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Sommario del 22/03/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il significato cristiano della penitenza: sulle parole del Papa all'Angelus, la riflessione di don Nicola Bux
  • Nomine
  • La filosofia può rispondere ai bisogni della società: il cardinale Grocholewski presenta la riforma delle Università ecclesiastiche
  • Mons. Tomasi: negare la dimensione morale della sessualità mina la libertà della persona
  • Francobollo per il 150.mo dell'unità d’Italia. Il cardinale Lajolo: traguardo morale prima che politico
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Libia, raid della coalizione, attacchi delle forze di Gheddafi, sfollati in fuga. Il vicario apostolico di Tripoli: le bombe non ci daranno la pace
  • Lampedusa al collasso, i profughi superano gli abitanti. Il parroco: noi aiutiamo ma ci serve aiuto
  • Giornata mondiale dell'acqua, risorsa negata per 800 milioni di persone
  • Il ruolo dei laici nel Vaticano II. Una riflessione sul decreto conciliare “Apostolicam Actuositatem”
  • Chiesa e Società

  • Si è spento a Roma padre Giuseppe De Rosa, scrittore della Civiltà Cattolica
  • Giappone: prosegue l’impegno della Chiesa locale per i superstiti del terremoto
  • La solidarietà dei cattolici sudcoreani con preghiere ed aiuti concreti al Giappone
  • Nella tragedia giapponese la commovente solidarietà dei giovani
  • Costa d'Avorio: in un clima da guerra civile, danni ad un convento delle Clarisse
  • Appello di don Zerai all’Onu: evacuare i profughi dal Nord Africa
  • Somalia: in aumento il reclutamento dei bambini soldato
  • Congo: vescovo denuncia violenze dell'Lra e suggerisce negoziato
  • Giornata Mondiale dell'Acqua: i primi frutti della Campagna dei Gesuiti per l'Africa
  • Il cardinale Pengo chiede maggiore impegno per l’evangelizzazione in Africa
  • Il cardinale Burke esorta a rafforzare la testimonianza cristiana
  • Hong Kong: presentata la traduzione cinese del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa
  • La Chiesa indiana celebra il “Romero Day” per destare le coscienze contro le ingiustizie
  • Le Ispettorie salesiane indiane si preparano ad accogliere le reliquie di don Bosco
  • India: in Kerala nuova formazione politica cattolica in lizza alle prossime elezioni
  • America Latina: diminuisce indice di povertà
  • Porto Rico: la preoccupazione della Chiesa per la violenza fra i giovani e in famiglia
  • Cile: il Papa vicino al vicariato di Aysen per “costruire una forte comunità cristiana”
  • Romania: polemiche per la “Legge sul partenariato tra Chiesa e Stato nel campo sociale”
  • Terra Santa: presentato il nuovo sito della Custodia francescana
  • 24 Ore nel Mondo

  • Giappone: allarme radioattività anche nell’acqua di mare, migliaia di sfollati vengono trasferiti per facilitare gli aiuti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il significato cristiano della penitenza: sulle parole del Papa all'Angelus, la riflessione di don Nicola Bux

    ◊   A Quaresima, siamo chiamati a schierarci con Cristo contro il peccato: è l’esortazione ai fedeli di Benedetto XVI, che all’Angelus di domenica scorsa si è soffermato sull’atteggiamento che deve contraddistinguere questo tempo forte dell’anno. In particolare, riprendendo un pensiero di Paolo VI, il Papa ha esortato i cristiani “a rispondere al precetto divino della penitenza con qualche atto volontario, al di fuori delle rinunce imposte dal peso della vita quotidiana”. Un passaggio dal quale muove la riflessione del teologo don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede. L’intervista è di Alessandro Gisotti:

    R. - E’ chiaro che le rinunce che ogni giorno facciamo per il peso della quotidianità sono, in qualche modo, indotte dalla condizione che viviamo, dallo stato di vita in cui ci troviamo. Invece le altre – quelle cui allude sempre il Santo Padre – sono quelle che noi, volontariamente, decidiamo di fare. Queste ultime non sono perciò indotte dalla condizione di ogni giorno, ma sono piuttosto esito di una nostra scelta e dovrebbero, in un certo senso, vertere sulla correzione di quegli atteggiamenti viziosi, proprio per potenziare le virtù.

    D. - Questo aspetto è fondamentale: preghiera, digiuno ed elemosina a volte il fedele le sente, in questo periodo di Quaresima, come un dovere, un qualcosa che viene dall’esterno. Evidentemente è invece un qualcosa che deve venire dal di dentro…

    R. - Indubbiamente, perché preghiera, digiuno ed elemosina sono certamente le grandi vie della misericordia che la tradizione della Chiesa e i Padri in modo particolare raccomandano. E’ chiaro che poi queste vie vanno attraversate da ciascuno secondo modalità e prospettive che ciascuno cerca di prefissarsi. Come direbbe San Francesco di Sales a proposito della devozione, ogni stato di vita può indubbiamente applicare queste opportunità alla propria condizione.

    D. - Benedetto XVI, nel suo discorso alla fine degli esercizi spirituali tenuti in Vaticano, ha sottolineato quanto sia importante la vita dei Santi, anche come esempio - soprattutto in questo periodo forte della Quaresima - per noi fedeli…

    R. - Certamente, perché i Santi sono una delle prove inconfutabili della verità della religione cristiana cattolica. I Santi dimostrano che Cristo è sempre imitabile ed attualizzabile e la loro esistenza è una delle prove apologetiche più importanti della verità cristiana cattolica. Talvolta, un certo “liturgismo” vorrebbe isolare i Santi da Dio. Si teme che i fedeli, onorando i Santi, non onorino Dio, ma non è vero, perchè Dio non vive da solo. Egli vive in una grande famiglia, che è quella dei Santi, e quindi, quando si onora un Santo si onora Dio e quando si onora Dio si onorano i Santi. Su questo la Quaresima potrebbe essere un ottimo esercizio sia spirituale sia pastorale per pastori e fedeli. (vv)

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    Nomine

    ◊   Negli Stati Uniti, il Papa ha nominato vescovi ausiliari dell’arcidiocesi di Detroit mons. Donald F. Hanchon, del clero della medesima arcidiocesi, vicario episcopale e parroco della “Holy Redeemer Parish”, assegnandogli la sede titolare vescovile di Orreomargo; e il reverendo Michael J. Byrnes, del clero della medesima arcidiocesi, vice-rettore e “Dean of Formation” del “Sacred Heart Major Seminary” a Detroit, assegnandogli la sede titolare vescovile di Eguga.

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    La filosofia può rispondere ai bisogni della società: il cardinale Grocholewski presenta la riforma delle Università ecclesiastiche

    ◊   “La nostra epoca ha bisogno di filosofia”: così il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, presentando stamani nella Sala stampa vaticana il Decreto di riforma degli studi ecclesiastici di filosofia. Presenti all’incontro con i giornalisti anche mons. Jean-Louis Bruguès, segretario dello stesso dicastero, e padre Charles Morerod, rettore magnifico della Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino. Il servizio di Roberta Gisotti:

    "Ecclesia semper est reformanda" per rispondere – ha sottolineato il cardinale Grocholewski – alle nuove esigenze della vita ecclesiale nelle mutevoli circostanze storico-culturali”. Da qui, l’esigenza di una riforma che interessa – ha spiegato mons. Bruguès – le Facoltà ecclesiastiche di filosofia e di teologia e le istituzioni di filosofia e teologia affiliate o aggregate ad esse. Le principali novità riguardano anzitutto gli anni di corso, un anno in più - tre invece che due - nel primo ciclo per il baccalaureato. Poi il curriculo degli studi con la sottolineatura del “carattere sapienziale e metafisico della filosofia, che non nega – ha evidenziato padre Morerod – il ruolo delle altre banche della filosofia stessa”, e la raccomandazione di favorire l’accesso alle fonti, ovvero la lettura degli autori più significativi, che lo studio dei manuali non può sostituire, ricordando ancora che “l’informazione non è formazione”. Infine, il corpo docente che sia quanto più stabile e qualificato possibile. Un Decreto il cui iter è partito nel 2004, per arrivare all’approvazione di Benedetto XVI il 28 gennaio 2011, memoria di San Tommaso D’Aquino. Ma qual è stata la spinta riformatrice? La risposta del cardinale prefetto, Zenon Grocholewski:

    “Da una parte, la debolezza della formazione filosofica in molte istituzioni ecclesiastiche, con l’assenza di precisi punti di riferimento, soprattutto riguardo alle materie da insegnare e la qualità dei docenti. Questa debolezza è, inoltre, accompagnata dalla crisi degli studi filosofici in genere, in un’epoca in cui la ragione stessa è minacciata dall’utilitarismo, dallo scetticismo, dal relativismo, dalla sfiducia della ragione stessa di conoscere la verità riguardo ai problemi fondamentali della vita, dall’abbandono della metafisica. Perfino talvolta il concetto della filosofia non appare chiaro. E, d’altra parte, la convinzione, espressa nell’Enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II del 1998, dell’importanza della filosofia nella sua componente metafisica per ‘superare la situazione di crisi che pervade oggi grandi settori della filosofia e per correggere così alcuni comportamenti erronei diffusi nella nostra società’, come pure la consapevolezza che la filosofia è indispensabile per la formazione teologica”.

    Quindi l’auspicio finale del porporato:

    “È da augurarsi che questa riforma contribuisca al miglioramento degli studi sia di filosofia che di teologia”.

