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Sommario del 18/03/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il cardinale Ravasi presenta il “Cortile dei Gentili”: abbattere il muro di separazione tra credenti e non
  • La testimonianza dei laici agli Esercizi spirituali in Vaticano: uno scrittore, una madre e una giovane focolarina
  • Rinunce e nomine
  • Mons. Vegliò ad Amman: la Chiesa alza la voce a difesa dei rifugiati
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L'Onu apre all'intervento militare e la Libia dichiara il cessate il fuoco immediato. Gli insorti: è un bluff
  • Giappone. Sale l'allarme nucleare: corsa contro il tempo
  • Corte Europea: l’Italia non viola i diritti umani per l'esposizione del Crocifisso a scuola
  • Egitto. Referendum sulle modifiche costituzionali: il Paese si divide
  • Nelle librerie “Shock Wojtyla. L’inizio del Pontificato” di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio
  • Chiesa e Società

  • La Chiesa del Giappone apre un centro per gli sfollati a Sendai
  • Giappone: solidarietà ecumenica per i terremotati grazie ai social network
  • Preghiera continua a Lourdes in solidarietà con il Giappone
  • Pakistan: funerali del cattolico detenuto per blasfemia, morto in carcere
  • Pakistan: cristiani, musulmani e indù uniti nel condannare l'assassinio di Bhatti
  • Nepal: cala il livello di sicurezza, si temono attentati contro i cristiani
  • Brasile: il vescovo di Cajazeiras minacciato di morte
  • Messico: sacerdoti sempre più a rischio a causa della violenza
  • Austria: la Corte costituzionale dice sì alla presenza del Crocifisso in aula
  • Usa: per i vescovi è inaccettabile la difesa delle unioni gay
  • Costa d'Avorio: 10mila giovani al pellegrinaggio di Quaresima della diocesi di Yamoussoukro
  • Burkina Faso: leader religiosi si impegnano per rafforzare le relazioni fra cristiani e musulmani
  • Angola: prima Assemblea ordinaria dei vescovi incentrata sulla famiglia
  • Nuova Zelanda. Messaggio dei vescovi per la Quaresima
  • I cattolici cinesi festeggiano San Giuseppe, Patrono della missione in Cina
  • 24 Ore nel Mondo

  • Proteste nel mondo arabo. La polizia yemenita spara sui manifestanti: oltre 30 morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il cardinale Ravasi presenta il “Cortile dei Gentili”: abbattere il muro di separazione tra credenti e non

    ◊   La Chiesa rinnova il suo impegno a dialogare con i non credenti: è questo lo spirito dell’iniziativa “Il Cortile dei Gentili”, due giorni di incontro e dialogo a Parigi, il 24 e 25 marzo prossimi. L’evento è stato presentato stamani nella Sala Stampa vaticana dal promotore dell’iniziativa, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Con lui sono intervenuti, il padre Laurent Mazas, direttore esecutivo del “Cortile dei Gentili” e l’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Stanislas de Laboulaye. Il cardinale Ravasi ha anche risposto sulla questione della sentenza della Corte di Strasburgo sul Crocifisso nelle scuole. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Abbattere il muro di separazione tra credenti e non credenti: è questo, ha sottolineato il cardinale Gianfranco Ravasi, l’impegnativo e affascinante progetto proposto con il “Cortile dei Gentili”. Un’iniziativa, è stato ricordato, che ha come suo primo ideatore Benedetto XVI. Il presidente del dicastero della Cultura ha innanzitutto spiegato che il dialogo con i non credenti non vuole dar vita ad alcuna confusione, ma piuttosto ad uno spazio di autentico confronto:

    “E’ per far sì che, pur nelle identità specifiche i due cortili, il Cortile degli Ebrei e il Cortile dei Gentili, credenti e non credenti, pur nei loro propri volti, questi volti si incontrassero, questi volti parlassero, dialogassero tra di loro”.

    Il porporato ha quindi messo l’accento sulla grande disponibilità di molti atei e non credenti al confronto. Un atteggiamento che interroga e sfida i credenti:

    “Devo dire che io ho trovato veramente un grande interesse in molte di queste persone, e questo diventa anche per noi una provocazione – per noi credenti – ad avere lo stesso interesse, la stessa intensità”.

    L’evento di Parigi, ha aggiunto, non sarà un Congresso neutro, ma vi saranno anche testimonianze appassionate da cui si spera possano nascere risultati e convergenze. Del resto, ha rilevato, già oggi vi sono molti terreni di impegno comune tra credenti e non. Rispondendo, poi, alle domande dei giornalisti sulla sentenza della Corte di Strasburgo sul Crocifisso nelle scuole, il cardinale Ravasi ha affermato che l’umanità esprime la propria identità attraverso i simboli e questo vale sicuramente anche per la civiltà occidentale:

    “Nella città secolare dell’Occidente è fuori di dubbio che la presenza cristiana, come elemento fondante – anche se non lo si è voluto riconoscere, ma è un dato oggettivo, materiale – la presenza cristiana è assolutamente rilevante, decisiva. E’ un segno di civiltà, prima di tutto. Anche se tu non lo riconosci dal punto di vista teologico (...) Se noi perdiamo tutta questa grande eredità, noi corriamo un grande rischio: perdiamo il nostro volto. Nel dialogo, adesso, con l’Islam il problema fondamentale dell’Occidente è che è senza volto: non ha nessuna identità culturale”.

    Dal canto suo, il direttore esecutivo del “Cortile dei Gentili”, padre Mazas ha illustrato i momenti forti dell’evento parigino, che si articolerà in tre colloqui in tre luoghi simbolici dello spazio laico: l’Unesco, la Sorbona e l’Istituto di Francia. Gli incontri termineranno poi con una tavola rotonda al College des Bernardins. Momento clou, aperto a tutta la società civile, sarà infine la grande festa sul sagrato della Cattedrale di Notre Dame di Parigi, il 25 marzo. Nel corso della serata, il Papa si rivolgerà ai presenti attraverso un videomessaggio. L’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, de Laboulaye, ha infine messo l’accento sui sentimenti con i quali i francesi aspettano questo evento:

    “La Francia è felice e lusingata di essere stata scelta per accogliere la prima manifestazione internazionale del ‘Cortile dei Gentili’. Il tema del dialogo tra la Chiesa e i rappresentanti del mondo intellettuale e culturale sulle problematiche fondamentali è sempre fonte di arricchimenti”.

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    La testimonianza dei laici agli Esercizi spirituali in Vaticano: uno scrittore, una madre e una giovane focolarina

    ◊   La Sesta giornata degli Esercizi spirituali in Vaticano per il Papa e la Curia Romana, in occasione della Quaresima, è incentrata sulla testimonianza dei laici. La prima meditazione, proposta oggi dal padre carmelitano scalzo Francois-Marie Lethél, è dedicata allo scrittore francese Charles Péguy sul tema “una teologia poetica della comunione dei santi e della speranza”. Il predicatore riflette poi sull’«Essere Madre» con riferimento a Concepción Cabrera de Armida, laica mistica e madre di famiglia, dichiarata Venerabile da Giovanni Paolo II nel 1999. L’ultima meditazione riguarda la giovane laica Chiara Luce Badano, morta a 18 anni nel 1990 e beatificata nel 2010, prima beata del Movimento dei Focolari, testimone di Gesù abbandonato, sorgente dell’Unità per tutti gli uomini. Domani mattina, nella solennità di San Giuseppe, la conclusione degli Esercizi.

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    Rinunce e nomine

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Culiacán (Messico), presentata da mons. Benjamín Jiménez Hernández, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons. Jonás Guerrero Corona, finora vescovo titolare di Assava ed ausiliare di México. Mons. Jonás Guerrero Corona è nato a El Chante, Stato di Jalisco e diocesi di Autlán, il 20 novembre 1946. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 6 luglio 1974. Nel 1981 ha ottenuto la licenza in Liturgia presso il Pontificio Ateneo Liturgico di S. Anselmo a Roma. Il suo itinerario pastorale, a partire dal 1974, è ampio, con successivi incarichi parrocchiali nella diocesi di Autlán e quello di rettore del Seminario maggiore diocesano. È stato direttore spirituale a livello mondiale dell’associazione "Encuentro Matrimonial", cappellano del coro e cerimoniere della Basilica di Nostra Signora di Guadalupe a Città del Messico. Il 27 giugno 2001 è stato eletto vescovo titolare di Assava ed ausiliare di México e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 15 agosto successivo. È stato presidente delle Commissioni Episcopali per la Pastorale Liturgica e per la Pastorale Profetica, ed attualmente è responsabile della VI Vicaria episcopale di México.

