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Sommario del 31/10/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’ambasciatore del Brasile: la sana laicità protegga la dimensione pubblica della fede
  • Altre udienze e nomine
  • Domani si celebra la Solennità di Tutti i Santi. Il Papa: la santità non è compiere opere straordinarie, ma seguire Gesù con fiducia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L’Ue fa appello al G20: in primo piano il ruolo della Cina
  • Somalia: offensiva dell'esercito del Kenya contro gli integralisti islamici Shabaab
  • Solidarietà con gli alluvionati della Liguria e della Toscana
  • Alluvioni in Thailandia: la situazione migliora ma è ancora emergenza
  • Cooperanti rapiti in Algeria da Al Qaeda: sono vivi e in buone condizioni
  • Sale la disoccupazione nell'Eurozona, Italia compresa, mentre prosegue la polemica sui "licenziamenti facili"
  • Chiesa e Società

  • Un anno fa la strage nella cattedrale di Baghdad: il cardinale Sandri invoca pace e perdono
  • Usa: confermate le preoccupazioni dei vescovi per la libertà religiosa nel Paese
  • Tunisia: dopo il voto mons. Lahham invita le autorità a tener conto delle aspettative della gente
  • L’agenzia Habeshia denuncia i rimpatri forzati di profughi eritrei ospitati in Egitto
  • Terra Santa: creata una Commissione episcopale per i rapporti con ebraismo e islam
  • Siria: due giorni di ritiro per cristiani e musulmani nello spirito di Assisi
  • Nepal: i leader religiosi accolgono il messaggio di Assisi per la pace e il dialogo
  • Filippine: dopo la morte di padre Tentorio nasce un Movimento di pace
  • India: a Bangalore la prima chiesa e la prima statua dedicate al Beato Giovanni Paolo II
  • India: secondo un rapporto del governo, nel Paese ancora molte violenze contro i minori
  • Congo: ad un mese dal voto i vescovi rinnovano l’appello alla trasparenza e all’unità del Paese
  • Regno Unito: soddisfazione dei vescovi per la legge che permette agli eredi al trono di sposare cattolici
  • Australia: la vicinanza della Chiesa ai richiedenti asilo
  • Cuba: la Chiesa vive una nuova relazione con il governo e il popolo
  • Uruguay: i vescovi invitano i fedeli al pellegrinaggio al Santuario della Vergine dei Trentatré
  • Usa. Missionari di Maryknoll: 100 anni al servizio della missione ad gentes
  • A Rimini la Conferenza nazionale degli animatori del Rinnovamento nello Spirito Santo
  • 24 Ore nel Mondo

  • Fine della missione Nato in Libia: Rasmussen a Tripoli
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’ambasciatore del Brasile: la sana laicità protegga la dimensione pubblica della fede

    ◊   Lo Stato rispetti la dimensione pubblica della religione: così, Benedetto XVI nell’udienza al nuovo ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede, Almir Franco de Sá Barbuda, ricevuto stamani in Vaticano per la presentazione delle Lettere credenziali. L’intervento del Papa si è incentrato sul tema della “sana laicità” e in particolare sull’insegnamento della religione a scuola. Benedetto XVI ha ricordato l’“indimenticabile” visita in terra brasiliana nel 2007 ed ha ringraziato le autorità civili per il sostegno alla prossima Gmg, in programma a Rio de Janeiro nel 2013. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Benedetto XVI ha sottolineato che una “sana laicità” non deve considerare la religione come un “semplice sentimento individuale” da relegare “nell’ambito privato”, ma come una realtà che “deve veder riconosciuta la sua presenza comunitaria pubblica”. Quindi, ricordando il contributo fecondo del cristianesimo alla storia del Paese, ha sottolineato che la Chiesa “ha aiutato a forgiare lo spirito brasiliano, caratterizzato dalla generosità, laboriosità e attenzione per i valori familiari e la difesa della vita umana in tutte le sue fasi”. Il Papa ha ricordato, con il nuovo ambasciatore, l’Accordo firmato nel 2008 tra Santa Sede e Brasile. Un accordo, ha osservato, che “non è una fonte di privilegi per la Chiesa” ma che invece assicura alla comunità ecclesiale di “sviluppare tutte le sue potenzialità a beneficio di ogni persona umana e di tutta la società brasiliana”. Uno Stato, è stata la riflessione del Pontefice, deve garantire ad ogni confessione religiosa “la possibilità del libero esercizio del culto”, così come la realizzazione di “attività culturali, educative e caritative” sempre che ciò non sia in contrasto con l’ordine morale. Tuttavia, ha soggiunto, il contributo della Chiesa “non si limita alle iniziative concrete” umanitarie ed assistenziali, ma mira soprattutto “alla crescita etica della società, stimolata da molteplici manifestazioni di apertura al trascendente”.

    All’interno di questo campo di collaborazione, ha rilevato il Papa, è particolarmente significativo quello dell’educazione a cui la Chiesa contribuisce con numerose istituzioni, “il cui prestigio è riconosciuto da tutta la società”. L’istruzione, ha constatato, “non può essere ridotta alla mera trasmissione delle nozioni” in vista di una formazione professionale. Deve, piuttosto, “abbracciare tutti gli aspetti della persona” e in particolare l’anelito al trascendente. Ecco perché, ha soggiunto, va riaffermata l’importanza dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche. Non si tratta di imporre “un determinato credo religioso”, ma del riconoscimento “della religione come valore necessario per la formazione integrale della persona”. Questo insegnamento, ha avvertito, “non può dunque ridursi ad una generica sociologia delle religioni, giacché non esiste una religione generica aconfessionale”. L’insegnamento della religione, quindi, “non ferisce la laicità dello Stato”, ma – ha proseguito il Papa - garantisce “il diritto dei padri di scegliere un’educazione per i propri figli”, che contribuisca “alla promozione del bene comune”. Infine, nel campo della giustizia sociale, il Papa ha ribadito che il governo brasiliano può contare sull’impegno della Chiesa per lo “sradicamento della fame e della miseria”. La Chiesa, ha concluso, “sarà sempre felice” di assistere i più bisognosi, “aiutandoli a liberarsi dalla loro situazione di indigenza, povertà ed esclusione”.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina: i vertici della Conferenza episcopale venezuelana guidati da mons. Ubaldo Ramón Santana Sequera, arcivescovo di Maracaibo e presidente dell’organismo; alcuni presuli della Conferenza episcopale di Angola e e São Tomé, in visita "ad Limina".

    Il Papa ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare della diocesi di Kalisz (Polonia), presentata da mons. Teofil Wilski, per raggiunti limiti di età.

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    Domani si celebra la Solennità di Tutti i Santi. Il Papa: la santità non è compiere opere straordinarie, ma seguire Gesù con fiducia

    ◊   Domani la Chiesa celebra la Solennità di Tutti i Santi. Benedetto XVI, come di consueto, si affaccerà a mezzogiorno dalla finestra del suo studio privato per recitare con i fedeli radunati in Piazza San Pietro la preghiera dell’Angelus. Il servizio di Sergio Centofanti.

    La Solennità di Tutti i Santi ci invita ad innalzare lo sguardo al Cielo e a meditare sulla pienezza della vita divina che ci attende. Benedetto XVI, in questi anni, ha sottolineato più volte che nella fretta del vivere quotidiano spesso ci dimentichiamo che la meta della nostra esistenza è “l’incontro faccia a faccia con Dio”. Una meta che si raggiunge attraverso la santità, che perciò non è “una condizione di privilegio riservata a pochi eletti”, ma il compito di ogni uomo. Ma in che consiste la santità?

    “All’interrogativo si può rispondere anzitutto in negativo: per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Viene poi la risposta in positivo: è necessario semplicemente ‘servire’ Gesù, ascoltarlo e seguirlo senza perdersi d’animo di fronte alle difficoltà (…) La santità esige uno sforzo costante, ma è possibile a tutti perché, più che opera dell’uomo, è anzitutto dono di Dio”. (Omelia, 1 novembre 2006)

    In questo cammino non siamo soli, ma siamo accompagnati dai santi di tutti i tempi. Per questo il Papa ricorda quanto sia “bella e consolante la comunione dei santi”, “una realtà che infonde una dimensione diversa a tutta la nostra vita”:

    “Non siamo mai soli! Facciamo parte di una 'compagnia' spirituale in cui regna una profonda solidarietà: il bene di ciascuno va a vantaggio di tutti e, viceversa, la felicità comune si irradia sui singoli. E’ un mistero che, in qualche misura, possiamo già sperimentare in questo mondo, nella famiglia, nell’amicizia, specialmente nella comunità spirituale della Chiesa. (Angelus, 1 novembre 2009)

    Legata a questa solennità è la commemorazione dei fedeli defunti, il 2 novembre, che il Papa invita a vivere “secondo l’autentico spirito cristiano, cioè nella luce che proviene dal Mistero pasquale. Cristo è morto e risorto e ci ha aperto il passaggio alla casa del Padre, il Regno della vita e della pace. Chi segue Gesù in questa vita è accolto dove Lui ci ha preceduto”:

    “Mentre dunque facciamo visita ai cimiteri, ricordiamoci che lì, nelle tombe, riposano solo le spoglie mortali dei nostri cari in attesa della risurrezione finale. Le loro anime – come dice la Scrittura – già ‘sono nelle mani di Dio’ (Sap 3,1). Pertanto, il modo più proprio ed efficace di onorarli è pregare per loro, offrendo atti di fede, di speranza e di carità. In unione al Sacrificio eucaristico, possiamo intercedere per la loro salvezza eterna, e sperimentare la più profonda comunione, in attesa di ritrovarci insieme, a godere per sempre dell’Amore che ci ha creati e redenti”. (Angelus, 1 novembre 2009)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'insegnamento della religione non ferisce la laicità dello Stato: Benedetto XVI al nuovo ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede.

