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Sommario del 06/12/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Crisi e società secolarizzata al centro dei colloqui tra il Papa e il presidente tedesco Gauck
  • Twitter. Oltre 700 mila i followers del Papa, forse un milione a Natale. Mons. Celli: ma non è questione di cifre
  • Altre udienze e nomine
  • Congo. Saccheggi a Goma. Il cardinale Rodríguez Maradiaga: è guerra per le risorse minerarie
  • Albero di Natale in Piazza San Pietro. Il Papa: simbolo, col presepe, della vita e della pace che vengono da Dio
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Nuovi scontri al Palazzo presidenziale al Cairo: ieri 7 morti e 305 arresti
  • Vertice Usa-Russia sulla crisi siriana. L'Onu: "Assad alla sbarra, se utilizzerà armi chimiche"
  • Filippine in ginocchio per il tifone Bopha, danni enormi per l'agricoltura
  • Appello della Fao ai Paesi più poveri: sostenete gli agricoltori per vincere la fame
  • Convention sulla povertà a Bruxelles. La Caritas: i tagli peggiorano la crisi
  • I vescovi irlandesi: no alla revisione della legge contro l'aborto
  • Faida a Scampia: uomo ucciso nel cortile di una scuola materna
  • Governo sull'orlo della crisi, il Pdl non partecipa al voto sul decreto sviluppo
  • "Why Poverty?". In Australia una difficile convivenza tra ricchi e poveri
  • Restaurati gli affreschi di Giotto nella Cappella di San Nicola ad Assisi
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Appello dei patriarchi del Medio Oriente ai musulmani: libertà e uguaglianza per i concittadini cristiani
  • Il mondo ecumenico in lutto per la morte di Ignazio IV Hazim
  • Francia. I vescovi: rispettare la vita dell’embrione umano
  • Filippine: i vescovi chiedono più tempo per la discussione della Legge sulla Salute Riproduttiva
  • Jrs Europa: fermare i rimpatri forzati in Marocco e Algeria
  • Usa. Il vescovo di Atlanta: “La difesa degli immigrati è evangelizzazione”
  • Emergenza Sud Sudan: ancora violenze nello Stato di Jonglei
  • Ghana: chiusa la campagna elettorale, domani al voto
  • Mali: dal Consiglio di Sicurezza sanzioni ai ribelli jihadisti
  • Senegal: nuova grave profanazione contro la Chiesa. La solidarietà del Presidente Sall
  • Bolivia: irregolarità nella consultazione del Tipnis
  • Cina: a Wen Zhou consacrata una nuova chiesa dedicata all’Immacolata Concezione
  • Svizzera: conclusa la Plenaria dei vescovi su ecumenismo e tutela della vita
  • Lione: consacrata dal card. Barbarin una nuova chiesa caldea dedicata a san Tommaso
  • Polonia: Veglia di preghiera a Jasna Góra per l’evangelizzazione del mondo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Crisi e società secolarizzata al centro dei colloqui tra il Papa e il presidente tedesco Gauck

    ◊   Stamani il Papa ha ricevuto in Vaticano il presidente della Repubblica federale tedesca Joachim Gauck, che poi ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, accompagnato da mons. Ettore Balestrero, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati. “Durante i colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - si è rilevato che le relazioni bilaterali sono molto cordiali, quindi ci si è soffermati sulla visione cristiana della persona, come pure sulle sfide poste attualmente dalle società globalizzate e secolarizzate. In seguito c’è stato uno scambio di opinioni sulla situazione internazionale e sull’attuale crisi economica, specialmente in relazione alle sue conseguenze in Europa, nonché sul contributo che la Chiesa cattolica può offrire”.

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    Twitter. Oltre 700 mila i followers del Papa, forse un milione a Natale. Mons. Celli: ma non è questione di cifre

    ◊   A tre giorni dall’apertura dell’account di Benedetto XVI su Twitter, i followers del Papa stamattina hanno superato quota 700 mila. Tantissimi i tweet. Philippa Hitchen ne ha parlato con mons. Claudio Maria Celli, presidente del dicastero delle Comunicazioni Sociali:

    R. – Noi pensiamo che nei prossimi giorni, forse anche prima di Natale, potremo raggiungere il milione di followers. Ma io le confesso che queste cifre, questi numeri, mi indicano qualcosa, ma non mi emozionano particolarmente.

    D. – Non è solo una questione di numeri...

    R. – Esattamente. Il Papa nella sua missione di pastore della Chiesa universale non cerca popolarità, non è un divo della canzone o di altri settori della vita. Io guardavo in questi giorni quanti followers hanno certi personaggi del mondo dello spettacolo. Per noi non è questo. Il desiderio del Papa è fondamentalmente quello di essere presente, di essere accanto, accanto all’uomo e alla donna di oggi, che affrontano un cammino non facile. Il Papa pochi giorni fa parlava di una desertificazione del mondo spirituale. Ecco perché io vedo positivamente questa presenza del Papa nel mondo dei tweet.

    D. – C‘è chi chiede, però, perché Twitter se non verrà usato nel modo interattivo per cui è stato concepito...

    R. – Sì, è vero. In un certo senso siamo in contraddizione con la natura stessa dei tweet. Però, anche se solamente il 10 per cento dei 700 mila followers – un domani speriamo un milione – scrivessero al Papa, sarebbe materialmente impossibile poter rispondere. Noi vediamo, in questi giorni che abbiamo aperto questo momento interattivo, quanti tweet sono arrivati: tweet positivi, tweet negativi e tweet offensivi.

    D. – Ve l’aspettavate, comunque, anche questo...

    R. – Beh, quando uno entra in questo mondo deve aspettarselo. La cosa, quindi, non ci ha colto di sorpresa. Direi che ciò che ci ha sorpreso è la quantità di tweet che sono arrivati. Non ci ha stupito, però, che in certi momenti riemergano sofferenze, riemerga quella schiuma un poco nera. Lo avevamo messo in programma. Sono venute fuori, però, anche domande interessanti sulla fede. E’ vero, a volte abbiamo avuto dei tweet scherzosi, ma anche questo risponde alla cultura del momento. Io dico, un poco sorridendo, che non risolveremo con i tweet i problemi della Chiesa. Volesse il Cielo fosse così semplice!

    D. – Per lei cosa è importante, allora?

    R. - Ma ... per me è importante che il Papa sia presente accanto agli uomini e alle donne di oggi. Come dicevo poco fa, oggi l’uomo ha una profonda nostalgia anche di Dio, e fa fatica a trovare, alle volte, il senso alla propria vita. Io ogni volta che mi avvicino a questa realtà penso a quella famosa frase di Gesù: “Voi che siete stanchi, affaticati, venite a me e troverete riposo”. L’uomo di oggi trova una profonda stanchezza nel vivere, che alle volte cerca di evitare, ricorrendo a vari sistemi e alle volte anche negando se stesso. Ma ciò che noi vorremmo essere – e credo che il Papa senta profondamente questo bisogno – è di essere accanto. Ecco perché durante la conferenza stampa di presentazione io parlavo di pillole di saggezza o di scintille di verità. Se lei mi permette, proprio riferendomi a questo esempio del deserto, dove gli uomini di oggi molte volte si trovano a camminare, io un tweet lo definirei proprio come una goccia d’acqua che allevia le difficoltà del cammino. Io direi allora “benvenuta” a questa presenza di Papa Benedetto nel mondo dei tweet. Penso e spero che poi saranno gli amici – la parola followers mi entusiasma meno e preferirei proprio chiamarli amici – a ritwittare questi messaggi del Santo Padre e a far sì che pervengano là dove è possibile. Che il cuore di molti uomini e donne di oggi possa ritrovare una goccia d’acqua fresca nel cammino della vita!

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina anche il cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid, e mons. Diego Causero, arcivescovo tit. di Grado, nunzio apostolico in Svizzera e nel Principato di Liechtenstein.

    Il Papa ha nominato arcivescovo di Keewatin-Le Pas (Canada) e amministratore apostolico sede vacante et ad nutum Sancate Sedis della diocesi di MacKenzie-Fort Smith mons. Murray Chatlain, finora vescovo di MacKenzie-Fort Smith.

    Il Santo Padre ha nominato vescovo di Regensburg (Germania) il rev. Rudolf Voderholzer, del clero dell’arcidiocesi di München und Freising, finora professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà Teologica di Trier e Direttore dell’Istituto "Papa Benedetto XVI" a Regensburg. Il rev. Rudolf Voderholzer è nato il 9 ottobre 1959 a München (arcidiocesi di München und Freising). Dopo aver compiuto gli studi filosofico-teologici a München è stato ordinato sacerdote il 17 giugno 1987 per l’arcidiocesi di München und Freising. Dal 1987 al 1991 è stato vice-parroco a Traunreut, Haar e Zorneding. Ha poi proseguito gli studi teologici alla Facoltà Teologica dell’Università di München, essendo stato nel contempo assistente presso la cattedra di Teologia Dogmatica. Nel 1997 ha ottenuto il Dottorato e nel 2004 l’abilitazione in Teologia. È stato poi dal 2003 assistente superiore al Dipartimento per la Fede e la Scienza delle religioni e per la Filosofia della Facoltà Teologica dell’Università di Fribourg (Svizzera), di cui dal 2004 è diventato presidente. Nel contempo ha insegnato Teologia dogmatica presso tale Università. Dal 2005 è professore di Teologia dogmatica e di Storia della Dogmatica presso la Facoltà Teologica di Trier e dal 2008 è anche direttore dell’Istituto "Papa Benedetto XVI" a Regensburg. In pari tempo svolge il ministero pastorale nella parrocchia di S. Nicola a Kasel (diocesi di Trier).

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    Congo. Saccheggi a Goma. Il cardinale Rodríguez Maradiaga: è guerra per le risorse minerarie

    ◊   Resta drammatica la situazione umanitaria nel Kivu, nell’Est della Repubblica Democratica del Congo. A Kampala, in Uganda, si aspetta l’ormai prossimo inizio delle trattative tra il governo congolese e i ribelli di M23. A Goma, dopo l’uscita dei ribelli, continuano a verificarsi violenze e saccheggi. Ieri il Papa, all'udienza generale, ha lanciato un accorato appello per la pace e per venire incontro alle necessità delle decine di migliaia di civili fuggiti dalle loro case. La Caritas Internationalis sta coordinando gli aiuti della Chiesa. Linda Bordoni ha sentito il presidente dell’organismo, il cardinale honduregno Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga:

    R. - Mi sembra che le parole del Papa siano veramente molto importanti, perché è l’unica autorità morale rimasta nel mondo con la possibilità di arrivare a tutti gli uomini di buona volontà. Quest’appello rivolto dal Santo Padre deve essere preso in considerazione, perché non è più possibile che assistiamo ad una nuova guerra per ragioni che potrebbero essere evitate: una delle ragioni principali è l’interesse per i minerali preziosi, che sono strategici e che sono alla base della guerra scatenata dal movimento guerrigliero. Non sono, quindi, ragioni ideologiche: si vuole soltanto avere quel territorio per sfruttare quei minerali. Io faccio eco a questo appello del Santo Padre, affinché in tutto il mondo cattolico si possano attuare azioni, specialmente una catena di preghiera, perché lo Spirito Santo può trasformare i cuori e fare in modo che i sentimenti di cupidigia e di desiderio soltanto materiale possano tradursi nel rispetto della vita, specialmente dei più poveri.