    Il Santo Padre ha nominato arcivescovo metropolita di Benin City (Nigeria), mons. Augustine Obiora Akubeze, finora vescovo di Uromi.

    Il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Bauchi (Nigeria) il rev. Malachy John Goltok, parroco e economo dell’Arcidiocesi di Jos. Il rev. Malachy John Goltok, è nato il 12 luglio 1965 a Bauchi. È stato ordinato sacerdote il 4 novembre 1990 per l’Arcidiocesi di Jos. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto diversi incarichi: 1990 - 1991: vicario parrocchiale nella Parrocchia di St. Stephen, Jagindi; 1991 - 1996: parroco nella Parrocchia di St. James, Gombe; 1996 - 2004: direttore del Centro di Formazione Spirituale di Kuru, Jos; 2004-2011: parroco nella Parrocchia di St. Finbarr, economo dell’Arcidiocesi di Jos.

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    Mons. Vegliò ad Amman: la Chiesa alza la voce a difesa dei rifugiati

    ◊   Il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, mons. Antonio Maria Vegliò, si trova ad Amman, in Giordania, per una visita dedicata ai problemi delle migrazioni: sono previsti incontri con rappresentati delle autorità civili e religiose, ambasciatori, il rappresentante dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, alcune Organizzazioni non governative impegnate nell'assistenza a migranti e rifugiati, come il Jrs (Jesuit Refugees Service) e la Caritas. Vi saranno colloqui anche con alcune famiglie di rifugiati dall'Iraq e con la comunità parrocchiale irachena. La Giordania, infatti, che ha circa sei milioni di abitanti, ospita circa 500.000 rifugiati iracheni e 300.000 lavoratori migranti. Il presule, oggi pomeriggio, incontra le Organizzazioni Cattoliche alle quali rivolgerà un discorso sul tema della pastorale dei rifugiati, di cui possiamo dare alcune anticipazioni.

    Mons. Vegliò ricorda che in Giordania la maggior parte dei lavoratori migranti sono egiziani, srilankesi e filippini: si tratta di persone che spesso “vivono in balia dei loro datori di lavoro e delle agenzie di reclutamento” che li hanno portati nel Paese. “Nell'agosto del 2008 – precisa il presule - la Giordania ha rivisto la sua legge sul lavoro” riconoscendo i diritti di alcune categorie, in particolare quella dei lavoratori domestici. Resta il fatto – prosegue - che “non è chiaro se e in quale misura tali norme sono state attuate”. In realtà “i lavoratori migranti sono ancora vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi che possono essere facilmente nascosti dai datori di lavoro, dalle agenzie di reclutamento e dagli stessi funzionari”.

    Il presidente del dicastero vaticano si sofferma quindi sulla precaria situazione dei rifugiati iracheni “che non hanno uno status giuridico chiaro”. Si tratta di decine di migliaia di persone che vivono in stato di povertà, a rischio sfruttamento e con la prospettiva di essere costretti a intraprendere un ritorno "volontario" in Iraq. “Gli uomini che - non lavorando - non sono in grado di provvedere alle loro famiglie, soffrono di depressione, ansia e malattie croniche”. Una situazione disumana: persone che vivono “per anni senza la speranza di una vita decente”, ferite nell’intimo per “non essere viste come esseri umani”. Un dramma che ci deve toccare personalmente, afferma mons. Vegliò, che chiede un rinnovato impegno alle organizzazioni cattoliche a sostenere materialmente e spiritualmente i rifugiati iracheni in Giordania. “La dignità di ogni persona – rileva - è il punto centrale della Dottrina sociale della Chiesa, che è la misura di ogni istituzione e di ogni decisione”. “La Chiesa – ribadisce – il presule – deve alzare la sua voce” a difesa dei diritti dei rifugiati.

    Mons. Vegliò, infine, mette in guardia le organizzazioni caritative cattoliche da un rischio: il fatto di dipendere da donatori non-cattolici per i finanziamenti al loro servizio, le può porre nella condizione di non stabilire le politiche della loro missione e quindi di “mettere in discussione la loro identità”. (S.C.)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La festa di San Giuseppe: gli auguri al Papa da parte del nostro giornale.

    Nell’informazione internazionale, la crisi libica: la comunità internazionale prepara l’intervento militare contro Gheddafi.

    Il ministero sacerdotale: un articolo di Joseph Ratzinger, pubblicato nel 1970 su “L’Osservatore Romano”, sul significato del sacerdozio cristiano.

    L’attualità di San Giuseppe: Tarcisio Stramare sulla figura del patrono della Chiesa come modello per affrontare le turbolenze del mondo.

    Padri si diventa: Giulia Galeotti sulla riscoperta della figura paterna.

    Che fatica tacere di Dio: Silvia Guidi sull’arrivo in Francia del Cortile dei gentili, iniziativa del Pontificio Consiglio della Cultura.

    Gli operai di San Pietro: Nicola Gori intervista il vescovo Vittorio Lanzani, delegato della Fabbrica.

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    Oggi in Primo Piano



    L'Onu apre all'intervento militare e la Libia dichiara il cessate il fuoco immediato. Gli insorti: è un bluff

    ◊   Dopo la risoluzione dell’Onu che apre la strada ad un intervento militare in Libia, le autorità di Tripoli hanno dichiarato il cessate il fuoco immediato. Le forze libiche fedeli a Muammar Gheddafi hanno sospeso tutte le operazioni militari per garantire la protezione dei civili, in linea con la risoluzione delle Nazioni Unite. Ma nuovi scontri, questa mattina, si sono registrati in varie aree del Paese. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il cessate il fuoco arriva dopo ore di violenti scontri. Fonti dell’opposizione hanno riferito che le forze fedeli al colonnello Gheddafi hanno nuovamente attaccato stamani Misurata, unica città ad ovest ancora controllata dagli insorti. Secondo fonti ospedaliere, almeno 4 persone sono morte in seguito ai bombardamenti. Altri scontri si sono registrati, sempre questa mattina, anche in località a sud della capitale. Poco prima di questi ultimi combattimenti, il governo francese aveva reso noto che sarebbe stata applicata, in tempi rapidi, la risoluzione delle Nazioni Unite. Anche ora, dopo il cessate il fuoco dichiarato da Tripoli, la Francia rimane cauta. La minaccia sul terreno - precisa Parigi - non è cambiata. Per gli insorti l'annuncio del regime è un "bluff".

    Resta quindi ancora da valutare la risoluzione, approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che autorizza l’imposizione di una 'no-fly zone' sulla Libia “con tutti i mezzi a disposizione”, incluso il ricorso all’uso della forza. Il testo è stato approvato con 10 voti a favore e 5 astenuti (Russia, Cina, Brasile, India e Germania) e nessun voto contrario. La decisione dell’Onu è stata accolta con canti e grida di giubilo dagli insorti a Bengasi, ultima roccaforte dell'opposizione. Sull’altro fronte il governo libico, prima di dichiarare il cessate il fuoco immediato, aveva chiuso il proprio spazio aereo e definito la risoluzione una “minaccia” alla propria unità. Il ministro della Difesa di Tripoli ha anche minacciato attacchi al traffico aereo e marittimo nel Mediterraneo in caso di azioni militari contro la Libia. Seif al-Islam, uno dei figli di Muammar Gheddafi, ha ribadito che la sua famiglia non “ha alcuna paura” della “no-fly zone” imposta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e di un eventuale attacco multinazionale. Dopo la dichiarazione del cessate il fuoco immediato da parte della Libia, si aspetta la mossa della comunità internazionale. Gli ambasciatori dei 28 Paesi della Nato si riuniscono oggi a Bruxelles per esaminare la risoluzione.

    In riferimento al testo approvato dall'Onu, gli Stati Uniti sottolineano, in un comunicato, che la “Libia deve subito ottemperare a tutte le richieste della risoluzione”. Il ministro degli Esteri della Germania ha dichiarato che le truppe tedesche non interverranno in Libia. Norvegia, Francia e Belgio hanno annunciato, invece, che prenderanno parte ad un eventuale attacco. Il Qatar è stato il primo Paese arabo ad annunciare che parteciperà ad un intervento militare per assicurare la no-fly zone. L’Italia è pronta a mettere a disposizione basi e aerei ed il Canada invierà sei velivoli da guerra. La Cina ha espresso riserve sulla risoluzione dell’Onu. L'ipotesi di un imminente attacco aereo in Libia ha messo in allerta anche le piazze finanziarie. Secondo diversi esperti, in un mercato già messo a dura prova dalla crisi del debito europeo, dalle rivolte in Africa e Medio Oriente e poi dal terremoto e dall'allarme nucleare in Giappone, il rischio di uno scontro prolungato nel cuore del Mediterraneo potrebbe innescare una nuova ondata di vendite nelle Borse, un altro balzo dei prezzi petroliferi e, soprattutto, tensioni sui titoli di Stato.