    Il Mosè che estende l'Alleanza a tutti i popoli: l'incontro del Papa con i fedeli in piazza San Pietro per l'Angelus domenicale.

    In cultura, un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo "Lo psicologo del relativismo": riflessioni sulla morte di James Hillman.

    L'ultimo savio delle fonti: Paolo Vian ricorda, a un anno dalla morte, padre Cesare Cenci, uno degli ultimi rappresentanti della grande erudizione francescana del Novecento.

    Cronista della santità: il vice direttore intervista Angelo Montonati, giornalista e scrittore, che ha appena compiuto ottant'anni.

    Dei preti scienziati il catalogo è questo: la relazione del vescovo Sergio Pagano, prefetto dell'Archivio Segreto Vaticano, al Festival della Scienza.

    Astrologo per caso alla corte di Stalin: Gaetano Vallini sulla satira raffinata di "Hotel Lux" di Leander Haussmann (al Festival del film di Roma).

    La beatitudine che attende ogni uomo: nell'informazione religiosa, Inos Biffi sulla solennità di Tutti i Santi.

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    Oggi in Primo Piano



    L’Ue fa appello al G20: in primo piano il ruolo della Cina

    ◊   “Le incertezze sull'evoluzione economica a breve termine sono drammaticamente aumentate negli ultimi mesi”, a causa della situazione nell'Eurozona e ai problemi degli Stati Uniti nel consolidamento fiscale. Lo scrive l'Ocse, in vista del vertice G20 di Cannes, che si aprirà giovedì. L’Ocse intravede in Europa un marcato rallentamento con fasi di lieve crescita negativa, e negli Usa un ritmo di ripresa lento. Lo scenario – spiega l'Osce - potrebbe rivelarsi migliore “se le misure annunciate all'Eurosummit della settimana scorsa saranno implementate prontamente e con forza”. Ieri, l’Europa ha fatto appello ai partner del G20 chiedendo un “senso di comune responsabilità”. Oggi la Russia si dice disponibile a fornire aiuto finanziario investendo fino a 10 miliardi di dollari. Ed è certa anche la disponibilità della Cina. Per capire le possibili prospettive, Fausta Speranza ha intervistato l’economista prof. Alberto Quadrio Curzio:

    R. - E’ una richiesta che fa parte di una situazione complessiva che pare avere, in questo momento, il suo epicentro nell’unione economica monetaria, ma che tuttavia non lascia fuori dalla questione gli Stati Uniti, dove la crisi è originata. E comunque riguarda tutto il sistema finanziario internazionale, perché un eventuale precipitare della situazione di Eurolandia avrebbe dei riflessi su scala mondiale.

    D. - Quindi Cina, Russia, India, dopo ovviamente gli Stati Uniti, sono chiamati in causa? Ma come?

    R. - Il vero grande interlocutore in tutta questa faccenda, oltre all’Europa e agli Stati Uniti, è certamente la Cina. Russia, India, Brasile possono dare sì un contributo ma non di rilevanza tale da cambiare le prospettive dei mercati. La Cina è, invece, dotata di risorse finanziarie così ingenti che una sua decisione può nettamente influenzare il clima della finanza internazionale. Naturalmente la Cina non credo sia disponibile ad un intervento senza condizioni: il punto che sta a cuore alla Cina è che sia al più presto riconosciuto il suo status di economia di mercato, il che faciliterebbe le sue esportazioni.

    D. - Dunque la Cina che investe nel "Fondo salva-Stati" europeo sarebbe un’operazione con un costo … quanto alto?

    R. - Sarebbe un’operazione con un costo, ma non tanto alto per l’Unione Europea quanto piuttosto per gli Stati Uniti, perché laddove si riconoscesse nel contesto del Wto lo status di economia di mercato alla Cina, gli Stati Uniti dovrebbero abbassare le loro barriere protettive che sono nettamente più alte di quelle europee.

    D. - Dunque per l’Unione Europea, in realtà, non sarebbe poi così compromettente quest’accordo?

    R. - Io credo che l’Unione Europea abbia oggi una situazione nei confronti della Cina diversa da quella di alcuni anni fa, in quanto il sistema manufatturiero dell’Europa è riuscito a riposizionarsi molto bene sui mercati internazionali, alzando il livello qualitativo dei suoi prodotti e, in qualche modo, sottraendosi - non del tutto, ma in buona parte - alla concorrenza cinese che ha peso ancora su prodotti a valore aggiunto più basso.

    D. - Diciamo però che nell’immaginario collettivo si vede la Cina che compra parecchio: basta pensare a tante città italiane dove i negozi cinesi sono tantissimi. A questo punto anche una partecipazione nel "Fondo salva-Stati" europeo non sarebbe un’ingerenza pesante?

    R. - Io non credo che sarebbe un’ingerenza pesante. L’Italia, per esempio, ha acconsentito che la Libia di Gheddafi avesse una serie di partecipazioni in Eni, in Finmeccanica e in Unicredit. Se questo è stato accettato per Gheddafi, non vedo motivi per cui non debba essere accettato un intervento della Cina nel "Fondo salva-Stati" europeo.

    D. - Prof. Quadrio Curzio, l’Unione Europea al G20 si presenta comunque con un piano preciso, buono, operativo?

    R. - Credo che le decisioni prese la settimana scorsa dall’Unione Europea siano molto ben strutturate. L’importante è che quest’Unione si presenti al G20 parlando una sola voce e che non si riaprano dei distinguo, che hanno troppo spesso caratterizzato i leader dell’Europa e soprattutto i leader più importanti, come Merkel e Sakozy; distinguo che creano danni sotto ogni profilo. Credo, purtroppo, che altri Paesi, molto rilevanti dal punto di vista economico, si presentino invece deboli dal punto di vista politico. (mg)

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    Somalia: offensiva dell'esercito del Kenya contro gli integralisti islamici Shabaab

    ◊   Sempre alta la tensione in Somalia, dove prosegue l’offensiva dell’esercito del Kenya contro gli estremisti islamici di al Shabaab. Almeno 5 civili hanno perso la vita nei raid aerei di ieri contro centri di distribuzione di generi alimentari gestiti proprio dai ribelli. Nairobi ha ribadito che l’obiettivo è di ridurre la loro minaccia. In merito a questa posizione Eugenio Bonanata ha intervistato Mario Raffaelli, presidente di Amref Italia ed esperto dell’area:

    R. – Come si è visto in questi anni il semplice intervento militare, lungi dal ridurre la potenza di fuoco degli Shabaab, non fa altro che disseminarne la virulenza in aree sempre più ampie. Un intervento militare, fatto all’improvviso e che apparentemente non ha una chiara soluzione, può provocare semplicemente un aggravamento delle condizioni senza risolvere il problema. D’altra parte, già si sono viste le minacce fatte dagli Shabaab di portare la loro azione all’interno del Kenya. Io credo che in questi anni il Kenya sia stato risparmiato dall’attività degli Shabaab per una scelta tattica, perché la presenza così ampia di popolazioni somale all’interno rende facile il poter mettere in atto attentati terroristici. Quella del governo kenyota francamente mi sembra una mossa azzardata.

    D. – Quanto è alto il rischio di destabilizzare il già martoriato Corno d’Africa?

    R. – E’ alto perché anche qui basta fare un confronto col recente passato. C’è stato l’intervento militare etiopico ed ancora, di tanto in tanto, gli etiopici intervengono nelle vicende somale. In questo modo si acquieta la tensione fra Etiopia ed Eritrea che cova sempre sotto le ceneri e rischia di esplodere da un momento all’altro. Adesso, inoltre, c’è un intervento da parte del Kenya e in Sud Sudan c’è un importante ma difficile processo di indipendenza che sta facendo i primi passi. E’ evidente che se non ci sarà un’inversione di tutti questi fattori di tensione, o di addirittura di scontro, che sono in atto, il Corno d’Africa può veramente rischiare di diventare una zona di contaminazione delle aree circostanti sempre più ampia.

    D. - Qual è la posizione dell’Unione africana?

    R. – La missione Amisom è riuscita militarmente a "scacciare" in gran parte gli Shabaab da Mogadiscio ma se queste zone liberate dagli Shabaab poi non diventano zone di buon governo dove si riescono a stabilire istituzioni accettate dai somali, condivise dalle popolazioni e in grado di mostrare la differenza, questo non serve a nulla.