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    Albero di Natale in Piazza San Pietro. Il Papa: simbolo, col presepe, della vita e della pace che vengono da Dio

    ◊   E’ arrivato stamani in Piazza San Pietro l’albero di Natale: quest’anno è stato donato al Papa dalla comunità molisana di Pescopennataro in provincia di Isernia. Accanto all’albero sarà installato il Presepe offerto dalla Basilicata che riproduce il paesaggio dei Sassi di Matera. Si tratta di un abete bianco di 24 metri, scelto tra gli alberi da abbattere nella località "Bosco degli Abeti Soprani". Il legno, come ogni anno, verrà devoluto ad associazioni per la lavorazione a scopi di beneficenza che ne faranno giocattoli per bambini. L'accensione dell’albero di Natale è programmata per il pomeriggio del 14 dicembre. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Benedetto XVI riceverà la comunità molisana di Pescopennataro la mattina del 14 dicembre. Più volte, nel corso del suo Pontificato, ha ricordato il significato spirituale dell’albero di Natale: un evidente “simbolo del Natale di Cristo, perché con le sue foglie sempre verdi richiama la vita che non muore”:

    “L’albero e il presepio sono elementi di quel clima tipico del Natale che fa parte del patrimonio spirituale delle nostre comunità. E’ un clima soffuso di religiosità e di intimità familiare, che dobbiamo conservare anche nelle odierne società, dove talora sembrano prevalere la corsa al consumismo e la ricerca dei soli beni materiali”. (Discorso alla delegazione della Val Badia, 14 dicembre 2007)

    Il Papa ricorda che nel bosco gli alberi crescono vicini creando un luogo ombreggiato, a volte oscuro. L’abete in Piazza San Pietro sarà addobbato con luminose decorazioni che sono come tanti frutti meravigliosi. “Lasciando il suo abito scuro per una lucentezza scintillante – ha osservato - si trasfigura, diventa portatore di una luce che non è sua, ma che rende testimonianza alla vera Luce che viene in questo mondo”. Anche noi – sottolinea il Papa – “siamo chiamati a dare buoni frutti per dimostrare che il mondo è stato veramente visitato e redento dal Signore”:

    “L’albero di Natale arricchisce il valore simbolico del presepe, che è un messaggio di fraternità e di amicizia; un invito all’unità e alla pace; un invito a far posto, nella nostra vita e nella società, a Dio, il quale ci offre il suo amore onnipotente attraverso la fragile figura di un Bimbo, perché vuole che al suo amore rispondiamo liberamente con il nostro amore". (Discorso alla delegazione del Sud Tirolo, 17 dicembre 2010)

    Il presepe, donato quest’anno dalla Regione Basilicata, è realizzato dal maestro Francesco Artese, che rivisita in chiave artistica uno spaccato del paesaggio dei Sassi di Matera. All'interno dello scenario, sono riconoscibili la Chiesa rupestre Convicinio di Sant'Antonio e quella di San Nicola dei Greci. In alto, spicca il campanile di San Pietro Barisano. L'ambiente umano è quello dell'antica civiltà contadina lucana. Le statuine, oltre 100 pezzi, realizzate interamente in terracotta, sono rivestite con abiti di stoffa inamidata fatti a mano e ispirati ai costumi tipici dei contadini lucani di un tempo. Leggermente decentrata sulla destra dello spettatore, appare la scena della Natività. Scelta dell'artista è stata quella di vestire la Sacra Famiglia con i costumi della tradizione classica. Il presepe, il cui allestimento è curato come consuetudine dai Servizi Tecnici del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, avrà una dimensione di circa 150 mq. Il complesso architettonico dell'opera, realizzato interamente in polistirene e ricoperto da malta cementizia ad effetto "tufo", poggia su una struttura dì elementi in metallo e legno della dimensione in pianta di 11 per 13 metri. In questo modo, l'intera struttura risulta sollevata da terra di circa 90 cm con un'altezza che varia dai 6 agli 8 metri. L'allestimento illuminotecnico è eseguito dallo scenografo Mario Carlo Garrambone.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In rilievo, nell'informazione internazionale, la polveriera Egitto.

    La libertà religiosa è indice di una sfida molto più vasta: in cultura, anticipazione dal discorso alla città e alla diocesi che il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, terrà domani (nella Basilica di Sant'Amborgio) in occasione della celebrazione vigiliare della memoria del santo patrono della città e compatrono della diocesi.

    Il poeta della superficie curva: Paolo Portoghesi ricorda il grande architetto Oscar Niemeyer, morto ieri all'età di 104 anni.

    La Cenerentola degli affreschi di Giotto: Elvio Lunghi sul restauro della Cappella di San Nicola ad Assisi.

    Un articolo di Adriano Pessina dal titolo "Chi dice la verità nella polis": davvero il compito della bioetica si esaurisce nella funzione ancillare di consulenza negli organismi sociali?

    Jazz e "Padre nostro": la morte di Dave Brubeck.

    Nell'informazione religiosa, la morte del Patriarca ortodosso di Antiochia.

    Un anno da vivere nell'ottica della fede: nell'informazione vaticana, alla vigilia della prima predica d'Avvento, intervista di Nicola Gori a padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia.

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    Oggi in Primo Piano



    Nuovi scontri al Palazzo presidenziale al Cairo: ieri 7 morti e 305 arresti

    ◊   E' in corso a palazzo presidenziale al Cairo un vertice fra il presidente Morsi, il premier Qandil, i ministri della Difesa (anche capo delle forze armate), Interno, Giustizia, Informazione, oltre al capo dell'intelligence ed il comandante della guardia repubblicana. Dunque ai più alti livelli si sta valutando la situazione di altissima tensione e scontri che si registra da ieri davanti al Palazzo presidenziale al Cairo. Ieri sono morti sette manifestanti e 305 sono stati arrestati. Tutta la zona attorno al palazzo è presidiata da carri armati dell'esercito e filo spinato. Il servizio di Fausta Speranza:

    All'interno centinaia di sostenitori dei Fratelli musulmani. All’esterno, carri armati a bloccare le strade adiacenti al palazzo. Arriva l’annuncio del presidente della Tv di Stato: si dimette per protestare – spiega – contro “la gestione del Paese”. Le tappe della crescente destabilizzazione degli ultimi giorni sono legate alla nuova Costituzione: approvata dalla Assemblea costituente deve essere sottoposta a referendum il 15 dicembre. E’ fortemente legata alla Sharia, la legge islamica, e in più c’è che il presidente Morsi con un decreto si è attribuito poteri speciali proprio fino all’approvazione: queste le forti obiezioni delle opposizioni. Il leader el Baradei parla di perdita di qualunque legittimità da parte del regime. Da parte sua, mons. Adel Zaki, vicario apostolico di Alessandria di Egitto, afferma che le Chiese non possono invitare al boicottaggio ma “devono favorire il discernimento” in base ai criteri della giustizia e del bene comune perché poi ognuno scelga secondo coscienza.

    Della difficile situazione in Egitto Fausta Speranza ha parlato con il prof. Paolo Quercia, del centro militare Studi Strategici:

    R. - La tensione è alta e questo è il primo grande scoppio di violenza di piazza dopo la caduta di Mubarak, che poi vede varie fazioni delle forze dell’ordine scontrarsi in un mix un po’ complesso. La situazione è preoccupante, anche per la delicata fase di transizione costituzionale in cui il Paese si trova.

    D. - Ma davvero è la Costituzione il problema o il problema di fondo sono i Fratelli musulmani che hanno preso il controllo del Paese, e la scelta di Morsi di attribuirsi in questa fase poteri speciali?

    D. - Direi che effettivamente è così. Il presidente Morsi ha messo il Paese di fronte ad una sorta di ricatto: o viene accettata questa Costituzione così come è stata elaborata da parte dell’Assemblea costituente, dominata comunque dagli islamisti, o altrimenti permangono i poteri eccezionali che si è arrogato il presidente. Quindi, a questo punto il referendum, che si potrebbe tenere a dicembre o subito dopo, prevede una alternativa tra una forma di dittatura o di forte autoritarismo e l’accettazione di questa Costituzione. Costituzione che poi è di per sé ambigua: non è un testo così pericoloso in quanto tale, ma presenta sicuramente numerosi punti di ambiguità, soprattutto sul ruolo delle religioni all’interno del sistema costituzionale egiziano.

    D. - Ci dica di più di questo…

    R. - Una parte dei partiti è uscita dall’Assemblea costituente, che era rappresentativa di un po’ tutte le forze politiche del Paese, post-rivoluzionarie. Quindi una parte di queste forze sono uscite dall’Assemblea costituente in protesta per alcune clausole di questa Costituzione, perché hanno ritenuto che non tutelassero sufficientemente la libertà religiosa nel Paese. Io non sono in grado di pronunciarmi esattamente su quanto questa limitazione o islamizzazione della Costituzione sia così forte. Ricordiamoci, però, che i Fratelli musulmani ci hanno abituato ad una forte ambiguità e ad un uso tattico tanto dei documenti scritti che dei processi elettorali. Probabilmente c’è una parte del Paese che teme una islamizzazione strisciante. I Padri costituenti di questa nuova Costituzione sicuramente sono islamisti, come d’altra parte lo è la maggioranza del Parlamento.

    D. - La Guardia Repubblicana assicura che non ci sarà repressione: secondo lei, si può davvero uscire da questa impasse senza ulteriori prese di posizioni forti, violenza o repressione?

    R. - Questo dipende da come andranno le vicende della piazza. Un altro elemento importante di quello che sta avvenendo in questi giorni è proprio il ruolo dei militari: sostanzialmente le azioni antidemocratiche del presidente Morsi e il percorso costituzionale sono difesi dai militari, così come era difeso il regime di Mubarak. Da questo punto di vista, il metodo con cui tenere il Paese sotto controllo non sembra molto cambiato. Credo che, però, siano cambiati i rapporti di forza: sicuramente i Fratelli musulmani hanno un sostegno popolare molto più alto di quello che aveva Mubarak e quindi non si dovrebbe - immagino - arrivare ai livelli di violenza o di disordine che abbiamo visto nella caduta del regime.