    In Libia gli stranieri stanno lasciando il Paese. Sacerdoti e religiosi hanno invece deciso di restare al fianco della popolazione. Si vivono, in particolare, ore di grande apprensione a Bengasi. Ma anche a Tripoli la tensione resta alta. Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente nella capitale libica il giornalista freelance Cristiano Tinazzi:

    R. - Tutti sono in attesa dell’arrivo dei bombardieri: tra l’altro, l’ambasciata italiana ha dato l’ordine di evacuare il personale ed anche per noi giornalisti è abbastanza difficile. Siamo in mezzo ai due fuochi ed è difficile valutare anche le reazioni della popolazione, se e quando ci saranno questi bombardamenti, che ormai son dati per certi. La situazione è abbastanza irreale. Adesso siamo bloccati in hotel, per questioni di sicurezza: oggi è venerdì, quindi giornata di preghiera, e non si sa come potrebbe reagire la gente nei nostri confronti. E’ chiaro che i Paesi che hanno contribuito ad avallare questa decisione delle Nazioni Unite saranno considerati responsabili e quindi responsabili anche gli organi di stampa e i cittadini stessi.

    D. - Dunque, appare scontato l’attacco da parte delle truppe governative fedeli al leader Gheddafi sulla città di Bengasi, dove ci sono ancora gli insorti. A questo punto diventa anche cruciale capire se quest’attacco ci sarà e se sarà, in qualche modo, arginato da un intervento da parte dell’Onu…

    R. - E’ chiaro che è una corsa contro il tempo. Questo tipo d’intervento è stato inutile, perché è arrivato tardi: ormai le forze fedeli a Gheddafi sono alle porte di Bengasi e se riusciranno a prendere Tobruk, Bengasi sarà chiusa in un sacco, isolata dal confine egiziano e in quel caso l’intervento militare, da parte appunto della Comunità internazionale, potrà colpire solo l’aviazione libica. Quello che è chiaro è che c’è una corsa contro il tempo da entrambe le parti.

    D. - In questa corsa contro il tempo, come appare il governo di Tripoli?

    R. - L’impressione che si ha in Tripolitania è che sia abbastanza saldo, che non ci siano crepe all’interno della struttura militare politica. E’ chiaro che adesso la pressione internazionale dovrà portare ad una via d’uscita da questo empasse: ma Gheddafi, comunque, in queste situazioni è sempre imprevedibile.

    D. - Gheddafi, appunto, è sempre imprevedibile. Sono temibili concretamente le minacce libiche di attacchi nel Mediterraneo, in caso di un’azione militare in Libia da parte delle Nazioni Unite?

    R. - E’ difficile valutarlo. Le forze armate libiche sono abbastanza antiquate. Sappiamo che hanno dei sommergibili che, però, non sono di ultima generazione, e quindi, difficilmente potranno portare a segno delle azioni militari, anche se, appunto, la minaccia di colpire obiettivi civili, allarga il campo di azione delle forze di Gheddafi. Quindi, c’è questa paura, ma non si capisce come e quando potrà venire concretizzata. (ma)

    La risoluzione delle Nazioni Unite è stata dunque approvata con margini d’intervento più ampi della sola imposizione di una “no-fly zone”. A Stefano Silvestri, presidente dello Istituto Affari Internazionali Stefano Leszczynski ha chiesto se si stia per aprire un nuovo fronte militare per l’Occidente:

    R. - Siamo ancora in una fase un po’ confusa, a mio avviso, però certamente questo significa un aumento di una certa tensione e probabilmente anche una possibilità di arrivare ad un congelamento della guerra civile.

    D. - Si è aspettato fino all’ultimo prima di intervenire: c’è una strategia dietro tutto questo?

    R. - Secondo me molto poco; secondo me non c’era una volontà vera di intervento: Gheddafi ha talmente forzato la mano nella situazione che, alla fine, l’intervento è diventato inevitabile. Molto probabilmente la preferenza generale sarebbe stata di tipo diplomatico, ma che con Gheddafi si è rivelata assolutamente impossibile.

    D. - A questo punto da parte di molti Paesi occidentali resta la preoccupazione forte di quello che sarà il futuro delle relazioni economiche e commerciali con la Libia…

    R. - Sì e d’altra parte questo riguarda, poi, in particolare l’Italia, che aveva delle ottime relazioni con il governo libico e soprattutto grossi interessi economici a cominciare da quelli legati ai contratti petroliferi e non solo per l’estrazione, ma anche per l’esportazione. Devo dire che, dal momento in cui ci eravamo allineati alla mozione sulle sanzioni approvata dal Consiglio di sicurezza, tutto questo doveva venire chiaramente ridiscusso e ripensato. A questo punto probabilmente sarebbe quasi meglio se dovessimo trattare con un governo post-Gheddafi.

    D. - Chi ha esercitato maggiori pressioni in favore dei ribelli è stata la Francia: come mai?

    R. - Calcoliamo che la Libia aveva più volte ostacolato anche la politica francese in Africa e c’è probabilmente il tentativo di Sarkozy di riproporre una politica mediterranea, dopo il fallimento sostanziale dell’Unione per il Mediterraneo. La Francia ha bisogno di una politica mediterranea e questo è un po’ un tentativo di dimostrare la continuità del suo interesse, io credo.

    D. - In ogni caso, tutti gli Stati che hanno deciso di sostenere in campo dei rivoltosi, dei ribelli, hanno preteso il “cappello” della Risoluzione delle Nazioni Unite…

    R. - Diciamo che andiamo verso una situazione, che potrebbe essere anche piuttosto lunga, di conflitto politico-diplomatico oltre che militare. (mg)

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    Giappone. Sale l'allarme nucleare: corsa contro il tempo

    ◊   In Giappone resta critica la situazione nell’impianto nucleare di Fukushima. E' stato alzato il livello d’allarme alla centrale da 4 a 6, lo riferisce l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Intanto a una settimana dal terremoto, il bilancio delle vittime sale ad almeno 16.000 tra morti e dispersi e si teme che la conta finale possa superare le 20.000 vittime. Il servizio è di Marco Guerra:

    Continua la corsa contro il tempo per mettere in sicurezza i rettori della centrale nucleare di Fukushima. I tecnici hanno lavorato per tutta la giornata per ripristinare almeno parzialmente la fornitura diretta di energia elettrica alla centrale al fine di accelerare le operazioni di raffreddamento dei reattori surriscaldati. Secondo l’ultimo bollettino, per domani mattina la corrente potrebbe di nuovo alimentare i reattori 1, 2 e 4. Si lavora anche per alzare il livello dell'acqua nelle vasche dove vengono conservate le barre di combustibile nucleare, mentre si affaccia l'ipotesi di chiudere i reattori in un sarcofago di cemento armato e di seppellirli, come fu fatto a Cernobyl nel 1986. E accanto agli idranti e agli elicotteri, per raffreddare i reattori, viene impiegato ora anche un generatore diesel. Tutti gli forzi però non hanno al momento portato ai risultati sperati. Tant’è che oggi il governo ha alzato il livello d'allarme alla centrale nucleare di Fukushima da 4 a 5 su una scala di sette punti. Una boccata di ossigeno arriva dal vento che soffiando verso il Pacifico sembra non rappresenti un pericolo immediato per l'area urbana di Tokyo. Il presidente americano Obama ha affermato che non ci sono pericoli neanche per la costa occidentale degli Usa, dove 450 esperti nucleari militari sono pronti ad aiutare quelli giapponesi, se necessario. Intanto prendono sempre più forma i confini della tragedia. Il numero delle vittime confermate, per l’esattezza 6.539, ha superato quello delle vittime del sisma di Kobe del 1995. E sono in tutto almeno 400 i chilometri quadrati di terreno inondati dallo tsunami. Parlando delle devastazioni oggi il premier ha assicurato che il Paese sara ricostruito dalle rovine come dopo la seconda guerra mondiale. Ma per conoscere la situazione sul terreno a una settimana dalla tragedia la parola al collega Stefano Vecchia:

    R. - Alle 14.46 il Giappone, nell’ufficialità, si è fermato: è stato ricordato questo momento tragico, quando il terremoto di 9° ha colpito la parte nordorientale del Paese. Un Paese che, in questi giorni, è in chiare difficoltà: da un lato, le conseguenze del terremoto e dello tsunami che si fanno sentire pesantemente in termini di devastazione, in termini di carenza di servizi, in scarsità di prodotti di prima necessità e di carburante; e, dall’altro, la paura evidentemente delle radiazioni che si sprigionano dagli impianti di Fukushima. La popolazione continua, in qualche modo, a dare credito, a dare fiducia alle autorità e ai tecnici, ma certamente fatica sempre di più in quanto poi le difficoltà materiali - anche in questo caso - crescono. Ultima questione, direi, quella degli sfollati: ce ne sono quasi 400 mila in oltre 2.500 posti di accoglienza. Una situazione veramente difficile: scarseggia il cibo, non hanno riscaldamento e in molti casi manca anche il gas per cucinare. Si sta pensando ora di spostarne un certo numero in aree più protette, più sicure, non interessate dal cataclisma.

