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Sommario del 28/08/2012
◊ Preghiera per le vittime, vicinanza spirituale alle famiglie, appello alla solidarietà. È questo ciò che esprime in sostanza Benedetto XVI nel telegramma di cordoglio per la morte delle 48 persone, causata sabato scorso dall’esplosione avvenuta nella raffineria venezuelana di Amuay. Nel testo, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, il Papa si dice “profondamente addolorato” per l’accaduto, assicurando suffragi per i defunti e conforto per i loro familiari. Inoltre, il Pontefice esorta “tutta la comunità civile ed ecclesiale del Venezuela a prestare con carità e spirito di solidarietà cristiana l'assistenza necessaria a coloro che hanno perso le loro case e i loro effetti personali”.
Festa di Sant'Agostino. Il Papa: cercò la felicità, sbagliò, non si arrese e trovò Dio
◊ Il 28 agosto del 430 moriva a Ippona, nell’odierna Algeria, il vescovo Agostino. Oggi se ne fa memoria come Padre della Chiesa, teologo e filosofo. È nota la passione di Benedetto XVI per questo Padre della Chiesa, considerato dal Papa un maestro e “compagno di viaggio” della vita. In questo servizio, Alessandro De Carolis ripropone alcune riflessioni del Pontefice su Agostino e la sua ricerca della verità:
Prestigio, carriera, possesso delle cose, delle persone, una voglia irrefrenabile di ghermire la felicità e in qualche modo mettersela in tasca, meglio averla sempre con sé, piantata nel cuore. È questa, ha spiegato due anni fa Benedetto XVI, la filiera dei valori del giovane Agostino. Una scala i cui primi pioli sono i beni tangibili e sui quali quel giovane intelligente e pieno di vita si arrampica per vedere se, oltre il crinale della soddisfazione epidermica, essi svelino qualcosa che appaghi più in profondità:
“Spesso si preferisce vivere solo l’attimo fuggente, illudendosi che porti felicità duratura; si preferisce vivere - perché sembra più facile - con superficialità, senza pensare; anzi, si ha paura di cercare la Verità o forse si ha paura che la Verità ci trovi, ci afferri e cambi la vita, come è avvenuto per Sant’Agostino”. (Udienza generale, 25 agosto 2010)
Agostino non si ferma a quei pioli, li sale e la scala punta sempre più verso l’alto, il cielo. Il futuro Santo, spiega Benedetto XVI, non sa accontentarsi del “barlume di luce” trovato qui e là. E non si lascia scoraggiare dagli errori che si accorge di aver commesso o dagli insuccessi collezionati, finché non si accorge, dice il Papa, “che quella Verità, quel Dio che cercava con le sue forze era più intimo a sé di se stesso, gli era stato sempre accanto”. Una grande lezione per chi oggi cerca Dio e si trova spesso a navigare tra i flutti di un'indifferenza che tutto relativizza:
“Cari fratelli e sorelle, vorrei dire a tutti, anche a chi è in un momento di difficoltà nel suo cammino di fede, o anche a chi partecipa poco alla vita della Chiesa o a chi vive ‘come se Dio non esistesse’, di non avere paura della Verità, di non interrompere mai il cammino verso di essa, di non cessare mai di ricercare la verità profonda su se stessi e sulle cose con l’occhio interiore del cuore. Dio non mancherà di donare Luce per far vedere e Calore per far sentire al cuore che ci ama e che desidera essere amato”. (Udienza generale, 25 agosto 2010)
L'esperienza di Agostino come uomo alla ricerca della verità è dunque ancora oggi una delle storie più affascinanti fra quelle dei grandi testimoni del cristianesimo. Sul Santo di Ippona non cessano ancora oggi pubblicazioni sul suo pensiero, sui suoi scritti, sulla sua attualità. Ne parla in questo servizio Tiziana Campisi:
Torna al tuo cuore, la verità abita dentro di te, lì Dio ti parla: è il suggerimento che Sant’Agostino ha lasciato all’uomo in cerca di sé e del senso della vita. Parole che hanno attraversato secoli e che il tempo non ha cancellato, che spesso hanno toccato anime inquiete e le hanno indotte a ripercorrere il cammino di conversione del vescovo di Ippona. Un cammino articolato, lungo e tormentato, influenzato da filosofie, scetticismo, crisi interiori e sbocciato poi nel ministero episcopale reso in terra d’Algeria. Un presule, Agostino, che ha speso tutto se stesso per parlare all’uomo, alla ricerca di dialogo e di confronto; per far conoscere Dio e la salvezza offerta in Cristo. Omelie, trattati, lettere sono solo parte del prezioso patrimonio di manoscritti che Sant’Agostino ha lasciato. Tra i suoi testi più noti le “Confessioni” e “La città di Dio”. Le sue reliquie si trovano dall’VIII secolo a Pavia, nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro, oggi anche meta di un pellegrinaggio spirituale, proposto sotto forma di trekking. Lo hanno sperimentato Francesca Cosi ed Alessandra Repossi ripercorrendo le tappe delle spoglie del grande Padre della Chiesa da Genova a Pavia. Frutto di questo cammino è il volume “Sulle tracce di Sant’Agostino”, guida pratica e spirituale per chi vuole conoscere il vescovo di Ippona immergendosi nella natura con uno zaino in spalla. E per approfondire ancor di più è fresco di stampa “Sant’Agostino a Pavia”, scritto da Antonello Sacchi, che racconta la storia delle reliquie di Agostino e attraverso varie interviste lascia emergere l’attualità del suo pensiero. Entrambi i libri sono stati pubblicati dalla Editrice Ancora, e sono innumerevoli i saggi, le ricerche e i testi di vario genere stampati ogni anno sul padre della Chiesa più amato da Benedetto XVI. Ma cosa si può ancora imparare da Aurelio Agostino di Tagaste? Risponde padre Luciano De Michieli, neoprovinciale degli Agostiniani d’Italia:
R. - Si possono imparare tante cose. Una - forse anche la più bella, nell’Anno della Fede che si sta per aprire - è che Dio va cercato con tutto se stesso, con sincerità di cuore, con passione, senza compromessi, senza mezzi termini, sapendo tornare indietro quando si sbaglia. Lui si fa trovare dentro questa ricerca, questo sforzo dell’uomo è fondamentale perché il Signore poi si mostri, si doni.
D. - L’esperienza di Agostino continua ad essere attuale, perché?
R. - Per questa centralità della persona Agostino, dell’uomo Agostino: lui ha saputo vivere con grande lucidità l’interiorità e parlare di ciò che muoveva il suo cuore; questi sono sentimenti eterni, quello che muove il cuore di ogni persona. Oggi, poi, in certi aspetti ci avviciniamo nuovamente a lui perché egli ha vissuto l’epoca del crollo dell’Impero Romano e quindi della fine di un’epoca, momento di crisi, dunque, di passaggio, dove era chiaro quello che si lasciava, ma non era chiaro verso dove si andava. Anche per noi, in un certo modo è la stessa cosa, in quest’epoca così veloce, di cambiamenti, di crisi ma anche di scoperte nuove, e allora Agostino diventa un indicatore di percorso, una persona che ci indica l’ottimismo, partendo però anche dalla consapevolezza del peccato dell’uomo, della sua fragilità e quindi del bisogno di Dio.
D. - Agostino è stato vescovo di Ippona. Quali parole userebbe oggi per i suoi fedeli, se dovessimo pensare a questo particolare momento storico?
R. - Agostino, sicuramente, inviterebbe nuovamente a vivere la Chiesa, a vivere la comunione, a vivere l’unità: lui ha difeso a spada tratta l’unità, sempre, perché è l’unica via che porta poi alla verità che cerca il cuore dell’uomo. Quindi, probabilmente, ci direbbe questo. Nel momento in cui ognuno rischia, nelle difficoltà, di costruirsi un percorso personale, o di sentirsi giudice di tutti, o di sentirsi una persona unica ed irripetibile - che quindi gli altri non possono capire - ci inviterebbe ad ascoltarci, a rifare unità tra noi, a rifare comunione, a sapere smussare gli spigoli, a sapere vivere i compromessi necessari per costruire poi la via che risponde al bisogno di ogni cuore.
D. - Lei è stato appena eletto provinciale degli Agostiniani in Italia. In che modo vede il cammino dell'Ordine alla luce dell’insegnamento di Agostino?
R. - La nostra storia è un po’ una sintesi tra una radice eremitica ed una mendicante - nata nel 1200 come gli altri ordini - e dentro questa ricca sintesi c’è una grande storia di teologia e di capacità di stare con il popolo. Ancora una volta, siamo chiamati a vivere tra noi l’esperienza della comunione, della Chiesa come comunità, per diventare poi segno visibile per tutti, perché la Chiesa sappia crescere insieme con tutte le sue ricchezze, ma sempre “alla scuola” di questa comunione. Questo è quello che cercheremo di fare anche noi, nelle parrocchie, nei santuari, ovunque poi la Chiesa ci chiamerà a servirla.
Il Papa riceve Mario Monti: situazione europea e sfide per i giovani al centro del colloquio
◊ Ieri pomeriggio, Benedetto XVI ha ricevuto in visita privata, al Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il presidente del consiglio italiano, Mario Monti. In seguito, Monti ha incontrato il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. "Nel corso dei cordiali colloqui - informa una nota della Sala stampa della Santa Sede - ci si è soffermati in particolare sulla situazione europea, sulle principali sfide che l’Unione sta affrontando e sul contributo che i suoi cittadini e, soprattutto, le giovani generazioni possono offrire alla sua crescita umana e spirituale".
