Logo 50Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 23/03/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI all'udienza generale: il mondo ha bisogno di pace, i credenti siano pacificatori
  • Nomine
  • Istituito Fondo speciale dell’Apostolato del Mare per le vittime di terremoto e tsunami in Giappone
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Libia: a Misurata nuovi attacchi delle forze di Gheddafi e raid della coalizione. Parigi: alla Nato ruolo tecnico
  • La nave San Marco a Lampedusa. L'arcivescovo di Agrigento: solidarietà e soluzioni rapide
  • Situazione drammatica in Costa d'Avorio: migliaia in fuga dagli scontri
  • Chiesa e Società

  • Giovanni Paolo II: per il cardinale Amato continue "segnalazioni di grazie"
  • Portogallo: nota pastorale dei vescovi sulla Beatificazione di Giovanni Paolo II, il Papa di Fatima
  • Dalla Caritas Giappone un Centro per aiutare i sopravvissuti
  • In Giappone chiese aperte agli sfollati. L'opera di soccorso dei giovani cattolici
  • Taiwan: la solidatietà dei cristiani verso il Giappone
  • I vescovi del Pakistan condannano il rogo del Corano negli Usa
  • Due cristiani uccisi in Pakistan da giovani musulmani davanti a una chiesa
  • Emergenza acqua potabile: iniziative dell’Unicef per i bambini in Pakistan ed Iraq
  • Consiglio Ecumenico delle Chiese: appello per il disarmo nucleare
  • Africa: le lingue nell’era della globalizzazione
  • Thailandia. Il nunzio ai profughi birmani: "la Chiesa non vi ha dimenticato"
  • Nepal: i cristiani protestano contro il governo per la sepoltura dei morti
  • La Malaysia fa marcia indietro sulle Bibbie sequestrate. I cristiani valutano la proposta
  • Nota del cardinale Piacenza sull’adorazione eucaristica in vista della Conferenza di Roma in giugno
  • Inaugurazione il 25 marzo a Nazareth di un parco tematico religioso
  • I giornalisti parlamentari a Strasburgo chiedono ad Ankara di rispettare la libertà di stampa
  • L’impegno della Custodia di Terra Santa nella tutela dei luoghi sacri e nelle opere di carità
  • Meeting di Rimini: annunciata la presenza di Napolitano alla giornata inaugurale del 21 agosto
  • Diocesi di Roma: domani per i “Dialoghi in cattedrale”, il libro di Benedetto XVI “Gesù di Nazaret”
  • Roma: riparte la Clericus Cup 2011 nel segno di Papa Wojtyla
  • 24 Ore nel Mondo

  • Siria. La polizia spara sui manifestanti: almeno 6 morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI all'udienza generale: il mondo ha bisogno di pace, i credenti siano pacificatori

    ◊   Oggi il mondo ha tanto bisogno di pacificatori. Lo ha detto questa mattina Benedetto XVI durante l’udienza generale, la prima di quest'anno tenuta in Piazza San Pietro. Il Papa ha incentrato la catechesi sulla figura di San Lorenzo da Brindisi, insigne dottore della Chiesa del 16.mo secolo e grande evangelizzatore, che insegna ai cristiani di oggi, ha detto, a difendere il messaggio di Cristo “dall’indifferenza religiosa”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Non esiste un cristiano degno di questo nome che non sia un uomo di pace. E non esiste un’epoca nella quale questa precisa testimonianza cristiana non sia più che necessaria. La considerazione di Benedetto XVI scaturisce dall’interno di una catechesi su un personaggio di grande calibro della Chiesa del passato – quella della seconda metà del 1500 – ma i cui insegnamenti valgono tutti per quella del presente. San Lorenzo da Brindisi, ha spiegato il Papa, è un religioso Cappuccino intelligente, poliglotta, “predicatore efficace”, che conosce a menadito la Bibbia e pure la letteratura rabbinica, al punto da suscitare “ammirazione e rispetto” tra gli ebrei più dotti. Ma da buon seguace di Francesco di Assisi, il religioso è un “uomo di pace”, che semina ovunque si trovi o sia inviato. Caratteristica messa bene in risalto dal Papa:

    “Oggi, come ai tempi di san Lorenzo, il mondo ha tanto bisogno di pace, ha bisogno di uomini e donne pacifici e pacificatori. Tutti coloro che credono in Dio devono essere sempre sorgenti e operatori di pace”.

    Una qualità di san Lorenzo da Brindisi era quella di farsi capire dalla gente umile grazie – ha detto il Pontefice – alla “sua esposizione chiara e pacata”. Questo modo di annunciare il Vangelo, proprio dei Cappuccini e di altri Ordini religiosi del tempo, ha constatato Benedetto XVI, contribuì a rinnovare la società, richiamando i cristiani alla “coerenza” della vita “con la fede professata”:

    “Anche oggi la nuova evangelizzazione ha bisogno di apostoli ben preparati, zelanti e coraggiosi, perché la luce e la bellezza del Vangelo prevalgano sugli orientamenti culturali del relativismo etico e dell’indifferenza religiosa, e trasformino i vari modi di pensare e di agire in un autentico umanesimo cristiano”.

    Testimone di pace, annunciatore convincente, ma anche uomo di preghiera. Dote, questa, che brillò in Lorenzo da Brindisi e che altrettanto – ha ribadito Benedetto XVI – deve spiccare nei sacerdoti contemporanei, perché pregare “è il momento più importante nella vita di un sacerdote” e protegge da derive e confusioni:

    “Alla scuola dei santi, ogni presbitero, come spesso è stato sottolineato durante il recente Anno Sacerdotale, può evitare il pericolo dell’attivismo, di agire cioè dimenticando le motivazioni profonde del ministero, solamente se si prende cura della propria vita interiore (...) Se non siamo interiormente in comunione con Dio, non possiamo dare niente neppure agli altri. Perciò Dio è la prima priorità”.

    Una personalità ecclesiale e culturale di questo tipo non poteva non lasciare un segno anche nel campo del dialogo. Nella Germania influenzata da Lutero, Lorenzo da Brindisi diventa colui che, tra tanti, più è “in grado di illustrare in modo esemplare la dottrina cattolica” ai cristiani che avevano aderito alla Riforma. Capace, cioè, ha indicato il Papa, di mostrare “il fondamento biblico e patristico di tutti gli articoli di fede messi in discussione” dall’iniziatore del protestantesimo. E dunque, “il primato di San Pietro e dei suoi successori, l’origine divina dell’Episcopato, la giustificazione come trasformazione interiore dell’uomo, la necessità delle opere buone per la salvezza”:

    “Il successo di cui Lorenzo godette ci aiuta a comprendere che anche oggi, nel portare avanti con tanta speranza ed entusiasmo il dialogo ecumenico, il confronto con la Sacra Scrittura, letta nella Tradizione della Chiesa, costituisce un elemento irrinunciabile e di fondamentale importanza, come ho voluto ricordare nell’Esortazione Apostolica Verbum Domini”.

    Dopo le consuete catechesi in sintesi nella diverse lingue, Benedetto XVI ha salutato in particolare i membri del Dipartimento della Polizia Stradale delle Marche, accompagnati in udienza dall’arcivescovo di Ancona, Edoardo Menichelli, e le delegazioni dei Comuni aderenti all’Associazione Città del SS.mo Crocifisso. A loro e agli altri fedeli, il Papa ha chiesto “di porre sempre al centro di ogni attività la persona umana, secondo l’insegnamento della Chiesa”.

    inizio pagina

    Nomine

    ◊   Benedetto XVI ha nominato nunzio apostolico in Indonesia mons. Antonio Guido Filipazzi, arcivescovo titolare di Sutri.

    Il Santo Padre ha nominato vescovo coadiutore della diocesi di Guajará-Mirim (Brasile) il rev. Benedito Araújo, del clero dell’arcidiocesi di São Luís do Maranhão, finora parroco della Parrocchia Nossa Senhora de Nazaré a São Luís. Il rev. Benedito Araújo è nato il 21 novembre 1963, a Paço do Lumiar, arcidiocesi di São Luís do Maranhão, nel nord est del Brasile. Dopo gli studi presso la Facoltà di Filosofia e Teologia a São Luís, presso l’IESMA – Instituto de Ensino Superior do Maranhão, ha ottenuto la Licenza in Ecumenismo presso la Pontificia Università Antonianum, Facultas Theologiae, a Venezia. È stato ordinato sacerdote il 17 novembre 1991.

    inizio pagina

    Istituito Fondo speciale dell’Apostolato del Mare per le vittime di terremoto e tsunami in Giappone

    ◊   Il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, a cui spetta l’alta direzione dell’Opera dell’Apostolato del Mare, ha lanciato una campagna di solidarietà in favore della gente del mare colpita dal terremoto e dallo tsunami che hanno investito il Nord del Giappone. Il dicastero vaticano ha invitato vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, impegnati nell’Apostolato del Mare, a versare una donazione al Fondo speciale dell’Apostolato del Mare, creato allo scopo di riabilitare le comunità di pescatori al centro del disastro. I fondi raccolti verranno trasmessi direttamente all’Apostolato del Mare del Giappone. Il direttore nazionale, Soon-Ho Kim, con la supervisione del vescovo promotore, mons. Michael Goro Matsuura, ha assunto la responsabilità di coordinare tale progetto.

    inizio pagina

    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il mondo ha bisogno di uomini e donne di pace: all'udienza generale il Papa parla di San Lorenzo da Brindisi.

    Nell'informazione internazionale, la Libia: si va delineando un'intesa sul ruolo chiave dell'Alleanza nel comando delle operazioni.

    Non si tratta di rendere l'uomo immortale ma di vivere come se egli meritasse di esserlo: in cultura, Paolo Becchi sul pensiero di Hans Jonas, un classico del pensiero del Novecento.

    Sulle ali del vento che spettina le nuvole: Isabella Farinelli illustra il modo in cui gli impressionisti modificarono il senso della pittura in Europa.

    Cosa diceva Pietro in volo: la prefazione di padre Federico Lombardi, direttore generale della Radio Vaticana, al libro, curato da Angela Ambrogetti, "Compagni di viaggio. Interviste al volo con Giovanni Paolo II".

    Un articolo di Luca M. Possati dal titolo "Hacker in cerca della perla preziosa": dubbi sui dubbi de "La Civiltà Cattolica".

    Quell'ultimo sorriso di padre Pio: i ricordi di Giuseppe Tamburrano in un'intervista sul settimanale "Dipiù".