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    Mons. Tomasi: negare la dimensione morale della sessualità mina la libertà della persona

    ◊   La Santa Sede difende la dignità di tutti gli uomini e condanna ogni forma di violenza a causa di orientamenti o comportamenti sessuali. E’ quanto sottolinea l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio dell’Onu di Ginevra, in occasione della 16.ma Sessione del Consiglio dei diritti umani nella città elvetica. Vi è una differenza fondamentale – sottolinea il presule tra sentimenti e comportamenti. Un Paese non può privare una persona dei suoi diritti, basati proprio sui sentimenti. Ma gli Stati – aggiunge – possono, e devono intervenire su alcuni aspetti legati ai comportamenti, inclusi quelli sessuali. “Certi tipi di comportamenti sessuali – ricorda mons. Tomasi – devono essere vietati dalla legge”. Pedofilia e incesto sono due esempi. La Santa Sede desidera inoltre affermare la propria convinzione, profondamente radicata, che la sessualità umana è un “dono” che si esprime in modo autentico nel matrimonio tra uomo e donna. “Negare la dimensione morale della sessualità – afferma il presule – porta a negare la libertà della persona” e mina in definitiva la sua “dignità ontologica”. Questa convinzione sulla natura umana – sottolinea infine il rappresentante pontificio – è condivisa anche da molte altre comunità di fede. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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    Francobollo per il 150.mo dell'unità d’Italia. Il cardinale Lajolo: traguardo morale prima che politico

    ◊   “La Repubblica una ed indivisibile, come non è solo un elemento costituzionale, così non è nemmeno un valore morale che può lasciare indifferente la coscienza cattolica”. Lo ha affermato il cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, in uno dei passaggi più salienti del discorso pronunciato ieri alla cerimonia per l’emissione congiunta tra l’Italia e lo Stato della Città del Vaticano di un francobollo commemorativo dei 150 anni dell’unità d’Italia. Il porporato ha quindi spiegato che la presente emissione filatelica indente fare riferimento proprio alla “profonda unità morale”, senza la quale “non vi può essere nemmeno una stabile e feconda unità politica”. “E dell’unità di questa grande famiglia – ha proseguito il cardinale Lajolo – i cattolici italiani, con il valore proprio della loro fede e del ruolo costruttivo di primo piano, da essi svolto nella storia dell’Italia moderna, sanno di essere parte portante, nella consapevolezza dei sacrifici che l’unità può comportare, ma anche dei maggiori beni che da essa provengono per tutti”.

    Il presidente del Governatorato della Città del Vaticano ha inoltre ripercorso teppe più significative nei rapporti tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede partendo dal Risorgimento per arrivare fino alle soglie del nuovo millennio. In particolare, il porporato si è soffermato sui Patti Lateranensi del 1929 e sull’accordo di revisione del Concordato Lateranense del 1985, che hanno funzionato come “strumento dell’unità morale interna al popolo italiano, coordinando consensualmente le istituzioni della Chiesa Cattolica e la comunità dei credenti con le istituzioni dello Stato e la società civile”. E anche grazie al riconoscimento reciproco dei due soggetti “l’unità d’Italia è non solo una realtà politica, ma ben più, una situazione morale pacifica e condivisa”. “Oggi – ha sottolineto ancora il cardinale Lajolo anzi, si può ben dire che, se vi è un’istanza morale autorevole che si esprime in favore dell’unità del Paese, della Patria italiana, essa è la Chiesa Cattolica, vale a dire la Santa Sede anzi tutto, e l’Episcopato italiano”. “Nel contesto di tale visione – ha detto in conclusione il porporato – l’emissione del francobollo è piccola cosa, ma è pur sempre una cosa bella, ricca di significato per l’occasione che la motiva e le circostanze che l’accompagnano”. (A cura di Marco Guerra)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Questione di radicalità evangelica: in prima pagina, il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, sul celibato sacerdortale.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la situazione in Libia, dove vacilla la coalizione dei volenterosi.

    In cultura, Alain Besancon sulla sguardo nuovo di Benedetto nel "Gesù di Nazaret".

    Quando i romani dipingevano al buio: anticipazione degli interventi di Carlo Carletti e Giovanni Carru alla presentazione del libro, domani, di Fabrizio Bisconti "Le pitture delle catacombe romane. Restauri e interpretazioni".

    Minuscoli testimoni di un evento grande: il cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato, sull'emissione filatelica congiunta - presentata ieri - con la quale la Città del Vaticano e il Governo italiano festeggiano i 150 dell'unità.

    Il sostegno della Chiesa ai cristiani di Terra Santa: nell'informazione religiosa, la lettera della Congregazione per le Chiese Orientali in occasione della tradizionale "Colletta".

    Il ricordo del gesuita Giuseppe De Rosa, morto ieri all'età di 90 anni.

    Nell'informazione vaticana l'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, sulla difesa dei diritti di profughi e lavoratori migranti.

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    Oggi in Primo Piano



    Libia, raid della coalizione, attacchi delle forze di Gheddafi, sfollati in fuga. Il vicario apostolico di Tripoli: le bombe non ci daranno la pace

    ◊   In Libia, prosegue l’operazione della coalizione internazionale “Odissea all’alba” con bombardamenti e incursioni aeree. Nella notte ha preso il via la terza ondata di attacchi. Obiettivo dei raid è stata soprattutto la difesa aerea libica nelle città di Tripoli e Sirte. Sull'altro fronte, si registrano nuovi attacchi delle forze governative libiche a Misurata e a Zenten. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    La priorità in questa prima fase è di proteggere la no fly zone. Per questo, la scorsa notte sono state attaccate, nella zona orientale del Paese, installazioni radar e due basi per la difesa aerea controllate dalle truppe di Muammar Gheddafi. Dalla base militare di Trapani sono decollati, stamani, anche due F-16 italiani. La televisione di Stato libica ha anche riferito di bombardamenti contro la residenza del rais a Tripoli. Il governo libico ha accusato la coalizione internazionale di aver bombardato obiettivi civili, come il porto e l'aeroporto di Sirte, provocando diverse vittime. Nuove incursioni si registrano anche ad est di Bengasi, roccaforte dell’opposizione ancora controllata dagli insorti che ribadiscono di non voler negoziare con il colonnello.

    Alle operazioni aeree della coalzione multinazionale si contrappongono quelle vie terra delle truppe di Gheddafi. Misurata è tornata sotto il controllo delle forze governative che stamani hanno sferrato nuovi attacchi nel capoluogo della Cirenaica ed anche a Zenten. I morti, solo a Misurata, sono almeno 40. Un testimone ha dichiarato che l’offensiva a Misurata ha provocato la morte anche di quattro bambini, che viaggiavano a bordo di un'automobile. Fonti locali riferiscono poi che un aereo statunitense è precipitato in Libia a causa, probabilmente, di un guasto tecnico. Il pilota è stato salvato dagli insorti. Il governo libico, dopo aver smentito la notizia della morte di uno dei figli di Gheddafi, ha anche reso noto che, nella zona di Tobruk, sono stati arrestati tre giornalisti occidentali, due reporter dell’agenzia France Presse e un fotografo della Getty Images. L'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i profughi sottolinea poi che i combattimenti hanno spinto migliaia di persone a fuggire dalle loro case e a rifugiarsi nell'est del Paese.

    Sull’intervento militare della coalizione internazionale, intanto, manca ancora un accordo sulle modalità e sul ruolo per la partecipazione della Nato. L’Italia ha chiesto che venga rilasciata all’Alleanza Atlantica la catena di comando della missione “Odissea all’Alba”, di cui la Francia rivendica la leadership. Gli Stati Uniti, che si preparano a passare il comando delle operazioni, hanno annunciato un rallentamento dei raid. I ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno approvato, infine, un nuovo pacchetto di sanzioni contro Tripoli.

    Da Tripoli giungono accorati appelli per porre fine all'intervento militare della coalizione internazionale. Sulla situazione nella capitale, ascoltiamo il vicario apostolico della città, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, intervistato da Amedeo Lomonaco:

    R. - Dopo tre giorni di bombardamento, la situazione è quanto mai cruda, terribile. Di notte le bombe non ci fanno più dormire. La città è diventata uno spettro, c’è silenzio, mortificazione, umiliazione. Tanta gente è partita dalla città, è andata nel proprio paese d’origine perché è impossibile rimanere in città. C’è veramente un’aria da cimitero. E’ vero che le bombe sono state sganciate su dei siti precisi, però la città, in un modo o in un altro, risente di queste esplosioni in piena notte. E’ davvero incredibile come, ancora oggi, si possa vivere questo tipo d’esperienza con un Paese con cui, per anni, è stata costruita con tanta pazienza e difficoltà un’amicizia che era veramente invidiabile, con tutta l’Europa e soprattutto con l’Italia.

    D. - Il Papa, all’Angelus, ha chiesto che siano assicurati l’incolumità per la popolazione e l’accesso agli aiuti umanitari. Quali sono, a questo punto, le vie che secondo lei si possono ancora percorrere per arrivare ad un’autentica riconciliazione?

    R. - Bisogna porre fine ai bombardamenti, fissare una tregua e cercare di vedere, se è possibile attraverso una mediazione, attraverso contatti di persone vicine al governo libico, di trovare una soluzione. Il Santo Padre ci ha invitato alla preghiera. Noi la preghiera la viviamo quotidianamente con il gruppo di religiose presenti. La viviamo con il piccolo resto del popolo di Dio, che è rimasto mentre molti altri sono partiti. La viviamo proprio con fede profonda, convinti che solo la preghiera, solo Dio può muovere i cuori. Ma non sono le bombe che possono darci la pace.

    D. - Questo, eccellenza, è il suo accorato appello alla comunità internazionale. Quali, invece, le sue parole al governo libico?

    R. - La mancanza del governo libico è stata quella di non aver ascoltato la crisi generazionale di questi ultimi tempi, perché c’erano giovani che reclamavano diritti e forse si era mostrata più preoccupazione per la violenza o altre cose. Ho detto più volte che bisogna ascoltare questi giovani, bisogna dar loro speranza, perché ciò che non viene ascoltato poi può generare violenza dentro di loro.

