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Sommario del 31/03/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: la Chiesa offra ai giovani ragioni di speranza attraverso l'annuncio credibile del Vangelo
  • L’arcivescovo Schevchuk dopo l’incontro con il Papa: Ucraina, laboratorio di ecumenismo
  • Udienze e nomine
  • Il dicastero per il Dialogo Interreligioso ai buddisti per la festa del Vesahk: amicizia e rispetto, "via d'oro" per la pace
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Costa d'Avorio: le truppe di Ouattara puntano su Abidjan. Il vescovo di Agboville: grati per l'appello del Papa
  • Alla Nato il comando delle operazioni in Libia. Il ministro degli Esteri di Gheddafi fugge a Londra
  • Al via i trasferimenti da Lampedusa: diminuisce il numero degli immigrati nell'isola
  • Altri civili vittime della guerra in Afghanistan
  • "Aborigeno tra gli aborigeni": presentato un libro sul missionario benedettino Lucas Salvado
  • Chiesa e Società

  • La solidarietà della Chiesa in Giappone per le vittime dello tsunami
  • Giappone: il sostegno dei missionari francescani per le vittime dello tsunami
  • Bruxelles: plenaria su Chiese cristiane in Medio Oriente e Nord Africa
  • Coree: Seul concede un primo invio di aiuti umanitari al Nord
  • India: ordine di espulsione per un missionario cattolico in Kashmir
  • Indonesia: il dialogo con l'islam al centro di un incontro del Forum delle associazioni cattoliche
  • Malaysia. I cristiani al governo: no alla scritta discriminatoria sulle Bibbie
  • Afghanistan: a Kabul la prima conferenza nazionale della società civile
  • Mine antiuomo: dopo l'Afghanistan, la Colombia è il Paese con il maggior numero di vittime
  • I vescovi Usa stanziano quasi 2 milioni di dollari a favore della Chiesa in America Latina
  • Messico: l’arcivescovo di Leon esorta i narcotrafficanti al pentimento
  • Bolivia. Mons. Sainz: la Chiesa non discrimina mai le altre religioni
  • Il cardinale McCarrick: la Chiesa difenderà sempre la libertà religiosa di tutti
  • Belgio: la Chiesa esaminerà con cura il lavoro della Commissione parlamentare sugli abusi
  • Cina: la peregrinazione dell’urna di Don Bosco, occasione di catechesi
  • Taiwan: la Chiesa chiede di riprendere la moratoria sulla pena di morte sospesa nel 2010
  • Anno giubilare per i 150 anni della Basilica dell’Immacolata a Taiwan
  • Collaborazione tra l’Università cattolica di Friburgo e la Scuola dottorale del Patriarcato di Mosca
  • La Caritas svizzera intensifica gli aiuti per l’emergenza umanitaria in Nord Africa
  • Francia: a Lille ciclo d’incontri sulla famiglia, organizzati dalla Chiesa
  • Conclusi a Roma i lavori del Consiglio permanente della Cei
  • La Comunità dell'Emmanuele festeggia 40 anni di vita
  • 24 Ore nel Mondo

  • Fukushima: nuovo aumento della radiottività nel mare
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: la Chiesa offra ai giovani ragioni di speranza attraverso l'annuncio credibile del Vangelo

    ◊   “Perché la Chiesa sappia offrire alle nuove generazioni, attraverso l'annuncio credibile del Vangelo, ragioni sempre nuove di vita e di speranza”: è l’intenzione generale di preghiera del Papa per il mese di aprile. Un’esortazione ai fedeli sulla quale si sofferma don Maurizio Mirilli, direttore del Servizio per la pastorale giovanile del Vicariato, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. - Il Papa, giustamente, chiede un esempio di radicalità evangelica al mondo degli adulti, ai credenti adulti, perché le nuove generazioni dei giovani hanno bisogno di testimoni credibili: tutti hanno bisogno di testimoni credibili ma, in modo particolare i giovani, che sono i più esigenti da questo punto di vista. Non a caso, quando i giovani incontrano un vero testimone, un vero credente disposto anche a dare la vita per il Vangelo, allora lo seguono sempre.

    D. - Questo aspetto della credibilità forse è proprio la sottolineatura delle parole del Papa. Abbiamo bisogno più di testimoni che di maestri, per citare un predecessore di Benedetto XVI…

    R. - Certo. Paolo VI ci ha lasciato questa frase importante che, poi, tutti i Papi dopo di lui hanno cercato di annunciare continuamente e di vivere anche con la propria vita, basti pensare a Giovanni Paolo II. Tanti giovani lo hanno amato, hanno partecipato agli eventi dopo la sua morte, in tanti verranno alla sua beatificazione e questo proprio perché lui ha incarnato concretamente il Vangelo.

    D. - La beatificazione di Giovanni Paolo II e qualche mese dopo la GMG di Madrid…

    R. - Sono due grandi eventi per tutta la Chiesa e in modo particolare per i giovani che magari sono più disponibili a muoversi, a viaggiare, a stare anche in condizioni di precariato. Alla GMG i giovani sono abituati a dormire per terra, a passare le nottate in preghiera, a fare le veglie e così via.

    D. - Papa Benedetto nelle intenzioni di preghiera parla di ragioni sempre nuove di vita e di speranza: è proprio quello che i giovani cercano da sempre…

    R. - E’ quello che cercano da sempre ed è quello a cui ci invita anche san Pietro nella sua Lettera: rendete ragione della speranza che è in voi. E’ evidente che alla fede ci si arriva non solo attraverso un ragionamento intellettuale ma ci si arriva attraverso un’esperienza concreta. Un giovane, per vivere questa esperienza concreta, ha bisogno di toccarla con mano, di vederla attraverso il vissuto di altri che dicono di credere. Tutto questo dev’essere visibile. Ecco perché “rendete ragione”: mostrate concretamente attraverso la vostra vita che tutto quello che dite è vero e, allora, io crederò. Questa è anche, un po’, la provocazione che un giovane ci fa oggi: tu che dici di credere, mostrami che quello che stai dicendo è vero e che non è una favola. (bf)

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    L’arcivescovo Schevchuk dopo l’incontro con il Papa: Ucraina, laboratorio di ecumenismo

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto stamani in udienza il nuovo arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, Sua Beatitudine Sviatoslav Schevchuk. L’incontro è avvenuto ad una settimana dall’elezione nel Sinodo dei Vescovi della Chiesa greco cattolica ucraina. Mons. Schevchuk, che ha solo 40 anni, in tarda mattinata ha incontrato i giornalisti presso la Sala Stampa della Santa Sede. L’arcivescovo di Kiev ha innanzitutto sottolineato l’urgenza di un’alleanza strategica tra cattolici e ortodossi per dare forza all’annuncio del Vangelo e difendere i valori cristiani in un contesto di avanzata secolarizzazione. Al microfono di Alessandro Gisotti, l’arcivescovo Sviatoslav Schevchuk confida i sentimenti con i quali ha vissuto l’udienza con il Papa:

    R. – Io penso che in questo incontro il Santo Padre abbia manifestato il carisma del Successore di Pietro. Mi ha confermato nella fede. E’ stato molto emozionante che abbia appoggiato la mia nuova missione e abbia posto anche grande fiducia nella mia persona. Appoggiandoci alla Roccia di San Pietro non vacilleremo!

    D. – Quali sono gli impegni, le sfide più importanti per la sua Chiesa?

    R. – La nuova evangelizzazione, l’unità dei cristiani ed anche il servizio sociale che la nostra Chiesa può svolgere in Ucraina e in tutto il mondo.

    D. – Il Papa, all’udienza generale, salutandola, ha messo l’accento sull’importanza dell’unità. Una sua parola sul dialogo ecumenico così importante in Ucraina...

    R. – Il servo di Dio, prossimo Beato, Giovanni Paolo II, ha detto che l’Ucraina è un laboratorio dell’ecumenismo. Noi portiamo avanti questo lavoro, questa missione e speriamo di poter essere utili e partecipare al dialogo ecumenico che svolge la Chiesa cattolica con le Chiese ortodosse ed orientali. (ap)

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    Udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina la presidenza del Consiglio Episcopale Latinoamericano guidata dal cardinale presidente Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida; mons. Robert Zollitsch, arcivescovo di Freiburg im Breisgau (Repubblica Federale di Germania), presidente della Conferenza Episcopale Tedesca; alcuni presuli indiani siro-malabaresi, in visita "ad Limina".

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Papeete (Thaiti), Isole del Pacifico, presentata da mons. Hubert Coppenrath, per raggiunti limiti di età.

    Il Papa ha sollevato dalla cura pastorale della diocesi di Pointe-Noire (Congo-Brazzaville) mons, Jean-Claude Makaya Loemba.

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    Il dicastero per il Dialogo Interreligioso ai buddisti per la festa del Vesahk: amicizia e rispetto, "via d'oro" per la pace

    ◊   Il dialogo fra le diverse fedi è la “scelta alternativa” per la pace. È la convinzione che il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso esprime nel Messaggio per la prossima festa buddista del Vesahk, che la maggior parte dei Paesi orientali celebrerà in date diverse tra aprile e maggio. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La via è “d’oro” perché punta ai valori più alti: la pace, il bene comune. Ed è una via che si sceglie di percorrere nel rispetto reciproco. Offrire questa testimonianza al mondo è mostrare che popoli e fedi diverse possono vivere in concordia. È lo spirito di fondo che pervade il Messaggio del dicastero pontificio per il Dialogo Interreligioso, inviato agli “amici buddisti” alla vigilia dell’annuale festa del Vesahk. “Nel mondo d’oggi, segnato da forme di secolarismo e fondamentalismo che sono spesso nemiche della vera libertà e dei valori spirituali, il dialogo interreligioso – si legge nel Messaggio – può essere la scelta alternativa con la quale troviamo la ‘via d’oro’ per vivere in pace e lavorare insieme per il bene comune”. Il dialogo, si afferma, “è anche un potente stimolo a rispettare i fondamentali diritti umani della libertà di coscienza e della libertà di culto. Quando la libertà religiosa è effettivamente riconosciuta, la dignità della persona umana è rispettata nella sua radice”.

    Il Messaggio, firmato dal cardinale Jean-Louis Tauran e dall’arcivescovo Pierluigi Celata, presidente e segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, si sofferma sul rapporto fra pace, verità e libertà. “Condizione necessaria per perseguire una pace autentica – si legge – è l’impegno a cercare la verità”. Questa naturale “tensione umana verso la verità – asserisce il dicastero vaticano – offre ai seguaci delle diverse religioni una felice opportunità di incontro in profondità e di crescita nel reciproco apprezzamento per i doni di ciascuno”. E le ricadute sociali sono altrettanto importanti, perché la “sincera ricerca” di ciò che è vero e buono rafforza la coscienza morale e le istituzioni civili, mentre “la giustizia e la pace sono fermamente stabilite”.

