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Sommario del 05/12/2012

Il Papa e la Santa Sede

  • Appello del Papa per la pace nel Congo, migliaia di civili in fuga dalle violenze nel Kivu
  • Il Papa all’udienza generale: Dio ci chiama a portare nel mondo il suo progetto d’amore
  • Si è spento Ignazio IV, patriarca ortodosso di Siria: il Papa si raccoglie in preghiera
  • Onorificenza dell'Ambasciata di Spagna a padre Lombardi, Vian, Gasbarri e Giani
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Turchia: missili Nato schierati contro Damasco. Oltre 480 mila i profughi siriani
  • La Palestina scrive all'Onu e accusa Israele di crimini di guerra
  • Quasi 300 morti nel Sud delle Filippine per il tifone Bopha
  • Francia: l'impegno della Chiesa per i clochard: tutti contro il ministro Duflot
  • L'Europa a confronto contro la povertà e l'esclusione sociale
  • "Whi Poverty?": l’Indonesia e le profonde contraddizioni tra classi sociali
  • Giornata mondiale del volontariato. Ban Ki-moon: onore a chi dona del tempo per aiutare gli altri
  • Si celebra oggi in Italia la Giornata della salute mentale
  • Pellegrinaggio di Taizé a Roma. Il cardinale Vallini: ridare fiducia ai giovani
  • "Notizie Pro Vita", una nuova rivista per risvegliare le coscienze
  • Nella Chiesa e nel mondo

  • Ancora tensioni in Egitto: in piazza al Cairo oppositori e fronte pro-Morsi
  • Giordania: incontro fra il card. Edwin Frederick O'Brien e re Abdallah II
  • Siria: ucciso l'autista che aveva accompagnato due vescovi di Aleppo all'aeroporto
  • Israele: il nuovo nunzio mons. Lazzarotto ha presentato le Lettere credenziali
  • Povertà in Europa: mons. Paglia a Mosca al Convegno cattolico-ortodosso
  • Le conclusioni dell'incontro in Croazia dei vescovi europei di rito orientale
  • Colombia: riprendono i colloqui di pace governo-Farc a L'Avana
  • Doha: per il riscaldamento globale allarme nel mondo arabo
  • Irlanda: Veglia pro-life davanti al parlamento per chiedere di non modificare la legge sull’aborto
  • Vietnam: è tutto pronto per la 10.ma Assemblea generale dei vescovi asiatici
  • Filippine: Lettera congiunta di vescovi e ulema per la pace a Mindanao
  • Sri Lanka: Chiesa e governo sperano nella liberazione di Rizana Nafeek
  • Sudan: raid su cellula islamista pronta a inviare combattenti in Mali e Somalia
  • Concluso l’incontro dei vescovi di Senegal, Mauritania, Capo Verde e Guinea-Bissau
  • Il Nicaragua festeggia 450 anni di devozione mariana
  • David Moxon nuovo rappresentante della Comunione anglicana presso la Santa Sede
  • India: nell’Anno della Fede un film su Gesù in hindi per aiutare l’evangelizzazione
  • Il Papa e la Santa Sede



    Appello del Papa per la pace nel Congo, migliaia di civili in fuga dalle violenze nel Kivu

    ◊   Accorato appello del Papa, al termine dell’udienza generale, per la pace nella Repubblica Democratica del Congo, dove si sta combattendo nella regione del Nord Kivu. E' emergenza per migliaia di civili in fuga dalle violenze. Ascoltiamo le sue parole:

    “Continuano ad arrivare gravi notizie sulla situazione umanitaria nell’est della Repubblica Democratica del Congo che da mesi è diventata teatro di scontri armati e di violenze. A gran parte della popolazione mancano i mezzi di primaria sussistenza e migliaia di abitanti sono stati costretti ad abbandonare le proprie case per cercare rifugio altrove. Rinnovo quindi il mio appello al dialogo e alla riconciliazione e chiedo alla comunità internazionale di adoperarsi per sovvenire ai bisogni della popolazione”.

    L’appello del Papa ha messo in luce le emergenze che la popolazione sta vivendo nell’Est della Repubblica Democratica del Congo. A breve dovrebbero iniziare le trattative a Kampala, in Uganda, tra il governo congolese e i ribelli del M23, alla presenza anche di rappresentanti della società civile e sotto l’egida dei Paesi dei Grandi Laghi. A Goma, intanto, dopo l’uscita dei ribelli che si sono ritirati a 4-5 chilometri dalla città, la situazione è estremamente difficile per la popolazione. Lo conferma Antonella Girardi, capo-progetto a Goma dell’organizzazione non governativa Coopi, presente dal 1977 in Congo, dove porta avanti progetti di sicurezza alimentare, assistenza sanitaria, recupero psico-fisico degli ex bambini soldato, sostegno a distanza. l'intervista è di Francesca Sabatinelli:

    R. – I ribelli hanno lasciato la città, però le persone non hanno ancora il coraggio di ritornare ai luoghi di partenza. In più, ci sono persone che negli ultimi mesi si sono spostate nei vari campi profughi e quindi in città sono allo sbando. I profughi arrivati per ultimi hanno caricato ulteriormente quelle strutture sanitarie che già sono ridotte ai minimi termini; inoltre, pur di trovare riparo, sono andati a rifugiarsi nelle scuole e così le scuole attualmente sono ancora chiuse perché servono da ricovero per tutte queste persone: siamo ora nella stagione delle piogge e questo significa che i bambini non hanno accesso alla scuola. Molte famiglie, inoltre, sono state divise a causa degli avvenimenti e quindi ci sono anche molte donne sole con i bambini. Il Centro Don Bosco ospita tra le 10 e le 13 mila persone, e non si vede una via d’uscita a breve termine.

    D. – Cosa intendi? Queste persone non rientrano nelle loro case perché non ci sono le condizioni per farlo?

    R. – In alcune zone della regione c’è un minimo di condizione per poter tornare, in altre zone no. Al di là del movimento di un certo numero di ribelli che c’è stato su Goma, è tutta la zona che non gode di sicurezza. In più, dopo il passaggio dei ribelli, a Goma c’è insicurezza generale: la prigione è stata attaccata e ci sono 1.200-1.300 prigionieri liberi in città. Soprattutto nei quartieri più periferici, dove la gente è più povera, l’insicurezza veramente è palpabile e ogni notte ci sono incidenti, le persone sono praticamente prigioniere in casa fin dalle quattro del pomeriggio, per paura del banditismo!

    D. – Quali sono le emergenze? Suppongo soprattutto quella sanitaria e quella alimentare …

    R. – Sì, noi siamo presenti, qui, e appoggiamo il Centro Don Bosco dal punto di vista sanitario con un apporto di personale. Siamo su alcune zone del rientro, sempre con programmi sanitari, abbiamo anche dovuto lasciare alcune zone per l’impossibilità di restare. I problemi sanitari sono enormi, perché comunque il disastro è arrivato a colpire una situazione sanitaria già precaria. Poi ci sono problemi nel campo dell’istruzione, perché con il grande numero di persone che si è rifugiato nelle scuole, le stesse sono state distrutte. E ancora, problemi alimentari soprattutto nelle zone del rientro: queste popolazioni hanno lasciato i luoghi di provenienza già a luglio/agosto e quindi non hanno potuto raccogliere nessun frutto del lavoro dei campi fatto precedentemente, e ora si ritrovano con le case bruciate o devastate dalle forze in armi, e con i campi vuoti perché i raccolti sono stati presi dalle persone armate che passavano. Quindi chi rientra, torna senza un minimo di sostegno. Anche se dovesse esserci una possibilità di assistenza sanitaria non del tutto gratuita o la possibilità di andare a scuola, non avrebbero comunque i fondi disponibili per accedere alle cure. E’ per questo che insieme con il governo provinciale, è stata decretata la gratuità delle cure possibili, certo, nei Centri sostenuti soprattutto dalle ong: nei centri di Stato è difficilissimo!

    D. – Le ong stanno svolgendo un lavoro importantissimo: voi che appello lanciate, cosa chiedete?

    R. – La disponibilità di fondi, ma di fondi immediati, nel senso che non sono programmi che possono aspettare due mesi, i fondi devono poter essere utilizzati in maniera elastica, perché questa gente, purtroppo, scappando dalle battaglie, si sposta da un posto all’altro. Quindi, servono fondi che non siano vincolati ad una zona ma alle necessità reali delle persone. E poi si chiede soprattutto alla comunità internazionale di riuscire a fare da mediatore in una zona e in situazioni veramente molto dure per la popolazione.

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    Il Papa all’udienza generale: Dio ci chiama a portare nel mondo il suo progetto d’amore

    ◊   All’udienza generale in Aula Paolo VI, prima dell’appello di pace per il Congo, il Papa si è soffermato, nella sua catechesi, sul progetto di amore che Dio ha per tutti gli uomini. Un disegno, ha sottolineato Benedetto XVI, che viene rivelato in pienezza da Cristo e che cambia totalmente la nostra vita. Quindi, ha invitato i fedeli, specie nel periodo di Avvento, a mettere in pratica il piano d’amore di Dio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “L’Avvento – ha detto il Papa – ci invita ancora una volta, in mezzo a tante difficoltà, a rinnovare la certezza che Dio è presente”. Egli, ha soggiunto parlando ai fedeli in Aula Paolo VI, “è entrato nel mondo facendosi uomo come noi, per portare a pienezza il suo piano d’amore”:

    “E Dio chiede che anche noi diventiamo segno della sua azione nel mondo. Attraverso la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità. Egli vuole entrare nel mondo sempre di nuovo e vuol sempre di nuovo far risplendere la sua luce nella nostra notte”.

    La catechesi del Papa si è proprio sviluppata sul “progetto di Dio nei confronti dell’uomo”, sul suo “disegno di benevolenza”, “di misericordia e di amore”. L’uomo e la donna, ha osservato, non sono frutto del caso ma rispondono “ad un disegno di benevolenza della ragione eterna di Dio”. Ecco allora che, proprio in questo tempo forte dell’Avvento, vediamo che questo disegno d’amore non è più nascosto, ma si “manifesta nella Persona e nell’opera di Cristo”:

    “Questo ‘disegno di benevolenza’ non è rimasto, per così dire, nel silenzio di Dio, nell’altezza del suo Cielo, ma Egli lo ha fatto conoscere entrando in relazione con l’uomo, al quale non ha rivelato solo qualcosa, ma Se stesso”.

    Egli, ha aggiunto richiamando il Concilio Vaticano II, “non ha comunicato” solo un “insieme di verità”, ma è si è incarnato, è diventato “uno di noi”. Dio, ha detto ancora, “rivela il suo grande disegno di amore, entrando in relazione con l’uomo, avvicinandosi a lui fino al punto di farsi uomo”:

    “Con la sola intelligenza e le sue capacità l’uomo non avrebbe potuto raggiungere questa rivelazione così luminosa dell’amore di Dio; è Dio che ha aperto il suo Cielo e si è abbassato per guidare l’uomo nell’abisso del suo amore”.