    Per questa mia vita perduta rendo grazie a Dio: nell'informazione religiosa, il testamento spirituale di Christian de Chargé, uno dei monaci di Tibhrine, in Algeria (rapiti e poi uccisi quindici anni fa).

    inizio pagina

    Oggi in Primo Piano



    Libia: a Misurata nuovi attacchi delle forze di Gheddafi e raid della coalizione. Parigi: alla Nato ruolo tecnico

    ◊   Dopo l'accordo sul ruolo della Nato in Libia restano ancora alcuni nodi da sciogliere. Per Parigi l'Alleanza Atlantica avrà solo un ruolo tecnico e non di comando politico. Comunque, già oggi iniziano i pattugliamenti navali dell’Alleanza per far rispettare l’embargo delle armi. L'intesa è stata raggiunta dopo una serie di colloqui telefonici tra il presidente statunitense, Barack Obama, il capo di Stato francese, Nicolas Sarkozy, ed il premier britannico, David Cameron. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    All’Alleanza Atlantica viene affidato il comando unificato della missione in Libia per far rispettare la risoluzione 1973 dell’Onu che prevede l’embargo delle armi ed il rispetto della ‘no fly zone’. Ma a questo accordo si sovrappongono posizioni e prospettive di singoli Paesi non sempre convergenti. Gli Stati Uniti premono per un progressivo disimpegno americano dallo scenario bellico, la Francia parla di ruolo tecnico della Nato e non di comando politico e auspica una piena attuazione della ‘no fly zone’, il Regno Unito invoca un maggiore coinvolgimento dei Paesi arabi, anche se l’Arabia Saudita ha già escluso un proprio impegno militare.

    L’Italia, in sintonia con gli Stati Uniti e gli altri alleati, ribadisce la priorità di affidare alla Nato il comando unificato delle operazioni. L’Italia, come ha riferito il colonnello Massimo Panizzi, portavoce del presidente del comitato militare della Nato, avrà un ruolo di primo piano nella missione per il rispetto dell'embargo delle armi, con il comando della componente marittima della missione in Libia. La Nato ha anche reso noto che il flusso illegale di armi verso la Libia ''e' un'attivita' che continua''.

    Da segnalare poi che la Russia esprime preoccupazione per “l’uso indiscriminato della forza” e chiede un immediato “cessate il fuoco”. Ancora più netta la posizione della Germania, che si ritira dalle operazioni dell’Alleanza Atlantica nel Mediterraneo. Oltre a colpire obiettivi militari, si cerca anche di limitare la struttura economica che ancora alimenta il governo libico. I Paesi dell’Unione Europea, in particolare, hanno trovato un accordo per imporre sanzioni alla Compagnia petrolifera libica. E mentre il fronte occidentale definisce nuove strategie e la leadership della missione in Libia, il colonnello Muammar Gheddafi ha ribadito ieri, davanti ad una folla radunata di fronte al suo bunker a Tripoli, di non voler lasciare il Paese.

    Sono stati liberati intanto i tre giornalisti occidentali arrestati nei giorni scorsi dalle autorità libiche. Altri quattri giornalisti del New York Times, rimasti per una settimana nelle mani delle forze di Muammar Gheddafi, hanno inoltre riferito che sono stati bendati, ammanettati, malmenati. Sul terreno, infine, forze fedeli a Gheddafi sono entrate nel centro della città di Misurata. I morti, solo oggi a Misurata, sono almeno 17. La coalizione internazionale ha risposto con raid aerei per evitare che le truppe governative si avvicinino a Bengasi, roccaforte degli insorti e sede del Consiglio nazionale transitorio libico che oggi ha nominato un governo ad interim.

    In Libia si continua dunque a combattere e a Tripoli, bersaglio in questi giorni di diversi raid notturni, si vive oggi una situazione di calma surreale. E' quanto sottolinea Cristiano Tinazzi, giornalista freelance raggiunto telefonicamente nella capitale libica da Amedeo Lomonaco:

    R. – Come tutti gli altri giorni, dopo i fuochi della contraerea e i bombardamenti, al mattino la città si risveglia tranquillamente, con un traffico regolare, i negozi aperti e i mercati pieni di gente. I bombardamenti che vengono effettuati, comunque, a parte la caserma di Bab al Aziziya che si trova in città, sono in periferia. L’altro ieri sono stati colpiti dei magazzini della Marina militare, che si trovano nella zona portuale di Tripoli. Noi giornalisti siamo andati a vedere. Si tratta di magazzini dove venivano tenuti degli automezzi russi per il trasporto di missili e tutto il materiale per i pezzi di ricambio. E’ un magazzino-deposito, dove non ci sono armi utilizzabili.

    D. – Dopo i raid, voi giornalisti spesso siete portati sui luoghi di questi bombardamenti. C’è il rischio che possiate diventare ‘scudi umani’ inconsapevoli?

    R. – Quando hanno bombardato la caserma di Bab al Aziziya c’è stato questo rischio, perché subito dopo il 'tomahawk' che è arrivato sul compound, hanno organizzato un autobus per portarci nella caserma. Io ed altri giornalisti italiani e qualche collega straniero ci siamo rifiutati, perché ritenevamo la situazione non completamente sicura. Gli altri sono andati e poi abbiamo saputo, appunto, che all’ultimo è stato rinviato un attacco che era previsto proprio sulla caserma. E’ chiaro che se c’è la presenza dei giornalisti è difficile che le forze della coalizione possano bombardare. Ma se manca un avviso nella catena di comando, per noi questo rischio diventa concreto.

    D. – Soffermiamoci anche sul possibile futuro della Libia. Oggi la Tripolitania e la Cirenaica sono due volti nettamente distinti di questo Paese. Se ci sarà un post Gheddafi, quali saranno le priorità, proprio per cercare di ricomporre questo mosaico libico?

    R. – Stanno cercando di utilizzare i consigli tribali per trovare una soluzione pacifica al conflitto che sta avvenendo in queste settimane. E’ stata organizzata una grande marcia verso Bengasi, una marcia pacifica non organizzata né dal governo né dai comitati popolari, ma dal Consiglio popolare e sociale. Si tratta di una sorta di organismo che raggruppa tutte le tribù del Paese e al quale hanno aderito anche i Warfalla. Infatti, in questo momento, ci troviamo a Beni Oualid, che è una roccaforte dei Warfalla, la tribù che in questo scenario è profondamente divisa. In ogni caso, questo è indicativo del fatto che alcune tribù, che all'inizio si erano staccate, si stanno riavvicinando, forse anche a causa dei bombardamenti stranieri: questo Paese non accetta ingerenze esterne. (ap)

    L’accordo raggiunto tra le potenze alleate per affidare alla Nato il controllo delle operazioni militari sulla Libia ha messo in luce tutte le difficoltà politiche che caratterizzano questo sistema di alleanza militare, rischiando di comprometterne l’efficacia. Stefano Leszczynski ha intervistato Paolo Quercia, esperto di questioni internazionali.

    R. - Il punto importante è che c’è stato un accordo politico tra Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna. Il contenuto di questo accordo, però, deve ancora essere meglio specificato e condiviso da tutti gli altri Paesi Nato anche perché, dai comunicati comparsi, si parla di un comando integrato della Nato a sostegno delle forze della coalizione, la "coalizione dei volenterosi" che comprende anche Paesi non-Nato.

    D. - La situazione nuova che il conflitto con la Libia ha messo in luce è un po’ questa disgregazione di intenti all’interno dell’Alleanza Atlantica. Insomma, è un’alleanza tutt’altro che granitica …

    R. - Da questa vicenda la compattezza politica dell’Alleanza Atlantica ne esce un po’ compromessa. Si registrano, tra i Paesi Nato, almeno tre o quattro comportamenti diversi: dalla neutralità nei riguardi delle operazioni Nato - che non comporta poi un’interdizione - come il caso della Germania; alla posizione turca, che invece prevede una contrarietà all’intervento al di là dello stretto supporto umanitario e forse al blocco navale; ed infine all’Italia, che invece vuole riportare tutto sotto la Nato, senza lasciare nessuna guida politica esterna dell’operazione. C’è poi la Francia, che vuole piuttosto procedere utilizzando strutture Nato ma con una comando politico della coalizione espresso a livello di ministri degli Esteri.

    D. - A livello regionale c’è il pericolo che la guerra civile libica possa, in qualche modo, allargarsi e contagiare i Paesi limitrofi?

    R. - Il grande rischio che pone la Libia è il collasso, proprio per l’atipicità del sistema statale libico, ed anche la possibilità che vengano messi in discussione i confini stessi della Libia, con un effetto-domino molto pericoloso, non tanto verso Tunisia ed Egitto quanto verso altri Paesi dell’Africa Subsahariana.

    D. - Quindi, in sostanza, quei Paesi che hanno dei conti in sospeso con il regime di Gheddafi potrebbero approfittarne per una rivalsa anche territoriale …

    R. - Certo. E’ chiaro che c’è questo rischio se nella continuità e nella transizione non si mantengono in piedi delle strutture statali, se i confini non sono presidiati, se non c’è più un’amministrazione. In passato ci sono state guerre tra Libia e Paesi contermini, ci sono discorsi di risorse che possono essere rimessi in gioco e rivendicati ... (vv)

    La situazione umanitaria in Libia resta drammatica: sono migliaia le persone in fuga nell’est del Paese che abbandonano le loro case. Molti attraversano il confine con l’Egitto nel timore anche di rappresaglie da parte dei sostenitori del governo. A raccontarlo sono gli operatori dell’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati che si trovano al confine libico-egiziano. Prestare assistenza, dicono, è una vera e propria sfida. Francesca Sabatinelli ha intervistato Lawrence Yolles, delegato dell'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) per il sud Europa.

    R. – E’ difficile dare dati molto precisi. E’ chiaro che ci sono stati gruppi di persone, soprattutto famiglie, che sono andate verso la frontiera egiziana. Finora sono 15 mila i libici – non solo negli ultimi giorni, però – che hanno attraversato la frontiera egiziana e sono andati verso l’interno dell’Egitto. Quindi, l’Egitto ha le frontiere abbastanza aperte. Naturalmente, in molti c’è timore di rappresaglie e quindi c’è gente che ha cominciato a partire. Devo anche dire, però, che almeno negli ultimi due giorni, la frontiera con l’Egitto è stata relativamente tranquilla.

    D. – Sappiamo che dovrebbe esserci personale dell’Unhcr in Egitto, che accoglie queste persone. In che condizioni sono?

    R. – Le condizioni non sono buone: devo dire che sono molto difficili e in effetti stiamo negoziando con le autorità egiziane per avere il permesso di poter migliorare le condizioni alla frontiera, dalla parte egiziana. Questi permessi arrivano con il contagocce, quindi in realtà non ci sono ancora, ma pensiamo che nel futuro la situazione migliorerà. Non ci sono i campi che normalmente noi avremmo auspicato, e che avremmo aiutato a mettere in piedi dalla parte egiziana, e soprattutto credo che gli egiziani considerino quella parte della frontiera sostanzialmente come un transito e non un posto dove la gente possa rimanere per lungo tempo. In effetti, abbiamo visto già 137 mila persone attraversare quella frontiera, di cui però un gruppo abbastanza grande, 79 mila - quindi la maggior parte - sono egiziani che dalla Libia ritornano in Egitto, e in più ci sono tra i 15 e i 20 mila libici. I libici possono entrare e finora quelli che sono entrati sembrano potersela cavare: sembra che abbiano i mezzi per continuare all’interno dell’Egitto e trovare la loro via. Pensiamo, però, che se la situazione dalla parte di Bengasi continuerà così, con questa sorta di assedio che c’è stato negli ultimi giorni, è possibile che si comincino a vedere arrivare dei gruppi di libici, che non hanno i mezzi che avevano i primi 20 mila e che avranno bisogno di un sostegno più solido. I gruppi di persone che arrivano alla frontiera egiziana e che hanno un problema molto, molto maggiore sono quelli che non possono continuare - eritrei, somali, sudanesi, le persone che per diverse ragioni non vogliono ritornare nei loro Paesi d'origine – e che quindi sono praticamente bloccati lì. Poi ci sono persone di altre nazionalità, di cui le ambasciate o i governi non si stanno occupando immediatamente. Per esempio, il Bangladesh è uno di questi Paesi. Si sta sviluppando una tensione tra gruppi di altri Paesi, che sono lì alla frontiera, che vorrebbero partire, ma che non hanno i mezzi per farlo. Noi stiamo organizzando, insieme all’Organizzazione internazionale per le migrazioni, dei viaggi: ci sono aerei continui che partono sia dall’Egitto che dalla Tunisia per portare le persone nei loro Paesi di origine.