    Il Messaggio si conclude con l’augurio che la celebrazione del Vesakh sia “fonte di arricchimento spirituale” e “occasione per dare nuovo slancio alla ricerca della verità”, al fine di “mostrare compassione verso tutti coloro che soffrono” e l’impegno a “vivere insieme in armonia”. La festa del Vesakh è caratterizzata da una data mobile. Quest'anno sarà celebrata, secondo le differenti tradizioni, l'8 aprile in Giappone e il 10 maggio in Corea, Cina, Taiwan, Vietnam, Singapore per i buddisti “mahayana”. Il 17 maggio verrà celebrata invece per i buddisti della scuola "theravada", in Paesi come la Thailandia, lo Sri Lanka, la Cambogia, la Birmania, il Laos ecc.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In rilievo, nell’informazione internazionale, la crisi libica: secondo la Cina le incursioni potrebbero violare la risoluzione Onu.

    Il segno del comando: in cultura, Jacques-Charles Gaffiot sul “Trones en majesté” in mostra a Versailles.

    Argine classico: Marco Beck sulla neonata collana dei Classici della Carrocci come risposta all’onda degli e-book.

    Un articolo di Paolo Portoghesi dal titolo “L’architettura è fatta di amore e correttezza”: l’opera di Pier Luigi Nervi in mostra a Roma al Museo del XXI secolo.

    L’introduzione del cardinale Gianfranco Ravasi al numero 150 della rivista “Luoghi dell’infinito”, che compie 15 anni (in edicola da martedì 5 aprile con “Avvenire”).

    Lettera all’Africa: Gilbert Tsogli sulla denuncia, da parte di molti esperti, riguardo agli effetti distorti della carità sulle economie dei singoli Paesi.

    I cattolici degli Stati Uniti contro l’islamofobia: nell’informazione religiosa, la testimonianza del cardinale Theodore McCarrick al Senato di Washington.

    Cristiani e buddisti in pace nella verità e nella libertà: nell’informazione vaticana, il messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

    Per una Quaresima di condivisione con i fratelli: intervista di Nicola Gori a mons. Tejado Muñoz, sotto-segretario del Pontificio Consiglio Cor Unum.

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    Oggi in Primo Piano



    Costa d'Avorio: le truppe di Ouattara puntano su Abidjan. Il vescovo di Agboville: grati per l'appello del Papa

    ◊   In Costa D’Avorio il conflitto tra i miliziani di Gbagbo, il presidente uscente che non vuole lasciare il potere, e quelli di Ouattara, il capo di Stato eletto, sta provocando un dramma umanitario di proporzioni sempre più preoccupanti. In aumento i civili in fuga dalle violenze. Si parla ormai di circa 500 mila persone. Una situazione di fronte alla quale la comunità internazionale deve intervenire. Sul terreno, le milizie di Ouattara hanno conquistato la capitale Yamoussoukro e puntano su Abidjan, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, allo scopo di salvaguardare la popolazione civile, ha varato sanzioni contro Gbagbo. Sulla situazione umanitaria Giancarlo La Vella ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:

    R. - Stiamo parlando di mezzo milione di persone che hanno lasciato le loro case fuggendo da combattimenti terribili che si stanno verificando nell’ovest del Paese. Amnesty International negli ultimi giorni ha lanciato un appello alla forza di peacekeeping dell’Onu in Costa d’Avorio: ci sono almeno 10.000 civili che hanno trovato rifugio in una missione cattolica a Douekoue, che si trova a soli due chilometri dalla base della missione Onu. Inoltre ha chiesto massima protezione per queste persone perché sono rischio di rappresaglia e c’è il rischio che finiscano di nuovo trascinate nel conflitto.

    D. - Come si sta provvedendo a livello della comunità internazionale?

    R. - L’attenzione della comunità internazionale in questo frangente, ovviamente, è rivolta altrove ed è purtroppo grave il fatto che non si sia capaci di affrontare più di una crisi per volta. Le persone sfollate, già a gennaio, erano state colpite, almeno 40 persone assassinate e diverse donne erano state vittime di stupro. Il 28 marzo, quando le forze vicine ad Alassane Ouattara hanno preso il controllo della zona nel cuore dell’area produttrice di cacao, sono finite di nuovo sotto i combattimenti,. Nella città è stata tagliata l’elettricità, manca acqua, e le 10 mila persone che hanno trovato rifugio nella missione cattolica hanno bisogno di aiuti umanitari immediati. Questo vuol dire che la missione dell’Onu in Costa d’Avorio deve garantire, intanto, la massima protezione a loro, assicurando che i civili vengano risparmiati. Inoltre, bisogna organizzare corridoi sicuri per far affluire aiuti alle persone che si sono rifugiate lì.

    D. - Perché non si riesce a realizzare quella soluzione che spesso risolve in Africa situazioni del genere, cioè quella del governo d’unità nazionale?

    R. - Perché la crisi della Costa d’Avorio è una crisi che ha raggiunto un livello esasperato, è durata troppo. Adesso Ouattara e Gbagbo hanno le loro milizie e il conflitto si è incancrenito con bande irregolari e gruppi paramilitari. In questo contesto, purtroppo, solo una terza parte, cioè una missione di peacekeeping dell’Onu con un mandato robusto per proteggere i civili può rimettere le cose a posto e poi creare le condizioni di pace perché ci sia la soluzione politica che sia quella di un governo di unità nazionale e quella di convincere Laurent Gbagbo ad uscire dalla scena politica del Paese. (bf)

    Ieri il Papa, durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, ha lanciato un accorato appello per la pace in Costa d’Avorio. Com’è stato accolto nel Paese? La collega Marie-Agnès Georges lo ha chiesto a mons. Alexis Touabli Youlo, vescovo di Agboville:

    R. – Nous sommes très reconnaissants au Saint Père pour son message …
    Siamo profondamente grati al Santo Padre per il messaggio che ha voluto rivolgere a noi tutti, suoi figli della Costa d’Avorio, di ogni confessione religiosa. Credo che la Costa d’Avorio tutta attendeva questo messaggio da parte del padre di tutti, il Papa Benedetto XVI. A lui il nostro grande “grazie”.

    D. – Cosa può fare la Chiesa in Costa d’Avorio per favorire la pace?

    R. – L’Eglise, depuis le déclanchement de la crise a agi e continue d’agir dans …
    Fin dall’inizio della crisi, la Chiesa ha agito e continua ad agire in diversi modi. Attraverso la parola: ricordo che i vescovi hanno pubblicato prima delle elezioni un messaggio alla nazione. E poi attraverso la preghiera e l’impegno in ambito caritativo. Come si sa, ci sono centinaia di migliaia di sfollati in fuga dalle violenze. Ebbene, si rivolgono quasi automaticamente, come per un riflesso naturale, alla Chiesa che ha accolto in varie parti del Paese migliaia di sfollati.

    D. – Si ha l’impressione che lo scontro tra le parti potrebbe trasformarsi in uno scontro tra religioni: è vero?

    R. – Je ne pense pas que ça puisse prendre cette …
    Non credo che la situazione possa prendere la piega del conflitto religioso, perché da sempre musulmani e cristiani hanno vissuto in pace: questa non è una cosa di “ieri”, ma ha radici profonde. Non è difficile trovare tra i membri di una stessa famiglia, ed in molte famiglie, musulmani e cristiani. Quindi, non si tratta assolutamente di un conflitto religioso, anche se alcuni politici, animati da cattive intenzioni, tendono a voler conferire al conflitto in atto una connotazione religiosa. Ma sul terreno, qui non c’è nessun conflitto tra cristiani e musulmani! (gf)

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    Alla Nato il comando delle operazioni in Libia. Il ministro degli Esteri di Gheddafi fugge a Londra

    ◊   La Nato da stamattina ha il comando delle operazioni in Libia. La guerra continua: il vicario apostolico di Tripoli fa sapere che nei raid della coalizione sulla capitale sono morti almeno 40 civili, mentre un portavoce dei ribelli afferma che i bombardamenti delle artiglierie lealiste contro Misurata hanno causato almeno 20 vittime. In un clima di forte tensione, gli insorti sono stazionati a 40 km dalla città petrolifera di Brega mentre un portavoce del governo assicura che Gheddafi e i suoi figli sono in Libia e sono determinati a restarci ''fino alla fine''. Ieri il leader libico ha perso il ministro degli Esteri, fuggito a Londra. Il servizio di Fausta Speranza:

    I giorni del regime libico ''sono contati'' dopo la defezione del ministro degli Esteri: questo è il commento dell'ex ministro libico dell'immigrazione Ali Errishi, intervistato da media francesi. Certamente ieri sera ha colpito l’annuncio che era volato in Inghilterra Mussa Koussa, da sempre fedele servitore del Colonnello, di cui era consigliere e stretto collaboratore. Di giorni contati ha parlato in questi giorni anche il presidente degli Stati Uniti che in una telefonata a Napolitano, ha ringraziato l’Italia per ''l'appoggio costante alle operazioni della coalizione in Libia sotto il comando Nato''. A Washington sono tutti d’accordo a definire la defezione di ieri molto importante. Resta acceso, invece, tra Casa Bianca, Dipartimento di Stato e Pentagono il dibattito sull’ipotesi di fornire armi ai ribelli libici. Ma su questo si fa sentire il segretario generale della Nato: Rasmussen si oppone all'idea di armare i ribelli libici, sottolineando che l'Alleanza atlantica interviene militarmente ''per proteggere il popolo della Libia'', non per fornirlo di munizioni. E c’è da dire che con i ribelli apre un dialogo diretto il ministro degli Esteri italiano: Frattini ha annunciato che incontrerà lunedì prossimo a Roma il rappresentante per la politica estera del Consiglio nazionale transitorio libico. Frattini fa sapere che presto l’Unione Africana potrebbe chiedere a Gheddafi di farsi da parte.

    Per quanto riguarda la situazione sul terreno, sembra che nonostante le operazioni della coalizione internazionale i ribelli non riescano ad avanzare. Stefano Leszczynski ha chiesto come mai questo accade a Eric Salerno, esperto di Medio Oriente e inviato del quotidiano Il Messaggero:

    R. – Intanto, se vogliono rispettare il mandato delle Nazioni Unite i caccia alleati devono tener presente che non possono mettere in pericolo la popolazione civile che sta sotto Gheddafi. Quindi, i bombardamenti da quella parte sono vietati. Il mandato consente di difendere non gli insorti, ma la popolazione civile.

    D. – Questo è il conflitto visibile, poi c’è un conflitto invisibile che si svolge in Libia, al quale partecipano i sistemi di intelligence dei principali Paesi della coalizione. Insomma, Stati Uniti e Gran Bretagna sicuramente hanno del personale che è operativo in Libia...