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    Vertice Usa-Russia sulla crisi siriana. L'Onu: "Assad alla sbarra, se utilizzerà armi chimiche"

    ◊   Gli scontri tra esercito siriano e insorti continuano anche oggi, soprattutto a Damasco. Stamani un ordigno, esploso nei pressi della sede della Mezzaluna Rossa, ha causato un morto e diversi feriti. Sul fronte diplomatico, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, e il mediatore internazionale, Lakhdar Brahimi, si incontrano oggi a Dublino, per trovare vie d’uscita alla crisi e parlare del rischio che Assad utilizzi armi chimiche. Su questo tema alza i toni anche l'Onu. Il segretario generale, Ban Ki-moon ha minacciato: "Il presidente Assad sarà giudicato dalla gustizia internazionale se verranno utilizzate armi chimiche". E gli scontri tra fazioni pro e anti Assad si stanno verificando anche nella città libanese di Tripoli, con un bilancio provvisorio di 8 vittime e oltre 60 di feriti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Susan Dabbous, giornalista italo-siriana, raggiunta telefonicamente a Beirut:

    R. - Gli scontri si stanno verificando nella città di Tripoli: una città molto sensibile, con un forte senso di appartenenza alla Siria e dove c’è una fortissima comunità sunnita che solidarizza con l’esercito siriano libero. Poi c’è la comunità alawita, imposta 40 anni fa dal padre di Bashar al-Assad, Hafez al-Assad. Le due comunità si scontrano da sempre. Questo provoca che la popolazione libanese, esattamente come quella siriana, si è polarizzata tra quanti sono a favore e quanti sono contro Assad.

    D. - Una situazione che sta a significare che, forse, gli sforzi internazionali, per trovare vie di uscita alla crisi siriana, non possono non coinvolgere anche il Libano…

    R. - Certo. L’influenza del conflitto siriano in Libano è evidente e tutte queste conflittualità libanesi si basano sul supporto o meno a Bashar al-Assad. Comunque vada a finire in Siria - che resti Assad o che venga spodestato - per il Libano c’è il rischio che si apra una fase di scontri aperti.

    D. - Come la gente vive questa continua dipendenza dalle sorti siriane?

    R. - Ci sono due atteggiamenti. Il primo è quello di Hezbollah e dei suoi alleati che vivono una sorta di dipendenza da Damasco: che piaccia o meno, il Libano è un piccolo Paese, che ha bisogno di sostegno su qualcosa di più grande e questa sicurezza gli è sempre arrivata dalla Siria. Il secondo atteggiamento, invece, è quello di tutto il fronte dell’opposizione - guidato da Rafik Hariri, prima che fosse ucciso; e poi dal figlio di Hariri, prima che andasse in esilio volontario a Parigi per ragioni di sicurezza - che vuole assolutamente liberarsi da questo giogo. Secondo loro, la dipendenza dalla Siria è insostenibile e non ha portato altro che disastri e quindi guardano più favorevolmente all’Occidente, agli Stati Uniti, all’Europa, ai Paesi del Golfo, che sono grandi investitori in Libano. L’obiettivo è assolutamente liberarsi dalla presenza siriana che, fino a pochi anni fa - lo ricordiamo - era anche militare.

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    Filippine in ginocchio per il tifone Bopha, danni enormi per l'agricoltura

    ◊   Nelle Filippine, è salito a 475 vittime il bilancio del tifone Bopha, il più potente degli ultimi anni, che ha colpito in modo particolare l’isola di Mindanao. Centinaia i dispersi mentre continuano incessanti i soccorsi: 4 le persone estratte vive oggi dalle macerie. Ammontano a 250 milioni di euro i danni alle piantagioni di banane: le Filippine sono il terzo esportatore al mondo. La Caritas locale si è già attivata e molte parrocchie hanno messo a disposizione strutture per l'accoglienza e per la distribuzione di generi di prima necessità. Le diocesi cattoliche del Mindanao orientale hanno lanciato un appello per sostenere le famiglie colpite dal tifone. Al microfono di Benedetta Capelli la testimonianza di padre Giovanni Vittoretto, missionario del Pime, raggiunto telefonicamente nelle Filippine:

    R. – Mi trovo in una zona a 70 km a ovest di Davao. Siamo stati lasciati fuori dall’occhio del tifone però abbiamo sentito gli effetti sia del vento che della pioggia. Non ci sono più case in piedi. Non ci sono più tetti sopra le case. Le chiese, gli uffici comunali e i vari negozianti che avevano i loro capannoni, tutto è rimasto per aria. Le piante sono cadute lungo la strada, nei campi. Le piante di noci di cocco, che sono alte di solito anche 10, 20 metri, sono state rase al suolo, sono cadute tutte per terra, anche le piante di banane. Ci sono i danni all’agricoltura, i danni alle infrastrutture… Per non parlare della cosa principale che sono i morti e i dispersi. Immaginiamo quanti sono gli evacuati… Il problema degli evacuati è che quando è arrivata la notizia, che è arrivata in alcune zone probabilmente troppo tardi, alcuni non hanno fatto in tempo a raggiungere i centri di evacuazione. In certi casi chi li ha raggiunti ha poi visto crollare il proprio centro per il passaggio dall’uragano.

    D. - Sappiamo che i soccorsi sono anche molto difficili perché molte aree sono rimaste isolate. Avete contatti, ad esempio, con i volontari della Caritas, con il personale delle diocesi e delle parrocchie delle aree più devastate?

    R. - Noi abbiamo contatti con la zona di Davao, dove abbiamo gruppi e organizzazioni che fanno alcuni tipi di servizi al di là delle catastrofi naturali. Loro fanno “medical mission” nei villaggi, vanno a gestire le scuole che sono in zone poco raggiungibili. Adesso sono in un certo senso allertati, sono già in moto, alcuni sono già arrivati nei luoghi dove stanno dando portando soccorsi insieme alle organizzazioni statali perché non si muovono solo quelle private ma anche lo Stato.

    D. - Le autorità del Paese hanno anche lanciato un allarme per il pericolo di epidemie?

    R. - Molte fosse comuni sono state scavate e riempite. A preoccupare però sono le miniere abusive, che sono migliaia nella zona colpita, e che potrebbero portare inquinamento, ci sono infatti metalli che mescolati insieme potrebbero essere deleteri per la salute dell’uomo.

    D. – Le Filippine sono un Paese spesso colpito dai tifoni, le persone di solito come reagiscono di fronte a queste catastrofi, riusciranno a rialzarsi?

    R. – Chiaramente è uno shock per tutti, specialmente per chi perde i propri cari durante queste emergenze, questi disastri. Però fa parte della cultura, della natura, dello spirito dei filippini, di non sedersi, di non abbattersi, di non disperarsi, di continuare a camminare. Dalle immagini di quello che è successo, trasmesse adesso in televisione, si vede già che dopo due giorni la gente comincia a tirare i teli sui tetti delle case, comincia a mettere su le pareti con quello che può. Vuol dire che la gente non è che si sente perduta, comincia da sé ad aiutarsi ma poi l’aiuto arriverà anche da fuori, dal governo, dalle istituzioni private... Insomma non si perdono per strada, continuano. Sono tenaci. La fede è ciò che sostiene lo spirito di reazione di questo popolo perché lo sostiene in momenti di catastrofi come questa e riesce a farli “risorgere” dopo una caduta che non è sempre facile da accettare.

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    Appello della Fao ai Paesi più poveri: sostenete gli agricoltori per vincere la fame

    ◊   Investire nell’agricoltura per un avvenire migliore, titola il rapporto della Fao 2012 sullo stato mondiale dell’alimentazione e dell’agricoltura, presentato oggi a Roma. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Gli agricoltori dei Paesi a basso e medio reddito investono 170 miliardi l’anno nelle loro aziende, 150 dollari ciascuno. Quattro volte di più rispetto ai contributi pubblici che ricevono, e 50 volte di più rispetto agli aiuti ufficiali allo sviluppo di questi Paesi. Un dato incredibile, scritto nero su bianco nel Rapporto della Fao. Negli ultimi 20 anni – si legge - i Paesi con maggiori investimenti in agricoltura hanno registrato maggiori progressi nel dimezzare la fame, mentre le regioni in cui la povertà estrema è più diffusa nell’Asia meridionale e nell’Africa Sub-Sahariana hanno visto ristagnare o calare tali investimenti. Non è certo una novità il richiamo della Fao “ad investire in agricoltura per un avvenire migliore, per ridurre la fame e la povertà e salvaguardare l’ambiente”. Che cosa dovrebbe allora finalmente convincere i governi? Jacob Skoet, economista della Fao:

    R. – Sì, non è una novità, ma c’è un riconoscimento crescente da parte di tanti Paesi. La novità di questo Rapporto è la molta enfasi che viene data all’importanza degli investimenti pubblici degli aiuti allo sviluppo. Quello che noi facciamo presente è che in fondo quelli che investono di più nell’agricoltura sono gli agricoltori stessi. Sono proprio queste centinaia di milioni di piccoli agricoltori sparsi nei Paesi in via di sviluppo ad essere i principali investitori nell’agricoltura. Loro investono in macchinari, utensili, ecc. per migliorare il rendimento delle loro terre. Bisogna metterli in condizioni di potere investire meglio anche nelle loro attività produttive. I governi devono creare le condizioni che permettano loro di fare questo.

    D. – Quindi il richiamo è rivolto agli stessi Paesi in via di sviluppo così come anche, secondo le loro possibilità, ai Paesi sviluppati?

    R. – Anzitutto ai Paesi in via di sviluppo ma certamente anche ai Paesi donatori per facilitare questo processo. Però la sfida è soprattutto quella di mettere in atto le politiche in questi Paesi che creino le condizioni piuttosto che un richiamo solamente a fondi addizionali, che sono senz’altro importanti ma ci vuole molto di più.

    D - In questo momento c’è ottimismo in casa Fao?

    R. – Penso di sì dobbiamo per forza essere ottimisti. I problemi esistono e permangono in tante parti del mondo però vediamo che i progressi sono possibili. Tanti Paesi hanno fatto progressi importanti riguardo al problema della fame e questi Paesi sono quelli che hanno investito maggiormente nel settore agricolo. Questo è un fattore di ottimismo importante anche se riconosciamo che i problemi rimangono ancora vasti e ci vuole uno sforzo imponente per sradicare la fame nel mondo.

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    Convention sulla povertà a Bruxelles. La Caritas: i tagli peggiorano la crisi

    ◊   Seconda giornata di lavori a Bruxelles per la Convention della Piattaforma Europea contro la povertà e l’esclusione sociale, che oggi apre alla società civile. Ieri gli interventi preoccupati di Barroso e Van Rompuy, che hanno dipinto un quadro a tinte fosche, fatto di povertà in aumento esponenziale in tutto il Vecchio Continente. Da Bruxelles, ci riferisce il nostro inviato, Salvatore Sabatino:

    La crisi non è un concetto, ma una realtà che si trasforma quotidianamente in difficoltà concrete: dall’acquistare beni di prima necessità all’impossibilità di sostenere il peso di un affitto; dalle difficoltà di garantirsi le cure fino alla riduzione degli interventi di carattere sociale da parte dei singoli Stati. E’ il sistema sociale europeo, insomma, che rischia di morire, schiacciato com’è dalla crisi economica che attanaglia il Vecchio Continente dal 2008. Un quadro drammatico, quello emerso durante la Convention della Piattaforma Europea contro la povertà e l’esclusione sociale, che oggi si concentra sulle azioni concrete da intraprendere in tempi brevissimi, per evitare che la situazione precipiti; dopotutto i numeri sulla povertà sono sconcertanti: oltre 110 milioni gli europei in difficoltà, 42 milioni coloro che vivono ben oltre la soglia di tollerabilità. E allora è il momento di agire e lottare, così come stanno facendo gli stakeholders questa mattina, in una serie di tavole rotonde da cui emerge che la piattaforma del 2010, che prevedeva l’eliminazione della povertà almeno per 20 milioni persone entro il 2020, è ormai superata. C’è bisogno, insomma, di maggiori investimenti, per dare respiro alle migliaia di Ong, cooperative sociali e organismi territoriali impegnati nel sociale. Perché è dal basso che bisogna combattere, anche attraverso il micro-credito, che potrebbe essere una delle chiavi di volta per la rinascita.

