova evangelizzazione in America Latina. Il prof. Carriquiry ci ha fatto un riassunto storico molto utile su come siano stati i rapporti tra il Nord America e il resto dell’America Latina. Abbiamo finito poi con una bella interpretazione del prof. Anderson della Madonna di Guadalupe. La dimensione mariana, soprattutto, è imprescindibile in America Latina per capire come la nuova evangelizzazione si sia fatta dall’inizio per Maria e si debba continuare con Maria.

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    20 anni del Catechismo: dagli Apostoli ai vescovi, i duemila anni della "tradizione" cristiana

    ◊   All’inizio della storia cristiana, la predicazione del Vangelo fu essenzialmente orale. La trasmissione per iscritto del medesimo messaggio avvenne in un secondo momento. I duemila anni di esperienza in questo senso è ciò che la Chiesa definisce “tradizione”. Un aspetto al quale il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica ampio spazio, come ricorda il gesuita padre Dariusz Kowalczyk, nella settima puntata della sua rubrica dedicata ai 20 anni dalla pubblicazione del testo:

    I cristiani professano che Dio, rivelato nella persona e nella storia di Gesù Cristo, “vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). E' quindi necessario che il messaggio di Gesù sia trasmesso a tutte le generazioni di tutti i tempi.

    Il Catechismo ricorda che la divulgazione del Vangelo è stata realizzata in due modi: oralmente e per iscritto - attraverso la predicazione degli Apostoli, e tramite gli scritti ispirati dallo Spirito Santo che formano la Bibbia. Va notato che la predicazione ha preceduto la Sacra Scrittura, ancorché abbia trovato in essa la sua espressione perfetta, la “norma suprema” della fede.

    La predicazione apostolica è stata continuata – attraverso i secoli – da vescovi e loro collaboratori. Al numero 78 del Catechismo leggiamo che “questa trasmissione viva […] è chiamata Tradizione, in quanto è distinta dalla Sacra Scrittura, sebbene ad essa strettamente legata”. Attraverso la Sacra Tradizione Dio continua a parlare con la Sposa di suo Figlio, è cioè con la Chiesa, mentre lo Spirito Santo guida i credenti verso la verità in tutta la sua interezza.

    Dalla Sacra Tradizione che viene dagli Apostoli e trasmette ciò che loro hanno ricevuto da Cristo, si distinguono le “tradizioni” devozionali o disciplinari nate nel corso del tempo nelle Chiese locali. Attraverso tali tradizioni, chiamiamole "piccole", si esprime la Tradizione grande, adeguatamente alle diverse culture e alle epoche diverse. Le tradizioni – leggiamo nel Catechismo – “possono essere conservate, modificate, oppure anche abbandonate sotto la guida del Magistero della Chiesa” (CCC 83).

    Manteniamo dunque le diverse tradizioni e devozioni religiose in quanto ci aiutano nella nostra fede, ma stiamo attenti a non offuscare in quel modo la Sacra Tradizione apostolica.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L’apocalisse che non verrà (almeno per ora): in prima pagina, José G. Funes sulla fine del mondo tra “profezia”, scienza e fede.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la capitale egiziana diventata terra di scontro tra oppositori e sostenitori di Mursi.

    La Chiesa dopo mezzo secolo: in cultura, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, su concilio e dopo concilio.

    Un articolo di Piero Benvenuti dal titolo “Storia di una fine annunciata”: le previsioni catastrofistiche di fine anno a confronto con i seri argomenti della scienza.

    La conciliazione possibile: Giulia Galeotti recensisce il libro di Helen M. Alvaré “Breaking Through. Catholic Women Speak for Themselves” appena pubblicato da Our Sunday Visitor.

    Un articolo sul reportage de “La Croix” riguardo agli 850 anni di meraviglia per Notre-Dame.

    La spiritualità cristiana del lavoro: nell’informazione vaticana, la messa del cardinale segretario di Stato per i dipendenti dell’Istituto per le Opere di Religione.

    Al servizio della pace e del bene comune: il dolore del Papa per la tragica morte dell’arcivescovo Ambrose Madtha, nunzio apostolico in Costa d’Avorio, vittima sabato di un incidente stradale.

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    Oggi in Primo Piano



    Nuovo golpe in Mali: i militari arrestano il premier Diarra

    ◊   Si aggrava la crisi in Mali. Nella notte, il primo ministro Cheick Modibo Diarra è stato arrestato nella sua casa di Bamako da militari agli ordini del capitano Amadou Haya Sanogò, subito dopo si è dimesso con un discorso in diretta tv. Il servizio di Cecilia Seppia:

    E’ di nuovo bufera in Mali: il premier Cheick Modibo Diarra ha annunciato le sue dimissioni e quelle del suo governo in diretta tv, poche ore dopo essere stato arrestato dai militari, gli stessi che lo scorso marzo, guidati dal capitano Amadou Haya Sanogò, hanno condotto un golpe nel Paese africano, rovesciando il regime di Tourè. La mossa arriva il giorno dopo la decisione dei ministri degli Esteri dell’Ue di promuovere una missione di addestramento militare, destinata ad aiutare Bamako a riprendere il controllo del Nord, in mano agli islamisti, legati ad al Qaeda. “Il premier è stato arrestato perché non lavorava nell’interesse della nazione”, spiegano in un comunicato i militari. Tra l’altro secondo fonti locali il primo ministro stava per partire alla volta di Parigi, per sottoporsi ad alcune visite mediche. Intanto, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Ue Catherine Ashton ha chiesto all’esercito di non interferire nella vita politica del Paese e ha esortato il presidente in carica a nominare presto un nuovo primo ministro. Dura la condanna della Francia che deplora il colpo di stato e torna a ribadire la necessità di una forza internazionale per stabilizzare l’area.

    Per un’analisi di quanto accaduto, Cecilia Seppia, ha chiesto un commento ad Anna Iannello, giornalista, esperta di questioni africane:

    R. – Questo secondo golpe viene dall’insoddisfazione dei militari. Sono molto scontenti, infatti, per come tutto viene condotto. Loro premono assolutamente per un’azione di forza che liberi il Mali e temono molto invece l’intervento dei Paesi della comunità africana dell’Ovest, la Cedeao, che vorrebbero intervenire con un esercito di 3300 persone. Il 22 dicembre prossimo, l’Onu dovrebbe decidere per questo intervento militare. I tempi, dunque, spingevano e probabilmente quest’azione di forza dei militari va intesa in questa direzione: fare pressione ed impedire l’azione dall’esterno.

    D. – L’arresto e le dimissioni di Diarra arrivano il giorno dopo la decisione dei ministri degli Esteri dell’Ue di promuovere una missione di addestramento in Mali, destinata proprio ad aiutare Bamako a riprendere il controllo del Nord, che è in mano agli islamisti. Quindi, questo potrebbe essere stato il movente del colpo di Stato?

    R. – Non solo questo. Ancora più importante, a mio avviso, sono gli incontri che stanno facendo il gruppo islamista Ansar Dine, il gruppo dei Tuareg, il movimento nazionale di liberazione dell’Azawad, per cercare di mettere insieme i cocci di questa divisione e trovare un accordo non militare, ma di dialogo. Secondo me, i militari hanno molta paura del fatto che si arrivi ad una situazione di pace, che non passi attraverso le armi e che dia delle concessioni pesanti alle popolazioni del Nord.

    D. – Tra l’altro, proprio questo avanzamento degli islamisti nel Nord preoccupa la comunità internazionale anche per paura di una islamizzazione di tutto il Mali…

    R. – Infatti, quello che era sul tavolo delle discussioni di martedì scorso, a Ouagadougou, era la questione della laicità del Paese. Il governo maliano aveva detto chiaramente che questo era un punto indiscutibile. E questo è un punto importante della discussione, perché Ansar Dine, che è un movimento molto forte, ma un movimento locale di Tuareg, stava discutendo proprio del fatto di riunificare il Paese e di quanto fosse possibile ritornare alla laicità nel Nord.

    D. – I militari hanno tenuto a dire che questo non è un golpe, che il presidente è ancora al suo posto e che il premier Diarra è stato arrestato, perché di fatto non lavorava nell’interesse della nazione. Vogliamo ricordare che a marzo il "copione" è stato questo più o meno questo: i militari non hanno spodestato il governo per prendere il potere, ma per dare una scossa all’esecutivo che era accusato di non fare niente per la popolazione. Quindi, ci potrebbe essere lo stesso intento dietro?

    R. – Penso che la storia si ripeta in effetti. Adesso, poi, oltretutto, a breve, il presidente - che rimane presidente - Dioncounda Traorè, dovrebbe nominare un nuovo primo ministro. Vediamo se poi sarà un primo ministro che in qualche modo soddisfa di più l’interventismo dei militari. Le due linee restano quelle dei militari che vogliono intervenire per liberare il Nord del Mali: vogliono farlo loro e non vogliono assolutamente l’intervento di Francia o degli Stati Uniti. L’altra linea, invece, è quella dei politici che comunque hanno perso un’enormità di tempo. I partiti stanno discutendo tra di loro. Secondo me, al Sud, c’è poca percezione dei rischi del Nord e c’è poca percezione di quanto stiano soffrendo le popolazioni del Nord. Vorrei ricordare che quasi 500 mila persone, dalle tre regioni del Nord occupate, hanno dovuto scappare e rifugiarsi nei campi profughi: in Mauritania, Burkina Faso e in Niger.

