Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 29/10/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI ai vescovi di Angola e Sao Tomé: il Vangelo primo fattore di sviluppo, superare tribalismi e stregoneria
  • Altre udienze e nomine
  • L’arcivescovo di Canterbury: lo spirito di Assisi risolleva gli animi. Il cardinale Tauran: credenti e non credenti uniti nell’impegno per la pace e la giustizia
  • Ripartire da Assisi: l’editoriale di padre Federico Lombardi
  • La Chiesa proclama Beata María Catalina Irigoyen, apostola dei “cristi dolenti”
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Libia: lunedì finisce la missione Nato
  • Appello Onu alla Siria: stop alle violenze. 40 morti nelle manifestazioni anti-regime
  • Il ruolo dei cristiani nella “primavera araba”: intervista con l’ambasciatore iracheno presso la Santa Sede
  • Prosegue in Italia il dibattito sui "licenziamenti facili"
  • Giornata contro l'ictus: ogni sei secondi nel mondo una persona è colpita da questa patologia
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Chiesa e Società

  • I vescovi europei all’Ue: unità e solidarietà per superare la crisi, no alle accuse reciproche
  • Prima plenaria episcopale dopo l’indipendenza del Sud Sudan: pace e giustizia per il Paese
  • Filippine: ancora irrisolti la maggior parte dei casi di omicidio dei sacerdoti
  • Pakistan: lettera aperta del partito di governo contro la legge sulla blasfemia
  • I vescovi dell'Asia: promuovere uno stile di vita alternativo per la salvaguardia dell'ambiente
  • Indonesia: crescono le polemiche sulla proposta di legge sulla "tolleranza religiosa"
  • Turchia. Voli umanitari dell'Acnur per gli sfollati del terremoto
  • Somalia: l'Unicef vaccina 750 mila bambini denutriti. Nuovi scontri nel Paese
  • Nepal. Crimini contro i minori, sempre più alto il tasso di impunità
  • Terra Santa. Pellegrinaggio al fiume Giordano per ricordare il Battesimo di Gesù
  • Rinnovamento nello Spirito. Incontro di Cultura della Pentecoste alla luce del Forum di Todi
  • Convegno di pastorale sociale a Rimini sul tema "Educare al lavoro dignitoso"
  • 24 Ore nel Mondo

  • Trichet: realizzare al più presto il pacchetto anticrisi dell'Ue. Polemiche sulle parole di Berlusconi sull'euro
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI ai vescovi di Angola e Sao Tomé: il Vangelo primo fattore di sviluppo, superare tribalismi e stregoneria

    ◊   “Il primo e specifico contributo della Chiesa ai popoli d’Africa è la proclamazione del Vangelo di Cristo. Siamo perciò impegnati a continuare vigorosamente la proclamazione del Vangelo ai popoli d’ Africa, perché la vita in Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo”. E’ quanto ha detto il Papa incontrando stamani i membri della Conferenza episcopale di Angola e Sao Tomé. Non si tratta - ha detto - di annunciare “una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a conversione”. Una Parola che “rende accessibile l’incontro con il Signore”. Benedetto XVI ha quindi ricordato con gioia il viaggio compiuto in Angola nel marzo 2009 e la prossima visita in Benin dal 18 al 20 novembre quando consegnerà al Popolo di Dio l'Esortazione apostolica, frutto del secondo Sinodo per l'Africa. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Na esperança de ‘fazer brilhar’”…
    “Con la speranza ‘di mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo’ (Motu proprio Porta fidei)”, il Papa ricorda di aver deciso di proclamare un Anno delle fede, “perché la Chiesa intera possa offrire a tutti un volto più bello e credibile, riflesso più chiaro del volto del Signore”. I cristiani – sottolinea il Santo Padre - respirano lo spirito del loro tempo e subiscono la pressione dei costumi della società in cui vivono. E nel vivere quotidiano sono tre gli “scogli” sui quali naufragano molti cristiani di Angola e Sao Tomé:

    “O primeiro é o chamado ‘amigamento’, que”…
    Il primo scoglio è chiamato “amigamento”, ovvero una relazione tra uomo e donna, basata sulla convivenza e non fondata sul matrimonio, che contraddice il piano di Dio per la famiglia umana. Il limitato numero di matrimoni cattolici nelle comunità di Angola e Sao Tomé – aggiunge il Papa – è il segnale di “un’ipoteca” che grava sulla famiglia, “valore insostituibile per la stabilità" della società. Per questo bisogna aiutare le coppie ad acquisire la necessaria maturità umana e spirituale per rispondere responsabilmente alla loro missione di coniugi e genitori cristiani.

    “Um segundo escolho na vossa obra de evangelização”…
    Un secondo scoglio nella vostra opera di evangelizzazione – ricorda il Santo Padre rivolgendosi ai vescovi di Angola e Sao Tomé – riguarda una divisione lacerante: “il cuore dei battezzati – spiega il Papa - è ancora diviso tra cristianesimo e religioni tradizionali africane”. Il ricorso a pratiche incompatibili con la sequela di Cristo porta anche a conseguenze drammatiche, come l’esclusione sociale e anche l’assassinio di bambini e anziani, “condannati da falsi dettami della stregoneria”. Benedetto XVI, ricordando che “la vita umana è sacra in tutte le sue fasi”, esorta i vescovi dei due Paesi africani a continuare ad alzare la voce in favore delle vittime di queste pratiche.

    "Por último, queria referir os resquícios de tribalismo étnico"…
    Il Papa indica infine un altro scoglio, formato dai “resti del tribalismo etnico” che porta le comunità a chiudersi, a non accettare persone originarie di altre regioni del Paese. Nella Chiesa, come nuova famiglia di tutti coloro che credono in Cristo (cfr Mc 3, 31 -35), non c’è posto per alcun tipo di divisione: “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida" – sottolinea il Papa ricordando le parole di Giovanni Paolo II nella Lettera “Novo millennio ineunte” - se vogliamo essere fedeli "al disegno di Dio e rispondere alle attese profonde del mondo”. Il legame di fraternità di credenti che condividono il Sangue e il Corpo di Cristo nell’Eucaristia – conclude il Papa – è più forte dei vincoli “delle nostre famiglie terrene e delle vostre tribù”.

    inizio pagina

    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in Udienza anche il cardinale Raffaele Farina, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa. Il Papa riceve questo pomeriggio il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

    Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Antigua e Barbuda, Bahamas, Dominica, Giamaica, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, San Vincenzo e Grenadine, Suriname, Repubblica Cooperativistica della Guyana e delegato apostolico nelle Antille mons. Nicola Girasoli, arcivescovo titolare di Egnazia Appula, finora nunzio apostolico in Zambia e in Malawi.

    Il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Katowice (Polonia), presentata da mons. Damian Zimoń, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Wiktor Paweł Skworc, finora vescovo di Tarnów. Mons. Wiktor Paweł Skworc è nato il 19 maggio 1948 a Ruda Śląska (arcidiocesi di Katowice). Nel periodo di formazione nel Seminario ha lavorato come diacono presso i polacchi emigrati in Germania. È stato ordinato sacerdote il 19 aprile 1973. Ha ottenuto la Licenza in Teologia presso l’Accademia Teologica di Varsavia e il Dottorato in Storia della Chiesa nel 1992. Il 13 dicembre 1997 è stato nominato vescovo di Tarnów e ha ricevuto la consacrazione episcopale a Roma, dal Papa Giovanni Paolo II, il 6 gennaio 1998. Nell’ambito della Conferenza Episcopale Polacca è presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, presidente del Gruppo di contatto con la Conferenza Episcopale Tedesca, delegato dell’Episcopato per l’attività di "Kirche in Not" in Polonia. Inoltre, è presidente del Consiglio economico della Conferenza e membro della Commissione ecclesiastica Concordataria. Dal 2005 è membro della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

    Il Santo Padre ha nominato vescovo della diocesi di Dinajpur (Bangladesh) il rev. Sebastian Tudu, del clero di Dinajpur, vice rettore del Seminario Maggiore Holy Spirit di Dhaka e direttore Diocesano delle Pontificie Opere Missionarie. Il rev. Sebastian Tudu è nato il 17 giugno 1967 a Changura, nel Distretto di Gaibandha, nella diocesi di Dinajpur. Ha compiuto gli studi secondari al liceo di St. Philip’s High School a Dinajpur, risiedendo presso il Seminario Minore di Dinajpur, e successivamente ha frequentato la Dinajpur Government School. Ha poi proseguito la sua formazione al Notre Dame College di Dhaka, con residenza presso il Seminario Minore di St. Joseph’s a Dhaka, ottenendo il Bachelor of Arts. Ha successivamente studiato all’Holy Spirit Major Seminary a Dhaka per la formazione ecclesiastica. È stato ordinato sacerdote il 30 dicembre 1999 ed incardinato nella diocesi di Dinajpur. Successivamente ha ricoperto i seguenti incarichi: 2000-2003: Vicario parrocchiale di St. Francis Parish in Dinajpur; 2003-2007: Studi per il Dottorato in Missiologia presso la Pontificia Università Urbaniana, a Roma, risiedendo presso il Pontificio Collegio S. Paolo; 2007-2009: vicario parrocchiale di Fatima Rani Church in Ruhea. Dal 2009 è vice-rettore del Holy Spirit Major Seminary a Dhaka.

    Benedetto XVI ha eretto la nuova diocesi di Kabwe, in Zambia, per dismembramento dalla diocesi di Mpika e dall’arcidiocesi di Lusaka, rendendola suffraganea della medesima sede metropolitana. Il Papa ha nominato primo vescovo di Kabwe il padre salesiano Clement Mulenga, direttore dell’Ufficio della Pastorale giovanile dell’arcidiocesi di Lusaka. Padre Clement Mulenga è nato il 15 agosto 1965 a Dismashi (arcidiocesi di Kasama). Terminate le scuole superiori in Luwingu (città del nord dello Zambia, nota per la presenza dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice), è entrato nella Società Salesiana di San Giovanni Bosco. Ha emesso la professione perpetua a Nairobi, in Kenya, il 25 agosto 1996, ricevendo successivamente l’ordinazione sacerdotale il 25 agosto 1998.

    inizio pagina

    L’arcivescovo di Canterbury: lo spirito di Assisi risolleva gli animi. Il cardinale Tauran: credenti e non credenti uniti nell’impegno per la pace e la giustizia

    ◊   Reazioni positive in tutto il mondo alla Giornata di riflessione e di preghiera per la pace di Assisi. A 25 anni dal primo incontro promosso da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ha voluto rinnovare questo appuntamento invitando anche i non credenti. Tra i leader religiosi presenti c’era anche il primate della Comunione anglicana, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams. Philippa Hitchen gli ha chiesto quale atmosfera abbia trovato ad Assisi:

    R. – The atmosphere was simply very joyful …
    L’atmosfera è stata semplicemente gioiosa. Mi sembra che sia proprio lo spirito di Assisi nel suo insieme a risollevare gli animi: mi sembrava di percepire come una “luce” o meglio, vorrei dire, come un tocco di spirito di libertà che aleggiava sulla giornata …

    D. – Come commenta le parole del Papa, in particolare quando ha detto che il terrorismo e la negazione di Dio sono i due pericoli maggiori per il nostro mondo?