    D. - Il Giappone non ha chiesto aiuti esterni e la comunicazione è stata finora molto frammentata. C’è stato un tentativo di coprire la reale portata di questa tragedia?

    R. - Le dimensioni della tragedia senza precedenti e allo stesso tempo ancora realmente poco definite, perché ci sono delle zone ancora praticamente isolate. Certamente una tragedia di questa vastità non ha colpito mai nessun Paese e quindi è chiaro che tra le pieghe si possono celare anche giochi politici, si possono celare mezze verità… E’ una situazione caotica, ripeto. La chiarezza si avrà soltanto fra qualche mese, quando lo sgombero di tutte queste immense macerie - che è iniziato oggi - nelle zone colpite dallo tsunami finirà. (mg)

    La situazione umanitaria in Giappone continua ad essere molto difficile: terremoto e tsunami, oltre ai morti, hanno causato decine di migliaia di sfollati e tantissimi feriti. Alessandro Guarasci ha raccolto in proposito la testimonianza di padre Sawata Tojonari, vice-superiore provinciale dei Paolini in Giappone, raggiunto telefonicamente a Tokyo:

    R. – Il governo non riesce a controllare e ad organizzare tutti gli aiuti. Molti comuni non accettano tutti questi aiuti …

    D. – Ma quantomeno, arrivano informazioni dal governo?

    R. – Il governo non ci informa molto di questo, perché la situazione generale delle zone colpite dal terremoto non è ancora sicura: non tutti possono raggiungerle. Noi stessi sappiamo soltanto quello che il governo ci dice.

    D. – Negli ospedali stanno continuando ad arrivare molte persone?

    R. – Gli ospedali dicono che mancano assolutamente le persone, i dottori e così via. Quindi la situazione non è ancora migliorata di molto.

    D. – Dalle zone vicino alla centrale di Fukushima, in questo momento le persone stanno venendo via?

    R. – Dato che la situazione sta peggiorando, sembra che le misure cautelative riguardo alle radiazioni diventeranno più severe. E il governo dice che alcuni sono contaminati ma che non c’è da preoccuparsi. Però noi non sappiamo nulla di più preciso, perché dobbiamo credere soltanto a quello che dice il governo. E anche noi ci preoccupiamo molto! (gf)

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    Corte Europea: l’Italia non viola i diritti umani per l'esposizione del Crocifisso a scuola

    ◊   La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha assolto l’Italia dall'accusa di violazione dei diritti umani per l'esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche. La decisione della Corte è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici hanno accettato la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del Crocifisso nella aule scolastiche. Il servizio di Fausta Speranza:

    Alla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo non ci sono altri gradi di giudizio e dunque si mette fine al dossier del caso 'Lautsi contro Italia'. Procedimento approdato a Strasburgo il 27 luglio del 2006: Sonia Lautsi, cittadina italiana nata finlandese, lamentò la presenza del Crocifisso nelle aule della scuola pubblica frequentata allora dai figli, parlando di ingerenza incompatibile con il diritto ad un'educazione conforme alle convinzioni dei genitori non credenti. La prima sentenza della Corte (9 novembre 2009) diede, all’unanimità, sostanzialmente ragione alla signora Lautsi, riconoscendo una violazione da parte dell'Italia di norme sulla libertà di pensiero, convinzione e religione. Il Governo italiano ha chiesto il ricorso alla Grande Chambre della Corte, ritenendo la sentenza 2009 lesiva della libertà religiosa individuale e collettiva come riconosciuta dallo Stato italiano. La Grande Camera, accettata la domanda di rinvio, ha emesso oggi la sua decisione definitiva. Nel merito dei contenuti giuridici, il ministro degli Esteri italiano, Frattini, ha organizzato nei mesi scorsi una serie di riunioni dedicate alla riflessione sulle argomentazioni da utilizzare nel ricorso sulla sentenza Lautsi. Ha poi scritto ai suoi omologhi dei 47 Stati membri del Consiglio d'Europa una lettera esplicativa della posizione italiana e ha trovato l’appoggio formale, davanti alla Corte, di San Marino, Malta, Lituania, Romania, Bulgaria, Principato di Monaco, Federazione Russa, Cipro, Grecia e Armenia. Dunque la vittoria oggi non è solo dell’Italia ma anche di questi Paesi e di tutti coloro che ritenevano assurdo imporre la rimozione del Crocifisso dalle aule scolastiche. Resta da ricordare che parliamo della Corte che fa capo al Consiglio d’Europa, cioè l’organismo a 47 Paesi distinto dall’Unione Europea.

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    Egitto. Referendum sulle modifiche costituzionali: il Paese si divide

    ◊   L’Egitto si confronta sulle modifiche istituzionali del dopo Mubarak. Domani i cittadini sono chiamati alle urne, per esprimersi su un pacchetto di dieci emendamenti alla Costituzione, riguardanti in particolare la durata del mandato presidenziale, le prerogative del capo dello Stato e le modalità per candidarsi. Sui quesiti referendari la popolazione è divisa tra favorevoli e chi auspica un maggiore rinnovamento. Oggi centinaia di persone hanno manifestato a piazza Tahrir al Cairo per dire no alla nuova Costituzione. Su questi aspetti Giancarlo La Vella ha intervistato Adib Fateh Alì, giornalista iracheno esperto di Egitto:

    R. - Per la prima volta in modo molto netto c’è una divisione: da una parte ci sono i giovani della rivolta, i partiti laici, l’opposizione con a capo l’ex direttore dell’agenzia Aiea e candidato alla presidenza, el Baradei, e pure Amr Moussa che sono decisamente contrari alle modifiche introdotte; dall’altra, però, c’è un voto favorevole da parte degli ex appartenenti al regime, al partito nazionale democratico di Mubarak, e paradossalmente anche dei Fratelli musulmani: questi sono molto contenti che non sia stato toccato l’articolo 2 della Costituzione, molto contestato dalla comunità cristiana - come sappiamo i copti sono il 10 per cento della popolazione - che stabilisce che la fonte principale della Costituzione è la sharia islamica, ovvero la legge islamica, sul genere di quella che è in vigore in Arabia Saudita. E io speravo anche che venisse messa in discussione buona parte dello schieramento laico. E questo per quanto riguarda i Fratelli musulmani. Per quanto riguarda l’ex regime, l’accusa da parte dell’opposizione laica è quella di avere sostanzialmente non toccato le prerogative del presidente, ma soprattutto di aver lasciato al presidente la prerogativa di indire e sovrintendere le elezioni, cosa per cui l’opposizione laica si era battuta affinché ciò non fosse, perché dava un potere eccessivo al presidente della repubblica.

    D. - C’è il rischio che l’Egitto si ritrovi in una situazione di tensione anche dopo questo voto?

    R. – Temo proprio di sì, perché intanto verrebbe a crearsi un vuoto costituzionale e quindi il potere rimarrebbe in mano ad una giunta militare che sta mantenendo il governo … questi non sono segnali consoni con l’idea che tutti ci siamo fatti di una transizione democratica del grande Paese arabo. Quindi c’è una sorta di fortissima incertezza da parte dell’opposizione laica che ha promosso la rivolta.