    D. - Che ruolo hanno gli Shabaab per la popolazione locale?

    R. – Gli Shabaab sono in una crisi di consenso anche per la posizione assurda che avevano preso di fronte alla siccità, addirittura arrivando al punto di negarla, di sostenere che è una manovra degli occidentali! Il fatto poi di aver applicato forme molto dure, in qualche caso la Sharia, ha alienato la simpatia di parti della popolazione. Finora hanno retto per mancanza di alternative e la loro crisi è dimostrata dal fatto recente, di questi giorni, di un tentativo di accreditarsi come attenti alle disgrazie connesse alla siccità: si sta distribuendo un aiuto alimentare e addirittura si è presentato un rappresentante di al Qaeda come fosse un’organizzazione umanitaria. Questo dimostra che loro sono in difficoltà, che questo sarebbe il momento di favorire un dialogo e vie d’uscita all’interno di questa parte che non si riconosce nelle istituzioni transitorie. Se, invece, mentre questi distribuiscono aiuti, li si bombarda e muoiono anche cittadini innocenti, è difficile aprire questo dialogo. (bf)

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    Solidarietà con gli alluvionati della Liguria e della Toscana

    ◊   In Liguria e Toscana continuano le operazioni di soccorso dopo le forti piogge della settimana scorsa. Il bilancio è di 9 morti, si continua a scavare tra le macerie ed il fango. In Lunigiana l’unità di crisi istituita presso il Comune di Aulla, informa che sono stati portati viveri e medicinali con elicotteri nelle frazioni isolate di Stadano e Parana. In Liguria si teme per una nuova perturbazione che dovrebbe arrivare giovedì, intanto a Vernazza si cercano tre dispersi, un altro viene ricercato a Borghetto Vara. Ieri il Papa ha espresso vicinanza alle popolazioni flagellate dalle alluvioni mentre le diocesi hanno organizzato collette di solidarietà. Massimiliano Menichetti ha intervistato don Franco Martini, direttore Caritas diocesana di La Spezia:

    R. – Le parole del Papa aiutano e mostrano che tutta la Chiesa è vicino alla popolazione. Le parole del Papa aiutano tutti, la Chiesa stessa diocesana e i volontari; hanno avuto un’eco a tutti i livelli della popolazione.

    D. - Qual è la situazione lì adesso?

    R. – C’è ancora una fase di smarrimento per i danni materiali ma soprattutto per le vittime; anche quelli che si sono salvati si sono salvati in extremis. In alcuni paesi ci sono ancora metri di detriti da togliere. C’è gente che ha perso tutto e che non fa altro che piangere perché se non viene aiutata non ha futuro. Il fatto è che hanno perso tutti gli strumenti per sopravvivere.

    D. – Le situazioni più preoccupanti in quali paesi si registrano?

    R. – Monterosso… Vernazza, che per ora si può raggiungere solo via mare o ogni tanto con la ferrovia che è stata un po’ ripristinata. Poi Brugnato, Rocchetta di Vara che è completamente isolata. Ma c’è un’infinità di paesini che sono ancora tutti isolati. Ci sono quelli danneggiati alla foce del Magra ma lì non c’è l’isolamento che c’è su in montagna.

    D. - Come Caritas che cosa state facendo?

    R. – Il vescovo, in primis, si sta impegnando per il coordinamento e ha voluto lui personalmente andare in tutte le terre colpite da questa catastrofe e avere un contatto diretto. Quello che abbiamo fatto finora è stato mandare squadre di volontari con vanghe, carriole, stivali e mangiare da campo. Dove possiamo ci riferiamo ai parroci, dove possiamo ci riferiamo ai sindaci. L’intervento è vario. Abbiamo aiutato una Casa di riposo di 100 persone che era rimasta isolata. Poi sono state fatte parecchie raccolte di viveri per le famiglie e le stiamo distribuendo. Abbiamo aiutato il trasferimento di una casa di recupero di 16 minori che ora sono qui a La Spezia dalle suore.

    D. - Per il 6 novembre è stata indetta una colletta proprio per fronteggiare queste emergenze. Voi avete avviato 10 progetti dal fronte spirituale educativo a quello del sostegno, a chi ha perso il lavoro, a chi ha avuto danneggiata la propria attività…

    R. – Parecchi negozi artigianali e commerciali e officine sono state proprio bloccate nella loro attività creando una forma di disoccupazione estesa e c’è una grossa industria che avrebbe bisogno di molto aiuto. Quello che preoccupa è l’accompagnamento di queste popolazioni alla ricostruzione del tessuto spirituale ma anche della struttura economica. Gli aiuti che ci arriveranno li indirizzeremo, in accordo con chi ce li manda, in uno o l’altro progetto. Abbiamo bisogno di tutti e la ricostruzione durerà qualche anno. Quindi l’appello è di continuare dove è possibile a sostenerci, seguendo i progetti che andiamo a iniziare aiutandoci nel portarli a termine. (bf)

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    Alluvioni in Thailandia: la situazione migliora ma è ancora emergenza

    ◊   Nella capitale della Thailandia, Bangkok, colpita dalla più grave alluvione degli ultimi 50 anni, il peggio sembra passato, ma la situazione rimane critica. Ieri anche il Papa aveva espresso vicinanza alle popolazioni colpite dalle gravi inondazioni, che nel Paese asiatico hanno provocato oltre 370 vittime da metà luglio. Il rischio di allagamenti per il centro della città dovrebbe ridursi in queste ore. Lo ha dichiarato la premier Yingluck Shinawatra, che non ha quindi esteso i cinque giorni di festività straordinaria concessi fino ad oggi per consentire ai 12 milioni di abitanti di lasciare la metropoli; da domani uffici pubblici e attività private torneranno ad operare regolarmente. L’emergenza però non è terminata. Lo conferma il collega Stefano Vecchia, raggiunto telefonicamente a Bangkok da Giada Aquilino:

    R. – La situazione rimane ancora critica. E’ cessato un allarme che era stato lanciato dalle autorità, forse anche in modo eccessivo. La piena del fiume che era prevista per sabato in realtà sta passando in queste ore, in concomitanza con l’alta marea che dovrebbe poi pian piano abbassarsi da domani. Sono ancora ore critiche per quanto riguarda il fiume Chao Phraya, che in alcune zone della città sta esondando, anche se non in modo drammatico. Resta poi il problema dell’alluvione, che sta scendendo da Nord: si tratta di acque che si sono raccolte in tre mesi di forti piogge e che pian piano stanno occupando sempre più aree della città. Questo è un problema che si era verificato, a volte, quando si rompevano gli argini e le acque inondavano improvvisamente alcune zone. Ed è un problema che continua, indipendentemente dalla piena del fiume e appunto dalla concomitanza con l’alta marea.

    D. – Oltre a Bangkok, quali sono le zone della Thailandia ancora a rischio?

    R. – Ci sono forti piogge nel Sud in questi giorni. Resta gravissima poi la situazione delle aree centrali, perché appunto le piogge torrenziali hanno inondato queste zone, lasciandole da settimane sotto l’acqua. I danni sono immensi: l’ultima valutazione – chiaramente ancora provvisoria – parla almeno di 30 miliardi di dollari di danni.

    D. – Per quanto riguarda Bangkok, domani dovrebbero riaprire le attività pubbliche e gli uffici. E’ confermato?

    R. – Sì, è confermato. Il governo ha deciso di non prorogare questa chiusura - in qualche modo obbligatoria - dei servizi pubblici e delle grandi imprese. Quindi, da domani in teoria la vita torna ad essere normale, anche se molti abitanti sono sfollati in questi giorni e vi sono zone allagate dove la situazione è comunque difficile.

    D. – Come si sta facendo di fronte all’emergenza sfollati?

    R. – A Bangkok ci sono dei centri di accoglienza che possono ospitare circa 11 mila persone. Nelle province limitrofe sono state individuate soluzioni diverse, per circa 20 mila altri sfollati. Evidentemente sono briciole in un mare di necessità, tenendo presente che soltanto nelle zone alluvionate sono un milione e mezzo circa gli abitanti coinvolti.