    D. - Gli attacchi sulla Libia stanno ovviamente spingendo molti stranieri - ed anche molti cattolici - a lasciare il Paese. Lei, invece, ha deciso di restare accanto alla popolazione…

    R. - Moltissimi sono partiti. E’ rimasto il piccolo resto del popolo di Dio. Io non posso lasciare, noi non possiamo lasciare la gente. E non soltanto i cristiani, ma anche gli amici libici, i quali ci dicono: “Grazie di essere rimasti con noi, grazie di darci ancora speranza. La vostra presenza è segno di speranza”. E’ bello perché si capisce che tutto quello che si è, non tanto quello che si fa, diventa poi un incoraggiamento vicendevole a trovare la via della pace. Tanti amici musulmani mi hanno detto: “Noi preghiamo come voi, pregate per la pace”. Mi auguro che la forza della preghiera possa aiutare la gente a ritrovare il valore dell’amicizia e del rispetto di un altro popolo – per quanto esso sia diverso – e che si possa ritrovare sempre il cammino del dialogo nella pace. (vv)

    Si inaspriscono intanto le fratture e i dissidi interni alla coalizione dei "volenterosi", che ha mobilitato la macchina militare contro il governo di Gheddafi. Preoccupazione è stata espressa anche dalla Cina, astenutasi all’Onu insieme con Russia, Germania e India. Sulle ragioni di queste divisioni, l'opinione di Maria Grazia Enardu, docente di Relazioni internazionali all’Università di Firenze, intervistata da Stefano Leszczynski:

    R. – Nella decisione di intervenire in qualche modo in Libia hanno partecipato soggetti diversissimi tra di loro: l’Onu tutta, anche se va compresa l’astensione di Paesi come Russia e Cina; la Lega araba, che non è in Consiglio di sicurezza, ma che è stata importantissima; la Nato che è fatta da un certo numero di Paesi, alcuni dei quali extraeuropei, e che per la seconda volta nella sua storia si trova in un’operazione mediterranea che non può ben gestire con mentalità atlantica.

    D. – Fin dall’inizio, la Francia ha premuto per un intervento armato. Perché tutto questo interesse sulla Libia?

    R. – Gli obiettivi della Francia sono mediterranei, europei. Gli interessi veri possono essere i più vari e veramente politici e di politica interna: la leadership di Sarkozy, la leadership della Francia nell’Unione Europea, le elezioni presidenziali. Quindi, un insieme di motivazioni politiche, personali e generali. Anche perché nell’Europa unita nel Mediterraneo, la rivalità tra le vecchie potenze coloniali è sempre accesa, soprattutto ora che tutto il Mediterraneo sud si muove in una qualche direzione.

    D. – Quale potrebbe essere a questo punto la posizione di Washington nel Mediterraneo?

    R. - Gli Stati Uniti non vogliono in questo momento andare in guerra in un altro Paese arabo, però per tutta una serie di ragioni hanno deciso di intervenire. Sicuramente, la posizione americana è sfumata. Si vuole un intervento Nato, della quale loro rimangono il Paese a comando supremo, ma si vuole che questa operazione sia gestita da un comando affidato o a un inglese o a un francese o che si mettano d’accordo tra loro: posizione che irrita gli altri Paesi della Nato, a cominciare dall’Italia, che non vogliono un comando o inglese o francese o unificato di due Paesi europei.

    D. – La "lezione" della Libia insegnerà qualcosa all’Occidente su come si conducono le relazioni internazionali?

    R. – Assolutamente no. Può insegnare qualcosa in astratto ma quando si tratta di un Paese come la Libia che ha il petrolio e quindi costituisce un contraente di grossi affari – non dimentichiamo mai le armi che vengono comprate da questo tipo di Paesi – tutte le buone intenzioni vanno via velocemente. Si possono avere buone intenzioni solo quando si tratta di un Paese piccolo e povero: allora si possono avere buoni sentimenti. (bf)

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    Lampedusa al collasso, i profughi superano gli abitanti. Il parroco: noi aiutiamo ma ci serve aiuto

    ◊   Con gli ultimi tre sbarchi di oggi, sono oltre 5500, più della popolazione locale, i profughi presenti nell’isola di Lampedusa, dove il centro d’accoglienza è ormai al collasso. In giornata, è previsto l’arrivo della nave militare San Marco che dovrebbe evacuarne un migliaio, mentre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati lancia l’allarme sulla situazione. Sono molte e diverse le storie degli immigrati sbarcati. Storie di dolore, ma anche di speranze. Le ha raccolte per noi l’inviato a Lampedusa, Massimiliano Menichetti:

    Il blu del mare, riflesso sul giallo delle rocce o custode della luna amaranto che solo qui si può vedere. E’ l’istantanea che ha accolto la speranza e le fatiche di oltre 5400 immigrati per lo più tunisini sbarcati in questi giorni. Lampedusa oggi ha il volto magrebino che si mescola a quello italiano. Le cronache raccontano del centro di prima accoglienza al collasso e di una popolazione esausta che si butta in acqua per non far attraccare altri natanti. Ma è solo la lettura, in parte fuorviata, di un volto. L’altro è quello di centinaia di persone che portano da mangiare nelle piazze, vestiti nei centri di raccolta e di alcuni pescatori che hanno condiviso il pescato a fine giornata. Si contesta, in realtà, la lentezza dello Stato nel dare dignità a queste persone che sono state in mare anche giorni senza acqua o cibo che ora dormono in terra, avendo come cielo le stelle e come compagna l’umidità che entra nelle ossa. Per lo più, questi immigrati, hanno dai 16 ai 22 anni.

    D. – How old are you?

    R. – I’m 16.

    D. – And you?

    R. - 16. My name is Kinani.

    D. – Where are you going? To Italy or another destination?

    R. – Another destination.

    D. – Where?

    R.- France. Lampedusa is like Tunisia. Palermo or Sicily is a good situation…

    Il centro di prima accoglienza può ospitare in emergenza 1200 persone, le condizioni igienico sanitarie sono inaccettabili e mentre il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, parla di “pericolo terrorismo” facendo aumentare l’ansia nella popolazione, qui a Lampedusa L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ribadisce che la priorità è spostare i migranti il prima possibile per evitare che la situazione degeneri. I lampedusani si dicono vicini agli extracomunitari, ma abbandonati dallo Stato, preoccupati per un turismo in picchiata perché spaventato dagli sbarchi:

    R. – Noi lampedusani abbiamo sempre dimostrato di essere pronti all’accoglienza: lo stiamo dimostrando da 12, 13, 14 anni. Adesso, però, non si può più vivere. Lei stesso, che ora è qui a Lampedusa, ha visto cosa c’è nel centro abitato. Tenga presente che quegli emigrati sono tutti ragazzi che vanno da 16 a 21, 22 anni sono tutti giovanissimi – e vederli dormire francamente sotto un autotreno, sotto le stelle, sotto la pioggia, fa veramente pena. Quindi, il governo deve provvedere.

    R. – Siamo stati un popolo accogliente e continuiamo ad essere accoglienti, ma in una situazione del genere non sappiamo come ci dobbiamo comportare. Non c’è paura, perché solo Dio ci aiuta. Ma arrivati a questo punto siamo immobilizzati. E non siamo un popolo di razzisti, perché quello che sta facendo Lampedusa non l’ha fatto nessuno nel mondo.

    Gli abitanti di Lampedusa dicono “no” alle tendopoli per sollecitare interventi diversi, ma questa notte come ieri decine di uomini si sono accampati, con teli di fortuna, proprio nei pressi del molo da dove sono sbarcati. Altri hanno vagato tutta la notte, c’è chi ha telefonato a casa e chi frugava nei cassonetti. Spesso non parlano al microfono per paura, in molti dicono che non vogliono rimanere in Italia perché Francia, Germania e Belgio sono le mete più ambite. In tutti la speranza di un futuro migliore, per se stessi e le proprie famiglie, rimaste a casa con il cuore sospeso. (ap)

    A lottare in prima linea nell’emergenza è don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa. Massiamo Menichetti lo ha intervistato:

    R. – È una situazione che è entrata in "tilt", perché con tutta la buona volontà delle diverse parti in causa, a cominciare dalle associazioni umanitarie non governative che sono presenti sull’isola all’interno del Centr,o fino alla gente comune che ha cercato di fare qualsiasi cosa per aiutare e per andare incontro a questi fratelli immigrati, si capisce bene che siamo entrati in "tilt". Si è rovinato un po’ il sistema, la struttura che funzionava fino a qualche giorno fa a livello di accoglienza.

    D. – Di fatto, in questo momento manca un coordinamento?

    R. - Sì, perché credo che le forze andassero bene per un certo numero di immigrati. Serve altro aiuto e serve, fondamentalmente, decongestionare il numero degli immigrati.

    D. – Quindi, come ribadiscono molti abitanti, è necessario portarli via dall’isola…

    R. – Sì, noi possiamo supportare questo transito fino a un certo numero. Se arriviamo a un numero di mille, il Paese riesce ad accogliere queste persone umanamente e cristianamente. Ma andando al di là di questo numero, il sistema iniziale entra in difficoltà: è inumano, è inammissibile che 5000 persone siano "parcheggiate" sull’’isola, perché la realtà è questa.

    D. – Come sta reagendo la popolazione dell’isola?

    R. – Allo stato attuale, sta reagendo con un po’ di stanchezza perché la pazienza c’è stata, c’è ed è tanta, al di là di qualche voce critica o di qualche protesta, che per certi versi è anche legittima. Bisogna capire anche la tensione alla quale è sottoposta questa popolazione. E’ da più di un mese che siamo sottoposti notte e giorno a una tensione del genere. La macchina del trasferimento è stata e continua a essere molto lenta. Credo che se c’è una critica da fare sia nei confronti di chi sta gestendo questa emergenza. Siamo arrivati al punto di essere quasi alla carenza alimentare e allora penso che vada fatta una riflessione in questo senso. La comunità continua ad avere pazienza, perché vede anche la fragilità nella quale vivono questi fratelli. C’è stato un segnale positivo ieri nel Consiglio dei ministri: ringraziamo il ministro degli Interni e il ministro della Giustizia per le parole che hanno avuto nei confronti di Lampedusa. Però è importante che, da questo momento, si passi dalle parole ai fatti. La macchina è troppo ingolfata e deve ripartire subito, perché rischia di alzare la tensione all’interno del Paese.