I media cristiani libanesi attendono con speranza e trepidazione la visita del Papa
◊ Mancano poco più di due settimane alla visita di Benedetto XVI in Libano, in programma dal 14 al 16 settembre. Un evento molto atteso in tutto il Medio Oriente che guarda con grande speranza a questo viaggio apostolico, 15 anni dopo quello storico di Giovanni Paolo II. Grande anche l’attenzione riservata all'avvenimento da parte dei media locali, specie quelli cristiani. Alessandro Gisotti ne ha parlato con Simone Moubarak, conduttrice della radio cristiana libanese “Voix de la Charité”:
R. - Nos médias chrétiens…
I nostri media cristiani trasmettono programmi sulla vita del Papa, sulla sua persona, sul suo insegnamento, sui suoi viaggi, e soprattutto sullo scopo di questa visita. Noi auspichiamo che lo scopo della visita sia chiaro. Noi fedeli abbiamo compreso l’importanza di questa visita: il fatto che il Papa abbia scelto di venire in questo momento difficile, pericoloso, e che abbia scelto la nostra terra per consegnare la sua Esortazione, è un vero segno della Provvidenza. Per noi, è un appello e un richiamo. Un appello a vivere nella speranza e nella fede, a non avere paura, ed è anche un richiamo alla nostra vocazione e missione. La nostra presenza in questo Medio Oriente martirizzato è una vocazione a essere testimoni di Cristo, un richiamo a vivere nella convivialità, nel rispetto, a essere artigiani di vera libertà e di pace.
D. – Quali sono le speranze degli ascoltatori di Radio “Voce della carità” per questa visita apostolica?
R. - De mettre de la lumière…
Di fare luce sull’importanza e lo scopo di questa visita. Sicuramente, tutto il mondo spera che questa visita ci porti un soffio di pace, di speranza. Bisogna dire onestamente che la gente in Libano, in Medio Oriente, nei Paesi intorno a noi, è un po’ stanca, disperata. Dunque, questa visita per noi è veramente un soffio di luce e abbiamo la speranza che il mondo e la Chiesa siano attenti al nostro dolore, a tutto quello che stiamo vivendo.
D. - Qual è il ruolo dei media cristiani in Libano per la pace per il dialogo interreligioso?
R. - Les médias chrétiens…
I media cristiani diffondono un messaggio evangelico e il messaggio evangelico, si sa, è un messaggio di pace. Tutti i media cristiani sono media aperti al dialogo islamo-cristiano. Riceviamo molte persone di fede islamica, facciamo programmi insieme per trovare punti comuni. Credo sia necessario avere un ruolo di pacificatori.
Mons. Pagano alla Perdonanza de L'Aquila: torni a risplendere la memoria di Celestino V
◊ Il prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, mons. Sergio Pagano, ha tenuto ieri una Lectio magistralis, presso la chiesa di San Giuseppe Artigiano all'Aquila, nell’ambito della celebrazione della Perdonanza Celestiniana. La Lectio è stata seguita dall'esposizione, presso la sede della Banca d'Italia dell'Aquila, della pergamena con la quale i cardinali annunciarono a Pietro del Morrone la sua elezione al soglio Pontificio, nel 1294. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Serve un’opera che raccolga tutti gli scritti e i documenti su Celestino V. E’ l’auspicio levato, ieri, da mons. Sergio Pagano all’Aquila dove ha tenuto una Lectio magistralis sulla figura santa e sempre affascinante del “Papa eremita”. Il prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano ha osservato come la figura di Pietro del Morrone non trovi ancora concordi tutti gli storici e sarebbe dunque necessario avere un corpus sicuro degli scritti celestiniani. Quest’opera, ha detto ancora mons. Pagano, potrebbe vedere la luce “con la rinascita della città dell’Aquila” così duramente colpita dal terremoto. Ha così espresso l’augurio che “la meritata e duratura memoria di papa Celestino torni a risplendere non solo a Collemaggio, dove riposano le sue spoglie, ma nella città” che egli vide nel suo ingresso da nuovo Pontefice.
Mons. Pagano non ha mancato di soffermarsi sul momento storico del Conclave che, il 5 luglio 1294, elesse in modo improvviso e inatteso Pietro del Morrone a Successore di Pietro. Il presule ha ricordato il segno indelebile lasciato dal brevissimo Pontificato di Celestino V, appena 6 mesi. Di lui, ha aggiunto, si occuparono i poeti e i cronisti dell’epoca, “tramandando a noi la bella memoria di un uomo integro e di un santo”. E nonostante i giudizi discordanti degli storici sul suo Pontificato, ha osservato, nessuno ha messo in dubbio l’“assoluta moralità di Papa Celestino", né "la sua estraneità ai disegni di potere o di mondano prestigio". Il prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano ha, infine, evidenziato che non è un caso se proprio il secolo che si chiudeva con Celestino V aveva visto, “al suo sorgere, il grande spirito riformatore di Francesco d’Assisi”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ L'incontro tra il Papa e il presidente Monti a Castel Gandolfo.
Il mercato che uccide: un rapporto delle Nazioni Unite sul traffico di armi.
Nell'informazione internazionale, in primo piano la Siria: l’Eliseo apre a un possibile Governo di transizione.
Un uomo solo al comando: in cultura, Sergio Pagano, vescovo prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, sulle fonti storiche per conoscere vita e opere dell’eremita che diventò Celestino V.
Memorie contrapposte: Anna Foa sulla memoria della guerra d'Algeria in Francia.
Sold out per Londra paraolimpica: Giulia Galeotti a colloquio con Luca Pancalli sui Giochi che cominciano il 29 agosto.
Luci e colori del Rinascimento fiorentino: Simona Verrazzo su un repertorio delle «robbiane», le terrecotte invetriate custodite nel Museo del Bargello a Firenze.
Tempo di nuova evangelizzazione: nell'informazione religiosa, il messaggio del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, per la Settimana liturgica nazionale.
Decine di morti a Damasco sotto le bombe dell’esercito. Appello dell’Unicef per i bambini siriani
◊ Infuria la battaglia in Siria. Almeno 60 i morti ieri a Damasco sotto le bombe di alcuni caccia dell’esercito in due quartieri abitati da musulmani sunniti, in prima linea contro il presidente Assad. Altri 5 uomini giustiziati sono stati rinvenuti stamane nella città. Sono oltre 25 mila le vittime dall’inizio del conflitto, 1 milione e mezzo gli sfollati e tra questi sono anzitutto i bambini a patire, come ricorda il Fondo dell’Onu per l’infanzia. Roberta Gisotti ha intervistato Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef-Italia.
R. – La situazione si fa ogni giorno sempre più grave. L’Unicef ha urgente bisogno di fondi per rispondere a questa emergenza, che è un’emergenza sanitaria – di acqua, di servizi igienici – tanto in Siria, dove chiaramente nelle zone di Damasco, Aleppo, Homs, le condizioni sono difficilissime per le persone che sono rimaste intrappolate sotto le bombe del conflitto, ma anche per continuare a sostenere quelle che invece sono le attività nei campi di profughi. Ecco perché abbiamo lanciato un appello per raccogliere 54 milioni di dollari, proprio per rispondere alle esigenze dei rifugiati siriani, che hanno trovato riparo, ad esempio, in un campo molto importante, di Za'atari in Giordania, e in altri Paesi come Iraq, Turchia e Libano.
D. – Non solo bisogni materiali, ma anche sostegno psicologico per i piccoli siriani...
R. – Sì, è fondamentale. Nel campo più grande, che è quello di Za'atari, per esempio, sono stati realizzati dieci spazi a misura di bambino, che io ho definito 'spazi della speranza', dove questi piccoli possono ritrovare quelle che sono le condizioni che hanno lasciato nelle loro città, nel loro Paese. Quindi, possono giocare, imparare alcune lingue come l’inglese, studiare la matematica, e riabituarsi a quelle che sono le dinamiche quotidiane, oltre a ricevere un sostegno psicosociale. Non dimentichiamo che questi piccoli bambini sono stati fortemente violati: hanno visto i propri genitori lasciare le case, molti di loro hanno perso il papà, che è dovuto andare in guerra o che comunque improvvisamente è sparito, altri purtroppo hanno visto proprio le bombe cadere. Quindi, è necessario cercare di sostenerli, soprattutto sotto il profilo psicosociale.
D. – Si parla molto del conflitto sul piano delle azioni militari e, forse, si parla poco invece degli aspetti umanitari...
R. – Si parla quasi per nulla della situazione umanitaria e di quello che si sta facendo in questo momento. Naturalmente è di ostacolo, questa sorta di difficoltà, alla raccolta fondi e soprattutto al comunicare agli italiani nel nostro caso, e a tutte le persone del mondo, quello di cui queste persone hanno bisogno. Non dimentichiamo che c’è una guerra in corso in Siria. Forse questo non è chiaro a molte persone: ci sono 2 milioni e mezzo di siriani che si trovano sotto le distruzioni del conflitto, la metà sono bambini e 300 mila di questi sono sotto i cinque anni. E’ una catastrofe, è inutile negarlo. Quindi c’è bisogno di parlarne, c’è bisogno dell’aiuto dei media e c’è bisogno non solo di parlare degli scontri a fuoco, ma soprattutto di quello che purtroppo accade a questi bambini. Abbiamo degli staff molto ristretti, perché le condizioni di sicurezza sono ridotte al minimo, però siamo in prima fila e lo siamo da febbraio. Il numero dei morti, ahimè, specialmente dei bambini, sta aumentando sempre di più.
Al via a Teheran il vertice dei Paesi non Allineati
◊ Ha preso il via a Teheran il vertice dei Paesi non Allineati che si concluderà il 30 e il 31 agosto prossimi. Al centro dell’incontro, anche la questione siriana, con una bozza di soluzione della crisi presentata proprio dall’Iran, il programma nucleare iraniano e nordcoreano. Il summit, come annunciato dal ministro degli Esteri di Teheran, Salehi, critica soprattutto l’ingerenza degli Stati nelle questioni regionali e le sanzioni unilaterali. Ma come nasce questa organizzazione che vede riuniti oltre 120 capi di Stato e di governo? Cecilia Seppia lo ha chiesto a Ennio Di Nolfo, docente emerito di Relazioni internazionali all’Università di Firenze:
R. – L’organizzazione è nata in due fasi: nel 1955 con la Conferenza di Bandung e nel 1961 con la Conferenza di Belgrado. Era l’inizio del tentativo di aggregare tutti i Paesi che non fossero alleati esplicitamente con una delle due potenze che vivevano la Guerra fredda. In altri termini, l’organizzazione nasceva come espressione della Guerra fredda o come contrapposizione a essa. Perciò, in pratica e in teoria, dovremmo dire che cessata la Guerra fredda, l’organizzazione non ha più senso.