    D. – Oltre ai danni alle persone e alle cose, ci sono anche dei risvolti politici per quanto successo?

    R. – In questo momento l’opposizione politica non ha premuto molto sul governo. Il governo ha fatto quello che poteva evidentemente. E’ mancata, comunque, una prevenzione. Ci sono stati errori, non solo di valutazione, ma anche nella risposta. Ci sono poi forti contrasti tra governo centrale e municipalità di Bangkok anche sul sistema di aiuti, sulle possibilità di soccorso. La politica, però, non è intervenuta in modo pesante in questa situazione e al limite l’ha subita. (ap)

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    Cooperanti rapiti in Algeria da Al Qaeda: sono vivi e in buone condizioni

    ◊   I 3 cooperanti sequestrati il 23 ottobre in Algeria stanno bene. Lo ha confermato oggi il ministro della difesa spagnolo Carme Chacon che però chiede discrezione “perché possano tornare a casa sani e salvi”. L’italiana Rossella Urro e gli spagnoli Ainhoa Fernandez de Rincon e Eric Gonyalons sono stati presi nel campo profughi di Tindouf, nel sud del Paese, e sono ora nelle mani di Al Qaeda per il Maghreb islamico, braccio dell’organizzazione terroristica che opera nel Nord Africa. Il servizio di Debora Donnini:

    Migliaia di soldati perlustrano il sud dell’Algeria per cercare di trovare tracce dei 3 cooperanti europei rapiti da più di una settimana da Al Qaeda. Fra le otto persone fermate ieri, quattro avrebbero rapporti con il commando dei rapitori. Sono ore d’attesa, mentre arriva la conferma che i 3 sono vivi e stanno bene. La notizia era stata diffusa ieri da un mediatore, che riporta quanto cominciatogli da uno dei sequestratori. Secondo la stessa fonte, Al Qaeda per il Magreb islamico ha detto che faranno conoscere più avanti le loro rivendicazioni. Rossella Urru, sarda, di 29 anni, lavorava da due anni nei campi profughi saharawi con l’Ong Comitato italiano sviluppo dei popoli, il Cisp. Sentiamo la coordinatrice operativa dei progetti in Africa, Debora Rezzagli:

    R. - Io sono rientrata dai campi profughi saharawi il giorno prima dell’avvenimento. Ho lavorato con Rossella Urru una settimana intera e non c’era alcun tipo di sensazione di insicurezza o presentimento di una cosa - per noi - così eccezionale ed imprevedibile. Lavoriamo lì da più di 20 anni, nella massima sicurezza e tranquillità: ovviamente la tranquillità che si può avere lavorando con dei profughi e dei rifugiati. Tutto sommato, però, di una cosa del genere non avevamo mai avuto neanche lontanamente sentore.

    D. - Ma qual è il lavoro di Rosella Urru in questi campi profughi saharawi?

    R. - Essendo Rossella la nostra rappresentante nel Paese è quella che coordina tutti i progetti che il Cisp realizza nei campi saharawi. Abbiamo progetti di sostegno alle famiglie saharawi, così come alle istituzioni saharawi per la gestione degli aiuti internazionali: il popolo saharawi vive nei campi profughi grazie infatti agli aiuti internazionali. Noi come Cisp supportiamo le istituzioni saharawi affinché gestiscano al meglio gli aiuti che arrivano e, allo stesso tempo, seguiamo progetti di prevenzione sanitaria, di educazioni in tutti quelli che sono gli accampamenti dei profughi saharawi. (mg)

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    Sale la disoccupazione nell'Eurozona, Italia compresa, mentre prosegue la polemica sui "licenziamenti facili"

    ◊   E’ allarme disoccupazione in Italia. Secondo dati Istat il tasso di disoccupazione giovanile a settembre è salito al 29,3%, dal 28,0% di agosto. Si tratta del dato più alto dal gennaio 2004, ovvero dall'inizio delle serie storiche. Preoccupante la condizione delle donne: una su due in Italia non lavora, ne’ cerca un posto. Intanto è ancora polemica sulla cosiddetta norma sui licenziamenti facili. Il servizio è di Paolo Ondarza.

    Disoccupazione alle stelle in Italia: il tasso relativo ai giovani tra i 15 e i 24 anni a settembre è salito al 29,3%, dal 28,% di agosto. E’ il dato più alto dal gennaio 2004. Lo rileva l’Istat in base a stime provvisorie. A settembre il tasso di disoccupazione è balzato all'8,3%, dall'8,0% di agosto, riportandosi ai livelli del novembre 2010. Carlo Costalli, presidente del Movimento Cristiano Lavoratori:

    “Questi sono effettivamente dati molto preoccupanti. E’ chiaro che qui, se non c’è una ripresa economica forte, difficilmente ne usciremo”.

    E se l’Italia in Europa fa registrare l’incremento maggiore dei senza lavoro, secondo solo alla Spagna, non va meglio nel resto del Vecchio Continente: stando all’Eurostat, infatti, la disoccupazione nell’Eurozona sale dal 10,1% al 10,2%; nella Ue a 27 invece dal 9,6% al 9,7%. Di fronte ad una crisi globale e alla vigilia del G20 di Cannes, l’Ocse - l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico – sollecita i Paesi membri ad adottare misure energiche per restaurare la fiducia e migliorare lo scenario globale per favorire crescita e occupazione. Ancora Costalli:

    “Non è un tema solo italiano. Io credo che noi dobbiamo trovare un giusto equilibrio fra il mantenimento di un accettabile livello di garanzie per il mondo del lavoro e una necessaria liberalizzazione di tanti comparti ancora bloccati. Se non entriamo in un campo che è difficile da accettare per le organizzazioni sindacali, ma che è quello di una sana concorrenza, difficilmente ce la faremo, rispetto a mercati esterni all’Europa”.

    Intanto in Italia è polemica sulla cosiddetta norma sui licenziamenti facili, tra le misure che il governo ha incluso nella lettera di intenti inviata e approvata da Bruxelles e fortemente contestata dalle parti sociali che minacciano lo sciopero generale. Il ministro del Lavoro, Sacconi, ieri ha paventato il rischio terrorismo. Oggi il sottosegratrio all’interno Mantovano ha spiegato che non c’è un allarme sulla riorganizzazione delle Br, ma che il clima è preoccupante. La leader Cgil Camusso dice ‘no’ a qualsiasi forma di protesta violenta e chiede al governo di non inquinare un clima che è già difficile. Sulla situazione sentiamo sempre Carlo Costalli:

    “Sicuramente, il clima è preoccupante. Sacconi parli più di lavoro e meno di licenziamenti, e porti le parti sociali a dicutere. E allora, anche questo abbasserà la tensione”.

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    Chiesa e Società



    Un anno fa la strage nella cattedrale di Baghdad: il cardinale Sandri invoca pace e perdono

    ◊   “La Chiesa e il mondo non possono e non devono dimenticare. Dobbiamo ricordare, sì, certamente, ma per offrire il perdono e poi per implorare la pace per i vivi e i defunti”, lo ha detto il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, durante la sua omelia nella messa celebrata ieri, da mons. Michaele Al Jameel, accreditato del patriarcato siro-cattolico presso la Santa Sede, nella chiesa siro-cattolica a Roma nel primo anniversario della strage avvenuta nella cattedrale di “Nostra Signora del Perpetuo Soccorso” di Bagdad, nella quale sono morti due sacerdoti e più di 40 fedeli durante la Messa serale della domenica, 31 ottobre dello scorso anno. Erano presenti alla celebrazione anche il cardinale Ignace Moussa Daoud, ex prefetto del Congregazione delle chiese orientale, Habib Al Sadr, ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, e sacerdoti, religiosi e religiose, studenti a Roma. Il cardinale Sandri - riferisce l'agenzia AsiaNews - si è detto unito ai patriarchi delle Chiese orientali, siro-cattolico e maronita (che andranno a Baghdad per quest’occasione) e caldeo, che oggi concelebrano con il vescovo di Bagdad, mons. Jean Benjamin Sleiman, una messa nella cattedrale, per ricordare le vittime. Dopo aver ricordato la sua partecipazione all’incontro della pace ad Assisi, svolto giovedì 27 ottobre scorso, il prefetto delle Chiese Orientali ha invocato di nuovo il dono della pace. “tutte le comunità siro-cattoliche – ha detto il cardinale Sandri - si sono unite con noi e con tante altre comunità, insieme preghiamo perché l’amore di Cristo vinca sempre la morte”. Il cardinale Sandri ha ricordato anche le parole di Benedetto XVI pronunciate dopo l’Angelus il primo novembre 2010, il giorno dopo la strage, a favore delle vittime “di questa assurda violenza, tanto più feroce in quanto ha colpito persone inermi, raccolte nella casa di Dio, che è casa di amore e di riconciliazione”. “Preghiamo - ha perseguito il cardinale Sandri - perché il sacrificio di questi nostri fratelli e sorelle possa essere seme di pace e di vera rinascita e perché quanti hanno a cuore la riconciliazione, la fraternità e la solidale convivenza trovino motivo e forza per operare il bene”. Alla fine della messa, padre Mukhlis Shasha, amico dei due sacerdoti martiri della cattedrale, Thair Saad Allah e Waseem Sabeeh, ha dato una testimonianza della maniera in cui sono morti i due sacerdoti. Ha anche ricordato che i cristiani in Iraq sono ancora obiettivo di attacchi che hanno spinto molti di loro di lasciare il Paese. (R.P.)