    D. – Don Stefano, lei dice: guardando a come stanno andando le cose bisognerebbe migliorare. Non è una critica politica, è una critica di strategia…

    R. – Sì, è una critica di strategia. Il nostro compito è quello di supportare, di agire, di condividere. Ed è quello che abbiamo sempre fatto fin dalla prima notte dell’emergenza quando il centro era chiuso e abbiamo messo a disposizione i saloni parrocchiali.

    D. – Questo, venti giorni fa …

    R. – Più di venti giorni fa. Allo stato attuale esiste ancora un gruppo di immigrati all’interno del nostro salone parrocchiale, sono più di 200 che attendono di ripartire per un altro luogo. Credo che il segreto, la formula che abbiamo suggerito a chi deve guidare l’emergenza, sia quella della condivisione: condivisione dei pesi, che le regioni condividano il peso con noi. E’ un principio che è pienamente umano, totalmente umano, e totalmente cristiano. Penso alle parole della Gaudium et spes, parole che qui si incarnano benissimo: non c’è niente di cristiano che non sia pienamente umano o viceversa.

    D. – Don Stefano, come parrocchia siete stati i primi ad intervenire e tuttora siete in prima linea. Che cosa state facendo come Chiesa?

    R. – Intanto, abbiamo dato la struttura per riparari gli immigrati. È chiaro che non risolve tutto, ma è un modo per dire ci siamo anche noi. Siamo qui a fare, a cooperare, a collaborare. Abbiamo detto alle associazioni umanitarie che siamo ben disposti su qualsiasi versante, dagli alimenti agli indumenti. La Caritas parrocchiale, di concerto con quella diocesana, si sta attivando in queste ore per la distribuzione anche di vestiario all’interno della parrocchia o in altri luoghi. Facciamo questo da giorni, non c’è niente di nuovo in questa direzione. (bf)

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    Giornata mondiale dell'acqua, risorsa negata per 800 milioni di persone

    ◊   Si celebra oggi in tutto il mondo la Giornata dell’acqua indetta dalle Nazioni Unite. Tanti i convegni, le tavole rotonde e le manifestazioni per sensibilizzare l’opinione pubblica su una più equa distribuzione e un consumo corretto e responsabile di questa fondamentale risorsa. Secondo i più recenti dati, oltre ottocento milioni di persone nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile, mentre in Africa l’acqua è un diritto negato per quattro individui su dieci. Ma per quale motivo l’Africa è uno dei continenti dove maggiormente si muore per carenza d’acqua? Lo spiega Tommy Simmons, direttore generale dell’African Medical and Research Foundation, intervistato da Federico Piana:

    R. – Perché non ci sono le infrastrutture, perché le popolazioni rurali non sono servite, ma anche quelle urbane sono molto sotto-servite, e perché la concorrenza dell’acqua tra gli Stati e tra le popolazioni, tra le industrie e l’uso civile, è sempre crescente. L’acqua, dal punto di vista della sanità, è assolutamente fondamentale: acqua e igiene prevengono gran parte delle malattie e la carenza di acqua e la presenza di malattie sono uno dei più grandi elementi nella povertà.

    D. – Secondo lei, quali sono le strategie da attuare per cercare di invertire questa tendenza?

    R. – L’unica soluzione sono maggiori investimenti a livello nazionale, ma anche a livello internazionale. Di sicuro, gli Stati del nord del mondo, che hanno una certa disponibilità, non fanno sforzi sufficienti in questo settore, perché se il 40 per cento della popolazione dell’Africa non ha accesso ad acqua pulita si vede che qualcosa veramente è stato sbagliato negli anni.

    D. – La crescente carenza d’acqua nei prossimi anni porterà a vere e proprie migrazioni di massa. Lei conferma questo dato che è stato reso nato da alcuni esperti?

    R. – Molte di queste migrazioni sono già in atto, dalle zone rurali alle zone urbane in Africa. E vediamo anche noi, quotidianamente, che sono molte le migrazioni dell’Africa che non si possono separare dal problema dell’acqua.

    D. – Secondo lei, queste migrazioni così imponenti per la mancanza d’acqua come si possono evitare?

    R. – Bisogna fare maggiori investimenti per permettere alle popolazioni più povere di vivere in modo decente, perché le persone non vogliono migrare semplicemente per un capriccio: le persone vogliono migrare perché hanno assoluta necessità di stare meglio. Bisogna rafforzare la capacità delle comunità africane, dei Paesi africani, di sfruttare al meglio e di gestire al meglio questa preziosa risorsa. Si parlava di conflitti: uno dei primi conflitti che ci sarà, riguarderà la cessione delle acque del Nilo, che sono molto contestate, molto ambite da diversi Paesi del bacino del Nilo, e questo sarà un problema pressante, che riguarderà tutta l’Africa orientale e nordorientale. (ap)

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    Il ruolo dei laici nel Vaticano II. Una riflessione sul decreto conciliare “Apostolicam Actuositatem”

    ◊   L’apostolato dei laici “derivando dalla loro stessa vocazione cristiana, non può mai venir meno nella Chiesa”: è uno dei passaggi iniziali del decreto conciliare sull’apostolato dei laici, Apostolicam Actuositatem, pubblicato nel novembre del 1965. Ascoltiamo in proposito il commento del gesuita, padre Dariusz Kowalczyk, nella 20.ma puntata della nostra rubrica dedicata ai documenti del Vaticano II:

    Qual’è il ruolo dei laici nella Chiesa? Il teologo Yves Congar diceva con sarcasmo che questi devono andare in chiesa, ascoltare, e mettere mano al portafoglio. Per contrastare tale mentalità il Concilio Vaticano II ha rivoluzionato la maniera di intendere il laicato e ha dato un’efficace spinta all’apostolato dei laici. Questo apostolato, infatti, “non può mai venir meno nella Chiesa” (n. 1) – leggiamo nel decreto Apostolicam Actuositatem.

    Il Concilio dice chiaramente che “i laici derivano il dovere e il diritto all’apostolato dalla loro stessa unione con Cristo” (n. 3). Non si tratta, dunque, di un “favore” concesso ai laici dai preti. Purtroppo, il rinnovamento conciliare della missione dei laici nella Chiesa non sempre viene compreso correttamente. In alcune situazioni i laici hanno cercato di prendere il posto del clero all’interno della Chiesa invece di occupare responsabilmente i posti loro propri nel mondo.

    Il ruolo dei laici nella Chiesa non consiste nella loro “clericalizzazione”, così come il rinnovamento dei sacerdoti non consiste nella loro “laicizzazione”. La vera uguaglianza fra tutti i fedeli nella dignità e nel loro agire non significa la confusione delle condizioni e dei compiti propri di ciascuno. Il Concilio afferma, infatti: “I laici devono assumere il rinnovamento dell’ordine temporale come compito proprio, e in esso […] operare direttamente e in modo concreto” (n. 7).

    Uno dei punti deboli del rinnovamento conciliare sembra però essere la definizione, di tipo negativo, del laico nella Chiesa. Nella Lumen gentium leggiamo: “Col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli a esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso” (n. 31). Eppure, più importante dall’affermazione che laico non è prete, né religioso, mi sembra la domanda: chi è un laico?

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    Chiesa e Società



    Si è spento a Roma padre Giuseppe De Rosa, scrittore della Civiltà Cattolica

    ◊   E’ mancato ieri sera a Roma il padre Giuseppe De Rosa, per oltre cinquant’anni scrittore della Civiltà Cattolica, la nota e autorevole rivista dei gesuiti italiani. Nato a Gorgoglione (Matera), nel 1921, aveva da poco compiuto 90 anni. Colpito da una grave forma di anemia si era gradualmente indebolito, così da rendere necessario negli ultimi mesi il trasferimento all’infermeria internazionale dei gesuiti, nella Residenza di San Pietro Canisio, dove tuttavia aveva continuato fino alle ultime settimane a scrivere con costanza articoli per la rivista. Entrato giovanissimo nel noviziato della Provincia Napoletana della Compagnia di Gesù, si era laureato in storia e filosofia e aveva studiato teologia a Lovanio, venendo ordinato sacerdote nel 1950. Terminata la formazione, aveva svolto diversi ministeri, tra i quali l’educazione dei giovani al Collegio Argento di Lecce, ma poi era stato presto destinato nel 1958 alla redazione della Civiltà Cattolica, dove si realizzò veramente la vocazione della sua vita. Mente vivacissima, desiderosa di approfondire ogni argomento, lettore infaticabile, il padre De Rosa aveva una vera passione apostolica di servizio per mezzo della condivisione del sapere. Di qui la sua quasi sconfinata attività di scrittore. Si può affermare senza timore di smentita che sia stato il più fecondo scrittore di tutta la storia della Civiltà Cattolica con i suoi articoli di argomento molto vario: filosofia e teologia, attualità sociale e politica, spiritualità e morale. Per molti anni curò la “cronaca italiana” quindicinale, sull’attualità della vita del Paese. Ma per un lungo periodo sono stati nella massima parte suoi anche gli autorevoli “editoriali” non firmati della rivista. Né mancavano note, discussioni di libri o recensioni. Numerosi anche i suoi libri, in particolare quelli di carattere teologico-spirituale, da cui traspariva l’intensità e la profondità della sua vita religiosa e del suo spirito sacerdotale. Aveva sensibilità e coraggio per affrontare i problemi più seri della società e della cultura odierna, senza sfuggirli e cercando di dare con ammirevole onestà intellettuale e morale una parola equilibrata di orientamento. Caratteristico il suo stile, che rifuggiva dalle raffinatezze dando sempre evidente priorità alla chiarezza e alla sistematicità dell’argomentazione. Il suo amore per la Chiesa e la sua fedeltà al Magistero del Papa, la sua dedizione a un lavoro paziente e in gran parte nascosto, insieme alla sua amabilità e alla sua accoglienza, lo rendono uno splendido esempio di religioso e di sacerdote chiamato all’apostolato nel vasto mondo della cultura odierna. (A cura di padre Federico Lombardi)

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    Giappone: prosegue l’impegno della Chiesa locale per i superstiti del terremoto

    ◊   Continua l’impegno della Chiesa in Giappone. Padre David Uribe, missionario di Guadalupe, spiega all'agenzia AsiaNews che in molte parrocchie dell’arcidiocesi di Tokyo i fedeli hanno organizzato raccolte di beni di prima necessità da inviare nelle prefetture colpite dalla sciagura. Il sacerdote sottolinea come nella diocesi di Sendai non si hanno ancora contatti con la maggior parte delle parrocchie danneggiate dallo tsunami. Tuttavia, le squadre di soccorso hanno ripristinato parte delle vie di comunicazione con le prefetture a nord-est di Sendai, dove al momento è ancora vietato l’accesso ai non residenti. Ieri l’arcivescovo di Tokyo, mons. Peter Takeo Okada, in un messaggio alla popolazione ha assicurato la sua vicinanza spirituale a tutti coloro che si trovano in difficoltà. “In tutte le parti del mondo - ha affermato il presule - milioni di persone stanno pregando per il Giappone”. Intanto la Banca Mondiale ha pubblicato oggi la stima dei costi per la ricostruzione, che ammonta a circa 234 miliardi di euro. (G.P.)