    D. – Queste persone, che non possono permettersi di circolare, di trovare un riparo con i loro mezzi, in che situazione sono?

    R. – Non ci sono le strutture adatte: non sono molto solide e non hanno i nostri standard. Quindi, dal punto di vista igienico, dal punto di vista sanitario e dell’organizzazione è un po’ un disastro.

    D. – Lei ha parlato di trasporto aereo che avete organizzato per le persone; invece, per quanto riguarda l’invio di aiuti di prima necessità prevedete qualcosa?

    R. – Sì, stiamo stabilendo dei piani di intervento, soprattutto sulla frontiera con l’Egitto, e stiamo già predisponendo viveri e altri beni di prima necessità, che stiamo portando dai nostri depositi a Dubai e immagazzinando nelle vicinanze, per poterli utilizzare nell’eventualità di un grande esodo dalla Libia verso l’Egitto. Stiamo, dunque, approntando dei piani d’intervento che presto potremo condividere con i vari governi. (ap)

    inizio pagina

    La nave San Marco a Lampedusa. L'arcivescovo di Agrigento: solidarietà e soluzioni rapide

    ◊   E’ arrivata questa mattina a Lampedusa la nave San Marco della Marina militare italiana, che sarà utilizzata per trasferire gli immigrati giunti nell'isola. La nave farà la spola con la terraferma cercando di limitare il sovraffollamento. Le Regioni italiane sono disposte ad accogliere fino a 50mila profughi. Resta, intanto, drammatica l’emergenza tra la solidarietà e la preoccupazione dei cittadini. Da Lampedusa, il servizio del nostro inviato Massimiliano Menichetti.

    I giorni passano qui a Lampedusa e gli immigrati, per lo più tunisini, continuano ad arrivare: 80 nell'ultima ora, che si aggiungono ai quasi 5000 ancora presenti, nonostante alcuni trasferimenti. La nave San Marco giunta, questa mattina, per decongestionare l’isola, in realtà, per ragioni di sicurezza, potrà ospitare solo 550 persone. Le forze dell’ordine, 400 unità, controllano il territorio; giornalisti ed agenzie umanitarie sono tutti impegnati a sconfiggere abbandono indigenza e violazione dei più elementari diritti umani. Il Centro di prima accoglienza è al collasso, scoppiano la parrocchia ed il centro per minori. Ma ciò che non cambia con il trascorrere del tempo non è solo il quadro drammatico, è soprattutto la generosità dei lampedusani che questa mattina hanno gremito, insieme ad alcuni tunisini, la parrocchia di San Gerlando. A celebrare la Messa, di primo mattino, l'arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro, che - giunto nell'isola - si è stretto in preghiera con la popolazione e i migranti, declinando il senso della carità che affonda le radici in Cristo e che per questo apre gli occhi ed il cuore sull’altro. Decine le persone che instancabilmente preparano cibo, donano soldi e vestiti a chi arriva con il sale sulla pelle e stremato dopo un viaggio durato giorni. Ecco alcune testimonianze di lampedusani:

    D. – Signora, perché lo fa?

    R. – Per amore verso il prossimo, soprattutto, e per aiutare questi fratelli. Se ci trovassimo noi nelle loro condizioni cosa succederebbe?

    D. – E’ difficile quest'opera di solidarietà? C’è tanta gente che viene...

    R. – La difficoltà c’è sicuramente, però noi ci diamo da fare e andiamo avanti.

    D. – La popolazione ha dato tantissimo...

    R. – Sì, sì, ci diamo da fare. Adesso è la Caritas di Agrigento che ci sta dando aiuto, perché noi isolani abbiamo dato e stiamo dando tanto, ma per quello che abbiamo non possiamo dare di più, siamo davvero in difficoltà. Non so fino a quando potremo andare avanti, perché se non c’è più niente, come si fa?

    Lampedusa è preoccupata per il turismo, prima voce del suo sostentamento, invoca interventi concreti:

    R. – Noi accogliamo gli immigrati, li aiutiamo, diamo loro anche da mangiare, anche i nostri vestiti e i soldi a chi non ce l’ha. Vogliamo tornare, però, alla nostra tranquillità di una volta. Speriamo che lo Stato ci aiuti e si renda conto che non possono stare in pianta stabile in un’isola queste persone. Se lei va a fare un giro adesso al porto... io ci sono andato ieri e mi veniva da piangere, perché si trovano in condizioni veramente inconcepibili.

    I migranti, per lo più ragazzi dai 16 ai 28 anni, che nella propria terra hanno lasciato tutto, stanno iniziando ad ammalarsi per colpa del freddo della notte. Dormono dove capita, come tetto una coperta. E’ aumentata la paura di parlare ad un microfono, alcuni vorrebbero tornare a casa, in altri c’è ancora la speranza di un futuro migliore. Questa la testimonianza di un giovane tunisino:

    R. – In Tunisia non avevo più niente, sono venuto qua per lavorare e aiutare la mia famiglia, mia madre, i miei fratelli: mio padre è morto.

    D. – Quanti anni hai?

    R. – 23.

    D. – Il viaggio è stato difficile?

    R. – Ho passato tre giorni in mare. Il primo giorno avevo un po’ di cibo, poi più nulla.

    D. – Vuoi rimanere in Italia o vuoi andare da altre parti?

    R. – Rimango dove trovo lavoro, in Francia, in Spagna... dove c’è lavoro.

    D. – Prima c’era Ben Ali, adesso non c’è più. Quando era meglio?

    R. – E’ meglio che sia andato via Ben Ali, ma adesso non abbiamo più un presidente e non abbiamo neanche lavoro. C’è il caos adesso in Tunisia.

    D. – Che costo ha avuto il viaggio?

    R. – Quasi 500 euro. Ho venduto quello che avevo per racimolarli e mi ha aiutato la famiglia. Ora la devo aiutare. Non siamo venuti qua per rubare: siamo venuti solo per lavorare e guadagnare qualche soldo per le nostre famiglie.

    La Croce Rossa sta studiando come e se avviare un corridoio sanitario, l’Alto Comissariato Onu per i rifugiati denuncia una situazione inaccettabile, il sindaco De Rubeis fa appello a tutte le istituzioni affinché sia avviata una strategia concreta di smistamento come accadde oltre 10 anni fa.(ap)

    L’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro - come abbiamo detto - è giunto nell'isola in segno di solidarietà e vicinanza sia con i lampedusani che con gli immigrati. Massimiliano Menichetti gli ha chiesto di spiegarci i motivi di questa sua decisione:

    R. – Perché sono il vescovo di questa gente. Il mio posto per adesso è qui, perché è il momento più difficile per questa gente.
    D. – Che cosa ha portato?

    R. – L’affetto, la stima, la solidarietà di una Chiesa agrigentina e non solo: tutti hanno manifestato la loro vicinanza.

    D. – Lei oggi nella sua omelia ha, di fatto, declinato tre architravi: la fede, la speranza e la carità...

    R. – E’ nella vita di ogni giorno che dobbiamo trovare e mettere queste tre realtà. E’ una storia strana quella che stiamo vivendo ma bisogna guardarla con gli occhi della fede... io mi sto chiedendo: “Ma il Signore cosa vuole?” perché è Lui che sta passando da queste parti e se passa con questa insistenza e in questa maniera, a noi della Chiesa di Agrigento vorrà dire qualcosa. Non so tradurre quello che Lui vuol dire. E guardando la storia, l’intervento di quegli uomini che si sono affidati a Lui, ha cambiato qualcosa. Per noi non può essere lo stesso?

    D. – Prendendo in mano il calice ha invitato a guardare a quel calice quale sintesi delle difficoltà e delle realtà degli isolani, ma anche dei tanti migranti...

    R. – L’altare è un luogo particolare: per quanto piccolo è l’incrocio di tutti gli uomini. E quel calice è il luogo dove ognuno può trovare posto e là la diversità finisce, perché dentro quel calice si mette in comune vita, paura, speranza e gioia. Ho detto alla gente che là noi dobbiamo trovare posto, ma non possiamo metterci da soli.

    D. – Di fatto non lo ha espresso apertamente, però ha operato una grande distinzione tra quella che è la solidarietà e la carità, che invece queste persone di fede stanno mostrando a chi è nel bisogno...

    R. – La solidarietà parte da un uomo che si accorge che c’è un altro uomo che può avere bisogno. La carità ha sempre la spina inserita nel cuore di Cristo e questo fa la differenza. I gesti saranno sempre gli stessi. C’è, però, una carica intensa diversa e noi come cristiani dobbiamo andare oltre l’elemosina e quella solidarietà fredda: deve essere un metterci accanto con il cuore aperto, così come Cristo ha fatto con noi.
    D. – Come ha trovato la sua comunità qui sull’isola?

    R. – Provata, stanca; tanta gente mi ha commosso: si sente piccola davanti ad una realtà grande. Ho ammirato questa gente, perché continua a fare gesti di carità per cui uno resta a bocca aperta. La signora che prepara il thermos del caffè, chi carica le batterie, senza paura. Mi hanno detto: “Noi non abbiamo paura, noi facciamo questo da sempre e continueremo a farlo”. Sono mortificati per quell’immagine che è stata letta male, del giorno della protesta, quando i tunisini non sono scesi a terra immediatamente. Loro mi hanno assicurato, quasi scusandosi: “Noi non abbiamo mai fatto una cosa simile”. Questo mi commuove, perché come padre di questa famiglia, sento che ci sono dei figli con il cuore grande, anche se non guardati da nessuno, perché sono quelli che stanno proprio in fondo.

    D. – Qual è il suo auspicio in questa situazione?

    R. – L’auspicio è che si decongestioni l’isola il più presto possibile. Non si può vivere con gente che passa la notte sotto l’acqua, sulla banchina del porto e che deve stare come in un canile. Si sono costruiti con cellofan, tavole e cartoni, luoghi dove passare la notte e questo non permetterà neppure una serenità di cuore.