    D. - Che valore ha questo referendum?

    R. - E’ un referendum confermativo, non consultivo, ed è davvero un evento di eccezionale portata perché forse è la prima volta che il Paese si avvicina ad elezioni libere. (bf)

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    Nelle librerie “Shock Wojtyla. L’inizio del Pontificato” di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio

    ◊   Passare dal sentimento alla storia, dall’affetto per Giovanni Paolo II, alla consapevolezza che la sua elezione al Soglio Pontificio ha cambiato la storia, sconvolgendo le relazioni internazionali. E’ questa la sfida del libro “Shock Wojtyla. L’inizio del Pontificato”, scritto da Marco Impagliazzo, professore ordinario di Storia contemporanea nell'Università per Stranieri di Perugia, di cui è prorettore, e presidente della Comunità di Sant'Egidio. L'opera è edita dalla San Paolo. I tanti illustri contributi, raccolti nel volume accompagnano il lettore in un vero e proprio tour per il mondo, a cavallo tra il XX e il XXI secolo, svelando la grande eredità del Papa polacco. Alla presentazione del testo, c’era per noi Cecilia Seppia:

    16 ottobre 1978, nel tardo pomeriggio l’annuncio dell’Habemus Papam scandisce il nome del cardinale Karol Wojtyla e la sorpresa risuona nell’applauso di Piazza San Pietro: dopo quasi mezzo millennio il Vescovo di Roma non è più italiano, ma straniero: un polacco. Il libro “Shock Wojtyla” parte da questa istantanea per poi ricostruire con un linguaggio cinematografico ciò che in quel preciso istante accadeva nel resto del mondo. L’esplosione di gioia in Polonia, la soddisfazione e la curiosità in Francia, la speranza in Germania, lo sconcerto e la preoccupazione in Russia: in una parola, uno shock ad est come ad ovest per una scelta che andava ad inserirsi nel principale confronto geopolitico del '900, segnato dalla Guerra Fredda, ma non solo. Sentiamo l’autore Marco Impagliazzo:

    “'Shock Wojtyla' per molti motivi. Il primo perché fu un Papa che veniva dall’Est comunista, quando ancora il mondo era diviso in due blocchi: quindi cosa avrebbe detto, cosa avrebbe fatto un Papa che veniva dal comunismo, da una chiesa resistente e che lottava contro il comunismo? Il secondo grande shock fu quello dei cristiani e dei cattolici occidentali che, a quell’epoca, erano piuttosto indeboliti e in loro prevaleva un senso di crisi: ma subito dopo la sua elezione, il Papa disse 'Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo'. Ma 'Shock Wojtyla' anche perché fu un Papa che cominciò a viaggiare per il mondo e questa fu un’altra grande novità; e poi perché il Papa mise al centro l’uomo e pose a livello internazionale il problema dell’attenzione ai valori, alla vita e all’anima delle persone”.

    Un’elezione che sconvolge le relazioni internazionali e costringe il mondo politico a prendere coscienza della Chiesa, come la più viva delle istituzioni, capace di rinnovarsi e di porsi come interlocutore ad est, ad ovest e nel sud del mondo. E questa consapevolezza si radica nei gesti, nelle parole, nella testimonianza del Successore di Pietro. Sentiamo il ricordo del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi:

    "Certo il mondo lo ha ammirato per quello che ha fatto; lo ha ammirato per i viaggi, lo ha ammirato per i gesti, lo ha ammirato per questa capacità che aveva di penetrare nella realtà: aveva un profondo realismo, illuminato dalla fede. La sorgente di questo suo impegno era soprattutto la preghiera”.

    La figura di Papa Wojtyla, scevra dai tanti superlativi che il mondo gli ha attribuito viene, dunque, vista nel libro come una novità e un’opportunità in tutti quegli scenari di crisi economica, culturale, politica, religiosa a cui il suo passaggio ha saputo dare un impulso decisivo. (mg)

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    Chiesa e Società



    La Chiesa del Giappone apre un centro per gli sfollati a Sendai

    ◊   La Chiesa cattolica in prima linea in soccorso degli sfollati in Giappone: un centro di aiuti per i sopravvissuti alla tragedia che una settimana fa ha colpito il Paese asiatico, infatti, è stato aperto ieri nella cattedrale di Sendai, al centro dell’area più coinvolta dal terremoto e dallo tsunami. Il centro, precisa l'agenzia AsiaNews, è gestito dal vescovo della città, mons. Martin Hiraga, insieme con i vescovi di Niigata, mons. Tarcisius Kikuchi, e di Saitama, mons. Marcellino Tani e con la Caritas locale. L’area servita comprende le quattro province di Aomori, Iwate, Miyagi e Fukushima, dove si contano 15mila tra morti e dispersi; in tutto il nord-est del Giappone le stime parlano di circa mezzo milione di persone che hanno perso tutto e sono ospitate in Centri di fortuna. La comunità cattolica di qui riunisce circa 500mila fedeli, ma se ognuno farà un piccolo gesto di carità, si sarà dato aiuto a molte persone: è stato questo il messaggio inviato alla popolazione dal vescovo di Sendai. (R.B.)

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    Giappone: solidarietà ecumenica per i terremotati grazie ai social network

    ◊   I fedeli cristiani giapponesi, di tutte le Chiese e denominazioni, si stanno mobilitando per far fronte all’emergenza dopo il terremoto e lo tsunami dell’11 marzo. Come riferisce l'agenzia Fides, nella comunità cristiana giapponese, “vi è l’intenzione di profondere uno sforzo unitario di solidarietà, per dare un segno visibile dell’amore al prossimo, che Cristo ci ha insegnato”. Le numerose comunità che si sono mobilitate – attivando anche i loro contatti a livello internazionale – parlano, si confrontano e hanno un continuo interscambio di informazioni, idee e progetti grazie al web e soprattutto ai social network come Facebook. Oltre all’opera della Chiesa cattolica e della Caritas, nei giorni scorsi è stato avviato a Sendai, la zona maggiormente colpita dal sisma, un “Earthquake Christian Disaster Centre” dalla United Church of Christ in Japan's (Uccj), e molti volontari cristiani, fra i quali il direttore del Centro, il rev. Hideo Ishibashi, stanno visitando le aree colpite per studiare le forme di intervento possibili. Sempre a Sendai, il “Christian Relief, Assistance, Support and Hope” (Crach), network di assistenza umanitaria e sociale promosso da diverse comunità cristiane evangeliche, grazie all’opera di coraggiosi volontari, ha iniziato a portare aiuti (generi alimentari, coperte) alle popolazioni sfollate nell’area di Fukushima, in zone a circa 40 km dalla centrale nucleare. Il “National Christian Council in Japan” (Nccj), che riunisce fedeli anglicani, protestanti e cristiani di altre denominazioni, ha lanciato una campagna di aiuto con l’intenzione di “aiutare le persone maggiormente bisognose, quelle che hanno perso tutto”, mentre si sono attivati anche i fedeli luterani, presenti con due comunità nell’area di Sendai. La Chiesa anglicana-episcopale del Giappone, ha stabilito a Tokyo un quartier generale per coordinare i piani di emergenza e la “Japan Baptist Union” (Jbu), che ha perso alcuni fedeli, vittime della tragedia, sta ricevendo un valido e pronto sostegno per le operazioni di soccorso dalla “Baptist World Aid”, organizzazione caritativa che agisce su base mondiale. Nei giorni scorsi la Chiesa russo ortodossa ha annunciato una raccolta di fondi pro-Giappone mentre la rete del Ywca (Young Women’s Christian Association) ha dato la disponibilità per ospitare nelle sue strutture di accoglienza i più deboli e vulnerabili, soprattutto bambini e anziani. Altri gruppi e comunità appartenenti alla “Japan Evangelical Alliance”, come “Salvation Army of Japan”, “Japan Alliance Christ Church”, “World Vision Japan”,e altre hanno organizzato una rete di aiuti sul campo che continua a comunicare e coordinarsi, soprattutto grazie ai social network. (R.P.)

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    Preghiera continua a Lourdes in solidarietà con il Giappone

    ◊   Lourdes ha organizzato una preghiera continua per “offrire sostegno morale e spirituale al coraggioso popolo giapponese”, informa un comunicato emesso dai Santuari della località che è stata testimone delle apparizioni della Madonna. “Di fronte all'orrore del dramma nucleare che affronta l'arcipelago nipponico, dopo il terremoto e lo tsunami, tutte le Messe celebrate a Lourdes dal 16 al 20 marzo saranno dedicate alle intenzioni degli abitanti del Giappone”, spiega la nota ripresa dall'agenzia Zenit. Allo stesso tempo, si chiede che “durante questo periodo le persone che recitano il rosario, ritrasmesso dalla Grotta di Massabielle ogni pomeriggio sulla pagina web dei Santuari di Lourdes, preghino con tutto il cuore per le vittime di questa catastrofe che commuove l'umanità e di fronte alla quale ci sentiamo tanto impotenti”. (R.P.)