    R. – In teoria, non sono combattenti, sono persone che stanno lì sul terreno per due motivi principali: uno, per cercare di contattare gente che potrebbe aiutare le operazioni dei ribelli in questi casi oppure anche trovare le persone che possono e che vogliono lasciare, abbandonare Gheddafi; due, stanno lavorando per aiutare anche le operazioni aeronautiche, segnalando postazioni che andrebbero colpite.

    D. – Gli americani cercano di fare anche una mappatura di quelli che sono i gruppi dell’opposizione. Questo va letto pure in collegamento con il pericolo di infiltrazioni terroristiche e quindi con la decisione se mandare o meno armi più efficaci ai ribelli?

    R. – Io direi di sì, perché gli americani l’hanno ripetuto anche in questi ultimi giorni, anche a livello di servizi di sicurezza al Congresso, alle Commissioni varie del Congresso: hanno ripetuto che ancora non si fidano dei ribelli o, comunque, non si fidano di tutti e non sanno esattamente cosa rappresentino e chi ci sia in mezzo a loro. Bisogna ricordare che il maggior numero di persone venute dal Nord Africa per combattere contro la coalizione in Iraq provenivano dalla Libia.

    D. – Il vero colpo di scena è stata la defezione del fedelissimo di Gheddafi, il ministro degli Esteri Moussa Koussa...

    R. – Io credo che la sua defezione sia importantissima, perché è sicuramente l’uomo che sa più di tutti quello che sta succedendo nel Paese e che ha i contatti con le alte sfere, non soltanto di casa Gheddafi, ma anche delle forze armate a lui fedeli. (ap)

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    Al via i trasferimenti da Lampedusa: diminuisce il numero degli immigrati nell'isola

    ◊   Sono 3.731 gli immigrati presenti attualmente a Lampedusa, dopo i trasferimenti avvenuti da questa mattina con le prime navi e con due ponti aerei. Lo fa sapere il sindaco dell’isola De Rubeis, secondo il quale il premier Berlusconi realizzerà il 60-70% degli impegni presi ieri. Stamani il presidente del Consiglio ha detto che Tunisi non sta rispettando gli accordi con l’Italia per la gestione del fenomeno migratorio. Intanto cresce la preoccupazione per la sorte di alcuni migranti che secondo testimoni sarebbero finiti in mare dopo un naufragio. Inoltre il governo tunisino ha dato la notizia di un altro naufragio avvenuto a largo delle coste di Kerkennah in cui dodici persone sono annegate. Il servizio è di Paolo Ondarza:

    E’ ancora giallo sugli undici migranti che, secondo sette profughi soccorsi ieri nelle acque di Lampedusa, sarebbero annegati nel canale di Sicilia, tra loro ci sarebbe anche un bambino. Intanto diminuisce il numero dei migranti sull’isola grazie ai primi trasferimenti navali e ai ponti aerei, annunciati ieri dal premier Berlusconi. Sulla situazione nell’isola, il parroco della chiesa di San Gerlando, don Stefano Nastasi.

    R. – Tra la gente c’è un po’ più di tranquillità. E’ chiaro che è stato un elenco di promesse, quello che il presidente del Consiglio ha fatto ieri. Staremo a vedere da qui al prossimi giorni quali di queste promesse saranno mantenute. Riguardo al trasferimento dei migranti, qualcosa si va muovendo: di questo ci rendiamo conto direttamente. Di sicuro questo aiuta a far scemare la tensione all’interno della comunità – anche tra i tunisini …

    D. – Ma oggi qual è la situazione, esattamente?

    R. – Il numero è diminuito: questo noi già l’abbiamo notato, perché in giro ci sono meno ragazzi della Tunisia. Per quanto ne sappiamo noi, qui, ne son partiti già duemila. Quindi, questa folla di giovani che si trovava a girovagare per il paese va diminuendo. Questo ci aiuta anche ad intervenire meglio, per quanto ci è possibile, nei bisogni primari dei ragazzi rimasti.

    D. – Ieri, tra l’altro, l’Oms insieme al ministero della Salute, hanno diffuso l’allarme per possibili malattie infettive …

    R. – Per quello che noi conosciamo qui, a livello locale dalle Asl, allo stato attuale c’è il rischio ma non vi sono contagi.

    D. – Nelle ultime ore, tra l’altro, c’è stato anche un botta e risposta tra il ministro degli Esteri Frattini e l’Unione Europea su chi sia responsabile della situazione a Lampedusa...

    R. – Noi prendiamo atto sicuramente di una gestione fallimentare dell’emergenza a Lampedusa; prendiamo atto di una mancanza di una politica sull’immigrazione a livello europeo. Più di questo, non possiamo dire. Per il resto, penso che al di là delle chiacchiere e degli scontri, serva un impegno fattivo del nostro governo, come anche serve a livello europeo di agire al più presto perché di sicuro si tratta di una problematica che non finisce così. Nei mesi prossimi gli sbarchi continueranno ed è opportuno che l’Europa prenda atto di questo, seriamente porti avanti una politica che allo stato attuale, non c’è.

    D. – Come parroco dell’isola, c’è un appello che vuole levare dai nostri microfoni?

    R. – L’appello è quello di incarnare la Parola di San Paolo, cioè “portate gli uni i pesi degli altri”. E’ un appello a sopportare insieme a noi questo peso, a non lasciarci soli. (gf)

    Oggi l’Unione Europea fa sapere che si sta lavorando per attivare la solidarietà e ridistribuire i rifugiati che arrivano dal Nord Africa. L’Ue precisa anche che la “vasta maggioranza delle persone che arrivano a Lampedusa” è tunisina ed è composta “potenzialmente da migranti economici”, “solo il 15-20% ha la tendenza a chiedere asilo”. Intanto, in seguito all’accordo di ieri tra Governo e Regioni sulla distribuzione dei profughi nel territorio nazionale, la Calabria si dice pronta ad accogliere 1800 migranti, mentre il Veneto fa sapere che aprirà le porte solo ai rifugiati provenienti da zone di guerra. Tensione a Manduria in Puglia: la tendopoli allestita per l’emergenza rischia il collasso e per questo si sono dimessi prima il sottosegretario all’interno Mantovano, poi il sindaco del centro in provincia di Taranto.

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    Altri civili vittime della guerra in Afghanistan

    ◊   Altri due civili sono stati uccisi oggi dai soldati americani in Afghanistan nella città di Kandahar: secondo le forze Usa, i due avrebbero forzato un posto di blocco con il loro autoveicolo ferendo tre militari. Secondo le autorità locali si sarebbe trattato di un semplice incidente. Ieri due bambini e due donne erano rimasti uccisi accidentalmente in un attacco della Nato mirato contro milizie degli insorti nel sud dell'Afghanistan. Intanto nel Paese si cerca di ricostruire il tessuto sociale ed economico, grazie anche alla collaborazione di Organizzazioni che operano sul posto. Come la Fondazione Pangea Onlus che difende i diritti delle donne e ha avviato a Kabul il progetto Jamila di microcredito. Francesca Smacchia ha raggiunto telefonicamente in Afghanistan Simona Lanzoni, responsabile dei progetti Pangea nel Paese:

    R. – Fondazione Pangea proprio in questi giorni ha dato vita ad un’organizzazione femminile locale: Afghan Women Social Service. Dopo tutti questi anni di lavoro, le ragazze che sono sempre a fianco a noi hanno deciso di aprire una loro organizzazione e questo per noi è un enorme motivo di orgoglio: vuol dire che pian piano anche loro imparano ad incrementare il progetto che viene sempre supportato da Fondazione Pangea. Questo è il processo in atto anche in Afghanistan, in generale: pian piano le truppe straniere se ne vanno; pian piano si pensa sempre di più che le istituzioni debbano prendere in mano la situazione del loro Paese. Il problema è che non tutti sono formati ed hanno una buona preparazione, come dovrebbe essere, e allo stesso tempo c’è ancora molta corruzione. Fondazione Pangea sta vedendo un enorme bisogno, che continua ad esserci all’interno della società. Parlando, in questi giorni che mi trovo a Kabul, con le donne, continua ad esserci un bisogno di sviluppo economico enorme, mentre qui invece si continua a parlare - e Karzai stesso ne parla - di un passaggio, per la questione che riguarda la sicurezza, dalle truppe straniere ai militari afghani e alla polizia afghana.

    D. – Che clima si respira in questo momento?

    R. – Da un lato, la società civile dice “sì, dobbiamo prendere in mano il nostro Paese” e, dall’altro, c’è anche un grande dubbio sulle reali possibilità di poterlo fare, perché comunque loro pensano che nel momento in cui andranno via i militari, diminuiranno pesantemente i fondi per la ricostruzione e per portare avanti e sviluppare questo Paese. Quindi, c’è sempre la paura, l’ombra e lo spettro del ritorno dei talebani e del rallentamento di quello che è stato fatto fino ad ora. C’è, per esempio, in questi giorni – e sono molto contenta di potervi partecipare come Fondazione Pangea – una conferenza su il ruolo della società civile nel processo decisionale di pace qui in Afghanistan. E c’è un’enorme domanda nel dire “Non poniamo l’accento solo sulla sicurezza: poniamo l’accento su quale sia il ruolo della società civile per migliorare questo Paese”.

    D. – In questo contesto le donne oggi che ruolo hanno, che ruolo possono svolgere?

    R. – E’ stato molto interessante il fatto che, comunque, dei partecipanti oltre la metà siano donne. All’interno di questa società civile le donne sono realmente la metà della società, quello che è poi realmente nella vita quotidiana. C’è una parola dell’Afghan Women network, una rete di oltre 75 organizzazioni, di cui fa parte anche l’Organizzazione di Fondazione Pangea, che chiaramente ha rivendicato il fatto che le donne siano stanche di avere solo un ruolo simbolico e che vogliono realmente essere parte del processo di pace, di costruzione. Ma la cosa davvero interessante, a mio avviso, è che gli uomini di questa parte di società civile più di una volta hanno invocato l’importanza della partecipazione delle donne. Mi sembra che si stia comunque aprendo una nuova prospettiva in un pezzo di realtà afghana che molto spesso non è conosciuta. (ap)

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    "Aborigeno tra gli aborigeni": presentato un libro sul missionario benedettino Lucas Salvado

    ◊   “Aborigeno con gli aborigeni per l’evangelizzazione in Australia”, è il titolo del volume di padre Giulio Cipollone e Chiara Orlandi dedicato al missionario benedettino Lucas José Rudesindo Salvado. Il volume, edito dalla LEV nella collana “Atti e documenti” è stato presentato ieri nel palazzo di Propaganda Fide alla presenza del cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e raccoglie documenti inediti sulle missioni apostoliche australiane dell’ottocento. Il servizio di Michele Raviart.