    D. – Un aspetto che ho notato è questo: le proteste, le contestazioni non sono mai contro le persone che arrivano, ma contro una situazione che non viene gestita adeguatamente. Quindi, comunque, l’accoglienza rimane in prima linea in questa comunità?

    R. – Ho visto la loro preoccupazione di rassicurarmi, perché hanno detto: “Guardi, ci creda – con le lacrime agli occhi – noi non ce l’abbiamo con quella gente, però ci chiediamo perché stia succedendo tutto questo e perché non ci siano risposte più pronte”. Un centro ben organizzato –dicono – ci può stare e noi non vogliamo che vada via. Lampedusa è stato portato come modello anche dal Papa, in precedenza. Quindi, perché – dicono – dobbiamo perdere questa possibilità che abbiamo di dimostrare al mondo che si può accogliere l’altro, anche se non lo conosci? (ap)

    Sull’emergenza a Lampedusa, Massimiliano Menichetti ha sentito Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati:

    R. - Di per sé non sarebbe un’emergenza se queste persone fossero trasferite in tempo reale, come è normale che sia e come è sempre stato, fuori dall’isola. Poiché i trasferimenti, invece, vanno a rilento si crea questo imbuto che genera molte disfunzioni. Intanto, l’assistenza che viene data è assolutamente inadeguata, al di sotto degli standard. Io ho visto - come tutti noi qui sull’isola - migranti che dormono sotto i camion, nelle barche da rottamare, che si riscaldano con i fuochi: un’immagine dell’isola che non si era mai vista. La soluzione a questa situazione che nell’isola pesa molto è rafforzare il trasferimento, anche perché potremmo essere alla vigilia di un flusso dalla Libia. Finora qui sono arrivati solo tunisini ma è presumibile che con l’escalation militare in Libia ci possa anche essere un flusso di persone bisognose di protezione, di civili che chiedono asilo e in questo caso l’isola deve veramente poter essere un luogo di primo soccorso. Ma se ci sono già 5000 migranti è chiaro che si crea poi una situazione ingestibile.

    D. - C’è chi parla già di uno sbarramento in mare nei confronti della migrazione …

    R. - L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per rifugiati ha emesso delle linee guida per tutti gli Stati confinanti alla Libia, esortando gli Stati a tenere aperte le frontiere terrestri e marittime perché si tratterebbe di un flusso di persone bisognose di protezione. La convenzione di Ginevra, all’articolo 33, stabilisce chiaramente il principio del non respingimento di chi ha bisogno di protezione e in questo caso dalla Libia ci sarebbe un flusso di persone con bisogni umanitari. Un atteggiamento di altro genere sarebbe veramente qualcosa di non auspicabile.

    D. – Quando, poi, sbarramento in mare spesso significa anche uccidere le persone …

    R. - Lo sbarramento in mare, l’interdizione in mare, è un esercizio pericolosissimo perché chi fugge dalla guerra, chi fugge dalle persecuzioni, dalle vendette, rischierà il tutto per tutto per mettersi in salvo. E’ chiaro che non è facile scoraggiare chi dietro ha l’inferno: le persone cercheranno in ogni modo di mettersi in salvo. Tentare un’operazione di questo genere è ad altissimo rischio. Invece, quello che noi come Alto Commissariato abbiamo sempre sostenuto è l’accesso al territorio, l’accesso alla procedura d’asilo. Poi, chi non ha titolo verrà rimandato indietro sulla base delle norme che prevedono a quel punto, sì, un decreto di respingimento, ma a terra e dopo un’identificazione.

    D. - Da una parte la strategia di decongestionamento che deve essere rafforzata, dall’altra, guardando la Tunisia dopo l’uscita di Ben Ali, è necessario ripristinare nuovi accordi bilaterali per il rimpatrio…

    R. - La stragrande maggioranza dei giovani tunisini che sono arrivati qui sull’isola a Lampedusa è fatta di migranti economici. Solo un’esigua minoranza ha chiesto asilo: giovani che vogliono trovare un lavoro e che vogliono mandare i soldi a casa perché temono che con l’instabilità nel Paese ci sia il crollo del turismo. Lo scopo, la molla che sta dietro il flusso dei tunisini è essenzialmente economica. Come si risolve? Solo con accordi tra i due Stati, accordi che devono essere interessanti per entrambi i Paesi. Questo è un passaggio determinante per regolare anche il flusso, altrimenti ci potremmo trovare in una situazione in cui molti altri tunisini cercheranno di arrivare in Europa attraverso l’Italia perché poi la destinazione finale sembra essere la Francia, il Belgio, la Germania, più che l’Italia.

    D. - E’ una via percorribile o è una via necessaria?

    R. - L’accordo con la Tunisia, l’accordo di riammissione, è comunque un passaggio fondamentale per la gestione del flusso. Penso che un accordo con la Tunisia dovrebbe poter prevedere anche, eventualmente, uno scambio in termini di accessi legali al territorio, ma chiaramente le formule dell’accordo stanno veramente agli Stati e ai negoziati che gli Stati potranno mettere sul tavolo. (bf)

    inizio pagina

    Situazione drammatica in Costa d'Avorio: migliaia in fuga dagli scontri

    ◊   Situazione sempre di massima tensione in Costa d’Avorio, dove le fazioni del presidente uscente, Laurent Gbagbo, e del capo dello Stato internazionalmente riconosciuto, Alassane Ouattara, continuano a dare vita a violentissimi scontri armati. Anche la missione dei caschi blu dell'Onu si è trovata coinvolta tra i due fuochi. Ma perché i numerosi tentativi di mediazione della comunità internazionale sono finora andati a vuoto? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Anna Bono, docente all’Università di Torino di Storia dei Paesi e delle Istituzioni africane:

    R. – Io credo che prima di tutto l’errore fondamentale sia stato, da parte della Comunità internazionale - e intendo l’Unione africana e le Nazioni Unite, in particolare - di assegnare la vittoria allo sfidante Ouattara. Cosa discutibile perché, in effetti, i risultati elettorali sono assolutamente incerti e compromessi da brogli e irregolarità. Di solito, in questi casi la soluzione è quella di sollecitare le parti a raggiungere un compromesso e creare un governo di unità nazionale, che permetta a tutte le componenti politiche più importanti di partecipare al governo e all’amministrazione locale del Paese. Questo, nel caso della Costa d'Avorio, non è successo e ormai siamo in piena guerra civile.

    D. – Siamo abituati a guardare a molti dei Paesi africani come terre ricchissime di materie prime. Possono essere questi, anche, gli ostacoli per un’applicazione concreta della democrazia?

    R. – Sicuramente sì, sia per fattori interni che per fattori esterni. Per fattori interni, perché tanto più è ricco un Paese, tanto più le forze in campo ambiscono a controllarne in modo esclusivo le risorse. Per fattori esterni, perché un numero crescente di Paesi sullo scenario internazionale ha letteralmente fame di materie prime e, quindi, è sempre più disposto a compromessi pur di assicurarsi l’accesso a materie prime importanti e l’accesso a rapporti commerciali considerati molto importanti. In questo caso stiamo parlando del caffè ma soprattutto del cacao, di cui la Costa d’Avorio è primo produttore mondiale.

    D. - Di fatto questo scontro si sta concretizzando in un’emergenza umanitaria per quanti stanno fuggendo dalle violenze: si parla ormai di mezzo milione di persone. Un ostacolo in più, questo, alla pacificazione …

    R. – Naturalmente, perché ormai i numeri sono importanti. Non solo ci sono circa 500 mila persone sfollate ma gli scontri si stanno intensificando e stanno interessando non soltanto la capitale economica ma altre aree del Paese. Si contano ufficialmente 440 morti e, al momento attuale, nulla fa pensare che la situazione possa migliorare. L’unico aspetto positivo è la decisione dell’Ecowas di non intervenire militarmente, almeno per il momento, perché un tale intervento avrebbe fatto temere un ulteriore peggioramento della situazione. Certo è che ormai siamo in piena guerra civile e al momento attuale non c’è nulla che indichi progressi dal punto di vista diplomatico o di eventuali possibili mediazioni. (bf)

    inizio pagina

    Chiesa e Società



    Giovanni Paolo II: per il cardinale Amato continue "segnalazioni di grazie"

    ◊   “Posta in una ‘corsia preferenziale’, la causa di beatificazione di Giovanni Paolo II è stata seguita con grande attenzione e accurato scrutinio procedurale, anche perché la pressione mediatica faceva sì che essa non potesse essere condotta in modo superficiale, bensì in maniera adeguata alla personalità del futuro Beato”. Lo ha detto ieri sera a Roma - riferisce l'agenzia Sir - il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei santi, a margine della conferenza stampa di presentazione del volume di Stefano Campanella ““Oboedentia et pax. La vera storia di una falsa persecuzione” (“Libreria editrice vaticana” e “Edizioni padre Pio da Pietrelcina”) nel quale l’autore dimostra l’inconsistenza del “mito” di un Giovanni XXIII persecutore di padre Pio. Oltretutto, ha proseguito il cardinale Amato, interpellato dai giornalisti sull’imminente beatificazione di papa Wojtyla (1° maggio), “la procedura da noi seguita è proprio quella da lui prevista in un suo documento del 1983”. “Per la canonizzazione basterebbe un ulteriore miracolo. Continuiamo a ricevere da tutto il mondo segnalazioni di grandi grazie a lui attribuite. Spetta alla Postulazione – ha concluso il porporato - operare un discernimento e vedere, con l’aiuto di medici e scienziati, quale miracolo potrebbe essere scelto per far sì che si possa procedere all’esame giuridico dello stesso”. (R.P.)

    inizio pagina

    Portogallo: nota pastorale dei vescovi sulla Beatificazione di Giovanni Paolo II, il Papa di Fatima

    ◊   La Conferenza episcopale portoghese (Cep) ha diffuso una nota pastorale sulla prossima beatificazione di Giovanni Paolo II in cui Papa Wojtyla è definito come il "Papa di Fatima". Il documento – riferisce l’agenzia Sir - spiega: "Con la beatificazione di Giovanni Paolo II, la Chiesa intende sottolineare i tratti di una santità specifica, ritenendo non solo che debba essere conosciuta ed ammirata, ma che essa possa costituire anche una guida ed uno stimolo nel cammino di conversione e di servizio dei fedeli del nostro tempo". "Il santo è un peccatore, a tal punto raggiunto dalla grazia e liberato, da poter divenire per il mondo un segnale di speranza, e la rivelazione di un Dio vivo, nel quale avere fiducia, perché sta sempre vicino a noi: la vita del Papa Giovanni Paolo II è senza dubbio uno di questi segni capaci di irradiare speranza". Descrivendo le qualità del futuro Beato - riferisce l'agenzia Sir - i vescovi lo definiscono "uomo capace di comunicare la sua intensa vita interiore, profeta di audaci interventi in nome della giustizia e della pace, servo che ha mostrato amore per i più deboli e perdono nei confronti dei nemici, testimone di allegria nella salute e nella malattia, con un massimo rispetto per la vita". Il documento invita i fedeli a partecipare alla commemorazione nazionale della beatificazione, il prossimo 13 maggio a Fatima. "Giovanni Paolo II ha coltivato un'autentica devozione cristiana per la Vergine Maria, vivendo il suo motto episcopale: Totus Tuus"; da questo punto di vista, "è giusto considerarlo" come "il Papa di Fatima, che un anno dopo l'attentato in Piazza S. Pietro a Roma, il 13 maggio 1981, è venuto al Santuario per ringraziare la Regina della Pace per averlo provvidenzialmente salvato", concludono i vescovi. (R.P.)