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    Usa: confermate le preoccupazioni dei vescovi per la libertà religiosa nel Paese

    ◊   Alcuni recenti “gravi attacchi alla libertà religiosa” sono una “sinistra conferma” delle preoccupazioni che hanno spinto i vescovi americani ad istituire una speciale Commissione per monitorare la situazione della libertà religiosa negli Stati Uniti. Lo ha dichiarato, la settimana scorsa, mons. William E. Lori ad un’audizione alla Sotto-commissione giustizia della Camera dei Rappresentanti dedicata a questo tema. Nella sua deposizione il presule, chiamato a presiedere la nuova Commissione episcopale, ha evidenziato che i vescovi assistono con “crescente allarme” alle sempre più frequenti offese alla libertà religiosa nel Paese, ricordando che la Dichiarazione di indipendenza e la Carta dei Diritti degli Stati Uniti la considerano “fondamentale quali che siano le tendenze morali e politiche del momento”. Il presule – riferisce l’agenzia Cns - ha quindi elencato sei punti che destano particolare preoccupazione tra i vescovi: in primo luogo c’è il nuovo controverso regolamento del Dipartimento per la salute americano (Hhs) che rende obbligatoria, in tutti i piani assicurativi sanitari privati, la copertura della sterilizzazione chirurgica e della prescrizione di contraccettivi, intesi come servizi di prevenzione per le donne. Il vescovo ha poi citato le nuove disposizioni dello stesso dipartimento federale che vogliono imporre anche al Servizio dei vescovi per l’assistenza ai migranti e ai rifugiati (Mrs) l’obbligo di fornire una vasta gamma di servizi per la salute riproduttiva, compresi aborto e contraccezione, pena la fine della convenzione con lo Stato. Nella stessa direzione si muove l’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale dipendente dal Dipartimento di Stato che esige che tutte le organizzazioni umanitarie impegnate in programmi di prevenzione contro l’Aids offrano tra i loro servizi la distribuzione di preservativi. Un quarto motivo di preoccupazione per i vescovi è la decisione del Dipartimento di Giustizia di Washington di non difendere più la costituzionalità della cosiddetta "Doma", la legge a tutela del matrimonio naturale quale unione tra un uomo e una donna promulgata nel 1996. C’è poi il recente attacco dello stesso Dipartimento alla cosiddetta “eccezione ministeriale” che, in conformità con il primo emendamento della Costituzione americana, permette agli enti religiosi di selezionare autonomamente il personale secondo i criteri dettati dalle proprie convinzioni religiose. A questo proposito mons. Lori ha denunciato, infine, la situazione che si sta verificando negli Stati che hanno legalizzato le unioni omosessuali, dove le organizzazioni caritative cattoliche che rifiutano di dare bambini in adozione a coppie omosessuali rischiano di chiudere e dove viene di fatto negata la libertà di coscienza a quei pubblici ufficiali dello Stato che si rifiutano di partecipare alla celebrazione di queste unioni. Il presule ha definito “inquietante” il fatto che l’opposizione ai matrimoni omosessuali venga sovente dipinta come “oscurantista” e che alcuni arrivino ad equipararla alla discriminazione razziale. Egli ha quindi sollecitato la rapida approvazione di tre provvedimenti che, ha detto, “sarebbero un importante passo avanti per la libertà religiosa e di coscienza dei responsabili degli enti religiosi, delle assicurazioni sanitarie e degli operatori sanitari: sono il “Protect Life Act”, l’”Abortion Non-Discrimination Act” e il “Respect for rights of Conscience Act”. Mons. Lori ha inoltre chiesto un’audizione al Congresso o un’altra indagine conoscitiva sui provvedimenti illegittimi adottati dall’Hhs e da Usaid (l’agenzia del Governo per la lotta contro l’Aids) nei confronti degli enti confessionali che erogano servizi alla persona. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Tunisia: dopo il voto mons. Lahham invita le autorità a tener conto delle aspettative della gente

    ◊   “Per essere state le prime elezioni veramente libere nella storia della Tunisia, quelle del 23 ottobre sono state un successo” dice all’agenzia Fides mons. Maroun Elias Lahham, arcivescovo di Tunisi. Nelle elezioni per l’Assemblea Costituente tenutesi domenica 23 ottobre, il partito islamista Ennahda ha ottenuto il 41% dei voti. La leadership del partito ha annunciato la formazione di un nuovo governo entro 10 giorni e di redigere la nuova Costituzione entro un anno. “Il risultato va accettato e diamo tempo ai vincitori di mettere in pratica quello che hanno promesso durante la campagna elettorale. Certo non sarà facile, perché hanno solo un anno di tempo per redigere la Costituzione e realizzare altre importanti riforme. La gente si aspetta tutto e subito, una cosa che Ennahda o qualsiasi altro partito difficilmente possono assicurare” afferma mons. Lahham. A turbare il clima sereno delle elezioni sono stati i disordini scoppiati il 28 ottobre a Sidi Bouzid, dove le autorità hanno imposto il coprifuoco, poi revocato. I dimostranti erano scesi per le strade per protestare per l'esclusione di sei liste di Petition Popoulaire, una formazione guidata da Hechmi Haamdi, un ricchissimo imprenditore, che si dice legato al deposto Presidente Ben Ali. “Si è trattato di un episodio secondario, che ormai è passato” dice l’arcivescovo di Tunisi. “Hechmi Haamdi ha impostato la sua campagna elettorale su toni demagogici, cercando di allettare la parte più povera dell’elettorato con promesse quali un sussidio per i disoccupati. Quando la sua lista è stata esclusa dalla votazione per alcune irregolarità, i suoi sostenitori sono scesi in strada provocando gli incidenti di cui si diceva, ma sembra ormai un episodio concluso. Questo personaggio inoltre è troppo legato a Ben Ali per essere veramente popolare tra la maggioranza dei tunisini” conclude mons. Lahham. (R.P.)

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    L’agenzia Habeshia denuncia i rimpatri forzati di profughi eritrei ospitati in Egitto

    ◊   L’agenzia Habeshia per la Cooperazione allo sviluppo guidata da don Mussie Zerai lancia l’allarme su quanto accaduto qualche giorno fa nel campo egiziano di Shelal, dove sono ospitati diversi profughi eritrei. Alla presenza del personale dell’ambasciata dell’Eritrea, scrive l’agenzia in un comunicato, i profughi sono stati costretti con la forza a firmare il proprio rimpatrio, facendolo passare per un rimpatrio volontario. Molti di loro, inoltre, stando alle testimonianze, sono stati oggetto di pestaggi da parte dei militari, i quali hanno escluso dalle violenze soltanto le donne. In particolare si conterebbero 118 feriti bisognosi di cure mediche che sono, invece, stati abbandonati a se stessi, e ai quali è stato addirittura sequestrato il telefono cellulare in modo che non potessero chiamare aiuto. Habeshia lancia, dunque, un appello a tutte le organizzazioni che si battono per i diritti umani e al Parlamento europeo affinché intervenga e richiami al rispetto dei diritti fondamentali l’Egitto, Paese amico dell’Occidente e firmatario della Convenzione di Ginevra. (R.B.)

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    Terra Santa: creata una Commissione episcopale per i rapporti con ebraismo e islam

    ◊   I rapporti con gli ebrei ed i musulmani, la pastorale dei migranti, la questione delle scuole cattoliche: sono stati questi i temi esaminati dall’Assemblea plenaria degli Ordinari cattolici di Terra Santa, conclusasi il 27 ottobre, alla presenza di rappresentanti episcopali di Israele, Territori Palestinesi, Cipro e Giordania. Riguardo al primo punto, la Plenaria ha stabilito di istituire una commissione episcopale per le relazioni con l’ebraismo e l’Islam: nello specifico, verranno create tre sotto-commissioni suddivise per aree geografiche. In Israele, il dialogo interreligioso sarà portato avanti da mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario del Patriarcato latino a Nazaret, e da mons. Elias Chacour, vescovo melkita di Galilea; nei Territori Palestinesi, il vicario del Patriarcato latino a Gerusalemme, mons. William Shomali, si occuperà dei rapporti con l’Islam, mentre in Giordania la stessa missione sarà guidata da mons. Yasser Ayyash e da mons. Sayegh, rispettivamente arcivescovo di Petra e Filadelfia in Arabia dei greco-melkiti e vicario patriarcale latino in Giordania. Quanto alla pastorale dei migranti, la Plenaria ha ricordato la presenza, in Terra Santa, di cristiani lavoratori stranieri o di rifugiati che si spostano verso Israele e rappresentano, quindi, una parte della popolazione sempre più importante. Per la maggior parte, essi vivono nella società israeliana e dunque di lingua ebraica. Di conseguenza, il vicariato di tale settore deve affrontare una profonda sfida per rispondere ai bisogni pastorali di questi immigrati cattolici. Pertanto, all’unanimità, l’Assemblea si è accordata per cercare di intensificare il proprio operato, al fine di servire al meglio questa nuova popolazione di cristiani in Terra Santa. E lo stesso è stato detto per i cristiani che vivono la particolare situazione dell’isola di Cipro, in parte appartenente alla Turchia, e per i caldei iracheni che si rifugiano in Giordania. Una sessione importante della riunione è stata poi dedicata alla questione delle scuole cattoliche in Terra Santa, al fine di discutere la definizione e la messa in atto di uno speciale progetto educativo che guardi allo sviluppo, alle vocazioni e al ruolo dei catechisti, affrontando anche il nodo dei problemi finanziari. Infine, la Plenaria ha espresso l’auspicio che alcuni suoi rappresentanti possano partecipare a tre grandi eventi ecclesiali previsti per il 2012: il Congresso mondiale della Pastorale del turismo, in programma in Messico ad aprile; l’Incontro mondiale delle famiglie, fissato a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, e il 50.mo Congresso eucaristico internazionale, che avrà luogo a Dublino dal 17 al 17 giugno. (A cura di Isabella Piro)

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    Siria: due giorni di ritiro per cristiani e musulmani nello spirito di Assisi