    A chiudere la prima giornata della Convention della Piattaforma Europea contro la povertà e l'esclusione sociale, un incontro organizzato da Caritas Europa. Presentato un interessante rapporto sui Paesi europei maggiormente colpiti dalla crisi: Irlanda, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia. Salvatore Sabatino ha intervistato Walter Nanni, della Caritas italiana, che attraverso il suo studio sviluppa una foto a tinte fosche, da cui emerge un aumento esponenziale delle persone che quotidianamente sono alla ricerca di un aiuto, soprattutto al Sud, dove la situazione sta davvero precipitando. Sono complessivamente 10,9 milioni gli italiani in difficoltà:

    R. – Presentiamo questo studio per la prima volta insieme ai Paesi europei maggiormente colpiti dalla crisi economica: quindi l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna e la Grecia. In questo senso, notiamo un peggioramento della situazione e un aumento quasi del 60 per cento in un anno delle persone che si rivolgono alla Caritas a chiedere aiuto. Questo sta a significare, evidentemente, che le misure anti-crisi prese negli ultimi due anni non sono servite a molto. Anzi, in un certo senso alcuni tagli alle misure sociali hanno peggiorato la situazione, per cui noi in questo momento abbiamo un drastico aumento di persone che chiedono aiuto alla Caritas e un aumento delle risposte che dobbiamo dare.

    D. – Si tratta di persone di tutte le fasce sociali, cioè anche chi prima della crisi si poteva considerare una persona ‘normale’, che aveva un lavoro, una vita normale … Adesso, la crisi ha colpito anche la classe media …

    R. – Sì, non abbiamo più le situazioni estreme di una volta, abbiamo situazioni normali: soprattutto adulti tra i 40 e i 50 anni che hanno improvvisamente perso il lavoro; ragazzi con contratti di lavoro temporanei, che non sanno più cosa fare perché cambiano continuamente lavoro; immigrati che dopo quattro-cinque anni tornano alla Caritas a chiedere aiuto. Questo vuol dire che nel frattempo la situazione non è migliorata o comunque che non hanno costruito una rete di relazioni. Ma ci sono anche altre situazioni, come quelle dei nonni o dei genitori, costretti a vendere la nuda proprietà dell’abitazione, o addirittura fenomeni come l’aumento dei suicidi tra gli imprenditori: ci siamo trovati costretti ad avviare centri di ascolto proprio per queste persone …

    D. – E la situazione, ovviamente, peggiora al Sud, dove già prima della crisi c’era una situazione nettamente peggiore rispetto al Centro-Nord del Paese …

    R. – Possiamo dire che piove sul bagnato, nel senso che la crisi economica nel Sud va a colpire una situazione che, dal punto di vista delle infrastrutture, era peggiore di quella del Centro-Nord. Quindi è una cosa anche contraddittoria: si diceva all’inizio che il Sud non sarebbe stato colpito dalla crisi economica, perché era molto scollegato dall’Europa. In realtà, il 60 per cento delle posizioni di lavoro perse negli ultimi tre anni si è verificato al Sud. Quindi, in questo senso il Meridione ne ha risentito molto e non ha le infrastrutture necessarie per risollevarsi.

    D. – Tra le varie possibili soluzioni alla crisi, voi proponete una ricetta semplice che può essere definita come micro-credito: cioè piccoli aiuti alle persone che vogliono intraprendere un’attività. Può essere questa la chiave di volta per uscire dalla crisi, almeno dal basso?

    R. – Sono piccoli segnali che nei Paesi in via di sviluppo hanno funzionato e sono riusciti anche a risollevare l’economia di piccole comunità. Cerchiamo di sviluppare progetti di micro-credito con piccoli prestiti, non solo per famiglie ma anche per piccoli imprenditori, per lavori anche a conduzione familiare o la nascita di nuove piccole imprese, anche fra gli immigrati. Questo fatto, se portato ad un livello più alto di economia, potrebbe avere qualche impatto. E’ chiaro che non può essere la soluzione definitiva, ma può essere un passo avanti.

    D. – Come vede il futuro? Voi avete denunciato anche la scarsità di volontari: non ci sono più giovani che aiutano a portare avanti le vostre azioni quotidiane …

    R. – I volontari stanno diminuendo perché ci sono altri settori della vita sociale che hanno maggiore successo. Ci sono molti volontari nel settore ambientale, nel settore dell’infanzia, nel settore culturale, aggregativo, del gioco ma poi, quando si parla del sociale, i volontari diminuiscono: sono sempre più anziani, non vogliono fare volontariato perché chiaramente hanno poca dimestichezza con le nuove forme di povertà. Vediamo in questo momento una difficoltà: per quanto riguarda il futuro noi siamo già ad un punto per cui non potremo garantire più dei servizi che stiamo attualmente fornendo, né orari di apertura diversi. Quindi, davanti ai nostri centri le file saranno sempre più lunghe …

    Particolarmente toccante la testimonianza portata a Bruxelles da Nikos Voutsinos di Caritas Grecia, che ha parlato di un Paese che soccombe quotidianamente sotto il peso della crisi. Milioni i greci che vivono sotto la soglia della povertà, che hanno difficoltà ad acquistare anche i generi di prima necessità, ma il popolo ellenico non si arrende e reagisce con l’arma più potente: la solidarietà. Ascoltiamo Voutsinos, al microfono di Salvatore Sabatino:

    R. – It’s a terrible situation. We have so many cases that we are facing …
    La situazione è terribile: abbiamo tanti di quei casi che ci si presentano ogni giorno... non si può spiegare in poche parole. Noi, comunque, lottiamo per cercare di aiutare. L’unico aspetto positivo è che la gente è desiderosa a sua volta di aiutare: questa consapevolezza ci dà maggiore speranza ed entusiasmo per continuare. C’è grande solidarietà: quello che ci ha colpito è che persone povere aiutano altre persone povere, e questa è una bella cosa.

    D. – Van Rompuy ha detto che se lottiamo insieme, possiamo vincere la povertà. Cosa ne pensa? In molti pensano che Bruxelles sia molto lontana da Atene …

    R. – The thing is that – to me personally – the recipe of these austerity measures …
    Il fatto è che – secondo me – la ricetta di queste misure di austerità non aiuta: noi ormai siamo in recessione da cinque anni e ancora non sappiamo cosa succederà. Non vediamo la luce alla fine del tunnel, nonostante il fatto che forse stiamo un po’ meglio grazie al denaro che la Grecia riceverà. Ma è sempre una situazione difficile. Credo – lo dico perché sono anch'io un economista – che introducendo tante limitazioni,tasse, tasse e ancora tasse, la recessione non possa che peggiorare. C’è grande bisogno di sviluppo, di presupposti legali per favorire gli investimenti dall’estero …

    Un momento di confronto importante, dunque, quello organizzato da Caritas Europa, che ha fatto emergere l’impegno delle Caritas nazionali e delle migliaia di volontari che supportano le loro azioni; tutti uniti, insomma, per rispondere al grido di aiuto degli oltre 110 milioni di europei in forte difficoltà. Il segretario generale di Caritas Europa è Jorge Nunes Mayer, spagnolo ma residente a Bruxelles. Salvatore Sabatino gli ha chiesto qual è la sua impressione circa le differenti visioni della crisi, visto che in molti parlano di un allontanamento dell’Unione Europea dalle istanze delle singole capitali:

    R. – I think you are right...
    Penso che questa osservazione sia giusta. La percezione della povertà e la percezione della crisi non è la stessa in questi Paesi e a Bruxelles. Vivo a Bruxelles ormai da due anni e mezzo e svolgo questo incarico presso la Caritas e al servizio della gente povera. Io sono rimasto molto sorpreso e molto preoccupato quando, la scorsa estate, sono stato in Spagna in vacanza: tutti parlavano della crisi, tutti erano in sofferenza e nessuno si sentiva sicuro. A Bruxelles questo non si percepisce, questa realtà è molto lontana. Le istituzioni conducono discorsi politici interessanti, ma la realtà è che, però, oltre i discorsi che ascoltiamo a Bruxelles, non si vedono azioni o misure concrete di supporto alle persone. Quindi, è vero che Bruxelles sembra essere lontana e il nostro ruolo, come Caritas Europa, è quello di portare la realtà della gente al Parlamento europeo, alle istituzioni europee, alla Commissione e al Consiglio europei. Ecco perché abbiamo deciso di stilare un Rapporto sulla povertà, sulla crisi, insieme con la Caritas in Grecia, la Caritas in Italia, in Spagna, in Portogallo, con le nostre organizzazioni cattoliche in Irlanda, per assicurarci che la realtà della gente che sta soffrendo in questi Paesi arrivi alle istituzioni europee.

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    I vescovi irlandesi: no alla revisione della legge contro l'aborto

    ◊   I vescovi irlandesi ribadiscono che la società ha il dovere di difendere e promuovere il diritto alla vita sia della mamma incinta che del bimbo che porta in grembo. L’intervento dei vescovi è stato reso noto ieri al termine della loro assemblea invernale, il giorno dopo la pubblicazione di un Rapporto presentato da un “gruppo di esperti” istituito dal governo, che suggerisce una legge in favore dell’aborto. All’inizio di questa settimana, circa 8 mila persone si sono riunite per una veglia davanti al Parlamento, chiedendo al governo di sostenere il diritto alla vita del bambino non nato, perché sancito nella Costituzione irlandese. Emer McCarthy, della nostra redazione inglese, ha chiesto a mons. Kieran O’Reilly, vescovo della diocesi di Killaloe, quali siano le preoccupazioni della Chiesa:

    R. – The main concern would seem that there is an attempt being made to …
    La preoccupazione maggiore consiste nel fatto che sembra ci sia un tentativo di arrivare ad una legislazione in favore dell’aborto. La nostra posizione afferma che anche un aborto limitato a certe condizioni resta comunque un aborto, e noi abbiamo rilevato che ci sono gravi lacune e vuoti. Una delle opzioni potrebbe essere un altro referendum, che però non è stato nemmeno menzionato. Noi crediamo che i termini di riferimento siano stati inutilmente ristretti al gruppo di esperti e che lo scopo ultimo fosse la creazione di una normativa per l’introduzione dell’aborto, sia pure in termini limitati. E questo non possiamo accettarlo. Tra le opzioni più serie, dovrebbero esserci linee guida più attente per aiutare e orientare la professione medica nell’affrontare situazioni di malattie gravi di donne incinte.