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    Siria: violenti scontri ad Aleppo. L’Ue riconosce l'opposizione guidata da Al-Khatib

    ◊   Un violento scontro a fuoco è esploso tra truppe fedeli al regime siriano e ribelli intorno a un'accademia militare a nord di Aleppo, dopo che l'edificio è stato preso d'assalto dai ribelli. Lo riferiscono gli attivisti dell'Osservatorio siriano dei diritti umani. Intanto l’Unione europea ha riconosciuto ieri la coalizione nazionale siriana, guidata dallo sceicco al-Khatib, come legittima rappresentante della Siria. Domani, invece, gli "Amici del popolo siriano", riuniti a Marrakesh potrebbero compiere lo stesso passo europeo e riconoscere l’opposizione. Riusciranno le varie anime dell’opposizione a ricompattarsi, parlando ad una sola voce? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Stefano Torelli, analista dell’area mediorientale per Equilibri.net:

    R. - In questo particolare momento - sia per dare l’immagine di un’opposizione effettivamente coesa, sia per motivi effettivi e pratici, quindi la necessità di avere un fronte unito contro quello che ancora oggi è il nemico comune, il regime di Bashar al Assad - è ipotizzabile e anche probabile che l’opposizione riesca, almeno di facciata, a parlare con una sola voce. Naturalmente sarà, poi, da vedere cosa succederà nel momento in cui questa situazione di stallo, che c’è attualmente, potrà finire: quindi se l’opposizione attualmente coesa rimarrà tale oppure se - come purtroppo si presuppone - nasceranno e anzi diventeranno evidenti le differenze interne che già ci sono.

    D. - La Russia continua - da parte sua - a sostenere Assad e critica, invece, la mossa europea. Quanto incide la posizione così netta di Mosca sugli equilibri internazionali che si muovono intorno alla Siria?

    R. - Da Mosca passa un po’ la soluzione o comunque l’inizio di una soluzione della questione siriana. Quindi il fatto che la Russia continui a ritenere Assad il legittimo governatore del Paese e sembra che - chiaramente questi sono rumors non ufficialmente confermati - continui anche a dare un sostengo e un appoggio materiale in termini economici, in termini - secondo alcune fonti - addirittura militari, chiaramente questo fattore continua a determinare questo stallo della situazione.

    D. - Intanto i combattimenti proseguono e il numero dei rifugiati nei Paesi vicini è salito quasi a due milioni e mezzo. Il flusso in continuo aumento rischia di destabilizzare l’intera area, ma quali sono i Paesi più a rischio in questo momento?

    R. - Sappiamo che una delle frontiere più calde o comunque delicate è quella con la Turchia. Allo stesso tempo, però, la Turchia - rispetto ad altri Paesi vicini o limitrofi della Siria - sembra anche poter far fronte meglio a questa emergenza. Io direi che sicuramente il Libano e la Giordania sono, forse per ragioni diverse, i due Paesi più a rischio. Il Libano, in particolar modo, rischia veramente di “importare” gli effetti della crisi siriana sul proprio territorio e chiaramente la presenza massiccia di profughi, che scappano dal conflitto siriano, non può che essere un elemento di minaccia in più per la stabilità del Paese.

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    Egitto, ancora manifestazioni e tensione tra fazioni pro e contro Morsi

    ◊   Continua lo stato di tensione in Egitto, nonostante la marcia indietro fatta dal presidente Morsi sul decreto che ampliava in chiave autoritaria le prerogative del capo dello Stato. Anche stamani al Cairo manifestazioni di opposte fazioni bloccano la città. Si registrano anche violenze. Ci riferisce Giancarlo La Vella:

    A piazza Taharir, luogo simbolo della primavera egiziana, la tensione è già esplosa all’alba. Dieci persone sono rimaste ferite nel corso di violenti scontri tra un gruppo di uomini armati a viso coperto e manifestanti anti-Morsi. Un’anteprima preoccupante in una giornata, quella odierna, che non si preannuncia di certo tranquilla. Tre le grandi manifestazioni in programma: due della coalizione musulmana, a favore del presidente Morsi e della svolta costituzionale islamica, un’altra dell’opposizione laica e liberale davanti al palazzo presidenziale.

    Clima bollente, dunque, a pochi giorni dal referendum sulla Costituzione del 15 dicembre prossimo, mentre il capo dello Stato ieri ha conferito all'esercito poteri di polizia, ordinando ai militari di preservare la sicurezza e proteggere le istituzioni, con la possibilità anche di arrestare civili. Intanto, c’è chi sta lavorando sul piano diplomatico per ricomporre le frizioni. L’università egiziana, Al Azhar, importante centro teologico del mondo sunnita, esorta al dialogo tra presidenza e opposizioni. Ma c’è anche chi getta benzina sul fuoco. Il leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, ha incitato l'ex candidato alle presidenziali egiziane, il salafita Hazem Abu Ismail, e i suoi seguaci a continuare la rivoluzione fino a quando in Egitto non ci sarà il dominio della sharia.

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    Il card. Sarr: il negoziato di pace in Casamance è sulla buona strada

    ◊   Un passo significativo verso la pace. Con queste parole il cardinale arcivescovo di Dakar, Theodore Sarr, ha commentato lo sviluppo avvenuto nei giorni scorsi dei negoziati in Casamance, la regione del Senegal meridionale dove due movimenti armati combattono dal 1983 per chiedere l’indipendenza dal governo centrale. Sabato scorso, otto soldati senegalesi sono stati liberati dall’Mfdc, il Movimento delle forze democratiche della Casamance. Un evento di buon auspicio secondo il cardinale Sarr, intervistato da Helene Destombes, della redazione francese della Radio Vaticana:

    R. – C’est vraiment une bonne nouvelle pour tous les sénégalais, en tout cas…
    E’ veramente una bella notizia per tutti i senegalesi e io ne sono veramente molto, molto contento. E’ davvero un motivo di sollievo e contemporaneamente di speranza. E’ un primo passo: c’erano già stati contatti preliminari, a Roma, tra una delegazione del governo del Senegal e una delegazione del Movimento di Salif Sadiò, alla presenza della Comunità di Sant’Egidio che ha svolto le funzioni di testimone. Si è trattato sostanzialmente di preliminari, eppure questo atto è una grande prima tappa che consentirà il proseguimento dei negoziati e, come noi crediamo fermamente, un loro esito positivo. C’è una seconda ala del Movimento, l’Mfdc, con il quale è necessario prendere contatti e so che questo è un momento favorevole per farlo, so che è ben disposto al dialogo. Quindi, se veramente le due principali ali del Movimento iniziano un dialogo con il governo del Senegal, penso si possa dire di essere sulla buona strada per la pace.

    D. – Quello in Casamance è uno dei più antichi conflitti armati dell’Africa. Su quali basi le due parti possono iniziare a discutere?

    R. – Sur la base, simplement, d’abord, de cesser le feu et deuxièmement de…
    Intanto, semplicemente sulla base di un cessate-il-fuoco e, in secondo luogo, sulla base di una richiesta di indipendenza. Quando si inizia un dialogo, ciascuno può avanzare le proprie richieste e il confronto consentirà di raggiungere ciò che è possibile. Io so che da parte il governo del Senegal e lo stesso presidente della Repubblica hanno sempre detto che non si tratta di mettere in discussione l’unità nazionale. Penso allora che attraverso i negoziati si possa giungere a un terreno d’intesa soddisfacente per gli uni e per gli altri, affinché la pace possa realizzarsi.

    D. – Nel gennaio scorso, lei aveva dichiarato di avere accettato la richiesta del Mfdc di svolgere il ruolo di mediatore nel dialogo con il governo, in vista di un cessate-il-fuoco. A distanza di un anno, in che cosa è consistito questo ruolo?

    R. – Ce rôle a consisté essentiellement – au nom de cette fraction qui m’avait…
    Questo ruolo, svolto nel nome della fazione che, per voce dell’imam di Biyouna, mi aveva chiesto di farlo, mi ha consentito di rivolgermi alla presidenza del Senegal. Non abbiamo avuto risposta positiva a tutte le nostre domande, ma con il cambiamento alla presidenza del Senegal penso ci sia una volontà di dialogo e di negoziato per raggiungere la pace, più chiara, più netta, più determinata. C’è stato un rallentamento nella nostra missione, ma ora è ripresa e penso veramente che presto, soprattutto dopo la recente liberazione degli otto soldati, ci saranno ulteriori risultati concreti.

    D. – Lei pensa che il conflitto sia giunto a una svolta?

    R. – Oui, un vrai tournant. Et je dis toujours à tous ceux qui je rencontre et…
    Sì, è veramente una svolta. E dico sempre, a tutti quelli che incontro e con i quali ne parlo, che da due-tre anni a questa parte abbiamo delle vere possibilità di raggiungere la pace, molto maggiori di quanto non lo fossero precedentemente. Perché le popolazioni della Casamance sono le prime a essere spossate da questo conflitto e le prime a richiedere il ritorno della pace nella regione. In secondo luogo, si può dire che anche da parte dei combattenti del Maki una certa stanchezza è palpabile e che fa sì che buoni negoziati inducano queste persone ad accettare di uscire dal Maki, di deporre le armi per firmare la pace. Ecco perché penso che oggi le possibilità della pace siano maggiori che mai e che tutti abbiamo il dovere di cogliere quest’occasione perché sia stabilita la pace.


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    Nobel Ue. L'ambasciatrice Argimon Pistre: i valori cristiani hanno plasmato l'Europa dei diritti

    ◊   In occasione della consegna del Nobel per la Pace all’Unione Europea, avvenuta ieri a Oslo, si è svolta una cerimonia nella sede Ue di Roma. Fausta Speranza vi ha incontrato Laurence Argimon Pistre, capo della delegazione dell'Unione Europea presso la Santa Sede, alla quale ha chiesto un commento sul prestigioso riconoscimento concesso all’Europa comunitaria:

    R. – C’est un grand événement…
    E’ un grande avvenimento. Oggi l’Europa ha 55 anni. E’ un’impresa che è assolutamente unica nel mondo. Nessun’altra regione geografica ha mai intrapreso un’avventura così ambiziosa per riuscire nell’impresa.

