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Sommario del 07/08/2012
Mons. Warduni: anche i cristiani dell’Iraq attendono con gioia la visita del Papa in Libano
◊ Manca ormai poco più di un mese al viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano, in programma dal 14 al 16 settembre prossimo. Una visita che ha come scopo primario la pubblicazione e consegna dell’Esortazione apostolica post-sinodale per il Medio Oriente. La visita del Papa è, dunque, molto attesa non solo in Libano ma in tutte le comunità cristiane della regione. Su come la Chiesa dell’Iraq guardi a questo viaggio, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad:
R. - Malgrado tutte le difficoltà che esistono e tutte le circostanze preoccupanti che ci sono in Medio Oriente, anche la Chiesa irachena aspetta con grande speranza la visita in Libano del Santo Padre. E’ la visita di un padre che ama i suoi figli, che sentono la sua preoccupazione per loro, ovunque e in qualsiasi circostanza. Anche noi in Iraq aspettiamo questa Esortazione apostolica con amore e grande speranza. Ci sono ancora tante difficoltà, specialmente per quanto riguarda la sicurezza. Speriamo, quindi, che questa visita porti tanta consolazione, tanto coraggio e tanto sostegno.
D. - Il Papa non incontrerà soltanto i cristiani e i vescovi in Libano: avrà anche un incontro con le comunità musulmane. Questo è molto importante anche per rafforzare il dialogo…
R. – Certo! Anche al Sinodo per il Medio Oriente si è parlato del dialogo fra musulmani e cristiani. Tutti quanti noi viviamo in uno stesso luogo: qui siamo cresciuti insieme, viviamo insieme e specialmente noi - testimoni del Vangelo - cerchiamo sempre di essere vicini ai nostri fratelli, cercando di far capire che la religione deve avvicinare gli animi, deve far comprendere che lo Spirito di Dio è presente ovunque. Se non ci rispettiamo gli uni gli altri, se non cerchiamo di aiutarci gli uni gli altri, riconciliandoci tutti insieme, sarà molto difficile andare avanti in queste circostanze - con la guerra - perché non si capisce l’amore per Dio e l’amore verso il fratello.
D. - Questo viaggio del Papa in Libano sarà anche di incoraggiamento per i tanti cristiani dell’Iraq, costretti a fuggire. Questa vicinanza del Papa è sentita dalla comunità cristiana irachena?
R. - Certamente. Come ci chiede il Papa, dobbiamo amare la nostra terra; dobbiamo “attaccarci” alla nostra fede, alla nostra Chiesa e alla nostra terra. Questa è l’ora della speranza, grande e forte, affinché tutti tornino alle loro case: lì troveranno veramente la loro felicità. Speriamo che tutti potranno vivere in pace e in sicurezza!
◊ Si apre oggi ad Anaheim, in California, la 130.ma Convention dei Cavalieri di Colombo incentrata sul tema della libertà religiosa. In un messaggio ai partecipanti all’incontro dell’organizzazione caritativa cattolica, il Papa ha sottolineato che sono in atto minacce senza precedenti alla libertà della Chiesa. Un tema, questo, su cui si sofferma il Cavaliere Supremo Carl A. Anderson, al microfono di Emer McCarthy:
R. – We were very privileged to receive a wonderful message from the Holy Father …
E’ stato per noi un grande privilegio ricevere il bellissimo messaggio dal Santo Padre, nel quale ha ribadito l’importanza del laicato, in particolare la necessità che i laici cattolici si ergano a difesa della Chiesa. E questo soprattutto nel momento in cui riconosciamo quella che il Papa ha definito "una minaccia senza precedenti alla libertà e alla testimonianza pubblica della Chiesa", a causa delle politiche di alcuni governi che vogliono ridefinire in termini restrittivi la missione della Chiesa. Questo messaggio è stato un grande incoraggiamento per i Cavalieri di Colombo per assumere responsabilità ancora maggiori in tutti gli ambiti della nostra missione, in particolare da parte dei laici. I laici difenderanno la Chiesa e sosterranno e favoriranno la missione della Chiesa.
D. – Quale sono le aspettative per questa Convention?
R. – We have been very closely united to our bishops in the United States, …
Siamo molto uniti ai nostri vescovi negli Stati Uniti, in Canada e Messico. Quest’anno in particolare, dal momento che i vescovi sono chiamati, in maniera finora sconosciuta, a difendere la libertà religiosa e la libertà della Chiesa cattolica negli Stati Uniti, ma anche la libertà religiosa di tutti gli americani. Ci sentiamo molto rincuorati perché abbiamo al nostro convegno una amplissima partecipazione di vescovi e cardinali: sono quasi 90 …
D. - Può darci qualche dato sull'attività nel mondo dei Cavalieri di Colombo?
R. – We have over 14.000 local councils; most of them are based in parishes …
Abbiamo oltre 14 mila consigli locali, la maggior parte dei quali nelle parrocchie e siamo diffusi negli Stati Uniti, in Canada, nel Messico, nelle Filippine, in Polonia, a Cuba e in altri Paesi. I nostri membri sono chiamati ad essere fedeli ai principi dei Cavalieri di Colombo che sono carità, unità e fratellanza. Chiediamo a tutti i nostri membri ed a tutti i nostri consigli di essere attivi nel campo della carità all’interno delle loro parrocchie e delle loro comunità. L’anno scorso, i nostri membri hanno devoluto 158 milioni di dollari ad opere di carità ed hanno dedicato oltre 70 milioni di ore al servizio di volontariato.
D. – Si tratta, dunque, di aiutare le persone bisognose in difficoltà nelle comunità parrocchiali locali...
R. – Well, we pride ourselves in being closely aligned to our local pastors, …
E’ per noi motivo di orgoglio essere in linea con i nostri pastori locali, in particolare con i nostri parroci. Noi crediamo che sia in questo ambito che si manifesta la vitalità della Chiesa, giorno dopo giorno. Quindi, nella misura in cui riusciamo ad essere una forza caritativa, un gruppo di cattolici fedeli, uniti con il loro parroco e pronti ad aiutarlo e sostenerlo nella sua opera pastorale all’interno della sua comunità parrocchiale, abbiamo risposto alla missione principale dei Cavalieri di Colombo.