D. – Il ministro degli Esteri iraniano, Salehi, aprendo l’incontro ha parlato di grandi cambiamenti, di sfide da affrontare. Giustamente lei diceva: non essendoci più la contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica, viene meno anche la ragion d’essere di questa organizzazione. Come si pongono però e, da un punto di vista di geopolitica, di cosa discutono questi Paesi?
R. – Come in passato, hanno colto qualsiasi occasione offerta dalla cronaca politica per discutere. Così, oggi hanno tre occasioni per discutere – a mio parere – della situazione politica, e sono: la situazione siriana, la situazione nordcoreana e la situazione iraniana.
D. – A proposito della crisi siriana, sempre Salehi aveva annunciato, nei giorni scorsi, che Teheran ha intenzione di presentare una proposta sulla Siria molto difficile da rifiutare. Ed è immediatamente intervenuta la Russia, dando pieno appoggio a qualsiasi cosa Teheran intenderà fare …
R. – E’ vero che c’è un’alleanza stretta tra il governo siriano ufficiale e gli iraniani. Non credo che questo possa spingersi al di là dei fatti che oggi sono vissuti e penso che la proposta sia destinata a cadere nel vuoto politico, poi.
D. – La bozza del documento finale del Vertice critica l’intervento dei Paesi stranieri nelle questioni regionali e anche le sanzioni unilaterali imposte dall’Occidente, per esempio da alcuni Paesi. E qui c’è il chiaro riferimento all’Iran e al suo controverso programma nucleare…
R. – Certo, c'è un tentativo dell’Iran di trascinare sulle posizioni di legittimazione dei suoi programmi nucleari un certo numero di potenze: questa è una questione di profonda difficoltà concettuale, perché se è vero che le pretese dell’Iran allargherebbero i timori e le preoccupazioni del Terzo Mondo - e soprattutto dell’area mediorientale rispetto all’ipotesi di un conflitto basato anche su armamenti nucleari - è altrettanto vero che quella parte del mondo è già fitta di armamenti nucleari: sia quelli turchi, sia quelli israeliani, sia quelli pakistani… Sicché, aggiungerne altri sarebbe una cosa che non cambierebbe radicalmente nulla e porterebbe soltanto prestigio al governo di Teheran in un momento in cui esso attraversa grandi difficoltà. Infatti, mi pare di capire che l’espressione che il governo di Teheran – o il tentativo che sta effettuando in questo momento – è soprattutto inteso ad alleviare il peso delle sanzioni che incomincia a farsi sentire pesantemente sulla vita economica iraniana.
D. – No alle sanzioni per Teheran, però dall’altra parte si è rimarcata la necessità di costringere Israele a rispettare l’accordo di non-proliferazione: sembra un po’ la politica dei due pesi e delle due misure…
R. – Direi di sì, perché una posizione contraddice perfettamente l’altra. E’ vero che è pressoché certo che Israele possiede un arsenale nucleare fatto – si dice – di circa 200 ordigni nucleari; nel momento in cui lo si nega a Israele lo si deve negare anche all’Iran stesso. Tanto più che non è affatto vero quello che dice il ministro degli Esteri iraniano, che le pressioni sull’Iran sono unilaterali e vengono dai Paesi occidentali: vengono dalle Nazioni Unite, vengono da loro stessi – in pratica – anche se evidentemente gli iraniani sono ostili a questa posizione.
Speranze di pace in Colombia: avviati colloqui esplorativi tra il governo e le Farc
◊ Si apre uno spiraglio di pace nella lotta tra i ribelli delle Farc, Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, e il governo di Bogotà. Il presidente Santos ha annunciato l’avvio di “colloqui esplorativi” con i guerriglieri “perché – ha detto il capo di Stato – è un dovere perseguire la pace”. Secondo alcuni media sarebbe stato già sottoscritto un accordo a Cuba ma le trattative di pace dovrebbero partire ad Oslo in ottobre. Già in passato vi erano stati degli "avvicinamenti", ma questa volta potrebbe essere diverso. Lo sostiene Andrea Amato, giornalista esperto di Colombia, al microfono di Benedetta Capelli:
R. - Le Farc sono in un momento di grande difficoltà. Quando sono nate nel 1964 da 34 campesinos hanno ottenuto, nei decenni successivi, sempre più consenso popolare soprattutto nel territorio non urbano ed agricolo della Colombia. Oggi sono in grave difficoltà; sono stati decimati, sono stati eliminati molti leader. Ma soprattutto c’è al governo Juan Manuel Santos, che rispetto a Alvaro Uribe, è molto più moderato. Uribe aveva sostenuto - anche finanziariamente - con l’aiuto di alcune leggi, le Auc, le Unità di autodifesa della Colombia, che erano paramilitari di destra proprio per contrastare le Farc. Santos è quindi un esponente più moderato pertanto questa potrebbe essere la volta buona, ma con i guerriglieri in Sud America, non c’è mai la certezza fino alla fine...
D. - E quale ruolo oggi invece può giocare il presidente venezuelano Chavez, visto che le Farc controllano vaste zone al confine con il Venezuela?
R. - Chavez è sicuramente una pedina importante, perché - fatto notorio - da sempre appoggia le Farc. Il fatto che anche Cuba si sia resa disponibile a fare da tramite, ad aiutare questo dialogo, fa ben sperare. Da sempre la voglia di Chavez - al di là dell’aspetto politico-ideologico di sostenere le Farc - è quella di diventare il leader di tutto il Sud America o del “Panamerica”, come lo chiama lui.
D. - In caso di risoluzione di questo conflitto e quindi di firma di un accordo di pace, si potrebbe considerare conclusa la lotta delle Farc?
R. - Il pericolo è che le Farc sanno benissimo che oggi il loro business è il traffico di cocaina, e quindi una resa militare gli farebbe perdere il controllo del territorio e di conseguenza quello del traffico di cocaina. Quindi potrebbe far saltare tutto l’accordo, proprio la voglia da parte delle Farc di rimanere opposizione, frangia estrema per riuscire a fare i loro interessi. Non credo che ci sia - o per lo meno negli ultimi momenti non c’erano state queste avvisaglie - una voglia di deporre le armi, di entrare in un arco costituzionale, quindi presentarsi alle elezioni, come sta cercando di fare l’Eta o l’Ira in Irlanda. Quindi questa è la vera incognita.
D. - I sequestri: su questo fronte quali novità ci sono? Ci sono ancora persone nelle mani delle Farc?
R. - Ci sono ancora – credo - meno di dieci persone. Però si sta trattando per la liberazione, quindi sicuramente prima degli incontri di Oslo o tra governo e Farc, è evidente che il primo gesto deve essere proprio quello di liberare queste persone.
D. - Mentre sul fronte del narcotraffico, loro restano sempre i detentori di questo traffico?
R. - Sono una delle forze maggiori proprio perché controllano il territorio in maniera capillare; quindi hanno il vantaggio del territorio.
In Kazakhstan, Forum internazionale sul bando dei test atomici
◊ Alla vigilia della terza giornata, indetta dall’Onu, contro i test nucleari, ha preso il via oggi, in Kazakhstan, il Forum internazionale dal titolo: “Dal bando dei test atomici ad un mondo senza armi nucleari”: 174 i partecipanti da 50 Paesi, in particolare esponenti dell’Organizzazione internazionale dei parlamentari per la non proliferazione di armi nucleari. Il servizio della nostra inviata in Kazakhstan, Fausta Speranza:
Il Forum è iniziato con una visita nel nord-est, nella località di Semey, tristemente nota come il più significativo sito per esperimenti nucleari creato dall’Unione Sovietica e intitolato a Kurchatov, "padre" del progetto russo per l’atomica. Tra il 1949 e il 1989, 456 test. Poi, dall’indipendenza, nel 1991, il Kazakhstan fa i conti con i drammatici risvolti nella zona per chilometri e chilometri: altissimi tassi di tumori, leucemie, patologie alla nascita per un bambino su due. Dopo la toccante visita in una terra desolata, che porta i segni evidenti del disastro ambientale, e in cui si ascoltano drammatici racconti di testimoni dei test, il Forum prosegue nella capitale Astana, per capire come concretamente assicurare un mondo senza armi nucleari.
Corte europea contro Legge 40 su diagnosi pre impianto. Scienza e vita: deriva eugenetica
◊ “Il diritto alla vita del concepito è un diritto assoluto”. Lo afferma il prof. Lucio Romano, presidente dell’Associazione Scienza e Vita commentando la sentenza, non ancora definitiva, della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che oggi ha bocciato la Legge 40 in merito alla diagnosi preimpianto degli embrioni. In particolare, la Corte si è espressa sul ricorso di una coppia, portatrice sana di fibrosi cistica, che chiedeva di accedere a tale metodica per avere un bambino sano. “E’ una tecnica che di per sé porta ad una deriva eugenetica”, ha sottolineato Romano. Gabriella Ceraso lo ha intervistato:
R. – La legge 40 impedisce il ricorso alla diagnosi genetica pre-impianto, che come si sa si pratica sull’embrione prodotto con tecniche di fecondazione artificiale, prima che venga trasferito in utero. Ciò contempla una sovrapproduzione di embrioni crioconservati - e lì sorge un problema di ordine giuridico, etico e sociale - ben consapevoli che la tecnica di per sé non dà assoluta certezza, per quanto riguarda i risultati, perché ci possono essere anche dei falsi negativi e dei falsi positivi.
D. – Perché proibirla alle coppie fertili affette o portatrici di una malattia genetica?
R. – Per una non assoluta certezza della diagnosi stessa, ma anche per ragioni di ordine etico, perché porterebbe a una selezione degli embrioni secondo criteri e valori precostituiti, criteri di non eticità. Io potrei portare tantissimi esempi, in cui si fa richiesta di diagnosi genetica pre impianto non per malattie genetiche, ma anche per altri motivi, tipo la scelta del fattore RH, che sicuramente danno un’impostazione eugenetica.
D. – Spesso, com’è accaduto anche in questo caso, nei ricorsi si assiste alla contrapposizione al diritto del nascituro con diritti, o presunti tali, della coppia...