    D. – Il Nobel ha suscitato anche perplessità e critiche, per esempio sul ruolo dei leader europei attuali, giudicato troppo debole in questo tempo di forte crisi economica o in relazione alla crisi siriana. Altri hanno evocato questioni come la vendita o la produzione di armi… Qual è la sua opinione?

    R. – Il est clair que nôtre integration…
    E’ chiaro che la nostra integrazione non è perfetta, anzi. Siamo ancora in un cammino che può richiedere ancora alcuni decenni prima di poter approdare a una reale armonizzazione delle nostre politiche finanziarie, economiche e sociali. E’ sempre triste constatare che l’Europa sia ancora uno dei principali esportatori d’armi – almeno alcuni degli Stati europei. Speriamo che, con questo Nobel per la Pace, le imprese europee prendano sempre più coscienza dell’importanza di evitare di alimentare le guerre e i conflitti nel mondo.

    D. – In tempo di crisi si parla giustamente di solidarietà. E’ un valore previsto nei testi fondativi dell’Unione Europea, tuttavia nel contesto attuale vediamo quanto sia difficile metterlo in atto. Come si può bilanciare allora il bisogno di sostegno economico da parte di Paesi come la Grecia, con la necessità del rispetto delle regole che invocano i Paesi del nord Europa, come ad esempio la Germania?

    R. – C’est une question qui est salutaire…
    In realtà, è salutare, perché per la prima volta siamo obbligati a riconoscere, da un lato, l’importanza di rispettare le regole e i principi così come sono stabiliti nei Trattati e, dall’altro, il dovere di coesione e solidarietà tra gli Stati all’interno dell’Europa. E’ chiaro che, con una moneta comune, si devono applicare le regole in modo rigoroso. Per quello che concerne la solidarietà, è un principio che esiste da sempre nell’Unione Europea. Se guardiamo alla creazione dell’Unione Europea, essa è precisamente basata sul principio che i Paesi più poveri devono ricevere un contributo dagli altri per arrivare, poco a poco, a un livello simile. L’idea è quella di raggiungere ciò che in inglese si chiama “level playng field”, cioè un livello in cui tutti i Paesi poco a poco si integrino in una zona in cui sono in un sistema di concorrenza uguale. Questo è ciò che è stato fatto nel passato con i Fondi di coesione, integrando di Paesi meno sviluppati come la Romania o la Bulgaria e permettendo loro in questo modo di registrare una forte crescita. Bisogna continuare su questa linea. In effetti, i nostri valori – i valori fondamentali, i principi fondamentali dell’Unione Europea – sono basati sulla cultura europea e questa cultura, ovviamente, integra in larga parte le radici cristiane: è fondamentale che questi valori restino gli stessi, che l’Unione Europea sia veramente capace di preservare concetti così importanti come la solidarietà, il rispetto dei diritti dell’uomo, e tutte le nozioni di libertà, come la libertà di espressione, la tolleranza, che è molto importante, la libertà religiosa, che è un diritto dell’uomo fondamentale. C’è un largo riconoscimento della libertà religiosa. Credo che ciò che occorra mostrare ancor più sia la nostra capacità, in quanto europei, di aiutare i Paesi che stanno cambiando regime – come nel caso della “primavera araba” o in altri contesti – ad applicare ugualmente questi principi. E’ molto importante, e lo vediamo oggi con i problemi delle minoranze cristiane. Vediamo, con la guerra in Siria, quali rischi essa comporti per le minoranze cristiane, ma anche in Egitto, in Africa e in altre regioni. Quindi, una delle missioni che oggi l’Unione Europea si è prefissata molto chiaramente in questa nuova strategia dei diritti dell’uomo è di essere particolarmente vigile sulla questione della libertà di religione e di credo, che copre tutta una serie di strumenti: si possono applicare sanzioni economiche, commerciali, o rimodulare la nostra cooperazione con gli Stati partner, se non rispettano questo tipo di libertà. Spero non si arrivi ad applicarle ma, in ogni caso, i mezzi esistono.

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    Spread e Unione europea: confronto Monti- Berlusconi

    ◊   Spread, ruolo dell’Unione europea e futuro dell’Italia. Questi i temi del confronto a distanza, stamani in tv, tra il premier Mario Monti e Silvio Berlusconi. Sullo sfondo i dati preoccpanti forniti da Confindustria, che allontana la ripresa al 2014, teme l’effetto della campagna elettorale e prevede una pressione fiscale in crescita fino al 53,9%. Dunque, cosa è più urgente fare e come valutare le variazioni dello spread: un imbroglio, come sostiene Berlusconi, o una questione seria, come dice Monti? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Marco Lossani, economista all'Università Cattolica di Milano:

    R. - Ritenere lo spread un indicatore falso, mi sembra una affermazione molto audace, anche se talvolta può essere soggetto a fenomeni di euforia o di panico. Ci potrà anche essere il ruolo della speculazione, ma il mercato comunque reagisce anche a notizie che dipendono dal quadro politico. Da questo punto di vista, dobbiamo preoccuparci.

    D. - I progressi sono stati fatti, ma non c’è stata crescita: “Era ovvio”, dice il premier Monti, e dall’altra Berlusconi ribatte: “E’ colpa di una politica troppo germanocentrica”. Dunque, cosa si poteva fare in realtà?

    R. - Sicuramente, è vero che la mancata crescita italiana va ricercata in tutta una serie di motivi, che risalgono a molto tempo fa. E’ del tutto evidente che una politica di austerità fiscale non può produrre, nel breve periodo, crescita e questo lo sapevamo sin dall’inizio: se però il mercato, che detiene buona parte dei nostri titoli di Stato, a un certo momento chiede determinate misure, o noi cerchiamo di andargli incontro oppure ci chiamiamo fuori. A questo punto, però, o siamo autosufficienti, o altrimenti andiamo verso un default.

    D. - Anche i dati di oggi, tra Confindustria e Istat, non dicono cose positive: la ripresa si allontana, il Paese è anche nella paura di ciò che può accadere. Quali sono i rischi reali e cosa tutelare affinché ciò che è stato fatto di buono non vada perduto?

    R. - I timori ci sono tutti! Tenga presente che a legislazione vigente, l’anno venturo il nostro Paese avrà bisogno di altri 26 miliardi di risorse per coprire i conti della finanza pubblica. La cosa che è assolutamente da fare è fare in modo che nell’arco di poco tempo questo Paese possa avere un governo credibile per portare avanti l'opera di risanamento della finanza pubblica e di ricerca di una maggiore efficienza del sistema economico.


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    Emergenza freddo. Mons. Feroci: Roma apra il suo cuore agli homeless

    ◊   A Roma, come nel resto dell’Italia, è emergenza freddo per i senza fissa dimora. Per questo, da alcuni giorni, la Caritas romana, assieme alle parrocchie cittadine, ha varato un “piano freddo” per venire incontro alle difficoltà degli homeless. In particolare, è stato lanciato un appello per la donazione di coperte e sacchi a pelo ed è stato rafforzato l’impegno delle équipe notturne di volontari che presidiano le zone in cui i clochard rischiano di rimanere isolati. Su queste iniziative, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore della Caritas di Roma, mons. Enrico Feroci:

    R. – Abbiamo voluto, già a fine novembre, inviare una comunicazione, una sollecitazione alle parrocchie, ai cristiani della città, perché avessero gli occhi aperti e attenti nei momenti difficili per tante persone che vivono in strada. Quando io dico la cifra – tra 6 e 7 mila persone dormono all’aperto o in rifugi improvvisati - si rimane sempre sconcertati perché sembrano cifre enormi. Invece è la realtà! Nella diocesi di Roma abbiamo 336 parrocchie: se ogni parrocchia aprisse i propri spazi per pochi posti – quattro-cinque – e provassimo a moltiplicare, già avremmo tanti posti in più per poter dare rifugio alle persone che si trovano in grosse difficoltà.

    D. – Una delle iniziative fondamentali, in questo contesto, è quella delle équipe notturne di volontari che vanno a cercare queste persone …

    R. – C’è un’équipe di persone che cercano di rendersi conto della situazione: se non ci si rende conto che il freddo è troppo intenso, le persone potrebbero trovarsi in grandissima difficoltà. Io vorrei che tutti i cristiani aprissero gli occhi, si rendessero conto: ci sono tante persone nella nostra città, tante persone che sono in difficoltà e tante persone che si adoperano in favore degli ultimi. Sono le due facce della medaglia: la povertà e la ricchezza del volontariato, della disponibilità delle persone. E credo che potrebbero esserci tante altre persone che potrebbero fare altrettanto.

    D. – Ogni anno, quando finisce il freddo si contano purtroppo i morti tra i senza fissa dimora. In questo senso, qual è la sua speranza?

    R. – Il mio augurio è che quest’anno proprio non ci siano vittime: per questo, ci siamo mossi per tempo, abbiamo suggerito, stiamo dicendo ovunque andiamo – in tutte le parrocchie – di aprire gli occhi e di aprire la porta. Bisogna vedere, guardare e fermarsi: aprire il cuore e l’attenzione verso l’altro.


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    Il presidente Napolitano sulla sanità: chi ha di più contribuisca maggiormente

    ◊   Il Servizio sanitario nazionale vede l’Italia come uno dei Paesi “più avanzati”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo a Roma, alla relazione sullo stato sanitario. Per il capo dello Stato non bisogna abbandonare questa scelta di civiltà, anche se servono maggiori controlli sul privato. Ce ne parla Alessandro Guarasci:

    Le risorse per la sanità sono in calo da anni, quindi si deve tagliare. Ma il presidente Giorgio Napolitano fa notare che “bisogna non regredire, né abbandonare la scelta di civiltà del sistema pubblico”:

    “Chiedendo anche ai cittadini che sono in condizione di dare maggiori contribuiti, di darli anche al finanziamento di un sistema sanitario pubblico in larga misura, ma fondato anche sul privato”.