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    Pakistan: funerali del cattolico detenuto per blasfemia, morto in carcere

    ◊   Resta tesa la situazione dei cristiani in Pakistan: sono stati celebrati ieri alla presenza di 300 persone ma, per volontà della famiglia, senza telecamere né giornalisti, nel timore di attacchi da parte degli estremisti islamici, i funerali di Qamar David, il detenuto cattolico di 55 anni morto martedì scorso. David era rinchiuso a Karachi per blasfemia. Il rito funebre si è svolto nella chiesa cattolica di San Giuseppe a Lahore e la celebrazione è stata officiata dal vescovo ausiliare della città, mons. Sebastian Shaw, con il direttore della Commissione nazionale di giustizia e pace, padre Emmanuel Mani. Il decesso di David sarebbe avvenuto per arresto cardiaco probabilmente dovuto a stress o depressione, anche se in un primo momento si era parlato di tubercolosi, patologia per cui era curato in prigione, ma la famiglia crede si sia trattato di avvelenamento. La stessa ipotesi è abbracciata anche dagli attivisti cristiani, che temono ora per la vita di Asia Bibi, la donna di 45 anni il cui caso ha suscitato clamore in tutto il mondo: "È la prossima sulla lista degli estremisti", affermano. “Si tratta dell’ennesima vittima cristiana di blasfemia”, è stato il commento del vicario generale di Lahore, padre Andrew Nisari, che ha sottolineato lo shock e la paura in cui vive costantemente la comunità cristiana nel Paese. La Chiesa pakistana, inoltre, ha rivolto un invito ai fedeli affinché preghino per le minoranze religiose e per le vittime ingiuste della famigerata "legge nera": per tutta la settimana, infatti, sono state celebrate messe in suffragio dell’ex ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, ucciso dai fondamentalisti il 2 marzo scorso. In proposito il vescovo di Islamabad-Rawalpindi, mons. Rufin Anthony, ha detto che “le indagini sono grave fonte di preoccupazione” perché governo e polizia giocano allo scaricabarile. (A cura di Roberta Barbi)

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    Pakistan: cristiani, musulmani e indù uniti nel condannare l'assassinio di Bhatti

    ◊   I cristiani in Pakistan la definiscono “una notizia incoraggiante”: gruppi musulmani della società civile e anche singoli fedeli si stanno esponendo pubblicamente per condannare l’assassinio del Ministro Shahbaz Bahtti, per chiedere che i colpevoli non restino impuniti, per rifiutare l’estremismo islamico e invocare l’armonia interreligiosa. E’ quanto è avvenuto ieri in un manifestazione pubblica a Lahore, organizzata dalla Ong musulmana “Minhaj-ul-Quran International”, con sede a Lahore, presente in 100 paesi del mondo. L’Organizzazione, che promuove un islam moderato e il dialogo interreligioso, ha riunito fedeli musulmani, cristiani, e delle altre minoranze religiose che hanno sfilato fianco a fianco per condannare l’omicidio del Ministro e chiedere al governo misure urgenti per combattere il radicalismo religioso dilagante nel Paese. Come riferiscono fonti dell'agenzia Fides, G.M. Malik, coordinatore generale del Centro per le Relazioni Interreligiose della Ong, ha detto che “l’intera nazione è scossa dall’omicidio di Bhatti”. “L’islam è una religione di pace e non permette a nessuno di uccidere persone innocenti”, ha aggiunto, ricordando che il Profeta Maometto “conferì pieni diritti ai non musulmani a Medina”. “Coloro che hanno commesso questo orrendo crimine, non possono dirsi musulmani” ha proseguito, invitando le autorità governative e di polizia a procedere senza indugi nelle indagini per arrestare i responsabili. I pakistani di tutte le religioni – ha rimarcato Malik – desiderano che questi killer non abbiano successo nel loro disegno di destabilizzare e rendere sempre più insicuro questo Paese. Hafiz Ghulam Farid, direttore del Centro, ha poi rimarcato che “chi ha ucciso Bhatti non ha ucciso un singolo, ma l’intera umanità”, esprimendo piena solidarietà, come membro della comunità islamica, ai cristiani, presenti al corteo con i leader di altre minoranze religiose. Intanto il governo ha annunciato l’arresto di un altro uomo, sospettato di essere coinvolto dell’omicidio di Bhatti. I cristiani in Pakistan sperano che questo nuovo elemento possa essere determinante per accertare la verità e individuare gli assassini. (R.P.)

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    Nepal: cala il livello di sicurezza, si temono attentati contro i cristiani

    ◊   Sale la tensione in Nepal, dove la persistente situazione di instabilità politica rischia di tramutarsi in vero e proprio pericolo per la minoranza cristiana nel Paese. Da mesi, infatti, ricorda l'agenzia AsiaNews, in Nepal non viene nominato un ministro degli Interni e la carica è ricoperta dal nuovo primo ministro Khanal, del Partito comunista locale, eletto grazie all’appoggio con gli ex guerriglieri. La polizia, inoltre, non ha i fondi necessari per eseguire tutte le operazioni e per avviare un programma di sicurezza concreto. L’allarme viene da Narayan Sharma, vescovo della Chiesa protestante, mentre più cauto è padre Robin Rai della cattedrale cattolica dell’Assunzione a Kathmandu, che rileva un effettivo problema di sicurezza, ma non un clima di paura all’interno della comunità. Di recente, infine, la polizia ha sventato una serie di attacchi del Nepal Defence Army, gruppo estremista indù, contro chiese ed edifici pubblici. (R.B.)

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    Brasile: il vescovo di Cajazeiras minacciato di morte

    ◊   Il vescovo di Cajazeiras, nello Stato del Paraíba, nel nord-est del Brasile, mons. José Gonzales Alonso, ha ricevuto telefonate e messaggi con minacce di morte. Il vescovo è scoppiato in lacrime martedì scorso durante una conferenza stampa per la presentazione della Campagna di Fraternità a Cajazeiras. “La mia vita è nelle mani di Dio e offerta alla diocesi”, ha detto. In una nota letta e firmata dal presule ripresa dall'agenzia Zenit, questi spiega il contesto delle minacce: “Tre anni fa, nel compimento del proprio dovere, il vescovo diocesano ha preso misure disciplinari nell'ambito interno della Chiesa, in conformità con il diritto e le norme giuridiche della Chiesa stessa”. A partire da quel momento, mons. José Alonso “e altre persone hanno iniziato a ricevere telefonate, e-mail e messaggi di origine sconosciuta che denigravano il clero e i seminaristi, con diffamazioni e calunnie, in un linguaggio irrispetoso, aggressivo e perfino pornografico. I messaggi hanno poi iniziato a contenere minacce di ogni tipo, anche di morte, personali e collettive, cercando di creare un clima di terrore e ricatto, con carattere estorsivo”, afferma la nota. Per il presule, tutti i fatti sono stati comunicati alle autorità competenti per appurare la situazione e identificare i responsabili. “La diocesi continuerà a compiere tutti i passi necessari per verificare la questione, e chiede alle autorità la massima diligenza per avviare le idonee misure legali”, sottolinea il testo. Il vescovo aggiunge che la Chiesa di Cajazeiras “crede e confida nella misericordia e nella giustizia divine e prega per la conversione e la riconciliazione di tutti, perché si ripristini la verità, si ripari al male fatto e si cammini con fede, speranza e carità verso il centenario della Diocesi”. (R.P.)

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    Messico: sacerdoti sempre più a rischio a causa della violenza

    ◊   È un trend drammaticamente in crescita, quello della violenza contro i sacerdoti in Messico, Paese in cui l’instabilità democratica e il parziale collasso delle forze dell’ordine stanno causando gravi problemi, tra cui quello dell’immigrazione verso gli Stati Uniti, con un conseguente innalzamento della barriera di confine tra i due Stati. I dati citati dall’Osservatore Romano provengono dal Centro católico multimedial (Ccm): dal 1993 a oggi sono circa una ventina i religiosi uccisi e nell’ultimo periodo, dal 2006 a oggi, il numero è triplicato, passando da quattro a 12. Questo fa del Messico il Paese più pericoloso del Sudamerica dopo la Colombia e i sacerdoti, in particolare, risultano essere nel mirino della malavita organizzata a causa della loro presenza capillare sul territorio e del rapporto che riescono a instaurare all’interno della comunità. L’area più pericolosa è il Distretto Federale, dove è avvenuto un quinto degli omicidi, seguito dallo Stato di Chihuahua e dal territorio del Guerrero, dove c’è molta povertà e l’attività dei narcotrafficanti attecchisce meglio. La Chiesa cattolica in Messico ha sempre fatto molto contro i trafficanti di droga, che recentemente ha minacciato di scomunicare: il nunzio apostolico mons. Christophe Pierre ha lanciato un appello ai fedeli affinché non si pieghino a questo fenomeno, mentre il vescovo di Campeche, mons. Ramón Castro, in occasione dell’inizio del periodo di conversione della Quaresima, si è rivolto direttamente ai narcotrafficanti, ricordando loro che “il denaro facile offre una vita comoda ma lontana da Dio”. (R.B.)