    inizio pagina

    Dalla Caritas Giappone un Centro per aiutare i sopravvissuti

    ◊   In Giappone, dopo il terremoto, lo tsunami e i danni alla centrale nucleari di Fukushima la situazione resta “critica” e continua a crescere il bilancio dei danni e delle vittime. Nel frattempo si moltiplicano però le iniziative di solidarietà. Lo ricorda oggi Caritas italiana, che ha contattato al telefono padre Daisuke Narui, il direttore di Caritas Giappone: “Facciamo tutto quanto ci è possibile”, ha detto padre Narui. A Sendai - riferisce l'agenzia Sir - è stato aperto nei giorni scorsi un centro di aiuti per i sopravvissuti del terremoto e dello tsunami. Voluto dai vescovi di Sendai, Niigata, Saitama e da Caritas Giappone, è un riferimento per tutta l’azione della piccola ma attiva Chiesa giapponese. In tutte le parrocchie e in molte scuole cristiane è stata avviata una raccolta fondi da utilizzare per gli aiuti d’urgenza e, in un secondo momento, nel piano di ricostruzione delle case colpite. Le diocesi e le congregazioni religiose hanno indicato Caritas Giappone come referente unitario per le donazioni. Il terremoto ha danneggiato in particolare quattro province nella diocesi di Sendai: Aomori, Iwate, Miyagi e Fukushima. A Sendai molti edifici hanno resistito, ma gli abitanti hanno paura e i rifugi temporanei sono dunque ancora in piena attività. La Caritas continua a fornire beni di prima necessità anche grazie al sostegno di molti volontari: circa 200 persone sono attivamente impegnate già dai primi giorni dopo il disastro. Anche a livello internazionale la mobilitazione è stata grande, a partire proprio dalle Caritas dell’Asia: Myanmar, Vietnam, Singapore, Macao, Taiwan, ma anche Corea, India e Pakistan. Caritas italiana ha messo a disposizione un primo contributo ed ha lanciato una raccolta fondi per continuare a sostenere gli interventi di Caritas Giappone. (R.P.)

    inizio pagina

    In Giappone chiese aperte agli sfollati. L'opera di soccorso dei giovani cattolici

    ◊   I giovani cattolici iniziano la loro missione di volontariato a Sendai. Ve ne sono già una decina sul campo e il numero arriverà fino a 30 entro la prossima settimana. Arriveranno, inoltre, altri volontari con specifiche competenze professionali come medici, infermieri e psicologi. Intanto i locali delle parrocchie di tre diocesi (Sendai, Saitama e Niigata) sono divenuti “campi profughi” per accogliere centinaia di persone che hanno perduto la casa in seguito al sisma e allo tsunami, Oggi il lavoro dei giovani volontari, riferiscono fonti locali dell'agenzia Fides, è quello di affiancare i profughi e di andare a visionare e pulire le case inondate dallo tsnami. I giovani cristiani - che hanno mostrato un forte slancio di generosità - hanno iniziato a ripulire le abitazioni di Sendai invase dal fango, dalla melma, eliminando gli arredi e le suppellettili ormai inutilizzabili, cercando di renderle nuovamente abitabili. In tal modo “si portano anche speranza e conforto agli sfollati, si mostra solidarietà concreta che le vittime apprezzano moltissimo”, nota padre Daisuke Narui, direttore di Caritas Giappone, che coordina le operazioni presso il Centro di Aiuto creato dalla Caritas a Sendai per gestire l’emergenza. I volontari, inoltre, distribuiscono coperte e cibo alle centinaia di persone attualmente ospitate nelle strutture delle chiese di Sendai e nelle vicine diocesi di Niigata e Saitmaa. Le Chiese infatti hanno aperto i battenti divenendo veri e propri centri di accoglienza “dove si respira e si mette in pratica l’amore al prossimo e la testimonianza dei valori cristiani”. Fra i rifugiati accolti vi sono anche alcuni fuggiti dall’area di Fukushima, a causa del pericolo delle radiazioni nucleari: quello del nucleare “è uno dei problemi che agita la mente degli sfollati, che avranno bisogno di assistenza materiale ma anche psicologica”, spiega il Direttore. Le operazioni di emergenza andranno avanti per almeno sei mesi. Poi inizierà una seconda fase, quella della riabilitazione e della ricostruzione, che potrebbe durare due anni. (R.P.)

    inizio pagina

    Taiwan: la solidatietà dei cristiani verso il Giappone

    ◊   I cristiani cattolici e protestanti di Taiwan si sono riuniti ieri presso il “Duomo di Carta” nella comunità rurale di Taomi a Puli, contea di Nantou, a pregare per i sopravvissuti e le vittime del devastante terremoto e tsunami dell’11 marzo in Giappone. L’evento - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stato organizzato dalla Fondazione New Homeland, una Ong no-profit di Puli. I partecipanti, sia cattolici che protestanti, hanno scritto su tradizionali “gru di carta” (origami a forma di gru, utilizzati per i messaggi augurali) la loro preghiera per i sopravvissuti del terremoto giapponese che possano presto tornare alle loro case. In giapponese, “gru" e “ritorno a casa" hanno analoga pronuncia. A Taiwan, dopo un appello della Conferenza episcopale, le chiese cattoliche e 3 università cattoliche hanno iniziato a pregare durante la Quaresima e a fare doni per le vittime in Giappone, implorando per loro il conforto divino. Ai fedeli i vescovi hanno detto: “Qui a Taiwan attraverso i filmati dei notiziari e con la nostra personale esperienza del terremoto del 21 settembre 1999 [terremoto di grado 7,6 della scala Richter che causò 2.375 morti e il crollo di oltre 13mila abitazioni], possiamo capire bene le sofferenze e sentire il dolore della popolazione giapponese. I vescovi di Taiwan hanno inviato una lettera alla Conferenza Episcopale giapponese per esprimere la nostra solidarietà e sostegno. Taiwan – proseguono i vescovi – fa parte dell’Anello di Fuoco del Pacifico. Qui è raccomandata con forza un’adeguata preparazione per il terremoto. Parrocchie, fedeli e famiglie dovrebbero essere pronti per ogni situazione d’emergenza”. I vescovi hanno anche sollecitato tutti i cristiani con competenze mediche a partecipare ai gruppi di soccorso per il Giappone, organizzati sia dal governo che da Ong. Secondo l’agenzia Central News di Taiwan, la compassione della popolazione taiwanese è stata resa evidente con l’arrivo ieri a Tokyo di una grande quantità di aiuti materiali. All’aeroporto di Narita, presso Tokyo, sono giunte 26 tonnellate di aiuti, tra cui cappotti, maschere, coperte, generatori e acqua minerale; mentre all’aeroporto Haneda è arrivato un carico di spaghetti istantanei, 298 generatori e 200 caloriferi. La Chiesa di cartone è stata disegnata dall’architetto giapponese Shigeru Ban. All’inizio doveva essere solo una sistemazione provvisoria per la chiesa cattolica, dopo che l’edificio era stato distrutto nel terremoto di Kobe. Dopo che la costruzione provvisoria è stata rimpiazzata con una nuova chiesa, i funzionari giapponesi hanno consentito alla fondazione di ricostruire l’edificio di cartone a Taiwan. Il Tempio di Carta ha forma rettangolare ed è costruito con 58 pannelli di cartongesso. E’ stato inaugurato a Taomi il 21 settembre 2008, nono anniversario del terremoto che ha colpito la zona il 21 settembre 1999. Questa chiesa è diventata un luogo di confronto e di scambio di esperienza sul terremoto e la ricostruzione. (R.P.)

    inizio pagina

    I vescovi del Pakistan condannano il rogo del Corano negli Usa

    ◊   I vescovi del Pakistan, riuniti a Multan per l’Assemblea dell Conferenza episcopale, hanno condannato fortemente l’incidente del rogo del Corano, compiuto due giorni fa negli Stati Uniti dal Pastore Terry Jones, già assurto agli onori della cronaca internazionale nel settembre 2010 per aver minacciato di compiere tale gesto sacrilego. “Come vescovi del Pakistan lo condanniamo fermamente: è un gesto che non rispecchia in nessun modo i valori cristiani o la dottrina della Chiesa. Constatiamo con dispiacere che qualcuno che si definisce Pastore non conosca la sua religione né la normale decenza” afferma un comunicato inviato all’agenzia Fides. “Secondo l’autentico messaggio della loro fede, i cristiani sono obbligati a rispettare le altre fedi e gli altri popoli” prosegue il testo. “Il fondamentalismo o l’estremismo in ogni religione sono deplorevoli, costituiscono una minaccia alla pace e all’armonia fra i credenti di fedi diverse: vi sono più punti in comune che differenze fra i credenti delle varie fedi”. I vescovi invitano il governo degli Stati Uniti a prendere opportuni provvedimenti e chiedono a tutti i cittadini del Pakistan, cristiani e musulmani, di offrire un risposta civile, senza “aggiungere benzina sul fuoco”. L’evento del rogo del Corano è giunto nel bel mezzo dell’assemblea dei vescovi che, in una settimana di lavori (dal 20 al 25 marzo) stanno discutendo, fra l’altro, delle condizione dei cristiani in Pakistan – con i relativi problemi pastorali – del “martirio” di Shahbaz Batti (potranno inviare richiesta formale alla Santa Sede di riconoscerlo), dei problemi del dialogo interreligioso. (R.P.)

    inizio pagina

    Due cristiani uccisi in Pakistan da giovani musulmani davanti a una chiesa

    ◊   Due cristiani sono rimasti uccisi ed altri due sono in gravi condizioni dopo essere stati attaccati la sera del 21 marzo a Hyderabad, in Pakistan. Come riferisce AsiaNews, i cristiani stavano celebrando il 30° anniversario della fondazione della loro chiesa quando un gruppo di giovani musulmani è salito sul sagrato iniziando a disturbare le persone che desideravano accedere alla funzione. Alcuni fedeli hanno affrontato i giovani e ne è nato un diverbio. I musulmani se ne sono andati per poi tornare armati di pistole, sparando e uccidendo due cristiani, ferendone altri due, prontamente trasportati all’ospedale di Karachi. La polizia non ha arrestato finora nessuno degli accusati, che sono tutti a piede libero. La madre di uno dei ragazzi uccisi ha dichiarato che “la polizia si è comportata come se non fosse accaduto nulla di importante. La denuncia è stata registrata solo a tarda notte, dopo che la strada è rimasta bloccata per diverse ore”. (G.P.)

    inizio pagina

    Emergenza acqua potabile: iniziative dell’Unicef per i bambini in Pakistan ed Iraq