    Il capo dello Stato aggiunge che la sanità privata “deve sottostare a regole più severe e controlli più oculati di quanto fatto per lungo tempo”. Il rapporto presentato oggi mette in luce come il disavanzo totale in sanità nel 2011 sia ammontato a 1.7 miliardi di euro. Gli ospedali sono passati da 638 del 2009 a 596 del 2011. Per il ministro della Salute, Renato Balduzzi, il taglio dei posti letto varato dal governo non vuol dire meno qualità:

    “Quello che si vuol fare non è tagliare, ma riorganizzare e ristrutturare: la qualità dei servizi non deve essere modificata, ma deve anzi essere migliorata, mettendo meglio insieme l’ospedale, il territorio e il pronto soccorso. Lo so che può essere difficile comprenderlo, però credo che nel nostro Paese ci siano molte persone in grado di spiegarlo”.

    Necessaria anche maggiore prevenzione. Ad esempio sull’alimentazione: quattro italiani su dieci sono, infatti, in sovrappeso.

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    Progetto GreenAccord, le famiglie e i consumi ecosostenibili

    ◊   Sono oltre 300 le famiglie coinvolte nel progetto “La Terra è casa tua”, promosso dall’associazione GreenAccord Onlus, insieme alla diocesi di Napoli, alcune associazioni familiari della Lombardia e in collaborazione con la Fondazione Cariplo, i cui i risultati saranno presentati questa sera a Milano, nell’ambito di un convegno dedicato al beato Giovanni Paolo II sul tema “L’amore per il Creato. A lezione da Wojtyla”. Obiettivo dell’iniziativa è stato quello di verificare l’impronta ecologica, cioè il calcolo dettagliato dei consumi di una famiglia nell’arco di un anno, per capire come evitare gli sprechi per salvaguardare il pianeta. Marina Tomarro ha intervistato Andrea Masullo, direttore scientifico di Greenaccord Onlus e responsabile della ricerca:

    R. - Abbiamo cercato di ricostruire uno spaccato rappresentativo. Abbiamo organizzato un gruppo di circa 100 famiglie a Napoli, un secondo gruppo a Brescia e poi, come confronto, abbiamo organizzato un gruppo composto da persone provenienti da diversi comuni, quali Milano, Bergamo, Cremona, Varese. Abbiamo fatto un monitoraggio molto dettagliato sui consumi e un invito a modificare, attraverso suggerimenti che abbiamo mandato, i propri stili di vita. Poi abbiamo verificato i risultati, che sono stati veramente sorprendenti anche per noi.

    D. - In che modo questi gruppi familiari hanno vissuto durante questo periodo?

    R. - L’impegno è stato veramente molto grande, perché i questionari che abbiamo mandato prevedevano una analisi dettagliata dei consumi quotidiani, nell’arco di un intero mese. Devo dire che già questo ha portato a una distinzione nel comportamento fra i tre gruppi. Il gruppo formato maggiormente in ambito diocesano e quindi molto motivato come appartenenza alla Chiesa, ha dato una risposta eccellente. Anche il gruppo di Brescia ha dato un’ottima risposta, però ha cominciato un pochino a cedere sul secondo monitoraggio. Il gruppo Lombardia, già inizialmente ha avuto una perdita di circa il 50 per cento delle adesioni. Questo è già un risultato interessante e vuol dire che dove c’è un impegno della Chiesa locale a veicolare questo messaggio, la risposta è straordinaria.

    D. - In che modo hanno modificato le proprie abitudini di vita?

    R. - E’ stata - ad esempio - ridotta la potenza elettrica impegnata nelle case, semplicemente prendendo le lampadine a più basso consumo. Un altro impegno particolare e molto significativo è che ben 9.000 chilometri di percorsi e di trasporti che prima queste famiglie effettuavano con i mezzi privati sono stati trasferiti al mezzo pubblico e ai mezzi più ecologici, come la bicicletta. Poi, ci sono stati ben 257 spegnimenti degli stand-by. Ancora nelle abitudini pratiche: abbiamo avuto, in campo alimentare, una riduzione di ben 250 chilogrammi di consumo di carne rossa al mese e una forte riduzione del consumo di prodotti surgelati. Queste famiglie hanno preso sul serio la responsabilità individuale rispetto alle grandi questioni globali: una responsabilità etica nei confronti del resto del mondo, nei confronti delle generazioni future.

    Al progetto ha collaborato anche la Fondazione Cariplo. La vice presidente Mariella Enoc:

    "La Fondazione Cariplo ha avuto grande attenzione per questo aspetto, proprio perché per salvaguardare il nostro territorio - e in termini più vasti, indubbiamente, la terra, che appartiene a tutti - c’è bisogno di alcune azioni, anche molto concrete. Io credo che in questo momento, in cui molte cose non possono più essere possedute, la riscoperta della bellezza e di quello che ci sta intorno sarà anche una riconquista che noi dobbiamo aiutare le famiglie a compiere. In particolare, educando i giovani a capire soprattutto il valore anche economico dell’ambiente, così che possano ritornare a riappropriarsi di quello che sta loro intorno in maniera più responsabile".

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    Diritti umani. L'Acat premia tesi di laurea di due giovani contro la tortura

    ◊   Ieri, in occasione della Giornata Internazionale dei Diritti Umani, l’Acat - Azione Cristiani per l’Abolizione della Tortura - ha promosso un seminario sul tema e premiato due giovani distintisi nella redazione di tesi di laurea contro la tortura o la pena di morte. Al microfono di Luca Attanasio, il pastore valdese Paolo Ricca, il prof. Mauro Palma, già presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura, e Massimo Corti, del direttivo di Acat, spiegano il valore dell’iniziativa:

    D. - Prof. Paolo Ricca, Acat parte dal principio che Gesù Cristo sia il prototipo del torturato, del condannato a morte…

    R. - Il fatto che Gesù sia stato torturato è certamente un emblema di un’umanità torturata da un’altra umanità. Nodo fondamentale è proprio capire la complessità della creatura umana, che è capace di bene ma è anche capace di grandi atrocità. Noi, che crediamo che Dio è diventato uomo, ci proponiamo di dire che è possibile un’umanità diversa da quella che tortura, da quella che uccide.

    D. - Prof. Mauro Palma, si dice che la tortura sia un fenomeno lontano da noi…

    R. - In Italia, la tortura è pronta a ripresentarsi. Non voglio dire che esiste come normale pratica, però nelle situazioni di eccezione la tortura è pronta a ripresentarsi.

    R. - In Italia, poi, non riusciamo a inserirla come reato penale nel nostro codice…

    R. - Sì, è un problema grave. Questo non significa che noi non perseguiamo i reati di violenza gravissima, ma li perseguiamo con figure di reato deboli, che non hanno quel valore simbolico che un reato di tortura avrebbe. E poi sono di rapida prescrizione.

    D. - Massimo Corti, ogni anno due premi a due giovani…

    R. - Il premio di laurea che Acat ha istituito per tesi sui diritti umani ha il significato di un’attività di apostolato. Noi vogliamo che i giovani pensino che esiste questo argomento, ci meditino e "digeriscano" l’argomento dei diritti umani, l’argomento dell’amore per il prossimo.

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    Compie 50 anni il progetto "Giusto tra le Nazioni". Intervista con l'ambasciatore Evrony

    ◊   Il progetto “Giusti tra le Nazioni” compie 50 anni. L’evento viene celebrato nel pomeriggio nell’Ambasciata d’Israele a Roma, in occasione della Festa ebraica di Chanukkà. Presenti alla cerimonia, i presidenti di Camera e Senato del Parlamento italiano, Renato Schifani e Gianfranco Fini. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Nel 1962, lo Yad Vashem, l’Istituto per la memoria della Shoah, nato a Gerusalemme nel 1953, inaugurava il “Viale dei Giusti”, dove tutt’oggi vengono piantati alberi in onore di quanti - negli anni delle leggi razziali e delle deportazioni di massa nei campi di sterminio nazisti - non esitarono a mettere a rischio la propria vita e sovente quella dei loro cari per salvare gli ebrei dalle persecuzioni e dalla morte durante l’Olocausto. Eroi, per lungo tempo anonimi, che il progetto “Giusti tra le Nazioni” ha posto in luce quale esempio per l’intera umanità, a riscatto di un periodo tanto buio della storia moderna. Ma quale importanza riveste oggi la memoria dei fatti della Shoah? Lo chiediamo all’Ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, dott. Zion Evrony:

    “Ricordare la Shoah e trasmettere il ricordo alle generazioni future è una sfida di grande importanza per far sì che l’orrore non si ripeta mai più. Coltivare la memoria collettiva di un evento così traumatico e unico è una necessità, perché con il trascorrere del tempo i sopravvissuti scompaiono e il ricordo dei fatti potrebbe sbiadire”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Filippine: domani voto decisivo su Legge controllo nascite. Protestano cattolici e pro-life