    D. – Ci sono stati, negli ultimi 20 anni, numerosi referendum che trattavano della legislazione sull’aborto, in Irlanda, e che sono stati sistematicamente rifiutati dal popolo irlandese. Martedì scorso, oltre 8 mila persone si sono riunite per una veglia davanti al Parlamento, chiedendo al governo di mantenere le sue promesse “pro-vita”. Al di là della Chiesa, il popolo irlandese continua a restare per la vita?

    R. – There are many groups, other than Christian groups also, who are concerned …
    Ci sono molti altri gruppi, al di là dei cristiani, che sono preoccupati per i cambiamenti che si stanno verificando nel Paese; noi vogliamo mantenere e conservare la situazione esistente nel nostro Paese, che è di un forte atteggiamento “pro-vita”. Noi siamo convinti che nel nostro Paese abbiamo uno dei migliori sistemi di assistenza medica per la cura della madre e del bambino e siamo convinti che si farà sempre il possibile, e nel migliore dei modi, perché siano accuditi entrambi. C’era uno dei cartelloni, alla manifestazione dell’altra sera, davanti al Parlamento, che diceva: “Amateli tutti e due”. Ecco, questo è il principio di fondo al quale vogliamo attenerci.

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    Faida a Scampia: uomo ucciso nel cortile di una scuola materna

    ◊   Terrore a Scampia. Un uomo, legato agli scissionisti, è stato ucciso in un agguato da due killer all’interno di una scuola materna, dove si era rifugiato. Nell’istituto si trovavano insegnanti e bambini, fortunatamente illesi. “Scampia è una ferita aperta” ha detto il ministro dell’Interno Cancellieri promettendo una massiccia presenza delle forze dell’ordine, perché – ha detto –“la battaglia richiede tempi lunghi”. Sulla situazione Paolo Ondarza ha sentito il padre gesuita Fabrizio Valletti, impegnato tra gli ultimi a Scampia:

    R. – Scampia è un luogo dove fino a poco tempo fa c’è stato un grande mercato di droga – dicono che sia stato il più grande mercato europeo – che l’azione della polizia recentemente ha ridotto, al punto che quasi tutte le piazze di spaccio sono state demolite. Moltissimi sono stati arrestati. Questi arresti hanno fatto sì che arrivassero nel quartiere nuovi giovani spacciatori. Chi deteneva il potere nella zona però ora ha interesse a non lasciare il campo libero a questi “nuovi arrivati”. La lotta è fra i gruppi che vogliono ancora dominare il territorio.

    D. – La massiccia presenza delle forze dell’ordine, che il ministro Cancellieri ha garantito, potrà fermare la camorra a Scampia?

    R. – Diciamo che la presenza delle forze dell’ordine ha bloccato di fatto alcune piazze, anche se il commercio porta-a-porta con commessi continua tranquillamente.

    D. – La maggior parte della gente a Scampia non si riconosce nella camorra …

    R. – Diciamo che l’80 per cento della popolazione è onesta, tranquilla …

    D. – E questa gente come vive nel momento in cui vede minacciata un’area che dovrebbe essere protetta, come una scuola materna?

    R. – In effetti, il fenomeno della sicurezza è delicatissimo. Molti, purtroppo, scelgono di mandare i propri figli nelle scuole fuori del quartiere, e questo priva il quartiere di una presenza sociale buona.

    D. – La Chiesa è un punto di riferimento per la gente?

    R. – Sono praticamente cinque le parrocchie: noi gesuiti abbiamo la rettoria. Ogni parrocchia cerca di soddisfare il dovere di una pastorale. E’ chiaro che la frequenza alle parrocchie è limitata come in tutte le chiese. Tuttavia quella della Chiesa è comunque una presenza di aggregazione: anche per i bambini, per i ragazzi, e può essere importante e utile.

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    Governo sull'orlo della crisi, il Pdl non partecipa al voto sul decreto sviluppo

    ◊   Governo in bilico, in Italia, dopo che il Senato ha votato sì alla fiducia sul decreto sviluppo, ma senza il Pdl. I sì sono stati 127, i no 17, gli astenuti 23. I votanti sono stati 167, quindi una maggioranza minima, dato che al voto non ha partecipato il Pdl, tranne pochi senatori entrati in aula per far raggiungere il numero legale. Il Pd chiede che ora Monti vada al Quirinale, mentre il Pdl si dice “perplesso” sull’attività del governo. Per il presidente del Senato Schifani "è un fatto non indifferente - ha detto - informerò il presidente della Repubblica". Subito in risalita lo spread Btp/Bund. Alessandro Guarasci:

    Oramai Monti sembra non avere alternativa, dunque la salita al Quirinale. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la presa di posizione del ministro per lo Sviluppo Economico Corrado Passera il quale stamane aveva dichiarato che un’eventuale ricandidatura di Berlusconi non sarebbe stato “un bene per il Paese". “Dobbiamo dare la sensazione che l’Italia va avanti'' ha precisato Passera. I riflessi appunto sono stati pesanti. Il Pdl ha subito dichiarato che si sarebbe astenuto sul decreto sviluppo assicurando però il numero legale. Il governo ha ottenuto comunque la fiducia al Senato, ma la presidente dei senatori del Pd Finocchiaro ha detto che "se un governo non ha più la maggioranza" a causa della scelta del Pdl di passare a una scelta di astensione "Monti dovrebbe recarsi al Quirinale". Il capogruppo del Pdl Gasparri ha risposto che i senatori del gruppo sono "perplessi" sull'attività del governo e su alcuni provvedimenti, ma "la responsabilità verso l'Italia è sempre stata dimostrata". Per il segretario dl Pd Bersani stasera si saprà se ci sarà la crisi; secondo il leader dell’Udc Casini con Berlusconi è tornata l’irresponsabilità.

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    "Why Poverty?". In Australia una difficile convivenza tra ricchi e poveri

    ◊   Nel quadro della Campagna dell'EBU "Why Poverty?" (Perchè la Povertà?) continua la nostra inchiesta sulla povertà e l'aiuto della Chiesa per i poveri. Una povertà che non risparmia neppure un Paese ricco come l’Australia. E’ una condizione che riguarda soprattutto la minoranza aborigena e secondo gli ultimi dati dell’Australian Bureau of Statistic coloro che vivono in situazioni di disagio estremo sono circa 2,2 milioni. Ma per gli aborigeni si tratta anche di un profondo disagio sociale che ha radici nel passato. Ce ne parla nel servizio Alessandro Filippelli:

    Sono più di mezzo milione e costituiscono il 2,7% della popolazione. Il dramma vissuto dagli aborigeni è un tema molto sentito in Australia, una nazione ricca, ma non esente dalla povertà. Sara Gagliardo, una giovane insegnante di 22 anni, prossima alla laurea, vive in Australia dal 1991 e dedica parte della sua vita ai ragazzi aborigeni:

    “Sono qui in Australia in missione: siamo stati inviati come "Famiglia in missione" da Giovanni Paolo II, con le Comunità neocatecumenali. Sono specializzata nelle culture e lingue aborigene. In Australia, fondamentalmente la povertà non è una povertà fisica, perché il governo continua a offrire tantissimi soldi agli aborigeni per aiutarli. Per capire la povertà che vivono gli aborigeni, dobbiamo tornare all’inizio della loro storia”.

    Alla fine del ‘700, quando gli inglesi giunsero in Australia, gli aborigeni conobbero il dramma della perdita di speranze, di valori e di libertà. Poi, tra il 1910 e il 1970, lo Stato sequestrò oltre 100 mila bambini aborigeni, affidandoli ad altre famiglie bianche, spesso a migliaia di chilometri di distanza, con il pretesto di offrir loro una vita migliore.

    “Quando Madre Teresa è venuta in Australia, ha detto: ‘Sembra che gli aborigeni abbiano perso la loro dignità, a causa delle loro ferite!’”.

    Gli aborigeni rivendicano maggiori diritti, con l’obiettivo di integrarsi in una delle società più avanzate e dinamiche del mondo, ma ancora oggi vivono emarginati e colpiti da disoccupazione, alcoolismo e malattie. Entro il 2013 si dovrebbe tenere un referendum per inserire nella Costituzione australiana un riferimento alle popolazioni indigene, ma l’integrazione rimane ancora una ferita aperta.

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    Restaurati gli affreschi di Giotto nella Cappella di San Nicola ad Assisi

    ◊   Celata finora da uno strato nero, la brillantezza dei colori degli affreschi giotteschi nella Cappella di San Nicola all’interno della Basilica Inferiore di san Francesco ad Assisi, torna a rivelarsi al pubblico. Presentato questa mattina ad Assisi, alla presenza del ministro per i Beni e le attività culturali Lorenzo Ornaghi, il restauro del ciclo pittorico, recuperato dopo il sisma del ’97. Il servizio è di Paolo Ondarza:

    Dopo due anni e mezzo di lavori di restauro tornano a splendere nella loro bellezza l’azzurrite, la terra rossa, l’oro zecchino e le cromie tutte degli affreschi di Giotto nella Cappella di san Nicola all’interno della Basilica Inferiore di san Francesco ad Assisi. Costruita intorno al 1270-80 nel transetto destro dell’aula di culto e concepita come cappella sepolcrale del cardinale Gian Gaetano Orsini, fu interamente affrescata dal maestro dell’arte italiana e costituisce una delle sue prime opere pittoriche. Il custode del Sacro Convento padre Giuseppe Piemontese:

    “Qualcuno nel passato aveva messo in dubbio la paternità di Giotto ma i restauri hanno rivelato chiaramente la sua paternità. Pare che ci sia anche una firma di Giotto. Gli studiosi lo accerteranno. E’ stato recuperato un patrimonio inestimabile”.

    La cappella versava in condizioni critiche, chiusa al pubblico e non utilizzata. Il terremoto non aveva causato crolli come nella Basilica Superiore, ma piccoli distacchi di intonaco. Inoltre la brillantezza cromatica degli affreschi era coperta da una coltre nera di umidità e polvere. Il capo restauratore maestro Sergio Fusetti:

    “Quando siamo andati vicino agli affreschi abbiamo visto che questa cappella versava in pessime condizioni. Ora è tornata al suo originario splendore: è ricchissima, piena di decorazioni rifinite in oro zecchino: prima non si vedeva nulla di tutto questo”.