R. – Eviterei di porre l’argomento in termini di grandi contrapposizioni. Noi abbiamo un dato di fatto: il diritto alla vita del concepito è un diritto assoluto. Il rischio è quello appunto di poter inserire nell’ambito del nostro vivere una deriva eugenetica e un atteggiamento liberista, che porta evidentemente a cancellare il diritto assoluto alla dignità, alla vita di ogni soggetto, in particolare del concepito.
D. – Come rispondere, invece, a quanti considerano eccessivo il ritenere questa sentenza o questo episodio, effettivamente un passo verso una deriva eugenetica...
R. – Non è eccessivo. Anche se vogliamo rivolgerci alla puntualizzazione della tecnica stessa, noi sappiamo che la tecnica di per sé porta a una selezione degli embrioni, che una volta prodotti in numero, come dicevo, significativo, in parte comunque evidentemente moriranno. Non solo moriranno per l’approccio con la tecnica stessa della diagnosi genetica pre-impianto, ma potranno evidentemente subire delle conseguenze tali che saranno inidonei al trasferimento. Stiamo parlando di embrioni che sono, chiaramente, clinicamente sani.
Il Concilio Vaticano II al centro della Settimana teologica del Meic
◊ All’Eremo di Camaldoli è entrata nel vivo la settimana teologica del Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), che si concluderà giovedì prossimo. “Il Vangelo nella storia: la lezione del Concilio Vaticano II” è il tema dei lavori a cui presenziano molti intellettuali e amministratori pubblici. Sentiamo il presidente del Meic, Carlo Cirotto, nell'intervista di Marco Guerra:
R. - Siamo partiti dall’idea del Concilio - dal messaggio del Concilio - e lo abbiamo messo a confronto con la storia per un fatto molto semplice: la storia è opera di Dio, responsabilità dell’uomo. Dunque qual è l’opera di Dio nella nostra storia? Vogliamo leggere la presenza e la volontà di Dio, attraverso il Concilio vaticano II. Questo ci ha spinto a porci questa domanda: che cosa vuol dire nella storia il Concilio? È già venuto fuori che il messaggio fondamentale è stato proprio il modo conciliare con cui si è svolto, cioè il Concilio visto come modello di comportamento ecclesiale. Guardare al Concilio come modello di interrogare la storia, fare una discriminazione tra i fatti concreti della storia che riguardano la storia come opera di Dio, e fare una scelta concreta in questa direzione.
D. - Cosa spinge oltre 150 intellettuali cattolici di tutta Italia, a riunirsi all’Eremo di Camaldoli?
R. - Confrontarsi, con tematiche non solo di spiritualità di impostazione teologica astratta, ma di confrontare la nostra vocazione cristiana con la realtà storica nella quale viviamo.
D. - Partendo da questo ragionamento, quale tipo di impegno culturale e civile propone il Meic in questo tempo di crisi?
R. - Prima di tutto, cercare di leggere la realtà, cosa che non è facile per niente. Farlo in maniera cristiana, cioè leggere tutta la realtà, non soltanto il pezzo che magari si inquadra meglio con le nostre elaborazioni o le nostre prese di posizione precedenti, tutta la realtà, quella positiva e quella negativa, perché i segni dei tempi vanno letti leggendo la storia in maniera globale. E poi c’è un esercizio di immaginazione, perché non è più tempo di riproporre vecchie soluzioni, e quindi bisogna immaginarne di nuove, magari aiutati dalle vecchie, ma rivisitate a fondo, ringiovanite completamente. Questo è lo sforzo che si sta facendo.
94 anni compiuti e 70 da parroco: don Alessandro, un prete da guinness
◊ Un parroco da guinness dei primati. Don Alessandro De Sanctis ha 94 anni e da 70 è parroco di Filettino nel frusinate. Il suo è il sacerdozio più lungo di Italia, festeggiato lo scorso mese di luglio con una solenne celebrazione alla presenza del cardinale Angelo Comastri. Ascoltiamo don Alessandro al microfono di Paolo Ondarza:
D. – Don, Alessandro, 94 anni, 70 anni di sacerdozio appena compiuti nella stessa parrocchia, dal 1942. Lei è un parroco da record, come vive questo primato?
R. – Eh, come si vive… con la grazia del Signore! Non avrei mai creduto di poter arrivare a questa età e a questi limiti. Sono una prova evidente dell’esistenza di Dio e della sua Provvidenza!
D. – La parrocchia di Filettino, lei ama dirlo, è la sua famiglia. Ma già 70 anni fa, quando lei divenne parroco di Filettino lei era di famiglia, infatti suo zio era stato parroco prima di lei…
R. - Il mio predecessore era uno zio paterno. Mio zio mi portò qui a Filettino dove ho fatto anche la quarta e quinta elementare. Quindi, sono qui dal 1928 eccetto il periodo del seminario.
D. – In 70 anni è cambiato anche il volto dei sacerdoti. Oggi si assiste a una diminuzione delle vocazioni…
R. – Negli anni passati sono sempre riuscito, anche se con difficoltà, ad avere qualcuno che mi venisse a dare una mano e adesso sono solo ad occuparmi di tutto quanto.
D. – Di fronte al calare delle vocazioni, quale consiglio si sente di dare dalla sua lunga esperienza per le future generazioni di preti o per chi avverte la vocazione speciale al sacerdozio?
R. – “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”. Se ci sganciamo da Dio, e da Cristo in particolare, abbiamo completamente sbagliato strada. Se partiamo da questa considerazione del nostro essere semplicemente dipendenti dal Signore, allora ci può essere una realizzazione nella vocazione, altrimenti niente da fare.
D. - C’è un episodio significativo che lei ama ricordare nei suoi 70 anni di sacerdozio?
R. - Ce ne sono tanti. Quello che ci ha forse più uniti, è stato il momento cruciale dell’occupazione nazista: avevo dato assistenza e ospitalità a prigionieri alleati, a partigiani. Ci fu una spiata al comando nazista che era qui molto vicino e siamo stati praticamente messi fuori casa, ma ci siamo poi ritrovati in un punto del Paese dove abbiamo fraternizzato benissimo e ci siamo sentiti più vicini, più “affratellati”.
D. - Torniamo ad oggi: da quello che raccontano i suoi parrocchiani, pare che lei sia riuscito a far tenere spenti i cellulari durante la Messa. Come ha fatto?
R. - Abbiamo messo dei cartelli alle porte delle Chiese, dove si legge: “Il Signore ci sente anche senza il chiasso dei cellulari”. Il Signore ci ascolta, non c’è bisogno dei telefonini!
Paralimpiadi. Pancalli: una festa dello sport e della vita. Intervista con Alex Zanardi
◊ Vigilia di Paralimpiadi. Si riaccendono i riflettori su Londra a distanza di due settimane dai Giochi. Da domani fino al 9 settembre, saranno in Gran Bretagna 4.200 gli atleti provenienti da 166 Paesi. Un aumento di 250 partecipanti e 20 paesi in più rispetto a Pechino 2008. Stamani l'arrivo della spedizione italiana, 97 gli atleti - il più alto numero di sempre - molte le occasioni di medaglia. Al microfono di Benedetta Capelli, il presidente del Comitato Paralimpico Luca Pancalli, appena giunto a Londra:
D. – Un numero alto, quello degli atleti in gara per queste Paralimpiadi. Sembra che ci sia un’atmosfera un po’ diversa, rispetto al passato: almeno, qui in Italia, si respira un grande entusiasmo intorno a questa spedizione. E’ così?
R. – Sì: devo dire che onestamente anch’io ho notato non solo un grande entusiasmo, ma soprattutto grande attenzione, sicuramente maggiore rispetto al passato il che mi conforta. E questo è anche dimostrato dai 90 giornalisti della carta stampata accreditati qui a Londra e dalla presenza di Rai e Sky in maniera massiccia. E’ evidente che il movimento di crescita del mondo paralimpico, sia a livello internazionale che nazionale, sta portando i suoi risultati.
D. – Ma c’è stato, forse, un salto per quanto riguarda la cultura dello sport o no?
R. – Devo dire che stiamo assistendo – anno dopo anno, parlimpicamente parlando, quadriennio dopo quadriennio – a un lento processo riformatore, dal punto di vista culturale, che ha portato non tanto e non solo maggiore attenzione, quanto soprattutto un’attenzione di qualità. Si è cominciato a perdere, da un po’ di anni a questa parte, atteggiamenti pietistici e solidaristici per valorizzare la prestazione degli atleti che sono atleti con la “A” maiuscola, per ricordare che sicuramente sono atleti con disabilità, sono persone con disabilità, ma hanno scelto nella loro vita di essere atleti e come tali devono essere rispettati nella loro dignità. Per cui credo che questa qualità, sicuramente nuova in termini di attenzione, stia aiutando ancor più la grande famiglia dello sport, sia esso internazionale che nazionale.
D. – Quali sono gli obiettivi di questa spedizione italiana?
R. – Uno l’abbiamo già raggiunto ed è quello di avere la spedizione, la delegazione più ampia di sempre dalle ultime paralimpiadi del 1988 a Seul, per cui in poco più di 20 anni siamo riusciti a tornare ad avere una massiccia presenza. Questo significa che siamo riusciti a curare sia il top level, ma anche l’attività promozionale. Io, naturalmente, mi aspetto – perché poi non dimentichiamo, al di là dei discorsi culturali, che ci troviamo in una dimensione sportiva e su un terreno di confronto agonistico – dagli atleti grandi risultati e sicuramente di migliorare la nostra posizione nel medagliere rispetto a Pechino. Abbiamo le chance di poterlo fare, possiamo dire la nostra in quasi tutte le discipline nelle quali siamo presenti, per cui con questo ottimismo io mi appresto a vivere la Londra paralimpica. Fermo restando che, da ultimo, il mio obiettivo di sempre è l’auspicio che poi, attraverso le straordinarie imprese di questi atleti, le storie anche umane – perché, ovviamente, dietro a ogni atleta c’è un uomo, c’è una donna, una persona – si possa arrivare a tanti ragazzi e ragazze disabili del nostro Paese che ancora non hanno scoperto quanto sia straordinario lo sport e quanto lo sport non ammetta differenze.