    ◊   Dopo 14 anni di dibattiti domani il Congresso filippino voterà sulla legge per il controllo delle nascite, che prevede la diffusione di pillole abortive e contraccettivi. Per la Chiesa essa è un "preludio a una legge sulla legalizzazione dell'aborto". La seduta si terrà il giorno della festa della Vergine di Guadalupe, patrona dei non nati. Secondo fonti dell'agenzia AsiaNews, tale scelta "è una provocazione deliberata contro i cattolici", da sempre contrari alla norma. Ieri la Conferenza episcopale filippina ha confermato la presenza dei suoi delegati durante la votazione, per garantirne la trasparenza ed evitare eventuali colpi di mano in caso di una maggioranza risicata del "si". In un comunicato, padre Melvin Castro, segretario per la Commissione famiglia e vita, ha invitato tutti i credenti a pregare e manifestare contro l'approvazione del decreto. Per l'occasione si celebrerà una messa nella parrocchia di S. Peter, a pochi isolati dalla sede del Congresso. Dopo la funzione i cattolici terranno una processione per il quartiere di Batasan (Quezon City, Manila). Oggi il card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, ha annunciato una veglia di preghiera al santuario di Nostra Signora di Guadalupe di Makaty City. Partiti e associazioni pro-life hanno invece in programma una serie di manifestazioni e sit-in davanti all'ingresso del parlamento. Dopo varie modifiche la legge che si voterà domani rifiuta l'aborto clinico, ma promuove un programma di pianificazione familiare che invita le coppie a non avere più di due figli. Essa permette in alcuni casi l'obiezione di coscienza, ma allo stesso tempo favorisce la sterilizzazione volontaria. Chiesa e associazioni cattoliche sostengono invece il Natural Family Programme (Nfp), che mira a diffondere tra la popolazione una cultura di responsabilità e amore basata sui valori naturali. Il disegno di legge è promosso soprattutto dalle grandi organizzazioni internazionali, come ad esempio Onu e Unicef, che legano l'alto tasso di natalità alla povertà del Paese. I Paesi che non si attengono a tali norme perdono il diritto a ricevere aiuti umanitari. Il dibattito al Congresso sulla Reproductive Health è in corso da quattro anni, ma decreti simili erano già stati presentati alla fine degli anni '90 e rigettati dall'allora presidente Gloria Arroyo, più vicina alle posizioni dei cattolici. Con la salita al potere di Benigno Aquino nel 2010, le pressioni per un'approvazione immediata sono cresciute. Nei giorni scorsi il presidente ha ribadito la necessità di una norma che controlli l'alto tasso di natalità - 24,8 nascite ogni 1000 abitanti - sottolineando che la sovrapopolazione è il principale fattore responsabile della crisi economica del Paese. (R.P.)

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    Regno Unito: cattolici e anglicani contro la ridefinizione del matrimonio

    ◊   “Le conseguenze del cambiamento non sarebbero utili per la società nel suo complesso”: è il giudizio espresso in una nota della Chiesa d’Inghilterra in merito alle intenzioni espresse del Premier britannico David Cameron a favore della ridefinizione del matrimonio — che diventerebbe un atto di unione tra due persone e non tra marito e moglie — e anche della celebrazione nelle chiese delle unioni fra persone dello stesso sesso. Il Governo sta infatti sostenendo una proposta che prevede che “nessuno debba restare escluso dall’istituto del matrimonio”, precisando che le comunità religiose che si opporranno, non saranno comunque costrette a celebrare tali unioni all’interno dei propri luoghi di culto. La comunità anglicana, assieme a quella cattolica – riporta L’Osservatore Romano - conducono una campagna in difesa del del matrimonio tradizionale, quale unione fra un uomo e una donna, sottolineando al contempo il rispetto per la dignità di tutte le persone. La nota ricorda che il matrimonio tradizionale “contribuisce in maniera significativa al bene comune e la nostra difesa è motivata da una preoccupazione per il bene di tutti nella società”. La specificità del matrimonio, aggiunge, consiste nel fatto che esso “incarna in maniera evidente e oggettiva la distinzione tra un uomo e una donna” e questa distinzione e complementarietà “è resa ancora più esplicita nell’unione biologica tra l’uomo e la donna che potenzialmente può giungere alla procreazione”. Il rischio segnalato dalla Chiesa anglicana è che l’inclusione delle unioni fra persone dello stesso sesso porti a “indebolire” questa tradizionale definizione del matrimonio. “Cambiare la natura del matrimonio per tutti — conclude la nota — comporterà divisioni e non porterà ulteriori guadagni dal punto di vista legale, rispetto ai diritti che sono già riconosciuti nell’ambito delle unioni civili”. In un’intervista rilasciata al “Daily Telegraph” il 27 gennaio di quest’anno, l’arcivescovo di York, John Sentamu, aveva affermato, che i vescovi anglicani ammettono “la possibilità di riconoscere a livello civile le convivenze, perché crediamo che siano comunque buone per tutti. Ma trasformare una convivenza domestica registrata in un matrimonio non spetta al Governo, che non può creare istituzioni che non sono di sua competenza”. (R.P.)

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    Congo: aiuti della Caritas per le vittime delle violenze sessuali nei campi profughi

    ◊   Sono decine i casi di violenza sessuale contro le donne rifugiate nei campi per sfollati nei pressi di Goma, capoluogo del Nord Kivu, la provincia nell’est della Repubblica Democratica del Congo sconvolta da mesi dalle violenze dei guerriglieri dell’M23 e di diversi altri gruppi armati. Secondo Caritas Goma tra il 20 e il 30 novembre sono stati registrati 17 casi di violenza sessuale nei confronti di donne e ragazze accolte nel campo di Mugunga 3, alla periferia ovest di Goma. Le vittime hanno riferito che gli autori di questi atti erano uomini armati non identificati, visto che nella provincia sono presenti truppe regolari dell’esercito congolese, ribelli e gruppi Mai-Mai (milizie di “autodifesa” che in diversi casi hanno perso lo scopo originario e si sono date al banditismo o alla guerriglia). Le 17 donne sono state prese in carico da Caritas Goma, grazie ad un fondo donato da Caritas Australia. Alcune sono state curate al Centro sanitario Afia Mugunga e i casi più gravi sono stati trasferiti al Centro specializzato di Carmel. Il programma di cura e recupero delle donne vittime di violenza sessuale prevede quattro aspetti: medico, psicologico e sociale, socio-economico e giuridico. L’aspetto sociale è particolarmente doloroso perché come spiega Lycie Baganda, animatrice del programma Violenze sessuali di Caritas Goma, “per paura di essere respinte dalla comunità, molto spesso le donne violentate non denunciano. Vengono da noi solo i casi più gravi o conosciuti”. La piaga delle violenze sessuali nell’est della Rdc è uno dei crimini più gravi e nascosti della guerra nell’area. (R.P.)

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    Congo: Natale solidale di Intersos per l'educazione di 400 ex bambini soldato

    ◊   Nel villaggio di Duru, estremo nord della Repubblica Democratica del Congo, 400 ex bambini soldato tra i 7 e i 16 anni aspettano di riprendere la scuola dopo la prigionia nella foresta, per superare i traumi delle violenze fisiche e mentali subìte. A questo fine l’organizzazione umanitaria Intersos destinerà il ricavato della vendite natalizie delle cioccolate spalmabili “Bio” ed “equo-solidale”. Il programma di protezione e recupero psicologico comprende una retta scolastica e kit con quaderni, uniformi e zaini; corsi di formazione sui diritti dei minori per 83 insegnanti, lezioni pomeridiane e sostegno post-traumatico alle vittime. Il team di assistenti psico-sociali lavora in otto scuole. Per garantire il cibo ai bambini sono stati istituiti orti scolastici curati da genitori e insegnanti. Vi sono biblioteche mobili disponibili per ogni classe. “I bambini più fortunati difendono i più deboli tramite i ‘Club Scolaire’ - spiega Veronique, operatrice d’Intersos -, gruppi misti di 12 studenti che segnalano casi di abusi e soprusi da parte di adulti o compagni. Molti ex bambini soldato portano ferite psicologiche che vanno curate, alcuni sono aggressivi, altri non parlano e tutti hanno bisogno di attenzioni speciali”. (R.P.)

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    Unicef: nel 2012 nel Sahel curati 850mila bambini affetti da malnutrizione acuta grave

    ◊   Secondo un rapporto dell''Unicef, si prevede che, nel corso del 2012, più di 850.000 bambini di nove Paesi della regione del Sahel avranno ricevuto cure salvavita contro la malnutrizione acuta grave. Si tratta di una proiezione effettuata sulla base del fatto che più di 730.000 bambini sotto i 5 anni di età sono stati curati presso i Centri tra gennaio e la fine di settembre. L'Unicef, nel dicembre 2011, aveva lanciato alla comunità internazionale un allarme: circa 1,1 milioni di bambini avrebbero sofferto di malnutrizione acuta grave nel Sahel ed avrebbero necessitato di aiuti specifici. Con i governi, le altre agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie, uno dei più grandi sforzi umanitari nella regione è stato portato avanti grazie al sostegno di importanti donatori e agli appelli di raccolta fondi lanciati dai Comitati Nazionali per l'Unicef – tra cui quello italiano. Secondo il rapporto, i primi finanziamenti da parte di donatori - come il Governo svedese e danese, l'Unione Europea e l'Usaid - sono stati utilizzati per alimenti terapeutici pronti all'uso. Tuttavia, durante tutto l'anno, sono state affrontate sfide significative per raggiungere coloro che sono fuggiti nei Paesi vicini a causa del conflitto in Mali, dell' insicurezza e di gravi inondazioni. Anche se le piogge sembrano favorire la produzione dei raccolti nella maggior parte delle sub-regioni, le famiglie possono impiegare anche due anni per riprendersi dalla perdita degli animali e devono pagare prezzi elevati per avere un po' di cibo, per un periodo di tempo prolungato. Inoltre, la malnutrizione infantile è una condizione che erode costantemente la capacità di assorbire le sostanze nutrienti. "Purtroppo non esistono vaccini contro la malnutrizione acuta grave", ha dichiarato Manuel Fontaine, direttore regionale dell'Unicef. "Molti bambini delle famiglie più povere nel Sahel devono affrontare cicli che regolarmente mettono la loro vita in pericolo. Nel 2012 un enorme sforzo ci ha permesso di dare ad ogni bambino - che è potuto arrivare a un Centro di cure - il trattamento appropriato. Ma abbiamo bisogno di arrivare ad una condizione in cui siano in piedi sistemi (di protezione) più solidi e i Centri per il trattamento vedano molti meno bambini". (R.P.)