    Un vescovo visionario e un pioniere dell’evangelizzazione in Australia. È la figura di padre Lucas José Rudesindo Salvado, monaco benedettino dell’Ottocento, che per primo e contro le convinzioni del tempo, decise di annunziare il Vangelo agli aborigeni australiani. Padre Salvado visse un anno “aborigeno tra gli aborigeni”, e nel 1847 fondò nei territori settentrionali di Victoria Plains la missione di “New Norcia”, dedicata alla città natale di San Benedetto. Padre Giulio Cipollone, professore ordinario alla Pontificia Università Gregoriana e autore del volume:

    “Mons. Salvado credeva fondamentalmente che gli aborigeni avessero la stessa dignità e capacità degli europei. Non chiama mai gli aborigeni 'neri' e non distingue mai gli umani per 'razze'. Ha cercato di camminare insieme a loro, prima di farsi accettare come occidentale e missionario. Lo straordinario è che lui fisicamente ha vissuto circa un anno come nomade: lui camminava come loro, mangiava quello che avevano loro, quindi serpenti, locuste, insetti, radici … Solo dopo questo momento, fa diventare gli aborigeni sedentari, supera grossi problemi di antica cultura mitica aborigena – per esempio, il 'giorno nefasto', la vendetta obbligatoria – in un contesto, però, dove anche molti altri missionari, sia protestanti che cattolici, non credevano al successo della missione fra gli aborigeni”.

    Il volume raccoglie l’edizione critica della relazione che il monaco, ormai consacrato vescovo di Port Victoria, inviò a Propaganda Fide nel 1883. Un manoscritto finora inedito che racconta l’opera apostolica nella missione, la formazione cattolica degli aborigeni, i loro successi nell’agricoltura, nell’artigianato, nella musica e nello sport. Un esempio di evangelizzazione valido ancora oggi. Professor Jesús Ángel Barreda, docente di Missiologia alla Pontificia Università Urbaniana:

    “Come missionario ho trovato un grande cuore che sa difendere i diritti di tutti, perché per mons. Salvado non ci sono uomini né di prima né di seconda categoria: ha per noi un messaggio completamente attuale”. (gf)

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    Chiesa e Società



    La solidarietà della Chiesa in Giappone per le vittime dello tsunami

    ◊   Mentre cresce la preoccupazione in Giappone per il pericolo delle radiazioni nell’area circostante la centrale nucleare di Fukushima, la Chiesa locale – riferisce l’agenzia AsiaNews - continua ad inviare volontari e aiuti nelle aree dello tsunami per soccorrere gli sfollati, che mancano di alimenti, gasolio e gas. Nelle zone a nord est di Sendai i cattolici che non hanno sofferto danni fisici o materiali, stanno dando ospitalità alla popolazione più colpita e la Chiesa ha messo a disposizione conventi e scuole per dare rifugio a donne con figli piccoli. La diocesi di Sendai ha aperto a Shiogama (15 km da Sendai) e a Ishinomaky (52 Km a nord di Sendai) due Centri per il reclutamento di volontari, che si aggiungono a quello organizzato nel capoluogo. A Shiogama gruppi di giovani universitari coordinati da padre Josè Alfredo Gonzales, missionario di Guadalupe, aiutano le autorità a sgombrare strade e case dalle tonnellate di detriti e sabbia marina lasciati dallo tsunami. A Ishinomaky, oltre allo sgombero delle macerie, i volontari stanno visitando gli sfollati per verificare le loro condizioni mediche e fornire, se necessario, cure immediate presso il centro medico e psicologico allestito nella zona. I cattolici hanno anche iniziato a riparare parte degli edifici religiosi danneggiati dallo tsunami. Nella parrocchia di Sukagawa diversi fedeli hanno rimandato la ricostruzione delle loro case per sgomberare dalle macerie e raccogliere il materiale necessario a riparare la chiesa. (R.G.)

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    Giappone: il sostegno dei missionari francescani per le vittime dello tsunami

    ◊   Il “Franciscan Chapel Center”, cuore pulsante dello spirito francescano a Tokyo, è divenuto, dopo lo tsunami e il terremoto, un’oasi di accoglienza e solidarietà. Per l’emergenza, il Centro, come altre chiese e conventi cattolici, ha aperto le porte agli sfollati giunti dalle aree di Fukushima e di Sendai. Nelle scorse settimane oltre 50 filippini residenti in Giappone vi sono stati ospitati e i volontari cattolici hanno messo in campo tutta la loro energia e buona volontà per rispondere alle loro necessità. Ora gli immigrati stanno lentamente tornando nelle loro case, o da parenti e amici, mentre alcuni sono rientrati nelle Filippine. “Le nostre porte restano aperte per tutti coloro che sono in estrema necessità” rimarca all'agenzia Fides padre Russell Becker, missionario francescano americano, responsabile del Centro. Normalmente, già prima del terremoto, il Centro dei francescani era un punto di riferimento per poveri e senza tetto, fornendo oltre 120 pasti al giorno a persone bisognose. Oggi è in corso l’attività di accoglienza straordinaria: “Questo disastro ci ha dato modo di essere strumento di carità cristiana, nello spirito evangelico di Francesco d’Assisi. La nostra testimonianza francescana in questa città si esprime fondamentalmente attraverso il servizio agli ultimi, con il dialogo e l’accoglienza al prossimo”, spiega il frate. “La sofferenza è, inoltre, un terreno umano dove è possibile che fiorisca il seme dell’evangelizzazione” continua. “L’annuncio del Vangelo in Giappone parte dalla capacità di ogni cristiano di parlare pubblicamente della propria fede, in un contesto in cui i cattolici sono esigua minoranza; poi dal testimoniarla concretamente nell’amore al prossimo”, conclude, declinando lo stile missionario dei francescani in terra nipponica. “Questo è il tempo della compassione, sta a noi cristiani vivere questo kairos” dice padre Keith Humphries, sacerdote australiano dei Missionari del Sacro Cuore, della comunità di Nagoya. “Non siamo stati colpiti direttamente - spiega - ma siamo comunque preoccupati per la popolazione, e ci siamo attivati per dare un contributo nell’emergenza e a più lungo termine. Anche nella nostra diocesi sono arrivati dei rifugiati dalle zone interessate dal disastro. Come missionari stiamo sensibilizzando per la solidarietà e per l’accoglienza. Questo evento tragico aiuta ognuno di noi a capire cosa è importante e cosa non lo è”. (R.P.)

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    Bruxelles: plenaria su Chiese cristiane in Medio Oriente e Nord Africa

    ◊   Si terra a Bruxelles dal 6 all’8 aprile l’Assemblea plenaria degli Episcopati della comunità europea sul tema della libertà religiosa. Ma “alla luce degli ultimi avvenimenti, si innesta la necessità di un confronto sulla situazione delle Chiese cristiane in Medio Oriente e nel Nord Africa”, ha sottolineato mons. Gianni Ambrosio, delegato della Cei presso la Comece. Secondo il presule – come riporta l’agenzia Sir – sull’emergenza profughi dal Nord Africa sarebbe auspicabile un intervento di tutta l’Unione Europea, non limitato a misure congiunturali, ma nel quadro di un’ampia e lungimirante visione politica. La credibilità dell’Ue agli occhi dei propri cittadini si gioca anche sulla risposta che sarà in grado di dare”. Al dibattito nella Plenaria di Bruxelles interverranno il cardinale Antonios Naguib, patriarca di Alessandria d’Egitto, mons. Youssef Soueif, arcivescovo dei maroniti di Cipro e Nabil Khalife Kamal, analista di geopolitica. (G.P.)

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    Coree: Seul concede un primo invio di aiuti umanitari al Nord

    ◊   Per la prima volta da diversi mesi, il governo sudcoreano ha autorizzato un’Organizzazione non governativa a inviare aiuti umanitari alla Corea del Nord. Dopo un periodo di embargo totale, è questo un primo segnale di disgelo, deciso con ogni probabilità a causa della disastrosa situazione economica e alimentare del regime di Pyongyang. Il ministero dell’Unificazione di Seoul, che per legge deve autorizzare ogni invio, ha concesso il permesso alla statunitense Eugene Bell Foundation,che lotta contro la tubercolosi. L’invio di aiuti umanitari alla Corea del Nord da parte dei due maggiori donatori (Stati Uniti e Corea del Sud) è stato interrotto dopo le provocazioni militari ordinate da Pyongyang negli ultimi due mesi. L’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan, in cui sono morti 46 marinai, e il bombardamento di un’isoletta sotto il controllo di Seoul hanno fatto infuriare il governo sudcoreano. Il presidente Lee Myung-bak, presentando l’embargo, aveva dichiarato: “Non ci saranno più aiuti fino alle scuse ufficiali del regime”. Seoul ha aggiunto, sempre oggi, che prenderà in considerazione altre proposte di donazioni, anche se non autorizzerà in alcun modo l’utilizzo dei fondi pubblici. Il cambio di rotta è stato deciso con ogni probabilità dopo il Rapporto delle Nazioni Unite sulla situazione alimentare e igienico-sanitaria dello Stato socialista guidato dal "Caro Leader" Kim Jong-il. Una lunghissima carestia, il gelo invernale e la mancanza di tecnologie agrarie hanno distrutto i raccolti interni. La pianificazione economica imposta da Pyongyang ha distrutto la misera produzione industriale del Paese e, ultima goccia, il 25 % del bilancio statale è stato destinato esclusivamente alla produzione bellica e al sostentamento dell’esercito, uno dei più numerosi al mondo in proporzione alla popolazione. Secondo fonti dell'agenzia AsiaNews nel Paese, proprio la popolazione “è arrivata agli sgoccioli. Sono arrivati a mangiare terra nuda e grasso animale crudo, quando lo trovano, con evidenti ripercussioni sanitarie”. La Eugene Bell, che da domani riprenderà l’invio di aiuti, è collegata in maniera molto stretta con la Caritas sudcoreana. Proprio la Caritas dovrebbe presentare a breve un progetto di sostegno al governo. (R.P.)