    R. – I thought it was really very interesting …
    Ho pensato che fosse veramente interessante come Benedetto XVI, nel suo stile tipico, abbia svolto un’analisi veramente approfondita sui diversi modi di negare Dio e sui diversi tipi di violenza. Credo che quello che ha detto era quello che ho sentito condividere da molte persone con cui ho parlato ad Assisi: che la negazione di Dio, in definitiva, significa la negazione dell’umanità, e che se si cerca un vero umanesimo questo deve avere Dio al suo vertice. Senza Dio, si ha la vuota religione umanista del terrorismo e il vuoto umanesimo religioso del secolarismo. E nessuna di queste due cose è buona per il nostro mondo. (gf)

    Sull’incontro di Assisi, Marie Leila Coussa ha raccolto il commento del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso:

    R. – Nel corso di questa giornata, ho ricordato quello che Giovanni Paolo II aveva scritto nella sua Lettera “Novo millennio ineunte”, quando diceva che il nome del Dio unico deve diventare sempre di più un nome di pace, un imperativo di pace. Mi sembra che tutti quelli che erano presenti ad Assisi hanno capito questo imperativo di pace. Ed è stato molto commovente, parlando gli uni con gli altri, scoprire che in fondo abbiamo valori fondamentali comuni, quali il senso del rispetto di Dio e del divino, il desiderio di Dio e del divino, il rispetto della vita, la consapevolezza della dignità della famiglia e anche questo immenso desiderio di pace, soprattutto tra i giovani: pace con Dio – o con l’Assoluto – e pace tra gli uomini. Era percepibile anche un desiderio quasi unanime di impegnarsi, di collaborare per la giustizia, la libertà, la pace e la salvaguardia delle risorse naturali. Quindi, i credenti hanno in comune una strategia che vuole promuovere una pedagogia dell’incontro nel rispetto – ovviamente – delle specificità religiose di ognuno, e un’arma comune che è la preghiera per implorare la pace. In questo, poi, risiede la novità dell’incontro di Assisi: la presenza degli agnostici, di persone che non negano che Dio esista ma che non l’hanno ancora trovato. La loro presenza, con la lotta interiore che conducono per trovare Dio, è un invito lanciato ai credenti a purificare la propria fede affinché, attraverso una vita coerente, chi cerca Dio possa trovare il suo volto nella vita e nell’esempio dei credenti. Io torno sempre a questa frase che il Papa ha pronunciato il primo gennaio scorso, parlando della Giornata di Assisi: “Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace; chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio”. (gf)

    inizio pagina

    Ripartire da Assisi: l’editoriale di padre Federico Lombardi

    ◊   La Giornata di riflessione e di preghiera per la pace di Assisi continua dunque a promuovere nel mondo l'incontro di popoli, culture e religioni. Ascoltiamo, in proposito, il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    In pellegrinaggio insieme. In treno, in autobus, alla mensa, nella riflessione. Il Papa sta in mezzo agli altri, senza solenni paramenti liturgici. Sentiamo ancora una volta il grande messaggio già lanciato tre volte da Assisi da Giovanni Paolo II insieme ai capi religiosi del mondo: non si può mai uccidere od odiare nel nome di Dio, perché il suo vero nome è la sua comune paternità per tutti gli uomini, è l’amore.

    Ma all’umanità in cammino, che per motivi sempre antichi e sempre nuovi non riesce a trovare la pace, i pellegrini di Assisi questa volta hanno lanciato messaggi che sono risuonati particolarmente umili e aperti. La pace va cercata insieme da tutti i cercatori della verità, ha detto il Papa, perché Dio non è una proprietà che appartenga agli aderenti alle religioni, la cui pratica a volte nasconde anzi il vero Dio. Quel vero Dio che non può essere invocato dai terroristi, ma non può essere escluso dall’orizzonte dell’uomo senza disumanizzarlo.

    Veramente il carisma di Francesco, che vede e sente con semplicità la presenza di Dio in tutte le sue creature, continua ad attrarre verso Assisi tutte le persone dalla mente e dal cuore aperto, e aiuta ad abbracciare le diverse identità in un cammino comune di dialogo, di fraternità, di gioia.

    “L’incontro delle nostre diversità, qui ad Assisi - concludeva la non credente Julia Kristeva - testimonia che l’ipotesi della distruzione non è l’unica possibile”. Giusto: non la distruzione, ma la pace. E questa non è solo un’ipotesi, ma un impegno comune, ripartendo ancora una volta da Assisi.

    inizio pagina

    La Chiesa proclama Beata María Catalina Irigoyen, apostola dei “cristi dolenti”

    ◊   Grande festa oggi in Spagna per la Beatificazione di Madre María Catalina Irigoyen Echegaray, suora professa della Congregazione delle Serve di Maria Ministre degli Infermi nata a Pamplona, in Navarra, nel 1848. La cerimonia, presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi in rappresentanza del Santo Padre, si è svolta stamani nella Cattedrale di Santa María la Real de la Almudena a Madrid, città dove trascorse la sua vita da consacrata. Roberta Barbi:

    Essere come Gesù, il Figlio dell’Uomo venuto al mondo non per essere servito, ma per servire. María Catalina lo sperimentò molto presto nella sua vita, quando a 22 anni, rimasta orfana, dovette fare da madre ai sette fratelli, rimandando, per qualche anno, il sogno di consacrarsi a Dio. Ma la spinta a servire gli altri, in particolare i poveri e gli ammalati, era più forte, così, diventata presidente delle Figlie di Maria, nei momenti liberi dagli impegni familiari, visitava i degenti in ospedale e poi a casa, incurante dei pericoli di contagio, e aprì un laboratorio per la confezione di abiti destinati agli indigenti. Così il cardinale Angelo Amato ricorda al microfono di Roberto Piermarini quegli anni della vita della Beata María Catalina:

    “Sin da piccola si rivelò una bambina conquistata dall’Eucaristia. Scuola, lavoro, preghiera, armonia in famiglia scandivano i giorni della piccola, che cresceva sana e responsabile”.

    Dopo i trent’anni riuscì a rispondere alla chiamata del Signore che sentiva nel cuore e a realizzare il suo desiderio di essere tutta per Dio, entrando nella Congregazione delle Serve di Maria fondata da Madre María Soledad Torres Acosta, proclamata Santa da Paolo VI nel 1970. Qui, con le altre religiose, svolse per 23 anni il suo servizio presso i malati, i “cristi dolenti” cui si dedicava con l’immensa dolcezza di cui era capace, lei che metteva Cristo al centro della sua vita, lei che del Cristo desiderava avere gli stessi sentimenti e atteggiamenti, così da operare in obbedienza alla volontà del Padre. E Dio l’accontentò avvicinandola ancora di più al suo Figlio crocifisso con la malattia, che la costrinse a cambiare il suo servizio e a tendere la mano, lei che era abituata più a dare che a ricevere, come racconta ancora il cardinale Amato:

    “Come Serva di Maria Ministra degli Infermi la nostra Beata si spogliò del suo rango sociale, rinunciò ai beni materiali e si dedicò a consumare la sua vita nell’assistenza a coloro che soffrivano. Aveva deciso di inginocchiarsi ai piedi del dolore umano per elevarlo verso Dio. Non era diventata Serva di Maria per stare bene, ma per fare il bene. Di fatti, dopo più di vent’anni di servizio ai malati, l’obbedienza la chiamò a un’altra missione, quella di raccogliere le offerte per l’Istituto. Era un’incombenza faticosa e umiliante, ma Suor Sposalizio la visse con semplicità e impegno”.

    Come una pianta nata in un ambiente sano e pio, rigenerata dalle acque battesimali, ossigenata dalla ricezione dei Sacramenti e dalla preghiera, la vita di Suor María Catalina è stata devozione e disponibilità e soprattutto amore verso Dio fino alla fine. Un esempio che possono seguire anche gli uomini di oggi, come sottolinea il cardinale Amato:

    “Certo, molti anni ci separano da suor María Catalina, ma i poveri e gli ammalati sono ancora tra noi, oggi più che mai bisognosi di attenzione, di cura generosa, di vicinanza umana e spirituale. La nuova Beata rimane un esempio e un incoraggiamento a offrire la vita nella carità verso il prossimo bisognoso”.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La fratellanza è più forte delle divisioni: ai vescovi dell’Angola in visita “ad limina” il Papa parla del prossimo viaggio in Benin.

    Tutti coinvolti nell’opera faticosa della pace: in prima pagina, sull’incontro dei leader religiosi ad Assisi, un editoriale del cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.

    Nell’informazione internazionale, Giuseppe M. Petrone sulle elezioni presidenziali di domani in Kyrgyzstan.

    Il deserto guadagna terreno: Pierluigi Natalia riguardo alla conferenza sui cambiamenti climatici e lo sviluppo in Africa.

    E l’unica cosa che si salvò fu la parola: in cultura, il direttore de “La Civiltà Cattolica”, Antonio Spadaro, sulla guerra e il dolore dell’uomo.

    Cibo solido per palati fini: Roberto Cutaia intervista Samuele Francesco Tadini, che ha curato una nuova edizione della “Teosofia” di Antonio Rosmini.

    Quel maiorchino che si confrontò con tutti: Sara Muzzi sul cuore del metodo missionario di Raimondo Lullo.

    Tutta la forza dell’inquadratura: Emilio Ranzato su “Une vie meilleure” presentato al Festival del film di Roma.

    Il conferimento del premio internazionale della Fundacion Conde de Barcelona al cardinale segretario di Stato.