    ◊   Sulla scia dello “spirito di Assisi” giovedì e venerdì scorsi si è svolta nella comunità monastica di Deir Mar Musa al-Habashi, nel deserto siriano, una due giorni di riflessione, condivisione e dialogo. L’obiettivo era quello di entrare in comunione con i rappresentanti delle grandi religioni, e i non credenti di buona volontà, convocati ad Assisi da Benedetto XVI. La due giorni siriana, dal titolo “Pellegrini della verità e pellegrini della pace”, si legge sul portale www.terrasanta.net, è stata proposta a credenti cristiani e musulmani come un’occasione di pace e fraternità. “Nella dolorosa situazione che il nostro Paese sta vivendo - spiegano i monaci di Deir Mar Musa-, sentiamo l’importanza del senso di responsabilità condivisa, in modo che la patria giunga a una pace vera, che includa, per ogni uomo, il rispetto della sua dignità e integrità. Sentiamo anche l’urgenza dell’onestà, condizione per raggiungere la verità. Siamo convinti che le religioni svolgano un ruolo essenziale nella formazione della coscienza individuale e nella guida spirituale delle anime”. Giovedì i religiosi della comunità Deir Mar Musa hanno accolto i partecipanti e insieme a loro hanno seguito e commentato la diretta televisiva dell'incontro di Assisi, poi la sera, dopo la preghiera cristiana e musulmana, c’è stato un momento di meditazione silenziosa, seguito dalla Messa. Venerdì, dopo la preghiera del mattino, è stata proposta una riflessione sul tema del dialogo tra verità e pace. Nel pomeriggio si è svolto un momento di meditazione e preghiera nella cornice del deserto che circonda il monastero. (T.C.)

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    Nepal: i leader religiosi accolgono il messaggio di Assisi per la pace e il dialogo

    ◊   I leader delle varie religioni presenti in Nepal, Paese laico ufficialmente dal 2006 ma dove la transizione verso la laicità dopo anni di monarchia assoluta indù è particolarmente difficile a causa dell’opposizione di gruppi di estremisti, fanno proprio il messaggio inviato da Benedetto XVI ad Assisi e s’impegnano a lavorare concretamente insieme per la pace. “Tutti i leader dovrebbero considerare con serietà le parole del Papa – scrivono i religiosi nepalesi cristiani, indù e musulmani – ed essere consapevoli che la guerra, la violenza e il terrorismo in nome della religione non portano da nessuna parte e ci conducono alla perdizione”. “La pace prevale solo quando Dio è dentro ognuno di noi – ha dichiarato all'agenzia AsiaNews Ishu Jung Karki, segretario nazionale dei cristiani riprendendo le parole del Santo Padre – lo Stato deve solo impegnarsi per garantire i diritti e la sicurezza delle minoranze religiose”. “Tutte le religioni devono convivere insieme e i leader devono promuovere e testimoniare il rispetto reciproco – gli fa eco il presidente della World Hindu Federation, Keshav Chaulagain – gli indù sono per la pace e per la giustizia, come ha anche sottolineato il Papa, coloro che commettono atti di violenza in nome della religione non sono indù, sono banali criminali e il loro scopo è diffamare la loro stessa fede”. Da anni, nel Paese, le minoranze religiose lottano per la libertà di culto: in Nepal, infatti, una recente revisione del Codice penale e civile vieta le conversioni a qualsiasi religione che non sia l’induismo e bolla come proselitismo ogni tentativo di espressione religiosa che possa intaccare i valori tradizionali. (R.B.)

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    Filippine: dopo la morte di padre Tentorio nasce un Movimento di pace

    ◊   Che l’assassinio di padre Fausto Tentorio segni l’inizio di un’era di pace per il Mindanao, la regione delle Filippine a maggioranza islamica: è questo l’auspicio del confratello del Pontificio Istituto Missioni Estere, padre Peter Geremia, nella sua testimonianza all'agenzia Fides. Il sacerdote racconta che dalla morte di padre Tentorio si è diffuso un forte desiderio di pace tra la popolazione e che molti stanno sollevando la propria voce per sostenere la sua opera in favore degli ultimi. A tale proposito è sorto anche il movimento “Semina i semi della pace” nello spirito di "padre Pops", come i fedeli avevano soprannominato padre Fausto, che promuove, insieme con il network di altre organizzazioni, la pace sull’isola, sostenendo i negoziati in atto tra il governo e i ribelli di matrice islamica e tra il governo e i ribelli comunisti. (R.B.)

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    India: a Bangalore la prima chiesa e la prima statua dedicate al Beato Giovanni Paolo II

    ◊   È la prima statua raffigurante Giovanni Paolo II nella prima chiesa dedicata in India al Beato, salito agli onori degli altari il 1° maggio scorso, quella svelata il 25 ottobre a K Channasandra Horamavu, nei sobborghi di Bangalore, dal nunzio mons. Salvatore Pennacchio. Il presule, riprendendo proprio le parole di Papa Wojtyla, “Non abbiate paura, gettate le reti per una grande pesca”, ha esortato gli indiani a dare il benvenuto a Cristo nelle loro vite e a imitarlo. La statua, precisa l'agenzia AsiaNews, che è stata fusa in Thailandia, raffigura il Santo Padre con la talare bianca con ai piedi, il pavone e il fior di loto, due simboli della nazione indiana e delle due visite che Giovanni Paolo II fece nel Paese, rispettivamente nel 1986 e nel 1999, rendendo omaggio anche al sacrario di Gandhi. Alla cerimonia d’inaugurazione della statua innalzata in onore del “Papa Missionario”, hanno partecipato anche il vescovo di Bangalore, mons. Bernard Moras, che fu consacrato vescovo proprio da Papa Wojtyla, e i 13 vescovi del Karnataka. (R.B.)

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    India: secondo un rapporto del governo, nel Paese ancora molte violenze contro i minori

    ◊   Non lascia adito a interpretazioni positive, il rapporto annuale sulla criminalità pubblicato in questi giorni dal Ministero dell’Interno indiano. Se, infatti, nella società indiana che ha superato il miliardo di abitanti, cresce il benessere, pur essendo un fenomeno limitato ai soli centri urbani, aumentano di pari passo le violenze, in particolare quelle ai danni delle donne e delle bambine, le principali vittime della povertà. Degli oltre 22mila stupri avvenuti nel 2010, ad esempio, più di cinquemila hanno colpito le minorenni e il fatto che tale statistica si possa basare soltanto sui crimini denunciati, fa pensare che la situazione reale sia ancora più allarmante. La maggior parte degli abusi sessuali si registra nel Madhya Pradesh e nel Maharashtra, lo Stato dove sorge la metropoli di Mumbai, ma secondo la polizia il primato è dovuto semplicemente a una più efficace registrazione statistica degli eventi. Anche i sequestri sono una piaga che affligge la società indiana e che spesso nasconde drammi ancora peggiori come il traffico di esseri umani al fine di alimentare la prostituzione, l’accattonaggio o il traffico di organi. Circa 10mila bambini, l’anno scorso, ne sono stati vittima: lo Stato “peggiore” in questo senso risulta l’Uttar Pradesh, che conta 180 milioni di abitanti. (R.B.)

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    Congo: ad un mese dal voto i vescovi rinnovano l’appello alla trasparenza e all’unità del Paese

    ◊   Il prossimo 28 novembre, la Repubblica democratica del Congo sarà chiamata alle urne per le elezioni presidenziali e legislative. Un appuntamento cruciale per il Paese e in vista del quale la Chiesa ha lanciato più volte un appello alla pace. Ora, a poco meno di un mese dalle consultazioni, la Conferenza episcopale locale (Cenco) torna a far sentire la propria voce: “Nei prossimi giorni – si legge sul sito web dei vescovi – ovunque saranno organizzati cortei di militanti; lungo le strade, fioriscono i manifesti dei candidati che gireranno per i quartieri e le città del Paese illustrando i propri progetti sociali e chiedendo la fiducia della popolazione”. Per questo, i presuli auspicano che, durante il periodo elettorale, “tutti i candidati vogliano giocare un ruolo democratico nella trasparenza e nel rispetto di quei principi che governano la democrazia”. Infine, nel suo messaggio la Cenco si augura che “queste elezioni aprano nuove prospettive per un Paese unito, forte, solidale e in cammino verso la prosperità e la felicità dei suoi abitanti”. Da ricordare che la Chiesa cattolica congolese si appresta a schierare 30mila osservatori elettorali per garantire il regolare svolgimento delle consultazioni. E in numerosi appelli lanciati nei mesi scorsi, la Cenco ha indicato i criteri attraverso i quali scegliere i candidati, naturalmente senza dare indicazioni di voto. In particolare, i vescovi hanno sottolineato che il “buon candidato una persona competente, integra, onesta”, con una visione politica che va “al di là delle logiche del clan, della tribù e della provincia”, una persona che “considera il potere politico come un servizio al bene comune”. La Chiesa ha infine chiesto più volte la pace nel Paese, condizione essenziale per uno sviluppo democratico ed economico. (I.P.)