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    India: ordine di espulsione per un missionario cattolico in Kashmir

    ◊   “L’espulsione di padre Jim Borst sarà una perdita per tutta la società civile”. Queste le parole di mons. Peter Celestine Elampassery, vescovo della diocesi di Jammu-Srinagar (India), alla notizia del decreto di espulsione del sacerdote da parte del governo del Kashmir. Unico missionario della regione, presente sul territorio da 48 anni, padre Borst, missionario olandese di Mill Hill, 79 anni, dovrà lasciare il Paese entro una settimana. Il missionario aveva già ricevuto un ordine simile lo scorso luglio, pochi mesi dopo che il governo aveva rinnovato il suo permesso di soggiorno fino al 2014. Come riferisce l'agenzia AsiaNews, il vescovo affronta poi le accuse di proselitismo e conversioni forzate, rivolte al missionario: “sono senza fondamento". Le statistiche del governo mostrano che la popolazione cristiana dello Stato è diminuita e l’ultimo censimento parla di una presenza di cristiani pari allo 0,014% della popolazione. Dal 1997 padre Borst dirige due scuole in Kashmir, dove il personale è al 99% musulmano. Nelle scuole cattoliche e protestanti della regione sono cresciute diverse personalità musulmane locali, tra cui l’attuale capo del governo della regione del Kashmir. (G.P.)

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    Indonesia: il dialogo con l'islam al centro di un incontro del Forum delle associazioni cattoliche

    ◊   Un invito a coltivare il dialogo con l’islam e con tutte le altre religioni e la condanna di ogni radicalismo religioso. È quanto è scaturito da un incontro organizzato nei giorni scorsi a Giakarta dal Forum delle associazioni cattoliche indonesiane (Fmki), un’organizzazione fondata nel 1998 da un gruppo di attivisti cattolici per promuovere la democrazia e incoraggiare la partecipazione dei cattolici alla vita politica in Indonesia. Tra i principali relatori invitati all’incontro – riferisce l’agenzia Ucan - Syafi’I Anwar, direttore del Centro internazionale per l’Islam e il Pluralismo (ICIPA) che ha parlato della minaccia dell’islamismo radicale e delle crescenti violenze a sfondo religioso in Indonesia. Secondo l’esponente musulmano, si tratta di un fenomeno importato dal Medio Oriente, estraneo all’islam indonesiano, tradizionalmente aperto e tollerante: “La situazione oggi – ha rilevato – è diversa rispetto a dieci anni fa quando i musulmani indonesiani erano molto tolleranti e mostravano un’immagine conciliante dell’Islam”. Anwar si è detto personalmente contrario all’introduzione della Sharia in Indonesia. A suo avviso, imporre la legge islamica nell’ordinamento indonesiano significherebbe arabizzare il Paese: “Anche se la Sharia esprime un’identità islamica – ha spiegato - è stata concepita in Medio Oriente nel X secolo e non ha senso nell’attuale contesto culturale indonesiano che è molto diverso da quello mediorientale”. Anwar ha affermato comunque di essere ottimista per il futuro, anche perché un importante argine a questo islamismo di importazione è costituito dalle due principali organizzazioni musulmane moderate indonesiane: il “Nahdlatul Ulama” e “Muhammadiyah”. Un altro relatore dell’incontro, padre Aloysius Budi Purnomo dell’arcidiocesi di Semarang, ha invitato, da parte sua, il Forum a promuovere il dialogo con i musulmani e con i fedeli di tutte le religioni in Indonesia attraverso iniziative comuni. (L.Z.)

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    Malaysia. I cristiani al governo: no alla scritta discriminatoria sulle Bibbie

    ◊   La Federazione cristiana della Malaysia ha rifiutato la proposta del governo di sbloccare 35mila Bibbie stampigliando sulla copertina la frase: “Per la cristianità”. I libri, in lingua Malay, sono bloccati dal 2009 nel porto d’arrivo. Il governo in precedenza aveva deciso di sbloccarli, ma stampigliandovi sopra un numero seriale e la scritta: “Solo per i cristiani”. La diatriba nasce dalla decisione del governo di proibire l’uso del termine “Allah” per definire Dio da parte di non musulmani. La magistratura - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha dato torto al governo su questo punto; ma l’udienza di appello deve essere ancora fissata. I cristiani malaysiani sostengono che non devono esserci “restrizioni, proibizioni o proscrizioni” nell’uso dei libri sacri. Il governo vuole imporre una scritta sulle Bibbie, stampate in Indonesia, per ridurre il rischio che i musulmani possano convertirsi. La Bible society of Malaysia, che importa e distribuisce le Bibbie, ha preso carico di una spedizione di cinquemila Bibbie “deturpate” dalle scritte governative il 28 marzo. Il segretario generale della società, Simon Wong, ha dichiarato che “non possono esser vendute ad acquirenti cristiani” nel loro stato attuale. “Invece saranno custodite rispettosamente come pezzi da museo, una testimonianza delle Chiese cristiane in Malaysia”. Il presidente della Federazione cristiana della Malaysia, il vescovo Ng Moon Hing, ha denunciato che “c’è una sistematica e progressiva riduzione dello spazio pubblico per praticare, professare ed esprimere la nostra fede. E’ stato ristretta progressivamente la possibilità di indossare e esporre croci e altri simboli religiosi, usare termini religiosi e costruire luoghi di culto”. (R.P.)

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    Afghanistan: a Kabul la prima conferenza nazionale della società civile

    ◊   La società civile afgana vuole avere un ruolo di protagonista nella fase di pacificazione e di ricostruzione del Paese: è questa la base di partenza della prima conferenza nazionale della società civile afgana, avviata ieri a Kabul e che si concluderà domani. Organizzazioni sociali, enti che operano per i diritti umani, per la difesa e la promozione della donna, associazioni del mondo dei mass media, della cultura, dei lavoratori, intendono far sentire la loro voce collettiva e presentare proposte concrete nella fase “di transizione” che l’Afghanistan attraversa. La strategia, notano le organizzazioni in una nota inviata all'agenzia Fides, è ancora una volta centrata sulla sicurezza, sul rafforzamento della polizia e delle forze armate per stabilizzare il Paese. Pur trattandosi di un obiettivo importante, “sarebbe un errore non accompagnarlo in modo deciso con il rafforzamento delle organizzazioni della società civile che sono la spina dorsale del processo di pacificazione e ricostruzione del Paese”. La conferenza è stata sostenuta da “Afgana”, una rete di Ong, realtà associative, sindacali, culturali italiane nata nel 2007, e sostenuta dal Ministero degli Esteri italiano, per sollecitare maggiore attenzione alla società afgana e contribuire al rafforzamento delle sue organizzazioni. Hamidullah Zazai, direttore di “Mediothek Afghanistan”, che ha introdotto i lavori a nome del coordinamento delle organizzazioni della società civile ha dichiarato che “questa prima conferenza rappresenta una tappa importante per l’Afghanistan e segna una svolta in quanto la società civile parla ad una sola voce e invia un messaggio chiaro alle istituzioni”, dichiarandosi “pronta ad assumersi responsabilità ed essere soggetto attivo, promuovendo le istanze del bene comune e le esigenze di giustizia, pari opportunità, rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona”. Intervenendo in assemblea, Shahla Farid, dell’ Afghan Women Network, ha sollecitato l’inserimento delle donne nei processi decisionali del governo, segnalando la difficile condizione femminile, che vede le donne private dei diritti fondamentali, ridotte in condizioni di subalternità nella società. La conferenza invita il governo a riconoscere “il positivo ruolo che la società civile può svolgere per il bene del Paese, per poter lavorare insieme, e non in continua contrapposizione, sfruttando il suo potenziale di mobilitazione della gente”. (R.P.)

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    Mine antiuomo: dopo l'Afghanistan, la Colombia è il Paese con il maggior numero di vittime

    ◊   Il 4 aprile si celebra la Giornata Internazionale per la sensibilizzazione sulle mine Antipersona. La data è stata promossa dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per respingere l'uso indiscriminato di questi dispositivi e creare consapevolezza circa la crescente minaccia per le persone. Sotto lo slogan "Per un giorno cerchiamo di essere nella sua scarpa!", 15 Organizzazioni governative e non governative cercheranno di sensibilizzare la popolazione della Colombia riguardo a questo problema. Dopo l'Afghanistan, la Colombia è il Paese con il maggior numero di vittime al mondo: nel 2010 ci furono 482 vittime delle mine antipersone; dal 1990 al febbraio 2011, ci sono state 9.103 persone vittime di questo flagello, di cui 870 minori, 3.408 civili e 5.695 militari. In questa prima parte del 2011, ci sono già 71 vittime. Secondo la nota inviata all’agenzia Fides dalla Conferenza episcopale colombiana, anche se questi numeri sono sconvolgenti, la verità è che ormai il colombiano vive la vita di tutti i giorni come se fossero perfettamente normali, la gente è così abituata che non sembra consapevole della gravità della questione. Quindi l'obiettivo della prossima Giornata è portare il tema delle mine antiuomo nelle scuole, nelle università, negli uffici, nei ristoranti e nei posti pubblici, al fine di essere tutti consapevoli della realtà che deve affrontare il Paese e di fare in modo che la questione, almeno per un giorno, sia al centro dell’attenzione generale. Attraverso i social network tutti i colombiani saranno invitati a partecipare attivamente ad un gesto simbolico, quello di rimboccarsi i pantaloni, per dimostrare consapevolezza delle conseguenze riportate da quanti sono vittime delle mine antiuomo, colpiti agli arti inferiori. Il 4 aprile si terrà una manifestazione in Plaza de Bolívar, alle ore 9, presieduta dal Vice Presidente della Repubblica, Angelino Garzón, che accompagnerà le vittime militari e civili presenti quel giorno. Nella Plaza de Bolívar si costruirà anche un palco con 9.000 scarpe, ognuna delle quali riporterà indicato il Comune, la Regione, il sesso, lo stato civile o militare, di ciascuna delle vittime registrate dal 1990 fino ad oggi. (R.P.)

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    I vescovi Usa stanziano quasi 2 milioni di dollari a favore della Chiesa in America Latina

    ◊   Ammonta a quasi 2 milioni di dollari la somma stanziata quest’anno dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) a favore della Chiesa in America Latina. Lo stanziamento e le relative assegnazioni sono state approvate nei giorni scorsi dal competente sub-comitato della Usccb presieduto da mons. José H. Gomez, arcivescovo di Los Angeles. La somma, frutto della colletta annuale per l’America Latina, è destinata a sostenere numerosi progetti pastorali e missionari nel sub-continente americano. Quest’anno il 27% dei fondi stanziati è stato assegnato a programmi di formazione per religiosi, seminaristi e sacerdoti; il 14% a programmi di pastorale giovanile e circa il 12% alla formazione di agenti pastorali laici. La metà rimanente è stata destinata a sostenere una vasta gamma di progetti: attività di catechesi, iniziative pro-vita, programmi di pastorale indigena, opere di promozione umana, media, formazione biblica e evangelizzazione. La colletta per l’America Latina si tiene ormai da 45 anni a fine gennaio. Anche se destinati per lo più a progetti pastorali, una parte dei fondi raccolti viene usata anche per la ricostruzione di chiese e strutture in aree distrutte da gravi calamità naturali. È il caso ad esempio di Haiti e del Cile, colpiti l’anno scorso da due gravi terremoti. (L.Z.)