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Libia: lunedì finisce la missione Nato

    ◊   Proseguono le trattavice tra la Corte penale internazionale dell’Aja e il secondogenito di Gheddafi, Saif al Islam, che ha avviato contatti diretti con l’organismo in vista della sua consegna. Intanto, si continua adiscutere dello stop alla missione Nato in Libia, decisa ufficalmente ieri a cominciare da lunedì prossimo. Ma quali saranno le soluzioni per garantire la sicurezza ai civili? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Luciano Ardesi, esperto di questioni nordafricane:

    R. – Questo è un problema attuale e peraltro era anche lo scopo dell’intervento della Nato. Credo che gli strumenti per assicurare questa protezione debbano essere altri; innanzitutto bisogna convincere chi ha preso il potere a rispettare la persona, a rispettare i suoi diritti, cosa che non si è verificata soprattutto nelle ultime settimane dei combattimenti.

    D. – A partire da martedì primo novembre il Consiglio di Transizione prende effettivamente in mano il futuro del Paese. Il primo obiettivo del nuovo governo è riformare le istituzioni e l’apparato di sicurezza...

    R. – Sì, non sarà un’impresa facile perché naturalmente questo si deve coniugare con l’inizio di una formulazione delle istituzioni intese come organizzazioni politiche e da questo punto di vista la Libia parte praticamente da zero: ci sono persone preparate che anche in questi anni hanno esercitato un loro ruolo politico ma è l’organizzazione che manca e questo sarà il grosso problema della Libia di domani.

    D. – Quale sarà adesso il ruolo della comunità internazionale e della Nato?

    R. – L’intervento armato non è stato progettato per costruire qualcosa dopo. Fin dall’ inizio è mancato un obiettivo di lunga durata ed è questa la vera incognita del Paese: non sapere bene attraverso quale strada assicurare una transizione che dia alla Libia istituzioni solide ma nel contempo possa anche assicurare quella libertà e quella democrazia che in fondo sono state alla base prima della rivolta che è partita da Bengasi e poi dall’intervento occidentale.

    D. – La consegna di Saif alla Corte penale internazionale dell’Aia potrebbe essere molto significativa…

    R. – Sì, però rischia di essere un caso isolato. Non credo che questo possa fare scuola nel Paese e assicurare tutti coloro che si sono macchiati di gravi crimini o che hanno in qualche modo agevolato la dittatura di Gheddafi, però per la Corte internazionale può essere la consacrazione di un ruolo che in Libia purtroppo è stato quasi contestato; l’accusa contro Gheddafi, il mandato di cattura, è stato vissuto quasi con fastidio. (bf)

    inizio pagina

    Appello Onu alla Siria: stop alle violenze. 40 morti nelle manifestazioni anti-regime

    ◊   Forte appello dell’Onu alle autorità siriane dopo le manifestazioni anti-regime di ieri, nel corso delle quali hanno perso la vita almeno 40 civili. In un messaggio il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, invita Damasco ad interrompere le violenze e ad attuare riforme profonde. Intanto, la Lega Araba, che mercoledì scorso ha incontrato il presidente Bashar al Assad, domani in Qatar incontrerà di nuovo i vertici di Damasco. Nessuna presa di posizione per ora dal resto della comunità internazionale. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all’Università di Trieste:

    R. – Mentre per la sponda nordafricana vi è stato sicuramente un concerto nel quale anche la Cina e la Russia, all’interno delle Nazioni Unite, hanno lasciato intervenire la Nato, questo non è accaduto per la Siria. Quindi non esiste a tutt’oggi ancora un vero accordo su che cosa fare internazionalmente, né all’interno dell’Europa, né tra Europa e Stati Uniti, né all’interno delle Nazioni Unite, né all’interno della Nato. Questo è motivo anche della terribile posizione di stallo di quel Paese.

    D. – Si sta muovendo, invece, a livello diplomatico la Lega Araba: è come se il mondo occidentale avesse in qualche modo delegato il compito di risolvere una questione che sta diventando spinosa …

    R. – E’ quasi impossibile per la Lega Araba, senza le organizzazioni che abbiamo citato prima, risolvere una questione così complessa come quella della Siria. Credo che la delega alla Lega Araba sia un tentativo di prendere tempo da parte delle organizzazioni internazionali, soprattutto occidentali; ma i nodi arriveranno inesorabilmente al pettine e non saranno neanche i lodevoli sforzi della Lega Araba capaci di risolvere un problema così grande che praticamente muove tutti gli equilibri del Medio Oriente.

    D. – Proprio su questo aspetto, in che modo la crisi siriana può influire sula questione israelo-palestinese?

    R. – Credo che vi sia una duplice posizione. Da un lato, aver smosso gli equilibri bloccati dell’area con la vicenda siriana, può paradossalmente favorire la soluzione del problema palestinese. Dall’altro lato, invece, questo macigno della Siria che ha gravato per decenni su tutto il problema del Medio Oriente affacciato sul Mediterraneo e, soprattutto, sulle vicende inerenti Israele e Libano, potrebbe – se non risolto bene – diventare invece una miccia esplosiva che potrebbe veramente compromettere anche quel po’ di equilibrio tra guerra e pace che si è avuto in Medio Oriente fino ad oggi. (gf)

    inizio pagina

    Il ruolo dei cristiani nella “primavera araba”: intervista con l’ambasciatore iracheno presso la Santa Sede

    ◊   Tutto il mondo segue con apprensione i rivolgimenti portati dalla 'primavera araba', di cui s’ignorano gli esiti in gran parte dei Paesi coinvolti. Ma quale ruolo stanno giocando i cristiani in Medio Oriente in questo contesto di grandi speranze, ma anche di timori? Roberta Gisotti lo ha chiesto all'ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, Habeeb Mohammed Hadi Ali Al Sadr:

    R. - (Parole in arabo)
    I cristiani arabi sono parte integrante del tessuto sociale arabo, per questo anche su loro ricade quanto accade a questo tessuto, nel bene e nel male. Quanto ai loro timori per le rivolte nei loro Paesi, dobbiamo capirne bene le cause. Basti solo pensare che uno degli effetti di tali proteste è stato il mettere i cristiani del Medio Oriente di fronte a scelte difficili, tra le quali lo stare accanto ai regimi totalitari, a motivo dei quali i cittadini hanno già tanto sofferto, o l'affrontare un destino sconosciuto nel quale si poteva assistere all'ascesa al governo di una forza radicale ed estremista capace di eliminare anche questo limitato margine di libertà religiosa che gli attuali governi assicurano. Lo scenario più incerto è offerto dalla società araba rivoltosa che resta divisa al suo interno circa il cambiamento, il leader del movimento, le identità dei manifestanti e la loro visione. Ne risulta che quanto dovrà avvenire dopo non è chiaro. Fa anche paura la mancanza di una soddisfacente alternativa. Questa dovrebbe essere affidabile per mantenere le redini del governo, e fronteggiare le diverse posizioni internazionali riguardo alle proteste. Questo stato delle cose offre l'occasione a qualcuno di cavalcare l'onda delle proteste per far passare intenzioni sospette. Tra questi sono all'avanguardia i fondamentalisti che sono in grado di giocare sulla sensibilità religiosa e cambiare le carte. Questi stessi non hanno ancora abbandonato la folle idea di continuare ad uccidere i cristiani, distruggere le chiese e terrorizzare gli innocenti. Chiaramente senza tutte queste complessità i cristiani arabi sono vivo esempio di uomini liberi che sanno vivere la libertà. Essi sono stati all'inizio del secolo scorso il cuore delle rivolte arabe per l'indipendenza dei loro Paesi e sono teorici del pensiero nazionale arabo.

    D. - Eccellenza, sappiamo quanto i cristiani in Medio Oriente abbiano sofferto in questi ultimi decenni, a causa dei tanti conflitti nella regione, e prova ne è l'emigrazione massiccia all'estero. Quali prospettive si aprono per queste minoranze cristiane? C'è chi paventa un futuro perfino peggiore...

    R. - (Parole in arabo)
    Non sono solo i cristiani ad aver sofferto o ad essere emigrati. Ci sono milioni di loro fratelli arabi di diverse religioni ed etnie oggi in esilio, sparsi nel mondo in ricerca di libertà, dignità e del guadagno onesto. Ma il problema è che i cristiani rappresentano una minoranza nella loro società, quindi i conti dei pochi non sono pari ai conti dei molti. La diminuzione del loro numero porta a limitare il loro ruolo e le loro attività, un tempo molto vivaci e importanti, in una zona considerata culla storica dei cristiani e delle religioni monoteiste. Alla luce di ciò possiamo interpretare la perplessità dei cristiani. Le probabilità che la società araba in rivolta inciampi in conflitti interni e fazioni religiose non è da escludere, soprattutto nelle società multi etniche. Nella maggior parte dei casi chi paga è la parte più debole che non ha forza né furbizia. Ma questo non deve giustificare la loro emigrazione all'estero, perché l'emigrazione è un grande pericolo per la loro esistenza e il loro futuro. Anche il Santo Padre li ha più volte spronati ad essere saldi nella fede e condividere questo peso con i loro fratelli finché Dio non concederà un cambiamento della situazione.

    D. - Se i cristiani sono portatori di pace e non violenza, di dialogo e tolleranza, sono però in molti a pensare che i regimi autoritari o dittatoriali non possano evolvere in democrazie partecipate, e quindi sia comunque necessario abbatterli con rivolte anche armate. Come governare allora questa ondata liberatoria che, almeno apparentemente, parte dal basso?

    R. - (Parole in arabo)
    Partendo dalla loro cultura aperta e tollerante, oggi è richiesto ai nostri cristiani di svolgere il ruolo previsto dalla chiamata a partecipare all'ideazione delle riforme, e aiutare i governi nella ricerca di nuove possibilità di dialogo tra governanti e governati. Si chiede loro di essere parte attiva nella soluzione dei conflitti. Che siano portatori di speranza e pacificatori, per convincere le parti divise a stipulare un patto sociale arabo tra l'islam e il cristianesimo, capace di rispettare i diritti e di stabilire regole di uguaglianza anche alle urne. In questo modo sarà assicurato un cambiamento pacifico del potere a cui non si arriva di certo torcendo le mani o con il linguaggio delle armi. Solo con la creazione di questo patto sociale, gli attentatori non avranno modo di portare a compimento i loro complotti e si eviterà ai popoli arabi altra distruzione, altro sangue ed ulteriori sfollamenti interni ed esterni.

    inizio pagina

    Prosegue in Italia il dibattito sui "licenziamenti facili"

    ◊   Continua in Italia il dibattito sulle norme per la crescita messe in campo dal governo nei confronti dell’Ue per uscire dalla crisi, e in discussione in settimana in Parlamento. Ieri lo sciopero a Roma di Cgil e Uil col proposito, ribadito insieme alle altre forze sindacali, di far fronte comune alle nuove norme sul lavoro in particolare sui licenziamenti per motivi economici, i cosiddetti “licenziamenti facili”. Bocciato per ora il tavolo col ministro del lavoro Sacconi. Dal canto suo il premier Berlusconi, ieri, tornando sull’argomento, ha auspicato il superamento di un sistema lavoro ottocentesco e ha aperto alla proposta del senatore del Pd Ichino. Licenziamenti sì ma con una serie di garanzie, tra cui il sostegno al reddito. E sul tema delle garanzie per i lavoratori si sofferma anche Michele Rizzo presidente della Fondazione per il bene Comune al microfono di Gabriella Ceraso.