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    Conferenza di Doha sul clima: si a "Kyoto II" ma senza i grandi inquinatori

    ◊   “Chiediamo ai politici riuniti a Doha: su quale pianeta vivete? Certamente non su quello in cui le persone muoiono per alluvioni, tempeste e siccità. E neppure su quello in cui le energie rinnovabili stanno crescendo rapidamente e limiti e vincoli vengono progressivamente opposti all’uso delle fonti sporche come il carbone. I negoziati di Doha si annunciavano già come poco significativi ma hanno finito per deludere anche le più modeste aspettative”. Le parole di Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International, non lasciano spazio a dubbi: dopo due settimane di negoziati quanto emerso nel fine-settimana dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima di Doha (Cop 18/Cmp8) con il cosiddetto “Doha Climate Gateway” – dicitura (‘gateway’, passaggio) che ne sottolinea l’aspetto transitorio – non risponde ad alcun criterio di “urgenza” nella lotta contro i mutamenti climatici. L’estensione fino al 2020 del Protocollo di Kyoto, unico trattato internazionale con obiettivi vincolanti per la riduzione dei gas nocivi in scadenza il prossimo 31 dicembre, ha registrato tuttavia il netto rifiuto dei principali inquinatori: a fronte di un impegno a un ulteriore riduzione dei gas nocivi sottoscritto da Unione Europea, Svizzera, Norvegia e Australia, Stati Uniti (mai firmatari), Canada, Giappone, Russia e Nuova Zelanda si sono tenuti fuori e lo stesso hanno fatto gli emergenti Cina, India, Brasile, Messico e Sudafrica. Kyoto II coprirà così appena il 15% delle emissioni complessive di Co2, non abbastanza per impedire che il surriscaldamento del pianeta superi i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. Sul secondo punto, quello degli aiuti al Sud del mondo per fare fronte ai mutamenti climatici, è stato rivolto un appello al Nord affinché siano stanziati almeno 10 miliardi di dollari l’anno tra il 2015 e il 2020, periodo durante il quale si dovrebbe arrivare alla stesura di un nuovo accordo globale vincolante e alla sua entrata in vigore. Per i finanziamenti, tutto è rinviato al prossimo summit sul clima in programma nel 2013 a Varsavia. Secondo dati presentati a Doha, nel 2012 le emissioni di Co2 hanno raggiunto 35.600 milioni di tonnellate, +2,6% rispetto al 2011 e + 58% rispetto al 1990, anno in cui il Protocollo di Kyoto nasceva fissando come obiettivo la riduzione delle emissioni nocive di poco più del 5% entro il 2000. “Gli Stati Uniti – osserva Greenpeace – rimangono fuori dal Protocollo e, nonostante i recenti disastri dell’uragano Sandy e un’opinione pubblica sempre più schierata sul tema dei cambiamenti climatici, la squadra di Obama non ha mostrato alcun segno di accresciuta consapevolezza. In questo quadro le grandi economie emergenti come Cina, India, Sud Africa e Brasile ancora non dimostrano il loro potenziale positivo di intervento. Tutti questi attori potrebbero prendere esempio dalla Repubblica Dominicana che, non avendo neppure una minima parte delle loro risorse economiche, si è impegnata a ridurre del 25% le emissioni di gas serra al 2030 rispetto ai livelli del 1990, unilateralmente e attraverso fondi nazionali”. (R.P.)

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    Egitto: posticipato l'incontro dei vescovi cattolici con il patriarca Tawadros

    ◊   E' stato posticipato a dopodomani l'incontro programmato per oggi tra una delegazione di vescovi cattolici egiziani e il Patriarca copto ortodosso Tawadros II. Il rinvio viene confermato all'agenzia Fides dal vescovo di Assiut, Kyrillos William, vicario patriarcale dei copti cattolici. “In quell'occasione” aggiunge a Fides Anba Kyrillos “ci consulteremo anche per concordare una linea comune davanti al referendum costituzionale, all'antivigilia della sua eventuale celebrazione”. Il vescovo copto cattolico tiene a sottolineare che anche davanti agli ultimi sviluppi della crisi egiziana i leader delle Chiese cristiane hanno puntato a condividere una posizione unitaria: ”I capi delle Chiese cattoliche” racconta a Fides Anba Kyrillos “erano stati contattati e invitati uno per uno a presenziare alla cerimonia di consegna della bozza di Costituzione al Presidente Morsi. Ci siamo consultati con i nostri fratelli copti ortodossi e protestanti, e abbiamo deciso di non andare. La stessa cosa è accaduta quando il Presidente Morsi ha convocato le Chiese a intervenire al dialogo con le parti sociali e le opposizioni. Davanti al referendum, sentiremo cosa ci dirà Tawadros. E aspettiamo di vedere anche cosa succede oggi, con le manifestazioni contemporanee indette dagli oppositori e dai sostenitori della nuova Costituzione”. Secondo il vescovo di Assiut, l'impianto della nuova Costituzione non rispecchia il desiderio di tutti gli egiziani, ma solo la prospettiva egemonica di un partito: “Davanti a tale scenario, c’è chi dice che occorre boicottare il Referendum e chi invece sostiene che bisogna partecipare e votare no. Valuteremo le ragioni degli uni e degli altri. Orienteremo le coscienze. Ma presumo che in quanto Chiese non daremo ai nostri fedeli indicazioni prescrittive su cosa fare”. Secondo Anba Kyrillos, la scelta di non fornire prescrizioni vincolanti di voto sarà presumibilmente seguita anche dai vertici della Chiesa copta-ortodossa, e corrisponde a una nuova declinazione del rapporto tra gerarchie e fedeli davanti alla politica: “Anche i nostri fratelli copti ortodossi hanno imparato dalle lezioni del passato. Papa Tawadros, sollecitato dalle autorità politiche a coinvolgere la Chiesa copta nel sostegno al dialogo nazionale, ha risposto che la Chiesa è un'istituzione religiosa e che il dialogo politico spetta ai gruppi politici e sociali. Vedo una apprezzabile discontinuità con il passato. Il predecessore, Papa Shenuda, aveva un suo carisma di leader anche politico, che si era visto nei suoi scontri con i Presidenti egiziani. Ma ciò ha comportato anche sul terreno politico una certa dipendenza dei fedeli dalla gerarchia, che parlava a nome loro. Con la Rivoluzione del 25 gennaio, anche i cristiani copti hanno scoperto di poter essere protagonisti delle scelte politiche, e non esecutori delle indicazioni della gerarchia. Noi dobbiamo servire i fedeli orientando alla verità, riconoscendo che in politica i cristiani sono cittadini come gli altri e sono maturi per compiere in libertà le loro scelte, seguendo la loro coscienza formata e avvertita”. (R.P.)

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    Siria: Campagna di vaccinazioni contro morbillo e polio per più di un milione di bambini

    ◊   Vaccinare un milione e 400 mila bambini contro polio e morbillo nel Paese colpito dai conflitti armati è l’attuale obiettivo dell’Unicef. Finora ne sono stati raggiunti oltre 500 mila. I dati raccolti in 11 delle 14 regioni siriane mostrano che dall’inizio della campagna, lo scorso 26 novembre, oltre 630 minori di 5 anni hanno già ricevuto i farmaci contro la polio, e oltre 510 mila tra 1 e 5 anni, sono stati vaccinati contro il morbillo. Inoltre ai bambini con meno di 1 anno è stata somministrata anche una dose di vitamina A, che contribuisce a ridurre la mortalità per infezioni respiratorie acute e diarrea. Sebbene siano stati distribuiti vaccini in circa 1200 Centri di assistenza primaria, l’obiettivo principale sono le famiglie e i bambini che si trovano in rifugi provvisori in tutto il Paese. Gli operatori stanno cercando di raggiungerli attraverso 100 equipe mobili. Un comunicato della Nazioni Unite mette in rilievo la difficoltà di raggiungere fisicamente le città dove vaccinare i piccoli. Già lo scorso aprile, nel corso della Settimana Mondiale delle Vaccinazioni, l’UNICEF ha vaccinato in Siria oltre 284 mila bambini. (R.P.)