Messa in Vaticano per Paolo VI. Il cardinale Tettamanzi: "Papa Montini sia presto beato"
◊ "Che presto la Chiesa possa venerare Paolo VI come Beato". E’ l’auspicio espresso ieri pomeriggio dal cardinale Dionigi Tettamanzi, celebrando nella Basilica Vaticana la Messa per il 34.mo anniversario della morte di Papa Montini. Il porporato ha ricordato l’amore del Pontefice, morto il 6 agosto 1978, per la festa della Trasfigurazione che ricorreva ieri e il suo invito a vivere la fede con gaudio, senza timore e ad essere “testimoni di una luce vigiliare, foriera della luce piena del giorno eterno”. Il servizio è di Paolo Ondarza:
“Confido qui il mio ardente desiderio – e sono sicuro che è condiviso da tanti, tutti, – che presto la Chiesa possa venerare Paolo VI come Beato: un desiderio che mi si riaccende ogniqualvolta leggo i suoi scritti e penso al suo servizio d’amore alla Chiesa e all’umanità”.
Dà voce al desiderio di molti il cardinale Tettamanzi ricordando Papa Montini a 34 anni dalla sua morte, avvenuta nella residenza estiva di Castel Gandolfo nel 1978 nel giorno in cui la Chiesa celebra la solennità della Trasfigurazione del Signore. Un Mistero – ha ricordato il porporato al quale Paolo VI era molto legato e sul quale in vista dell’Angelus del 6 agosto di quell’anno scrisse parole, che mai potè pronunciare, ma che ci ha lasciato come regalo:
"Ecco le sue parole: 'La Trasfigurazione del Signore… getta una luce abbagliante sulla nostra vita quotidiana . Una sorte incomparabile ci attende, se avremo fatto onore alla nostra vocazione cristiana: se saremo vissuti nella logica consequenzialità di parole e di comportamento, che gli impegni del nostro Battesimo ci impongono".
“Siamo invitati ad un “sì gioioso e impegnativo della fede”, ha ammonito il cardinale Tettamanzi richiamando Paolo VI: un “sì” che vuol dire “impegno di conoscenza, di contemplazione e preghiera, di vita coerente, testimonianza, slancio missionario e grande letizia spirituale”. Una sollecitazione in tal senso ci giunge dal prossimo Anno della fede indetto da Benedetto XVI per i 50 anni del Concilio Vaticano II e che ha come precedente – ha ricordato il porporato - quello voluto proprio da Paolo VI nel 1967:
"Ed è a lui che in tema di fede desideriamo lasciare l’ultima parola, riprendendola da una sua udienza del mercoledì: 'Non più peso essa ci sembrerà, ma energia e gaudio; non più temeremo di immergerci nella vita profana del mondo, dove non saremo sperduti e naufraghi, ma testimoni sereni e forti d’una luce vigiliare e notturna, la fede nel tempo presente, foriera della luce piena del giorno eterno".
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In rilievo, nell’informazione internazionale, l’incerto futuro politico in Siria.
Chiara d’Assisi e la “pazienza” da indossare: in cultura, Giuseppe Cassio sull’iconografia della fondatrice delle clarisse nell’Umbria meridionale.
Città, odi et amo: Fabrizio Bisconti sulle rare raffigurazioni di paesaggio rurale e urbano nella pittura cimiteriale romana.
Luciana Miotto sui consigli di un flaneur chiamato Leon Battista Alberti: da Piero della Francesca a Raffaello una mostra, a Urbino, sull’utopia rinascimentale del “pensiero architettonico perfetto”.
Nell’informazione religiosa, la testimonianza del cardinale Francis Arinze sulla visita di Paolo VI in Uganda.
L’elogio, da parte dell'arcivescovo di New York, delle suore americane.
Le stragi non fermeranno la testimonianza dell’amore di Dio: nell’informazione vaticana, intervista di Mario Ponzi al cardinale Appiah Turkson riguardo ai ripetuti attacchi contro i cristiani.
◊ In Nigeria, sono almeno 19 i morti nell’attacco avvenuto, ieri sera, contro una chiesa evangelica nello Stato centrale di Kogi. L’azione terroristica non è ancora stata rivendicata, ma nella regione è da tempo attiva la setta fondamentalista islamica ‘Boko Haram’. Il servizio di Davide Maggiore:
I fedeli erano riuniti nella chiesa ‘Deeper Life Church’, nella località di Otite, per la lettura settimanale della Bibbia, quando un commando di uomini armati ha fatto irruzione nella chiesa, bloccando le uscite e aprendo il fuoco sui presenti. Gli assalitori sono poi fuggiti a bordo di un furgone. La setta "Boko Haram", responsabile di numerosi attentati nel Paese nell’ultimo anno, agisce normalmente in altre regioni della Nigeria, più settentrionali: a febbraio, tuttavia, il gruppo estremista aveva rivendicato l’attacco ad una prigione proprio nello Stato di Kogi. In quell’occasione erano stati liberati 119 prigionieri. Il gruppo integralista, il cui obiettivo è l’instaurazione di uno Stato fondamentalista islamico in tutta la Nigeria, negli scorsi giorni aveva condotto anche attacchi mortali contro poliziotti e pattuglie militari nigeriane. Sabato il leader della setta, Abubakar Shekau aveva chiesto le dimissioni dello stesso capo dello Stato, Goodluck Jonathan, invitandolo a “pentirsi” e ad “abbandonare il potere”. Shekau aveva definito, inoltre “terrorista” il presidente americano Obama, dopo la decisione dell’amministrazione statunitense di inserire tre leader di "Boko Haram" nella “lista nera” delle organizzazioni terroristiche.
Su questo ultimo sanguinoso attacco contro i cristiani della Nigeria ascoltiamo, nell’intervista di Davide Maggiore, l'arcivescovo di Abuja, mons. John Onaiyekan:
R. – Non è facile trovare una logica nel loro agire. L’unica che posso trovare è che questa è gente che vuole seminare disordine nel Paese, mettere i cristiani contro i musulmani. Vogliono un caos generalizzato, pensando forse che in una tale situazione di caos potranno attuare i loro progetti. Chi ha un minimo di intelligenza si rende conto che il loro è un progetto impossibile, irrealizzabile; ma i fanatici non seguono una logica, e questo è il nostro problema.