D. – Dott. Pancalli, noi come Radio Vaticana abbiamo raccolto veramente tante storie di atleti che si spendono e si impegnano ogni giorno per lo sport, in ogni senso. Le chiedo se lei ha una storia, un volto che secondo lei più di altri rappresentino questa spedizione azzurra...
R. – No, non ho assolutamente un volto che più di altri rappresenti la spedizione azzurra. Ciascun atleta che è qui presente a Londra ha coronato già un suo piccolo sogno, quello di recitare sul palcoscenico sul quale, sportivamente parlando, qualsiasi atleta sogna di poter recitare, sia esso olimpico o paralimpico. Poi, ognuno di loro – secondo me – rappresenta un esempio. Ce ne sono alcuni, ovviamente, dai cognomi famosi che la comunicazione predilige e che sicuramente hanno il merito di aver saputo mettersi in gioco, nonostante poi a volte la notorietà potrebbe giocare al contrario. Però, nessuno di loro primeggia sugli altri. Diciamo che tutti ci identifichiamo – me compreso, come presidente – nel portabandiera: Oscar De Pellegrin, che è colui che avrà avuto l’onore di essere scelto per portare il nostro Tricolore e dietro il quale tutti noi ci riconosciamo.
D. – C’è solo una nota – per così dire – stonata, che un po’ ha preceduto questi Giochi, e cioè l’episodio di doping e quindi l’esclusione di Fabrizio Macchi. Una parola su questo:
R. – Tanta amarezza, non una parola. Sottolineo che non c’è stato un caso di doping, c’è stata la violazione di una norma del codice antidoping. L’atleta non è stato trovato positivo: l’atleta è stato deferito e pertanto è escluso dalla delegazione perché ha violato una norma del codice antidoping che vieta agli atleti di intrattenere rapporti con soggetti inibiti. Questo lo dico per chiarezza, perché poi la giustizia sportiva farà il suo corso e Fabrizio avrà modo e tempo di difendersi. Ho detto “tanta amarezza” perché da un atleta che veste la maglia azzurra io non me lo aspetto. Non me lo aspettavo. Un atleta che veste la maglia azzurra ha dei doveri in più rispetto a qualsiasi altro atleta, ovvero sia quello di sapere che riveste non soltanto un esempio per tutti gli altri ragazzi e ragazze, atleti e atlete del Paese - proprio perché ha l’onore di vestire la maglia azzurra - sia ha il dovere anche di rispettare quei codici etici e deontologici al di là delle norme scritte sull’antidoping che rappresentano e che sono insite nella maglia azzurra. Ecco. Da questo punto di vista, tanta amarezza.
Sono un centinaio gli atleti italiani presenti alle Paralimpiadi 2012, tra di loro anche Alex Zanardi, ex pilota, conosciuto per il coraggio dimostrato dopo il drammatico incidente di macchina nel 2001 in Germania sulla pista del circuito Champcar e nel quale perse le gambe. A Londra si presenta nella disciplina della handbike. Benedetta Capelli lo ha intervistato:
R. - In qualche modo, il mio obiettivo è riuscire a tornare convinto di aver dato tutto e di aver preparato questa gara nel modo migliore possibile. In verità il mio è un percorso iniziato nel momento stesso in cui ho scoperto l’handbike, cioè nel 2007, in occasione della maratona di New York alla quale partecipai. La cosa davvero eccitante e bella è provarci: mettersi in strada e se io raccontassi che mi aspetto di incontrare la felicità a Londra sarei falso, perché la felicità l’ho incontrata nel momento stesso in cui ho deciso quale era l’orizzonte verso il quale volevo puntare. Ho intrapreso questo percorso, ed è stata un’avventura davvero eccitante.
D. - La tua vita ovviamente è stata caratterizzata anche da questo grave incidente nel 2001 in pista. Molti atleti paralimpici parlano di un prima e di un dopo. Anche per te è stato così? Si parla di una doppia vita?
R. - Fino ad un certo punto. Per me fortunatamente è la stessa che continua perché il pronostico non era certo a mio favore. Io ho passato più di 50 minuti con meno di un litro di sangue in corpo, ho avuto sette arresti cardiaci. L’unica conseguenza che ricordo di quel giorno è la perdita degli arti inferiori, che da un punto di vista scientifico, è assolutamente inspiegabile però a me va bene così. Non vivo questa mia vita come una nuova vita, come qualcosa di diverso. Indubbio è che quel giorno tutto quanto è saltato su un binario parallelo, che mi ha portato ad entrare in contatto con delle realtà che io non avrei mai conosciuto. So quello che ho trovato, e anche se potessi far marcia indietro, devo dire sinceramente mi gratterei la testa e ci penserei due volte. Apparisse un genio, che con una bacchetta magica mi potesse far riavere le gambe, forse accetterei, però lì per lì mi verrebbe da dire: “Ma come, io devo andare a Londra! Aspetta un attimo, fammi ragionare!”; è certamente una nuova occasione, non c’è dubbio.
D. - Tante volte si dice: “Dove non arriva la scienza, arriva la fede”...
R. - Sono credente. Mi rifiuto di pensare che noi tutti dipendiamo semplicemente da una fortunatissima combinazione chimica. Nei momenti in cui occorreva mettere a posto le cose, e darsi da fare, mi sono sempre tirato su le maniche ed ho sempre pensato che se dovevo mettere a posto la mia gamba, bastava una chiave a brugola da quattro millimetri e non serviva guardare in alto e chiedere a Dio un aiuto, perché, se proprio deve aiutare qualcuno, la lista è molto lunga. Ci sono molte persone che stanno molto peggio del sottoscritto.
D. - Quando le persone parlano di te evidenziano sempre la tua forza, il tuo sorriso. È un profilo che ti piace, nel quale ti ritrovi? e soprattutto, dopo i momenti di difficoltà che ci hai raccontato, cosa ti ha spinto a reagire così tanto e così bene?
R. - Mi fa molto piacere che la gente mi veda come un uomo positivo, sorridente, perché in realtà è un po’ quello che sono. Poi indubbiamente colpisce molto che una persona che è stata protagonista di una vicenda come la mia, abbia ancora voglia di farlo. Io ero sorridente prima, e lo sono ancora oggi. Con questo rispondo alla seconda parte della domanda: non è servita una reazione perché per quanto grave ciò che mi è accaduto, era comunque un episodio della mia vita. Poi il fatto che la gente oggi mi riconosca, probabilmente più di quello che merito, mi semplifica la vita. La gente si ferma per strada, mi riconosce, mi abbraccia, mi vuole bene. È una cosa che ti permette di vederti spalancate tante porte.
Solidarietà dei vescovi latini delle regioni arabe per i cristiani della Siria
◊ La Celra, la Conferenza dei vescovi latini delle Regioni arabe, in una nota diffusa nella giornata di ieri ha espresso a mons. Giuseppe Nazzaro, vicario latino di Aleppo, in Siria, solidarietà e preghiera, estesa a tutti i cristiani del Paese. Giovedì scorso infatti, - riferisce l'agenzia Sir - la città siriana è stata teatro del saccheggio, avvenuto durante gli scontri fra miliziani e truppe lealiste, dell‘episcopio greco-cattolico di Aleppo, costringendo lo stesso arcivescovo, mons. Jean-Clément Jeanbart, a fuggire e a trovare rifugio nella casa dei francescani. I vescovi latini si dicono preoccupati per le notizie riportate quotidianamente dalle agenzie di stampa definite “un bollettino di guerra sempre più pesante e preoccupante”. Purtroppo, scrivono, “la violenza sul terreno non si ferma: migliaia di persone sono vittime di violenza fratricida, decine di migliaia di profughi lasciano i loro paesi, milioni di persone vivono in povertà del presente e nell‘incertezza del futuro”. “Condanniamo con forza questa violenza crescente - scrivono i vescovi rivolgendosi direttamente a mons. Nazzaro - che interessa anche i cristiani, le strutture della chiesa, del vicariato apostolico, delle diocesi cattoliche e di altre chiese cristiane. Esprimiamo la nostra vicinanza a lei, ai sacerdoti, ai religiosi e ai fedeli. Questa situazione è per noi motivo di sofferenza e preoccupazione”. I vescovi esortano tutti, clero e fedeli, di unirsi in preghiera “affinché il Signore illumini la comunità internazionale perché trovi la via del dialogo tra governo siriano e opposizione” ed invitano mons. Nazzaro a portare la sua testimonianza ad Amman nella prossima riunione plenaria della Celra (17-20 settembre). “La sua testimonianza sarà preziosa, così come la sua presenza nella fiaccolata e nella preghiera durante la quale lanceremo un messaggio di riconciliazione e di pace”. (R.P.)
Pakistan: rinviato di due giorni il verdetto su Rimsha
◊ E’ stata rinviata al 30 agosto l’udienza del Tribunale di Islamabad sul caso di Rimsha, la bambina cristiana in carcere per accuse di blasfemia. Il motivo del rinvio è di natura procedurale e riguarda l’istanza per la formazione della Commissione medica a cui è stato affidato il compito di esaminare la bambina. La difesa di Rimsha ha dovuto infatti ripresentarla al magistrato. Fonti dell'agenzia Fides confermano i risultati dell’indagine, compiutasi ieri e anticipati dalla stampa pakistana: in una relazione consegnata ai giudici, la Commissione medica costituita da un tribunale di Islamabad, dopo aver esaminato la bambina, asserisce che Rimsha è minorenne (la maggiore età è stabilita a 18 anni), valutando la sua età in “meno di 14 anni”. Definisce inoltre il suo livello mentale “non alla pari alla sua età”, ma di circa 8-9 anni. Sulla base di tali conclusioni, Tahir Naveed Chaudhary, (nella foto) avvocato difensore della ragazza, ha dunque presentato alla Corte una istanza di rilascio immediato, dato che, secondo le disposizioni vigenti in materia di minori, la denuncia (“First Infomation Report”) deve essere annullata immediatamente. Secondo il Codice Penale del Pakistan infatti, la ragazza non poteva nemmeno essere arrestata e detenuta. Secondo gli art. 82 e 83 del Codice Penale, nella sezione che riguarda la giustizia minorile, l'atto di un bambino fino a dodici anni di età “non può essere definito reato”, dato che il soggetto “non ha raggiunto la maturità sufficiente di comprensione per giudicare la natura e le conseguenze della sua condotta”. Un avvocato cattolico pakistano, contattato da Fides, conferma dunque che “secondo i riferimenti di legge, la polizia ha violato la procedura e i tribunali hanno tenuto la ragazza in stato di detenzione illegalmente per nove giorni”. La bambina avrebbe dovuto essere ospitata in un istituto speciale per minori e non in un carcere. Inoltre la legge prevede che “un assistente del giudice faccia una relazione sul carattere del bambino, l'educazione, l’estrazione sociale e morale”, prima di qualsiasi pronunciamento: anche questa disposizione non è stata rispettata. La polizia aveva arrestato Rimsha il 16 agosto su pressione di centinaia di radicali islamici, accusandola di aver bruciato una pagina con parole del Corano. Oltre 600 famiglie cristiane del quartiere Mehra Jafar, dove risiedeva la famiglia di Rimsha, sono dovute fuggire per paura di ritorsioni degli estremisti. Intanto circa 100 abitanti cristiani si sono accampati in un parco di Islamabad dove hanno iniziato a costruire capanne e anche una piccola cappella fatta di legno. (R.P.)