    R. – Il premier ha in parte ragione, quando evoca un’immagine ottocentesca e quindi superata dal punto di vista di queste norme sociali. Quello che manca completamente e che rende questa misura sbagliata è il contorno: noi dobbiamo avere un sistema di protezione, di sicurezza che parta dai ragazzi, appena finito il ciclo scolastico, e che si concluda all’età pensionabile, che renda non traumatico un eventuale licenziamento. Quindi, mettere tutti i lavoratori su un percorso che pur non essendo più ottocentesco salvaguardi la loro dignità e anche le loro famiglie. Senza queste norme, presenti in tutti o quasi tutti i Paesi europei, una normativa così penalizzante stimola se non disperazione, sicuramente smarrimento e allontanamento maggiore della gente dalle istituzioni.

    D. – Che cosa dovrebbero fare in questo momento i sindacati? Il ministro Sacconi ha aperto un confronto, ma loro dicono “no” perché la norma sui licenziamenti comunque cancella l’art. 18, per cui non si discute...

    R. – Io penso invece che in un momento così difficile per il nostro amato Paese sia meglio discutere di tutto. I sindacati devono tutelare i lavoratori e comprendere che anche il sistema Italia però deve rimanere competitivo in questo mondo che cambia settimana dopo settimana.

    D. – Il nodo cruciale resta comunque l’occupazione. Secondo uno studio della Cga di Mestre, se nel nostro Paese fosse stato in vigore il provvedimento sui licenziamenti facili proprio in questi anni di crisi, addirittura la disoccupazione sarebbe salita di 3 punti di percentuale rispetto a quella attuale...

    R. – Penso che sia molto difficile ex post giudicare. Detto questo, siccome la fonte è autorevole, noi dobbiamo pensare che il nostro primo obiettivo per una società matura sia quello di garantire a tutti un posto di lavoro che sia decoroso. Quindi, qualsiasi intervento che vada in senso contrario è da respingere. (ap)

    inizio pagina

    Giornata contro l'ictus: ogni sei secondi nel mondo una persona è colpita da questa patologia

    ◊   Si celebra oggi la Giornata mondiale contro l’ictus: ogni sei secondi, nel mondo, una persona viene colpita da ictus e, in Italia, ogni anno si registrano duecentomila nuovi casi. Grazie alla prevenzione i decessi diminuiscono, ma sono tendenzialmente in aumento le persone che, a causa del danno cerebrale, rimangono invalide e non autosufficienti. Ma cos’è l'ictus e quale ruolo hanno la prevenzione e la riabilitazione? Eliana Astorri ha intervistato il prof. Vincenzo Di Lazzaro, associato di neurologia e responsabile dell’Unità Operativa “Stroke Unit” del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma:

    R. – L’ictus è un termine generico che indica l’interruzione del flusso di sangue ad una parte del cervello, che può essere causata sia da un trombo che chiude il vaso – e questa è l’ischemia, ed è il caso molto più frequente – oppure dalla rottura di un vaso cerebrale, e questa è l’emorragia cerebrale, che è meno frequente. Quello che accade in conseguenza di questo fenomeno è che una parte del cervello si spegne, perde la sua funzione e compaiono i sintomi neurologici. Può esserci l’improvvisa perdita di forza di un braccio o di una gamba o di entrambi, la difficoltà a parlare o a capire quello che gli altri dicono, la deviazione della bocca, una improvvisa riduzione del campo visivo. L’ipertensione è una delle più importanti cause di predisposizione alla ischemia cerebrale, come anche all’emorragia cerebrale, il diabete, l’ipercolesterolemia, il fumo e anche abitudini di vita sbagliate, cioè una vita estremamente sedentaria o un eccessivo consumo di alcolici, sono tutti fattori predisponenti.

    D. – Se si tratta di ictus di lieve gravità, possiamo anche non rendercene conto?

    R. – Bè, molto spesso si tende a sottovalutare l’ictus. Il problema dell’ictus, a differenza dell’infarto del cuore, è che non dà dolore. Quindi, se uno magari per un attimo sente che un braccio è più pesante e questo fenomeno dura qualche minuto, si tende a sottovalutarlo. Invece dovrebbe essere preso in seria considerazione, perché quello è il cosiddetto “attacco ischemico transitorio” che molto spesso è il campanello d’allarme che precede un ictus. E allora, se ci si reca in un centro specializzato per la diagnosi e per la cura dell’ictus, si possono fare tutte quelle indagini che consentono di salvare il paziente da un deficit neurologico permanente e anche di salvargli la vita, perché – ad esempio – è possibile rilevare una grave ostruzione di uno dei vasi che porta il sangue al cervello, oppure una condizione di aritmia, tutte condizioni che possono essere corrette e trattate, e può essere fatta la prevenzione. Ma è vero: molto spesso si tende a sottovalutare soprattutto questi disturbi cosiddetti “transitori”.

    D. – Quale percorso fa una persona colpita da ictus, dal momento in ci arriva al pronto soccorso in poi?

    R. – Il percorso dipende un po’ dalla struttura, perché esistono degli ospedali, dei policlinici con centri dedicati alla patologia cerebrovascolare, in cui c’è un percorso elettivo. Quindi, innanzitutto, la valutazione clinica, gli esami di base, la tac e se poi il paziente ha un’ischemia cerebrale ed è arrivato presto al pronto soccorso, è possibile anche effettuare dei cambiamenti che modificano in maniera radicale l’evoluzione: cioè, è possibile disostruire il vaso sanguigno, il che vuol dire che possiamo portare il paziente anche ad un recupero totale dei suoi disturbi. Ma il problema non è tanto quello intraospedaliero: il problema è quello che accade prima dell’ospedale. Già prima facevamo riferimento a questo: è il ritardo con cui avviene che è legato in parte al fatto che lo stesso paziente può non avere consapevolezza della gravità del disturbo. Soprattutto se è colpita una parte del cervello – la parte destra del cervello – può non avere nessuna consapevolezza del suo disturbo. La percezione della gravità può sfuggire completamente se prende la parte destra: non si ha proprio idea della gravità e si tende ad attribuire a fenomeni intercorrenti un evento così grave. Dicevo, la mancanza di dolore non allarma e quindi molto spesso il paziente non chiede un aiuto nell’immediato, oppure si reca nello studio del medico di famiglia il che vuol dire un enorme ritardo: ma qui il tempo è critico! E’ veramente l’elemento centrale. E’ possibile salvare un paziente dalle conseguenze definitive di un ictus o anche salvargli la vita se il paziente giunge nelle primissime ore dopo un ictus, quando è possibile effettuare il trattamento di “trombolisi”. E purtroppo, la percentuale di pazienti che oggi trattiamo è molto minore rispetto all’incidenza di questa patologia. E’ veramente frustrante: è una patologia per la quale disponiamo di cure molto efficaci ma che sono ampiamente sottoutilizzate. Il fattore critico è proprio il ritardo nell’arrivo in un pronto soccorso.

    D. – Ci può parlare della riabilitazione?

    R. – Devo dire che forse questo è uno degli elementi più importanti e di maggiore novità in assoluto. Nell’ambito della riabilitazione abbiamo molti progressi, perché stiamo andando oltre un approccio – come lo era in passato – di tipo empirico: si cercava di far migliorare il paziente, ma non avendo un’idea esatta di quello che si andava ad indurre nel cervello, oggi – con la possibilità di fare una valutazione funzionale del cervello con tecniche come la risonanza magnetica, ma anche con tecniche di stimolazione cerebrale, siamo in grado di vedere quali siano i cambiamenti che avvengono nel cervello dopo un ictus e nel corso della riabilitazione, e quindi siamo in grado di guidare il cervello verso una forma di “plasticità”, cioè una condizione che permette poi il recupero funzionale. Un paziente può riprendere a camminare dopo un ictus, ma può assumere una postura completamente sbagliata. La riabilitazione aiuta a reimpostare correttamente la postura. E questo è particolarmente importante per l’arto superiore, perché quello che accade comunemente è che il paziente tende a fare tutto con l’arto sano, il che porta ad un’ulteriore perdita di funzione dell’arto leso. Quindi, anche quella quota residua di funzionalità dell’arto leso si perde completamente e così si impara a non utilizzare l’arto. Esistono, ad esempio, approcci in cui si arriva a bloccare per alcune ore del giorno l’arto sano in modo da spingere il soggetto ad utilizzare al massimo l’arto più debole e questo nel tempo ha effetti permanenti, in termini di recupero funzionale. (gf)

    inizio pagina

    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   In questa 31.ma Domenica del Tempo ordinario la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù rimprovera l’ipocrisia di scribi e farisei: amano posti d’onore e desiderano essere ammirati, “legano fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito”. Quindi Gesù afferma:

    “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”.

    Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Dura la requisitoria di Gesù oggi nel Vangelo: e per di più pronunciata negli spazi attorno al Tempio santo. Parole taglienti, espressioni ironiche, contro i finti pii che gironzolano in abbigliamenti vistosi e con aria falsamente devota. Sembra di vederli passare davanti questi rabbì dalle vesti ampie e fruscianti, quasi ad appropriarsi della religiosità della gente a proprio beneficio e onore. Anche i profeti avevano talvolta usato espressioni sarcastiche e pungenti: ne abbiamo un saggio chiaro nella prima lettura di questa domenica, tratta dal profeta Malachia. Ma quasi a ristabilire le proporzioni e la fiducia, la seconda parte del Vangelo insiste piuttosto sulla ragione della modestia e della fraternità: perché l’unico maestro e l’unica guida è Dio. E fra i discepoli deve dominare la fraternità e la vera solidarietà nella fede. E poi Paolo aggiunge di suo, nella seconda lettura, il ricordo di un servizio fatto con sentimenti caldi e premurosi, come quelli di una madre, e allo stesso tempo autorevole, come lo fa un padre coscienzioso e rispettoso. Ecco, in prossimità della festa di tutti i Santi, è opportuno questo richiamo ad uno stile di vita cristiana dove ci si aiuta mutuamente a vivere da figli e da fratelli, ad essere discepoli e testimoni di Dio, Padre di tutti, davanti al quale nessuno può fingere quello che non è. Le ipocrisie durano poco.

    inizio pagina

    Chiesa e Società



    I vescovi europei all’Ue: unità e solidarietà per superare la crisi, no alle accuse reciproche

    ◊   I Paesi europei si astengano dal darsi reciprocamente la colpa per l’attuale crisi economica e finanziaria, ma piuttosto si assumano insieme la responsabilità di trovare una soluzione. È questa, in sintesi, l’esortazione lanciata dalla Comece (Commissione degli Episcopati della Comunità Europea) all’Unione Europea, al termine dell’Assemblea plenaria autunnale, svoltasi a Bruxelles dal 26 al 28 ottobre. Dedicato al tema “La crisi finanziaria e il futuro dell’integrazione europea”, l’incontro ha voluto ribadire l’appello lanciato dei vescovi ai leader europei affinché adottino una prospettiva politica a lungo termine per uscire dalla crisi. “Le cause principali della crisi – si legge nel comunicato finale diffuso al termine dell’Assemblea episcopale – sono strutturali, radicate soprattutto nel breve termine e nelle scelte politiche spesso motivate dal contesto elettorale”. Il che implica che “tali scelte spesso riflettono comportamenti individuali di consumismo finanziario”. Di fronte a questa situazione, la Comece esorta l’Europa a non praticare “una cultura della colpa, che non porta da nessuna parte”, ma a “restare unita e ad esercitare la solidarietà”, poiché “crisi non significa necessariamente declino, ma può essere anche un’opportunità di rinnovamento”. I vescovi europei, poi, salutano con favore l’intesa raggiunta dal vertice europeo del 26 ottobre che prevede il potenziamento del fondo “salva-Stati”, innalzabile fino a circa mille miliardi di euro, e un nuovo piano di salvataggio per la Grecia, grazie alle banche che hanno accettato una svalutazione del 50% dei titoli ellenici posseduti. Tuttavia, la Comece si dice consapevole che questa soluzione tecnica e a breve termine “sarà insufficiente”, mentre è necessario “sviluppare una visione a lungo termine riguardante le istituzioni europee e il modello socio-economico che esse propongono”. In particolare, i presuli ribadiscono che “bisogna prendere meglio in considerazione gli interessi delle generazioni più giovani, che rischiano di essere le principali vittime della crisi”. Inoltre, i vescovi si dicono convinti che “la Chiesa può essere una forza di coesione e di speranza all’interno delle società europee, minacciate da populismo e divisioni”. Anche perché “le radici principali della crisi attuale sono morali e spirituali. Il relativismo sta cambiando il senso di responsabilità personale e collettiva, così come il senso del bene comune nella prospettiva a lungo termine”. Dal suo canto, invece, “la Chiesa aiuta i più deboli della società, proprio attraverso quei servizi sociali che promuovono la dignità umana ed il bene comune contro le tendenze individualistiche”. Infine, la Comece annuncia, per il gennaio 2012, la pubblicazione di un documento dedicato a “La comunità europea di solidarietà e responsabilità”. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Prima plenaria episcopale dopo l’indipendenza del Sud Sudan: pace e giustizia per il Paese

    ◊   Pace, unità, responsabilità condivise nel progresso del Paese, uguaglianza dei diritti, importanza del ruolo della Chiesa: sono i temi contenuti nel messaggio diffuso ieri dalla Conferenza episcopale del Sudan (SCBC), al termine della sua Assemblea Plenaria svoltasi a Wau, la prima dopo l’indipendenza del Sud Sudan, proclamata il 9 luglio scorso. All’inizio del lungo documento, i vescovi ricordano innanzitutto di voler restare riuniti in un’unica Conferenza in nome di “una storia condivisa, poiché “siamo tutti figli di Dio, indipendentemente dai confini geografici, dalle etnie, dalla religione, dalla cultura o dagli schieramenti politici”. Tuttavia, sono stati istituiti due Segretariati, uno a Juba, nel Sud Sudan, e uno a Khartoum, in Sudan, “per implementare il lavoro pastorale dei vescovi di ciascuna nazione”. In questo senso, si legge nel messaggio, “la Chiesa continuerà a giocare un ruolo pubblico in entrambi i Paesi. Il nostro ruolo non è politico, ma piuttosto noi vescovi teniamo i due Paesi, i loro governi ed i loro cittadini, legati alla responsabilità nei confronti dei valori del Vangelo”. Per questo, la SCBC ribadisce la propria volontà di restare unita nell’attenzione “alla dignità e alla santità della vita umana, al bene comune, alla solidarietà e ai diritti umani fondamentali”. Poi, respingendo il concetto di “protezione delle minoranze”, i vescovi insistono su “l’uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini” e chiedono “il rispetto della diversità umana creata da Dio, sia essa etnica, culturale, linguistica o religiosa”. Un ulteriore appello viene lanciato per “una governance aperta, trasparente e democratica in entrambe le nazioni”, le quali “devono imparare a vivere in pace non solo l’una con l’altra, ma anche ciascuna al suo interno”. Per questo, la SCBC rigetta “tutte le politiche che opprimono, emarginano o snaturano l’umanità dei cittadini”: “Sia il Sudan che il Sud Sudan sono Paesi poveri – scrive – e quindi tutte le loro energie dovrebbero essere spese per lo sviluppo e per la pace”. In questo senso, “sia i governi che la Chiesa sono chiamati ad un esercizio responsabile dell’amministrazione. La leadership andrebbe vista come un servizio alla comunità, non come un potere o un profitto personale”. Bando, quindi, alla corruzione, definita “inaccettabile”, mentre priorità deve essere data ai servizi per i cittadini. E in quest’ambito, continuano i vescovi sudanesi, “la Chiesa continuerà a giocare il suo principale ruolo, soprattutto nel settore sanitario e in quello educativo”. Rivolgendosi, poi, al Sud Sudan, i presuli ricordano che “non solo il governo, ma anche tutti i leader politici ed i cittadini hanno la responsabilità di costruire la nuova nazione”. Al Sudan, invece, la Chiesa assicura la sua continua presenza ed il suo operato, chiedendo però “una giusta soluzione per la questione della cittadinanza”. D’altronde, dopo anni di conflitto, “la riconciliazione è essenziale”, purché – scrivono i vescovi – “siano poste alcune condizioni necessarie”, come “l’educazione, la sicurezza ed una certa stabilità e maturità politica”. Anzi, l’auspicio della Chiesa sudanese è che la pace tra i due Stati non sia solo “la mera assenza di un conflitto”, ma piuttosto “lo sviluppo di un processo di verità e di riconciliazione”. Dal suo canto, la Chiesa sudanese “continuerà a fare tutto il possibile per unire la popolazione in verità, giustizia, pace, misericordia, amore e perdono”. Quanto ai conflitti tuttora in corso, come quelli nel Sud Kordofan, sui Monti Nuba, nello Stato del Nilo Azzurro, nell’Equatoria Occidentale ed Orientale e ad Abyei, la SCBC chiama tutti i governi, sia nazionali che internazionali, ad adoperarsi per una soluzione pacifica, implementando i protocolli dell’Accordo di pace comprensivo, stipulato tra nord e sud Sudan nel 2005: “Respingiamo ulteriori militarizzazioni di questi conflitti – si legge nel messaggio – e chiediamo ai governi ed alla comunità internazionale di lavorare per accordi negoziati. Lanciamo un appello per una maggiore protezione ed assistenza umanitaria a favore di tutte le popolazioni colpite da tali conflitti”. Riaffermando ancora una volta l’impegno della Chiesa per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, la cura dei poveri, la salvaguardia del Creato, la solidarietà, la sussidiarietà e la promozione della pace, i vescovi sudanesi ringraziano quindi tutti gli agenti pastorali per la loro “testimonianza disinteressata”, esortandoli al contempo a proseguire il loro operato “con un rinnovato impegno per l’evangelizzazione”. Infine, i presuli affidano i fedeli all’intercessione di due Santi significativi: la sudanese Giuseppina Bakhita e Daniele Comboni, patrono dell’Africa. (A cura di Isabella Piro)

    inizio pagina

    Filippine: ancora irrisolti la maggior parte dei casi di omicidio dei sacerdoti

    ◊   Padre Fausto Tentorio, barbaramente ucciso nelle Filippine il 17 ottobre scorso, è stato solo l’ultimo dei 13 sacerdotii uccisi sull’isola di Mindanao dal 1970 ad oggi. Si tratta di omicidi irrisolti, che solo nel caso di padre Tullio Favali, ucciso nel 1985, hanno visto l’accertamento dei responsabili del delitto. “C'è un cultura dell'impunità che va urgentemente combattuta con tutti i mezzi. Per tutti questi preti uccisi, ma anche per tanti leader laici della società civile, non sappiamo chi siano gli esecutori e i mandanti e quali ragioni vi sono dietro agli omicidi. Possiamo solo immaginarle", riferisce all’agenzia Fides mons. Jose Cabantan, vescovo di Malaybalay e presidente della Commissione episcopale per i popoli indigeni a Mindanao. Secondo il presule, "il problema, anche nel caso di padre Tentorio, è che i testimoni hanno paura e sono reticenti". "Sappiamo che in passato padre Tentorio aveva già ricevuto minacce dai gruppi paramilitari”, ha aggiunto il vescovo, e che “tali gruppi sono legati alle compagnie minerarie che espropriano le terre agli indigeni, che il missionario difendeva. Questo è un punto di conflitto sui cui si deve investigare", Mons. Cabantan lancia anche un appello: "Come Chiesa chiediamo al governo di realizzare un serio programma di protezione per i testimoni, perchè emerga la verità e perché tale nefasta cultura dell'impunità, che regna a Mindanao, venga sradicata. Questa deve essere una priorità nell'agenda di governo, per preservare la vera democrazia e lo stato di diritto". I 13 preti uccisi (4 degli Oblati di Maria Immacolata, tre del Pontificio Istituto Missioni Estere, un Clarettiano, un Gesuita, un Verbita, un missionario di San Colombano, due preti diocesani), erano tutti impegnati nel servizio pastorale e hanno testimoniato l'amore di Cristo dedicandosi alla promozione, allo sviluppo, alla tutela dei diritti umani, all'evangelizzazione delle popolazioni più povere ed emarginate dell'isola. (M.R.)