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    Austria: la Corte costituzionale dice sì alla presenza del Crocifisso in aula

    ◊   La Corte costituzionale dell’Austria ha stabilito che non è incostituzionale la presenza del Crocifisso sul muro di una classe quando la maggioranza degli studenti è di religione cristiana, anzi: la presenza di una croce, secondo i giudici, ha come obiettivo la promozione dell’insegnamento della tolleranza e del rispetto reciproco dei bambini di tutte le religioni, non costituisce “una preferenza per una religione di Stato” e non viola, dunque, il principio di separazione tra Chiesa e Stato. La sentenza fa riferimento, come ricorda L’Osservatore Romano, a una legge provinciale della Bassa Austria che consente l’esposizione del crocifisso, la cui conformità era stata contestata da una coppia di genitori. (R.B.)

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    Usa: per i vescovi è inaccettabile la difesa delle unioni gay

    ◊   “Questa organizzazione non ha alcuna autorità per parlare in nome della comunità cattolica locale”. È ferma la condanna del responsabile del Committee on Doctrine della Conferenza episcopale degli Stati Uniti e arcivescovo di Washington, cardinale Donald William Wuerl nei confronti di New Ways Ministry, un gruppo che si definisce cattolico ma si batte per le unioni tra omosessuali. L’organizzazione ha pubblicato un opuscolo dal titolo “Marriage equality a positive Catholic approach” in cui viene messa in discussione l’autorità dei vescovi in materia matrimoniale. Secondo il porporato, riferisce L’Osservatore Romano, il gruppo non può mostrare alcun riferimento che possa giustificarne la posizione come compatibile con la dottrina cattolica che, in conformità con il magistero della Chiesa, non ammette alcun tipo di unione matrimoniale tra omosessuali. Non è la prima volta che la Chiesa degli Stati Uniti si pronuncia contro New Ways Ministry, già dichiarata non cattolica nel febbraio dell’anno scorso dall’allora presidente dei vescovi, cardinale Francis Eugene George. L’organizzazione è stata fondata nel 1977 nel Maryland da una suora e da un sacerdote, ai quali fu prima chiesto di prenderne le distanze e poi fu loro impedita ogni attività pastorale nei confronti di soggetti omosessuali da parte della Congregazione per la dottrina della fede. (R.B.)

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    Costa d'Avorio: 10mila giovani al pellegrinaggio di Quaresima della diocesi di Yamoussoukro

    ◊   Hanno pregato per la pace in Costa d’Avorio i circa 10 mila giovani della diocesi di Yamoussoukro che domenica scorsa si sono riuniti nella basilica di Nostra Signora della Pace per il loro pellegrinaggio annuale di Quaresima. Ad accoglierli, riferisce il sito wwwlenouveaureveil.com, il rettore padre Stanislas Skuza che ha incoraggiato i ragazzi a chiedere a Dio la pace nelle famiglie, nelle scuole, nella Costa d’Avorio e in tutto il mondo. Ai giovani ha parlato anche padre Vital Aka, cappellano diocesano che si occupa di pastorale giovanile. “Cari giovani – ha detto il sacerdote – diversi tipi di tentazioni oggi vi provocano. Come riuscire a superarle? Basta un piccolo sforzo e qualche privazione … la voce di Dio si fa sentire sulle vostre paure e sulle vostre legittime incertezze. Dite a tutti: ‘Coraggio, non abbiate paura’”. I giovani giunti dalle 19 parrocchie della diocesi di Yamoussoukro si sono soffermati per l’adorazione eucaristica e per pregare davanti al Santissimo Sacramento. (T.C.)

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    Burkina Faso: leader religiosi si impegnano per rafforzare le relazioni fra cristiani e musulmani

    ◊   La responsabilità dei leader religiosi è di impegnarsi il più possibile per salvaguardare e trasmettere alle generazioni future la pace. Lo ha affermato, riferisce la testata on line www.lepays.bf, il pastore Flavien Tapsoba alla conferenza organizzata dal Programma di relazioni islamo-cristiane il 14 e 15 marzo ad Ougadougou, nel Burkina Faso. “La cooperazione dei responsabili cristiani e musulmani per la pace e lo sviluppo del Burkina Faso”, questo il tema dell’incontro presieduto dal presidente della Federazione delle Chiese e missioni evangeliche, il pastore Samuel Yaméogo, che nel suo discorso di apertura ha sottolineato l’importanza della coabitazione pacifica fra cristiani e musulmani. “Se ci si avvicina ci si comprende meglio – ha detto il pastore – ci si tollera meglio”. L’incontro, che ha riunito diversi esponenti cristiani e musulmani, si è sviluppato anche in lavori di gruppo dove si è discusso in particolare di come rafforzare le relazioni fra cristianesimo e islam. (T.C.)

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    Angola: prima Assemblea ordinaria dei vescovi incentrata sulla famiglia

    ◊   Da mercoledì i vescovi di Angola e São Tomé e Principe sono riuniti a Luanda, in Angola, per discutere di famiglia, matrimonio ed etica nel lavoro. Fino al 23 marzo impegnati nella loro prima assemblea ordinaria, i presuli parleranno anche dell’attuale assetto socio-politico e religioso dei loro Paesi approfondendo in particolare il tema della famiglia. All’apertura dell’assemblea, riferisce il sito www.angolapress-angop.ao, mons. Gabriel Mbilingi, presidente della Conferenza episcopale, ha evidenziato che la famiglia è il fondamento di tutta la società e che soltanto famiglie unite e vere potranno crescere figli pronti ad impegnarsi per una realtà sociale pacifica. “La povertà e l’esclusione sociale aggravate dalla crisi economico-finanziaria fanno sentire ancora di più il loro peso sulla vita dei nostri cittadini” ha aggiunto il presule che insieme agli altri vescovi svilupperà le problematiche che oggi le famiglie si trovano ad affrontare, così come gli aspetti giuridici e pastorali legati alla vita familiare. Il presidente della Conferenza episcopale ha inoltre assicurato la preghiera di tutti i vescovi di Angola e São Tomé e Principe per le vittime dei disastri naturali, come il terremoto e il maremoto verificatisi in Giappone l’11 marzo scorso e le piogge abbondanti in alcune regioni dell’Angola. E proprio per affrontare le emergenze nel Paese, dal 23 al 25 marzo, la Caritas ha organizzato una conferenza internazionale sul tema “Costruendo la pace in Angola” per contribuire alla riconciliazione nazionale e al consolidamento della pace e della democrazia per lo sviluppo del Paese. (T.C.)

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    Nuova Zelanda. Messaggio dei vescovi per la Quaresima

    ◊   “Il tempo di Quaresima è un’opportunità per tutti i credenti cattolici di focalizzare la loro attenzione verso quanti sono i più poveri e i più vulnerabili nel nostro mondo e di fare quanto è più necessario per aiutarli, sia attraverso le preghiere sia per mezzo di donazioni”. Così scrive mons. John Atcherley Dew, presidente della Conferenza episcopale neozelandese e arcivescovo di Wellington, nel messaggio inviato alla comunità in occasione della Quaresima. Il pensiero va ovviamente agli sfollati di Christchurch, città duramente colpita dal terremoto, ma i vescovi, sottolinea L’Osservatore Romano, vogliono ricordare anche i poveri tra i poveri, coloro che non vengono aiutati dai loro governi, come, al contrario, sta accadendo in Nuova Zelanda, così hanno deciso di destinare solo il 25% della colletta quaresimale alle vittime del sisma e il resto ai Paesi più poveri. (R.B.)