India: nel Tamil Nadu nazionalisti indù aggrediscono una comunità anglicana. Un morto
◊ Nazionalisti indù della Rashtriya Swayamsevak Sangh (Rss) hanno attaccato in modo sistematico i cristiani del distretto di Kanyakumari (Tamil Nadu). Un uomo è morto per le ferite riportate; altri due sono ricoverati in ospedale con trauma cranico. I fatti sono avvenuti domenica scorsa. Le vittime appartengono alla Church of South India (Csi, anglicana) della città di Nadaikavu. Al momento - riferisce l'agenzia AsiaNews - la polizia ha registrato il caso contro Dharmaraj, presidente del Bharatiya Janata Party (Bjp, partito nazionalista indù) nel distretto, e altri sei uomini. Tuttavia, le forze dell'ordine temono nuove violenze, e hanno spiegato più di 1000 agenti a controllare la zona. La prima aggressione è avvenuta nel villaggio di Sasthancode, dove Gnanamuthu, 50 anni, ha organizzato un servizio di preghiera in casa sua. Alla cerimonia hanno partecipato il pastore locale della Csi insieme ad altri 15 fedeli. Poco dopo l'inizio del raduno, una folla di attivisti della Rss ha distrutto le macchine dei cristiani parcheggiate fuori dalla residenza. Gnanamuthu è uscito di casa insieme al figlio, Johnson, per tentare di fermarli, ma i radicali indù li hanno presi a bastonate, ferendoli in modo grave. Più tardi, padre e figlio sono stati ricoverati all'ospedale locale, mentre gli altri cristiani hanno denunciato i fatti alla polizia di Nithiravilai. Intanto a Nadaikavu, circa 15 membri della Rss hanno creato il panico in città, cercando di sfondare la vetrina di un negozio. Il figlio del proprietario, Edwin Raj, 29 anni, è uscito fuori per allontanare gli uomini, ma questi lo hanno aggredito in modo brutale. Il giovane è morto durante il trasporto in ospedale all'ospedale universitario di Trivandrum. Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), denuncia "il rapido peggioramento" della situazione nel distretto di Kanyakumari. Prima di queste violenze infatti, il 13 agosto scorso tre cristiane - una madre, 44 anni, e le figlie di 25 e 22 anni - sono state aggredite nella stessa area. Alcuni vicini di casa hanno prima fatto commenti pesanti alle due ragazze, poi sono entrati in casa e hanno picchiato le tre donne. Dopo 15 giorni, sono ancora ricoverate in ospedale. Anche nel loro caso, si pensa che la mente dell'attacco sia un consigliere locale del Bjp, C. Padmanabhan. "Il governo centrale - sottolinea il leader cristiano - e il governo del Tamil Nadu devono fare qualcosa. La libertà religiosa è un diritto umano fondamentale e il pilastro di ogni società sana, e questa ostilità e intolleranza sono un cattivo presagio per l'India. Se tutta la popolazione non ha garantita la piena libertà di culto, i cristiani di questo Paese corrono il rischio di diventare cittadini di seconda classe". L'art. 25 della Costituzione indiana sancisce il diritto di professare, praticare e diffondere la propria fede ai cittadini di ogni credo. (R.P.)
Appello del Patriarca Bartolomeo I ai potenti della Terra per la salvaguardia del creato
◊ La preghiera per “la conservazione dell‘ambiente naturale” è in realtà un appello a Dio affinché cambi “la mentalità dei potenti del mondo e li illumini a non distruggere l‘ecosistema del pianeta per ragioni di profitto economico e di effimero interesse”. Lo scrive il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I nella Lettera enciclica diffusa ieri e ripresa dall'agenzia Sir, in occasione dell’inizio del nuovo anno liturgico. Il Patriarcato Ecumenico lo celebra il 1° settembre e per volontà del Patriarca Demetrio, questo giorno è diventato un appuntamento annuale - ormai condiviso anche in altre Chiese cristiane - per la preghiera e la riflessione sulla salvaguardia del Creato. Il Patriarcato Ecumenico si è sempre distinto per il suo impegno a favore dell’ambiente. Quest’anno a giugno ha promosso ad Halki un simposio sulla “Responsabilità globale e la Sostenibilità ambientale” al quale hanno partecipato ambientalisti, scienziati, giornalisti, teologi di tutto il mondo. Il Summit è stato l’ultimo di una serie di altri otto simposi internazionali che si sono svolti dal 1995 al 2009 in luoghi altamente significativi del pianeta: nel Mar Mediterraneo e Mar Nero, sui fiumi del Danubio e delle Amazzoni, come pure nella regione artica e lungo il Mississippi. “Soprattutto in questi tempi - scrive quest’anno il Patriarca Bartolomeo -, si osserva un abuso eccessivo delle risorse naturali, con la conseguente distruzione dell’equilibrio ambientale”. Ciò che preoccupa il Patriarca - ma anche “gli scienziati, come pure i responsabili religiosi e politici” - è “l’aumento della temperatura dell‘atmosfera, le condizioni meteorologiche estreme, l‘inquinamento degli ecosistemi, sia a terra che in mare, e la minaccia globale - che a volte arriva alla distruzione totale - della possibilità di vita in alcune regioni del mondo”. “Siamo obbligati ad ammettere - prosegue il Patriarca - che le cause di tali cambiamenti ecologici non sono ispirate da Dio, ma processi avviati dagli esseri umani”. Da qui l’appello al “pentimento” che il Patriarca rivolge non solo ai “potenti del mondo” ma anche a “ciascuno di noi” perché tutti in qualche modo generano “piccoli danni ecologici”. Nel rivolgere questo appello - conclude il Patriarca -, pregiamo perché il Signore possa parlare ai cuori di ciascuno così che l’equilibrio dell’ambiente che Egli ci ha offerto possa continuare a donare i suoi frutti sia a noi che alle future generazioni”. (R.P.)
Kenya: quattro luoghi di culto cristiani assaliti negli scontri di Mombasa
◊ Secondo giorno di scontri a Mombasa, in Kenya, tra polizia e dimostranti che protestano per l’uccisione di un predicatore islamico, Aboud Rogo Mohammed, accusato di reclutare giovani da inviare a combattere in Somalia nelle file degli Shabaab. “Ieri sono state bruciate o saccheggiate quattro chiese di confessioni cristiane non cattoliche, ma se gli scontri dovessero protrarsi, potrebbero essere colpiti anche luoghi di culto cattolici” dice all’agenzia Fides mons. Boniface Lele, arcivescovo di Mombasa. Secondo fonti della stampa locale, le quattro strutture assalite sono il Jesus Celebration Centre, il Neno Evangelism Centre, lo Ziwani Sda e la Pentecostal Assemblies of God Church. Aboud Rogo Mohammed è stato ucciso ieri da sconosciuti che gli hanno sparato mentre si trovava in automobile con la famiglia. I dimostranti accusano la polizia di averlo ucciso in una vera e propria esecuzione extragiudiziale. “Non penso che questi incidenti, per quanto deprecabili, metteranno in crisi i rapporti tra musulmani e cristiani in Kenya” dice Mons. Lele. “Le persone coinvolte negli scontri sono infatti una minoranza”. (R.P.)
Sudafrica: mons. Dowling auspica un accordo sulla questione dei minatori
◊ Il 16 agosto scorso una protesta nella miniera di Marikana, in Sudafrica, è degenerata in uno scontro violento tra polizia e manifestanti. Il bilancio è stato di 44 vittime, di cui 34 minatori morti sotto i colpi della polizia. Come riporta l’agenzia Fides, dopo questo tragico evento, è attesa per domani, 29 agosto, la firma di un accordo tra i sindacati e i gestori della miniera di platino. Ad annunciarlo è mons. Kevin Dowling, vescovo di Rustenburg. “Speriamo che abbiano successo gli sforzi del governo per firmare domani un accordo di conciliazione tra quattro organizzazioni sindacali e il managment della miniera – dice mons. Dowling – I negoziati sono ancora in corso e riguardano in particolare un aumento dei salari. La tensione è ancora molto alta e i lavoratori che vogliono tornare a lavoro sono bloccati con minacce dagli scioperanti”. “Ho visitato insieme ai miei sacerdoti i feriti e i familiari delle vittime. Nelle ultime due settimane abbiamo cercato di fare il possibile per portare conforto a coloro che sono stati colpiti da violenza. Sono appena tornato questa mattina da una visita a un ospedale di Rustenburg dove sono i ricoverati più gravi. È una tragedia terribile. Nella società sudafricana – prosegue – si nota un aumento della tentazione di ricorrere alla violenza per superare qualsiasi problema. Vi sono moltissime persone ancora che vivono in povertà, che stanno perdendo la speranza per un futuro migliore. Soprattutto tra i giovani disoccupati prevale la disperazione”. Conclude mons. Dowling: “Sono problemi che dovremmo risolvere insieme coinvolgendo tutti: governo, compagnie minerarie, sindacati e chiese”. (L.P.)