    inizio pagina

    Pakistan: lettera aperta del partito di governo contro la legge sulla blasfemia

    ◊   Il giudice Arif Iqbal, il governatore del Punjab Salmaan Taseer, il ministro Shahbaz Bhatti. Sono solo alcune delle vittime uccise per essersi battute contro la legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan e, dopo la loro morte, “le minoranze religiose in Pakistan sono gravemente più insicure”, mentre “criminali stanno usando questa legge per proteggere i loro interessi e danneggiarne gli altri”. E’ quanto afferma una lettera aperta inviata alle maggiori autorità giudiziarie e politiche pakistane dal Partito Popolare del Pakistan (PPP), il partito che guida la coalizione di governo. La lettera prende spunto dal caso di Mumtaz Qadri, l’assassino del governatore Taseer, condannato a morte e difeso dai gruppi integralisti, e invita a riflettere sulle leggi islamiche ancora in vigore, risalenti ai tempi del dittatore Zia-ul-Haq. Nella missiva si nota come, prima del 1985, quando Zia promulgò la legge sulla blasfemia come è attualmente, “era difficile vedere un caso di blasfemia o casi di omicidio in nome della blasfemia”.“Tutti i cittadini che amano la nazione, anche musulmani, sono preoccupati per tale situazione”, si legge nella lettera, soprattutto per l’urgenza di garantire un’equa amministrazione della giustizia nei casi che riguardano le minoranze religiose. Secondo fonti dell’Agenzia Fides, “la presa di posizione del PPP, in questa delicata fase, è importante e coraggiosa ma occorre vedere se davvero avrà un impatto sulla situazione dei tribunali in Pakistan, pesantemente condizionati dagli estremisti islamici”. Tra le persone che stanno subendo gli effetti della legge sulla blasfemia c’è anche la cristiana Asia Bibi, condannata nel 2010 dal tribunale di Kasur a 25 anni di prigione sotto l'accusa di aver profanato il Corano toccandolo con le mani non lavate, insieme con suo marito, Munir Masih. Dopo otto mesi di carcere, gli avvocati della donna hanno chiesto la libertà su cauzione e l’Alta corte di Lahore si pronuncerà in un’udienza prevista il 10 novembre prossimo. Secondo fonti dell’agenzia Fides “entrambi rischieranno di essere vittime di omicidi extragiudiziali per mano di estremisti islamici, che non ammettono che dei ‘blasfemi’ siano vivi e liberi” e “la storia dei coniugi Masih è un classico esempio di abuso della legge di blasfemia e di come i cristiani in Pakistan soffrano persecuzioni, perseverando nella fede in Cristo” (M.R.)

    inizio pagina

    I vescovi dell'Asia: promuovere uno stile di vita alternativo per la salvaguardia dell'ambiente

    ◊   “Tutti i popoli dell’Asia hanno la missione di difendere e promuovere l’integrità della creazione”: è il richiamo contenuto nella dichiarazione finale del seminario sui cambiamenti climatici organizzato la scorsa settimana dalla Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (FABC) a Bangkok, in Thailandia. Sul tema “Cambiamenti climatici e loro impatto in Asia - Le sfide e la risposta della Chiesa in Asia” si sono confrontati una cinquantina di rappresentanti delle 16 Conferenze episcopali della FABC oltre a laici, religiose, sacerdoti, vescovi e cardinali che hanno partecipato come membri associati che al termine dell’incontro hanno voluto sottolineare in un documento qual è il compito fondamentale della Chiesa in Asia. “Chiamare alla conversione radicale, promuovere uno stile di vita alternativo, una nuova cultura di rispetto della natura, della semplicità e sobrietà, di speranza e di gioia”: questo in sintesi il messaggio contenuto nella dichiarazione finale pubblicata sul sito www.fabc.org, dove viene anche puntualizzata l’importanza della dottrina sociale della Chiesa in relazione alla salvaguardia dell’ambiente. Firmato da mons. Orlando Quevedo, vescovo di Cotabato, nelle Filippine, segretario generale del FABC, e da mons. Josef Sayer, presidente del MISEREOR (organizzazione di vescovi cattolici tedeschi per la cooperazione allo sviluppo), il testo riconosce inoltre la grave situazione di povertà causata ogni anno dai cambiamenti climatici provocati anche dalla responsabilità umana, in rottura con l’armonia del creato. La Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia lancia inoltre un appello perché venga costituita una agenzia/sportello sulla protezione del clima con il compito di: far riflettere sul mistero e la verità della creazione di Dio, sulla responsabilità etica e morale nei confronti dell’ambiente; promuovere iniziative per la protezione del clima; stabilire collegamenti con altre conferenze episcopali e con le Nazioni Unite per affrontare la sfida globale del cambiamento climatico. Nel documento redatto al termine del seminario si invitano inoltre le conferenze episcopali dell’Asia a sviluppare piani d’azione e ad intensificare programmi contro i cambiamenti climatici, e tutte le Chiese locali e a vivere uno stile di vita che rispetti la creazione. La Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia invita poi quanti hanno responsabilità politiche ed economiche a considerare la protezione del clima come questione primaria e tutti i governi a limitare il riscaldamento globale. (H.T.B.)

    inizio pagina

    Indonesia: crescono le polemiche sulla proposta di legge sulla "tolleranza religiosa"

    ◊   In Indonesia la nuova legge sulla tolleranza religiosa non è ancora entrata in vigore ma ha già raccolto controversie, polemiche e contestazioni da un vasto fronte della società civile. La norma è stata presentata al parlamento indonesiano nel febbraio del 2011. Dopo una serie di discussioni fra i membri della "Commissione 8" ed esponenti del governo la legge ora non si sa quando sarà portata a termine. Padre Benny Susetyo, portavoce della Commissione interreligiosa della Conferenza episcopale indonesiana, ha dichiarato ad AsiaNews che il problema da risolvere non riguarda tanto la tolleranza religiosa ma “la creazione di una legge che garantisca la libertà di praticare la propria fede”. Il sacerdote ha quindi spiegato che la Costituzione del 1945 non ha chiarito alcuni punti fondamentali e temi tecnici sul come garantire la libertà di praticare la fede. “Così, nella mia opinione personale, la cosa più urgente è rendere concrete le norme sulla libertà di pratica religiosa”. Critiche sono emerse anche in un’ampia discussione svolta di recente dal Partito del risveglio nazionale (Pkb), un partito islamico moderato fondato dal presidente Abdurrahman Wahid in cooperazione con l’Asian Muslim Action Network. E studiosi di diverse università hanno espresso le loro forti obiezioni perché ci sono aspetti trattati in maniera non adeguata dalla norma. Alcuni sostengono che invece di promuovere la tolleranza fra le fedi in un Paese che di recente ha visto scontri fra cristiani e musulmani, la legge va in direzione opposta, creando nuovi seri problemi fra le denominazioni religiose e nelle relazioni fra i cittadini e lo Stato in tema di libertà religiosa. A metà ottobre si è svolto anche un seminario in Parlamento, in occasione del quale tre noti studiosi musulmani e cattolici hanno fatto le loro critiche da prospettive diverse. I tre erano il gesuita e professore di filosofia e politica, Franz Magnis-Suseno, dell’Istituto della scuola di filosofia; la prof.ssa Siti Musdah Mulia, dell’Università statale islamica e presidente della Conferenza indonesiana su pace e religione (Icrp) e il dott. Ali Munhanif, della stessa università. I tre erano d’accordo sul fatto che la legge ha creato qualche serio problema, piuttosto che promuovere la tolleranza religiosa. Secondo la prof.ssa Siti Musdah Mulia la legge è di per sé un’idea falsificante. “Non ho idea su quale tipo di tolleranza religiosa la legge comprende. La legge non ha nulla da dire su questo tema fondamentale”. Musdah Mulia ha poi aggiunto che il governo indonesiano riconosce cinque religioni ufficiali nel Paese: cristiani, islamici, indù, buddisti e confucianesimo (Kong Hu Cu). Ma ci sono milioni di indonesiani che praticano credenze religiose particolari senza reclamare ufficialmente un’identità religiosa, e lo Stato non è chiamato a intervenire. La prof.ssa ha quindi dichiarato che il governo indonesiano ha fornito un’immagine della situazione della tolleranza religiosa nel Paese diversa da quella reale. Il prof. Franz Magnis-Suseno ha invece affermato che la legge si presta a interventi inattesi da parte dello Stato e da parte di chi ha degli interessi precisi. Il professore gesuita si riferiva in particolare al capitolo 17, paragrafo 2, in cui si dice che la proclamazione della propria fede da una qualsiasi religione verso l’esterno può essere diretta solo a chi non ha già adottato nessuna religione, o verso gli atei. Questa è una regola problematica, perché lo Stato, ufficialmente, ha raccomandato che ogni cittadino indonesiano adotti legalmente una religione specifica. Un altro problema politico e legale nascerà facilmente quando chi è senza religione diventerà il probabile capro espiatorio di azioni organizzate politicamente, in particolare i comunisti, come è accaduto in precedenza sotto il regime di Suharto (1967-1998). Essere ateo resta dunque politicamente pericoloso in Indonesia. Il sacerdote ha poi affermato che il termine di “seminare la fede” è problematico, dal momento che ogni religione ha la sua particolare definizione di proclamazione della fede. Cristiani e cattolici hanno la propria definizione, mentre l’islam esercita lo stesso spirito in un’atmosfera diversa. C’è infine il problema dei luoghi di culto. Sembra ridicolo che ogni piano per la costruzione un qualsiasi luogo di culto richieda l’approvazione della maggioranza degli abitanti del posto. “È dichiarato dallo Stato che ogni luogo di culto può essere creato – ha sottolineato in conclusione il religioso -, se provvede a un parcheggio adeguato e non disturba gli altri”. (M.G.)

    inizio pagina

    Turchia. Voli umanitari dell'Acnur per gli sfollati del terremoto

    ◊   L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur), ha organizzato 4 voli umanitari per rispondere alla richiesta di aiuto in favore delle vittime del devastante terremoto che ha colpito l’est della Turchia. Il primo aereo è atterrato venerdì ad Erzurum, trasportando 37 tonnellate di aiuti d’emergenza, prelevati dal deposito Acnur di Dubai, mentre altri tre voli sono previsti fino a lunedì prossimo. Su ogni volo viaggeranno circa 500 tende e 10.000 coperte, che insieme agli aiuti Acnur già presenti in Turchia andranno a costituire una risposta complessiva di 4.000 tende, 50.000 coperte e 10.000 materassi. Gli aiuti trasportati in aereo saranno poi trasferiti su camion e portati immediatamente nella città di Van e nelle aree circostanti per essere distribuiti. Riferisce l'Acnur in un comunicato che l’impatto complessivo del sisma è ancora da accertare e che nella sola Van centinaia di edifici sono collassati e migliaia di altri sono inagibili. Ed è proprio la necessità di alloggi una della priorità per gli aiuti. Oltre alle oltre 25.000 tende già distribuite dalle autorità, il governo turco ha lanciato un appello per 40.000 tende attrezzate per l’inverno e 40.000 alloggi temporanei. Per sostenere le operazioni delle autorità, in questi giorni l’Acnur invierà a Van altri team di operatori esperti in protezione per assistere i rifugiati e i richiedenti asilo sulle modalità per accedere all’assistenza d’emergenza e per identificare eventuali necessità specifiche, che potrebbero far optare per il trasferimento delle persone più vulnerabili o di quelle con particolari necessità mediche. (M.R.)