    Questa comunione in Cristo, “offerta da Dio a tutti gli uomini” – ha aggiunto – “non è qualcosa che viene a sovrapporsi alla nostra umanità, ma è il compimento delle aspirazioni più profonde, di quel desiderio di infinito e di pienezza che alberga nell’intimo dell’essere umano”. Il Papa si è dunque chiesto cosa sia, in questa prospettiva, “l’atto di fede”? E’, ha detto, la risposta dell’uomo a Dio. Ed ha aggiunto che l’obbedienza “non è un atto di costrizione", ma "un abbandonarsi all’oceano della bontà di Dio”:

    “Tutto questo porta ad un cambiamento fondamentale del modo di rapportarsi con l’intera realtà; tutto appare in una nuova luce; si tratta quindi di una vera ‘conversione’, fede è un ‘cambiamento di mentalità’, perché il Dio che si è rivelato in Cristo e ha fatto conoscere il suo disegno di amore, ci afferra, ci attira a Sé, diventa il senso che sostiene la vita, la roccia su cui essa può trovare stabilità”.

    Al momento dei saluti ai pellegrini, Benedetto XVI ha rivolto un pensiero particolare ai rappresentanti della Federazione Italiana Panificatori, ringraziandoli per il dono dei panettoni destinati alle opere di carità del Papa. Un saluto infine ai volontari del Dispensario pediatrico Santa Marta in Vaticano invitati dal Santo Padre ad essere “testimoni sempre più generosi del Signore”.

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    Si è spento Ignazio IV, patriarca ortodosso di Siria: il Papa si raccoglie in preghiera

    ◊   Il capo della chiesa greco-ortodossa di Siria, il patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente Ignazio IV Hazim, è morto oggi in un ospedale di Beirut dopo essere stato colpito ieri da un ictus: aveva 92 anni. Benedetto XVI, appresa la notizia, si è raccolto in preghiera. Il patriarca, da tempo in gravi condizioni di salute, aveva lanciato in questi mesi numerosi appelli per la pace in Siria e insieme ai vescovi cattolici e ai leader religiosi musulmani era fortemente impegnato per la riconciliazione nel Paese. Nato il 4 aprile 1920 a Muharda, nei pressi di Hama in Siria, si era trasferito a Beirut nel 1936, dove nel 1945 si laurea all'Università americana. Poi, in Francia, studia teologia all'Istituto Teologico San Sergio di Parigi. Viene ordinato sacerdote in Libano. Fonda, quindi, il Movimento della gioventù ortodossa. Nel 1961 è nominato vescovo della diocesi di Palmira e vicario patriarcale. Nel 1970 diventa metropolita di Latakia. Nel 1979 è eletto primate della Chiesa di Antiochia. Nella sua vita, Ignazio IV ha pubblicato molti libri e articoli di teologia, che gli sono valsi la laurea honoris causa alla Sorbona di Parigi e all'Università di Minsk (Bielorussia).

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    Onorificenza dell'Ambasciata di Spagna a padre Lombardi, Vian, Gasbarri e Giani

    ◊   L’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede ha insignito questa mattina della prestigiosa “Encomienda de la Orden de Isabel la Catolica” quattro personalità vaticane: il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, il direttore dell’Osservatore Romano, Gian Maria Vian, l’organizzatore dei viaggi papali, Alberto Gasbarri, e il capo della Gendarmeria Vaticana, Domenico Giani. L’Encomienda è stata concessa per il lavoro da loro svolto durante i tre viaggi apostolici in Spagna di Benedetto XVI e nel ringraziare a nome del gruppo il re Juan Carlos e l’ambasciatore spagnolo per l’onore ricevuto, padre Lombardi ha riconosciuto che i viaggi compiuti dal Papa in Spagna “sono certamente fra quelli che non possiamo dimenticare, per l’accoglienza incontrata, per la cordiale ed efficace collaborazione ricevuta dalle istituzioni a tutti i livelli”.

    A questo proposito, padre Lombardi ha ricordato quanto affermato dal Pontefice al cospetto dei giornalisti sul volo diretto verso Santiago de Compostela nel 2010, e in particolare sul perché avesse già previsto ben tre viaggi in Spagna, e quindi più che negli altri Paesi eccetto la Germania. La sua risposta, ha detto padre Lombardi, fu che in realtà “andava in Spagna per rispondere a inviti per occasioni importanti e specifiche – come l’incontro mondiale delle famiglie, quello dei giovani, l’Anno Santo compostelano, la consacrazione della Sagrada Familia”, ma notando al contempo come la presenza di così “tante occasioni” denotasse la Spagna come “un Paese pieno di dinamismo, pieno di forza della fede, e la fede – asseriva – risponde alle sfide che sono ugualmente presenti in Spagna”. “Il caso – concludeva Benedetto XVI – ha fatto sì che io venga, ma questo caso dimostra una realtà più profonda, la forza della fede e la forza della sfida per la fede”.

    “Questa occasione risveglia naturalmente in noi molti ricordi e ci fa rivivere giornate intense e straordinarie”, ha proseguito padre Lombardi, rammentando a sua volta non solo il percorso del pellegrino nella Basilica di Santiago, ma anche l’ingresso nella Basilica della Sagrada Familia che, ha detto, “ci ha letteralmente lasciato senza fiato per l’ammirazione”. E ancora le stazioni della Via Crucis nel centro di Madrid, “con la straordinaria intensità e bellezza della devozione popolare spagnola, il silenzio di due milioni di giovani nell’adorazione del Santissimo Sacramento dopo la tempesta… Potremmo continuare a lungo”.

    Per noi, ha concluso il direttore della Sala Stampa vaticana, “è stato un grande onore collaborare per la nostra piccola parte, perché in questi eventi il viaggio del Papa e la sua presenza potesse svolgersi in piena sicurezza, ordine, regolarità e serenità, e perché il suo messaggio fosse capito, ricevuto e diffuso con ampiezza, con efficacia, in modo da raggiungere pienamente il fine che si proponeva, per i giovani spagnoli e del mondo, per i fedeli e per tutto il popolo spagnolo”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Aiuti internazionali per la popolazione congolese: l'appello di Benedetto XVI al termine dell'udienza generale.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'economia: nessun accordo all'Ecofin sulla vigilanza bancaria.

    Senza memoria non c'è consapevolezza: in cultura, il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, introduce la conferenza internazionale Herity.

    Azzardi medievali: Giovanni Cerro sulle baratterie tra il XIII e il XV secolo.

    Ribaltare i parametri: Giulia Galeotti su due libri - "A Good and Perfect Girl" e "Ora et labora. La Chiesa che vivo" - solo in apparenza distanti tra loro.

    In bilico tra sostenibilità economica e progetto artistico: Marcello Filotei sul decimo anniversario dell'inaugurazione dell'Auditorium Parco della Musica.

    Un articolo di Emilio Ranzato dal titolo "Barbara donna nuova": spunti interessanti ma anche qualche limite per il film tv della Lux Vide dedicato alla santa romana.

    Nell'informazione religiosa, un articolo dal titolo "Consacrati alle armi": in Eritrea la leva obbligatoria prolungata non esenta i seminaristi e priva il Paese di risorse preziose.

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    Oggi in Primo Piano



    Turchia: missili Nato schierati contro Damasco. Oltre 480 mila i profughi siriani

    ◊   Crisi Siriana. Sono oltre 480 mila, secondo le Nazioni Unite, i rifugiati fuggiti dal conflitto. Anche oggi lealisti e rivoltosi si stanno fronteggiando in varie parti del Paese: oltre 120 i morti delle ultime ventiquattr'ore. In questo scenario, inizierà il dispiegamento di missili lungo il confine con la Turchia, verso Damasco, approvato ieri dalla Nato, a scopo difensivo. La comunità internazionale teme l’uso di armi chimiche, anche se Assad continua a negare l’intenzione di usarle. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Stefano Silvestri presidente dell’Istituto Affari Internazionali:

    R. – Questa, di per sé, è una mossa ovviamente difensiva e in un certo senso volta a tranquillizzare la Turchia, anche nel caso in cui la Siria dovesse impiegare missili armati di testate chimiche. A questo, però, bisogna aggiungere che i missili Patriot – bisognerà vedere poi quali saranno – sono in grado di coprire anche una parte della Siria, quindi c’è chi pensa che questo dispiegamento oltre che difensivo, potrebbe anche essere destinato a coprire lo sviluppo di una prima area protetta per i ribelli siriani.

    D. - Viene ribadito che i missili non verranno utilizzati per creare una no fly zone, ma soltanto in caso di aggressione…

    R. - È chiaro che, tecnicamente, potrebbero essere utilizzati per coprire una no fly zone: questo significherebbe negare la sovranità siriana su una parte del suo territorio, quindi sarebbe un intervento molto forte. Io credo che non verrà stabilito nessun tipo di no fly zone senza una decisione in proposito al Consiglio di sicurezza, quindi senza un accordo quanto meno con la Russia.

    D. - Il regime Assad ha già escluso la volontà di voler utilizzare armi chimiche. Una verità o una mossa per poter frenare le tensioni internazionali?

    R. - Io credo a questa seconda ipotesi, il che mi conferma nell’idea che i russi e i cinesi abbiano fatto sapere a Damasco che il loro appoggio è comunque condizionato a un comportamento moderato.

    D. – Intanto, sul terreno gli scontri continuano: oltre cento morti al giorno. Si assiste al massiccio esodo dei profughi, la Turchia ha blindato i confini, il Libano si sta comportando in modo diverso.

    R. - Il Libano si trova in una situazione estremamente delicata, perché questo può far saltare ancora una volta gli equilibri interni del Paese, un po’ come fu con i palestinesi e più tardi con il montare del partito sciita. Diciamo che, in questo momento, il Libano ha tutto l’interesse a che la Siria si stabilizzi. Ma aggiungerei che non ha interesse a ritornare sotto il controllo degli Assad, per cui gioca una partita estremamente delicata e la sua ospitalità ai profughi siriani rientra in questa situazione. È chiaro che il Libano in questa fase non potrà schierarsi ufficialmente pro o contro il governo di Damasco, ma è anche chiaro che non è suo sostenitore.

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    La Palestina scrive all'Onu e accusa Israele di crimini di guerra

    ◊   All’indomani dell’annuncio israeliano di nuove 1700 case a Gerusalemme est, la Palestina, appena ammessa all'Onu come Paese osservatore, ha inviato una lettera alle Nazioni Unite nella quale accusa lo Stato ebraico di pianificare ''crimini di guerra'' per l’espansione degli insediamenti. Inoltre, lo accusa di ostacolare il processo di pace in Medio Oriente. Quali effetti potrà provocare questo gesto? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Rosita Di Pieri, docente di Storia del Medio Oriente all'Università di Torino:

    R. – Io ho molte perplessità rispetto all’effettivo peso che una lettera di questo tipo possa avere sulle politiche, sulle decisioni delle Nazioni Unite. Penso che questi siano strumenti efficaci dal punto di vista simbolico, quindi dal punto di vista della visibilità internazionale della causa palestinese. Tutto sommato, però, mi sembra abbiano un effetto molto limitato. Ricordo in proposito, per esempio, che nel febbraio 2011 le Nazioni Unite, su pressione dell’Autorità nazionale palestinese, promossero una risoluzione per una condanna reale degli insediamenti israeliani e questa risoluzione fu appoggiata dal 122 Nazioni. Ma poi non si diede seguito alla risoluzione. La questione degli insediamenti è cruciale all’interno dei negoziati: non soltanto perché era uno dei punti che non furono affrontati durante i negoziati di Oslo – assieme ad altre questioni fondamentali come lo status di Gerusalemme, il ritorno dei profughi, gli accordi di sicurezza, dei confini e la questione dell’acqua – ma anche perché tocca un po’ il cuore del conflitto, cioè ovviamente la vicenda dei territori, dei confini, della sicurezza e via dicendo.