Sri Lanka: a Mullikulam dopo cinque anni la prima Messa tra i profughi
◊ Cacciati dal villaggio di Mullikulam venti anni fa, circa 215 famiglie, dalla fine di giugno sono costrette a vivere nella giungla di Marichchijattu. Teoricamente il loro trasferimento in questa foresta rientra nel programma di reinsediamento previsto dal governo per gli sfollati. In pratica, queste persone vivono da mesi tra zanzare, serpenti ed elefanti, con due soli bagni e senza la possibilità di pescare o coltivare la terra. Dopo cinque anni, come riporta l’agenzia AsiaNews, i profughi hanno potuto finalmente celebrare la loro festa parrocchiale prendendo parte alla celebrazione nella chiesa Regina del Cielo alla quale erano presenti almeno mille persone. La Santa Messa è stata presieduta da mons. Rayappu Joseph, vescovo di Mannar, che ha chiesto ai fedeli di pregare per la comunità affinché possa tornare nel suo villaggio. “Questa gente chiede solo di non essere privata dei propri diritti di base – ha dichiarato il vescovo – Al governo non chiedono altro che poter vivere nelle loro case e nel loro villaggio”. Alla celebrazione era presente anche una delegazione di 150 cattolici del sud, laici e religiosi, per esprimere la loro solidarietà ai profughi. Al termine della messa hanno poi fatto visita al luogo in cui i profughi sono costretti a vivere, definendolo “un insulto per ogni essere umano. È una grave ingiustizia che il governo dica di aver reinsediato quasi il 98% degli sfollati interni. È una menzogna. Perché il governo sta ingannando questa gente?”. Congedando le suore e i sacerdoti cattolici del sud, mons. Rajappu Joseph ha chiesto loro di domandare al cardinale Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka, di prendere a cuore il caso di Mullikulam. (L.P.)
Cipro: incontro delle Conferenze episcopali europee sulla coesione sociale in tempo di crisi
◊ Si terrà dal 3 al 5 settembre, a Nicosia, Cipro, l’incontro, promosso dalla Commissione delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), che coinvolgerà una trentina di vescovi e delegati delle Conferenze episcopali europee responsabili per le questioni sociali. L’incontro è inserito nell’ambito delle attività promosse dal governo di Nicosia in occasione della presidenza cipriota dell’Unione Europea. Si parlerà, come riporta l'agenzia Sir, di quello che è l’impegno della Chiesa nella promozione della coesione sociale nel continente europeo in questo periodo di crisi. “In tempi di crisi come il nostro – si legge in un comunicato della Ccee – il vivere insieme diventa una scelta quotidiana, non sempre semplice da compiere se non ispirata alla volontà di realizzare un progetto di vita comune piuttosto che all’opportunità o alla necessità delle circostanze”. Durante l’incontro, si tenterà di fare chiarezza su importanti questioni, cercando di capire su cosa fondi oggi la coesione sociale, quali possono essere gli elementi che la mettono a repentaglio, se possibile immaginare un’Europa coesa che non dimentichi le sue radici cristiane, e quale può essere il ruolo della Chiesa. Ad aprire il dibattito sarà il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, presidente della Conferenza episcopale italiana e vice-presidente del Ccee. Tra gli altri, sono previsti interventi di mons. Diarmuid Martin, arcivescovo di Dublino, di Vincenzo Buomo, professore alla Pontificia Università Lateranense e consigliere giuridico della Santa Sede presso vari uffici internazionali, alcuni membri del Parlamento e professori ciprioti. (L.P.)
Sud Corea: riprenderanno gli aiuti alla Nord Corea in seguito alle alluvioni
◊ La Corea del Sud “è pronta a mandare di nuovo aiuti umanitari alla popolazione del Nord, colpita da carestie e alluvioni. C’è la volontà di riprendere il programma. Questo potrebbe essere l’ultimo tentativo per migliorare i rapporti fra il governo Lee e il regime di Kim Jong-un”. Lo ha dichiarato Ryu Woo-ik, ministro sudcoreano per l’Unificazione, durante l’incontro della Commissione nazionale per gli Affari esteri e il commercio. Il cenno al tentativo di dialogo tra le due coree, come riporta l’agenzia AsiaNews, è in riferimento alle elezioni presidenziali previste per dicembre per le quali è favorita Park Geun-hye, esponente di spicco dei Saenauri e figlia del dittatore Park Chung-hee la quale ha annunciato che se dovesse vincere metterebbe in atto una politica dal pugno di ferro nei confronti del governo di Pyonyang. Il ministro Ryu ha inoltre spiegato che i fondi passeranno attraverso gruppi privati e non statali: “Anche se il Nord non dovesse fare nuove richieste, abbiamo contattato diverse Organizzazioni non governative che hanno intenzione di fare da tramite”, come la Chiesa coreana, la Caritas e molte Ong cristiane che da anni sono in prima linea nel sostegno alla popolazione della Corea del Nord. (L.P.)
Laos: leader cristiano arrestato perché “ha convertito 300 persone”
◊ La polizia laotiana ha arrestato il leader cristiano Bountheung, del villaggio di Nongpong, nel distretto di Khamkerd, nella provincia di Borikhamxai (Laos centrale). L’accusa è quella di “avere convertito 300 laotiani alla fede cristiana”. Come riferito all'agenzia Fides, l’arresto è avvenuto una settimana fa, dopo che per altre due volte, nel mese di agosto, il leader era stato convocato e interrogato dalle autorità provinciali. Le domande vertevano sulla sua fede e sulla conversione di circa 300 laotiani al cristianesimo, avvenuta nel maggio scorso. I 300 fedeli, tutti del villaggio di Nongpong, dopo aver visto e conosciuto l’uomo, che da oltre 10 anni praticava la fede cristiana, hanno deciso liberamente di aderirvi. Questo ha allarmato le autorità locali. L’ordine di arresto contempla anche l’espulsione di Bountheung dal villaggio e intima ai 300 cristiani residenti a Nongpong di rinunciare alla loro fede cristiana in cambio del diritto di continuare a vivere nel villaggio. Secondo l’Ong “Human Rights Watch for Lao Religious Freedom”, l’ordine viola un diritto di cittadinanza, dato che Bountheung viveva e lavorava nel villaggio, ed è regolarmente registrato, insieme agli altri 300, come “residente permanente”. Inoltre, aggiunge l’Ong, il provvedimento viola il diritto di aderire a qualsiasi religione di propria scelta, garantito dalla Costituzione del Laos. In un altro villaggio, Nahoukou, a circa 40 chilometri dalla città di Savannakhet, nell’omonima provincia, le autorità locali hanno interrogato e intimidito Tongkoun Keohavong, leader laico della comunità cristiana del villaggio, chiedendogli le ragioni della crescita del cristianesimo nel villaggio. Tongkoun ha spiegato che, a partire dal febbraio 2012, oltre 30 abitanti del villaggio, esercitando il loro diritto alla libertà religiosa, hanno abbracciato la fede cristiana, entrando a far parte della comunità. Le autorità hanno ordinato a lui e agli altri credenti di abiurare la loro fede e interrompere gli incontri di culto, pena l’espulsione dal villaggio. Come appreso da Fides, sono stati rilasciati i quattro cristiani arrestati a giugno scorso nella provincia di Luang Namtha. Ai quattro, due dei quali thailandesi, è stata comminata una forte multa. Erano stati arrestati e avevano subìto la confisca dei beni personali perché stavano spiegando la Bibbia a un uomo laotiano. Secondo l’Ong Christian Solidarity Worldwide (Csw), nella provincia di Luang Namtha, sono stati segnalati almeno 15 casi simili, in cui i credenti hanno subìto abusi riguardo alla loro libertà religiosa da parte delle autorità che, generalmente, considerano religioni accettabili solo buddismo, bramanesimo e animismo, mentre il cristianesimo è ritenuto “religione straniera”. (R.P.)
Benin: nasce il complesso San Massimiliano Kolbe per i bambini più poveri
◊ Sta nascendo a Bembereké, nella Repubblica del Benin, il complesso logistico e educativo “San Massimiliano M. Kolbe”. Sabato scorso è stato inaugurato il primo orfanotrofio che porta il nome del Santo, nell’anno del 30mo anniversario della canonizzazione. L’orfanotrofio è stato realizzato dai frati Francescani dell’Immacolata presenti sul territorio dal 1991. Il finanziamento del complesso è stato opera soprattutto della Onlus “Amim”, (Associazione Missione dell’Immacolata Mediatrice), composta quasi interamente da laici appartenenti al Terz’Ordine dei Francescani dell’Immacolata. Non a caso, come riporta l'agenzia Zenit, la data dell’inaugurazione è caduta proprio nella memoria liturgica di San Luigi IX, re di Francia, patrono del Terz’Ordine francescano. All’inaugurazione erano presenti numerosi fedeli locali, ma anche delegazioni di benefattori italiani e di dignitari musulmani. Il complesso dispone di infrastrutture studiate per offrire un soggiorno felice e fruttuoso attraverso sale studio e aree di gioco per circa una cinquantina di ospiti, bambini e adolescenti. L’obiettivo è offrire ai bambini più poveri, sopratutto coloro che hanno perso uno o entrambi i genitori, l’opportunità di seguire almeno un corso d’istruzione primaria e un’educazione umana e religiosa di alta qualità, in risposta all’esortazione apostolica “Africae munus” che Papa Benedetto XVI ha firmato e consegnato all’episcopato del Continente africano e di Madagascar proprio in occasione del suo viaggio apostolico in Benin del novembre scorso. Questa è solo una delle molte iniziative francescane in Benin; i frati, infatti, dopo aver realizzato la radio cattolica nazionale Radio Immaculée Conception e il santuario mariano “Notre Dame de la Divine Miséricordie”, hanno avviato anche attività socio-caritative per favorire i bambini più poveri, soprattutto nella zona settentrionale del Paese, cioè quella più povera e islamizzata. Anche le Suore Francescane dell’Immacolata, che condividono con i frati la fondazione e la spiritualità, si stanno a loro volta prodigando nel sud del Benin con la costruzione di una “Casa della Carità” a favore delle bambine più povere. (L.P.)