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    La solidarietà dei cattolici sudcoreani con preghiere ed aiuti concreti al Giappone

    ◊   E’ in atto la raccolta di fondi promossa il 18 marzo dalla Conferenza dei vescovi cattolici della Corea (Cbck) a favore delle vittime del terremoto e dello tsunami che ha colpito il Giappone l’11 marzo scorso. La Caritas Internazionale di Corea - riferisce l'agenzia AsiaNews - donerà alla Caritas del Giappone 100mila dollari in aiuti d’emergenza, compresi 50mila dollari della organizzazione "Un corpo Uno spirito" dell’arcidiocesi di Seoul. La Cbck il 18 marzo ha inviato una lettera ufficiale alle 16 diocesi della Corea del Sud, invitandole a promuovere la preghiera e la raccolta di contributi per le vittime. In risposta, i vescovi hanno anche chiesto ai fedeli di partecipare con generosità alle preghiere e alle donazioni, per mostrare l’amore cristiano alla popolazione giapponese colpita, lasciando alle spalle i contrasti passati (tra i due Paesi ci sono stati vari conflitti e il Giappone ha occupato la Corea). Subito dopo il disastro, il 14 marzo il presidente della Conferenza dei vescovi cattolici coreani, mons. Peter Kang U-il, aveva inviato un messaggio di solidarietà all’arcivescovo Leo Jun Ikenaga, presidente della Conferenza episcopale giapponese. “Noi vescovi di Corea – aveva scritto mons. Kang – desideriamo esprimere il nostro profondo cordoglio e solidarietà per le tragiche conseguenze del maggior terremoto del Giappone e il successivo tsunami, e pregare per le vittime e le loro famiglie… Possa il Signore della Misericordia confortarli e sostenerli e dare loro una nuova speranza in queste ore di sofferenze indicibili. Noi – concludeva – vogliamo anche esprimere la nostra solidarietà con concrete. (R.P.)

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    Nella tragedia giapponese la commovente solidarietà dei giovani

    ◊   “In questa tragedia, uno degli aspetti più commoventi è lo slancio di solidarietà che manifestano i giovani giapponesi”: è quanto spiega il Salesiano giapponese padre Yasutaka Muramatsu, Segretario provinciale dell’Ispettoria salesiana intitolata a San Francesco Saverio. Padre Muramatsu, che si dedica alla pastorale giovanile e segue gruppi di giovani, racconta all'agenzia Fides che “i giovani, cristiani e non cristiani, si sono mobilitati, vorrebbero recarsi subito nelle aree colpite, per mettere a servizio delle vittime le loro energie e il loro entusiasmo, per aiutare, dare un sorriso, restituire un po’ di speranza. E’ davvero commovente vedere come bruciano d’amore verso il prossimo. E’ una lezione per tutti noi educatori”. I Salesiani giapponesi – circa 120 missionari in 13 case – si sono attivati con una raccolta di fondi da devolvere alla Caritas Giappone e alla diocesi di Sendai, che ha riportato i danni maggiori dopo lo tsunami. Presenti nell’arcipelago nipponico dal 1927, i religiosi hanno già vissuto la difficile fase della ricostruzione post bellica, constatando gli effetti nefasti delle radiazioni atomiche, dopo Hiroshima e Nagasaki: “Oggi la maggiore preoccupazione è la centrale nucleare di Fukushima che non è ancora sicura. Le notizie che circolano sono contrastanti e la gente ha paura di non sapere tutta la verità”, nota padre Muramatsu. Tuttavia i Salesiani continueranno la loro missione impegnandosi nelle scuole, nella pastorale giovanile, nell’evangelizzazione tramite la stampa, “restando vicini, in tutti i modi e condividendo la sorte del popolo giapponese, provato dalla tragedia”, nota il sacerdote. I religiosi continuano a organizzare anche veglie di preghiera per le vittime e nei prossimi giorni si incontreranno per un meeting in cui fare il punto della situazione e delineare forme di impegno concreto. Resta tuttavia molto difficile muoversi, dati i pochi mezzi di trasporto funzionanti, “così abbiamo imparato a restare in contatto tramite i mezzi di comunicazione come l’e-mail, il web, i social network, che diventano strumenti per alimentare la comunione” conclude il sacerdote. (R.P.)

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    Costa d'Avorio: in un clima da guerra civile, danni ad un convento delle Clarisse

    ◊   “La Costa d’Avorio sta scivolando verso la guerra civile” dicono all’agenzia Fides fonti della Chiesa locale, che per motivi di sicurezza desiderano rimanere anonime. “I combattimenti ad Abidjan, la capitale amministrativa ed economica del Paese, sono all’ordine del giorno. Intere zone della città sono investite dalle violenze, in particolare Abobo e Yopougon, dove i civili o sono riusciti a fuggire oppure sono intrappolati in casa. Ad Abobo ieri un colpo di arma pesante è caduto nei pressi di un convento di suore Clarisse. Per fortuna le religiose, che erano in cappella a pregare, non sono state colpite, ma il convento ha comunque riportato alcuni danni” riferiscono le fonti di Fides. “I leader religiosi della Costa d’Avorio stanno cercando una mediazione, ma sembra difficile contattare le due parti. Le difficoltà di comunicazione ostacola inoltre il processo di elaborazione di una posizione comune tra i rappresentanti religiosi” concludono le fonti di Fides. (R.P.)

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    Appello di don Zerai all’Onu: evacuare i profughi dal Nord Africa

    ◊   Riattivare le pratiche di re-insediamento dei profughi eritrei somali ed etiopi presenti nel territorio libico. È quanto chiede all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unchr) don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia per la cooperazione allo sviluppo. Il religioso esorta l’agenzia dell’Onu alla luce della crisi libica che impedisce ogni possibilità di intervento da parte di quei Paesi europei e occidentali dove i profughi attendevano di essere re insediati. In particolare si chiede di aiutare i Paesi del Nord Africa che stanno accogliendo “con grande generosità” migliaia di profughi fuggiti dalla Libia. “Non si può lasciare migliaia di persone nelle tendopoli”, spiega don Zerai nella lettera rivolta all’Unhcr, “una soluzione rapida può evitare anche eventuali rischi di intolleranza nella popolazione tunisina”. Per questo motivo il sacerdote chiede la messa a punto di un piano di evacuazione di urgenza dalla Tunisia e l’Egitto verso l’Europa, Canada, Stati Uniti, Australia e altri Paesi che “sono in grado di garantire la protezione internazionale prevista dalla convenzione di Ginevra del 1951”. (M.G.)

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    Somalia: in aumento il reclutamento dei bambini soldato

    ◊   Non si hanno certezze sul numero dei bambini impegnati nei conflitti armati in tutta la Somalia. Si stima che siano due o tre mila, in diversi gruppi di opposizione. In Somalia - riferisce l'agenzia Fides - dal mese di gennaio è stato registrato un importante aumento dei combattimenti e, di conseguenza, si è diffuso ancora di più il reclutamento dei bambini soldato. Il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef) ha dichiarato che, in una recente offensiva contro i gruppi ribelli nella città di Bulo Hawo, al confine con il Kenya, sono stati impegati molti bambini e tanti di loro sono morti. Secondo le dichiarazioni, ci sono stati molti minori tra le vittime dei combattimenti nelle aree tra Dhusamareb Ceelbur in Galgadud. In una nota delle Nazioni Unite si legge che le forze del Governo Federale Transizionale (Tfg) e i loro alleati, Ahlu Sunna Wal Jama e Al-Shabab, sono tutti impegnati nell’attività di reclutamento. Un operatore di una Ong locale che controlla lo stato dei bambini nel Paese ha dichiarato che il principale responsabile è Al-Shabab, il più grande gruppo di opposizione armata. Il Tfg ha negato il coinvolgimento in queste operazioni e ha anche detto che quando scoprono un minore tra le forze del governo lo rimandano a casa. Tuttavia i bambini non sono mai al sicuro: spesso quando non vengono reclutati, sono arrestati dalle forze di sicurezza del Governo perché sospettati di essere militanti. Nei campi dove sono accolte decine di migliaia di sfollati o negli ospedali di Mogadiscio, la maggior parte delle presenze è costituita da bambini. In un rapporto dell’aprile 2010 le Nazioni Unite hanno confermato che a giugno 2009 il reclutamento dei bambini era diventato più sistematico e diffuso, da parte di tutti, compreso il Tfg. Molte famiglie profughe stanno mandando i propri figli verso i campi in Kenya o in zone della Somalia più sicure. Secondo le stime delle Nazioni Unite, in tutta la Somalia almeno 2.4 milioni di somali hanno bisogno di aiuto, compresi gli sfollati delle zone controllate da Al-Shabab: 410 mila nel Afgoye Corridor, 15,200 nel Balad corridor (30km a nord di Mogadiscio) e 55 mila a Dayniile, a nord ovest di Mogadiscio. Circa 600 mila somali sono rifugiati nei paesi limitrofi. (R.P.)