    ◊   “Ogni anno circa 1 milione e 400 mila bambini muoiono per malattie prevenibili legate all’acqua”. La denuncia, ieri, dell’Unicef in occasione della Giornata mondiale dell’acqua. Due Paesi in particolare, segnala l’agenzia dell’Onu, necessitano di interventi urgenti. “In Pakistan, 60 milioni di persone non hanno accesso all’acqua sicura ed ogni anno più di 100 mila bambini muoiono per aver bevuto acqua non potabile. In Iraq 6 milioni di iracheni, di cui 3 milioni di bambini, non hanno accesso all’acqua potabile”. “È fondamentale incoraggiare i bambini a parlare dell’importanza di avere acqua sicura”, afferma Kern Allen, vice rappresentante dell’Unicef in Pakistan, dove l’organizzazione sta portando avanti da alcuni mesi una campagna, con 840 bambini in 143 scuole, per insegnare i modi di mantenere l’acqua potabile, e sta mettendo a punto un manuale sulla depurazione delle acque nei punti di utilizzo, che verrà poi distribuito in tutto il Paese. In Iraq, l’Unicef e l’Unione Europea hanno celebrato la Giornata con iniziative in 23 scuole coinvolgendo 11 mila bambini, chiedendo maggiori investimenti nelle infrastrutture e nella conservazione di risorse idriche. (R.G.)

    inizio pagina

    Consiglio Ecumenico delle Chiese: appello per il disarmo nucleare

    ◊   Il Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc) rilancia l’impegno a favore della pace e della cooperazione, esortando i Paesi appartenenti alla North Atlantic Treaty Association (Nato) «a creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari». In una lettera firmata, tra gli altri, dal segretario generale dell’organizzazione ecumenica, Olav Fykse Tveit — indirizzata ai presidenti degli Stati Uniti e della Russia, Barack Obama e Dmitry Medvedev e al segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen — si indica la necessità di programmare la progressiva eliminazione delle testate nucleari nel continente europeo e di implementare la cooperazione con la Russia al fine di contribuire attivamente al controllo degli armamenti, alla non proliferazione e al disarmo. A tale riguardo - riferisce L'Osservatore Romano - già nel 2009, in occasione del 60º anniversario della costituzione della Nato, i leader delle varie comunità appartenenti al Wcc avevano, in due distinti appelli, affermato la necessità di una revisione delle politiche di deterrenza. Nel 1983, nel corso dell’assemblea generale del Wcc, si era sottolineato che «gli armamenti nucleari non proteggono dai nemici ma essi sono i nemici; non proteggono dal male, ma sono il male». Al contempo, sono stati salutati con soddisfazione gli accordi internazionali per favorire il disarmo. Nel 2010, in occasione della firma tra Stati Uniti e Russia dell’accordo Start2, si era osservato che «una nuova fiducia» è nata tra gli Stati. (R.P.)

    inizio pagina

    Africa: le lingue nell’era della globalizzazione

    ◊   In Africa si parlano 2000 lingue, circa il 30% del totale degli idiomi parlati nel mondo. Quattro i principali ceppi linguistici: Afroasiatico, Nigero-kordofan, Nilo-sahariano, Khoisan. Come riferisce un dossier di Aurelia Ferrari per l’agenzia Misna, il patrimonio linguistico dell’Africa è uno dei più ricchi del mondo, e tuttavia è minacciato dalla globalizzazione. Secondo un recente studio dell’Unesco, tra 500 e 600 lingue parlate nel continente africano sarebbero in via di estinzione, tra le quali 250 già quasi scomparse. Due zone sembrano essere le più colpite da questo fenomeno: l’una, ad est, comprende 5 Paesi (Etiopia, Uganda, Tanzania, Kenya e Sudan) l’altra, ad ovest, è composta essenzialmente da Nigeria e Camerun. Di fronte al fenomeno di non diffusione di alcune lingue africane, che porta con sé la non trasmissione di patrimoni culturali e della storia di società intere, nascono alcuni organismi che cercano di reagire a questo problema. In Camerun l’Ong Nacalo sostiene delle azioni per l’alfabetizzazione degli adulti nella loro lingua materna, mentre il Propelca (Programma operativo di ricerca per l’insegnamento delle lingue camerunesi) favorisce quella dei bambini. Recenti studi hanno dimostrato che l’alfabetizzazione in lingua madre consente un migliore apprendimento scolastico e una migliore acquisizione delle lingue e che gli ordinamenti linguistici in favore delle lingue locali sono più adatti ad assicurare l’evoluzione delle popolazioni e lo sviluppo del Paese. (G.P.)

    inizio pagina

    Thailandia. Il nunzio ai profughi birmani: "la Chiesa non vi ha dimenticato"

    ◊   “Non siete stati dimenticati e siete nei nostri cuori”. Con queste parole mons. Giovanni d’Aniello, da sette mesi nunzio apostolico in Thailandia, Myanmar, Cambogia e Laos si è rivolto ai rifugiati birmani del campo profughi di Tham Hin nella provincia tailandese di Ratchaburi, dove si è recato in visita ieri. Il campo, allestito nel 1997, accoglie 9.500 persone, in maggioranza Karen, etnia perseguitata dal regime militare in Myanmar. Durante la visita – riferisce l’agenzia Ucan - mons. d’Aniello ha celebrato una Messa e ha visitato l’ospedale e un’azienda agricola nel campo. Agli ospiti il presule ha voluto esprimere la sua solidarietà personale, ma anche della Chiesa, con tutti i profughi birmani ospitati in Thailandia: “Lo scopo della mia visita qui è di dimostrarvi la mia amicizia e solidarietà e di farvi sapere che la Chiesa vi è vicina, perché siete parte della sua vita e della sua missione”, ha detto ricordando l’impegno profuso dalla Chiesa per i rifugiati. “Oggi voglio incontravi tutti, voglio ascoltare le vostre storie e cercare di capire meglio non solo le vostre sofferenze e difficoltà, ma anche le vostre speranze per un futuro migliore”, ha aggiunto il nunzio. In tutto sono nove i campi profughi che ospitano profughi birmani in Thailandia , per un totale di 150mila persone. Ad assisterli, insieme ad altre Ong, c’è la Caritas Thailandia e il suo Ufficio cattolico per gli aiuti di emergenza e i rifugiati che lavora in stretta collaborazione con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). (L.Z.)

    inizio pagina

    Nepal: i cristiani protestano contro il governo per la sepoltura dei morti

    ◊   Centinaia di cristiani hanno protestato oggi nella capitale per chiedere al governo locale un posto dove seppellire i propri morti. Con lo slogan “abbiamo diritto a seppellire i morti, dove’è il nostro cimitero”, circa mille manifestanti hanno bloccato parte del centro di Kathmandu, sfilando davanti agli uffici governativi con delle bare vuote. La protesta - riferisce l'agenzia AsiaNews - avviene dopo l’ennesimo scontro tra cristiani e autorità del tempio indù di Pashupatinath. Queste non vogliono concedere la vicina foresta di Shleshmantak come cimitero, nonostante la sentenza della Corte suprema che lo scorso 20 marzo ha ordinato ai leader indù di non vietare le sepolture. Per evitare nuove polemiche, il governo ha promesso che assegnerà un nuovo sito entro il 25 marzo. “Le autorità – afferma Sundar Thapa, cristiano protestante e leader della manifestazione - devono darci un posto dove poter seppellire i morti secondo la nostra tradizione”. Secondo la comunità cristiana l’inerzia di governo centrale e amministrazione cittadina ha costretto molti fedeli a cremare i propri cari. I leader cristiani sottolineano che gli indù impediscono le sepolture anche altre regioni del Nepal e chiedono al governo un provvedimento per assegnare aree adibite a cimiteri in tutti i 75 distretti del Paese. In questi anni la speculazione edilizia a Kathmandu ha ridotto le aree per la sepoltura e i costi dei terreni liberi sono così alti che nessuna delle comunità cristiane può acquistarli. Fino al 2006 l’induismo è stata la religione ufficiale del Nepal. Per tradizione gli indù cremano i propri morti e nel Paese non esistono cimiteri ufficiali. Costretti a utilizzare una tomba per più corpi, cristiani, musulmani, baha’i e indigeni hanno chiesto al governo centrale di concedere a basso costo delle aree da adibire a cimitero. (R.P.)

    inizio pagina

    La Malaysia fa marcia indietro sulle Bibbie sequestrate. I cristiani valutano la proposta

    ◊   Il governo malaysiano ha proposto una soluzione di compromesso per la questione delle 35mila Bibbie bloccate nei porti del Paese. La questione è legata al divieto del governo - rifiutata da una sentenza giudiziaria - di far usare ai cristiani il termine “Allah” per indicare Dio. Il governo, che è spesso accusato di favorire la maggioranza islamica rispetto ai cristiani e alle altre minoranze religiose, ha dichiarato che permetterà il ritiro delle Bibbie una volta che sui libri sia stampigliato: “Per la cristianità”. Una proposta precedente prevedeva che sulle Bibbie venisse stampigliato un numero seriale, e la scritta: “Solo per i cristiani”. Questa formula era stata immediatamente rifiutata da tutte le confessioni cristiane, perché non volevano che il libro sacro fosse deturpato dalla scritta, dal numero seriale e dal sigillo del ministero degli Interni. Idris Jala, che parlava a nome del Primo ministro, ha dichiarato che sulle Bibbie sarà stampigliato solo “Per la cristianità”. Secondo fonti locali riprese dall'agenzia AsiaNews, questa mossa è stata accolta con un certo favore dai leader cristiani. Il segretario generale del Consiglio delle Chiese, Hermen Shastri, che ha partecipato all’incontro con i rappresentanti del governo, ha dichiarato che i leader cristiani hanno chiesto qualche giorno di tempo per riunirsi e prendere una decisione comune. “Capisco l’urgenza del governo, ma devono darci la loro più forte assicurazione che questo non succederà di nuovo”. I cristiani malaysiani che sono circa il 9% della popolazione, e molti dei gruppi indigeni del Borneo, che parlano la lingua nazionale malay dicono di aver usato la parola “Allah” per indicare Dio per secoli senza problemi. (R.P.)

    inizio pagina

    Nota del cardinale Piacenza sull’adorazione eucaristica in vista della Conferenza di Roma in giugno

    ◊   “Non possiamo sottovalutare l’importanza di adorare il Signore nel Santissimo Sacramento, sapendo che il culto è il maggiore atto del popolo di Dio”. E’ quanto afferma il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, in una nota inviata al vescovo di Toulon, in Francia, che sta promuovendo una Conferenza internazionale sul tema dell’adorazione eucaristica, in programma dal 20 al 24 giugno al Salesianum di Roma. Come riferisce l’agenzia Zenit, il porporato esprime la speranza che l’adorazione eucaristica venga considerata “un mezzo efficace per promuovere la santificazione del clero, la riparazione dei peccati, le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.” Il cardinale raccomanda che ogni diocesi abbia una cappella o un santuario dedicato all’adorazione dell’Eucaristia, per la promozione di nuove vocazioni e per la santificazione del clero. “Un rinnovato senso della devozione a Cristo nell’Eucarisitia - conclude il porporato - può solo arricchire ogni aspetto della vita e della missione della Chiesa nel mondo”. (G.P.)