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    Messico: l’arcivescovo di Leon esorta i narcotrafficanti al pentimento

    ◊   “Ci rivolgiamo a quanti, per qualunque ragione, sono coinvolti nelle varie forme del crimine organizzato. Dio li chiama alla conversione e il suo perdono è sempre disponibile, ma devono pentirsi”. Così mons. Josè Guadalupe Martin Rabago, arcivescovo di Leòn, in Messico, durante l’omelia tenuta domenica scorsa in cattedrale. Come riferisce l’agenzia Zenit, il messaggio del presule è risuonato in tutto il Paese latinoamericano, dove negli ultimi quattro anni hanno perso la vita 35mila persone a causa della guerra tra i clan del narcotraffico. “Il Dio che ci rivela Gesù Cristo non può in alcun modo difendere attività che sono su questa linea di morte”, ha aggiunto mons. Rabago, riferendosi al fatto che molti narcos si dicono credenti e protetti da Dio nelle loro attività illecite. L’arcivescovo di Leon ha infine rivolto un appello a quanti “producono la droga e la trasportano, a quanti la commerciano, a coloro che la consumano, ai sicari e a tutte le persone coinvolte in questo affare” perché, pentiti delle loro azioni, “cerchino la vita e non la morte”. (G.P.)

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    Bolivia. Mons. Sainz: la Chiesa non discrimina mai le altre religioni

    ◊   "Non possiamo parlare di discriminazione, ma di rispetto per il popolo", con queste parole mons. Luis Sainz, arcivescovo ausiliare di Cochabamba e presidente della Commissione episcopale per l’Educazione, ha commentato le recenti dichiarazioni del presidente Evo Morales, il quale ha detto che la Chiesa cattolica discrimina le altre religioni perché non partecipa alle cerimonie interreligiose organizzate dal governo. Il presidente della Commissione episcopale per l'Educazione (Cee) - riferisce l'agenzia Fides - ha spiegato che la Chiesa cattolica ha delle norme universali come il Diritto Canonico, il Magistero della Chiesa, le parole del Santo Padre e il Magistero dei vescovi dell'America Latina, "abbiamo delle regole precise, chiare, che ci dicono che non possiamo partecipare ad atti che non sono della Chiesa cattolica, come ad esempio la Pachamama, la K'oa, che sono segni di confusione per il nostro popolo. La nostra gente è semplice, il nostro popolo è cattolico e quindi che un vescovo partecipi a queste attività religiose andine per noi è molto pericoloso, perché induce in errore la gente. Questo è uno dei motivi per non partecipare" ha detto mons. Sainz. “Una seconda ragione per non partecipare alla celebrazione interreligiosa - ha proseguito l’arcivescovo - è che la Chiesa cattolica ha un inno, il Te Deum, che è un ringraziamento a Dio per tutti i benefici che concede alle autorità e a tutto il popolo, allo stesso tempo, in quel rito noi chiediamo la benedizione di Dio per le autorità e per la Bolivia, per il nostro Paese, perchè progredisca con la benedizione e la protezione di Dio". Mons. Sainz ha diffuso questo chiarimento perché il presidente Morales aveva riferito della sua partecipazione a una delle celebrazioni del Bicentenario in Cile, dove c'erano cattolici, evangelici e protestanti, commentando: "Quando qui convochiamo un atto interreligioso, alcuni padri dicono che possono assistere solo con il permesso del cardinale. Questa è discriminazione, è misconoscere gli altri che praticano una diversa fede religiosa". (R.P.)

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    Il cardinale McCarrick: la Chiesa difenderà sempre la libertà religiosa di tutti

    ◊   “Continueremo ad impegnarci per difendere la libertà religiosa di tutti e non solo dei cattolici, perché il nostro impegno è per la dignità di ogni persona umana”. È quanto ha dichiarato il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, a un’audizione alla Commissione Giustizia del Senato sulla protezione dei diritti civili dei musulmani americani. “Come comunità che è stata vittima in passato di discriminazioni religiose, capiamo bene la necessità oggi di richiamare l’attenzione sulla protezione dei diritti civili dei nostri fratelli e sorelle musulmani”, ha affermato il porporato parlando a nome della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb). ”Consideriamo la libertà religiosa come un fondamento essenziale del nostro vivere insieme nel nostro Paese e nel mondo”. Nel suo intervento il cardinale McCarrick si è soffermato sulle minacce alla libertà religiosa anche negli Stati Uniti: “Conosciamo oggi casi in cui lo Stato vorrebbe costringere gruppi religiosi e individui a scegliere tra la propria fede e pratica e i dettami della legge”, ha detto, ammonendo che “quando la stessa libertà di coscienza è sotto tiro, viene sovvertita la possibilità di praticare la propria fede”. Egli ha quindi sottolineato che gli Stati Uniti dovrebbero dare l’esempio ai Paesi musulmani su come trattare le proprie minoranze religiose: “Fategli vedere una nazione che vuole trattare con dignità le loro sorelle e fratelli musulmani e che rispetta la loro identità e fede religiosa. Fategli vedere un popolo benedetto da una libertà religiosa conquistata con fatica e che mette in pratica il suo impegno per i diritti di tutti, dimostrando pieno rispetto per la dignità, l’integrità e la libertà per tutte le religioni”, ha concluso il porporato. L’audizione di martedì scorso è stata promossa dal senatore democratico Richard Durbin in risposta a quella convocata qualche settimana fa dai Repubblicani sulla minaccia dell’islamismo negli Stati Uniti e che aveva suscitato vive critiche da parte della comunità musulmana americana. (L.Z.)

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    Belgio: la Chiesa esaminerà con cura il lavoro della Commissione parlamentare sugli abusi

    ◊   Ha raccolto il plauso dei vescovi e dei superiori maggiori del Belgio il lavoro, “intenso” e durato mesi, condotto dalla Commissione speciale incaricata dal parlamento del Paese di indagare sugli abusi sessuali contro i minori e su fatti di pedofilia. Il Rapporto, che verrà pubblicato domani, è frutto di “un’ampia consultazione di testimoni e di esperti” e riguarda anche l’aspetto ecclesiale. In una nota, vescovi e responsabili di Istituti religiosi del Belgio affermano di voler prendere conoscenza del documento “nel più breve tempo possibile” e di studiarne “con la massima cura” le raccomandazioni, per valutare in che modo sia possibile integrarle con analoghe misure e strutture già in fase di realizzazione all’interno della Chiesa locale. Da tempo, i vertici della Chiesa belga stanno lavorando, afferma la nota, “nell'ottica di impedire gli abusi sessuali in ambito pastorale” e allo scopo di favorire la guarigione le vittime del passato, alle quali va la loro “principale preoccupazione”. Tale “problematica, specifica e delicata”, conclude la nota, “deve essere affrontata con la massima competenza”. (A.D.C.)

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    Cina: la peregrinazione dell’urna di Don Bosco, occasione di catechesi

    ◊   In occasione domenica scorsa della peregrinazione dell’urna di Don Bosco, la parrocchia Maria Ausiliatrice di Hong Kong ha ospitato un incontro diocesano. La presenza della reliquia è stata l’occasione per ricordare il valore autentico della devozione ai santi e delle reliquie e l’importanza del sacramento della Confessione. Nella notte tra sabato 26 e domenica 27 l’urna di Don Bosco è stata vegliata dai fedeli fino alle prime ore del mattino quando è stata celebrata l’Eucaristia domenicale. Nel pomeriggio ha avuto luogo un incontro a carattere diocesano, aperto a tutti e che ha visto il susseguirsi di un seminario, dell’adorazione eucaristica, di una liturgia penitenziale e della preghiera comune. Introducendo i lavori del seminario don Simon Lam, Ispettore della Cina, ha sottolineato il significato della devozione ai santi e in particolare a Don Bosco: “Il pellegrinaggio delle reliquie di Don Bosco non mira a suscitare una serie di grandi celebrazioni e attività, ma ci chiede di avvicinarsi a Gesù Cristo attraverso i suoi carismi. Pertanto, il fine ultimo di questa iniziativa è Gesù Cristo, non Don Bosco. Gesù è la fonte di salvezza e Don Bosco è una persona che ci presenta a Gesù; la peregrinazione è per noi una possibilità per avvicinarci a Lui”.Don Domingos Leong ha poi presentato l’origine della devozione, il significato profondo e l’atteggiamento della Chiesa verso le reliquie. La venerazione delle reliquie, ha spiegato, nasce dalla memoria delle anime dei defunti e serve a ricordare senza paure che ogni uomo affronterà la morte. Per i cristiani la data della morte indica il giorno della nascita al cielo e per i santi diventa la data in cui li si festeggia. Don Leong ha elencato alcune similitudini tra le offerte ai defunti dei cristiani e quelle della cultura cinese e ha concluso sottolineando che le reliquie servono anche a ricordarci che i santi sono stati esseri umani e che, quindi, tutti possono seguire il loro esempio. Preparando i presenti alla liturgia penitenziale, don Domingos ha citato Don Bosco e la cura che egli dedicava al sacramento della Riconciliazione, attenzione ricordata anche da Benedetto XVI durante l’udienza di mercoledì 25 marzo. Richiamando un consiglio di Don Bosco, ha invitato i giovani a non vergognarsi di confessare i peccati: “Una volta al mese, se vogliamo essere un cristiano medio; due volte al mese, se vogliamo occuparci di più della nostra anima; una a settimana, se vogliamo diventare santi”. Al termine del seminario a tutti i presenti è stata data la possibilità di confessarsi. La giornata è stata molto apprezzata dai partecipanti, uno dei quali ha commentato: “La riflessione sulla reliquia e sulla confessione è molto forte, e mi porta a rivedere la mie idee sulla vita e sulla morte. Come cristiani, dovremmo ricordarci che la nostra vita è una strada per il cielo”. (L.Z.)