    D. – “Crimini di guerra” e “ostacolo ai negoziati di pace”: sono precise le accuse della Palestina a Israele. Ma questa è un’ulteriore difficoltà nel processo di pacificazione…

    R. – Sicuramente. Basterebbe guardare una mappa per comprendere come questa proposta di collocare sul territorio della Cisgiordania tremila nuovi insediamenti vada a ledere la continuità territoriale dell’entità palestinese. Infatti, questi insediamenti dovrebbero essere collocati in un’area che viene identificata come “E1”, situata nella parte Est di Gerusalemme, quella a maggioranza palestinese. Si tratta di un’area protesa verso la parte più centrale della Cisgiordania. Costruire nuovi insediamenti in questa zona porterebbe sostanzialmente alla divisione della Cisgiordania in due cantoni non comunicanti: uno settentrionale che farebbe capo alle città di Ramallah, Nablus e Jenin, e uno meridionale che farebbe capo più a Betlemme e a Hebron, complicando quindi ulteriormente la situazione. Israele, in questo periodo, sta cercando di prepararsi per le elezioni, nel senso che questi sono chiari programmi elettorali. Comunque, la politica israeliana, tendente a perseguire una strategia di allargamento, nel corso di questi ultimi anni ha dimostrato che non c’è poi tutta questa differenza se al governo ci sono politici conservatori o politici meno conservatori.

    D. – Ieri, anche l’Egitto – garante del cessate-il-fuoco tra Hamas e Israele – ha convocato l’ambasciatore israeliano in seguito alla decisione dello Stato ebraico di allargare i suoi insediamenti. Questo che cosa significa a livello regionale?

    R. – Certo, questa nuova politica del presidente Morsi effettivamente potrebbe essere un elemento di novità all’interno del panorama politico. Ritengo anche che in questo specifico periodo, le preoccupazioni del presidente egiziano siano rivolte più all’interno che all’esterno, comunque si presenta come un elemento di possibile disturbo. Avere accanto uno Stato con al governo i Fratelli musulmani è un elemento che può far propendere Israele verso una situazione di non tranquillità rispetto ai propri confini e rispetto a una delle questioni centrali della politica israeliana, cioè la sicurezza.

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    Quasi 300 morti nel Sud delle Filippine per il tifone Bopha

    ◊   Sono almeno 283 i morti e oltre 90mila gli sfollati in seguito al tifone Bopha, che da ieri ha colpito l'isola di Mindanao nel Sud delle Filippine. Piogge fortissime e venti fino a 210 km/h hanno costretto le autorità a trasferire decine di migliaia di abitanti ma purtroppo, oltre ai morti, si parla di molti dispersi. In queste ore, il tifone sta transitando sull'isola occidentale di Palawan e, nella prima mattinata di domani, arriverà nel mar Cinese meridionale. Per gli esperti non è esclusa l'ipotesi che possa toccare anche le coste della Cina, trascinando con sé il suo carico di distruzione e morte. Fausta Speranza ha raggiunto telefonicamente a Manila padre Gianni Re, superiore dei missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere nelle Filippine:

    R. – Purtroppo, è grave la situazione del Nord-Est di Mindanao e di alcune zone della parte centrale delle Filippine. Le isole centrali sono state colpite duramente da questo tifone, che fin dall’inizio era previsto fosse un "super tifone". Dicevano, ed è stato confermato, che sarebbe stato il tifone più disastroso, il più grosso, il più forte di quest’anno.

    D. – Se era stato previsto, sono state prese delle misure di sicurezza? Non sono state sufficienti oppure è stato sottovalutato il pericolo?

    R. – Erano state prese, nei giorni scorsi, diverse misure di sicurezza. Avevano preparato anche gruppi per intervenire in caso di bisogno. Effettivamente, però, in alcuni casi, e soprattutto in alcune zone, sono stati presi di sorpresa, tanto che anche alcuni gruppi incaricati per soccorrere eventuali famiglie o individui nel bisogno sono stati feriti e qualcuno di loro è morto. Improvvisamente, infatti, in alcune zone ci sono state frane, soprattutto di terriccio, e questo ha creato parecchi problemi.

    D. – Quali sono le necessità della popolazione? Cosa pensate di poter fare per prestare aiuto?

    R. – Quello che stanno chiedendo adesso sono anzitutto beni di prima necessità: cibo, acqua, vestiario. Questi sono bisogni immediati nei centri di evacuazione. C’è da dire, però, che purtroppo i danni causati da questo tifone hanno colpito anche le infrastrutture e quindi diversi villaggi, diversi Paesi sono ancora isolati. Di conseguenza non si può ancora sapere completamente e fino in fondo quali sono i bisogni reali di queste persone. In questo momento chiedono soprattutto cose di prima necessità, per soccorrere coloro che sono nei centri di evacuazione, i feriti, e per eventualmente aiutare le prime famiglie che possono o vogliono rientrare nelle loro case... in quello che è rimasto delle loro case. Noi come gruppo religioso non lavoriamo direttamente in quella zona: ci troviamo in altre zone di Mindanao, ma non in quelle colpite dal tifone. Quello che in genere facciamo è cercare di cooperare con la Chiesa locale, soprattutto attraverso la Caritas. Quindi, probabilmente la Caritas di quelle zone, i vescovi di quelle zone, faranno sapere che tipo di intervento, che tipo di aiuto potremo dare.

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    Francia: l'impegno della Chiesa per i clochard: tutti contro il ministro Duflot

    ◊   La Chiesa francese risponde con i fatti e con sobrietà a Cecile Duflot, ministro della Casa ed ex segretaria dei Verdi, che ha chiesto alla Diocesi di Parigi di aprire le porte dei suoi edifici ai senzatetto se non vuole che siano requisiti. L’uscita del ministro ha suscitato l’indignazione di tanti esponenti politici e intellettuali, sia di destra che di sinistra, che hanno ricordato come la Chiesa sia da sempre in prima linea nella lotta alla povertà e, in particolare, nel sostegno alle migliaia di senzatetto che popolano la capitale. Ascoltiamo la reazione di mons. Bernard Podvin, portavoce della Conferenza episcopale di Francia, al microfono di Manuella Affejee:

    R. – D’abord, je dirais que j’apaise profondément les polémiques, parce que …
    Vorrei placare, tanto per incominciare, ogni polemica perché l’essenziale è il servizio ai poveri, un ambito nel quale la Chiesa cattolica non deve vergognarsi di nulla perché è attiva già da molto tempo: non ha dovuto attendere la dichiarazione clamorosa del ministro per mettersi all’opera. Questa mia affermazione può essere confermata da tutti quei cattolici che veramente lavorano nell’ambito della carità; d’altra parte, stiamo assistendo ad una risonanza mediatica positiva e molto forte in merito all’operato della Chiesa. La Chiesa svolge un ruolo sociale riconosciuto, e perfino persone che non sono particolarmente vicine alla Chiesa lo contestano. Ci sono, inoltre, dei piccoli sondaggi in corso che lo confermano. Quindi, questo è il segno che la Chiesa è presente ed impegnata e che, indipendentemente da quello che vorrà liberamente rispondere l’arcivescovo di Parigi, il cardinale Vingt-Trois – dato che la risposta dovrà essere sua e ovviamente non mia, per quanto riguarda la questione prettamente parigina - , io però posso dire che a livello dell’intera Chiesa di Francia, c’è veramente una grande convergenza di impegno. Le Congregazioni sono pronte a proseguire nei loro sforzi, il Sécours Catholique è anch’esso molto presente, sono i numeri che parlano … Ora, la cosa più importante è superare le polemiche per avviarsi verso il Natale in una grande lotta da combattere contro la povertà. Dobbiamo avere la forza d’animo dell’Abbé Pierre, che sapeva come rincuorarci, incoraggiandoci per quello che già stavamo facendo, dicendo: “E’ già molto buono quello che state facendo. Potete fare ancora di più!”. Ecco, io ho reagito in questo senso.

    Secondo la stampa francese le dichiarazioni del ministro potrebbero essere motivate dalle attuali divisioni nel governo oppure dai recenti interventi della Chiesa su alcune questioni etiche. Manuella Affejee ha raccolto il parere di Natalia Trouiller, giornalista e blogger:

    R. – Que est-ce-que fait l’Eglise catholique en matière de logement, que ce soit …
    Cosa fa la Chiesa per quanto riguarda gli alloggi, siano essi di emergenza o meno? Questa è una domanda che trova in se stessa la risposta alla signora Duflot: infatti, il problema non è questo. Il problema è che si ha l’impressione, in realtà, che si voglia confondere le acque per parlare d’altro, nel momento in cui la presenza degli ecologisti nel governo francese rappresenta un problema per questa stessa formazione.

    D. – Bisogna forse situare queste affermazioni in una certa atmosfera di “cattofobia”, come qualcuno l’ha definita?

    R. – Je crois qu’il faut manier le terme de “cathophobie” avec beaucoup de …
    Credo che si debba fare molta attenzione, quando si usa il termine “cattofobia”. Quando si parla di Paesi come il Pakistan o la Nigeria, allora sì che si può parlare di “cattofobia”. Qui non si tratta di “cattofobia”: qui c’è solamente il fatto – e questo è piuttosto chiaro – che il governo apprezza davvero poco il fatto che la Chiesa cattolica si intrometta nelle questioni che riguardano la società e che sono in discussione in questo momento. Ma non sono sicura che si possa intendere veramente come un rispondere pan per focaccia … Quello che mi ha colpito è che la signora Duflot abbia sollevato questa polemica nel giorno stesso in cui François Hollande incontrava il suo omologo italiano, affrontando anche la questione della Tav Lione-Torino: sappiamo che a questo proposito i Verdi sono piuttosto divisi; sappiamo che nel sottofondo c’è anche la questione di Notre Dame des Landes: il governo al quale appartiene la signora Duflot sostiene un progetto per la costruzione di un aeroporto, al quale lei si oppone … Diciamo che, in definitiva, ho più l’impressione che abbia voluto dare ai media un nuovo filone da seguire, piuttosto che considerare le divisioni reali in seno al governo.