D. – I leader religiosi possono aiutare in qualche modo a fermare questo fanatismo?
R. – Io sono convinto che il problema non sia di cristiani contro musulmani; per questo io continuo a insistere sul fatto che i leader cristiani e musulmani devono lavorare insieme per identificare e isolare questi gruppi. I musulmani nigeriani hanno già detto che sono persone che non appartengono a loro. Dall’altro canto, per quanto riguarda la sicurezza, il governo dovrebbe continuare e fare meglio. Sembra che il suo modo di agire vada migliorando, ma non è ancora sufficiente.
D. – I fedeli, come vivono questa situazione? Non c’è rischio che il pericolo li spaventi e li tenga lontani, ad esempio, dalle Messe, dalle celebrazioni?
R. – Assolutamente no! Qui, in Nigeria, i cristiani sono convintissimi, giovani e adulti. E tutti sono disposti e pronti a continuare a frequentare la chiesa! Questi sono episodi sporadici: veramente è impossibile sapere in anticipo dove colpiranno. Non si tratta di un conflitto generalizzato tra cristiani e musulmani; si tratta dell’attività di un gruppo di terroristi che semina problemi per tutti, cristiani e musulmani. Hanno attaccato anche delle moschee: il problema riguarda tutto il Paese e dobbiamo affrontarlo insieme. Il problema che ci si pone ora è che questa situazione rende più difficile la collaborazione tra cristiani e musulmani. Noi continuiamo a fare il possibile per mantenere dialogo e collaborazione tra leader religiosi, ma c’è anche l’aspetto politico che non va trascurato.
D. – Vuole lanciare un appello attraverso i microfoni di Radio Vaticana?
R. – Sì: aiutateci con la preghiera! Abbiamo grande fiducia e fede nella potenza della preghiera che può cambiare il cuore di questa gente. Quello che è importante poi è che la comunità cristiana mondiale abbia un’idea più chiara della situazione nigeriana. Non è in atto una grande persecuzione di cristiani da parte dei musulmani; il Paese non è diviso in questi due gruppi che si attaccano l’un l’altro. Se il mondo incominciasse a comprendere nella maniera corretta, potrebbe anche appoggiare il lavoro che stiamo facendo per creare un Paese nel quale cristiani e musulmani possano riprendere il loro cammino insieme.
Siria: ancora bombardamenti ad Aleppo, Assad riceve l'inviato di Teheran
◊ Si combatte duramente ad Aleppo, all’indomani della defezione del primo ministro siriano Riad Hijab e del saccheggio del monastero cristiano di Mar Musa, guidato in passato dal padre gesuita Paolo Dall’Oglio. Scontri anche nel resto del Paese, con le opposizioni che parlano di undici persone uccise nei bombardamenti, mentre 265 sono state le vittime ieri, per uno dei bilanci più duri dall’inizio della rivolta. Intanto sul piano diplomatico Said Jalili, il braccio destro dell’ayatollah Khamenei, ha incontrato a Damasco, a sorpresa, il presidente siriano Bashar Al-Assad per discutere della sorte dei 48 iraniani rapiti sabato scorso a Damasco dai ribelli siriani. Per gli insorti si tratta di aiuti militari ad Assad, mentre si tratterebbe solo di pellegrini in viaggio religioso secondo le autorità iraniane, che accusano gli Stati Uniti di essere responsabili del rapimento. Sulla situazione sul campo, Michele Raviart ha intervistato Cristiano Tinazzi, giornalista freelance che si trova ad Aleppo insieme all’esercito degli insorti:
R. - Sono entrato ieri notte, insieme ad una colonna di ribelli che provenivano da un paese nella provincia di Aleppo e che sono venuti qui a dare man forte agli uomini del Free Syrian Army, che stanno combattendo in città. La situazione che mi sono trovato davanti è quella di un incessante martellamento di artiglieria, che colpiva non soltanto la linea del fronte - quella di Salahaddin - ma anche in questo quartiere periferico, dove si trova anche un ospedale. Quindi quando sono arrivato, mi sono trovato sotto i bombardamenti dell’artiglieria pesante e anche stamattina prima gli elicotteri e poi i Mig sono passati, a più riprese, sulla città e hanno colpito diversi punti di Aleppo.
D. - Come sta vivendo la popolazione questi bombardamenti? Come si ripara e dove si rifugia?
R. - Qui questa mattina c’è un po’ di movimento: i negozi sono quasi tutti chiusi, solo qualcuno è ancora aperto, e c’è gente che cammina per strada; in altre zone non c’è assolutamente nessuno. Sulle linee di demarcazione tra la zona sotto controllo delle forze governative e quella tenuta sotto controllo dalle forze ribelli si scambiano solo colpi di tank, di artiglieria… Anche li c’è gente che abita in quelle case, perché tanti non sono riusciti a scappare, ad andare via o non vogliono andarsene… Purtroppo muoiono, muoiono sotto i bombardamenti, perché qui il grosso delle persone che vengono ammazzate sono civili: non sono né ribelli, né soldati governativi.
D. - Quante vittime ci sono state da quello che vedi?
R. - Ieri almeno una trentina. Solo nel momento in cui sono passato io davanti all’ospedale, c’erano quattro corpi avvolti nelle coperte; c’erano decine i feriti e molte persone che venivano portate con evidenti segni di fratture a causa degli spostamenti d’aria o perché colpite da schegge di proiettile.
D. - Tu ti trovi con i ribelli: che impressione hai sulla loro organizzazione e sulle loro motivazioni?
R. - Gli appartenenti al Free Syrian Army, questo esercito di liberazione, sono tanti: all’interno di questo movimento ci sono tante facce, tante persone, tante idee e quello che li accomuna è far cadere Bashar al-Assad. Nel 90 per cento dei casi sono siriani che vogliono un Paese libero e possibilmente democratico, mantenendo però una “fonte” islamica del diritto e il rispetto delle minoranza. Poi c’è una piccola minoranza anche di integralisti, di salafiti o comunque di persone che sono venute a combattere dall’esterno e che si trovano in questo momento nel Paese. Non si può non negare che vi siano anche elementi legati ad al Qaeda, ma sono certamente una minoranza. La gente che va a combattere è gente che abita qui, che vuol difendere solo la propria terra e la propria famiglia e non vuole farsi ammazzare! Questa è una guerra che verrà portata avanti fino alla fine: non ci sono più possibilità di dialogo!