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    Taiwan: la Chiesa chiede di riprendere la moratoria sulla pena di morte sospesa nel 2010

    ◊   Lo stupro e l’uccisione di una studentessa di 13 anni, di cui deve rispondere un maniaco sessuale, hanno rinfocolato le discussioni a Taiwan sulla pena capitale e sulla moratoria delle esecuzioni, che durava dal 2005 e che è stata interrotta lo scorso anno. Il Paese asiatico è dunque rientrato nel gruppo dei 23 Stati che hanno eseguito condanne a morte nel 2010, di cui documenta il rapporto annuale di Amnesty International. Ad aggravare la situazione, un sondaggio ha rilevato che il 70% dei cittadini taiwanesi sarebbero a favore della pena di morte. Dopo le dimissioni lo scorso anno del ministro Wang Ching-feng, responsabile della Giustizia, perché contraria alla pena di morte, il successore Tseng Yung-fu aveva fatto eseguire quattro condanne a morte nell’aprile 2010. Ed altre cinque esecuzioni vi sono state all’inizio di questo mese. Nel frattempo la Conferenza episcopale regionale – riferisce l’agenzia AsiaNews - ha chiesto al governo e ai cittadini di sospendere le esecuzioni, in attesa della completa abolizione della pena capitale, così da rispettare la dignità della persona umana e la sacralità della vita. Il presidente di Taiwan, Ma, ha detto la settimana scorsa che Taiwan continuerà ad eseguire condanne tra i detenuti nel braccio della morte, perché la legge del Paese vuole così, ma che il governo sta lavorando per ridurre l’uso della pena capitale. La dichiarazione di Ma è giunta dopo che il presidente dell’International Ombudsman Institute, Beverley Wakem, aveva dichiarato che la pena di morte viola i diritti umani. Amnesty International sostiene che i Paesi che continuano ad usare la pena di morte sono sempre più isolati. In totale 31 nazioni l’hanno abolita nel corso degli ultimi 10 anni. Fra gli Stati che vi fanno ricorso più di frequente ci sono Cina, Iran, Arabia Saudita, Stati Uniti e Yemen. Dopo la Cina, l’Iran è al secondo posto con 252 esecuzioni nel 2010; seguono Corea del nord (60), Yemen (53), Stati Uniti (46) e Arabia saudita (27). Il numero globale delle esecuzioni è sceso rispetto all’anno precedente, afferma Amnesty International, ma l’elenco non comprende la Cina, dove i dati sono tenuti segreti dal governo, e dove si ritiene che ogni anno abbiano luogo migliaia di esecuzioni. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Anno giubilare per i 150 anni della Basilica dell’Immacolata a Taiwan

    ◊   Benedetto XVI ha concesso l’indulgenza plenaria per l’anno giubilare in occasione dei 150 anni di fondazione della basilica dell’Immacolata Concezione nel Santuario di Wan Chin, nella diocesi di Kaohsiung a Taiwan. Come riporta l’agenzia Fides, con un decreto della Penitenzieria Apostolica firmato l’8 febbraio scorso il Papa ha concesso l’indulgenza a tutti i fedeli che si recheranno in pellegrinaggio in quella Basilica durante il 2011. Il 20 luglio 1984 Giovanni Paolo II ha elevato la chiesa al rango di Basilica minore, diventando così la seconda Basilica cinese dopo quella dedicata alla Madonna Aiuto dei Cristiani nella diocesi di Shang Hai. Ogni anno l’8 dicembre nella Basilica dell’Immacolata Concezione accorrono numerosi pellegrini da tutto il mondo. (G.P.)

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    Collaborazione tra l’Università cattolica di Friburgo e la Scuola dottorale del Patriarcato di Mosca

    ◊   Riconoscimento reciproco dei diplomi, possibilità di compiere gli studi contemporaneamente in entrambi gli istituti, scambio di studenti e insegnanti: è quanto prevede l’accordo di collaborazione siglato venerdì scorso a Friburgo, in Svizzera, tra la locale università e la Scuola dottorale Santi Cirillo e Metodio della Chiesa ortodossa russa. L’intesa – riferisce L’Osservatore Romano - è stata firmata dal metropolita di Volokolamsk, Hilarion Alfeyev, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne (Decr) del Patriarcato di Mosca, dal rettore dell’Università di Friburgo, Guido Vergauwen, e dal decano della Facoltà di teologia dell’ateneo, Mariano Delgado. Alla cerimonia erano presenti fra gli altri — come riporta il sito del Decr - il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, l’arcivescovo Francesco Canalini, nunzio apostolico in Svizzera e nel Principato di Liechtenstein, il vescovo Pierre Farine, amministratore della diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo, e mons. Nikolaus Wyrwoll, direttore dell’Istituto delle Chiese orientali a Regensburg. Tra i rappresentanti ortodossi figuravano il metropolita di Minsk e Slutsk, Filaret, esarca patriarcale di tutta la Bielorussia, l’arcivescovo di Tulcinsk e Bratslav, Jonafan, il vescovo di Korsun, Nestor, e il vescovo di Brashov, Sofian. Presente anche il presidente della Federazione delle Chiese protestanti svizzere, Gottfried Locher. Al termine dell’evento, il metropolita Hilarion e il cardinale Koch hanno piantato simbolicamente un albero nel giardino dell’Istituto di studi intercristiani, a ricordo della loro visita a Friburgo e dell’accordo di cooperazione fra le due istituzioni. La firma dell’accordo è stata l’occasione per conferire ad Hilarion - che è anche rettore della Scuola dottorale Santi Cirillo e Metodio della Chiesa ortodossa russa - il titolo di professore titolare dell’Università di Friburgo. La cerimonia è stata aperta da Guido Vergauwen, che ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra l’Ateneo e le Chiese ortodosse, mentre la consigliera di Stato Isabelle Chassot, ministro della Pubblica Istruzione del cantone di Friburgo, ha fatto notare che è la prima volta che un vescovo ortodosso russo diventa professore titolare della Facoltà di teologia. È stato il decano, Mariano Delgado, a consegnare il diploma ad Hilarion. Sono seguiti gli interventi del metropolita Filaret e del cardinale Koch. Il primo ha messo in evidenza la rilevanza dell’avvenimento per la teologia cristiana, affermando che “davanti alla fragilità della civiltà moderna, i cristiani d’Europa sono chiamati a testimoniare l’eterna attualità dei comandamenti di Cristo, e la Svizzera, con il suo secolare impegno a favore della libertà della persona, può contribuire validamente a tale testimonianza”. Koch ha ricordato la coincidenza dell’evento con la solennità dell’Annunciazione del Signore, spiegando che la teologia deve essere scienza della gioia cristiana. Il metropolita Hilarion, al termine della cerimonia, ha tenuto una lezione presso la Facoltà di musicologia dal titolo “I salmi nella tradizione ortodossa”. Il presidente del Decr ha ricordato i legami che lo uniscono da tempo all’Università di Friburgo (come insegnante delle discipline dogmatiche nella Facoltà di teologia) ed il suo impegno, come rappresentante della Chiesa ortodossa russa, nel quadro dei differenti programmi tesi al rafforzamento delle relazioni intercristiane. (R.G.)

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    La Caritas svizzera intensifica gli aiuti per l’emergenza umanitaria in Nord Africa

    ◊   La Caritas svizzera ha portato a 500mila franchi svizzeri, pari a 386.545 Euro, il suo contributo agli aiuti ai rifugiati e sfollati della regione del Maghreb. Agli aiuti partecipa anche la fondazione benefica elvetica Chaîne du Bonheur. In queste ultime settimane – riferisce l’agenzia Apic - l’organizzazione caritativa cattolica ha distribuito tra i 2mila e i 4mila pasti e bottiglie d’acqua al giorno. I collaboratori della Caritas hanno inoltre aiutato persone ammalate a trovare cure mediche e si sono occupati anche dei minori non accompagnati alle frontiere. I rifugiati più vulnerabili sono i migranti dall’Egitto, dai Paesi dell’Africa sub-sahariana come il Ciad e il Niger e dall’Asia, in particolare dal Bangladesh. Molti di loro sono bloccati alle frontiere e attendono ancora di essere evacuati nei loro Paesi di origine. Gli aiuti (derrate alimentari, coperte, materiale igienico) sono quindi concentrati su questi gruppi. (L.Z.)

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    Francia: a Lille ciclo d’incontri sulla famiglia, organizzati dalla Chiesa

    ◊   Proporre misure efficaci ed intraprendere iniziative di solidarietà volte a sostenere la famiglia, sempre più minacciata dalla società di oggi; diffondere la solidarietà e l’amore per il prossimo; supportare le attività dei movimenti cattolici all’interno della Chiesa. Questi, in sintesi, gli argomenti principali discussi nel corso di un Convegno sulla famiglia dal titolo: “Famiglia, l’arte di vivere la solidarietà”, svoltosi a Lille, alla presenza di mons. Jean-Charles Descubes, arcivescovo di Rouen e presidente del Consiglio famiglia e società della Conferenza episcopale francese, di mons. Laurent Ulrich, arcivescovo di Lille e vice presidente della Conferenza episcopale, e di Monique Baujard, direttrice del Servizio nazionale famiglia e società. Il Convegno di Lille – di cui riferisce L’Osservatore Romano - fa parte di un ciclo di incontri promosso dalla Conferenza episcopale francese. Nei mesi scorsi a Bordeaux sono state affrontate le problematiche all’interno della vita di coppia e alle soluzione da intraprendere nelle crisi familiari. Il 14 maggio prossimo, invece, a Strasburgo, si discuterà dell’importanza dell’educazione e dell’istruzione scolastica all’interno della famiglia. “La società nella quale viviamo - ha spiegato nel corso del suo intervento mons. Ulirich, vice presidente dei vescovi francesi - valorizza all’eccesso, nonostante i sondaggi, i problemi e le inevitabili questioni relative alla famiglia. L’invito a questo convegno evoca sommariamente tutti problemi che si presentano. E noi teniamo conto in particolare delle conseguenze dei cambiamenti sociali e culturali: il legame è insidiosamente messo in discussione. Sono noti diversi aspetti: la privatizzazione dei comportamenti e l’individualismo, l’organizzazione differente del lavoro e del tempo ad essa dedicato con le loro ripercussioni sui momenti di svago, le crisi della trasmissione e dell’educazione, le ragion d’essere del matrimonio e della procreazione scosse dalla bioetica e dalle influenze culturali. La famiglia - ha spiegato l’arcivescovo di Lille - può essere un luogo d’apprendimento della vita sociale. Essa è, per esempio, una parte della società economica nella quale si vivono i cambiamenti non-mercificati; tranne, si sa, nei casi scandalosi riportati regolarmente dalle cronache in cui si vedono famiglie, bambini tra di loro, coniugi contro i propri figli in una vera guerra economica. Ma spesso le famiglie - ha aggiunto il presule - sono il luogo di apprendimento del dono, della gratuità. E se il Papa, nella sua ultima Enciclica, sottolinea con fermezza il ruolo della gratuità nella stessa vita economica, compreso il cuore del settore merceologico, è probabilmente nella vita familiare che se ne può scoprire l’ispirazione. La famiglia è chiaramente il luogo di apprendimento della fraternità e del perdono. Quando si parla della fraternità, dell’appello rivolto a tutti gli uomini a considerare i loro simili come fratelli, quando Charles de Foucauld aveva scelto di chiamarsi ‘Fratello universale’, è evidente nell’esperienza familiare che lo si va a cercare”. Mons. Ulrich ha sottolineato l’importanza dei movimenti cattolici. “Bisogna dire che ci sono ancora movimenti e associazioni, in particolare nell’ambito dell’educazione e dell’animazione, che sono sostenuti da famiglie e gruppi di famiglie, all’interno della Chiesa, ciò è vero per i nostri movimenti di Azione cattolica, per lo scoutismo di tradizione cattolica, ma probabilmente vale anche per altri movimenti giovanili, laici e non confessionali. Il Papa - ha concluso - definisce la famiglia come un bene necessario per i popoli, una scuola di umanizzazione dell’uomo affinché cresca fino a divenire pienamente uomo”. (R.G.)