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    Regno Unito: soddisfazione dei vescovi per la legge che permette agli eredi al trono di sposare cattolici

    ◊   Le nuove regole sulla successione al trono nel Regno Unito elimineranno “un’ingiusta discriminazione nei confronti dei cattolici e saranno accolte con favore non soltanto dai cattolici”. Con queste parole l’arcivescovo di Westminster Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale dell’Inghilterra e del Galles, ha salutato l’accordo raggiunto venerdì a Perth in Australia dai 16 Paesi membri del Commonwealth per la riforma delle leggi che hanno finora regolato la successione al trono inglese, tra cui l’Act of Settlement del 1701. Dopo tre secoli, la nuova legge, infatti, consentirà all’erede al trono di sposare una persona di fede cattolica e abolirà la precedenza di un erede maschio sulle sorelle femmine. Anche il cardinale Keith O’Brien, arcivescovo scozzese di St. Andrews ed Edimburgo, - riferisce l’agenzia Cns - ha dato il benvenuto all’accordo. “Mi fa piacere notare che il processo di cambiamento, che spero porterà a un’abrogazione dell’‘Act of Settlement’, è cominciato e non vedo l’ora di studiare i dettagli delle riforme proposte e le sue implicazioni nel tempo”, ha scritto in una nota il porporato. Negli ultimi anni ci sono stati ben 11 tentativi di riformare la normative sulla successione nel Regno Unito, ma essi non sono sinora andati in porto anche a causa delle difficoltà pratiche di modificare gli ordinamenti di 16 Stati diversi facenti capo al Commonwealth. (L.Z.)

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    Australia: la vicinanza della Chiesa ai richiedenti asilo

    ◊   La Chiesa australiana è vicina ai richiedenti asilo e chiede di porre fine alla loro detenzione obbligatoria a tempo indeterminato nei Centri immigrazione: è quanto si legge in una nota dell’Ufficio australiano cattolico per i migranti ed i rifugiati (Acmro), diretto da padre Maurizio Pettenà. In particolare, l’organismo episcopale punta il dito contro i rifugiati detenuti nei Centri immigrazione in attesa che le loro richieste vengano vagliate. “Si tratta di un aspetto davvero triste della detenzione dei migranti, – scrive padre Pettenà – in Australia, ci sono circa 4.400 richiedenti asilo detenuti nei Centri immigrazione. Oltre 2mila di essi sono privi della libertà da più di dodici mesi, nonostante non abbiano commesso alcun crimine. Questa ingiustizia deve finire”. Per questo, l’Acmro lancia l’allarme: “La lunga durata della detenzione e la frustrazione di non poter contrastare tale situazione o di non riuscire ad avere una spiegazione sul perché essa venga prolungata, possono finire in tragedia”. Poi, padre Pettenà ricorda che nel 1950, di fronte ai rifugiati della Seconda Guerra mondiale, la Chiesa australiana scrisse così ai fedeli cattolici: “Pazienza, gentilezza, vicinanza ed aiuto concreto devono essere concessi a tutti immancabilmente ed in nome di Dio”. E “questo messaggio – dice l’Acmro – resta valido ancora oggi”. Ribadendo, infine, che esistono “alternative alla detenzione, basate sulla comunità” e che nella scelta di tali alternative “il governo ha bisogno di essere sostenuto da tutti gli australiani che credono nella dignità della vita umana”, la Chiesa del Paese invita i cattolici a pregare per tutti i rifugiati. (I.P.)

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    Cuba: la Chiesa vive una nuova relazione con il governo e il popolo

    ◊   Un periodo positivo per la Chiesa cattolica a Cuba che sta vivendo “una nuova relazione” con il popolo dell’isola e un rinnovato dialogo con il governo di Raúl Castro. Lo ha detto all’agenzia Fides il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, arcivescovo di San Cristobal de L'Avana nel corso della cerimonia per la consegna del premio letterario organizzato dal periodico cattolico “Palabra Nueva” dell’arcidiocesi. “C’è sempre un dialogo che ha a che fare con la vita della Chiesa, con il lavoro pastorale e anche con la vita della nazione – ha detto il porporato rimarcando la costanza del dialogo con il governo, dopo la felice conclusione della liberazione dei prigionieri politici nel 2010 – con i cambiamenti economici che la società si aspetta e che anche la Chiesa ha incoraggiato, sostenuto e atteso”. Cambiamenti, tuttavia, che si potrebbero attuare “un po’ più velocemente”, dal momento che trovano nel popolo “ampio consenso” e s’inseriscono in una prospettiva di “espansione”. L’arcivescovo ha inoltre sottolineato il “nuovo clima” che si è potuto respirare nell’attività pastorale con tutto il popolo cubano e non solo con lo Stato. Infine il porporato, che è stato confermato all’arcidiocesi di L'Avana da Benedetto XVI nonostante il raggiungimento dei 75 anni d’età, ha ringraziato il Papa. (R.B.)

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    Uruguay: i vescovi invitano i fedeli al pellegrinaggio al Santuario della Vergine dei Trentatré

    ◊   “Una giornata di fede”, “una ricorrenza emblematica”: con queste parole, la Conferenza episcopale dell’Uruguay (Ceu) invita tutti i fedeli del Paese a partecipare al tradizionale pellegrinaggio presso il Santuario della Vergine dei Trentatré, in programma il 13 novembre, seconda domenica del mese, nella città di Florida. L’appello “al popolo cristiano” affinché aderisca numeroso all’iniziativa arriva con un breve messaggio a firma di mons. Carlos Collazzi, presidente della Ceu. Quest’anno, inoltre, la ricorrenza cade in un momento particolare: nel 2011, infatti, l’Uruguay celebra sia il bicentenario del “Processo di emancipazione della nazione orientale”, sia il 50.mo anniversario dell’incoronazione pontificia dell’immagine della Vergine, che nel 1961 Giovanni XXIII proclamò Patrona del Paese. Il prossimo pellegrinaggio, quindi, rappresenta per i vescovi “un nuovo motivo di gioia” per “una venerazione tradizionale nella quale la Chiesa riconosce la trascendenza storica di un’immagine e, attraverso di essa, di Maria”. La Vergine dei Trentatré è una piccola statua della Madonna alta solo 36 cm e scolpita in legno di cedro. Secondo la tradizione, proviene dalle missioni dei Padri Gesuiti. La sua venerazione è legata alla guerra di indipendenza dell’Uruguay dal predominio spagnolo: nel 1825, alcuni patrioti in lotta per la libertà del Paese vollero affidare a Maria la loro impresa e chiesero la sua benedizione, mettendole tra le mani la loro bandiera. I combattenti erano esattamente trentatré e da allora la statua della Vergine di Florida ha assunto questo nome. L’8 maggio del 1988 Papa Giovanni Paolo II si recò in pellegrinaggio presso questo Santuario mariano e recitò un solenne atto di affidamento alla Madonna di tutto il popolo e la Chiesa dell’Uruguay. (I.P.)

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    Usa. Missionari di Maryknoll: 100 anni al servizio della missione ad gentes

    ◊   I Missionari di Maryknoll (Società per le Missioni Estere degli Stati Uniti d’America), uno dei più importanti istituti missionari statunitensi per la missione ad gentes, hanno celebrato ieri a New York il loro secolo di vita nella cattedrale di St. Patrick. “Sua Santità si unisce volentieri a tutta la famiglia di Maryknoll nel ricordare il profondo zelo per la diffusione del Vangelo e la crescita della Chiesa” ha scritto il Segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, a nome di Papa Benedetto XVI. La celebrazione principale - riporta l'agenzia Fides - è stata la Messa di ringraziamento, celebrata ieri, cui hanno partecipato più di 2.000 membri dell’Istituto, altri sacerdoti, amici e donatori, che hanno voluto rendere omaggio a questo Istituto missionario fondato nel 1911, oggi presente in 28 Paesi. Il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, ha presieduto la Messa concelebrata da numerosi sacerdoti di Maryknoll. La celebrazione ha avuto inizio con la processione delle bandiere, aperta da quelle degli Stati Uniti e del Vaticano, di tutti i Paesi dove sono presenti i missionari di Maryknoll. Seguiva quindi la croce processionale, che conteneva le reliquie dei fondatori della Società di Maryknoll: il vescovo James Walsh e padre Thomas Price, oltre a quelle di Madre Mary Joseph, fondatrice delle Suore di Maryknoll. "La visione dei fondatori ha dato i suoi frutti non solo in una impressionante espansione missionaria in Asia, America Latina e in Africa, ma anche in un notevole risveglio per la preoccupazione della Missione ad gentes tra le generazioni dei cattolici della Chiesa degli Stati Uniti" ha scritto il cardinale Bertone. Tra gli ospiti speciali che hanno partecipato alla Messa, c'erano numerosi rappresentanti dei Paesi dove sono presenti i missionati di Maryknoll, ed alcune intenzioni della preghiera dei fedeli durante la Messa sono state pronunciate nella loro lingua madre, come hakka, inglese, quechua, spagnolo, swahili e taiwanese. La Società missionaria di Maryknoll è presente anche in parrocchie e scuole degli Stati Uniti, impegnata a sollecitare l’impegno dei cattolici per le missioni attraverso le vocazioni, la preghiera, le donazioni ed il lavoro volontario. (R.P.)