    D. – Quindi, secondo lei, queste affermazioni non sarebbero state che una cortina di fumo?

    R. – C’est un rideau de fumée et puis c’est …
    E’ sicuramente una cortina di fumo, una cosa vuota … Mi dispiace per tutte le persone che si occupano sul terreno dei senzatetto: si sa che sono non solo cattolici, ci sono anche i nostri fratelli protestanti che sono molto attivi, ci sono anche i comunisti che sono molto attivi, per esempio attraverso il Sécours populaire … Io sto ancora aspettando che i Verdi (Europe Ecologie Les Verts) istituiscano una sola associazione per i senzatetto: a tutt’oggi, non ne conosco una! E trovo che sia molto triste che tutto questo sia stato fatto dietro al paravento della scarsità di alloggi, che pure è un problema vero e grave. In realtà, si potrebbe incominciare a scandagliare nel “parco immobili” dello Stato per vedere cosa si potrebbe fare, prima di puntare il dito contro la Chiesa cattolica che fa la sua parte, in questo campo, anche se non la fa del tutto, nel senso che noi, in quanto cristiani, abbiamo una responsabilità ulteriore … In un certo senso, sono contenta del fatto che la signora Duflot ci abbia ricordato che noi cristiani non facciamo mai abbastanza, e questo – dopo tutto – è un fatto positivo. Se, grazie a questa storia, qualcuno ci ha saputo ricordare che, effettivamente, potremmo fare di più ma non lo facciamo, penso che comunque, alla fine, non tutto il male venga per nuocere …

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    L'Europa a confronto contro la povertà e l'esclusione sociale

    ◊   Al via oggi a Bruxelles il secondo Convegno della Piattaforma europea contro la povertà e l'esclusione sociale, organizzato dalla Commissione europea. Tre giorni di lavori incentrati sulla lotta alla povertà, attraverso iniziative che facciano da stimolo per lo sviluppo economico e sociale. Da Bruxelles, ci riferisce il nostro inviato, Salvatore Sabatino:

    “Investendo in un’Europa sociale”. E’ lo slogan che la Commissione europea ha scelto per questo secondo Convegno della Piattaforma contro la Povertà e l'Esclusione sociale. Un momento di confronto importante per traghettare il Vecchio continente oltre la crisi, attraverso iniziative che stimolino investimenti sociali. Non è un caso che il Convegno presenti il dibattito sul “Social Investment Package”, un’iniziativa europea che sostiene progetti volti a migliorare l’accesso dei cittadini europei al lavoro, alla protezione sociale, ai servizi di base, come l’assistenza sanitaria, l’allogio e l’istruzione scolastica. Il messaggio che emerge è chiaro: la lotta contro la povertà e l'esclusione sociale diventa una necessità economica e il fatto che ci siano ancora milioni di persone che vivono ai margini della società significa che l’Europa sta sprecando una parte cospicua delle proprie risorse umane. Molto attesi gli interventi del presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, della Commissione Ue Barroso, e del commissario per l’impiego, gli affari sociali e l’inclusione, l’ungherese Lazlo Andor. Nell’ambito dell’evento, anche una tavola rotonda organizzata da Caritas Europa, sul tema “rispondere all’impatto della crisi economica sui Paesi maggiormente coinvolti dalla crisi”.

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    "Whi Poverty?": l’Indonesia e le profonde contraddizioni tra classi sociali

    ◊   I ceti poveri restano fuori da ogni sviluppo economico. Ma è attraverso la carità pratica, la pazienza e l’amore che si possono superare queste emarginazioni sociali. Il contributo dei missionari provenienti da diverse parti del mondo offre ogni giorno il proprio sostegno per arginare le contraddizioni di una società che emargina i poveri. Lucia Fiore ne ha parlato con padre Silvano Laurenzi, missionario a Jakarta, nell'ambito dell'iniziativa "Why Poverty?", promossa di recente dall'Unione Europea di Radiodiffusione:

    R. – L’Indonesia è immensa: sono più di 15 mila isole abitate. Ora, anche i problemi sono diversi. C’è la crisi economica in Europa, in Italia? Molto più grave è la crisi economica qui in Indonesia. In tante zone c’è la fame, e poi i problemi sono tanti. Proprio in questi giorni, in alcune zone – compresa la capitale Giakarta – c’è l’inondazione e in alcune zone l’acqua è arrivata fino ad un metro e mezzo, in alcune parti addirittura fino a due metri. Qui la povertà è grave. E dunque, il nostro primo impegno è quello di correre ad aiutare: la carità prima di tutto. La carità pratica, dare aiuto a questa povera gente: saranno pacchi dono, sarà riso, sarà vestiario… Ogni parrocchia, ogni stazione missionaria ha un centro di aiuti sociali. C’è la sezione sociale per aiutare i bambini: qui, nella mia parrocchia, aiutiamo più di 500 bambini sottosviluppati al di sotto dei cinque anni, con pacchi di riso, di zucchero che è una cosa pratica. Poi, diamo aiuto anche per pagare la retta delle scuole: abbiamo fatto una scelta, ne aiutiamo 350. Ma adesso la cosa diventa difficile, perché anche gli aiuti diminuiscono dappertutto. Questa è l’attività e coinvolgiamo la gente stessa, facciamo azione anche in chiesa, nei vari rioni, raccogliendo aiuti per questa povera gente, per aiutarla ad andare avanti e a far fronte ai propri impegni, prima di tutto la salute. E questo in tutta la parrocchia è molto, molto sentito. Poi, ultimamente, a livello più alto della Conferenza episcopale hanno preso l’iniziativa che è iniziata a Java centrale: gruppi di cattolici impegnati a combattere la corruzione, perché qui, la corruzione c’è dappertutto. Questi sono gli impegni e la presenza dei cattolici, con queste iniziative. Siamo una infima minoranza, però con queste iniziative facciamo colpo, anche sulla stampa, e questo aiuta, crea nuove idee nella gente. Questa attenzione per i poveri, per farli progredire, per trovare loro un lavoro, per farli continuare ad andare a scuola… e non è facile. Per il cristianesimo, il Vangelo dev’essere concretizzato: come Gesù faceva i miracoli, noi qui – non solo i missionari, ma i cattolici – tutti devono fare miracoli. Questa attenzione, amore per il povero, senso di donazione per il povero…

    D. – L’Indonesia è un Paese con tante tradizioni culturali e religiose e profonde contraddizioni tra classi sociali e masse di poveri, che restano fuori da ogni sviluppo economico. Qui, il messaggio evangelico ha anche il sapore di un riscatto da una miseria quasi accettata dalla società indonesiana?

    R. – Sì, è vero. Il nostro compito è far prendere loro coscienza del fatto che sono persone come tutte le altre, anche se sono poveri. E poi, l’aiuto a farli progredire: non è facile. C’è sempre questa tensione, spesso una lotta, tra gruppi religiosi diversi. Ma il nostro atteggiamento li colpisce, perché con la pazienza, con l’amore, con il perdono, aiutando anche quelli che ci fanno del male, il nostro messaggio è solo un messaggio di amore. Non è che andiamo a portare il Libro del Vangelo o della Bibbia: cerchiamo di rendere concreto il gesto di spezzare il pane, per rompere le lotte tra gruppi tribali e soprattutto tra gruppi che vengono da isole diverse. Metterli insieme non è facile, sono culture diverse: resta sempre un'ombra, questo odio nel loro cuore, tra i diversi gruppi etnici. Noi dobbiamo dare l’esempio, presentandoci come missionari. Chi viene dall’Europa, chi viene dall’Asia, chi viene dall’Africa: messi insieme, siamo una testimonianza forte! Questo vivere insieme, questo accettarsi, questo collaborare… questo lo facciamo anche nelle parrocchie e dà un’impronta, dà un esempio. Sempre in silenzio, sempre pieni di amore nei riguardi di tutti, accettando tutti, per eliminare questa differenza di religione e di etnicità, di culture diverse.

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    Giornata mondiale del volontariato. Ban Ki-moon: onore a chi dona del tempo per aiutare gli altri

    ◊   Si celebra oggi la Giornata internazionale del volontariato, proclamata dall’Onu per il riconoscimento dell’opera di milioni di persone che nel mondo contribuiscono alla pace e allo sviluppo, oltre che alleviare le sofferenze e sopperire alle difficoltà di quanti sono nel bisogno materiale e morale. Nel suo messaggio, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ricorda che tutti possiamo essere volontari: da chi milita a tempo pieno per una causa, al cittadino che dona il suo tempo quando può. Roberta Gisotti ha intervistato Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv, la Federazione degli organismi cristiani di volontariato internazionale:

    D. – Dott. Cattai, quanto è importante il volontariato per chi lo fa e per chi ne beneficia?

    R. – Noi siamo testimoni del fatto che cambia la vita. Dare il proprio tempo è una delle cose fondamentali. Noi sappiamo che sono in crisi i nostri modelli di sviluppo e da questo punto di vista il volontariato porta con sé una capacità propositiva e progettuale molto importante. Come Focsiv, abbiamo impegnato in questi anni 15 mila persone, che hanno dedicato a questo scopo da 2 fino a 30 anni della loro esistenza. In questo momento, abbiamo mille persone impegnate in 80 Paesi del Sud del mondo.

    D. – La crisi che stiamo vivendo a livello planetario ha aumentato il numero dei volontari o piuttosto questo numero è diminuito?

    R. – Assolutamente aumentato, proprio perché c’è la consapevolezza diffusa, radicata nelle associazioni di volontariato – ma direi di più nel terzo settore – e in quanti militano nell’economia civile e sociale che il volontariato possa essere una soluzione: il volontariato come laboratorio di progettazione e di proposte, non soltanto nella messa a disposizione del tempo, ma nella qualità di rapporto con le persone, di proposta sociale, che è fondamentale.

    D. – Ban Ki-moon nel suo messaggio mette in luce anche le nuove possibilità offerte al mondo del volontariato attraverso la rete Internet. Voi riscontrate queste possibilità?

    R. – Sì, assolutamente. Noi intercettiamo con queste nuove forme soprattutto il mondo giovanile, ma sappiamo anche abbattere le barriere della distanza tra forme di volontariato della nostra realtà italiana e nei Paesi impoveriti, dove siamo impegnati. Quindi, crediamo senza dubbio che questo discorso crei effettivamente nuove opportunità. Avendo anche dei limiti, evidentemente, perché le relazioni interpersonali sono comunque la cosa per noi fondamentale.

    D. – Ogni anno, la Focsiv premia un volontario in occasione di questa Giornata. Chi ha meritato il premio quest’anno?

    R. – Mauro Platè, dell’Associazione Ipsia delle Acli, che con la moglie e la loro bambina sono impegnati in Albania, a Scutari, in un progetto di migrazione e ritorno degli albanesi in Italia e non solo.

    D. – Si parla poco di volontariato, secondo lei, nei mezzi di comunicazione sociale?

    R. – Certo. Forse anche noi del volontariato dovremmo mettere di più l’accento sul senso di quello che siamo e non soltanto su quello che facciamo – importante sì – ma anche sul senso di una riposta ai modelli di vita della nostra società. E, soprattutto, in questo periodo di crisi economica, ma soprattutto culturale e politica, dovremmo essere capaci tra sistemi di comunicazione e sistemi esperienziali, e cioè noi, di raccontare di più le potenzialità e il senso di quello che noi siamo.

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    Si celebra oggi in Italia la Giornata della salute mentale

    ◊   La Giornata della Salute Mentale che si celebra oggi in Italia è una buona occasione per riportare all’attenzione del mondo istituzionale e della società una questione spesso trascurata ese non quando rientra nella cronaca nera. Per l’Unasam, Unione nazionale delle Associazioni per la salute mentale, che promuove l’iniziativa, la Giornata è anche “un’occasione per rivendicare interventi nel sistema pubblico e privato che rispettino la dignità e la libertà della persona che vive l’esperienza della sofferenza mentale”. Ma che cosa è urgente chiedere alla politica? Adriana Masotti ha sentito Franco Previte, presidente dell’Associazione “Cristiani per servire”, da sempre impegnata a fianco dei disabili mentali:

    R. – Potrei dirlo in una semplice parola: servizi specifici in strutture adeguate. Chiediamo di rivedere la Legge Basaglia, quella che ha chiuso i manicomi, almeno in due punti. Il primo è l’autorizzazione al trattamento sanitario obbligatorio, anche in assenza del consenso del paziente almeno in determinate condizioni – non sempre, perché altrimenti ritorniamo al manicomio. Il secondo è la realizzazione di strutture territoriali di riabilitazione di lunga durata per i casi più difficili, onde evitare che sulle famiglie gravi un carico insostenibile di disagio, di cure e di pericoli.