D. - Che cosa ti aspetti che succeda nei prossimi giorni?
R. - L’esercito governativo ha detto, più volte, che avrebbe dato il via all’offensiva di terra. Questo è stato sempre rimandato e ha dato quindi possibilità alle forze ribelli di fortificare le linee di demarcazione fra i due fronti: sono stati portati anche carri armati rubati all’esercito governativo e sono stati piazzati esplosivi. C’è tutta una linea trincerata che è molto difficile da superare e quando lanceranno l’offensiva di terra, sarà comunque una battaglia casa per casa: sarà un vero e proprio massacro, perché ci saranno centinaia di morti…
Nelle Filippine, i vescovi impegnati in difesa della vita contro la legge sulla salute riproduttiva
◊ Nelle Filippine, Paese a maggioranza cattolica, è particolarmente acceso il dibattito sul disegno di legge che intende facilitare l’accesso alla contraccezione, avviando anche corsi di educazione sessuale nelle scuole primarie. Forte la mobilitazione della società civile e della Chiesa locale: sabato scorso migliaia di persone hanno partecipato ad una manifestazione per bloccare l’approvazione della norma, in calendario per fine mese. Il presidente Benigno Aquino è determinato a portare a termine l’iniziativa, appoggiato in questo anche dall’Onu. Sulla vicenda, Ann Schneible ha intervistato mons. Ramon C. Argüelles, arcivescovo di Lipa, nelle Filippine:
R. – They are trying to implement this here, because this is a requirement …
Stanno cercando di far passare questa legge perché rientra nei requisiti di quello che le Nazioni Unite chiamano “Obiettivi di sviluppo del Millennio” e in tal caso i medicinali contraccettivi saranno disponibili come medicinali comuni. Noi stiamo cercando di spiegare al nostro popolo proprio questo: quale malattia dovrebbero curare queste medicine? Infatti, il concepimento non è una malattia e un bimbo non è un virus. Vorrebbero anche che il governo, che vuole risparmiare denaro, invece finanzi la distribuzione di preservativi. Tutto questo distrugge i valori della nostra gente ed è contrario alla nostra cultura. Chiedono poi che si inizi l’educazione sessuale dall’asilo, per arrivare fino alle scuole superiori. Questi concetti di “salute riproduttiva” portano all’aborto. Noi stiamo cercando di mettere in guardia la nostra gente e ci dispiace molto che il governo sia favorevole all’approvazione di tutto questo.
D. – Domenica decine di migliaia di persone manifesteranno contro questa legge. Il governo ha ascoltato le vostre preoccupazioni?
R. – The Philippines, we believe, is one of the last Countries that has opposed …
Le Filippine sono tra gli ultimi Paesi che si sono opposti a queste politiche di morte. Noi le definiamo “di morte” perché ad esse seguiranno il divorzio, l’eutanasia, l’aborto, il controllo totale della popolazione e infine le unioni omosessuali: di queste, infatti, si sta parlando. Alcuni nel governo ribattono che anche Paesi cattolici hanno ormai accettato le politiche di salute riproduttiva; ma noi crediamo che in quanto Paese cattolico, la nostra gente sia chiamata a "guarire" l’umanità – e magari anche gli altri Paesi – dalla perdita di Dio. C’è una viva opposizione a questo nelle Filippine e speriamo che altri Stati ci seguano presto, che cambino la loro rotta, anche se hanno già approvato leggi simili. Noi diciamo al nostro popolo che ci sono Paesi che stanno già facendo “marcia indietro” e noi dovremmo imparare dai loro errori.
Hillary Clinton in Sudafrica: missione economica e politica
◊ Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, dopo le tappe in Senegal, Sud Sudan, Uganda, Malawi, è ora in Sudafrica dove ha incontrato l'ex presidente Nelson Mandela e ha colloqui previsti con il presidente Zuma e le altre autorità. Appuntamenti a Pretoria, Johannesburg e Città del Capo, fino a giovedì. Gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale del Sudafrica, dopo la Cina, e il terzo grande investitore diretto estero dopo Gran Bretagna e Olanda. Sui significati economici e politici della visita del segretario di Stato americano, Fausta Speranza, ha intervistato il prof. Arduino Paniccia, docente di Studi strategici ed economia internazionale all’Università di Trieste:
R. – La visita del segretario di Stato Clinton in Sudafrica fa parte di una nuova strategia degli Stati Uniti nei confronti di questo grande continente. La strategia non è ancora completamente delineata, a mio parere, ma si snoda su alcune grandi linee. Certamente, si vuole tentare di bloccare quella che negli ultimi vent’anni è stata l’avanzata cinese verso molti Stati africani, attraverso l’affidamento, i prestiti, i finanziamenti anche massicci alle grandi opere, e quindi la presenza cinese sia nel Nord Africa, sia nel centro, sia nel Sud. Questa posizione americana naturalmente non è stata così forte come quella che è stata attuata dai cinesi; però, in alcuni punti ha incominciato a "stoppare" l’invasione cinese, e uno di questi – il più strategico, forse, per la sua posizione – è proprio quello del Sudafrica. Il viaggio della Clinton è significativo proprio e soprattutto dal punto di vista economico. Il Sudafrica non è ancora entrato nei "Bric", cioè il gruppo dei Paesi emergenti; è nelle vicinanze dei Paesi emergenti, ma non è ancora emerso. Deve ancora risolvere molti problemi interni, alcuni molto gravi. Tuttavia, ha fatto dei passi avanti. Una delle cose che mancano al Sudafrica è assolutamente il rapporto di esportazione e di interscambio con altri Paesi. In questo caso, l’America sa che può fare molto di più di quanto in realtà non possa fare la Cina, su questo fronte. Infatti, mentre Cina e Sudafrica da un certo punto di vista sono concorrenti – nel senso che entrambi producono a basso costo e spesso gli stessi prodotti – questo invece non accade nei confronti degli Stati Uniti, che potrebbero dare delle linee privilegiate e acquistare molto da parte sudafricana. Quindi, la "battaglia" è una battaglia soprattutto economica e soprattutto nella produzione fatta per uscire dal Sudafrica.