    L’inaugurazione della cappella avviene nella memoria liturgica di san Nicola, vescovo di Mira, nell’odierna Turchia, da qui l’auspicio che questo restauro incoraggi il cammino ecumenico con la Chiesa d’oriente. Ancora padre Piemontese:

    “Ci auguriamo che i fedeli vengano non soltanto per ammirare Giotto ma anche per pregare San Nicola”.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Appello dei patriarchi del Medio Oriente ai musulmani: libertà e uguaglianza per i concittadini cristiani

    ◊   La seconda Assemblea dei patriarchi e dei vescovi cattolici del Medio Oriente si è conclusa ieri sera ad Harissa, con l'approvazione di due documenti in cui si condensa la sollecitudine pastorale dei Capi delle Chiese cattoliche davanti alle urgenze, anche politiche, sociali e umanitarie, vissute dai Paesi arabi nel tempo presente. Il primo documento, lungo e articolato, offre suggerimenti e indicazioni concrete per mettere in pratica in tutte le dimensioni della vita individuale e comunitaria, gli insegnamenti contenuti in "Ecclesia in Medio Oriente", l'Esortazione apostolica post-sinodale che Benedetto XVI ha consegnato ai vescovi della regione e alle loro Chiese durante il suo recente viaggio in Libano. Secondo le informazioni raccolte dall'agenzia Fides, il secondo documento sottoscritto dai partecipanti all'Assemblea di Harissa è un appello alla comunità internazionale e a tutti gli uomini di buona volontà concentrato intorno a tre punti fondamentali. I patriarchi e i vescovi cattolici del Medio Oriente sottolineano in primis l'urgenza di trovare finalmente una “soluzione giusta e pacifica alla questione palestinese”, indicata come punto d'origine di tutti i conflitti mediorientali. Il secondo punto è un accorato richiamo a fare di tutto per porre fine ai conflitti e alle violenze che stravolgono la vita dei popoli della regione, ponendo in atto cammini di riconciliazione e di pace che garantiscano a tutti la libertà e la tutela della propria dignità umana. L'appello fa riferimento esplicito alla situazione della Siria martoriata. Il terzo punto si concentra sulla condizione dei cristiani nelle terre mediorientali. I capi delle Chiese sono sollecitati a intensificare la loro comunione e la piena collaborazione per favorire la permanenza e la continuità della presenza autoctona, attiva e efficace, dei cristiani nelle società arabe. L'appello su questo punto si rivolge anche ai musulmani, chiamati a concorrere alla tutela dei pieni diritti dei loro connazionali cristiani, nel riconoscimento di una comune e condivisa cittadinanza. Ieri i partecipanti all'Assemblea di Harissa hanno espresso il loro unanime cordoglio per la morte di Ignatius IV Hazim, Patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l'Oriente, spentosi nell'ospedale Saint Georges di Beirut all'età di 91 anni. Il cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca di Antiochia dei maroniti, a nome di tutti i patriarchi e i vescovi cattolici presenti ad Harissa ha reso omaggio alla grande “saggezza e dedizione” con cui il patriarca Hazim ha guidato per 33 anni la sua Chiesa. (R.P.)

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    Il mondo ecumenico in lutto per la morte di Ignazio IV Hazim

    ◊   Mondo ecumenico in lutto per la morte del leader della Chiesa greco-ortodossa di Siria, il patriarca di Antiochia e di tutto l‘Oriente Ignazio IV Hazim. “Il Patriarca Ignazio - scrive il patriarca di Mosca Kirill in un messaggio di condoglianze ripreso dall'agenzia Sir - è stato al timone della Santissima Chiesa di Antiochia in un periodo di dure prove. La sua saggezza biblica e la sua profonda umiltà cristiana hanno fatto di lui uno dei principali leader religiosi di oggi. Ha lavorato molto per la pace e il benessere dell’antica terra d‘Oriente”. “Amico della Chiesa ortodossa russa per molti anni”, il patriarca ricorda “i nostri recenti colloqui in Siria e Libano” pregando ora “ardentemente” per il riposo della sua anima. Anche la Conferenza delle Chiese europee (Kek) ricorda in un comunicato “la sua guida spirituale e coraggiosa che ha svolto in tutta la sua vita e, in particolare, durante le crisi attraversate dal Medio Oriente e dalla Siria di oggi. Onoriamo la sua dignità, il coraggio e la determinazione in tutto quello che ha fatto come una guida per i cristiani in tutto il Medio Oriente”. Sarà anche sempre ricordato come uno dei fondatori della movimenti giovanili ortodossi in tutto il mondo, Syndesmos. (R.P.)

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    Francia. I vescovi: rispettare la vita dell’embrione umano

    ◊   È di due giorni fa l’approvazione, da parte del Senato francese, di una proposta di legge che mira ad autorizzare la ricerca sull’embrione e le sue cellule staminali. Il testo normativo, che ha ricevuto l’appoggio del governo, prevede il passaggio dall’attuale divieto, salvo deroghe, di ricerca sugli embrioni, ad un’autorizzazione regolamentata da una legge-quadro. La proposta, adottata a larga maggioranza, passerà ora al vaglio dell’Assemblea nazionale. Intanto, però, non si è fatta attendere la risposta della Conferenza episcopale francese (Cef) che, in una nota ufficiale a firma di mons. Pierre d’Ornellas, ribadisce l’importanza di tutelare la vita degli embrioni umani. Sottolineando, quindi, “la gravità del problema avanzato dalla proposta di legge adottata dal Senato”, i presuli incalzano: “La vita dell’embrione umano merita o no di essere protetta?” “Il Senato ha risposto di no – continua la nota - e pur essendo consapevoli del fatto che si tratta di una ‘trasgressione antropologica’, i senatori hanno dato il via libera alla ricerca sugli embrioni per principio e non solo in casi eccezionali”. Tra l’altro, nota la Cef, le motivazioni addotte per spiegare l’esito del voto sono “pericolose”, perché “davvero il progresso della ricerca scientifica in Francia dipende da questa autorizzazione?”. Di qui, il forte richiamo che i vescovi lanciano: “L’embrione umano deve essere protetto; l’Europa stessa chiede che tale tutela venga assicurata nel miglior modo possibile e la legge francese, attualmente, rispetta l’essere umano sin dal principio della vita”. “La Francia può essere fiera di questo rispetto”, afferma la Chiesa locale, auspicando che “tale fierezza sia mantenuta”. Al contrario, la decisione del Senato “ha rimesso in discussione tale rispetto” e questo è “scioccante”, tanto più che tale cambiamento è avvenuto “senza un vero dibattito”, come richiesto, invece, dall’articolo 46 della legge 2011 sulla bioetica, la quale prevede che “tutti i progetti di riforma sui problemi etici e le questioni sociali sollevate dai progressi della conoscenza nel campo della biologia, della medicina e della salute devono essere preceduti da un dibattito pubblico, sotto forma di Stati generali”. Infine, la Cef ricorda come “la comunità scientifica internazionale privilegia, ormai, le cellule staminali adulte riprogrammate, scoperte dai Nobel Gurdon e Yamanaka”. La scelta del Senato francese, dunque, rischia di “inviare al mondo un messaggio di negazione dell’etica e di anacronismo scientifico”. (A cura di Isabella Piro)

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    Filippine: i vescovi chiedono più tempo per la discussione della Legge sulla Salute Riproduttiva

    ◊   Continua nelle Filippine il braccio di ferro sulla Legge sulla Salute Riproduttiva” (“RH Bill”), il provvedimento che vuole introdurre nel Paese misure come la contraccezione artificiale, l’educazione sessuale, la pianificazione familiare e metodi di controllo delle nascite senza escludere l’aborto. Dopo l’invito rivolto nei giorni scorsi dal Presidente Benigno Aquino ai membri della Camera dei Rappresentanti della sua coalizione politica a far passare la legge in tempi brevi, l’arcidiocesi di Manila ha diffuso ieri un appello di segno opposto, esortando i parlamentari “a lasciare ampio tempo alle deliberazioni e al discernimento e a non affrettare indebitamente i tempi”. La nota, firmata tra gli altri dall’arcivescovo della capitale, card. Luis Antonio Tagle e ripresa dall’agenzia Ucan chiede inoltre “un processo decisionale trasparente con il voto nominale e il rispetto delle diversità di opinione”. Intanto, mons. Gabriel Reyes, presidente della Commissione episcopale per la amiglia e la vita ha reiterato l’appello ai parlamentari contrari al provvedimento a presenziare alle sedute e a votare contro. Il presule ha confermato peraltro che sui numeri non c’è ancora certezza e che la Chiesa continua a pregare affinché i parlamentari contrari siano più numerosi di quelli a favore. Il Presidente Aquino, da parte sua, non ha fatto mistero dei suoi orientamenti personali, premendo per un’accelerazione dell’iter parlamentare per la sua approvazione. Il presidente del Senato Juan Ponce-Enrile, ha replicato che le pressioni del Capo dello Stato non avranno seguito poiché, secondo le procedure vigenti, la legge deve passare per tre volte all’esame dell’Assemblea prima di essere votata, tanto più che si tratta di un tema molto delicato. (L.Z.)

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    Jrs Europa: fermare i rimpatri forzati in Marocco e Algeria

    ◊   “In Marocco e Algeria stanno aumentando i rimpatri forzati e le violazioni dei diritti umani dei migranti”: è la forte denuncia all’Unione europea contenuta nel rapporto, presentato oggi a Bruxelles, del Jesuit Refugee Service Europa. “La mancanza di una legge sull‘asilo in entrambi i Paesi - si legge nel rapporto ripreso dall'agenzia Sir - non permette ai migranti forzati di accedere allo status di rifugiato. Continua l‘abuso dei diritti dei migranti anche perché l‘Unione europea, troppo spesso, si gira a guardare dall‘altra parte”. "Per anni l‘Ue ha chiesto al Marocco di rimandare indietro i migranti senza garantire alcun tipo di procedura per identificare le persone che hanno bisogno di protezione umanitaria - spiega Andrew Galea Debono, di Jrs Europa -. In Algeria, dove molti migranti rimangono intrappolati senza protezione, molti sono costretti a chiedere l‘elemosina per strada e a vivere in edifici abbandonati”. Nel rapporto è raccontata la storia straziante di Armel, 37 anni, camerunese: nuotava di notte a due km dalla costa del Marocco, vicino all‘enclave spagnola di Ceuta, tirando con sé un grosso pneumatico con una donna incinta. Erano ancora lontani dalla riva quando il pneumatico si è forato e la donna ha perso conoscenza. Una imbarcazione della Guardia Civil spagnola, invece di aiutarli, li ha gettati di nuovo in mare. Sono stati salvati dalla polizia marocchina, ma la donna ha perso il bambino. Galea Debono ha parlato con molti migranti, più volte espulsi verso il deserto sia dal Marocco, sia dall’Algeria, senza verificare se abbiano diritto o meno allo status di rifugiato. “Anche quelli con visto legale - denuncia - sono stati espulsi alla frontiera solo per il colore della loro pelle”. Alcune Ong marocchine hanno detto a Jrs Europa che le deportazioni sono notevolmente aumentate dall‘inizio del 2012. "Spesso ai migranti vengono sottratti i telefoni cellulari, privandoli così della possibilità di comunicare con le famiglie - racconta Galea Debono -. Nel frattempo, bande locali e persino agenti di polizia approfittano dei migranti vulnerabili rimasti bloccati su entrambi i lati del confine marocchino-algerino". Per questo Jrs Europa chiede all‘Ue e ai suoi Stati membri di “interrompere i rimpatri forzati” e garantire l‘accesso alle procedure umanitarie per la protezione dei diritti umani dei migranti, che dovrebbero essere “prioritarie rispetto a tutti gli accordi bilaterali con il Marocco e l‘Algeria”. "E’ chiaro che né l‘Algeria né il Marocco possono essere considerati un luogo sicuro per i migranti in cerca di protezione", afferma Stefan Kessler, di Jrs Europa: invece di scaricare su altri le responsabilità, sottolinea, “l’Europa dovrebbe dare l’esempio e dimostrare, nei rapporti con i Paesi terzi, che i diritti umani sono un elemento non negoziabile”. (R.P.)