    D. - Una tra le preoccupazioni maggiori delle famiglie che hanno un disabile mentale è la preoccupazione del che cosa succede dopo, di chi si prenderà cura di questa persona quando i genitori non ci saranno più. Lei lo chiama il “dopo di noi”…

    R. – Il “dopo di noi” è stato da me suggerito ai governi passati. E’ motivo di una petizione al parlamento italiano ed europeo fin dal 7 ottobre del ’98, assieme alle opere di don Orione e don Guanella. Consisterebbe nel far confluire in un Fondo quelle parti di patrimonio – risparmi, beni mobili o immobili – che in eredità andrebbero ai malati psicofisici, che un giorno resteranno soli. Però, questo Fondo dovrebbe essere gestito da un ente pubblico. Questo sistema, secondo noi, consentirebbe al disabile di sopravvivere e di avere continuità nell’assistenza.

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    Pellegrinaggio di Taizé a Roma. Il cardinale Vallini: ridare fiducia ai giovani

    ◊   Saranno oltre 40.000 i giovani, provenienti da tutta Europa, che hanno aderito al 35.mo “Pellegrinaggio di fiducia sulla Terra” promosso dalla Comunità ecumenica di Taizé a Roma dal prossimo 28 dicembre al 2 gennaio. L’evento, organizzato in collaborazione con il Vicariato di Roma, è stato presentato ieri. Sul significato di questa iniziativa, ascoltiamo il cardinale vicario Agostino Vallini, al microfono di Silvia Giovanrosa:

    R. - A me pare che questa iniziativa di Taizé, accolta, incoraggiata e sostenuta dalla Diocesi di Roma e dallo stesso Santo Padre, sia davvero un’iniziativa di grande importanza. Viviamo un momento storico dove un po’ tutti sono preoccupati e perplessi dell’avvenire, e il fatto che i giovani siano loro stessi i protagonisti di questo messaggio di fiducia è altamente significativo; quindi il messaggio è nell’evento stesso e ci auguriamo che possa davvero produrre frutto, perché il grave rischio è quello che i giovani perdano la fiducia. Lo sentiamo ripetere un po’ tutti i giorni: “Non c’è fiducia, non abbiamo futuro…”. È vero, anche noi adulti, anche noi pastori, siamo molto preoccupati di questo. Io personalmente non perdo mai occasione di poter parlare di questo argomento anche con i responsabili delle istituzioni, perché l’attenzione ai giovani abbia veramente un privilegio sulle altre questioni visto il momento estremamente delicato.

    D. - Questo sarà un pellegrinaggio a due dimensioni: avremo i giovani in pellegrinaggio e avremo l’accoglienza delle famiglie…

    R. – Intanto, il fatto che una famiglia accolga significa che già è aperta alla fiducia; se non si ha fiducia la porta resta chiusa. Secondo, l’esperienza ci dice - questo lo abbiamo già vissuto anche durante la Giornata mondiale della gioventù - che le famiglie che accolgono mostrano certamente fiducia e disponibilità verso i giovani, ma alla fine sono arricchite dalla presenza dei giovani. E questa osmosi arricchisce e migliora la vita di tutti. Quindi è assolutamente da incoraggiare.

    Sul pellegrinaggio a Roma, sentiamo anche frère David della Comunità di Taizé, sempre al microfono di Silvia Giovanrosa:

    R. - I giovani vengono in pellegrinaggio per pregare qui a Roma insieme ai giovani di tutta Europa e ai cristiani di Roma per scoprire la Chiesa di Roma, una Chiesa che ha una storia di duemila anni e che è unica come testimonianza per questi ragazzi che cercano di essere cristiani impegnati nella società di oggi. Non è facile per molti; non hanno un futuro chiaro, non sanno come costruirlo, ma vogliono vivere aperti agli altri, non sono chiusi in se stessi con i propri problemi, ma vogliono vivere in un mondo più fraterno, più giusto, dove la pace diventa una ricerca comune. E la fede cristiana, la fede in Cristo, non è qualcosa che si vive solo la domenica quando si va in chiesa, ma è piuttosto una spinta, un’ispirazione per vivere impegnati nella società. I giovani trovano l’ispirazione nell’incontro con gli altri, nel pellegrinaggio qui a Roma, per poi continuare il loro cammino di fede nel proprio Paese.

    D. - Cosa cercano i giovani che vengono a fare questo pellegrinaggio?

    R. - Penso che arrivano qui con molte domande. C’è una grande diversità di giovani, ma quello che è comune a tutti è il bisogno di spazi per fermarsi e pregare; si sentono molto appoggiati da tutti questi ragazzi che vengono qui in numero impressionante per pregare e dare un sostegno molto forte. E poi farlo qui a Roma, nelle sue grandi basiliche… Sarà proprio un pellegrinaggio tra le basiliche: ogni volta pregano in una basilica diversa, e penso che questo li apra molto ad una dimensione universale della Chiesa, nello spazio e nel tempo, nella famiglia umana, e tra le diverse generazioni.

    D. - Con i giovani di Taizé camminano i giovani di tutto il mondo che sono alla ricerca di qualcosa…

    R. - Certo, cercano la fiducia in Dio e tra i popoli, tra le persone. Questi giovani che vengono qui, non sono giovani che appartengono ad un movimento, ad un gruppo specifico; appartengono a molti movimenti, a molti gruppi di parrocchie e diocesi e quello che li unisce tutti è il desiderio di camminare insieme e di fare un’esperienza di comunione. Non c’è un movimento di Taizé, non ci sono gruppi di Taizé; c’è una comunità di fratelli che accoglie questi giovani e cerca di aiutarli a vivere l’incontro con Cristo affinché possano aprirsi agli altri.


    Per l’accoglienza degli oltre 40 mila giovani a Roma, ascoltiamo frère Marek:

    R. - Siamo sempre in contatto con le parrocchie che hanno già risposto positivamente e vogliono accogliere i giovani, soprattutto siamo in contatto anche con quelle che sono un po’ incerte. Allora, sarebbe così bello che tante parrocchie accolgano cento persone o cinquanta persone, in quanto è più facile che accoglierne duecento. Inoltre abbiamo già trovato la disponibilità di tante famiglie che vogliono accogliere i giovani. Le iscrizioni sono molte: più di 30 mila ragazzi vogliono venire qui; allora sarebbe così bello che tutti possano essere accolti nelle famiglie, nelle case dei cittadini di Roma.

    D. - Un piccolo riferimento a cui rivolgersi…

    R. - Se qualcuno desiderasse dare una mano in questo senso, può rivolgersi alla parrocchia più vicina - a Roma ce ne sono tante - o al nostro centro di preparazione che si trova in Via Don Orione, 8. I riferimenti si possono trovare anche sul sito internet all’indirizzo: www.taize.it.

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    "Notizie Pro Vita", una nuova rivista per risvegliare le coscienze

    ◊   Una nuova iniziativa a favore della vita: si tratta di una rivista mensile, presentata di recente a Roma e in altre città italiane, dal titolo “Notizie Pro Vita”. “Vogliamo informare e sensibilizzare l’opinione pubblica per risvegliare le coscienze, la gente spesso non comprende cosa sia effettivamente l’aborto perché è male informata”, spiega l’editore, Antonio Brandi. Sul perché di questa nuova rivista, e del sito collegato www.prolifenews.it, Adriana Masotti ha intervistato la prof.ssa Francesca Romana Poleggi, della redazione di “Notizie Pro Vita”:

    R. - Noi siamo delle persone normali: io sono un’insegnante, Antonio Brandi è un imprenditore, c’è un ingegnere di Trento. Ci sono persone abbastanza semplici, se vogliamo, che però si rendono conto che c’è una certa cultura che con i suoi miasmi sta avvelenando le anime e i cervelli soprattutto dei nostri giovani, e che sta passando il messaggio che la vita umana è di proprietà dell’uomo stesso il quale può farne ciò che vuole, soprattutto nei momenti in cui questa vita è più debole, cioè all’inizio e alla fine. Io che insegno ormai da 25 anni nelle scuole, sento sempre più spesso ragazzi anche capaci dire, ad esempio, che fino a tre mesi il bambino non è formato e che quindi l’aborto non è un omicidio, non si uccide nessuno. Questa è la cultura che Giovanni Paolo II ha chiamato "cultura della morte", la quale ci ha convinto facendoci un lavaggio del cervello e alla quale noi in qualche modo vogliamo ribellarci. Purtroppo, il mondo "pro-life" è abbastanza diviso: ci sono quelli più intransigenti, quelli meno intransigenti… Ci sono parecchie rivalità interne, che secondo me non fanno bene. Tuttavia, è inutile stare a pensare di riformare, ritoccare, cambiare, abolire la Legge 194 se prima non si fa chiarezza su quello che è l’aborto, perché ormai la scienza ha dimostrato che quel “mucchietto” di cellule subito dopo il concepimento comincia immediatamente una vita autonoma in dialogo con la madre ed è programmato per crescere e diventare un bambino, una persona, un adulto come noi. Però, appunto ,sia che si tratti di aborto chirurgico, sia di quello farmacologico, si tratta pur sempre della soppressione di una vita umana.

    D. – Sulla rivista, distribuita in abbonamento, trovano spazio articoli a carattere scientifico, notizie provenienti dal mondo, negative e positive sempre in riferimento al valore della vita, testimonianze di madri che hanno messo al primo posto il loro figlio rinunciando a sé…

    R. – Testimonianze che il mondo deve conoscere. Tra l’altro, noi cerchiamo anche di parlare per le madri, perché in tutto questo contesto si pensa sempre al diritto della donna come se la donna che abortisce facesse il più grande atto di libertà. Poi, invece, viene assolutamente lasciata sola con i traumi post-aborto. Perché, anche quando ciò è deciso con la massima serenità, la natura poi però si ribella e i medici, gli psicologi, gli psichiatri sanno benissimo cosa sia il trauma post-aborto, sia per le madri che per i padri. Noi vogliamo anche dare spazio e voce alle testimonianze di chi vuole fare luce su questa realtà.

    D. – La rivista si concentra soprattutto sulla vita nascente, quindi sull’aborto. Ma sappiamo che in tutte le sue fasi la vita è vita e quindi ha un valore immenso. La rivista avrà attenzione anche su altri aspetti?

    R. – Noi vogliamo concentrarci per adesso principalmente sulla vita nascente: non solo sull’aborto, ma anche sulla questione degli embrioni congelati e sul fine vita. E poi sulla famiglia, su quello che serve per la vita, perché chiaramente l’aborto sarebbe un problema molto meno importante nella nostra società se la famiglia e le donne fossero sufficientemente sostenute dalle politiche sociali ed economiche dei governi. La maggior parte degli aborti avviene per problemi economici.

    D. – Chiaramente, la rivista fa riferimento a un credo religioso. Può però rivolgersi in termini di confronto, di dialogo anche verso coloro che non hanno la fede?

    R. – Sì. Prima di tutto, il problema della vita e della morte è un problema razionale e non è un problema di fede. Poi, siamo assolutamente alla ricerca del dialogo anche con le persone "pro-life" – e ce ne sono tantissime – che non sono cattoliche praticanti. Non solo: nei prossimi numeri, dovrebbe arrivare l’intervista di un esponente della cultura e della religione tibetana, che ci parlerà di come l’aborto venga considerato un crimine anche per i buddisti. Stiamo prendendo dei contatti con dei sikh e degli indù… Insomma, vorremmo far capire che non è un argomento che interessi solo i cattolici. Perché sembra che essere "pro-life" significhi essere cattolici, integralisti e quant’altro. No, vuol dire essere comunque per l’uomo, a prescindere.