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    I cattolici cinesi festeggiano San Giuseppe, Patrono della missione in Cina

    ◊   In vista della solennità liturgica di San Giuseppe, domani la comunità cattolica cinese continentale, che nutre da sempre una grande devozione nei suoi confronti, si prepara a grandi festeggiamenti. Non solo nel giorno della sua festa, ma lungo il cammino di fede di tutto l’anno, i cattolici cinesi comunque hanno sempre preso san Giuseppe come modello, per imitare il suo spirito di generosità, di servizio e di dedizione incondizionata al disegno di Dio. Il 16 agosto 1678 inoltre Papa Innocenzo XI assegnò a San Giuseppe il titolo di “Patrono della Missione in Cina”. Secondo le informazioni raccolte dall’agenzia Fides, ogni anno nella solennità liturgica del 19 marzo, il santuario dedicato a san Giuseppe, che si trova nella provincia dello Shan Dong, accoglie già dai giorni precedenti numerosissimi gruppi di pellegrini che vengono da tutta la Cina. Soprattutto nelle parrocchie dedicate al Santo, i fedeli che vivono intensamente la Quaresima in comunione con la Chiesa universale, stanno vivendo anche il mese di marzo dedicato a San Giuseppe, preparando i grandi festeggiamenti con la preghiera, la novena, l’adorazione eucaristica… In questo modo intendono onorare san Giuseppe, che è Patrono della Chiesa Universale e Patrono della Missione in Cina. Nel mondo cattolico cinese la fervente devozione allo Sposo della Vergine Maria e custode di Gesù Bambino ha una lunghissima tradizione. Umiltà, generosità, dedizione incondizionata, autentico spirito di servizio, povertà, obbedienza e castità assoluta: tutte queste virtù che contraddistinguono San Giuseppe sono particolarmente attuali per gli uomini di oggi, secondo il pensiero dei cattolici cinesi. L’affetto speciale dei cinesi per San Giuseppe è testimoniato da tante chiese (la più nota è la parrocchia di San Giuseppe che si trova al centro di Pechino, risalente alla chiesa costruita dai due gesuiti missionari, successori di padre Matteo Ricci, padre Louis Buglio e padre Gabriel de Magallanes), dal santuario di Ping Yin Shan (nella provincia dello Shan Dong), da numerose congregazioni religiose maschili e femminili, dalle strutture ecclesiali (come i seminari), dagli istituti caritativi (orfanotrofi, case per anziani…) e dalle scuole cattoliche che sono a Lui dedicate e portano il suo nome. Inoltre San Giuseppe è anche Patrono della “buona morte”, e questo aspetto trova grande sintonia con la tradizione cinese, sempre molto attenta agli aspetti spirituali che riguardano la vita e la morte. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Proteste nel mondo arabo. La polizia yemenita spara sui manifestanti: oltre 30 morti

    ◊   É di almeno 32 morti e centinaia di feriti il bilancio della sparatoria avvenuta oggi nella centralissima piazza del Cambiamento a Sanaa, capitale dello Yemen. La polizia yemenita ha aperto il fuoco contro i manifestanti scesi in piazza per chiedere le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da 32 anni. Il sit-in va avanti da settimane: sono circa 300 i manifestanti e gli agenti di polizia rimasti feriti durante le proteste.

    Bahrein
    Continua la protesta antigovernativa in Bahrein dove, oggi, migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a Diraz, nel nord-est, nonostante i divieti imposti dal regime e anche a Manama il funerale di un attivista morto nei giorni scorsi è stato occasione di scontri. A dare man forte all’esecutivo, intanto, sono arrivate anche truppe provenienti dal Qatar, mentre Iran e Siria, riunite in un vertice a Teheran, esortano le autorità del Bahrein a intraprendere la via del dialogo.

    Arabia Saudita
    Centinaia di sciiti sauditi sono tornati in piazza, ieri sera, in solidarietà con le manifestazioni nel Bahrein che da un mese stanno protestando contro il governo sunnita dei Khalifa, alleato della casata sunnita dei Saud. La folla è stata poi dispersa dalle forze dell’ordine tramite l’utilizzo di lacrimogeni. Intanto oggi il re Abdullah, in una rara apparizione televisiva, si è rivolto alla nazione avvertendo che le forze di sicurezza colpiranno ogni sedizione e promettendo un pacchetto di aiuti per i cittadini.

    Siria
    È stata dispersa dalla polizia, oggi, una manifestazione a Damasco indetta contro il regime baatista al potere da quasi 50 anni. I manifestanti si erano riuniti nei pressi della Grande moschea degli Omayydadi.

    Tunisia
    La rivoluzione tunisina è stata “un evento storico” e “un esempio da seguire”. Così ieri il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, durante l’incontro a Tunisi con il presidente della Repubblica ad interim, Foued Mebazaa. Nel Paese, intanto, è stata abolita la festa nazionale del 7 novembre, istituita per celebrare la salita al potere dell’ex presidente, Ben Alì.

    Algeria
    Proteste ieri in Algeria, dove la gente è scesa in piazza nella città petrolifera di Hassi Messaoud per manifestare contro un ufficio di collocamento accusato di corruzione. La violenta repressione dei gendarmi ha causato una quindicina di feriti.

    Costa D’Avorio
    Resta alta la tensione in Costa d’Avorio, dove alcune zone della vasta area di Abidjan, roccaforte di Ouattara, riconosciuto a livello internazionale come il vero vincitore delle ultime elezioni, sono finite sotto il tiro dell'artiglieria pesante dell'esercito ancora fedele al presidente uscente Gbagbo. E mentre sale a 410 il numero delle vittime degli scontri tra le fazioni politiche, la Commissione europea ha aumentato da 5 a 30 milioni di Euro l'aiuto destinato alla popolazione. Secondo le ultime stime, sono circa 380 mila le persone che hanno dovuto abbandonare le loro case a causa delle violenze. Il servizio di Giulio Albanese:

    Se due giorni fa Ouattara aveva manifestato la disponibilità a formare un governo di unità nazionale con Gbagbo, ieri ha fatto decisamente marcia indietro, riconoscendo gli ex ribelli delle forze nuove come il vero esercito ivoriano e dunque delegittimando i militari fedeli al suo avversario, che non vuole saperne di lasciare il potere. A questo punto, considerando gli effetti della crisi per l’ordine pubblico, la coesione sociale e la governabilità del Paese, è necessario non perdere tempo, anche perché la paralisi è pressochè totale. Al momento, è difficile avere un quadro della situazione sul campo, anche perché si combatte in varie zone della vasta area metropolitana di Abidjan, per non parlare degli scontri che si segnalano sul versante occidentale del Paese. E le divisioni non sono solo tra Gbagbo e Ouattara, ma anche interne, sia all’Unione africana che alle Nazioni Unite. Pechino in particolare, ha interessi commerciali importanti in Costa D’Avorio, e vorrebbe mantenere una posizione quanto meno di neutralità per evitare ripercussioni sugli affari legati al petrolio e al cacao, di cui è produttore la Costa d’Avorio.

    Pakistan
    É salito a 44 morti il bilancio delle vittime di civili del raid del drone americano avvenuto ieri nel Waziristan del Nord, in Pakistan. Il governo ha duramente condannato l’attacco e ha chiesto agli Stati Uniti una spiegazione sul grave incidente. Sempre oggi in Pakistan, almeno 5 militanti islamici sono stati uccisi nella valle di Swat in scontri con l'esercito. Altri 4 agenti paramilitari sono stati invece feriti nell'esplosione di un ordigno improvvisato led nel distretto di Khyber, vicino al confine afghano.

    Immigrazione: nuovi sbarchi di immigrati a Lampedusa
    Dopo una tregua durata poco meno di 48 ore sono ripresi gli sbarchi di immigrati sull’isola di Lampedusa. Sono tre le imbarcazioni arrivate sull’isola, tra la scorsa notte e questa mattina, l’ultima intorno alle 11 e 30. Oltre 100 gli immigrati nordafricani soccorsi dalla Guardia di Finanza, che si vanno ad aggiungere ai 2mila e 800 immigrati sbarcati a Lampedusa nei giorni scorsi. Intanto, un'altra motovedetta della Capitaneria di porto sta assistendo un barcone a 25 miglia dall'isola.

    Italia
    Manifestazioni in tutta Italia, ieri, per celebrare la Festa dei 150 anni dell’unità nazionale. Dopo l’omaggio all’Altare della Patria, il momento più importante nel pomeriggio, in Aula a Montecitorio, con il discorso solenne, davanti alle Camere riunite, del capo dello Stato Giorgio Napolitano. Ce ne parla Giampiero Guadagni:

    “L’Italia è una sola”: è stato un appello all’orgoglio e alla fiducia quello inviato dal capo dello Stato, nel suo discorso a Montecitorio. Per Napolitano potranno essere superate tutte le prove, a condizione che operi nuovamente un forte cemento nazionale unitario. E a tal proposito il presidente della Repubblica ha parlato di federalismo, che potrà garantire maggiore autonomia e responsabilità alle istituzioni regionali e locali, rinnovando e rafforzando le basi dell’unità nazionale. Va poi superato il divario tra nord e sud, che - ha rimarcato ancora Napolitano - è uno dei problemi maggiori ereditati dall’unificazione. In aula la Lega era presente solo con un parlamentare e quattro ministri, fra i quali i quali il leader Umberto Bossi: una diserzione che ha provocato la dura reazione dell’opposizione. Ma il parlamento si è ritrovato unito nell’applauso finale al capo dello Stato, così come un forte applauso ha accompagnato il passaggio in cui Napolitano ha citato Papa Benedetto XVI e ha ricordato che il rapporto con la Chiesa cattolica rappresenta uno dei punti di forza su cui possiamo fare leva per il consolidamento della coesione ed unità nazionale. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 77

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