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    Conclusi a Roma i lavori del Consiglio permanente della Cei

    ◊   Si è chiuso ieri sera a Roma il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. A darne notizia è mons. Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, informando che è stato autorizzato l’invio ai vescovi della seconda parte della terza edizione del Messale Romano, in vista dell’approvazione dell’Assemblea generale il prossimo maggio. E’ stato anche discusso il rilancio delle erogazioni liberali per il sostentamento del clero e determinato il contributo da assegnare ai Tribunali Ecclesiastici Regionali per l’anno in corso. I vescovi hanno inoltre approvato il piano quinquennale delle 12 commissioni episcopali, inserito negli Orientamenti della Cei. E’ stato infine dato conto della proposta di modifica dell’intesa per l’insegnamento della religione cattolica per adeguarla ai nuovi titoli accademici rilasciati dagli Istituti superiori di Scienze Religiose. (G.P.)

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    La Comunità dell'Emmanuele festeggia 40 anni di vita

    ◊   Dal 25 marzo 2011 al 15 agosto 2012, la Comunità dell'Emmanuele festeggerà il suo giubileo. Per l'occasione, annuncia un comunicato, è stato avviato un sito web speciale - www.jubilezaveclemmanuel.com - che resterà in funzione per tutta la durata del giubileo e conterrà interviste, testimonianze e documenti d'archivio (fotografie, video, estratti audio di insegnamenti del fondatore, di cui è in corso la causa di canonizzazione). Durante il giubileo, la Comunità dell'Emmanuele commemora vari anniversari: i 20 anni dalla morte del fondatore, Pierre Goursat (25 marzo 2011); i 40 anni dell'Effusione dello Spirito Santo su Pierre Goursat e Martine Catta; i 30 anni di Fidesco, la Ong di volontariato di solidarietà internazionale; i 20 anni del primo riconoscimento della Comunità da parte della Santa Sede; i 30 anni delle prime consacrazioni al celibato. Il giubileo, afferma il comunicato, è iniziato con momenti forti come l'udienza di Papa Benedetto XVI a Roma il 3 febbraio scorso e la trasmissione di un film su Pierre Goursat il 21 marzo sulla rete Kto. Oggi, come associazione pubblica internazionale di fedeli di diritto pontificio, la Comunità dell'Emmanuele è presente in 57 Paesi di tutti i continenti e ha 9.000 membri, di cui 220 sono sacerdoti, 95 seminaristi, 195 uomini e donne consacrati nel celibato. Tutti riconoscono Gesù “come centro della vita per essere nel mondo senza essere del mondo” (preambolo degli Statuti). L'Emmanuele ha la vocazione di partecipare al compimento della missione della Chiesa nel mondo attuale, in particolare attraverso l'adorazione, la misericordia e l'evangelizzazione. La Comunità è nota per le sue liturgie, le sue sessioni a Paray-le-Monial che riuniscono ogni estate più di 25.000 persone, la Ong Fidesco con 200 volontari inviati in tutto il mondo. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Fukushima: nuovo aumento della radiottività nel mare

    ◊   Prosegue l’allarme nucleare in Giappone, dopo che l'Aiea ha registrato nel tratto di mare antistante la centrale Fukushima un nuovo aumento dei livelli di radiazioni oltre i limiti. Osservatori dell’Agenzia internazionale per l'energia atomica hanno consigliato di estendere l'ampliamento della zona di evacuazione intorno ai reattori colpiti. Dal canto suo, il premier Naoto Kan ha promesso che l’impianto di Fukushima sarà smantellato e che sarà “rivisto da zero il piano di costruzione di nuove centrali nucleari”. In una conferenza stampa congiunta con il presidente francese, Nicolas Sarkozy, il primo ministro nipponico ha inoltre annunciato che la questione sarà nell’agenda del prossimo vertice del G20, in calendario a maggio. Intanto, i media collegano la radioattività presente, anche se a livelli bassissimi, nel latte della costa ovest degli Stati Uniti a quanto accade in Giappone. Per capire se sia corretto mettere in relazione le due situazioni, Fausta Speranza ha intervistato Roberto Moccaldi, esperto di radio protezione del CNR, Centro nazionale delle ricerche:

    R. - Da un punto di vista logico, direi assolutamente di no. Nel senso che non è possibile che possano esserci delle contaminazioni rilevanti legate a una provenienza di radionuclidi dalla centrale di Fukushima. Oggi, abbiamo a disposizione delle strumentazioni molto sofisticate e molto sensibili, quindi - ammesso e non concesso che possa esserci la possibilità in America di rilevare una concentrazione di radionuclidi bassissima, ma non nulla - questo non ci autorizza a dire che quella contaminazione sia pericolosa. Noi beviamo, mangiamo e conviviamo quotidianamente con una quota di radiazioni assolutamente superiore a quella che viene rilevata con questi strumenti di misura.

    D. – Professore, ci aiuta anche a capire la questione territoriale di sicurezza intorno a Fukushima? L’Agenzia che se ne occupa ha ribadito che bastano i 20 chilometri di isolamento, mentre altri sostengono la necessità di un maggiore raggio di azione. Lei che cosa pensa?

    R. – Questa misura precauzionale fa parte di una serie di dispositivi studiati per essere messi in atto in caso d’incidenti o situazioni analoghe. Laddove si rilevino determinati livelli di contaminazione, lì si pone il limite, che può essere 20, 30, 50, 100… Scegliere 20, 30 o 50 dipende esclusivamente dal grado di contaminazione rilevato in aria o sul suolo. Non lo possiamo dire certamente da qui: dovremmo avere tutti i dati e poi, eventualmente, dare un parere in questo senso. Considerando anche il criterio per cui i livelli di contaminazione possono cambiare in funzione di nuovi rilasci di sostanze nell’ambiente da parte della centrale, o per modificazione delle condizioni climatiche. Ciò, evidentemente, muta l’andamento e quindi, anche, la necessità di evacuare o comunque di porre dei rimedi in aree diverse rispetto a quelle del giorno prima. (ma)

    Svizzera: plico-bomba contro la Federazione dell'industria nucleare
    Mentre in tutto il mondo si riaccende il dibattito sull’energia nucleare, stamani una lettera-bomba è esplosa negli uffici della Federazione dell'industria nucleare svizzera a Olten, causando il ferimento, in modo superficiale, di due persone. I due feriti sono due collaboratrici di Swissnuclear, entrambe trasportate all'ospedale, tra le quali la donna che ha aperto la lettera. Per ora non è giunta alcuna rivendicazione del gesto. Un'inchiesta è stata aperta dalla magistratura elvetica.

    Siria: un comitato per studiare l'abolizione dello stato di emergenza
    In Siria, il presidente, Bashar al Assad, ha creato un comitato giuridico per studiare l'abolizione dello stato di emergenza, in vigore da quasi 50 anni. L’iniziativa viene incontro alle richieste dei manifestanti siriani, protagonisti di una mobilitazione senza precedenti contro il governo del partito unico Baath, al potere da 48 anni. Finora, il governo di Damasco ha respinto di fatto le richieste dei dissidenti, liquidandole come parte di un “grande complotto” ordito da “parti straniere” e reprimendole con la forza. Questo ha causato, secondo fonti non confermate, almeno 200 morti. Intanto, su Internet si moltiplicano gli appelli degli attivisti a scendere domani in piazza, dopo la preghiera islamica, in tutte le città del Paese.

    Yemen, presidente Saleh propone processo di transizione
    Una nuova proposta è stata avanzata dal presidente yemenita all’opposizione. Saleh ha chiesto di rimanere in carica per un anno, con il trasferimento graduale di poteri ad un governo transitorio e in attesa di nuove elezioni presidenziali. La proposta è stata avanzata ieri sera, nel corso di un vertice tra Saleh e un dirigente del partito islamico d’opposizione di al-Islah, che si e' riservato di dare una risposta nei prossimi giorni.

    Egitto
    Egitto al voto il prossimo settembre per le elezioni legislative. A deciderlo il Supremo consiglio delle forze armate, al potere dopo la caduta di Mubarak. Due mesi dopo saranno programmate le consultazioni presidenziali. Ieri, anche la presentazione dei 62 nuovi articoli della Costituzione nei quali si ribadisce che la sharia è la base del diritto. Alcune forze dell’opposizione hanno espresso la loro insoddisfazione, necessaria soprattutto una nuova Costituzione, che non sia quella emendata, presentata ieri dai militari.

    Kuwait
    Il governo kuwaitiano ha rassegnato ufficialmente le dimissioni all'emiro del Paese, lo sceicco Sabah al-Ahmad al-Jaber al-Sabah. Lo ha annunciato la tv satellitare al-Arabiya. Fonti governative sostengono che la decisione sia stata presa per evitare che tre esponenti del governo fossero costretti a rispondere in parlamento di alcune accuse rivolte loro dai deputati dell'opposizione.

    Pakistan
    Almeno 10 persone hanno perso la vita in un attentato avvenuto questa mattina nel nordovest del Pakistan. Una bomba è esplosa al passaggio del convoglio del capo del partito islamico locale, in passato già preso di mira dai terroristi. L’uomo è rimasto illeso.

    Myanmar
    In Myanmar, ieri ha giurato il nuovo presidente, Thein Sein, assieme al nuovo governo. Ufficialmente, la giunta militare è stata sciolta, ma gli osservatori internazionali ritengono difficile un reale cambiamento nel Paese. Il nuovo presidente è infatti considerato uomo fedele del generale Than Shwe e anche i componenti del nuovo esecutivo provengono dagli ambienti militari.

    Cuba
    Il presidente cubano, Raul Castro, ha dichiarato che il suo governo è pronto a dialogare con gli Usa per raggiungere la normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi. Il capo di Stato ha espresso la volontà di “discutere” di qualsiasi argomento, mentre l'ex presidente americano Carter sta lavorando “per la soluzione dei problemi comuni”.

    Germania: cala la disoccupazione
    Continua a correre l’economia tedesca. In Germania, nel mese di marzo si è registrato un nuovo calo del tasso di disoccupazione sceso al 7,1% rispetto al 7,3% del mese di febbraio. Un numero decisamente migliore di quanto previsto dagli economisti (7,3%). I disoccupati sono tre milioni, il livello minimo dal giugno 1992. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 90

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.