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    Canada: messaggio dei vescovi per la Giornata dei popoli autoctoni

    ◊   “Santa Kateri Tekakwitha: un modello per amare e seguire Gesù”. E’ dedicato alla prima santa indiana d’America, beatificata da Giovanni Paolo II nel 1980 e canonizzata lo scorso 21 ottobre da Benedetto XVI, il messaggio dei vescovi canadesi per la tradizionale Giornata nazionale di preghiera per i popoli autoctoni che sarà celebrata in Canada il 12 dicembre, Festa della Vergine di Guadalupe, Patrona delle Americhe. Nel messaggio i presuli sottolineano come la vita e la morte della nuova santa siano un esempio per tutti i cristiani in quanto incarnazione perfetta delle Beatitudini evangeliche che sono al cuore stesso dell’insegnamento di Cristo. Kateri era infatti “povera in spirito”, perché condusse una vita “semplice e austera” fedele a Gesù, ma anche alle tradizioni del suo popolo; era “afflitta”, perché di salute cagionevole e sofferente dei postumi del vaiolo che aveva ucciso i suoi genitori e il suo fratellino e aveva fame e sete della giustizia di Dio. Di lei – continua la lettera - si ricorda poi la grande mitezza, misericordia e purezza di cuore. Inoltre per la sua conversione al cristianesimo fu perseguitata e allontanata dalla sua comunità. Queste straordinarie virtù - sottolineano quindi i vescovi canadesi - sono state ricordate dal Beato Giovanni Paolo II in occasione della sua beatificazione, il 22 giugno 1980, e da Benedetto XVI alla sua canonizzazione il 21 ottobre scorso. Citando le parole del Santo Padre, i vescovi canadesi esprimono in conclusione l’auspicio che Kateri possa offrire la “testimonianza di una vita generosamente donata per amore di Cristo e sostenere la Chiesa universale e ciascuno di noi nella missione di annunciare il Vangelo al mondo”. A questo scopo invitano i fedeli a riscoprire e ad approfondire la conoscenza di questa grande santa. Appartenente alla Nazione Mohawk (Lega Irochese), nata nel territorio dell’attuale Stato di New York nel 1656, Caterina Tekakwitha si convertì al cristianesimo a vent'anni ricevendo il battesimo nel 1676 vicino a Montreal, in Québec, dove morì ad appena 24 anni nel 1680. Le sue reliquie sono conservate presso la Missione San Francesco Saverio di Kahnawake, vicino a Montreal. La sua festa viene celebrata il 14 luglio ed è patrona dell'ecologia insieme a San Francesco d'Assisi. Santa giovane, è stata protagonista alla Gmg di Toronto nel 2002. (L.Z.)

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    Messico: appello dei vescovi contro l'aumento della violenza a Coahuila

    ◊   Il vescovo della diocesi di Saltillo, Mons. José Raul Vera Lopez, ha chiesto un patto per far cessare definitivamente la violenza della criminalità organizzata a Coahuila e in tutto il Messico, inoltre ha chiesto al Presidente Enrique Peña Nieto di applicare con maggior rigore la giustizia e di sostenere le disposizioni del Governo in questa crisi di insicurezza che è cresciuta con il cambio di governo. Solo nello scorso fine settimana sono stati commessi 14 omicidi nella zona, tra cui quello di un imprenditore minerario molto conosciuto che è stato torturato prima di essere assassinato. Dal 2011 la Commissione Nazionale dei Diritti Umani in Messico, la Segreteria Federale del Lavoro, insieme a Mons. Vera López e agli ultimi tre Governatori della zona, hanno messo in guardia sul fatto che le forze del narcotraffico sono riuscite ad infiltrarsi nell'attività miniera di Coahuila. Secondo dati raccolti da Fides, la violenza è in aumento: 145 i morti “ufficiali”, negli ultimi 6 anni, registrati nelle miniere del Coahuila. “Il patto deve essere definitivo - ha detto Mons. Vera Lopez parlando alla stampa locale -. Vorrei chiedere al nuovo regime di rafforzare l'amministrazione della giustizia, cosa che il vecchio regime non ha fatto fino in fondo. La causa è data dal fatto che nello Stato messicano non si rimuove la corruzione. Bisogna arrestare e mettere davanti ai giudici coloro che, dall'interno dello Stato, hanno corrotto le strutture e fanno rimanere impuniti tutti questi atti di violenza". Nella nota arrivata all’agenzia Fides si leggono queste altre parole del vescovo: "Lo Stato messicano deve assumersi la sua responsabilità. Coahuila non può certo risolvere il problema da sola, deve farlo insieme all'intera struttura federale, si devono applicare i controlli, ma tutti devono assumersi la loro responsabilità". Il vescovo ha anche commentato la crescente ondata di esecuzioni a Coahuila, determinata dal desiderio di dimostrare chi detiene veramente il potere sul terreno ora che ci sono stati cambiamenti di governo. "Le persone che stanno facendo questo, sappiano che c'è un Dio che giudicherà tutti" ha concluso mons, Vera Lopez. (R.P.)

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    India: ancora gravi violazioni dei diritti umani

    ◊   Scarsa assistenza sanitaria, torture e sparizioni forzate, un suicidio ogni 43 minuti, discriminazione e persecuzione delle minoranze religiose: sono le più gravi violazioni dei diritti umani evidenziate in India nel rapporto 2012 del Working Group on Human Rights (Wghr) in India. Donne, bambini e dalit le maggiori vittime delle violenze che spesso coinvolgono le forze dell’ordine, sempre più aggressive nei confronti dei manifestanti pacifici. Come citato dall'agenzia AsiaNews, la Chiesa Cattolica indiana ha riflettuto ieri, in occasione della Giornata internazionale per i diritti umani, su tutte queste violazioni dei diritti umani. Padre Cedric Prakash, direttore del Centro gesuita per i diritti umani, la giustizia e la pace “Prashant”, ha lanciato un duro monito contro l’omertà, dichiarando che “la società civile indiana deve farsi sentire e denunciare le bugie ostentate dai governi. Il nostro silenzio ci rende complici”. Un invito collegato al tema della Giornata scelto dalle Nazioni Unite, “La mia voce conta”, per sottolineare l’importanza del diritto di partecipazione alla vita pubblica. Un diritto che secondo padre Charles Irudayam, segretario dell’ufficio Giustizia, pace e sviluppo della Conferenza episcopale indiana (Cbci), “è fondamentale per ogni società democratica”. (L.P.)

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    Pakistan: trasferita in Svezia la missionaria cristiana ferita

    ◊   Un aereo ambulanza ha trasferito in Svezia la missionaria cristiana svedese Birgitta Almeby, 72 anni, ferita in un attentato il 3 dicembre scorso a Lahore. Lo comunica all'agenzia Fides il Pastore Liaqat Qaiser, portavoce della “Full Gospel Assemblies Church” (Fga Church) a cui la donna apparteneva, informando che “ieri, 10 dicembre, l’abbiamo accompagnata all’aeroporto, dove è partita con un volo organizzato dalle autorità svedesi. Era ancora in stato di incoscienza. Siamo certi che in Svezia potrà ricevere cure mediche appropriate e sentirà la vicinanza della sua famiglia e della sua comunità di origine. Noi continueremo ad esserle vicini con la preghiera, pregheremo perché possa riprendersi completamente”. Sulle indagini, il Pastore dice che “la polizia sta ancora indagando, ma finora non ci sono risultati concreti”. Secondo fonti di Fides, la polizia sta investigando sui gruppi talebani attivi in Punjab. Domenica scorsa, la Fga Church e tutte le altre chiese cristiane in Pakistan hanno pregato nelle celebrazioni, nelle Sante Messe e nelle liturgie, per la missionaria ferita, invocando la benedizione di Dio su di lei. Birgitta Almeby, 72 anni, era da 38 anni in Pakistan, dove gestiva un istituto di formazione professionale, un Centro di alfabetizzazione per adulti e un orfanotrofio. (R.P.)

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    Pakistan: profanata una statua della Madonna in una parrocchia di Faisalabad

    ◊   Il 30 novembre scorso, in una chiesa cattolica di Chak Jhumra, diocesi di Faisalabad, in Punjab, la distruzione a colpi di pietre della statua della Vergine Maria ha portato orrore, paura, sgomento e ansia. Nel mese di febbraio 2010 avevano soggiornato sul posto due religiosi Camilliani, l’italiano fr. Luca Perletti, segretario generale e il pakistano padre Mushtaq Anjum. Proprio quest’ultimo, missionario da 12 anni nelle Filippine, originario della diocesi di Faisalabad, ha inviata all’agenzia Fides la sua riflessione sull’accaduto. “Autore di questo ennesimo gesto di violenza è stato un giovane musulmano locale di 26 anni” dice padre Mushtaq. “La notizia ha avuto maggiore risalto anche per il fatto che si è trattato della statua della Madonna, figura venerata anche dai musulmani”. Nel suo racconto all'agenzia Fides, il Camilliano afferma che “per far si che vengano rispettati la legge e l’ordine della società, questo tipo di incidenti non deve rimanere taciuto, nè i colpevoli impuniti. Questa profanazione ha turbato profondamente i sentimenti della minoranza cristiana. Incidenti di questo tipo non dovrebbero comunque mai arrestare il nostro lavoro per il dialogo. Il governo del Pakistan deve rispettare i diritti fondamentali delle minoranze e fornire un luogo sicuro dove possano vivere come cittadini pakistani a pieno titolo” conclude il missionario. La parrocchia è stata fondata dai Domenicani nel 1948, ripresa in seguito dal clero diocesano e poi, nel 1983, dalla Società Missionaria di San Paolo. (R.P.)