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    Nella Chiesa e nel mondo



    Ancora tensioni in Egitto: in piazza al Cairo oppositori e fronte pro-Morsi

    ◊   Non accennano a diminuire le tensioni in Egitto. Anche stamani l’opposizione si è riversata in piazza al Cairo, per protestare contro la volta autoritaria imposta dal presidente Morsi, criticando la nuova Costituzione, sostenuta dal fronte islamico e salafita, che dovrebbe essere sottoposta a referendum il 15 dicembre prossimo. Si segnalano violenti tafferugli con la polizia, mentre decine di migliaia di oppositori si stanno recando verso il palazzo presidenziale. Stesso copione delle dimostrazioni di ieri, quando il capo dello Stato è stato costretto ad uscire dalla sua residenza, attraverso un ingresso secondario. Intanto, si temono sviluppi drammatici nel prosieguo della giornata: anche i gruppi musulmani, sostenitori di Morsi, hanno indetto una manifestazione davanti al palazzo presidenziale a favore del capo dello Stato. Intanto, secondo alcuni organi di stampa internazionali la presidenza egiziana starebbe valutando di “congelare” il controverso decreto costituzionale o di eliminare gli articoli che accrescono i poteri del capo dello Stato. Conferma, invece, per la consultazione popolare sulla Costituzione. Dal canto suo, il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, ha auspicato che in Egitto si realizzi un “dialogo trasparente” tra tutte le parti e siano rispettati i diritti di tutti i cittadini. (G.L.V.)

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    Giordania: incontro fra il card. Edwin Frederick O'Brien e re Abdallah II

    ◊   Il card. Edwin Frederick O’Brien, gran maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, è stato ricevuto domenica scorsa ad Amman dal re di Giordania Abdallah II. Accompagnato dal patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, il porporato si è intrattenuto con il sovrano discutendo della situazione del Medio Oriente, ha trasmesso i saluti del Papa, e, riferisce il portale del patriarcato latino di Gerusalemme www.lpj.org, ha espresso apprezzamento per gli sforzi del regno giordano nel promuovere la stabilità in Medio Oriente, difendere la libertà religiosa e proteggere i Luoghi Santi a Gerusalemme. Re Abdallah II ha assicurato che la pluralità religiosa sarà sempre rispettata in Giordania, mentre mons. Twal ha ricordato al sovrano il sostegno offerto alle istituzioni del Patriarcato Latino e alle comunità cristiane in Terra Santa da parte dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Dopo l’incontro con il card. O’Brien, re Abdallah II ha ricevuto Mahmoud Abbas e si è impegnato a far si che l’Autorità Palestinese ritorni al dialogo con Israele. (T.C.)

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    Siria: ucciso l'autista che aveva accompagnato due vescovi di Aleppo all'aeroporto

    ◊   Si chiamava Youssef Karme. Era un un autista greco-cattolico, padre di tre figli. Guidava i pulmini di una scuola armeno-cattolica di Aleppo, e usava spesso la sua auto privata per trasportare i vescovi e i sacerdoti della metropoli siriana. Nell'ultimo suo viaggio aveva accompagnato all'aeroporto l'arcivescovo armeno cattolico Boutros Marayati, quello maronita Youssef Anis Abi-Aad e un sacerdote, che dovevano andare in Libano per prendere parte all'Assemblea dei patriarchi e dei vescovi cattolici del Medio Oriente, in corso a Harissa. Sulla via del ritorno, è stato ucciso con due colpi di arma da fuoco. Le circostanze e la dinamica dell'agguato non sono chiare. Da Harissa riferisce all'agenzia Fides l'arcivescovo Marayati: “Sappiamo solo che è stato ucciso, ma non sappiamo da chi e in che modo. Non sappiamo se i colpi provenivano da lontano o da distanza ravvicinata, se sono stati sparati da soldati dell'esercito regolare o dagli insorti. La strada per l'aeroporto è molto pericolosa. L'auto di Karme era l'ultima di un convoglio di cinque autovetture. Gli altri autisti, che procedevano a velocità elevata, quando sono arrivati ad Aleppo si sono accorti che lui non c'era. Tra di loro c'erano anche due fratelli della vittima, che sono subito tornati indietro e hanno ritrovato la macchina uscita fuori strada, con dentro il corpo senza vita di Youssef”. L'arcivescovo Marayati conferma a Fides che Aleppo è una città sfigurata dal conflitto: “La settimana scorsa un ordigno è stato lanciato sulla nostra scuola. In quel momento, provvidenzialmente, non c'era nessuno. Altrimenti sarebbe stata una strage di bambini”. (R.P.)

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    Israele: il nuovo nunzio mons. Lazzarotto ha presentato le Lettere credenziali

    ◊   “La religione esercita un’influenza spirituale sulle persone, che non è meno importante della forza materiale. È la pace di cui abbiamo bisogno più di ogni altra cosa, la pace nella fede e la pace nella nostra vita quotidiana”. È quanto ha detto ieri il presidente israeliano Shimon Peres, incontrando a Gerusalemme il nuovo nunzio apostolico, mons. Giuseppe Lazzarotto, nel corso di una cerimonia formale con la quale cinque nuovi ambasciatori hanno presentato le loro Lettere credenziali. Peres - riferisce l'agenzia Sir - ha pure inviato un messaggio via twitter a Benedetto XVI: “Santità, benvenuto su Twitter. I nostri rapporti con il Vaticano sono al massimo livello e possono costituire una base per promuovere la pace in tutto il mondo". "Come governo - ha aggiunto, parlando a mons. Lazzarotto - ci sentiamo responsabili del benessere della comunità cristiana in Israele, i cristiani sono ottimi cittadini e molto responsabili. Ci sentiamo anche responsabili per i luoghi santi, compresi ovviamente i siti cristiani. Il cristianesimo è una delle tre grandi religioni monoteiste legate a Gerusalemme e a Israele”. Mons. Lazzarotto, da parte sua, ha invitato ad “avere buona volontà e cercare ciò che abbiamo in comune, ciò che ci unisce, e trovare sempre un cammino comune per andare avanti insieme. Dobbiamo lavorare insieme - ha sottolineato - per la pace, per una buona comprensione e per il dialogo”. (R.P.)

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    Povertà in Europa: mons. Paglia a Mosca al Convegno cattolico-ortodosso

    ◊   In un tempo in cui “gli spazi per sognare sono diventati i grandi supermercati o il piccolo schermo del computer”, in cui “si è tutti più spaesati e più soli”, occorre “ripartire dall’amore”. “È il messaggio proprio che i cristiani, sia d’Oriente che d’Occidente, sono chiamati ad offrire agli uomini e alle donne di oggi per edificare una società più giusta e più umana”. Con queste parole - riportate dall'agenzia Sir - mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, si è rivolto questa mattina ai partecipanti del convegno internazionale, dal titolo “La Chiesa e i poveri. Ortodossi e cattolici nel servizio della carità”, organizzato oggi a Mosca dal Dipartimento sinodale per la carità e il servizio sociale del Patriarcato di Mosca e dalla Comunità di Sant’Egidio. “Il denaro - ha detto mons. Paglia - ha assunto un nuovo valore e un nuovo peso” e “spinge a credere che qualunque cosa ha un prezzo, confondendo così il prezzo con il valore”. In un contesto simile, ha aggiunto mons. Paglia, “è difficile trovare qualcosa o qualcuno che riscaldi il cuore e dia senso alla vita. E gli uomini e le donne, privati di amore, di protezione e di difesa, sono divenuti orfani”. Qui, ha proseguito il vescovo cattolico, “è tutta l’originalità dell’amore evangelico, ma soprattutto la sua forza irresistibile: l’amore è una risorsa indispensabile per questo nostro mondo”. (R.P.)

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    Le conclusioni dell'incontro in Croazia dei vescovi europei di rito orientale

    ◊   Come valorizzare il contributo delle Chiese cattoliche di rito orientale in Europa, nel dialogo ecumenico ma soprattutto a fianco dei sempre più numerosi immigrati, provenienti dal sud-est europeo e fedeli delle Chiese cattoliche orientali. Il tutto nella consapevolezza che “permane una certa ignoranza nella stessa Chiesa cattolica” circa le loro tradizioni liturgiche, teologiche e culturali. Di questo hanno parlato i circa 60 partecipanti tra vescovi ed esperti che hanno partecipato, dal 22 al 25 novembre, all’incontro annuale dei vescovi cattolici orientali in Europa. L’incontro si è svolto quest’anno a Zagabria-Krizevci (Croazia), su invito del vescovo di Krizevci, mons. Nikola Kekić, e sotto il patrocinio del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). Si è scelta la Croazia come luogo dell’incontro - si legge in un comunicato diffuso oggi dal Ccee e ripreso dall'agenzia Sir - perché quest’anno si celebrano i 400 anni della rinnovata unione della Chiesa greco-cattolica croata con la Sede apostolica di Roma sancita e conosciuta come unione di Marča. In un messaggio indirizzato ai partecipanti, il card. Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), ha espresso il desiderio che le tradizioni delle Chiese cattoliche di rito orientale “siano più conosciute e amate dai fedeli e dal clero di tutto il mondo”. Nel corso dei lavori i vescovi hanno parlato del ruolo che le Chiese orientali possono svolgere “nel dialogo ecumenico, in particolare con le Chiese ortodosse”; di come “si esplicita oggi in Europa la sollecitudine pastorale dei vescovi di rito latino che accolgono nelle loro diocesi comunità sempre più crescenti di fedeli di rito orientale”. “Il contributo specifico alla nuova evangelizzazione delle Chiese orientali - si legge nel comunicato diffuso dal Ccee - passa anzitutto attraverso la fedeltà” ad un modello di evangelizzazione “caratterizzato da un annuncio del Vangelo improntato e nutrito da una forte spiritualità”. “Ad esso si aggiunge la testimonianza, il martirio, di tanti vescovi, sacerdoti e fedeli laici, che appare oggi come un dono di fronte alla crisi antropologica che rende spesso l’uomo moderno incapace di giustificare se stesso e l’orientamento della propria esistenza”. Sabato 24 novembre, i partecipanti hanno incontrato in udienza privata il presidente della Repubblica di Croazia, Ivo Josipović. L’incontro del 2013 si svolgerà in Slovacchia, a Kosice, che l’anno prossimo sarà capitale europea della cultura, dal 17 al 20 ottobre, in occasione dei 1150 anni della missione dei santi Cirillo e Metodio nel Paese e su invito di mons. Milan Chautur, vescovo di Kosice. (R.P.)

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    Colombia: riprendono i colloqui di pace governo-Farc a L'Avana

    ◊   Fra nuove tensioni, dopo una pausa di cinque giorni, riprende all’Avana il processo di pace tra la guerriglia e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). La guerriglia è stata interpellata ieri, fuori dal tavolo del dialogo dal capo della squadra dei negoziatori dell’esecutivo, Humberto de la Calle, sul problema dei sequestri, strategia costantemente utilizzata dal gruppo armato. “Le Farc devono rispondere alle vittime, devono fare chiarezza” ha detto l’ex vice-presidente. De la Calle ha risposto così alle controverse dichiarazioni rilasciate domenica da Sandra Ramírez, vedova dell’ex leader storico e fondatore della guerriglia Manuel Marulanda, secondo la quale i ribelli hanno ancora nelle loro mani militari e poliziotti considerati “prigionieri di guerra”. Le affermazioni di Ramírez hanno sollevato polemiche – le Farc affermano di aver rilasciato ad aprile i loro ultimi ostaggi in uniforme – e sono state seccamente smentite dal capo ribelle Rodrigo Granda. Critiche sono partite anche dalle Farc per bocca del loro numero 2, Iván Márquez, che ha accusato il governo di Juan Manuel Santos di “incongruenza politica” per non aver accettato di unirsi al cessate-il-fuoco proclamato unilateralmente dal gruppo armato dal 20 novembre al 20 gennaio. Oggi nella capitale cubana i colloqui riprenderanno dalla questione agraria, primo e cruciale punto in agenda, all’origine della sollevazione in armi delle Farc nel 1964. Nei giorni di pausa delle trattative, il governo ha alzato la posta in gioco fissando al novembre 2013 la scadenza massima entro la quale le parti saranno tenute a raggiungere un accordo, pena il fallimento dell’ennesimo tentativo di trovare una soluzione pacifica alla guerra. Far tacere le armi, tuttavia, non basterebbe da sé a riportare la pace in Colombia: ne è convinto padre Antonio Bonanomi, missionario della Consolata dapprima nel Cauca e oggi a Bogotá, secondo il quale “è necessario cambiare il modello di sviluppo, consolidare uno Stato sociale di diritto, difendere i diritti delle minoranze, stabilire una politica ambientale chiaramente schierata a tutela degli interessi della nazione, toccare gli interessi dei grandi latifondisti, imprenditori e banchieri, porre dei limiti agli investimenti delle grandi compagnie multinazionali straniere e avviare un processo concreto per superare l’ingiusto divario tra ricchi e poveri”. (R.P.)