    inizio pagina

    Somalia: l'Unicef vaccina 750 mila bambini denutriti. Nuovi scontri nel Paese

    ◊   Malnutrizione e malattie infettive sono i maggiori pericoli che rischiano di colpire ancora la Somalia, a cento giorni dalla dichiarazione ufficiale di carestia. La denuncia arriva dall’Unicef, che in un comunicato annuncia le prossime mosse per evitare un’altra ondata di vittime, dopo la siccità dei mesi scorsi. Questa settimana a Mogadiscio l’Unicef e l’Oms hanno organizzato una campagna di vaccinazione contro il morbillo per 750.000 bambini di età compresa tra 6 mesi e 15 anni. I bambini gravemente malnutriti, infatti, hanno 9 volte più probabilità di morire per malattie infettive come morbillo, colera e malaria rispetto agli altri bambini. In tutto il paese, decine di migliaia di bambini sono morti nei mesi scorsi, e altre centinaia muoiono ogni giorno. Qualsiasi ritardo o interruzione nella fornitura di aiuti diventa una questione di vita o di morte”, dichiara Sikander Khan, rappresentante Unicef in Somalia, che aggiunge: esorto tutte le parti in conflitto a soddisfare l’obbligo morale e legale di dare sicurezza e protezione ai bambini e alle donne che già stanno affrontando un disastro”. Combattimenti e insicurezza nell’area di confine hanno portato ad una diminuzione significativa nel numero di cittadini somali che attraversano la frontiera con il Kenya, passati a 100 a settimana tra il 17 e il 23 ottobre, rispetto ai 3.400 delle settimane precedenti. "L’intensificarsi dei combattimenti in tutto il Sud della Somalia sta rendendo ancora più difficile ai nostri partner la distribuzione di aiuti salvavita per i bambini e le loro famiglie" afferma Elhadj As Sy, direttore regionale dell’Unicef per l’Africa orientale e meridionale. “Le piogge di queste settimane porteranno sollievo alle zone colpite dalla siccità in Somalia e nei Paesi limitrofi”, anche se, prosegue As Sy, aumenteranno “anche il rischio di epidemie e gli ostacoli alla distribuzione degli aiuti”. Nonostante la sospensione temporanea di tutte le attività umanitarie nei campi profughi di Dadaab, nel Nord-est del Kenya, a causa del rapimento di due operatori umanitari, l’Unicef è intenzionato a proseguire il proprio impegno per curare i bambini gravemente malnutriti e malati, oltre a fornire acqua potabile, istruzione e protezione attraverso le organizzazioni partner. Dal 20 luglio sono stai curati dall’Unicef quasi 110.000 bambini gravemente malnutriti, mentre a più di 2,6 milioni di persone è stato dato accesso allacqua potabile. Inoltre a più di 1,5 milioni di persone sono state fornite informazioni sulle misure igieniche di base, mentre 8.700 tonnellate di aiuti salvavita sono stati consegnati via aerea, terra o mare nella Somalia meridionale e centrale. (M.R.)

    inizio pagina

    Nepal. Crimini contro i minori, sempre più alto il tasso di impunità

    ◊   Le minacce alle vittime e l’assenza di meccanismi di tutela per i testimoni stanno minando il sistema giudiziario nepalese che risulta sempre più incapace di condannare i responsabili di crimini e brutalità contro i minori. Particolarmente allarmante risulta la situazione dei giovani detenuti, oltre 32% dei quali, secondo un recente sondaggio citato dalla Fides, ha riferito di torture o maltrattamenti subiti nel periodo che va gennaio a giugno 2011. Nonostante le torture siano considerate fuori legge in Nepal da circa 20 anni, non è stato ancora mai condannato nessun "carnefice" secondo l’articolo 7 del Children Act. Il sistema giudiziario ha dunque fatto progressi nel settore della tutela dei diritti umani ma va molto a rilento nella lotta contro gli abusi e nelle condanne contro i colpevoli. Ad esempio, il Torture Compensation Act 1996, prevede sanzioni ministeriali nei casi in cui sia stata verificata una tortura. Tuttavia, mentre il tribunale ha più volte comprovato le torture e risarcito le vittime, raramente ha perseguito azioni contro i responsabili. Alla luce di questi dati, l’Asian Human Rights Commission e il Center for Victims of Torture-Nepal hanno sollecitato il governo ad accelerare il processo di criminalizzazione di questo fenomeno attraverso l'adozione di sanzioni proporzionate alla gravità del reato, e in linea con gli standard accettati a livello internazionale dei diritti umani. (M.G.)

    inizio pagina

    Terra Santa. Pellegrinaggio al fiume Giordano per ricordare il Battesimo di Gesù

    ◊   Si è svolto giovedì scorso il tradizionale pellegrinaggio al fiume Giordano delle comunità cattoliche di Terra Santa, guidato dal custode padre Pierbattista Pizzaballa. Centinaia i pellegrini provenienti da Gerusalemme, Gerico, Betlemme e dagli altri territori palestinesi e israeliani, ma anche dall’estero, che si sono ritrovati lungo la riva del Giordano per la celebrazione della Messa. Padre Pizzaballa, accompagnato da decine di confratelli concelebranti, si legge sul sito del patriarcato latino di Gerusalemme www.lpj.org, ha presieduto la suggestiva celebrazione che ha ricordato il mistero del Battesimo di Gesù, rivelato al mondo come Figlio di Dio all’inizio della sua vita pubblica, grazie alla testimonianza di Giovanni Battista. La Custodia di Terra Santa ha organizzato il pellegrinaggio al fiume Giordano per l’ultimo anno, grazie alla recente apertura al pubblico dell’antico sito da parte dell'autorità israeliana, la data del pellegrinaggio è stata spostata alla prima domenica dopo la festa dell’Epifania, secondo il calendario liturgico della Chiesa cattolica. Dunque, nel 2012, il raduno nelle sponde del Giordano si svolgerà l’8 gennaio, festa del Battesimo del Signore. (A cura di Tiziana Campisi)

    inizio pagina

    Rinnovamento nello Spirito. Incontro di Cultura della Pentecoste alla luce del Forum di Todi

    ◊   Domani sera, presso il Palacongressi di Rimini, si terrà un incontro di Cultura della Pentecoste sul tema “No, non dobbiamo affliggerci come chi non ha speranza (cf 1 TS 4, 13): una speranza che attira – dentro il presente – il futuro” (Spe salvi n. 7)”. Alla tavola rotonda, moderata da Umberto Folena, caporedattore centrale di Avvenire, interverranno: Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS); Maria Voce, presidente dei Focolari; Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli. In sala, saranno presenti, tra gli altri: Raffaele Bonanni, segretario della Cisl; Franco Pasquali, coordinatore di Retinopera; Natale Forlani, portavoce del Forum delle persone e delle associazioni cattoliche del lavoro. All’appuntamento si ritroveranno, per la prima volta, alcune tra le principali realtà presenti al Forum di Todi per continuare a riflettere sul prosieguo del cammino dopo il dialogo intrapreso lo scorso 17 ottobre. Partendo da alcune espressioni di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e del cardinale Angelo Bagnasco, si discuterà su tematiche di rilevanza sociale per le quali si invoca un nuovo protagonismo del laicato aggregato in forza dei diversi carismi. L’evento si svolge nell’ambito della 35.ma Conferenza nazionale animatori RnS, in programma da oggi pomeriggio fino a martedì 1 novembre, sul tema “Pregate perché la Parola del Signore corra” (cf 2 Ts 3, 1), a cui prenderanno parte oltre quattro mila tra responsabili e animatori del Movimento provenienti da tutta Italia e dai Gruppi italiani presenti in Svizzera e Germania. “Noi crediamo - ha dichiarato il presidente Martinez - che sia possibile riformare la coscienza sopita ed erronea di tanta gente delusa e impaurita mediante il rilancio dell'idealismo cristiano, in ogni tempo vero e potente agente di trasformazioni, di rinnovamento, di sviluppo. Prima che la politica, è in crisi l'uomo e la sua responsabilità per il prossimo. Ecco perché serve un'iniezione benefica di vita spirituale nelle trame sfibrate della vita sociale del Paese. Abbiamo la responsabilità di proporre una visione alta della vita alle nuove generazioni – ha concluso Martinez - unitamente ad una testimonianza credibile di vita nuova per la promozione del bene comune”. Il RnS è un Movimento ecclesiale che in Italia conta più di 200 mila aderenti, raggruppati in oltre 1.900 gruppi e comunità.

    inizio pagina

    Convegno di pastorale sociale a Rimini sul tema "Educare al lavoro dignitoso"