D. – Però, in questo caso, forse più che in altri casi, l’economia si fa politica. O no?
R. – Se guardiamo dal punto di vista generale della sicurezza africana, dalle direttrici di Africom–il comando americano, e dal tentativo americano di controllare i passaggi tra i due Oceani, diciamo che l’economia si fa molto strategia e anche politica, contrariamente al solito. E quindi, questa è l’innovazione: gli Stati Uniti usano meno l’arma del potere militare e usano molto di più invece il potere economico per riuscire a compensare e addirittura a portare tutta la parte Sud dell’Africa verso la loro area, togliendola all’influenza cinese e anche ad un’influenza indiana, che era incominciata. Diciamo che il confronto Occidente-Oriente si è spostato nel Sud dell’Africa, e, in questo caso, è un confronto anche politico, ma soprattutto strategico ed economico.
La Camera approva la "spending review" varata dal governo Monti
◊ Scende la produzione industriale italiana a giugno e il Pil a -2,5% nel secondo trimestre su base tendenziale segna il dato peggiore dal 2009. Lo dice l’Istat nel giorno del via libera definitivo della Camera alla "spending review". Il provvedimento ha ricevuto nella votazione a Montecitorio 371 sì, 86 no e 22 astensioni. Tra le principali novità introdotte dall'esame parlamentare ci sono tasse universitarie più alte per i fuoricorso, l’addizionale Irpef più cara per le regioni in deficit sanitario e il tetto a 300 mila euro per gli stipendi dei manager. Centrato l’obiettivo di evitare l’aumento dell’Iva a ottobre, di ampliare le tutele ad altri 55 mila esodati e di aiutare i comuni colpiti dal sisma dell'Emilia. “Necessario il riordino del settore dell’amministrazione pubblica, capitolo importante di spesa per l’Italia, ma ora occorre diminuire le tasse”. Così, in sintesi, l’economista Nicola Borri, sulla "spending review" e dell’attuale situazione del Paese. L’intervista è di Gabriella Ceraso:
R. – Nell’arco dei prossimi cinque anni, dobbiamo affrontare una riduzione progressiva della spesa pubblica totale di 4-5 punti percentuali. Questa "spending review" è innanzitutto un primo passo verso quell’obiettivo, quindi in questo senso è un passo importante. La dimensione di questo primo passo però non è molto grande. Potranno essere necessari ulteriori passi, come tagli in parte ai sussidi alle imprese: questa è forse la componente che non si è ancora vista …
D. – Il governo Monti si era impegnato su questo, ma anche sul fronte della crescita. Il Paese però è fermo, oggi i dati del Pil lo confermano, si parla di una recessione tecnica e mancano provvedimenti a questo riguardo...
R. – La strada da seguire è quella di una riduzione, quanto prima, dell’imposizione fiscale sul lavoro e sulle imprese. Pensare di poter far ripartire la nostra economia con investimenti pubblici imprecisati, credo che non ci porterà da nessuna parte.
D. – Come fa l’Ocse oggi, con il professor Padovan, a dire: “Il debito dell’Italia scenderà prima di altri Paesi”?
R. – Siccome il deficit italiano è sostanzialmente in pareggio, basta anche una minima crescita del Pil e il nostro debito sul Pil scenderà: non c’è alcun dubbio. Il problema, però, è capire di quanto. Secondo me, scenderà di poco se la nostra economia non ripartirà in maniera decisa.
Londra 2012: l'ombra del doping sulle Olimpiadi, squalificati due atleti
◊ Proseguono i Giochi di Londra 2012 tra medaglie assegnate e da assegnare. Ieri, però, l'ombra del doping è calata sulle Olimpiadi. Due, infatti, gli atleti fermati per l'assunzione di sostanze dopanti: il judoka statunitense Nicholas Delpopolo e il marciatore italiano Alex Schwarzer, risultato positivo all'epo. Grande il clamore per quest'ultima espulsione dai Giochi anche perchè Schwarzer è il campione olimpico in carica della 50 km di marcia. Benedetta Capelli ha raccolto il commento del prof. Antonio Dal Monte, già direttore dell’Istituto di scienza dello sport del Coni:
R. - E’ difficile pensare che un ragazzo intelligente, bravo e abile possa pensare di cavarsela, in prossimità delle Olimpiadi, con i controlli antidoping per una sostanza nota e che oggi si rintraccia con grande facilità. Per cui è una follia, oltre che un’imperdonabile "leggerezza", ma in realtà è dolo grave nei riguardi dello sport.
D. - C’è sempre e solo una debolezza umana dietro questo ricorrere al doping?
R. - Le ragioni sono tante. Qualcuno ha anche ipotizzato ragioni economiche: ma questo non è vero, perché certe volte si dopano anche dei "vecchietti" che vincono - che so io - un caffè al bar con gli amici. Quindi la voglia di vincere è tale che prevale anche sulla conservazione della salute, perché molte di queste sostanze che sono degli eccellenti salvavita in caso di malattie gravi, diventano pericolosissime se sono adoperate in soggetti che non ne hanno bisogno. Scartiamo, quindi, la ragione economica. La voglia di vincere e la paura di sentirsi deboli o troppo deboli per i risultati e per i test fatti durante gli allenamenti possono convincere un ragazzo a tentare questa strada. Il fatto di sottoporsi a questo significa o avere pochissima fiducia nei controllori o voler rischiare in modo del tutto inconsulto!
D. - Professore, ci spiega quali sono gli effetti dell’assunzione dell’epo?
R. - E' un po’ come quello di mettere in un motore un turbo: in altri termini si tratta di dare più ossigeno ai muscoli che lavorano oppure introdurre nell’organismo un litro o un litro e mezzo di sangue in più.
D. - Lei è storicamente impegnato nella lotta al doping, ritiene che negli ultimi anni sia cresciuta la sensibilità verso questa battaglia oppure c’è ancora molto da lavorare?