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    A Rimini la Conferenza nazionale degli animatori del Rinnovamento nello Spirito Santo

    ◊   Preghiera, Parola di Dio e nuova evangelizzazione: questi i temi intorno ai quali si è svolta la 35.ma Conferenza nazionale degli animatori del Rinnovamento nello Spirito Santo, tradizionale appuntamento annuale di formazione, che quest’anno è stato intitolato “Pregate perché la Parola del Signore corra”. Ai partecipanti alla conferenza che si concluderà domani al Palacongressi di Rimini, circa quattromila provenienti da tutta Italia e anche dai gruppi italiani in Svizzera e Germania, sono giunti i saluti del cardinale Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, e di mons. Mariano Crociata, presidente della Conferenza episcopale italiana. “Chi nutre la propria relazione con Dio tramite la preghiera e la Parola non può fare a meno di evangelizzare”, sono le parole, riportate dall'agenzia Zenit, del cardinale Rylko che auspica per il futuro del Rinnovamento, di “curare sempre meglio l’aspetto dell’amicizia e del camminare insieme per essere accanto all’uomo di oggi, così bisognoso di Cristo”. Infine mons. Crociata, nella sua lettera, invita a un “docile ascolto della Parola, nella certezza, sostenuta dalla fede, che la preghiera è la motivazione profonda del nostro agire”. (R.B.)

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    24 Ore nel Mondo



    Fine della missione Nato in Libia: Rasmussen a Tripoli

    ◊   Alla mezzanotte di oggi termina la missione Nato in Libia iniziata nel marzo scorso. Per l’occasione è giunto nel Paese nord-africano, il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, per una serie di incontri non preannunciati. Dal canto suo il Consiglio Nazionale Transitorio libico ha sollecitato l'Alleanza a proseguire le operazioni fino alla fine dell'anno, mentre il premier dimissionario, Mahmud Jibril, ha annunciato il ritrovamento di armi nucleari. Marco Guerra:

    “A mezzanotte metteremo fine alle operazioni per proteggere il popolo libico, chiudendo una delle missioni Nato di maggior successo”, è quanto scrive oggi il Segretario generale della Nato Rasmussen su Twitter prima di partire per una visita a Tripoli definita storica. Rasmussen incontrerà i leader del Consiglio Nazionale Transitorio, per discutere il futuro ruolo della Nato nel processo di transizione. Il controllo dello spazio aereo passerà sotto la responsabilità libica ma diversi Paesi dell’alleanza sono disposti, infatti, a dare supporto logistico nella sicurezza e nell’addestramento del nuovo esercito. Rasmussen ha inoltre preannunciato che chiederà “quali siano le loro attese riguardo il futuro e in particolare la loro roadmap per la transizione verso la democrazia”. E l’operazione della Nato si conclude anche con l’incognita del ritrovamento di armi nucleari, annunciato ieri sera alla tv Al Arabiya dal premier dimissionario del Cnt, Mahmud Jibril, secondo il quale il ritrovamento sarà confermato nei prossimi giorni dall’Agenzia dell'Onu per l'energia atomica. Non meno ricco di insidie il processo di pacificazione: Human Rights Watch è tornata a chiedere la fine delle rappresaglie da parte dei ribelli e di processare i responsabili di stupri e omicidi mirati.

    L'Unesco riconosce la Palestina
    L'Assemblea generale dell'Unesco ha approvato l'adesione a pieno titolo della Palestina nell'organizzazione. Sulla richiesta di adesione hanno votato contro Stati Uniti, Germania e Canada. L'Italia e il Regno Unito si sono astenuti, mentre la Francia e la Cina hanno votato a favore, insieme alla quasi totalità dei Paesi arabi. Il delegato Usa ha già annunciato di non accettare l’adesione della Palestina. Negli Stati Uniti è infatti in vigore una legge che vieta di finanziare qualsiasi organizzazione che accetti la Palestina come membro a pieno titolo.

    Nuovo raid israeliano su Gaza: uccisi due miliziani palestinesi
    Non si attenua la nuova fiammata di violenze fra Israele e la Striscia di Gaza, dove nelle notte due miliziani palestinesi sono stati uccisi in un raid dell’aviazione israeliana. Poche ore prima la città israeliana di Ashqelon si era trovata due volte esposta ad attacchi palestinesi. L'esercito dello Stato ebraico ha confermato l'attacco spiegando, in un comunicato, di aver agito “contro una cellula terroristica che aveva sparato razzi al-Qassam contro Israele”. Il bilancio delle violenze in corso da sabato sale così a 13 vittime, fra le quali 12 palestinesi e un israeliano.

    Siria, proteste anti-governative
    In Siria almeno 15 persone hanno perso la vita nelle ultime 24 ore nel corso di azioni di repressione del dissenso antigovernativo. La denuncia arriva dai Comitati di coordinamento degli attivisti anti-regime. Dall'inizio delle proteste a metà marzo scorso ad oggi, sempre secondo la lista aggiornata del Centro di documentazione, sono 3.829 le persone uccise in Siria. Si attende intanto per oggi, ad un incontro a Doha, la risposta delle autorità siriane al piano consegnato nei giorni scorsi dalla commissione ministeriale della Lega Araba per metter fine alla “crisi”. E'poi prevista per mercoledì una nuova riunione dell’organizzazione pan-araba per esaminare l’esito dei colloqui con gli emissari siriani. Infine si registrano le dichiarazioni del segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, secondo il quale un intervento militare dell'Alleanza atlantica in Siria e' ''totalmente escluso'', pur condannando la repressione compiuta dalle ''forze di sicurezza siriane contro i civili''.

    Bulgaria: Rossen Plevneliev è il nuovo presidente del Paese
    Il conservatore Rossen Plevneliev è il nuovo presidente della Bulgaria. L’imprenditore di 47 anni ha vinto il secondo turno delle elezioni con il 52,5% dei voti. Dietro di lui il socialista Ivaylo Kalfin, che ha ottenuto il 47,4% dei consensi. Il servizio di Giovanni Cossu:

    Le previsioni sono state rispettate: nel ballottaggio di ieri Plevneliev è stato eletto presidente. Succede al socialista Gheorghi Parvanov, reduce da due mandati consecutivi. Con questa vittoria, il partito di destra del premier Boyko Borissov guida presidenza e governo. Inoltre il Gerb si è affermato anche nelle amministrative, per la prima volta abbinate alle presidenziali. Le elezioni di quest’anno si sono svolte in una situazione sociale difficile. La Bulgaria è il Paese più povero dell’Unione Europea e la crisi continua a colpire larghe fasce sociali. Lo stipendio medio è fermo da due anni intorno all'equivalente di 360 euro, mentre i prezzi di alcuni generi alimentari di prima necessità sono tra i più alti d’Europa. La disoccupazione oscilla intorno al 10%. La consultazione è la quinta dalla caduta del comunismo nel 1989.

    Afghanistan: sei morti in un attentato
    In Afghanistan, un commando talebano ha ucciso almeno 3 operatori dell’Unhcr, di nazionalità afghana, in un attacco nel centro di Kandahar di cui ancora non è chiara la dinamica. La zona attaccata è quella di massima sicurezza della città, dove si trovano anche le sedi del Governo e del Consiglio provinciale.

    Kirghizistan: l’Osce ha rilevato irregolarità nelle elezioni
    In Kirghizistan, gli osservatori dell'Osce hanno rilevato “irregolarità significative nel giorno delle elezioni, in particolare nello spoglio dei voti”. Le consultazioni di ieri sono state vinte dal primo ministro Almazbek Atambay con il 63% delle preferenze. I due principali candidati dell'opposizione, Adakhan Madumarov e Kamtchybek Tachiev, hanno rifiutano di riconoscere la vittoria del premier Atambaiev.

    Colombia, elezioni amministrative
    Si sono svolte in un clima di grande tensione, ma senza incidenti, le elezioni amministrative in Colombia. Una tornata elettorale che era stata anticipata da una terribile campagna intimidatoria da parte delle Farc, le forze armare rivoluzionarie della Colombia, che hanno provocato almeno 40 morti tra i candidati. E non sono mancate neppure le sorprese. Il servizio di Francesca Ambrogetti:

    Un ex guerrigliero avrà una responsabilità di governo per la prima volta nella storia politica della Colombia. Gustavo Petro, ex militante del movimento ribelle M19 ed esponente del nuovo partito di sinistra progressista, è stato eletto ieri sindaco di Bogotà, incarico considerato nel Paese il più importante dopo quello di presidente della repubblica. Le elezioni amministrative per rinnovare le autorità regionali si sono svolte in un clima teso ma senza incidenti significativi e con un indice di attenzione molto alto. Petro, con il 32 per cento di voti, ha sconfitto il candidato del governo di destra Enrique Penalosa. Il partito liberale e alcuni candidati indipendenti hanno ottenuto buoni risultati in varie circoscrizioni regionali. Sconfitti invece gli esponenti politici promossi dall’ex presidente Alvaro Uribe, che durante il suo recente governo è stato il grande alleato degli Stati Uniti in America Latina. Juan Manuel Santos, l’attuale capo dello Stato, ha chiesto a tutti i candidati eletti di lavorare in sintonia con il governo per il bene del Paese. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Giovanni Cossu)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 304

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