    inizio pagina

    Inaugurazione il 25 marzo a Nazareth di un parco tematico religioso

    ◊   Un nuovo parco tematico, in cui si potrà riscoprire la storia biblica della salvezza con le nuove tecnologie cinematografiche e interattive. Il Centro sarà inaugurato a Nazareth il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione ed aprirà le porte ai pellegrini e alla popolazione locale. L’iniziativa nasce dall’associazione Maria di Nazareth e dalla Comunità “Chemin Neuf”. Come riferisce all’agenzia Zenit, Olivier Bonassies, direttore esecutivo dell’associazione Maria di Nazareth “il Centro pone tutti i mezzi tecnici moderni al servizio della conoscenza, dell’incontro con Maria e della scoperta della fede cristiana”. I pellegrini potranno “immergersi in uno spettacolo multimediale e ripercorrere attraversando quattro grandi sale i momenti essenziali della storia della salvezza”. Il Centro ha una vocazione ecumenica e promuove il dialogo interreligioso, mostrando in una sala il modo in cui la vergine Maria è percepita dalle Chiese orientali, nel Corano e in quanto donna ebrea. L’iniziativa è sostenuta unanimemente dalle Chiese locali della Terra Santa. Anche rappresentanti ebrei e musulmani della Galilea hanno fornito il loro sostegno. (G.P.)

    inizio pagina

    I giornalisti parlamentari a Strasburgo chiedono ad Ankara di rispettare la libertà di stampa

    ◊   L’Associazione dei giornalisti europei ha annullato la scorsa settimana la riunione prevista a Bursa, in Turchia, a causa della situazione critica in cui si trovano molti operatori dell’informazione in questo Paese. Secondo uno dei delegati dell’Associazione Dogan Tilic, 68 giornalisti turchi sono attualmente detenuti e 2 mila sono sotto inchiesta per ragioni che lo stesso Parlamento europeo, in una risoluzione del 9 marzo ha duramente criticato. Per protestare contro l’arresto dei colleghi accusati di cospirazione antigovernativa 8 mila giornalisti sono scesi in piazza il 4 marzo e il 19 marzo ad Istanbul ed ad Ankara. L’allarme è stato raccolto a Strasburgo dall’Associazione dei giornalisti parlamentari, che ha chiesto ad Ankara di fermare le “minacce e intimidazioni nei confronti della stampa’’. La stessa Associazione ha chiesto al Consiglio d’Europa di “intervenire presso le autorità della Turchia, che presiede attualmente il Comitato dei ministri, affinché il Paese rispetti la libertà di stampa”, pilastro di una società democratica’’. Si cerca di rompere il muro di silenzio che circonda la situazione dei giornalisti turchi. “I media occidentali, così sensibili alla libertà di espressione in Paesi come Cuba o la Cina, sono stranamente distratti”, “tranne poche eccezioni, come il Financial Times e New York Times”, “su tutto ciò che avviene in Turchia, ha denunciato - sul Sito di Articolo 21 - Asli Kayabal, corrispondente in Italia del quotidiano Cumhuriyet”. (A cura di Roberta Gisotti)

    inizio pagina

    L’impegno della Custodia di Terra Santa nella tutela dei luoghi sacri e nelle opere di carità

    ◊   Prosegue l’impegno della Custodia di Terra Santa nella tutela e nella conservazione dei luoghi santi. Una serie di progetti e lavori di restauro sono previsti nei prossimi mesi per continuare a mantenere viva la liturgia nei luoghi di culto, per assistere i pellegrini, per intensificare le opere apostoliche e per sostenere le comunità dei cristiani. Come riferisce l’Osservatore Romano, i lavori di ristrutturazione riguardano chiese, conventi e siti archeologici a Gerusalemme, Magda e Gissa. Speciale attenzione viene data dalla Congregazione per le Chiese Orientali anche alle istituzioni educative, come le scuole cattoliche e l’università di Betlemme. Continua anche quest’anno il progetto “borse di studio” per finanziare cicli della durata di quattro anni nelle diverse università cittadine: Betlemme, Ebraica a Gerusalemme e Haifa, Bir Zeit, Amman e altre. Sostegni pure alle piccole imprese, soprattutto per quanto riguarda la messa in sicurezza delle attività. Previsti inoltre una serie d’interventi per coprire le spese mediche delle famiglie con difficoltà economiche e la consegna di appartamenti destinati alle famiglie cristiane della regione. (G.P.)

    inizio pagina

    Meeting di Rimini: annunciata la presenza di Napolitano alla giornata inaugurale del 21 agosto

    ◊   Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha dato la propria disponibilità a partecipare alla giornata inaugurale del Meeting per l’amicizia fra i popoli, che si terrà a Rimini dal 21 al 27 agosto. Giunto alla XXXII edizione, il Meeting sarà incentrato quest’anno – riferisce l’agenzia Sir - sul tema "E l’esistenza diventa un’immensa certezza". In occasione della sua visita, Napolitano inaugurerà la mostra "150 di Sussidiarietà". Una rassegna organizzata dal Meeting e dalla Fondazione per la Sussidiarietà, con un gruppo di esperti ed alcuni giovani universitari per documentare "la ricchezza della storia italiana fatta di opere e iniziative sociali, nate dall’energia costruttiva caratterizzata da inventiva e solidarietà, frutto della collaborazione di realtà popolari pluraliste - cattolici, socialisti e liberali - nel solco della solidarietà e della sussidiarietà". (R.G.)

    inizio pagina

    Diocesi di Roma: domani per i “Dialoghi in cattedrale”, il libro di Benedetto XVI “Gesù di Nazaret”

    ◊   Domani, nella basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, il ciclo dei “Dialoghi in cattedrale” sarà dedicato al secondo volume di Benedetto XVI su “Gesù di Nazaret”. Per la presentazione del libro interverranno mons. Gerhard Ludwig Müller, vescovo di Ratisbona, e il senatore Marcello Pera, già presidente del Senato dal 2001 al 2006. Introdurrà i lavori il cardinale vicario Agostino Vallini. Mons. Müller è “visiting professor” in numerose Università ed è stato consulente teologico della seconda Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per l’Europa, nel 1999, e della decima Assemblea ordinaria del Sinodo, nel 2001. Pera è docente di filosofia alla Pontificia Università Lateranense ed è autore di varie pubblicazioni, tra cui “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam”, in collaborazione con Joseph Ratzinger, e “Perché dobbiamo dirci cristiani”, con la prefazione di Benedetto XVI. (R.G.)

    inizio pagina

    Roma: riparte la Clericus Cup 2011 nel segno di Papa Wojtyla

    ◊   Riparte la Clericus Cup, nel segno di Papa Wojtyla. Sabato 26 e domenica 27 marzo riprende il torneo internazionale di calcio per sacerdoti e seminaristi organizzato dal Centro sportivo italiano (Csi). Tutte le novità del campionato - riferisce l'agenzia Sir - saranno presentate venerdì 25 marzo alle ore 11, nella sede del Pontificio Collegio Urbano “De Propaganda Fide”. Il presidente nazionale del Csi, Massimo Achini, rilancia le aspettative della Clericus Cup 2011: “Uno degli obiettivi del Csi è fare in modo che la Clericus Cup ‘regali’ ad ogni squadra professionistica un seminarista impegnato a seguire il club come ‘cappellano’. È bello vedere che persino la serie A ha ‘prestato’ giocatori alla Clericus, come Davide Tisato che qualche anno fa vestiva la maglia del Chievo Verona e che oggi è un campione del Redemptoris Mater”. Sarà un’edizione, quella del 2011, che il presidente della Clericus Cup, mons. Claudio Paganini, pone già sotto il segno di Papa Wojtyla: “È per noi un segno particolare il fatto che Giovanni Paolo II sarà proclamato beato il prossimo 1° maggio, nel bel mezzo della nostra manifestazione. Così lo abbiamo scelto come ‘capitano’ perché oltre che un modello di fede, di coraggio apostolico, di radicalità evangelica, è stato un vero sportivo! Un modello di vita anche per i futuri sacerdoti”. (R.P.)

    inizio pagina

    24 Ore nel Mondo



    Siria. La polizia spara sui manifestanti: almeno 6 morti

    ◊   Almeno altri sei manifestanti sono stati uccisi nell'assalto che le forze dell'ordine siriane hanno compiuto in nottata - poco dopo la mezzanotte - alla moschea al Omari di Daraa, città 120 km a sud di Damasco ed epicentro delle proteste anti-regime che da sei giorni stanno infiammando il sud della Siria. Mentre sono annunciate nuove manifestazioni, vengono rilasciate su cauzione le sei attiviste siriane arrestate mercoledì scorso, durante un sit-in senza precedenti a Damasco. Il servizio di Fausta Speranza:

    I mezzi di informazione del regime puntano il dito da giorni contro “infiltrati”, “provocatori” e “stranieri”, accusati di fomentare gli incidenti di Daraa il cui bilancio, finora, oscilla tra i 10 e i 12 morti. La tv di Stato prosegue nel fornire la versione ufficiale di quanto accaduto: parla di “elementi mascherati da alti ufficiali che hanno dato istruzioni false alla cittadinanza” e di “un gruppo armato forestiero che continua a tentare di aizzare i manifestanti contro lo Stato”. Fonti locali denunciano anche “decine di feriti”, sottolineando che tra i morti c'è Ali Ghassab al-Mahmid, un medico di una importante famiglia di Deraa, che aveva raggiunto la moschea situata nella città vecchia per prestare soccorso alle vittime dell'assalto. Intanto, mentre decine di persone sono state arrestate in varie zone del Paese, la protesta per chiedere libertà, la fine della tirannia e leggi speciali si sta allargando ad altre città vicine, come Jassem o Nawa. E oggi l’opposizione annuncia quello che definisce “il venerdì della gloria”: l'appuntamento è per il prossimo venerdì per una manifestazione di massa anti-regime in Siria, per invocare “liberta”' e “compiere la rivoluzione”. Così si legge sui volantini diffusi oggi su Internet da attivisti e dissidenti siriani.

    Stato di emergenza in Yemen: forse divieti per sit-in e manifestazioni
    Il parlamento yemenita ha approvato l'attuazione dello stato di emergenza nel Paese dove proseguono da settimane le contestazioni al presidente, Ali Abdallah Saleh. A favore dello stato di emergenza, proclamato il 18 marzo dopo la morte di 52 persone uccise durante un attacco sui manifestanti, attribuito alle forze del regime, hanno votato in totale 164 deputati su 165 presenti. Il parlamento conta 301 membri. Non è dato di sapere al momento se l'attuazione dello stato di emergenza significhi il divieto di manifestazioni e sit-in, iniziati il 21 febbraio scorso nella Piazza dell'Università, a Sanaa, con i manifestanti che chiedono le dimissioni di Saleh, al potere da 32 anni.