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    Usa. Il vescovo di Atlanta: “La difesa degli immigrati è evangelizzazione”

    ◊   L'arcivescovo di Atlanta, nel Nord della Georgia, ha chiesto per l'ennesima volta una riforma integrale dell'immigrazione. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides, mons. Wilton Gregory pur congratulandosi con l'amministrazione Obama per l'offerta di permessi di lavoro ad alcuni immigrati clandestini e di due anni di sospensione dell’espulsione, ha detto che tuttavia si dovrebbe fare di più. "Per alcuni questo programma può essere di aiuto, ma dobbiamo continuare a sostenere una riforma integrale, che crei delle opportunità per molti di più, in particolare per le famiglie e per coloro che vivono già qui, lavorando a beneficio di questo paese - ha detto Mons. Gregory -. Ciò è particolarmente vero oggi, come abbiamo anche visto dal numero record di deportazioni e separazioni familiari nel corso degli ultimi anni". L'arcivescovo ha parlato nella sessione inaugurale del convegno dal titolo “Migration Policy and Advocacy in 2013 and Beyond: New Challenges and New Opportunities”. L'arcidiocesi di Atlanta rappresenta circa 69 contee del Nord e Centro della Georgia, dove vivono un milione di cattolici. Sponsorizzato dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti e dalla rete cattolica sull'immigrazione legale, il convegno si è tenuto dal 3 al 5 dicembre ad Atlanta, proprio mentre il Presidente Obama si sta impegnando ad affrontare la questione dell'immigrazione all'inizio del suo secondo mandato. I sondaggi hanno mostrato che Obama ha raccolto buona parte dei voti degli ispanici per la sua rielezione. Allo stesso tempo è stato oggetto di forti critiche da parte degli stessi ispanici per i numeri record di espulsioni durante la sua amministrazione e per non aver riformato le leggi sull'immigrazione del Paese. "La difesa degli immigrati è evangelizzazione nella misura in cui si condividono gli insegnamenti del Vangelo sulla dignità umana e le necessità degli altri, molti devono ancora riconoscere Cristo in questi fratelli e sorelle" ha concluso mons. Gregory nel suo lungo intervento. (R.P.)

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    Emergenza Sud Sudan: ancora violenze nello Stato di Jonglei

    ◊   Da oltre un anno in Sud Sudan è emergenza umanitaria. Guerra, epidemie, malnutrizione sono solo alcuni dei flagelli che ogni giorno la popolazione si trova a dover affrontare. A luglio, un'indagine epidemiologica condotta dall’organizzazione Medici Senza Frontiere (Msf) nei campi profughi vicino al confine con il Sudan, aveva evidenziato un tasso di mortalità due volte superiore alla soglia di emergenza. Ogni giorno - riferisce l'agenzia Fides - morivano 5 bambini. Oggi le violenze nello Stato di Jonglei colpiscono anche le strutture di Msf impedendo l’accesso all’assistenza sanitaria ad una popolazione già vulnerabile. Nel rapporto “Sud Sudan, una crisi dimenticata. Come le violenze contro i civili stanno devastando le comunità e impediscono l’accesso a cure salvavita nel Jonglei”, recentemente pubblicato, gli operatori di Msf sottolineano l’impatto devastante della violenza sulla vita e sulla salute dei civili nello Stato. Fra le vittime ci sono molte donne e bambini. Altri scontri tra un gruppo di miliziani e le forze armate sud sudanesi hanno aumentato la violenza e causato una fuga di massa durante il picco della stagione della malaria. Più del 50% delle ferite da arma da fuoco curate da MSF dopo un attacco a gennaio 2012 erano state inferte a donne e bambini. Intere comunità sono fuggite per salvare la vita all’interno della boscaglia. Senza un rifugio, cibo o acqua potabile, sono vulnerabili alla malaria, alla polmonite, alla malnutrizione e alla diarrea. (R.P.)

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    Ghana: chiusa la campagna elettorale, domani al voto

    ◊   I risultati delle elezioni presidenziali e legislative, in programma domani, saranno annunciati al massimo entro 72 ore dalla chiusura dei seggi: lo ha annunciato il presidente della commissione incaricata di organizzare lo scrutinio, Kwadwo Afari-Gyan, dopo gli ultimi comizi dei candidati che si sono tenuti ieri sera. Domani circa 13 milioni di aventi diritto saranno chiamati a eleggere un nuovo Presidente e 275 parlamentari. I candidati per la prima carica dello Stato - riferisce l'agenzia Misna - sono otto. La partita vera è tra il presidente uscente John Mahama, che ha assunto l’incarico a luglio dopo l’improvvisa scomparsa del suo predecessore John Atta Mills, e Nana Akufo-Addo, candidato del principale partito di opposizione. I due rivali sono tornati a chiedere il sostegno degli elettori ieri sera ad Accra, nei loro ultimi comizi. Mahama ha sostenuto che nei prossimi quattro anni il suo Congresso democratico nazionale (Ndc) potrebbe “costruire sulle fondamenta” poste dopo la vittoria elettorale del 2008, facendo del Ghana un Paese a reddito medio. Akufo-Addo, candidato alla presidenza per la seconda volta consecutiva con il suo Partito patriottico nazionale (Npp), ha chiesto di “mandare a casa un governo corrotto e inefficace”. Se nessun aspirante alla massima carica dello Stato ottenesse la maggioranza assoluta dei consensi al primo turno sarebbe necessario tornare alle urne il 28 dicembre. (R.P.)

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    Mali: dal Consiglio di Sicurezza sanzioni ai ribelli jihadisti

    ◊   E’ stato inserito nella lista nera dei gruppi terroristici il Movimento per l’unità e il Jihad in Africa occidentale (Mujao), uno dei movimenti ribelli islamici che da alcuni mesi hanno preso il controllo del Nord del Mali. Lo hanno deciso i 15 Stati membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu, precisando che il ‘Mujao’ è da ricollegare alla nebulosa di Al Qaeda, pertanto alle sue componenti è stato imposto un divieto di recarsi all’estero e il congelamento dei beni. Il provvedimento restrittivo è stato annunciato mentre l’organismo esecutivo dell’Onu è chiamato a votare, in tempi brevi, una risoluzione che autorizzi un intervento militare africano nelle regioni settentrionali del Mali. “Negli ultimi dodici mesi il Mujao è considerevolmente cresciuto come movimento. I suoi leader sono notoriamente trafficanti di droga coinvolti in più paesi del Sahel” si legge nella motivazione diffusa dal Consiglio di sicurezza. Per di più il gruppo, presente in Algeria e Mauritania e legato ad Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) è considerato responsabile del rapimento di 13 ostaggi stranieri, di cui sette diplomatici algerini portati via da Gao, uno dei tre capoluoghi del Mali settentrionale. Inoltre la relazione finale dell’istituzione Onu ha sottolineato che “da quando stanno operando nella regione, i ribelli del Mujao sono entrati in possesso di armi pesanti, lancia razzi e altri equipaggiamenti militari derubati all’esercito maliano”. Intervenuta in sede del Consiglio di sicurezza, il ministro per l’Integrazione africana e i maliani residenti all’estero ha insistito sull’ “urgenza di dispiegare una forza internazionale” nel Nord del paese. “Il quotidiano della popolazione maliana nelle zone occupate è ben noto a tutti. E’ fatto di arruolamento forzato di bambini, flagellazioni, amputazioni, esecuzioni sommarie, stupri, lapidazioni e distruzioni di siti storici e patrimonio culturale” ha dichiarato la Traore Rokiatou Guikine. Durante un dibattito sulla crisi maliana, l’osservatore dell’Unione Africana (UA) presso l’Onu, Antonio Tete, ha invece sollecitato “il sostegno finanziario delle Nazioni Unite alla futura missione militare in Mali” – 3300 uomini sotto la guida della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) – per renderla “pienamente sostenibile e operativa”. Da canto suo il vice segretario Onu per gli Affari politici, Jeffey Feltman, ha ribadito la posizione cauta espressa la scorsa settimana da Ban Ki-moon. “Pur condividendo il sentimento di emergenza, l’intervento militare deve essere l’ultimo ricorso. La risposta internazionale deve essere pluriforma ma delineata con precisione. Prima dobbiamo avviare un dialogo nazionale a Bamako e proseguire il negoziato con alcuni gruppi armati del Nord” ha detto Feltman. In visita a Parigi, Idriss Déby Itno, il presidente del Ciad, paese membro della Cedeao, ha deplorato la “confusione totale della comunità internazionale” sull’intervento militare da attuare in Mali. (R.P.)

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    Senegal: nuova grave profanazione contro la Chiesa. La solidarietà del Presidente Sall

    ◊   Nuova grave profanazione contro la comunità cristiana in Senegal. Domenica alcuni vandali hanno distrutto a colpi di pietra due statue della Vergine e di Gesù nelle sue braccia situate all’ingresso di una chiesa cattolica nel quartiere di Parcelles Assainies, alla periferia della capitale Dakar. Secondo quanto riferiscono i quotidiani locali “Le Soleil” e “L’Observateur” citati dall’agenzia Apic, il grave atto sacrilego sarebbe avvenuto alle 5 di mattina. La notizia è stata accolta con sgomento e indignazione dai fedeli. E costernazione per l’accaduto è stata espressa dal Presidente senegalese Macky Sall che si impegna ad assicurare alla giustizia gli autori, per “salvaguardare la buona convivenza tra le religioni” in un Senegal “laico”, ha riferito il portavoce. Si tratta della seconda profanazione contro la comunità cristiana senegalese in poche settimane. Lo scorso 6 ottobre più di 160 tombe erano state profanate da ignoti nei due cimiteri cristiani di Saint Lazare de Béthanie e di Bel Air della capitale senegalese. (L.Z.)

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    Bolivia: irregolarità nella consultazione del Tipnis

    ◊   La Commissione inter-istituzionale formata da membri della Chiesa cattolica, dell'Assemblea Permanente per i diritti umani della Bolivia e della Federazione Internazionale dei Diritti Umani, ha riferito che l'inchiesta nel Tipnis (Territorio Indigeno e Parco Nazionale Isiboro Sécure) sulla consultazione effettuata dal governo di Evo Morales circa il progetto di una strada che attraversi il territorio indigeno, ha mostrato delle irregolarità. I membri della Commissione sono comunque ancora al lavoro nella regione. Secondo la nota inviata all’agenzia Fides, Marcelo Ortega, rappresentante della Caritas in Bolivia, parlando a Radio Fides Bolivia, ha detto: "Quello che possiamo dire è che sono state individuate delle irregolarità, e purtroppo noi osiamo anche dire che, in alcuni casi, non si è rispettato il protocollo. Queste irregolarità verranno presentate ufficialmente la prossima settimana”. Il rappresentante della Caritas ha ricordato che l'obiettivo di questa iniziativa è osservare e ascoltare la gente riguardo al controverso processo di consultazione del Tipnis, che si deve completare al più presto. Nel frattempo sia coloro che difendono il progetto del governo che quanti lo rifiutano, per motivi diversi, hanno preparato delle "celebrazioni" per domani, 7 dicembre, data fissata dalla legge in cui deve concludersi il processo. (R.P.)