Colombia: la “Casa del Bambino” per non emarginare i minori malati di Hiv
◊ La “Casa del Bambino” è una struttura che si occupa di minori affetti da disabilità, con malattie infettive e, da qualche tempo anche sieropositivi. Fondata a Bogotà nel 1993 grazie a un’iniziativa di volontari italiani e boliviani, la Casa cerca di togliere i bambini dallo stato di emarginazione in cui la società li costringe a vivere. I piccoli, soprattutto quelli sieropositivi, devono poter svolgere una vita normale seguendo le giuste cure e non dover vivere rinchiusi in ospedale. È questo l’obiettivo della struttura, che cerca di non separare i bambini dai familiari e che oggi conta già 70 famiglie ospiti con 180 minori. Di questi, come riporta l'agenzia Fides, quindici sono contagiati dall’Hiv. La comunità è a conoscenza del fatto che al suo interno ci sono delle persone sieropositive, ma senza sapere con esattezza di chi si tratti, permettendo così a ognuno di vivere tranquillamente senza la possibilità di discriminazioni. Al suo interno si trova anche la struttura scolastica “Arconis de Paz” che segue dal punto di vista educativo i piccoli ospiti, con insegnanti formati appositamente per occuparsi di bambini col virus, pur non sapendo neanche loro di chi si tratti. In caso di incidenti o di situazioni che potrebbero dar luogo alla trasmissione del virus, sono applicate norme di biosicurezza per tutti i bambini, senza considerare se siano sieropositivi o meno. Viene fatto inoltre un controllo mensile nel quale si consegnano ai genitori i farmaci e le procedure con cui somministrarli o, in casi particolari, sono gli stessi responsabili del centro a distribuirli di casa in casa. (L.P.)
Perù: per la mediazione della Chiesa nuovi spiragli per la soluzione del conflitto minerario
◊ In Perù si sta aprendo “uno scenario di riconciliazione”, dopo la repressione delle proteste violente del luglio scorso contro i progetti minerari nei dipartimenti di Cusco e Cajamarca e dopo l’annuncio del loro temporaneo rinvio. Ad affermarlo sono mons. Héctor Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo e presidente emerito della Conferenza episcopale peruviana, e il sacerdote Gaston Garatea, chiamati dal Governo peruviano e dalle aziende minerarie a mediare nel conflitto scoppiato nei mesi scorsi. In questo nuovo processo, sottolineano in una dichiarazione ripresa dall’Osservatore Romano i due esponenti della Chiesa peruviana, “il Governo centrale, quello regionale e la società mineraria devono ripristinare un dialogo sincero al fine di affrontare le questioni ancora irrisolte alla radice”. Secondo mons. Cabrejos e padre Garatea tale processo ”dovrebbe contribuire a sensibilizzare la società mineraria sulle proprie responsabilità e lo Stato sul suo ruolo indispensabile di supervisore del lavoro di queste aziende”. Sul tappeto – affermano - ci sono il diritto a un lavoro equo e giustamente retribuito e le “sofferenze della popolazione, di intere famiglie, di madri, di padri, di anziani, di piccoli”. Il progetto di Conga per l’estrazione di oro e rame nel nord del Perú - con un investimento previsto di 4,8 miliardi di dollari — ha incontrato una dura opposizione da parte della popolazione di Cajamarca per i danni all’ambiente e l’inquinamento che subirebbero le falde acquifere. “Guarire le ferite è un compito essenziale al fine di creare un clima di fiducia e comprensione che permetta, in un prossimo futuro, di poter parlare davvero di benessere e progresso”, sottolineano i due mediatori della Chiesa facendo notare che “la popolazione di Cajamarca vuole vivere in armonia sociale, partecipare alla discussione del suo modello di sviluppo e guarda con interesse il dibattito inerente agli studi di impatto ambientale, all’uso del suolo, alla pianificazione delle risorse, alle sorgenti dei bacini idrografici e alla qualità e quantità d’acqua nella regione”. (L.Z.)
Nicaragua: allarme per il fenomeno delle gravidanze forzate di bambine e adolescenti
◊ Il fenomeno delle ragazze nicaraguensi che rimangono incinte sin da molto piccole sta diventando sempre più allarmante. Nel Paese, uno dei più poveri dell’America Latina, dove vivono 5.8 milioni di persone, negli ultimi 10 anni il servizio sanitario pubblico ha registrato 1.3 milioni di nascite, delle quali, 367.095 dovute alle gravidanze di ragazze e adolescenti, comprese 172.535 bambine con meno di 14 anni di età. Stando a questi dati, le ragazze e le minorenni rappresentano il 27% di tutti i parti registrati nei centri sanitari pubblici, e il 47% di queste giovani hanno tra i 10 e 14 anni di età. Nel 2000 le “mamme adolescenti” erano il 31% del totale. Anche se il tasso di gravidanza tra le adolescenti è diminuito, è ancora il più alto in America Latina, oltre ad essere uno dei più alti in tutto il mondo. Le donne nicaraguensi in età riproduttiva, dai 10 ai 49 anni di età, rappresentano il 65% del totale della popolazione femminile, e il 37% ha tra 10 e 19 anni. Il fenomeno delle gravidanze tra le minorenni in Nicaragua rientra nel ciclo di povertà, per cui tante giovani mamme si trovano a rimanere incinte prima della loro maturità biologica. Sono sottopeso, soffrono di malnutrizione cronica e partoriscono bambini sottopeso e rachitici. Inoltre il 47% di loro non riesce a completare il ciclo di studi elementari. Secondo le statistiche della Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) del 2009, ogni anno partoriscono 16 milioni di ragazze tra 15 e 19 anni, l’11% di tutte le gravidanze del mondo. In uno studio della organizzazione locale Quincho Barrilete, effettuato nel 2011, tra le adolescenti di Managua il 60% ha ammesso di essere stato costretto o indotto ad avere rapporti sessuali con parenti, compagni di scuola, vicini di casa o con i genitori stessi. Il codice penale del Nicaragua prevede che i rapporti sessuali con bambini di meno di 14 anni, anche se consenzienti, equivalga ad uno stupro, ed è punibile da 12 a 15 anni di carcere. Secondo lo studio Indignation: Statistics on Sexual Violence in Nicaragua 2011, circa il 40% delle vittime di stupro nel Paese non hanno accesso al sistema giudiziario. (R.P.)
Cile: concluso a Concepción il secondo incontro teologico-pastorale
◊ Il ministero pastorale dovrebbe essere illuminato dalla ragione teologica, la teologia deve percorrere le vie del mondo, incarnandosi, attraverso il ministero sacerdotale, nella storia. Teologia e pratica pastorale sono funzioni inseparabili e fondamentali nella Chiesa per approfondire sempre più la Parola di Cristo Gesù e comunicarla. Questa, in estrema sintesi, la riflessione di mons. Ignacio Ducasse, offerta — a nome della Conferenza episcopale del Cile e dei membri della Commissione per la Missione Continentale — ai partecipanti al secondo incontro teologico-pastorale nazionale che si è concluso sabato a Concepción. Durante l’incontro – come riporta l’Osservatore Romano - si è riflettuto sulla fede e la nuova evangelizzazione, temi che hanno avuto come sfondo i 50 anni del Concilio Vaticano II e l’attuazione del documento conclusivo di Aparecida. I vescovi Rafael Silva e Juan Carlos Inostroza, rispettivamente segretario esecutivo della Missione continentale e direttore dell’Istituto di teologia dell’Università cattolica della Santissima Concezione, che hanno organizzato l’incontro, nel sottolineare il carattere di “grande apertura al dialogo” che ha caratterizzato l’evento, ne hanno evidenziato “l’intuizione profonda”: l’interazione tra teologia e pastorale. Non a caso nel secondo incontro teologico-pastorale del Cile si è approfondito oltre che il rapporto Parola-Chiesa e Sacramenti-Chiesa, anche il rapporto Chiesa-Carità. Insomma, sono stati “giorni molto preziosi” nei quali si è cercato di “approfondire il prezioso processo teologico pastorale che la Chiesa del Cile sta vivendo”. La pastorale — questo il denominatore comune delle varie relazioni — può essere intesa come l’agire della Chiesa finalizzato a favorire l’incontro degli uomini con la Parola, incarnandola in un determinato contesto storico-culturale. Essa, pertanto, si pone come una sorta “di servizio sia alla Parola che agli uomini, cercando di favorire in loro una fede adulta, cioè incarnata nell’esistenza di tutti i giorni”. La teologia pastorale, in quanto tale, dice una riflessione su Dio e il suo mondo contestualizzato storicamente e culturalmente in mezzo agli uomini. Diventa, in tal modo, una sorta di “teologia pratica”, le cui finalità sono quelle di «rendere accessibile al mondo degli uomini, storicamente contestualizzato, il mondo stesso di Dio”. (L.Z.)
Verona: è morto mons. Ducoli. Fu il primo ad ospitare Giovanni Paolo II in Cadore
◊ E' morto stamattina poco prima delle 6 all'ospedale di Verona-Negrar, dove era degente da tempo, mons. Maffeo Ducoli, vescovo emerito di Belluno-Feltre. Lo ha annunciato ai vescovi della Conferenza episcopale triveneta mons. Giuseppe Andrich, unito al vescovo di Verona Giuseppe Zenti e al vescovo Andrea Veggio, gia' ausiliare di Verona. ''L'anima di questo pastore - ha scritto monsignor Andrich - che ha servito per due decenni la diocesi di Belluno-Feltre e per otto anni, quale vescovo ausiliare, quella di Verona, ritorna al Signore ricca di meriti e di opere''. Tra i meriti di mons. Ducoli - riferisce l'agenzia Ansa - anche l'invito e l'ospitalita' di Giovanni Paolo II a Lorenzago di Cadore, per le sue prime vacanze fuori Castelgandolfo. Non e' stata ancora decisa la data dei funerali. Le esequie saranno presiedute dal presidente della Conferenza episcopale triveneta, il patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia, nella basilica di santa Anastasia a Verona. La salma, al termine della celebrazione, proseguira' per Breno (Brescia) dove sara' tumulata nella chiesa di San Maurizio. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 242