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    Il card. Koch: l'Unità "visibile" della Chiesa non è "un'illusione"

    ◊   L’unità “visibile” della Chiesa “è la grande promessa che ci fa Gesù e dunque non può essere minimamente vista come un’illusione”. A mettere bene in chiaro l’obiettivo dell’ecumenismo - riporta l'agenzia Sir - è stato il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, intervenendo ieri pomeriggio ad una conferenza alla Pontificia università lateranense con una relazione su “Unità: illusione o promessa?”. “La mentalità postmoderna - ha esordito il cardinale - opera oggi anche all’interno del cristianesimo”. Prevalgono per esempio le correnti favorevoli al pluralismo che “partono dal presupposto che non vi è solo una molteplicità di religioni, ma anche una pluralità di rivelazioni divine, così che lo stesso Gesù Cristo può essere considerato soltanto come uno dei tanti redentori e annunciatori di una rivelazione nel mondo”. Alcuni poi ritengono che “ogni ricerca di unità - anche e soprattutto nell’ecumenismo - deve essere guardata con sospetto. L’unità - ha aggiunto il card. Koch - è vista dunque al massimo come riconoscimento tollerante della molteplicità e della varietà, in cui si ritiene che la diversità riconciliata sia già stata realizzata”. Ed è proprio sull’obiettivo stesso del dialogo che “ci troviamo - sono le parole del cardinale - nel mezzo dello scontro ecumenico attuale”. Per il card. Koch, “il problema principale consiste nel fatto che, nel corso degli ultimi decenni, l’obiettivo del movimento ecumenico è andato man mano offuscandosi e soprattutto, da parte di non poche Chiese e Comunità ecclesiali nate dalla Riforma, è stato progressivamente abbandonato l’obiettivo originario dell’unità visibile nella fede comune, nei sacramenti e nei ministeri ecclesiali sempre più a favore del postulato di un mutuo riconoscimento delle diverse Comunità ecclesiali come Chiese e dunque come parti dell’unica Chiesa di Gesù Cristo”. “L’unità visibile della Chiesa - ha aggiunto - risulta essere una mera somma delle varie realtà ecclesiali, cosicché viene in mente, per analogia, l’immagine di tante case monofamiliari, in cui le famiglie conducono la propria vita in maniera indipendente e si invitano a pranzo di tanto in tanto”. Per la Chiesa cattolica, ha precisato il card. Koch, “il modello originario dell’unità ecumenica è la Trinità”. O, detto in maniera più precisa e utilizzando le parole dell’allora card. Ratzinger, “il vero obiettivo dell’ecumenismo deve essere quello di trasformare il plurale di Chiese confessionali separate le une dalle altre nel plurale di Chiese locali, che, nella loro varietà di forme, sono realmente un’unica Chiesa”. (R.P.)

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    Consiglio Mondiale delle Chiese: messaggio di Natale del segretario generale Tveit

    ◊   “La luce di Cristo è la lampada che illumina i nostri passi e che ci indica la via verso la giustizia e la pace»: sono le parole di speranza contenute nel tradizionale messaggio per il Natale, che il segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese(Wcc/Coe), Olav Fykse Tveit, ha rivolto ai fedeli delle oltre 300 comunità che fanno parte dell’organismo ecumenico. Il messaggio, ripreso dall’Osservatore Romano, prende spunto dalla Bibbia per ribadire l’impegno dei cristiani volto a contrastare le violenze e le forme d’ingiustizia che colpiscono il mondo. Sarà infatti questo il tema principale che farà da sfondo alla 10.ma Assemblea generale del Wcc prevista dal 30 ottobre all’8 novembre 2013 a Busan, in Corea del Sud. Il testo è ispirato in particolare a due passi, tratti dal libro di Isaia: “Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto con fermezza” (42, 3); e dal Vangelo di Giovanni: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (1, 4-5). Tveit ricorda che “nella Sacra Scrittura si trovano molte raffigurazioni che richiamano la luce, come immagine della gloria di Dio e che molti artisti hanno utilizzato la luce nelle loro rappresentazioni della Natività di Gesù Cristo”. Nel periodo dell’Avvento, del Natale e dell’Epifania, aggiunge, “siamo consapevoli che questa è la luce che ci dà la speranza in questo mondo, nonostante vi siano disunione, abusi, odio, violenza, povertà, avidità e corruzione”. Il rev. Tveit evidenzia in conclusione che “anche quando gli stoppini delle lampade bruciano flebilmente, la Parola di Dio resiste nell’oscurità, portando fedelmente giustizia nel nostro comune cammino verso la pace”. Il tema della pace e della giustizia e dei suoi riflessi sulla condizione delle persone sarà dunque al centro dei lavori dell’assemblea generale del 2013. Un’occasione di riflessione comune che giunge al termine di un decennio che il Wcc ha dedicato alla sensibilizzazione sui drammi della discriminazione e della violenza. “Decade to overcome violence” è infatti il titolo del programma avviato dal Wcc nel 2001 e conclusosi nel 2011. “Sappiamo che il decennio — ha osservato il segretario generale del Wcc — ha offerto molti spunti per la discussione e molte azioni concrete per affrontare violenze che sono umilianti e peccaminose, ma sappiamo pure che molto resta ancora da fare”. (L.Z.)

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    Ebrei e cristiani insieme per la memoria del cardinale Martini

    ◊   Una foresta nei pressi di Tiberiade in Galilea, luogo altamente simbolico per ebrei e cristiani, per mantenere viva la memoria del ardinale Carlo Maria Martini. E’ questa l’idea del rabbino Giuseppe Laras, grande amico di Martini già rabbino Capo di Milano. Un’iniziativa subito sostenuta dal Fondo Nazionale Ebraico che ha già incassato il sostegno e la collaborazione dei Gesuiti e dell’Ufficio Ecumenismo e Dialogo della Cei. Chiunque può partecipare con una donazione: un’offerta di 10 euro corrisponderà ad un nuovo albero piantato. Con questo progetto, il rabbino Laras ha dichiarato di voler coinvolgere fin da subito cristiani ed ebrei insieme, per potenziare e ampliare la frequentazione e l’amicizia reciproche, come avrebbe desiderato padre Martini. La foresta di Tiberiade andrà così a simboleggiare una delle più importanti conquiste dell’operato del cardinale Carlo Maria Martini, ovvero il dialogo ebraico-cristiano. (L.P.)

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    Anche in Nepal il Natale è dono ai poveri

    ◊   Una feria natalizia di artigianato per raccogliere fondi per le famiglie più povere del Paese. Così Kathmandu, capitale del Nepal, si prepara a festeggiare il Natale cristiano, da due anni inserito dalle autorità nell’elenco delle festività nazionali. “Molti dei prodotti hanno come tema il Natale e sono stati realizzati da tutti: cristiani, indù, musulmani e buddisti” dice Kiran Khadgi, direttore del Fair Trade Group (Ftg) in Nepal. Khadgi sostiene che il messaggio di pace e gratuità del Natale è diventato molto popolare fra i nepalesi, anche se i cristiani rappresentano solo l’1,5% della popolazione totale. Come riportato dall'agenzia Asianews, durante il periodo natalizio fioriscono nel Paese le iniziative di sostegno ai poveri di qualsiasi religione. I giovani studenti sono quelli che maggiormente seguono la festa di Natale, come ha spiegato Niru Chanda, 19 anni: “Anche se sono di religione indù, la notte di Natale accendo le candele e prego per la pace e la speranza della mia anima. Ciò mi dà speranza e coraggio”. Nonostante la comunità cristiana nel Nepal sia stata vittima negli ultimi anni di numerosi attacchi, uno tra tutti quello del maggio 2009 alla cattedrale di Kathmandu, Niru Chanda è sicura che “fra i giovani non si fa più distinzione fra indù e cristiani. Il nostro desiderio è vivere in armonia avendo rispetto di tutte le fedi religiose”. (L.P.)

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    In aumento in Italia il numero di rifugiati e richiedenti asilo

    ◊   Aumenta nel 2011 il numero di rifugiati e richiedenti asilo accolti nella rete degli enti locali del Sistema di protezione per richiedenti asilo (Sprar): quasi l’11% in più rispetto al 2010. In Italia sono state 37.350 le richieste di protezione presentate nel corso del 2011 (+208% rispetto al 2010), di cui il 76% presentate da cittadini nigeriani, tunisini e ghanesi giunti in Italia in seguito a rivoluzione e conflitti in Nordafrica. Ma delle 25.600 istanze esaminate nel corso del 2011 - riferisce l'agenzia Sir - solo al 40% dei richiedenti protezione internazionale è stata assegnata una forma di protezione (all’8% lo status di rifugiato, al 10% la protezione sussidiaria e al 22% protezione umanitaria). È quanto emerge dal Rapporto annuale dello Sprar, curato da Cittalia e presentato ieri a Milano da Anci e Ministero dell’Interno, insieme all’assessorato alle politiche sociali del capoluogo lombardo. Sono in totale 7598 i richiedenti asilo e rifugiati accolti nel 2011 dai comuni e dalle province dello Sprar, in prevalenza uomini (79,5%) di età compresa tra i 18 e i 35 anni (72%) e provenienti principalmente da Somalia, Afghanistan, Nigeria e Costa d’Avorio. In aumento anche i minori stranieri non accompagnati provenienti da questi Paesi: 312. Per il biennio 2011-2012, la rete dello Sprar ha aumentato a 3979 i posti di accoglienza disponibili, anche in seguito all’“emergenza Nord Africa”. Il rapporto dello Sprar fa il punto anche sui flussi internazionali, che hanno visto nell’ultimo anno un aumento delle domande di protezione in Europa (per un totale di 301mila, +17 per cento rispetto all’anno precedente), presentate per oltre la metà in Francia, Germania e Italia. “Il rapporto viene pubblicato alla vigilia della cessazione dello stato di emergenza dichiarato nel 2011 - afferma il sindaco di Padova e delegato Anci per l’immigrazione Flavio Zanonato -. La preoccupazione è alta, perché non si conosce il futuro delle circa 18 mila persone che ancora sono in accoglienza nelle strutture della Protezione civile”. Si è preoccupati perché la cosiddetta “emergenza Nord Africa”, precisa Zanonato, “affrontata in termini di urgenza di posti letto ma senza una programmazione ferma e puntuale degli interventi in favore dei percorsi di integrazione degli accolti, si è ormai irrimediabilmente cronicizzata e rischia di trasformarsi in una reale emergenza sociale con cui i comuni dovranno in qualche misura confrontarsi”. “E’ doveroso trarre insegnamenti dall’esperienza di questo ultimo anno e mezzo - afferma la direttrice del Servizio centrale dello Sprar Daniela Di Capua -. Dobbiamo arrivare a condividere tutti - istituzioni centrale e locali, realtà non governative, enti di tutela, operatori, che l’accoglienza non deve essere mai più improvvisata”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 346

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.