R. - Le darò una risposta indiretta. Nelle Olimpiadi di qualche decennio fa, c’era il "doping di Stato" da parte della Ddr e di altri Paesi e si vedevano degli “esseri mostruosi”, che erano le leggiadre fanciulle che facevano degli sport di potenza e che assumevano quantitativi enormi di ormoni. Oggi alle Olimpiadi, anche gli stessi sport dove apparivano questi “mostri” sono praticati da "ragazzone", ma "ragazzone" anche graziose. Quindi sono scomparsi questi soggetti che erano nati da sofisticazione in laboratorio.
D. - In queste Olimpiadi di Londra c’è stata un’accesa polemica tra Stati Uniti e Cina: ritiene che, per quanto riguarda Pechino, sul fronte del doping qualche dubbio possa venire?
R. - I dubbi vengono quando si vedono delle prestazioni che escono da quelle che sono le previsioni. Però non dimentichiamoci che, anche senza l’uso del doping, la scienza dell’allenamento e una selezione fra gruppi di popolazione molto numerosa hanno fatto crescere le velocità degli atleti in modo mostruoso. Pensate che oggi ragazzine meno che adolescenti fanno dei tempi che i maschi facevano - sì e no - nelle Olimpiadi di decenni fa. Quindi anche in piena correttezza, le velocità raggiunte dagli atleti sono cresciute enormemente. Possiamo dire che gli allenamenti hanno mostrato dei limiti negli atleti che gli scienziati di laboratorio, me compreso, avevano considerato non raggiungibili.
Filippine. Piogge torrenziali a Manila: oltre 65 morti e migliaia di sfollati
◊ Continuano le piogge torrenziali che da giorni si abbattono sulle Filippine. Il numero delle vittime, ancora provvisorio, continua a crescere. Le piogge delle ultime ore hanno causato almeno 15 morti, che vanno ad aggiungersi alle oltre 50 vittime dei giorni scorsi dovute al passaggio del tifone "Seola". Si contano, inoltre, decine di migliaia di sfollati per un numero stimato di oltre 200mila persone costrette ad abbandonare le proprie abitazioni. La situazione più grave si è verificata alla diga di La Mesa, che fornisce energia elettrica alla capitale: in seguito alle piogge, infatti, il bacino è straripato spazzando via interi quartieri della città. Secondo il quotidiano della capitale "The Inquirer", almeno metà della città di Manila, che conta 16 milioni di abitanti, al momento risulta paralizzata. Il presidente Benigno Aquino ha dichiarato lo stato di massima allerta e ha disposto la chiusura di tutte le scuole e gli edifici pubblici, compresa la Borsa. Secondo i meteorologi purtroppo nelle prossime 48 ore non sono previsti miglioramenti. (L.P.)
I vescovi Usa alla comunità sikh: vicini al vostro dolore per la strage nel Wisconsin
◊ Negli Usa, il presidente della Commissione episcopale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, mons. Denis Madden, esprime vicinanza e solidarietà alla comunità sikh del Paese, in seguito alla strage avvenuta ieri in un tempio del Winsconsin. “In questo momento di dolore, noi cattolici piangiamo assieme ai nostri fratelli e alle nostre sorelle sikh – ha detto il vescovo ausiliare di Baltimora, mons. Madden – con voi condividiamo una cordiale e feconda amicizia, così come ci uniscono l’amore di Dio e la fede nella convivenza pacifica delle persone, perciò tragedie come quella avvenuta ieri ci appaiono ancora più dolorose e difficili da comprendere”. Il presule si riferisce all’eccidio avvenuto nel Tempio Sikh di Oax Creek, nel Winsconsin, dove un uomo è entrato nell'edificio sparando durante una funzione uccidendo sei persone e ferendone tre in modo grave. “La Conferenza episcopale si schiera accanto alla comunità sikh nel rifiuto della violenza, specialmente quella derivante dall’intolleranza religiosa – ha aggiunto mons. Madden – la cosa che ci rattrista maggiormente è che si tratta di un orribile atto perpetrato all’interno di un luogo di culto e proprio mentre la comunità era riunita in preghiera. Il nostro pensiero oggi abbraccia in particolare quanti hanno perso un amico o un familiare nella strage”. Il segretariato per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso degli Stati Uniti della Conferenza episcopale locale ha avviato un fruttuoso dialogo con la comunità sikh Usa, fin dal 2006. (A cura di Roberta Barbi)
Malta. I vescovi: no alla fecondazione in vitro, salvaguardare vita e unione coniugale
◊ “La pratica della fecondazione in vitro (Ivf) non può essere moralmente giustificata in alcun modo e in alcuna circostanza. Il fine non giustifica i mezzi”. Così, in sintesi, scrivono i vescovi di Malta e Gozo, mons. Paul Cremona e mons. Mario Grech, in una Lettera pastorale pubblicata nei giorni scorsi ed intitolata “Celebrare la vita umana”. La missiva episcopale arriva nel momento in cui il Parlamento maltese sta discutendo una legge per introdurre nel Paese l’Ivf. In particolare, i presuli chiedono che la futura normativa sulla fecondazione in vitro “non sia moralmente sbagliata” e si basi almeno sul rispetto di tre valori principali: il valore della vita umana che va “salvaguardata dal concepimento e fino alla morte naturale”; il valore dell’unità coniugale, il che esclude un donatore esterno alla coppia, poiché la sua presenza infrangerebbe la fedeltà degli sposi; e il valore della sessualità umana all’interno del matrimonio, poiché “il concepimento di una nuova vita” deve essere “un dono”, il risultato di un atto d’amore coniugale. La Chiesa di Malta, poi, leva un appello per la difesa degli embrioni che spesso “vengono sacrificati e strumentalizzati per far nascere un bambino”: la loro selezione “lede la dignità umana” e il loro congelamento “non è una soluzione accettabile”, poiché “l’embrione, anche congelato, è ancora in possesso di diritti inalienabili”. Attraverso il congelamento degli embrioni, quindi, “l’umanità sta creando nuovi orfanotrofi”, mentre il loro “sacrificio per il bene della nascita di un figlio” rappresenta “la distruzione diretta di una vita umana innocente”, “un aborto procurato”. L’auspicio dei vescovi, dunque, è che la scienza trovi una soluzione che, “senza sostituire l’atto coniugale, assista i processi di fertilità della coppia” e non sfrutti i coniugi “psicologicamente o finanziariamente”. Anzi: la Chiesa maltese chiede “uno studio