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    Doha: per il riscaldamento globale allarme nel mondo arabo

    ◊   I Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente pagheranno un alto tributo al riscaldamento globale, con effetti devastanti dall’agricoltura al turismo, se le tendenze attuali non saranno invertite. A lanciare l’allarme da Doha, dove è in corso la Conferenza dell’Onu sul clima (Cop 18), è la Banca Mondiale con un rapporto che mette in luce le gravi ripercussioni che i cambiamenti climatici potrebbero avere su una delle zone più desertiche del mondo. In particolare, gli esperti prevedono un aumento di tre gradi delle temperatura media entro il 2015 con temperature notturne di sei gradi più alte rispetto ad oggi e condizioni termiche “senza precedenti” per le popolazioni locali. Le piogge, in una regione che dispone delle minori quantità al mondo di acqua dolce, saranno sempre più scarse e di conseguenza le fonti idriche meno disponibili. Questo, in relazione ad una crescita costante della popolazione, potrebbe portare a grandi difficoltà anche solo per l’irrigazione dei campi coltivati necessari a sfamare la cittadinanza. Il rapporto considera che le riserve d’acqua dolce derivanti dalle piogge, entro il 2050, dovrebbero diminuire del 10% a fronte di un aumento della richiesta pari al 60%. Le conseguenze “minacciano i pilastri essenziali per lo sviluppo” sottolinea la Banca Mondiale, sottolineando ancora che oltre alla scarsità d’acqua i coltivatori – o comunque le persone la cui vita è legata all’agricoltura e che nel mondo arabo rappresentano il 40% della popolazione – dovranno confrontarsi con l’apparizione di insetti più resistenti e terreni meno fertili. Anche il turismo che oggi porta nelle casse della regione circa 50 miliardi di dollari, potrebbe subire un tracollo a causa dell’aumento eccessivo delle temperature. “È giunto il momento di prendere delle misure a livello regionale e nazionale – ha avvertito Inger Andersen, vicepresidente della regione Mena (Medio Oriente e Nord Africa ) della Banca Mondiale. In particolare governi dovrebbero promuovere una gestione iù efficace dei terreni agricoli, finanziare la ricerca sulle colture resistenti alla siccità e investire nelle tecnologie per il riutilizzo delle acque usate. (R.P.)

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    Irlanda: Veglia pro-life davanti al parlamento per chiedere di non modificare la legge sull’aborto

    ◊   Circa 8mila manifestanti hanno partecipato ieri sera a una veglia pro-vita davanti al Parlamento di Dublino per chiedere al Primo Ministro Enda Kenny di rispettare l’impegno pre-elettorale a non modificare l’attuale legge sull’aborto. Una settimana fa – riporta l’agenzia Cns - il Premier aveva promesso che il Governo avrebbe esaminato entro Natale l’ipotesi di una limitata legalizzazione dell’aborto in alcuni casi estremi. La dichiarazione era giunta dopo il clamore suscitato nel Paese dal caso di Savita Halappanavar, la donna irlandese di origini indiane, morta il 28 ottobre in un ospedale per setticemia, dopo che i dottori le avevano negato un’interruzione di gravidanza alla 17ª settimana. La morte della donna ha riacceso il dibattito sul mancato adeguamento della legge irlandese alla sentenza con cui nel 1992 la Corte Suprema riconobbe che esiste un diritto costituzionale ad interrompere la gravidanza in caso di serio pericolo per la vita della madre, compresso quello del suicidio. Sulla vicenda di Savita la Conferenza episcopale è intervenuta recentemente con una nota nella quale ricorda che: “La Chiesa cattolica non ha mai insegnato che la vita di un bambino nel grembo materno andrebbe preferita alla vita di una madre, precisando che “in virtù della loro comune umanità, una madre e il suo bambino non ancora nato sono entrambi sacri con lo stesso diritto alla vita”. “Considerando che l‘aborto è la distruzione diretta e intenzionale di un bambino non ancora nato ed è gravemente immorale in tutte le circostanze – puntualizza ancora la nota - questo è diverso da trattamenti medici che non sono direttamente e intenzionalmente finalizzati a porre fine alla vita del bambino non ancora nato”. Secondo i vescovi, “la legislazione vigente e le linee-guida mediche in Irlanda permettono ad infermieri e medici negli ospedali irlandesi di applicare questa distinzione fondamentale, nella pratica, nel rispetto del pari diritto alla vita sia di una madre che del suo bambino non ancora nato”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Vietnam: è tutto pronto per la 10.ma Assemblea generale dei vescovi asiatici

    ◊   La 10.ma Assemblea generale della Conferenza dei vescovi asiatici (Fabc), in programma dall'11 al 16 dicembre prossimi, porterà "una ventata di aria fresca" alla Chiesa vietnamita e a tutti i cattolici del Paese. È quanto ha affermato l'arcivescovo di Saigon, card. J.B. Phạm Minh Mẫn, alla vigilia dell'incontro che si terrà presso il centro pastorale della diocesi di Xuan Loc, nel sud del Vietnam. La cerimonia conclusiva - riferisce l'agenzia AsiaNews - è invece prevista a Ho Chi Minh City, dove si terrà la messa finale - il 16 dicembre in cattedrale - e saranno annunciati il messaggio finale e i contenuti della cinque giorni di incontri e discussioni. Il primo dicembre scorso Benedetto XVI ha inviato una lettera al card. Gaudencio Rosales, arcivescovo emerito di Manila, inviato speciale del papa alla Fabc. Nel testo il pontefice ha ricordato il tema fondamentale della "nuova Evangelizzazione" e dell'annuncio del Vangelo. Per l'arcivescovo di Ho Chi Minh City l'assemblea sarà occasione di "comunione dei vescovi" della regione e "un'opportunità" per confrontarsi, scambiare esperienze sulle attività pastorali e promuovere la comprensione reciproca. Il porporato spera inoltre che "diventeremo sempre più fratelli e sorelle", all'insegna di uno "spirito comune" di aiuto reciproco nel quadro della realtà attuale. Per i cattolici asiatici il 10mo incontro della Conferenza episcopale del continente sarà occasione per "promuovere la comunione e l'annuncio del Vangelo"; per questo i prelati chiedono ai fedeli di pregare e sostenere il loro lavoro. In preparazione alla conferenza, il comitato organizzatore in seno alla Fabc ha inviato una bozza dei temi al centro della discussione al Consiglio dei vescovi asiatici. Per il Vietnam, a guidare i lavori della delegazione sarà mons. Paul Bui Van Doc, della diocesi di My Tho. Sempre riguardo alla preparazione dell'incontro, i promotori sottolineano di aver ricevuto "tutti i permessi" dalle autorità, fra cui "indicazioni sulle modalità di richiesta del visto di ingresso" per i 118 partecipanti provenienti dall'estero. Tutte le procedure, conferma l'ausiliare di Saigon mons. Peter Nguyen Van Kham, "si sono svolte per il meglio". (R.P.)

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    Filippine: Lettera congiunta di vescovi e ulema per la pace a Mindanao

    ◊   Vescovi e capi religiosi islamici si impegnano insieme per promuovere e costruire la pace nella società delle Filippine Sud. È quanto afferma la Lettera congiunta pubblicata dalla Conferenza di vescovi e ulema (“Bishop Ulama Conference”, Buc) in occasione della “Settimana per la Pace a Mindanao” che, iniziata il 29 novembre, si è conclusa oggi. Le Lettera, inviata all’agenzia Fides, si intitola “Amore di Dio e amore del prossimo: una sfida per Mindanao”. Alla base di tutto, afferma il testo, c’è “ un mandato comune per cristiani, musulmani e indigeni”, quello di “amare Dio/Allah/ Magbabaya, il prossimo e la natura, in una vita armoniosa e pacifica”. I leader religiosi concordano nel dire che “spesso i conflitti sono dovuti alla politica ed all’economia e hanno solo il pretesto della religione” che dunque, nella sua autenticità, è un fattore di pace. Vescovi e ulama musulmani affermano che continueranno le loro attività di sensibilizzazione per promuovere la pace a Mindanao, sostenendo “l’accordo quadro” fra ribelli islamici e governo filippino dell’ottobre scorso. Il 3 e 4 dicembre, in occasione della “Settimana per la Pace”, la Buc ha organizzato un forum dal titolo “Un cammino verso la pienezza”, dedicato ad approfondire temi e problemi legati all’accordo-quadro per Mindanao. L’assemblea di leader religiosi ha tracciato una “road map” per la pace a Mindanao, impegnandosi a promuovere “progetti di carattere formativo e progetti di sviluppo in cui sperimentare la conoscenza e la comprensione reciproca della fede e della cultura, nello spirito del dialogo, in modo da costruire armonia autentica e pace fra individui e comunità”. La Buc è nata nel 1996 come “Forum di dialogo”, poi si è istituzionalizzata in Conferenza stabile. Negli anni scorsi è stata anche coinvolta attivamente nel processo e nei negoziati di pace nelle Filippine Sud. (R.P.)