    Abbreviato il coprifuoco nella capitale del Bahrein, ma resta la tensione
    Il Bahrein si avvia verso una situazione "stabile e sicura", affermano le autorità militari, ma si "è in una fase ancora molto pericolosa", avverte dal canto suo il ministro degli Esteri. Il coprifuoco imposto durante i disordini della settimana scorsa è stato abbreviato dalle 10 di sera alle 4 di mattina, hanno annunciato i militari, a testimonianza delle migliorate condizioni nella capitale Manama. La Federazione generale dei sindacati ha revocato intanto lo sciopero ed oggi i bahreiniti sono tornati al lavoro "per risollevare l'economia severamente colpita dalle ultime settimane di disordini". Una decisione avallata da sei partiti dell'opposizione, compreso al Wafeq, il più importante partito sciita in parlamento con 18 deputati su 40. La situazione in Bahrein, tuttavia, "è ancora in una fase molto pericolosa", ha dichiarato il ministro degli Esteri, Khaled Bin Ahmad Al Khalifa, in visita ad Ankara, alla televisione turca. In Bahrein, governato da una famiglia reale sunnita, circa il 70% della popolazione è di religione sciita e denuncia discriminazioni.

    Bomba a Gerusalemme: oltre 20 feriti
    L'incubo del terrorismo è tornato oggi a Gerusalemme quando una forte esplosione si è
    verificata alla fermata dell'autobus di linea 74, nei pressi del centro dei congressi 'Palazzo della Nazione'. Secondo i servizi di emergenza nella deflagrazione non si sono avuti morti. I feriti sono circa 25, quattro dei quali versano in condizioni gravi. In un primo momento era sembrato che l'esplosione fosse stata provocata da un kamikaze. Ma in seguito artificieri hanno stabilito che è stata provocata da un ordigno che si trovava in una borsa alla fermata dell'autobus. La zona dell'incidente è stata isolata e ispezioni vengono condotte adesso alle ricerca di altri ordigni che potrebbero trovarsi ancora nella zona. La paternità dell'attentato non è stata ancora rivendicata.

    Funerali di massa a Gaza per le vittime degli attacchi israeliani di ieri
    Funerali di massa sono stati indetti oggi a Gaza per le otto vittime degli attacchi israeliani di ieri, fra cui figurano quattro civili e altrettanti miliziani della Jihad islamica. Sono stati uccisi la scorsa notte mentre erano impegnati a lanciare razzi Grad contro Israele. Intanto nella mattinata un razzo Grad sparato da Gaza è esploso a Beer Sheva, dove una persona è rimasta ferita. Nella città (200 mila abitanti), le scuole restano oggi chiuse mentre i rifugi pubblici sono stati aperti. I funerali si svolgeranno nella moschea Omari, la principale di Gaza. Guardando ad Israele, il livello di allerta è stato elevato dalle autorità militari israeliane in ampie zone del Neghev dopo una serie di attacchi giunti dalla striscia di Gaza, in ritorsione all’uccisione ieri di almeno nove palestinesi, fra cui quattro civili. Israele ha espresso rammarico per la morte di questi ultimi dovuta, secondo fonti militari, ad un difetto tecnico di un colpo di mortaio.

    Elezioni municipali fissate ad aprile in Arabia Saudita: subivano rinvii da due anni
    Sono state fissate per il 23 aprile prossimo le elezioni municipali in Arabia Saudita. Lo riferisce la Bbc. Si tratta della seconda consultazione elettorale nella storia del regno, dopo le municipali del 2005. Queste seconde elezioni erano state rinviate per due anni. Le donne non potranno votare.

    Giappone: ancora scosse e allarme radioattività nell'acqua e nei cibi
    Non accenna a diminuire l’allarme nucleare nel Giappone devastato dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo scorso. Fumo nero è uscito stamani dalla centrale di Fukushima ma nella popolazione è tornata la paura per le continue forti scosse di assestamento. Il servizio di Francesca Smacchia:

    La centrale di Fukushima continua a destare preoccupazione. Stamani, del fumo nero si è alzato dal reattore numero 3. La fumata è andata poi progressivamente diminuendo, ma i tecnici al lavoro nella zona sono stati comunque allontanati. A peggiorare la situazione, una scossa di assestamento di magnitudo 4,7 registrata nei pressi della centrale, che comunque non ha provocato ulteriori danni. E sale di giorno in giorno il numero delle vittime e di quanti mancano ancora all’appello: oltre 22 mila tra morti e dispersi e decine di migliaia gli sfollati dalla costa verso l’interno. La sfida del Giappone resta quella di stabilizzare la centrale nucleare di Fukushima, i sistemi di raffreddamento saranno rimessi in funzione ''nei prossimi'' giorni, rende noto l’Agenzia giapponese per la sicurezza nucleare. Il rischio legato all'arrivo delle radiazioni dal Giappone "e' zero", perché "nessuna nube tossica sta raggiungendo l'Italia", ha assicurato il ministro della Salute italiano, Ferruccio Fazio. Intanto, sono state annunciate nuove restrizioni sul cibo per l'allarme contaminazione radioattiva. Il premier Kan ha chiesto alla prefettura di Ibaraki di sospendere la distribuzione di latte e prezzemolo. Quindi, ha invitato i giapponesi a non consumare alcuni vegetali provenienti da Fukushima e gli Stati Uniti hanno vietato l'importazione di alcuni prodotti alimentari. E sale anche la radioattività nell’acqua di Tokyo, particolarmente pericolosa perché eccede i limiti legali fissati per il consumo destinato ai bambini. Intanto, il governo nipponico stima i danni del terremoto e dello tsunami tra i 185 e i 308 miliardi di dollari. La Borsa di Tokyo chiude a -1,65%.

    Visita del presidente Obama in Salvador
    Nell’ultima tappa del suo primo viaggio in America Latina, oscurato dalle crisi in Libia e Giappone, Barack Obama è arrivato in Salvador con un’agenda incentrata sulla sicurezza regionale, la lotta alla povertà, il narcotraffico e l’immigrazione. Come riferisce l’agenzia Misna, nell’incontro privato con il presidente del Salvador Mauricio Funes, l’immigrazione è stata la questione più discussa: il Salvador ha uno dei più alti tassi di emigrazione verso gli Stati Uniti di tutta l’America Centrale, con 2,8 milioni di cittadini che vivono e lavorano in territorio statunitense inviando rimesse per 3,5 miliardi di dollari l’anno. Accogliendo le attese delle autorità locali, Obama ha annunciato che il Salvador sarà uno dei quattro Paesi che insieme agli Usa costituiranno un nuovo piano di assistenza tecnica ed economica denominato "Patto per la crescita" volto anche a frenare l’emigrazione. Anticipando il programma, Obama si è inoltre recato insieme al collega Mauricio Funes sulla tomba dell’arcivescovo di San Salvador, monsignor Óscar Romero, assassinato il 24 marzo 1980. Ad accompagnarli, anche l’attuale arcivescovo della capitale, monsignor José Luis Escobar Alas.

    Italia, moratoria di un anno sul nucleare
    Il Consiglio dei ministri italiano ha deciso una moratoria di 12 mesi sul nucleare e un periodo di 24 mesi per l'elaborazione della strategia nucleare. Sono questi i tempi che, a quanto si apprende da fonti governative, la squadra di governo ha indicato per l'iter del ritorno all'atomo. Nel provvedimento correttivo al decreto 31 sulla localizzazione dei siti, la strategia era infatti prevista originariamente a distanza di tre mesi dall'approvazione del provvedimento. Ora, con l'approvazione della moratoria di un anno, il termine per la definizione del piano programmatico è invece spostato ulteriormente in avanti a 24 mesi da oggi. Inoltre, il Consiglio dei ministri ha varato un decreto per il reintegro dei fondi destinati alla Cultura.

    Omicidio volontario l'accusa della Commissione egiziana contro Mubarak
    Per l’ex presidente dell’Egitto, Hosni Mubarak, la Commissione egiziana che indaga sull'ondata di violenze avvenute durante le manifestazioni di protesta contro il regime, ha chiesto l'incriminazione con l'accusa di omicidio volontario. Nel corso della rivolta, iniziata il 25 gennaio scorso, a seguito della quale Mubarak ha rassegnato le dimissioni l'11 febbraio, sono rimaste uccise oltre 300 persone, mentre migliaia sono state ferite dagli attacchi delle forze di sicurezza. Anche l’ex ministro dell'Interno del regime al-Adli è accusato di aver dato l'ordine di aprire il fuoco sulla folla dei manifestanti. Intanto, anche provvedimenti economici contro Mubarak: l'ex presidente egiziano non avrà più accesso a un conto segreto intestato sotto falso nome alla Biblioteca Alessandrina presso la Banca Nazionale d'Egitto, sul quale risultano depositati 145 milioni di dollari di doni esteri offerti alla stessa istituzione. Lo ha deciso ieri il tribunale penale del Cairo. Sempre ieri l'Unione Europea ha deciso di congelare i beni dell'ex presidente egiziano, Mubarak, e di 18 persone del suo entourage, inclusi parenti stretti, dichiarati “responsabili di appropriazione indebita di fondi dello Stato egiziano”.

    Riapre dopo 55 giorni la Borsa in Egitto
    La Borsa egiziana ha riaperto questa mattina dopo una pausa di 55 giorni per la rivoluzione anti-Mubarak, ed è stata subito costretta a sospendere le contrattazione per circa mezz'ora. Lo ha riferito alla televisione di Stato il responsabile per le contrattazioni Ahmhd Shumman, spiegando che le quotazioni sono scese in apertura di circa il 10%, in seguito ad una serie di operazioni a raffica di vendita di azioni.

    Attentati nel nordovest del Pakistan
    Due attentati esplosivi hanno ucciso una persona e ferito altre 11 nel nordovest del Pakistan. Gli attacchi sono coincisi con la Festa della Repubblica che si celebra oggi in tutto il Pakistan. Il primo incidente è avvenuto alla periferia di Peshawar, quando un uomo a bordo di un carretto trainato da un mulo è morto in seguito all'esplosione di una mina. Nel distretto tribale di Hangu, una bomba azionata a distanza ha invece colpito un veicolo della polizia ferendo nove agenti e due passanti.

    L’Onu proroga la missione in Afghanistan
    Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato oggi all'unanimità la risoluzione 1974, che proroga il mandato della missione politica delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) fino al 23 marzo 2012, con l'obiettivo di “rafforzare la sovranità e la leadership” di Kabul. La risoluzione - un documento molto dettagliato di dodici pagine - chiede, tra l'altro, il pieno rispetto dei diritti umani in Afghanistan e “prende atto in maniera positiva della crescita di media liberi” nel Paese. Zahir Tanin, ambasciatore di Kabul al Palazzo di Vetro, ha espresso soddisfazione per il voto che segna, a suo parere, “l'inizio di una transizione che è già cominciata e che durerà quattro anni”. In questo periodo, secondo il delegato, l'Onu dovrà fare di tutto per essere “più trasparente, più incisiva, più coerente”. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 82

    inizio pagina
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.