scientifico serio per quanto riguarda le cause e la prevenzione della sterilità”, nell’ottica di una scienza che sia “al servizio autentico dell’umanità”. I vescovi maltesi esprimono inoltre vicinanza e solidarietà ai coniugi senza figli, sottolineando che la loro infertilità non implica “il fallimento della loro missione come coppia di sposi”. E vicinanza viene espressa dai presuli di Malta e Gozo anche per i coniugi che “hanno superato i problemi di infertilità attraverso l’adozione di un bambino”, dimostrando così “una generosità esemplare”. Infine, mons. Cremona e mons. Grech sottolineano che “la Chiesa è l’istituzione che favorisce la vita più di ogni altra istituzione in tutto il mondo”; essa insegna che “la vita umana non è un prodotto che può essere modellato, costruito usato e messo da parte” e “ribadisce con forza il suo sì alla vita, soprattutto quando si tratta dei più deboli”, come i bambini. (A cura di Isabella Piro)
Nigeria. Mons. Kaigama in visita in una moschea: “I musulmani sono nostri fratelli”
◊ La Nigeria patisce ancora la violenza contro i cristiani e aggiunge i 19 morti di Okene alla lunga lista delle vittime di attacchi contro le Chiese. Ma nei giorni scorsi un richiamo forte alla pace e all’unità tra cristiani e musulmani è stato lanciato dall’arcivescovo di Jos, mons. Ignatius Kaigama, recatosi in visita presso la moschea centrale della città nigeriana, dove ha incontrato l’imam Dawud. “Sono venuto nella moschea – ha detto il presule nel suo discorso – per dissipare i pregiudizi sul fatto che cristiani e musulmani non possono incontrarsi. Siamo qui per dimostrare che i musulmani sono nostri fratelli e che, anche se talvolta riscontriamo problemi e tensioni, non dobbiamo temere reciprocamente che essi non si possano risolvere”. Di qui, l’appello lanciato da mons. Kaigama ai cristiani e musulmani di buona volontà affinché interagiscano tra loro e neutralizzino le macchinazioni di coloro che vogliono creare difficoltà nel Paese, a danno del bene comune. “Noi continueremo a predicare – ha ribadito l’arcivescovo di Jos – che la sola via per l’armonia è nel venirsi incontro reciprocamente. Certo, abbiamo le nostre differenze religiose, ma esse non sono sufficienti a giustificare la violenza di cui siamo testimoni”. “Abbiamo lo stesso Dio – ha sottolineato mons. Kaigama – e tutti dovremmo comportarci come figli di Dio”. Dal suo canto, l’imam Dawud ha ringraziato l’arcivescovo per la sua visita ed ha espresso apprezzamento per il suo richiamo all’unità interreligiosa. L’imam ha inoltre ringraziato mons. Kaigama per aver vistato ed offerto aiuti alle vittime delle recenti inondazioni avvenute a Rikkos, che hanno provocato più di trenta morti, distruggendo numerose abitazioni. (I.P.)
Nuovi attentati in Afghanistan: a Kabul, uccisi 9 civili
◊ In Afghanistan, un attentato contro un minibus ha causato questa mattina 9 morti a Kabul: le vittime sono tutti civili che in quel momento si recavano al lavoro. Forte la condanna del presidente afghano, Hamid Karzai. Un secondo attentato si è verificato invece a sud di Kabul, nella provincia di Logar, dove è stato fatto esplodere un camion-bomba davanti alla base Nato, causando almeno 18 feriti, 3 militari e 15 civili. Inoltre sempre oggi è rimasto ucciso un soldato francese durante un’operazione dell’esercito afghano contro i talebani nella provincia di Kapisa, nell’Afghanistan orientale. Secondo l’Onu, sono più di tremila i civili uccisi nel 2011 nel conflitto tra talebani e forze di sicurezza afghane e straniere. (L.P.)
Zambia: vescovo denuncia espulsione forzata di un sacerdote
◊ Il vescovo di Chipata, nella Zambia, mons. George Cosmas Zumaire Lungu, denuncia l’espulsione in Rwanda di un sacerdote della sua diocesi, padre Viateur Banyangandora, originario del Rwanda ma ordinato in Zambia e diventato, poi, parroco di Lundazi. In una lettera pastorale che verrà letta in tutte le parrocchie domenica 12 agosto e pervenuta all’agenzia Fides, il vescovo racconta la vicenda: il sacerdote è stato arrestato il 30 luglio scorso per ragioni poco chiare, ma probabilmente legate alla sua omelia della domenica precedente in cui si era pronunciato contro i prezzi del cotone. In seguito il sacerdote è stato condotto a Lusaka, dove non ha potuto usufruire dell’assistenza legale offerta dalla diocesi né essere contattato dal vescovo, e da qui, il 2 agosto, è stato espulso in Rwanda, come ha confermato ai media il ministro dell’Interno, Edgar Lungu. Don Banyangandora è “un buon prete e un uomo di pace e d’integrità – ha detto il presule – nulla potrà mai convincermi che si sia comportato in modo da perturbare la pace del nostro Paese”. Mons. George Cosmas Zumaire Lungu invita la popolazione alla calma e ricorda la difficile situazione della comunità dei rifugiati rwandesi in Zambia, già evidenziata da una lettera pastorale pubblicata nel gennaio scorso. (R.B.)
Diocesi di Arezzo: nella visita del Papa, raccolti 103 mila euro per i poveri
◊ Oltre 103 mila euro sono stati raccolti dalla diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, nella colletta generale svoltasi domenica 22 aprile, in vista della visita di Benedetto XVI del 13 maggio scorso. A comunicarlo è la diocesi guidata da mons. Riccardo Fontana, proprio nel giorno in cui la Chiesa ricorda il Patrono di Arezzo, San Donato. Il Santo Padre - riferisce una nota della diocesi - qualche giorno prima della visita, si era informato sullo stato economico della zona e aveva espresso la volontà che il ricavato della colletta fosse utilizzato per le famiglie in difficoltà del posto. L’usanza della colletta in occasione dei viaggi papali, affonda le sue origini nella Chiesa dei primi tempi, quando ai piedi degli Apostoli veniva deposto il ricavato della vendita dei beni che poi veniva ridistribuito ai bisognosi. La provincia di Arezzo, in questo caso, è stata molto generosa: a contribuire sono state le 246 parrocchie del territorio, cui si sono aggiunti diversi donatori privati. I fondi raccolti andranno ad alimentare il Fondo di solidarietà, da tempo attivato dalla diocesi, e saranno poi assegnati ai poveri secondo criteri di giustizia attraverso le Caritas parrocchiali. (R.B.)