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    Sri Lanka: Chiesa e governo sperano nella liberazione di Rizana Nafeek

    ◊   La Chiesa cattolica e il governo dello Sri Lanka esprimono "speranza" per la "possibile" liberazione di Rizana Nafeek, musulmana dal 2007 condannata a morte http://www.asianews.it/notizie-it/Giovane-musulmana-singalese-condannata-a-morte-in-Arabia-Saudita.-Appello-dei-cattolici-19941.html in Arabia saudita per il presunto omicidio di un neonato. Di recente infatti, il principe ereditario saudita Salman bin Abdul Aziz al Saud ha annunciato di voler concedere la grazia ai detenuti nel braccio della morte, come benedizione per il malato re Abdullah Bin Abdul Aziz. Le parole del principe rincuorano quanti da anni si battono per la liberazione della giovane, anche perché egli è ministro della Difesa e vice primo ministro del Regno. "Questa possibilità di perdono - spiega all'agenzia AsiaNews suor Rita Janet, della Commissione cattolica nazionale per i migranti - è una notizia di grande consolazione per tutti gli srilankesi, in particolare per la sua famiglia, che da anni ne chiede la liberazione". Altrettanto fiduciosa è suor Deepa Fernando, delle suore della Sacra Famiglia, che però avverte: "Il governo dello Sri Lanka deve prendersi le sue responsabilità". Secondo la religiosa, l'esecutivo del presidente Mahinda Rajapaksa "ha il dovere di controllare chi parte per cercare lavoro. Se questa precauzione fosse già stata presa, dei minorenni non diventerebbero vittime di situazioni simili". Originaria di una famiglia molto povera del villaggio di Mutur (distretto orientale di Trincomalee), Rizana era arrivata in Arabia saudita nel 2005, a soli 17 anni - con passaporto falso - per lavorare come cameriera. Il bambino del suo datore di lavoro è morto mentre lei prestava servizio. Rizana è stata accusata di omicidio e condannata a morte con un processo-farsa, basato su una confessione firmata senza che ne conoscesse il contenuto, perché scritto in arabo, lingua a lei sconosciuta. Nel 2007 è arrivata la condanna a morte. Per la sua liberazione, governo di Colombo, Ong e Caritas si sono mossi a livello nazionale e internazionale, rivolgendosi all'Unione Europea e tentando di chiarire la vicenda con la stessa famiglia del bambino morto. Padre George Sigamoney, direttore della Caritas Sri Lanka, ha accolto le dichiarazioni del principe ereditario saudita "con gioia", ma anche "consapevole" del fatto che "le ingiustizie perpetrate [in Arabia saudita] contro le lavoratrici migranti aumentano giorno dopo giorno". L'Arabia saudita è una delle mete principali per le srilankesi in cerca di lavoro non specializzato. In genere - come nel caso di Rizana - sono ragazze ancora minorenni, a cui vengono procurati documenti falsi per permettere loro di espatriare. In altri casi, sono donne adulte, spesso madri di famiglia, costrette a migrare perché rimaste vedove e incapaci di provvedere al sostentamento dei cari. Mancanza di qualifiche, inesperienza e mancata assistenza da parte del proprio Stato d'origine rendono le lavoratrici migranti vittime di abusi e violenze da parte dei loro datori di lavoro. Per arginare il fenomeno, nel giugno scorso lo Sri Lanka ha rescisso i contratti con oltre 600 agenzie di collocamento estero, la maggior parte delle quali è nel Regno saudita. Colombo ha 1,8 milioni di lavoratori migranti, il 45% dei quali è rappresentato da donne. (R.P.)

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    Sudan: raid su cellula islamista pronta a inviare combattenti in Mali e Somalia

    ◊   Le autorità sudanesi hanno annunciato di aver smantellato una cellula di estremisti islamisti, che pianificava attentati contro rappresentanti diplomatici stranieri e funzionari governativi. Le forze di sicurezza hanno assalito un campo di addestramento del gruppo islamista nel Parco nazionale di Al-Dinndir nello Stato di Sennar, lo scorso 30 novembre, arrestando 25 appartenenti alla cellula estremista e uccidendone altri 3. Sono stati sequestrati armi, documenti e attrezzature elettroniche. Secondo il Sudan Tribune però il bilancio delle vittime dell’operazione potrebbe essere superiore. Il giornale infatti ha raccolto testimonianze che affermano che la battaglia tra le forze di sicurezza e gli estremisti è durata diverse ore. Il sito del quotidiano cita inoltre fonti dell’intelligence sudanese secondo le quali il gruppo stava conducendo un intenso addestramento militare per unirsi ai gruppi islamisti che controllano il nord del Mali e agli Shabaab somali. La maggior parte delle persone arrestate sono studenti universitari di età compresa tra i 19 e i 25 anni. Gruppi salafiti sono da anni particolarmente attivi nelle università sudanesi, dove fanno proseliti tra gli studenti. (R.P.)

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    Concluso l’incontro dei vescovi di Senegal, Mauritania, Capo Verde e Guinea-Bissau

    ◊   La Conferenza episcopale inter-territoriale di Senegal, Mauritania, Capo Verde e Guinea-Bissau, ha tenuto dal 26 novembre al 2 dicembre la sua prima riunione ordinaria dell'anno pastorale 2012-2013. Per la prima volta i Vescovi si sono riuniti a Capo Verde, precisamente a Rui Vaz, 22 km dalla città di Praia, nella diocesi di Santiago de Cabo Verde. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides dalla curia di Bissau, alla sessione di apertura ha partecipato il nunzio apostolico, mons. Luis Mariano Montemayor, che si è soffermato, sul servizio che la Chiesa svolge a favore delle numerose popolazioni che vivono nei diversi Paesi che formano la Conferenza episcopale inter-territoriale. Inoltre ha sottolineato l’invito rivolto dalla Chiesa a tutti i cristiani a vivere con gioia l'Anno della Fede. Come è consuetudine nella prima riunione, i vescovi si sono dedicati all’esortazione per la Quaresima 2013, che avrà come tema: “Alcune sfide dell’ecologia alla luce della fede cristiana”. Tra gli altri argomenti trattati nell’incontro: l’Unità Universitaria di Ziguinchor in Senegal, il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, l’11° Incontro internazionale delle Equipes de Nossa-Senhora a Brasilia, l’incontro della Caritas Africa e l'Anno della Fede. I vescovi hanno avuto la possibilità di incontrare diverse autorità di Capo Verde, hanno visitato alcuni luoghi storici dell'isola di Santiago, dei progetti di sviluppo e il nuovo centro sociale della parrocchia di Santa Caterina. Al termine della riunione hanno ringraziato Dio per i momenti di condivisione e di preghiera vissuti, per la gentilezza e l’accoglienza delle persone incontrate, per l’impegno di tutti coloro che hanno contribuito al buon funzionamento dell’incontro, invocando dal Signore abbondanti benedizioni per tutti. Particolarmente emozionante e partecipata la celebrazione della Santa Messa nella prima Domenica di Avvento, 2 dicembre, nel parco del Seminario di S. Giuseppe, a Praia, con l'ordinazione di due diaconi, che ha concluso l’incontro. (R.P.)

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    Il Nicaragua festeggia 450 anni di devozione mariana

    ◊   La Conferenza episcopale del Nicaragua si reca in pellegrinaggio domani, alla Basilica della Vergine del Nicaragua, che si trova nella città di El Viejo, a Chinandega, dove si celebrerà la Santa Messa per la tradizionale "Lavada de la Plata", festa in cui migliaia di nicaraguensi e pellegrini provenienti anche da altri Paesi vengono a rendere omaggio all'Immacolata Concezione di Maria. La Santa Messa principale - riferisce l'agenzia Fides - avrà inizio alle ore 10, e ci saranno comunque anche altre celebrazioni perché si commemorano i 450 anni dall'arrivo dell’immagine sacra nel Paese. Secondo la nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale, esistono 3 versioni della storia che racconta l'arrivo della piccola statua in Nicaragua: venne consegnata da Santa Teresa d’Avila a suo fratello Lorenzo perché lo proteggesse durante i suoi viaggi in America latina. Dopo aver fatto tappa a El Viejo nel suo viaggio verso il Perù, Lorenzo non riuscì a ripartire a causa di una serie di fenomeni che lo convinsero a lasciare in quel luogo l’immagine mariana, subito venerata dalla popolazione locale. I vescovi affermano che “tutti i racconti mostrano il desiderio di Santa Teresa che l'immagine di Nostra Signora accompagnasse e proteggesse la sua famiglia nei viaggi nel nuovo mondo, e anche la volontà della Madonna di rimanere in Nicaragua. Le vie del Signore sono imponderabili e, leggende o storie, la verità è che la Santissima Vergine, nel mistero dell'Immacolata Concezione, ha scelto il villaggio di El Viejo per cominciare a ‘conquistare’ il cuore dei Nicas e da lì si diffuse a tutti gli altri". La chiesa è stata dichiarata santuario nazionale l'8 ottobre 1995; Papa Giovanni Paolo II, nella sua seconda visita in Nicaragua l’ha dichiarata Basilica Minore il 7 febbraio 1996; la Conferenza episcopale del Nicaragua, il 13 dicembre 2001, ha dichiarato la Vergine Immacolata Patrona del Nicaragua. (R.P.)

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    David Moxon nuovo rappresentante della Comunione anglicana presso la Santa Sede

    ◊   È l’arcivescovo della Nuova Zelanda, David Moxon, il nuovo rappresentante della Comunione anglicana presso la Santa Sede e direttore del Centro anglicano di Roma. Lo ha nominato l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams. David Moxon succede al rev. David Richardson che si ritirerà dall’incarico a Pasqua. Il ruolo di rappresentanza presso la Santa Sede - si legge in un comunicato dell’Anglican Communion ripreso dall'agenzia Sir - “implica il compito di tenere le relazioni con il Vaticano e con il Papa a nome dell‘arcivescovo di Canterbury e della Comunione Anglicana, mentre il Centro Anglicano è come una ambasciata anglicana a Roma che promuove l‘unità dei cristiani attraverso l‘ospitalità, la preghiera e l‘educazione”. “Ci sono poche persone nella Comunione così ben qualificate per questo lavoro”, ha detto Rowan Williams, e “l’arcivescovo David ha svolto un servizio altissimo nel dialogo anglicano-cattolico sia a livello locale che globale”. L’arcivescovo Moxon ha appreso la notizia di questo suo nuovo incarico definendolo come “un’opportunità per impegnarsi in un dialogo onesto” tra le due Chiese in un momento in cui la Commissione internazionale di dialogo sta entrando nella terza fase (Arcic3) e in cui è molto atteso l’esito della evoluzione nella Chiesa di Inghilterra rispetto all’episcopato femminile, che provocherebbe un ulteriore allontanamento tra le due Chiese. (R.P.)

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    India: nell’Anno della Fede un film su Gesù in hindi per aiutare l’evangelizzazione

    ◊   E’ una iniziativa che “aiuterà a comunicare la fede cristiana, a diffondere il reale volto di Cristo e della Chiesa al popolo indiano”: così padre Dominic D’Abreo, portavoce della Conferenza episcopale dell’India, definisce all’agenzia Fides il nuovo film su Gesù in lingua hindi, appena proposto al pubblico indiano, in occasione dell’Anno della Fede. Il film, lungo sei ore e titolato “Christayan” (“Il cammino di Cristo”), è opera di padre Geo George, missionario indiano verbita che, per realizzarlo, ha impiegato 200 attori non professionisti, all’80% non cristiani, e sette anni di lavoro. Protagonista, nel ruolo di Gesù, è il giovane indù Ankit Sharma. Il film, spiega padre D’Abreo a Fides, è un esempio di “inculturazione” in quanto propone Gesù con costumi, cultura e musica indiana e presenta un Cristo che restituisce dignità alle donne, ai poveri, agli oppressi, alla creazione, toccando tasti che sono molto eloquenti per il pubblico indiano. Secondo padre D’Abreo l’iniziativa, anche se non è stata lanciata dalla Conferenza episcopale, “è lodevole, perché nell’Anno della Fede potrà contribuire a far riscopre la fede in Cristo nella nostra comunità, ma anche a togliere pregiudizi esistenti su Gesù e sulla Chiesa”. Inoltre “per i non cristiani sarà, anche grazie alla lingua hindi, uno strumento per istruirli sulla nostra fede, anche per illuminare sulla conoscenza di Cristo”, in piena sintonia con i temi dell’Anno della Fede. L’Anno della Fede, conclude il portavoce, “sta trovando grande attenzione nelle diverse diocesi indiane, che stanno proponendo ai fedeli programmi specifici di catechesi, simposi, mostre, seminari, incontri biblici, iniziative dedicate alla fede dei giovani”. (R.P.)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 340

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti e Chiara Pileri.