    ◊   “Educare al lavoro dignitoso” è il tema che ha scandito i lavori del Convegno nazionale dei direttori diocesani di pastorale sociale che si è svolto in questi giorni a Rimini. La tre giorni è stata chiusa ieri dall’intervento del vescovo ausiliare di Milano, mons. Franco Giulio Brambilla, che ha anticipato le principali sfide da affrontare in vista del VII Incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano dal 28 maggio al 3 giugno 2012. Il presule, citato dal Sir, ha puntato il suo discorso sul controverso rapporto tra “lavoro e festa”, due momenti “che devono infrangere uno dei muri oggi più difficili da abbattere, quello che separa famiglia e società”. Mons. Brambilla ha sottolineato, da una parte, l’esigenza di “aprire la casa” perché “l’amore vero in una famiglia, può essere vissuto solo dentro un disegno più ampio a livello ecclesiale e sociale”. Nel ricordare l’esempio dei coniugi Bruno ed Enrica Volpi che con Villa Pizzone e l’associazione Mondo di Comunità e famiglia, hanno dato vita ad una casa “accogliente e generante”, mons. Brambilla ha spronato i direttori diocesani della pastorale sociale a verificare la qualità della loro vita familiare, delle loro scelte e speranze prima di passare ad aiutare gli altri. E il lavoro, ha affermato, “può divenire luogo di corretta abitazione nel mondo solo se comprende la festa. C’è bisogno di un giorno dove l’uomo e la donna – precisa il presule – abbiano il coraggio di perdere tempo sapendo che non è tempo perso”. In un contesto in cui “la famiglia moderna ha bisogno del lavoro di entrambi i coniugi per poter sopravvivere”, lo stesso lavoro rischia di diventare motivo di destabilizzazione della coppia. Un rischio che secondo mons. Brambilla, si può verificare su due fronti: quando prevale nella coppia “l’immagine sociale che la persona vale tanto quanto più produce e guadagna” e quando i tempi del riposo dal lavoro dell’uno e dell’altra non coincidono. “Oggi si assiste ad un nuovo rapporto tra tempo del lavoro, del riposo e della festa”, ha poi spiegato il vescovo ausiliare di Milano citando l’economista Stefano Zamagni e riferendosi ai turni che possono non far coincidere la libertà dal lavoro con la domenica. “Il rischio è che il tempo libero sia solo concepito come tempo del riposo del singolo individuo e non come momento di condivisione all’interno e fuori dalla famiglia”. Quello del lavoro domenicale, insieme alla necessità del recupero di una concezione più evangelica dell’uomo e della festa, è uno dei temi trattati anche nei dieci laboratori tematici riservati ai direttori e operatori della pastorale sociale giunti al convegno di Rimini dalle varie diocesi. Tra gli altri, la necessità di educare alla sobrietà e a nuovi stili di vita meno dediti ai miti del consumo, del benessere a tutti i costi e del lusso, e il rapporto tra economia ed etica. (M.G.)

    inizio pagina

    24 Ore nel Mondo



    Trichet: realizzare al più presto il pacchetto anticrisi dell'Ue. Polemiche sulle parole di Berlusconi sull'euro

    ◊   L’accordo Ue di mercoledì "deve essere implementato in modo preciso e veloce", se si vuole ottenere la stabilità finanziaria. Lo afferma il presidente della Bce Jean-Claude Trichet che assicura che l'istituto di Francoforte “monitorerà da molto vicino” l’azione dei governi dell’Eurozona. Intanto, continuano a far discutere le dichiarazioni del premier italiano Silvio Berlusconi che ieri ha definito l’euro “una moneta strana che non ha convinto nessuno e che è di per sé molto attaccabile”. In serata Berlusconi ha rettificato, dicendo che sono state sollevate polemiche pretestuose e che l’Euro è anche la “bandiera” dell’Italia. Alessandro Guarasci ne ha parlato l’economista Alberto Quadrio Curzio, vicepresidente dell’Accademia dei Lincei:

    R. - L’Euro è stata una straordinaria innovazione e un elemento fortemente unificante dell’Europa stessa, come più volte disse il presidente Ciampi. Il fatto che oggi ci siano difficoltà sotto il profilo dei debiti pubblici europei non ha alcuna rilevanza per mettere in discussione l’euro. Anzi, bisognerà muoversi oltre per far sì che queste discussioni abbiano in qualche modo, per la concretezza dei fatti, a cessare.

    D. - Professore, senza l’Euro e con la Lira invece, l’Italia sarebbe stata più soggetta alla speculazione internazionale?

    R. - L’Italia, quando è entrata nell’Euro ha messo molto in sicurezza le proprie condizioni. Non dobbiamo dimenticare che il progresso verso l’Euro ha comportato nel nostro Paese un forte calo del tasso di inflazione, un forte calo dei tassi di interesse e anche una maggiore consapevolezza degli italiani di essere dentro un’entità comune, cioè l’Europa, e di non poter quindi fruire delle cosiddette svalutazioni competitive.

    D. - Professore, lei ha parlato delle difficoltà dei bilanci pubblici europei, ma allora - secondo lei - gli Eurobond potrebbero essere una vera soluzione?

    R. - Certamente. Gli Eurobond dovrebbero adempiere a due scopi: da un lato ritirare una parte dei debiti pubblici nazionali, mettendoli in sicurezza; da un’altra parte finanziare grandi investimenti per una crescita sostenibile e più crescita vuol dire più occupazione, più occupazione vuole dire più sicurezza per le famiglie, per i lavoratori. Tutto ciò darebbe una grande spinta all’Europa. Io sono fiducioso che ciò accada. Naturalmente la speculazione internazionale, in questo momento, e anche le disunioni e le incertezze tra i Paesi europei, stanno creando parecchie difficoltà che non vanno certamente sottovalutate. (mg)

    Obama
    Rafforzare economia e mercato del lavoro negli Stati Uniti. Così il presidente Obama precisando che il Congresso deve adottare misure che favoriscano la crescita. “I problemi economici ha precisato il capo della Casa Bianca nel suo consueto discorso del sabato - non si risolveranno in un giorno ma ci sono iniziative che si possono assumere subito per rimettere la gente al lavoro e restituire sicurezza alla classe media”.

    Turchia
    Almeno due morti e 12 feriti nel sud della Turchia per un attentato suicida avvenuto oggi a Bingol, in un’area a prevalenza curda. Secondo media locali nel mirino degli attentatori c’era la sede provinciale dell’Akp, il partito del premier Erdogan. La polizia turca sospetta che ad entrare in azione sia stata una donna.

    Raffica di attentati in Afghanistan: uccisi 10 soldati della Nato
    Raffica di attentati dei talebani oggi in Afghanistan. Dieci soldati della Nato, tre civili e un poliziotto afghani sono rimasti uccisi nell’attacco di un kamikaze contro un convoglio militare a Kabul. Nel sud del paese, invece, un terrorista travestito da militare ha provocato la morte di altri due soldati stranieri. Nell’est, infine, una ragazza si è fatta esplodere nei pressi di un ufficio dell’intelligence, causando alcuni feriti. Proprio ieri, un rapporto del Pentagono ha affermato che gli attacchi contro le forze Nato sono diminuiti del cinque percento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, ma gli insorti godono di rifugi in Pakistan.

    Pakistan
    In Pakistan i leader tribali del Waziristan, nel nord ovest del Paese, hanno chiesto l’intervento della Corte Suprema per fermare i droni, gli aerei americani senza pilota, accusati di uccidere centinaia di civili. L’appello è stato rivolto anche alle Nazioni Unite. Secondo alcune stime, nelle operazioni segrete della Casa Bianca sono morte finora circa 2 mila persone. Ieri, due poliziotti sono morti in un attentato suicida nel nord ovest del Paese.

    Raid israeliano a Gaza: uccisi almeno 5 miliziani islamici
    E' di almeno 5 miliziani uccisi e decine di feriti il bilancio provvisorio di un raid aereo israeliano in un campo addestramento della Brigata al Quds, il braccio armato del gruppo terroristico 'Jihad islamica', a Rafah nel sud della striscia di Gaza. Lo riferiscono fonti palestinesi. Il gruppo terroristico si è reso responsabile di diverse azioni contro Israele nelle ultime settimane.

    Yemen
    Un funzionario dell’antiterrorismo yemenita è stato ucciso ieri nell’esplosione di un ordigno collocato nella sua auto ad Aden, nello Yemen meridionale. I sospetti si concentrano su al Qaeda. Da quando sono iniziate le proteste contro il governo di Saleh, l’organizzazione terroristica ha preso il controllo di tre città della penisola arabica.

    Tunisia
    In Tunisia sembra tranquilla la situazione oggi nella città di Sidi Bouzid dopo i gravissimi incidenti degli ultimi due giorni. Il coprifuoco, imposto ieri sera, resterà in vigore a tempo indeterminato. Massiccio il dispiegamento forze dell’ordine soprattutto lungo la via principale che porta al centro cittadino. In mattinata testimoni hanno riferito di evidenti colonne di fumo dagli stabili dati alle fiamme dai dimostranti e di cumuli di rifiuti incendiati lungo le strade.

    Alluvioni in Thailandia: migliora la situazione
    Ottimismo in Thailandia sul rischio inondazioni a Bangkok. Lo ha espresso il premier Shinawatra che ha parlato della speranza di un graduale miglioramento della situazione nella prima settimana di novembre. In queste ore, comunque, la capitale resta assediata dall’acqua: l’alta marea ha provocato il rigonfiamento di un fiume causando, però, soltanto allagamenti minori. In serata è previsto un altro picco di alta marea, mentre le barriere protettive restano sotto osservazione nel settore nord della città, dove continua a premere l’enorme massa d’acqua proveniente dalle province centrali allagate da inizio mese.

    Presidenziali in Irlanda
    In Irlanda c’è attesa per l’esito delle presidenziali di giovedì scorso. Michael Higgins, poeta 70enne ed ex ministro della cultura, è saldamente in testa nel conteggio delle preferenze. Mancano ancora dati precisi, tuttavia, gli altri candidati hanno ammesso la sconfitta. Al secondo posto c’è l’indipendente e imprenditore, Gallagher, favorito nei sondaggi, seguito dall’esponente del movimento Sinn Fein, McGuiness. Bassa l’affluenza alle urne, con il 56,11% degli aventi diritti al voto.

    Marocco
    In Marocco, il tribunale antiterrorismo di Salè, nei pressi di Rabat, ha condannato a morte Adil al Atmani, il principale accusato dell'attentato di Marrakesh che a fine aprile causò 17 morti. Ergastolo, invece, per il suo complice. Ancora prevista dal codice penale, il Marocco non applica la pena di morte dal 1992.

    Bosnia
    In Serbia la polizia ha arrestato 15 persone nella regione a maggioranza musulmana di Sandazk, all’indomani dell’attacco contro l’ambasciata Usa a Sarajevo di un estremista islamico serbo. Numerose perquisizioni hanno portato, inoltre, al sequestro di diversi computer, carte Sim e Cd.

    Uruguay
    In Uruguay non andranno in prescrizione i crimini contro l'umanità commessi durante la dittatura militare (1973 - 1985). Lo ha deciso il parlamento di Montevideo che ha abrogato una legge che garantiva l’immunità ai militari. Questa disposizione consentirà di dare il via a 143 processi per tortura e omicidi.

    Perù
    Una forte scossa di terremoto, pari ad almeno 6,3 gradi Richter, ha colpito il centro e il sud del Perù. Fonti locali riferiscono di un’ottantina di feriti: sono stati registrati danni materiali in alcune regioni. Il sisma è avvenuto ieri alle 13:54 ora locale (le 20:54 italiane).

    Ora solare
    Questa notte, alle 3.00, si torna all’ora solare dopo sette mesi di ora legale, ossia dal 27 marzo. Le lancette degli orologi dovranno essere spostate indietro di 60 minuti. (Panoramica internazionale a cura di Eugenio Bonanata e Giovanni Cossu)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 302

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.