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    Cina: a Wen Zhou consacrata una nuova chiesa dedicata all’Immacolata Concezione

    ◊   “La luce di Cristo illumini questo tempio di Dio”: dopo la solenne invocazione pronunciata da mons. Zhu Wei Fang, vescovo di Wen Zhou, si sono accese tutte le luci della nuova chiesa dedicata all’Immacolata Concezione nel villaggio di Luo Xi, nel territorio della parrocchia di Yong Lin, decanato di Yong Jia, della diocesi di Wen Zhou. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides da Faith dell’He Bei, oltre 2.500 fedeli hanno partecipato alla solenne consacrazione della chiesa, presieduta da mons. Zhu e concelebrata da 21 sacerdoti, che si è svolta il primo dicembre, in vista della solennità dell’Immacolata Concezione. Una lunga processione è partita dalla vecchia sala di preghiera, che si trova in una casa privata, usata fino ad ora per gli incontri liturgici, aperta da una gigantesca croce, ed è arrivata fino alla nuova chiesa. Il parroco ha ricevuto solennemente le chiavi della chiesa da mons. Zhu, mentre tutti i presenti hanno manifestato la loro grande gioia con la musica della banda e gli applausi. Nell’omelia mons. Zhu ha esortato i fedeli a “portare la luce di Cristo a tutti”. La nuova chiesa occupa 2.500 mq, ed è stata costruita con un finanziamento di oltre 5 milioni di Yuan, quasi tutti offerti dai fedeli locali, per rispondere alle esigenze pastorali e missionarie della zona. Infatti la chiesa sorge in un villaggio dove c’era solo una famiglia cattolica. Con il passare degli anni ora ci sono 33 famiglie cattoliche e centinaia di fedeli. All’inizio si ritrovavano in una casa privata per pregare e per celebrare la Messa, però i fedeli, soprattutto i giovani, sentivano forte il bisogno di avere una chiesa. Nel 2009 hanno comprato il terreno e benedetto la prima pietra. Oggi la nuova chiesa, la più grande e più bella del decanato, sarà “fonte di evangelizzazione” come ha detto il vescovo. (R.P.)

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    Svizzera: conclusa la Plenaria dei vescovi su ecumenismo e tutela della vita

    ◊   Dare priorità alla tutela della vita umana, rilanciare l’urgenza dell’ecumenismo, porre attenzione alla solidarietà finanziaria, riflettere sulla nuova evangelizzazione: sono state queste le linee-guida della Plenaria dei vescovi svizzeri (Ces) svoltasi dal 3 al 5 dicembre a Fischingen. Nel documento finale pubblicato al termine dei lavori, si ribadisce innanzitutto che “la Chiesa cattolica ha come priorità la tutela della vita e si impegna contro l’accettazione generalizzata dell’interruzione di gravidanza”. Alla base di ciò, spiega la nota, ci sono “motivi di diritto naturale e motivi religiosi”: la Chiesa, infatti, “considera l’aborto come un peccato grave che comporta danni permanenti sia ai diretti interessati che alla società”. L’omicidio “di un bambino non ancora nato”, continua la Ces, “non costituisce mai, umanamente parlando, una buona soluzione ad una situazione di difficoltà”. In questo senso, i vescovi svizzeri auspicano “un cambiamento di mentalità dei cittadini e sostengono con tutte le loro forze coloro che si impegnano nella tutela della vita, dal concepimento fino alla morte naturale”. I presuli elvetici, poi, si soffermano sull’iniziativa popolare “Finanziare l’aborto è una questione privata”: lanciata nel luglio 2011, essa chiede che le compagnie assicurative sanitarie obbligatorie non coprano più le spese per gli interventi abortivi. Nello specifico, la Ces giudica tale iniziativa “positiva” perché “combatte la normalità istituzionale dell’aborto”; tuttavia, i presuli mettono in luce che “la discussione sul piano finanziario non è sufficiente”, perché ciò che occorre è “innanzitutto lottare per i diritti delle donne incinte in difficoltà e per i diritti dei loro figli”, considerando anche che “l’interruzione di gravidanza è un’esperienza traumatica”. L’appello della Chiesa svizzera, dunque, è che “la società prenda le parti dei bambini non ancora nati e aiuti delle donne incinte in difficoltà, affinché per loro l’aborto non sia più una scelta”. Altro punto in esame durante la Plenaria è stato quello dell’ecumenismo, del quale i presuli sottolineano l’urgenza: in particolare, dopo un incontro con il Pastore Gottfried Locher, presidente del Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti di Svizzera, i vescovi elvetici hanno affrontato la questione della perdita d’importanza del cristianesimo nella società attuale ed hanno richiamato la necessità di un cammino ecumenico che non sia solo “unità nella diversità”, ma anche “vera ricostruzione dell’unità in una sola Chiesa”. Quindi, l’Assemblea dei vescovi elvetici ha riflettuto su un’altra particolare questione, denominata “Iniziativa delle parrocchie”, i cui firmatari lanciano una sorta di “appello alla disobbedienza” sulla base di quelle che chiamano “evidenze”, ovvero prassi abitudinarie nella vita parrocchiale, come la distribuzione della comunione ai divorziati risposati. Tuttavia, pur considerando molto seriamente i problemi sollevati dall’iniziativa, la Ces afferma di non poterli accettare come “evidenze” e ricorda che “l’unità con il Papa resta decisiva”. “Una pratica pastorale in contraddizione con la dottrina della Chiesa e le direttive dei vescovi conduce ad un’impasse”, si legge nel documento episcopale. E ancora: durante la Plenaria i presuli hanno richiamato il principio di solidarietà e collaborazione finanziaria tra gli organismi della Chiesa, così come l’importanza della nuova evangelizzazione, sulla scia del 13.mo Sinodo generale svoltosi ad ottobre, il quale e che ha ribadito che “nel mondo, oggi, c’è una notevole presa di coscienza del fatto che il Vangelo debba essere annunciato senza sosta e in condizioni sempre nuove e che la Chiesa non può permettersi di non evangelizzare”. Infine, la Ces ha dato disposizioni per la revisione delle traduzioni della Bibbia sia in francese che in tedesco. (I.P.)

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    Lione: consacrata dal card. Barbarin una nuova chiesa caldea dedicata a san Tommaso

    ◊   Una nuova chiesa è stata consacrata domenica scorsa a Vaulx-en-Velin, vicino a Lione dove vive una numerosa comunità caldea proveniente dall’Iraq. Il rito di consacrazione – riporta L’Osservatore Romano - è stato presieduto dall’arcivescovo di Lione. card. Philippe Barbarin. Hanno concelebrato una ventina di sacerdoti della Chiesa caldea in Francia. «Per me è la prima volta ed è una grande gioia consacrare una nuova chiesa nell’arcidiocesi di Lione e soprattutto a Vaulx-en-Velin» ha commentato il card. Barbarin. Dedicata a san Tommaso, l’apostolo evangelizzatore dell’Oriente, la nuova chiesa ospiterà fino a 450 fedeli ed è la prima costruita, negli ultimi quarant’anni, nell’arcidiocesi di Lione. Con le pareti bianche e la sua forma moderna, il luogo di culto assomiglia a un cubo dagli angoli arrotondati, con le vetrate illuminate raffiguranti disegni contemporanei. Su una delle facciate della chiesa compare la grande scritta «Allons», che fa riferimento a un’esortazione pronunciate da san Tommaso. I lavori di costruzione risalgono a due anni fa, quando per motivi di sicurezza è stata chiusa l’antica cappella che si trova nel centro storico di Vaulx-en-Velin. L’intera opera è costata circa quattro milioni di euro finanziata dall’arcidiocesi di Lione, anche se bisogna ancora raccogliere 500mila euro. Cosmopolita, la comunità parrocchiale può contare su molti fedeli indiani, numerosi caldei e diversi cattolici di rito orientale provenienti dall’Iraq. Poco più di duecento famiglie assiro-caldee, quasi mille persone in tutto, si sono trasferite in Francia a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. Le messe domenicali saranno celebrate in aramaico e in lingua francese. Durante la messa di consacrazione, concelebrata dal sacerdote caldeo Muhammad al Tawuil, il card. Barbarin ha riposto sull’altare una pietra proveniente da una delle più antiche chiese dell’Iraq. Anche Parigi, nel 2014, avrà un’altra chiesa caldea. La capitale francese ospita già due edifici di culto per i caldei, che sono all’incirca diciottomila in tutta la Francia, dei quali quasi undicimila a Parigi e a nord della capitale. La nuova chiesa che sorgerà ad Arnouville, nord di Parigi, sarà dedicata a san Giovanni, che trascorse una buona parte della sua vita in Turchia, Paese dal quale provengono molti dei fedeli caldei che vivono in Francia. (L.Z.)

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    Polonia: Veglia di preghiera a Jasna Góra per l’evangelizzazione del mondo

    ◊   Circa 500 persone hanno partecipato alla Veglia notturna di preghiera al Santuario di Jasna Góra, in Polonia, per l'evangelizzazione del mondo, che si è tenuta il 1° dicembre. Migliaia di persone, tra cui i malati, si sono potute unire a questa preghiera attraverso la radio e la televisione. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides, durante l’appello di Jasna Góra, mons. Tomas Atlas, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) in Polonia, in risposta alla richiesta del Santo Padre per una preghiera più intensa per la missione durante l'Anno della Fede, ha pregato per ottenere uno zelo rinnovato e un maggiore impegno nell'annuncio cristiano della Buona Novella nel mondo contemporaneo. Ha sottolineato inoltre la necessità di sostenere, spiritualmente e materialmente, i nostri fratelli nei Paesi di missione, in modo che possano conoscere Gesù Cristo, rafforzare la loro fede e sviluppare una Chiesa locale. Mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, ha presieduto la solenne Eucaristia a mezzanotte. Nella sua omelia ha sottolineato il valore della sofferenza nella vita della Chiesa, in particolare per il servizio missionario: "Sono stato felice di apprendere che i malati e i disabili sono stati invitati a partecipare alla veglia. Sono loro che con la loro sofferenza possono far sì che nelle missioni, in Paesi lontani, la terra si unisca al cielo e il cielo si unisca alla terra". Egli ha anche rilevato che essi costituiscono una parte particolarmente creativa dell’attività missionaria della Chiesa. La preghiera per l'evangelizzazione del mondo è stata accompagnata dalle testimonianze dei missionari di diversi continenti. La Veglia si è conclusa con l'atto solenne di affidamento del lavoro missionario della Chiesa a Nostra Signora di Jasna Góra. La Veglia di Preghiera a Jasna Gora, promossa dalla Pontificia Unione Missionaria in occasione della festa di San Francesco Saverio, si svolge da 22 anni. Per la prima volta hanno partecipato questo anno i membri dei gruppi di Rosario Vivente e i malati. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 341

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.