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    Congo: vescovo denuncia violenze dell'Lra e suggerisce negoziato

    ◊   “Non è grazie alla forza che i ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra) sono usciti dall’Uganda, è stato grazie ai negoziati e penso che dovremmo adottare questa soluzione” anche nella Repubblica Democratica del Congo. Così mons. Richard Domba Mady, vescovo di Dungu-Doruma, in una lettera pastorale letta domenica in tutte le parrocchie della diocesi congolese. Il presule - come riferisce l’agenzia Misna - ha espresso riserve sulla risposta militare data finora dalle autorità di Kinshasa. Venerdì scorso il ministro della Difesa Mwando Simba aveva effettuato una visita a Dungu, in occasione della quale aveva affermato che solo una decina di ribelli erano ancora attivi nell’area. In realtà, secondo fonti della commissione diocesana giustizia e pace, solo nel mese di marzo ci sarebbero stati 15 attacchi della Lra, con un bilancio di 11 morti, 24 feriti e 13 sequestrati. (G.P.)

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    Giornata Mondiale dell'Acqua: i primi frutti della Campagna dei Gesuiti per l'Africa

    ◊   In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua che è stata celebrata ieri, istituita nel 1992 dalle Nazioni Unite, la Fondazione Magis, organizzazione non governativa dei Gesuiti italiani, ha presentato in un video i primi frutti della campagna “Acqua in Africa”: la costruzione di un barrage a Lebda, in Burkina Faso. “I lavori sono partiti nel 2009 tra mille difficoltà. Oggi – spiega in una nota padre Umberto Libralato, vicepresidente di Magis -, dopo due anni, i 4 milioni di metri cubi di acqua contenuti nel barrage stanno facendo fiorire decine di orti nei villaggio limitrofi a Lebda, fino a un raggio di 30 chilometri”. La campagna “Acqua in Africa” - riferisce l'agenzia Sir - è stata lanciata nel Natale 2010 per raccogliere fondi da destinare a tre paesi africani (Burkina Faso, Ciad, Repubblica Democratica del Congo). Risorse che verranno impiegate per la costruzione di infrastrutture idriche, come serbatoi, pozzi e barrage, in grado di cambiare la vita delle persone. Lo strumento per la promozione dell’iniziativa è un cruciverba inerente ai problemi idrici delle popolazioni africane. Il video è disponibile sul canale del Magis su Youtube. (R.P.)

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    Il cardinale Pengo chiede maggiore impegno per l’evangelizzazione in Africa

    ◊   Il presidente del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Secam) il cardinale Polycarp Pengo, arcivescovo di Dar es Salaam, ha rivolto un appello a tutte le Conferenze episcopali africane perché dimostrino concretamente il loro impegno per rendere la Chiesa in Africa all’altezza della sua missione evangelizzatrice. Il cardinale, come riferisce l'agenzia Fides, ha inoltre invitato i segretari generali del Secam a presentare suggerimenti pratici o raccomandazioni per l’attuazione dei risultati del secondo sinodo africano. I segretari generali si sono incontrati in una riunione a Kinshasa. Nel corso della riunione, il segretario generale dell’International Catholic Migration Commission Johan Ketelers, ha sottolineato la necessità per la Chiesa in Africa di considerare seriamente le sfide incontrate dagli africani che emigrano verso i Paesi occidentali. In particolare, sottolinea Ketelers, la Chiesa dovrebbe incoraggiare i governi a creare un clima favorevole per le popolazioni, soprattutto i giovani, per farli rimanere nei loro Paesi invece di emigrare altrove in cerca di un’occupazione spesso non disponibile. (G.P.)

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    Il cardinale Burke esorta a rafforzare la testimonianza cristiana

    ◊   Il cardinale Raymond Burke ha sottolineato la chiamata a costruire una forte cultura cattolica, al punto da essere martiri della fede. Il Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica lo ha dichiarato nel corso di un intervento sul tema “La caduta dell'Occidente cristiano”, organizzato a Sydney dall'Associazione degli Studenti cattolici australiani. Il porporato - riferisce l'agenzia Zenit - ha sottolineato “la nostra chiamata a costruire nuovamente una forte cultura cattolica, nella fedeltà alla nostra vocazione di testimoniare Cristo e, quindi, essere martiri della fede”. In particolare, si è concentrato sulla necessità di “testimoniare la verità relativa alla sessualità umana come elemento fondamentale per la santità di vita, e la questione della coscienza come guida insostituibile e sicura nella ricerca della santità di vita. La vita del martire della fede - ha detto - trova il suo centro e la sua fonte nel sacrificio eucaristico, nell'adorazione eucaristica e in tutte le forme di devozione eucaristica, soprattutto nelle visite al Santissimo Sacamento e nella comunione spirituale durante la giornata”, ha affermato. “La Santa Eucaristia”, ha aggiunto il cardinale, “non solo ci rafforza spiritualmente per essere veri martiri, ma è il modello del nostro martirio, amore puro e generoso, senza condizioni, fino alla fine. L'intimità e il coraggio necessari per essere un martire della testimonianza nel mondo di oggi - ha osservato - richiedono l'intimità con Cristo, che può derivare solo dall'esame di coscienza e dall'atto di contrizione quotidiani e dall'incontro regolare con Lui nel sacramento della penitenza. Riconosciamo che è Cristo stesso a rendere possibile il nostro perseguimento della santità, per essere veri martiri”, ha concluso il cardinale Burke. “E' nel seguirlo fedelmente e senza riserve che portiamo al nostro mondo la luce della verità”. (R.P.)

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    Hong Kong: presentata la traduzione cinese del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa

    ◊   Già tradotto in diverse lingue, il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa cattolica è oggi disponibile anche in cinese. La nuova edizione – riferisce l’agenzia Ucan - è stata presentata domenica scorsa a Hong Kong dal cardinale Joseph Zen Ze-kiun, che aveva lanciato il progetto nel 2005 quando era vescovo della città, e dal coordinatore della traduzione padre Stephen Chan Moon-hung, consulente ecclesiastico della locale Commissione della Giustizia e della Pace. Alla presentazione è stato invitato anche il cardinale Peter Turkson, attuale presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Per il cardinale Zen il lancio della nuova edizione sarà una buona occasione per fare conoscere i valori sociali della Chiesa a tutti i cinesi. Dello stesso tenore il giudizio di padre Chan che non ha tuttavia nascosto le difficoltà a diffondere il testo nella Cina continentale: “Questo libro – ha detto - ci guida a costruire una società migliore in linea con la filosofia che per secoli ha guidato il popolo cinese. Quindi sarà utile a tutti i cinesi che oggi rappresentano un quinto della popolazione mondiale”. Nel suo intervento il cardinale Turkson ha ricordato, da parte sua, come il Compendio sia un punto di riferimento fondamentale per l’impegno sociale dei cattolici, sottolineando che per la sua stessa natura esso avrà bisogno di continui aggiornamenti. La nuova traduzione ha richiesto sei anni di intenso lavoro in cui i traduttori hanno affrontato non poche difficoltà sintattiche e lessicali. In alcuni casi hanno dovuto ricorrere a note esplicative per tradurre termini che in cinese hanno un significato diverso. Copie omaggio del volume saranno inviate a Macao, Taiwan, Singapore e alle comunità cinesi nel mondo. Pubblicato nel 2004 dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa è stato già tradotto in diverse lingue asiatiche, tra le quali il giapponese, il coreano, l’indonesiano e il vietnamita. A breve sul sito vaticano sarà disponibile anche una versione elettronica. (L.Z.)

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    La Chiesa indiana celebra il “Romero Day” per destare le coscienze contro le ingiustizie

    ◊   “Risvegliare nei cristiani il desiderio di emulare un esempio positivo e proclamare la parola di Dio ai poveri e agli oppressi”. Sono questi gli intenti che muoveranno le celebrazioni del “Romero Day”, che la Chiesa indiana terrà il 24 marzo a Delhi, Mumbai e Calcutta per ricordare “il martirio del grande profeta, l’arcivescovo salvadoregno Oscar Romero”. Per l’occasione (il 24 marzo è giorno dell'uccisione dell'arcivescovo, in Italia è la Giornata dei martiri) a Mumbai sarà celebrata una messa di ricordo nella cattedrale dell’Holy Name. “Celebrando il ‘Romero day’ vogliamo sottolineare la necessità di seguire il suo esempio nel combattere per i diritti dei più poveri, con metodi non violenti di protesta. Dobbiamo prendere posizione in maniera crescente per i poveri, senza temere le conseguenze. Romero è morto per la loro causa”, ha dichiarato all'agenzia AsiaNews il presidente della Commissione giustizia e pace dell’arcidiocesi di Bombay, padre Allwyn D’Silva. Secondo il religioso “è molto urgente che la vita e l’opera dell’arcivescovo Romero per i poveri e i marginali diventi un modello per la Chiesa indiana. E’ vero che ci sono stati molti casi in cui i vescovi del Paese hanno preso posizione in difesa delle persone che vivono ai margini della società; ma ancora molto deve essere fatto”. Padre Allwyn D’Silva ha quindi criticato “la politica economica sbagliata del governo, che marginalizza ulteriormente la gente, e cioè la globalizzazione fatta senza avere al centro l’interesse della persona umana”. In particolare, il presidente della Commissione ha citato il caso delle comunità tribali, che vedono le loro terre “usurpate” e sono obbligate a lavorare come manovali nelle stesse foreste che appartenevano a loro, da cui sono state espropriate e che vengono sfruttate da altri. “L’industrializzazione e progetti di grande ampiezza hanno obbligato più di 40 milioni di persone a lasciare la loro terra, e il 50% di questi appartengono alle comunità tribali. E le statistiche dimostrano che solo il 25% sono stati ricollocati”, ha aggiunto padre D’Silva. “Questo processo distruttivo si è accelerato negli anni recenti – ha poi denunciato l’esponente della Chiesa indiana -. Il diritto a protestare è soppresso dal governo. Gli attivisti dei diritti umani e sociali, i preti e i religiosi sono trascinati in tribunale perché protestano contro le violazioni dei diritti”. “In un mondo simile – ha detto infine il religioso -, Romero ebbe coraggio. Parlò contro le violazioni e morì per difendere il popolo da quelli che lo sfruttavano”. (M.G.)