Taiwan: l'impegno delle suore contro la violenza in famiglia diventa un film
◊ Le suore della congregazione del Buon Pastore a Taiwan hanno recentemente iniziato un servizio di aiuto e assistenza alle vittime delle violenze in famiglia. Come riportato dall’agenzia "AsiaNews", le religiose avvicinano le donne e i loro figli vittime di abusi, le aiutano a trovare il coraggio di denunciare i loro uomini, le assistono sul piano psicologico e a iniziare una vita nuova. Questo servizio è diventato un film documentario intitolato “Una vita tranquilla”, che ha lo scopo di rendere il pubblico consapevole delle violenze familiari che accadono quotidianamente e di rendere coscienti le donne del proprio diritto di avere un’esistenza sicura e protetta. La congregazione è presente a Taiwan dal 1987 come organizzazione non governativa chiamata “Good Shepherd Social Welfare Services”; negli ultimi tempi è riuscita ad allestire un luogo segreto in cui le donne vittime di violenza possono essere al sicuro nel periodo che va dalla denuncia alla successiva protezione legale delle vittime. Inoltre, vi trovano protezione anche i minori che hanno avuto il coraggio di denunciare le violenze familiari del padre ai danni della madre, alle quali hanno assistito personalmente. Nel documentario, in particolare, si racconta la storia di coraggio di sei donne, dal momento terribile della violenza fino alla nuova vita offerta loro da “Good Shepherd Social Welfare Services”. A Taiwan, nel 2008, ci sono stati ben 75.438 casi di violenza dei quali si è venuti a conoscenza; nel 2009 sono stati 83.728 e nel 2010 addirittura 98.720. Anche le Nazioni Unite si sono mobilitate per contrastare questa piaga drammatica, mettendo a punto un programma che dal 2009 al 2015 tenterà di portare alla luce tutti i casi di violenza domestica. (L.P.)
Caritas Uruguay compie 50 anni: indetto un premio speciale alla solidarietà
◊ Il 2 agosto scorso, in occasione del 50.mo anniversario della Caritas uruguayana, si è svolto un incontro cui hanno partecipato alcuni vescovi e collaboratori dell’organizzazione, durante il quale il presidente, mons. Julio Bonino, ha fatto il punto sulle iniziative in programma per celebrare questa importante ricorrenza; iniziative che verranno presentate ufficialmente il 15 agosto prossimo. Innanzitutto, il Premio Caritas per la Solidarietà, che sarà assegnato a persone, proposte o istituzioni che, fedeli all’impegno cristiano verso i più poveri, lavorano per una società più giusta. Oltre a questo, sarà bandito anche un concorso fotografico per le migliori immagini che catturano azioni solidali, riuscendo così a tradurre in scatti un sentimento umano tanto importante come, appunto, la solidarietà. La giuria del premio e del concorso sarà presieduta dal presidente di Caritas, mons. Bonino. Infine, un riconoscimento speciale è stato conferito a mons. Roberto Cáceres, vescovo emerito di Melo e presidente del Dipartimento di Pastorale sociale della Caritas Uruguay, per la sua opera di “ponte tra Dio e il popolo” e la sua grande testimonianza di servizio e solidarietà. (R.B.)
Angola: 500 mila pellegrini in visita alla “Lourdes africana”
◊ Sono circa 500 mila i pellegrini che quest’anno hanno fatto visita alla chiesetta in cui è conservata una statua della Madonna a Muxima, località a sud di Luanda, in Angola. La chiesa, intitolata a Nostra Signora di Muxima, che in lingua kimbundu significa “del mio cuore”, venne costruita dai portoghesi nel XVI secolo come ringraziamento per essere riusciti a liberarsi dal dominio degli olandesi. “Muxima potrebbe diventare meta di devozione e pellegrinaggio per milioni di persone, come Fatima o Lourdes”, racconta a Misna il rettore padre, Albino Reyes Gonzales. La chiesa, situata all’interno del parco nazionale di Quissama, dove vivono circa tremila persone, è già stata affettuosamente soprannominata “la Lourdes africana”. Fa eco al rettore anche il vescovo della diocesi di competenza, Viana, mons. Joaquim Ferreira Lopes: “Il numero dei fedeli andrà sempre crescendo – afferma – anche grazie alla costruzione di un ponte che facilita enormemente i collegamenti stradali con Luanda: prima di questo ci voleva una giornata per arrivare fin qui dalla capitale; oggi basta appena un’ora”. (R.B.)
Taiwan: i giovani cattolici asiatici riflettono su fede e Internet
◊ Si è svolto a Taipei, capitale di Taiwan, il seminario di scambio culturale dei Giovani Universitari Cattolici dell’Asia orientale sul tema “Internet Addiction”. I partecipanti, circa una trentina di delegati provenienti da Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Hong Kong, hanno lanciato l’allarme: la mania di Internet indebolisce la vita della fede e la formazione dello spirito cristiano. Il problema sta nel fatto che la rete sottrae troppo tempo ai giovani d’oggi, indebolendo i rapporti interpersonali, soprattutto con i familiari. Questo senza voler offuscare gli aspetti positivi di Internet. Ad esempio, durante il terremoto in Giappone dell’11 marzo 2011, la rete diede un aiuto fondamentale alle persone per ritrovare parenti e amici sopravvissuti. Il seminario dei Giovani Cattolici dell’Asia orientale, come riporta l’agenzia Fides, è un appuntamento annuale organizzato dall’International Movement Catholic Students (Imcs) e tratta ogni volta un tema diverso, ma sempre legato all’attualità e si tiene ogni anno in uno dei Paesi membri. (L.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 220