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    Le Ispettorie salesiane indiane si preparano ad accogliere le reliquie di don Bosco

    ◊   Anche la Chiesa indiana si prepara ad accogliere le reliquie di don Giovanni Bosco, nuova tappa del pellegrinaggio mondiale partito due anni fa da Valdocco in preparazione al bicentenario della nascita del Santo nel 2015. Le reliquie, un osso del metacarpo della sua mano destra, arriveranno il 1° maggio a Imphal, capitale del Manipur, nell’India nord-orientale per la solenne apertura del pellegrinaggio che comincerà da Dimapur. Undici le tappe previste nel Paese, riferisce l’agenzia cattolica indiana Sarnews: dopo Dimapur, Guwahati, Kolkata, New Delhi, Mumbai, Panjim, quindi lo Stato del Karnataka, Hyderabad, lo Stato del Kerala, Trichy e infine Chennai, città in cui rimarranno fino al 18 novembre prossimo. Di qui partiranno alla volta dello Sri Lanka dove resteranno fino al 30 novembre. Intanto, in vista di quella che sarà la prima visita in assoluto delle reliquie del fondatore dei Salesiani nell’India nord-orientale, la “Don Bosco Image”, un centro di produzione salesiano con sede a Kochi, si sta preparando a girare un docufilm sul Santo in sette Stati di questa parte del Paese. Il film, le cui riprese inizieranno il 26 marzo, si intitolerà “La mano di don Bosco”. Un modo - spiega a Sarnews il regista don Pulinthanath - anche per ricordare “quello che Don Bosco ha fatto durante la sua vita e quello che continua a fare nel mondo con le mani dei suoi missionari Salesiani, soprattutto in questa parte dell’India: benedire, pregare, assistere, curare, lavorare, costruire, confortare, sostenere”. La prima del film, della durata di circa mezz’ora, sarà proiettata all’inaugurazione del pellegrinaggio il 1° maggio a Imphal. Il giro delle reliquie di don Bosco, che raggiungerà i cinque continenti, percorrendo tutte le nazioni (circa 130) in cui sono presenti i Salesiani, è un’iniziativa voluta dal Rettore Maggiore della Congregazione, don Pascual Chávez Villanueva. Attualmente si trovano in Australia. (L.Z.)

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    India: in Kerala nuova formazione politica cattolica in lizza alle prossime elezioni

    ◊   Alle prossime elezioni parlamentari nello Stato indiano del Kerala, previste il 13 aprile, parteciperà per la prima volta anche un partito di ispirazione cattolica. Si tratta dell’’Unione Democratica Cristiana (Christian Democratic Union - Cdu), una nuova formazione politica fondata da un gruppo di fedeli laici cattolici delusi dagli altri partiti per la scarsa attenzione riservata ai problemi della comunità cristiana locale, vittima negli ultimi tempi di diversi episodi di intolleranza. “Siamo costretti a presentare nostri candidati, perché nessun partito politico ci garantisce giustizia”, ha dichiarato il segretario del Cdu Joy Abraham Parikkapallil, spiegando che l’obiettivo dell’iniziativa politica è appunto di unire i cristiani e di diventare la loro nuova voce in Kerala. Tradizionalmente, infatti, il partito di riferimento della forte comunità cristiana locale è il Fronte Democratico Unito, la coalizione guidata dal Partito del Congresso, oggi all’opposizione nello Stato. Il nuovo partito si presenterà in sei circoscrizioni della regione settentrionale del Malabar, dove risiede un terzo dei sei milioni di cristiani del Kerala e quindi maggiori sono le possibilità di conquistare seggi. Un sacerdote della diocesi Thamarassery ha riferito all’agenzia Ucan che la Cdu ha il sostegno della Chiesa locale: “La maggior parte dei cristiani pensa che la nuova formazione sarà una benedizione per la nostra comunità che oggi è molto disorientata", ha detto. (L.Z.)

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    America Latina: diminuisce indice di povertà

    ◊   “Il miglioramento osservato riguardo alla povertà e alla distribuzione della ricchezza in America Latina si spiega con la crescita, le politiche governative e la loro interazione”. E’ quanto dichiara Alicia Barcena, segretaria esecutiva della Commissione economica per l’America Latina (Cepal). Secondo un’analisi della Cepal, il 2010 si è chiuso con il 32% di poveri tra gli oltre 550 milioni di abitanti della regione, il livello più basso degli ultimi 30 anni. “Molte economie della regione hanno compiuto sforzi significativi per aumentare le risorse dedicate alle politiche sociali”. In particolare - come riferisce l’agenzia Misna - i programmi sociali nella spesa pubblica globale sono aumentati dal 45% al 65%. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, il settore formale ha registrato un aumento delle offerte d’impiego, così come dello stipendio orario. “Tuttavia - prosegue Barcena - ci sono famiglie che sono uscite dalla povertà, ma che non stanno beneficiando della crescita economica”. Esistono inoltre limitazioni strutturali da superare. La principale è la persistenza di un’economia sommersa che si traduce in disparità salariali e lascia vulnerabile un’ampia fetta di popolazione che non gode di previdenza sociale o assistenza sanitaria. (G.P.)

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    Porto Rico: la preoccupazione della Chiesa per la violenza fra i giovani e in famiglia

    ◊   Mons. Roberto González Nieves, arcivescovo di San Juan di Porto Rico ha espresso preoccupazione per l’aumento della violenza nel Paese, in particolare contro i bambini e più in generale all’interno delle famiglie. Il presule ha espresso un forte rammarico, in un incontro civico con gli studenti delle scuole cattoliche, per la crescita di atti di bullismo nonché di teppismo nell’ambito scolastico. “Vogliamo denunciare la violenza contro la persona umana poiché tale violenza si registra dal grembo materno, con gli esseri più indifesi” sino alla “società in generale, in diversi luoghi e circostanze”. L’arcivescovo ha poi invitato tutti a pregare e al tempo stesso a esprime la propria condanna “in una marcia contro i maltrattamenti e contro ogni tipo di violenza”. Una tale protesta e condanna - ha precisato mons. Roberto González Nieves - non deve essere solo un qualcosa che si “palesa per strada e nelle piazze ma deve manifestarsi anche all’interno della famiglia e nel focolare”. L’arcivescovo, che guidava la marcia di 40 scuole cattoliche della capitale, è giunto con migliaia di studenti ai piedi del “Capitol” e con riferimento ai prossimi impegni legislativi ha osservato che “in questa casa si deve legiferare in favore della pace e della prudenza in tutte le sue forme ed espressioni e i lavori che qui si svolgono devono essere anche un esempio e un modello”. Le preoccupazioni della Chiesa in Porto Rico sono alimentate dagli allarmanti dati ufficiali pubblicati periodicamente (Monthly report of 1st degree crimes), secondo i quali nel 2009 gli omicidi sono stati quasi 900, gli stupri 65 e i furti più di 6mila su una popolazione di soli circa 4 milioni di persone. L’isola, che ha lo status di “Stato libero associato agli Stati Uniti d’America”, ha visto inoltre aumentare fortemente la violenza intra-famiglia e sempre nel 2009 i casi registrati sono stati quasi ventimila e nell’81% dei casi le vittime erano donne o bambini. (A cura di Luis Badilla)

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    Cile: il Papa vicino al vicariato di Aysen per “costruire una forte comunità cristiana”

    ◊   Un messaggio di fede e di speranza è stato consegnato al popolo di Aysen dal nunzio apostolico, mons. Giuseppe Pinto e dal Sottosegretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, padre Massimo Cenci. Il nunzio ha ricordato che è stata la sua prima visita in questa regione, e si è detto molto grato per l’accoglienza ricevuta. Inoltre mons. Pinto ha portato il saluto e la benedizione del Papa, attraverso il messaggio trasmesso dal Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone. Benedetto XVI esorta i fedeli di Aysen a “rinnovare i loro sforzi per costruire una forte comunità cristiana, costantemente alimentata dall’Eucaristia e dalla Parola di Dio”. Secondo la nota inviata all’agenzia Fides, padre Cenci ha sottolineato la testimonianza di vita di due fondatori di congregazioni religiose presenti nella regione: il beato don Luigi Guanella e suor Bonifacia Rodriguez, entrambi prossimi alla canonizzazione. (G.P.)

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    Romania: polemiche per la “Legge sul partenariato tra Chiesa e Stato nel campo sociale”

    ◊   In Romania è polemica su un progetto di legge presentato dal Partito Democratico-Liberale al governo che introduce il finanziamento pubblico delle opere socio-caritative delle Chiese. La “Legge sul partenariato tra Chiesa e Stato nel campo sociale”, approvata dal Parlamento l’8 marzo scorso, prevede che lo Stato possa finanziare fino all’80% delle organizzazioni caritative confessionali. A beneficiarne sarebbero tutte le Chiese riconosciute: oltre a quella ortodossa, maggioritaria nel Paese, quella cattolica di rito latino e di rito bizantino e le Chiese protestanti. Contro il provvedimento – riferisce l’agenzia Apic - sono scese in campo diverse Ong e associazioni in difesa della laicità che hanno chiesto al Presidente della Repubblica Traian Basescu di non firmarlo. A loro giudizio esso rischia di incentivare la moltiplicazione delle opere caritative religiose a scapito delle altre organizzazioni non caritative. Essi parlano inoltre di rischio proselitismo a spese del contribuente e di possibili interferenze della Chiesa in campi delicati come la bioetica o la sessualità a scapito della laicità dello Stato. Favorevoli alla legge, ovviamente, le Chiese romene, anche se esse lamentano di non essere state consultate durante la sua stesura. Tra queste vi è in primo luogo quella cattolica, da sempre molto attiva nel campo socio-caritativo in Romania: con la sua rete di orfanotrofi e di strutture assistenziali per disabili e persone anziane essa è oggi la principale agenzia umanitaria nel Paese sopperendo alle gravi carenze dello Stato. Data la sensibilità della questione i vescovi di rito latino e di rito bizantino hanno deciso di concertare una posizione comune sulla nuova legge. (L.Z.)

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    Terra Santa: presentato il nuovo sito della Custodia francescana

    ◊   I Francescani missionari della Custodia di Terra Santa hanno presentato ieri il nuovo sito ufficiale della Custodia, disponibile all’indirizzo www.custodia.org. Come riferisce all'agenzia Sir padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, “è l’amore e la cura per i luoghi dell’incarnazione di Gesù che fa nascere il desiderio che tutti i cristiani possano sentirsi vicini alla Terra Santa”. Oltre all’attività della Custodia di Terra Santa, nel sito saranno presentati anche i luoghi della salvezza che da 800 anni i Francescani custodiscono con passione. (G.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Giappone: allarme radioattività anche nell’acqua di mare, migliaia di sfollati vengono trasferiti per facilitare gli aiuti

    ◊   Non costituirebbe una minaccia immediata per la salute la presenza di materiale radioattivo individuato nell’acqua di mare nei pressi della centrale di Fukushima. La rassicurazione arriva dal governo giapponese, ma contemporaneamente il bilancio, ancora provvisorio, del terremoto e dello tsunami dell’11 marzo scorso supera le 21mila vittime. Ci riferisce Roberta Barbi:

    Oltre 21mila vittime: più di novemila morti accertati e 12mila dispersi. Sono sempre più impressionanti i numeri del terremoto e dello tsunami che hanno colpito il Giappone 11 giorni fa, stando all’ultimo bilancio ufficiale diffuso. Nelle sole prefetture di Fukushima, Iwate e Miyagi il computo finale potrebbe arrivare a 15mila. Nella centrale di Fukushima, intanto, dopo l’allerta per la fuoriuscita di una quantità non specificata di vapori radioattivi, sono riprese le operazioni di raffreddamento dei sei reattori danneggiati dal sisma, accelerate grazie alla connessione dell’impianto a una rete elettrica esterna. Non sarebbero pericolose per la salute, invece, le tracce di radioattività individuate dalla società di gestione Tepco nell’acqua di mare intorno alla centrale. Tuttavia, il Ministero della scienza e della tecnologia provvederà a esaminare l’acqua nel raggio di 30 km dalla costa. Crescono, dunque, le preoccupazioni per gli effetti che ciò potrà avere sui prodotti ittici, ma il governo ha comunicato che, nonostante l’allarme cibo di ieri, non sarà estesa la “zona di esclusione” intorno all’impianto. La terra, infine, non smette di tremare: almeno due scosse di terremoto con magnitudo maggiore di 6, più alcune di minore entità, sono state registrate in giornata nelle prefetture di Miyagi e Fukushima, già duramente coinvolte.

    E, insieme, con l’emergenza nucleare è preminente l’opera di soccorso ai 400 mila sfollati che sono in corso di trasferimento per facilitare l’arrivo degli aiuti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Stefano Vecchia, raggiunto telefonicamente a Osaka:

    R. – Passata l’emergenza, ci sono soprattutto sfollati e decine di migliaia di persone della costa che hanno trovato riparo verso l’interno, perché il problema è interamente di comunicazione. Quindi, è anche estremamente difficile far arrivare gli aiuti. In questi giorni, ad esempio, si registra una situazione di svuotamento di queste aree e svuotamento dei campi di raccolta di queste 400mila persone verso aree più sicure e più facilmente raggiungibili dai soccorsi.

    D. – Sul fronte dell’emergenza nucleare, c’è la consapevolezza che quanto farà il Giappone, nelle prossime ore e nei prossimi giorni, condizionerà in modo decisivo il dibattito sul nucleare nato dopo i guasti alla centrale di Fukushima?

    R. – Indubbiamente, però, c’è un problema di fondo, ovvero che il Giappone ha puntato estremamente sul nucleare - è il Paese più “nuclearizzato” al mondo a livello di produzione di energia e per il fabbisogno locale – e nello stesso tempo non c’è un’opposizione al nucleare in questo Paese: un discorso è la critica verso le autorità e soprattutto verso i responsabili delle centrali, che non hanno probabilmente capito l’eventualità di un evento catastrofico del genere - e detto questo, c’è una reazione, se vogliamo, di nervosismo, di rabbia contro le autorità - ma non c’è, e non risulta in nessun modo, un’ostilità al nucleare. Quindi si tratterà adesso di risolvere la crisi nell’immediato, spegnendo finalmente i reattori – se si riuscirà – o seppellendoli sotto il cemento. Certamente la sorte di Fukushima e delle centrali 1 e 2 probabilmente è già segnata: non verranno più riattivate.

    D. – Si stanno cominciando a vedere gli effetti delle radiazioni sulla popolazione e sul terreno…

    R. – Sulla popolazione è difficile dirlo. Forse, in questo caso, c’è un po' di copertura. Io ho appena parlato ora con una mia conoscente di Tokyo e quello che mi ha detto è che in questo momento sono più tranquilli, perché le autorità hanno detto che non solo i rischi per la salute, ma anche la situazione generale sta migliorando. È una cosa diversa leggere i giornali, seguire i media locali e quelli internazionali. Probabilmente la realtà è che c’è una situazione grave in questo momento, che non è ancora uno stato di allerta, ma potrebbe diventarlo. (ap)

    Yemen
    “Qualunque tentativo di prendere il potere con un colpo di Stato condurrà a una guerra civile”: questo l’avvertimento pronunciato oggi dal presidente Saleh, contro il quale da settimane si svolgono proteste anche di carattere violento. Già ieri sera, infatti, a Mukalla, due soldati sono morti nei primi scontri dall’inizio dei disordini tra il comando del generale Ali Mohsen, schieratosi con i manifestanti, e la guardia presidenziale. Intanto, continua la scia di adesione alla rivolta da parte degli ambasciatori: dopo quelli in Siria, Arabia Saudita e presso la Lega Araba, oggi hanno lasciato anche quelli in Qatar, Oman, Spagna e il console yemenita a Dubai. Anche la redazione del quotidiano “14 ottobre”, portavoce del regime, si è schierata al fianco dei ribelli interrompendo le pubblicazioni, mentre ieri la redazione a Sana’a di al Jazeera aveva subìto un’incursione da parte di uomini armati.

    Tunisia
    Khaled Ezzafouri, 33 anni, si è dato fuoco in segno di protesta nella città di Sid Bouzid; un gesto analogo dette inizio alle manifestazioni che portarono al rovesciamento del regime di Ben Ali. L’uomo è morto poco dopo in ospedale. Intanto il segretario generale dell’Onu, Ban-ki-moon, è giunto a Tunisi, dove ha in programma incontri con le massime autorità del Paese.

    Egitto
    Una manifestazione di poliziotti che chiedono aumenti salariali ha bloccato oggi il centro del Cairo, a poca distanza da piazza Tahrir, simbolo delle proteste che hanno portato alle dimissioni di Mubarak. A proposito dell’ex presidente, il Tribunale penale della capitale ha deciso oggi che non avrà più accesso a un conto segreto a lui intestato sotto falso nome dove sono depositati 145 milioni di dollari considerati guadagni illeciti.

    Siria
    Secondo il quotidiano al Hayat, sono stati liberati ieri i 15 bambini arrestati un mese fa a Damasco per aver pronunciato slogan antigovernativi. La notizia del loro imminente rilascio era circolata nei giorni scorsi.

    Israele-Gaza
    Resta alta la tensione in Medio Oriente: almeno otto raid notturni di Israele su Gaza hanno causato una ventina di feriti, tra cui due bambini, uno dei quali versa in gravi condizioni. Ai bombardamenti sono seguiti oggi due razzi sparati da Gaza verso Israele e una serie di scontri tra i miliziani palestinesi e l’esercito ebraico. Hamas, intanto, ha fatto sapere di essere pronto a riprendere la tregua a patto che Israele metta fine agli attacchi a Gaza. Questa la situazione sullo sfondo di una possibile visita nella Striscia, la prima da quattro anni, del presidente dell’Anp, Abu Mazen.

    Pakistan – crollo miniera
    Sono morti tutti e 43 i minatori rimasti intrappolati in seguito a un crollo avvenuto in una miniera nel Beluchistan, nel sud-ovest del Pakistan, nella notte tra sabato e domenica. Lo hanno comunicato oggi le autorità locali che hanno recuperato i corpi.

    Pakistan – raid aerei
    È di 12 sospetti militanti islamici il bilancio dei raid condotti dalle forze di sicurezza nel nord-ovest del Paese, in particolare nel distretto di Orazkai, considerato una roccaforte talebana. Altri raid aerei sono stati effettuati nella valle di Swat e nel distretto di Dir.

    Afghanistan
    Il presidente afghano Karzai, nel corso di una cerimonia con l’esercito, ha annunciato che il Paese progressivamente assumerà la responsabilità della sicurezza in sette aree, che per ora sono sotto il controllo delle forze internazionali dell’Isaf. Intanto, due soldati del contingente sono rimasti uccisi in un attacco degli insorti nell’est del Paese.

    El Salvador
    Prosegue il viaggio del presidente Usa, Barack Obama, nell’America del Sud. Dopo il Cile, il numero uno della Casa Bianca sarà nel Salvador dove renderà omaggio anche alla tomba di mons. Romero, del quale il 24 marzo prossimo ricorreranno i 31 anni dalla scomparsa.

    Bolivia
    Il presidente boliviano Evo Morales ha chiesto ieri di revocare il Nobel per la Pace al suo omologo statunitense Barack Obama, colpevole, a suo dire di “promuovere la violenza”. Il capo dello Stato ha fatto riferimento all’operazione militare in corso in Libia, rispetto alla quale la Bolivia si è sempre detta contraria. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Barbi)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 81

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.