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Sommario del 15/03/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Terza giornata di esercizi spirituali in Vaticano ispirata da San Luigi Maria de Monfort e Santa Teresa di Lisieux
  • Mons. Béchara Raï è il nuovo Patriarca della Chiesa maronita: succede al cardinale Sfeir
  • Mons. Vegliò: maggiore collaborazione tra le Chiese per aiutare migranti e rifugiati
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Giappone: più grave l'allarme nucleare. Terza esplosione nell'impianto di Fukushima
  • "Siamo terrorizzati": così il vescovo giapponese di Sendai
  • Le truppe di Gheddafi avanzano verso Bengasi. Il G8 esclude l’intervento militare
  • Costa d'Avorio: mezzo milione di sfollati per le violenze. Il nunzio: siamo dimenticati
  • La Cassazione: esporre il Crocifisso negli uffici pubblici non è una minaccia alla libertà religiosa
  • La vita religiosa nei documenti del Vaticano II. Una riflessione sul decreto conciliare "Perfectae caritatis"
  • I bambini sempre più dimenticati dalla Tv, nel Rapporto Media e Minori raddoppiate le violazioni
  • Chiesa e Società

  • Caritas Corea: “Il passato non conta, faremo di tutto per il Giappone”
  • Le Chiese tedesche chiedono di rinunciare al nucleare
  • Libia: partiti altri 50 rifugiati africani, ma per la Chiesa "occorre fare di più”
  • Karachi: muore cristiano in carcere per blasfemia. Attivisti: circostanze sospette
  • Dopo l’omicidio del ministro Bhatti, la società civile pakistana alza la voce
  • Il cardinale O’Brien: aiuti al governo pakistano solo se rispetta la libertà religiosa
  • Pakistan: le persone disabili rischiano di cadere vittime della tratta
  • India: veglia di preghiera e digiuno per la sicurezza dei cristiani del Karnataka
  • L’arcivescovo Williams invita i leader anglicani a pregare per i cristiani perseguitati nel mondo
  • Iraq. Mons. Warduni: “Non disperdere il ricordo di mons. Rahho”
  • Madagascar: i vescovi esprimono grande preoccupazione per la crisi nel Paese
  • Sudan: l'impegno delle Chiese per il rispetto dei diritti umani nei due futuri nuovi Stati
  • Sud Sudan: evacuati i bambini dopo scontri armati nel Villaggio Sos di Malakal
  • Kenya: i vescovi lanciano un programma di educazione civica sulla nuova Costituzione
  • Bolivia: al via l’incontro continentale dei direttori nazionali delle Pom
  • Campagna del Consiglio Ecumenico delle Chiese per il diritto all'acqua di tutti gli esseri umani
  • Terra Santa: le reliquie della Patrona delle Missioni arrivate a Gerusalemme
  • Germania: celebrata la Settimana della fratellanza
  • Riconoscimento a Davide Dionisi della Radio Vaticana al "Premio Cronista 2011"
  • 24 Ore nel Mondo

  • Marcia della pace con migliaia di persone a Karachi contro le violenze di gruppi politici
  • Il Papa e la Santa Sede



    Terza giornata di esercizi spirituali in Vaticano ispirata da San Luigi Maria de Monfort e Santa Teresa di Lisieux

    ◊   La spiritualità mariana del Monfort e quella cristocentrica di Santa Teresa di Liesieux. Sono imperniate attorno a questi due giganti della fede cristiana le meditazioni che padre Francois-Marie Lethél propone oggi a Benedetto XVI e alla Curia Romana, nella terza giornata di esercizi spirituali quaresimali in Vaticano. La prima riflessione odierna del religioso carmelitano scalzo si basa sulla dottrina di San Luigi Maria de Monfort, sintetizzata nel Trattato della Vera Devozione alla Santa Vergine e riassunta nel Segreto di Maria. La seconda meditazione è dedicata alla celebre “Storia di un’anima” e agli altri scritti di Santa Teresa di Lisieux, Patrona delle Missioni, proclamata da Giovanni Paolo II Dottore della Chiesa come “esperta della scientia amoris”. La terza meditazione è collegata alla precedente e ha per titolo “Il cristocentrismo di Teresa: nel Nome di Gesù e nell’Amore di Gesù sono abbracciati tutti i Misteri di Dio e dell’Uomo”.

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    Mons. Béchara Raï è il nuovo Patriarca della Chiesa maronita: succede al cardinale Sfeir

    ◊   La Chiesa cattolica maronita ha una nuova guida, mons. Béchara Raï, vescovo di Jbeil-Byblos. Il Sinodo dei Vescovi maroniti lo ha eletto 77.mo Patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente al posto del cardinale Nasrallah Boutros Sfeir, 90.enne, che lo scorso 26 febbraio aveva presentato le dimissioni per raggiunti limiti di età. Il nuovo Patriarca maronita ha 71 anni, è stato ordinato sacerdote nel 1967 e vescovo nel 1986. Dal 1967 al 1975 è stato anche responsabile del Programma arabo della Radio Vaticana.

    La Chiesa maronita conta oggi circa tre milioni di fedeli, due terzi dei quali vivono in diaspora.
    È strutturata in 23 diocesi e due vicariati in Libano e in altre parti del mondo. Le origini sono riconducibili al Convento di San Marone, situato in Siria, nell’antica località di Apamea. Nel quinto secolo, una piccola comunità monastica siriana si installò nelle montagne libanesi per sfuggire alla persecuzione dei “monofisiti”, cioè dei seguaci dell’eresia del tempo che sosteneva la preminenza della natura divina in Cristo, di fatto negando quella umana. Le Crociate consentirono poi ai maroniti di sigillare nel 1182 la propria unione con Roma (1182). La maronita è la sola Chiesa orientale cattolica non originata da una contrapposizione con la Chiesa ortodossa. Le nazioni interessate alla diaspora sono anzitutto quelle mediorientali (Giordania, Israele, Palestina, Egitto, Siria), comprea anche l’isola di Cipro. Forte la presenza dei maroniti anche nel continente americano, con eparchie in Argentina, Brasile, Messico, Stati Uniti e Canada. Per la comunità maronita in Australia l’eparchia di riferimento è quella di Saint Maron of Sydney.

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    Mons. Vegliò: maggiore collaborazione tra le Chiese per aiutare migranti e rifugiati

    ◊   La Chiesa rafforzi il suo impegno a difendere la dignità umana dei migranti: è quanto sottolinea l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. L’esortazione del presule è contenuta nel discorso che pronuncerà domani a Gerusalemme, all’Assemblea degli Ordinari Cattolici di Terra Santa. Intervento che siamo in grado di anticipare nel servizio di Alessandro Gisotti:

    Accoglienza, giustizia e riconciliazione: sono le parole chiave dell’intervento dell’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, che ricorda innanzitutto le sfide pastorali insite nella difficile e persistente situazione dei rifugiati e sfollati a Cipro, in Giordania e Israele. Il capo dicastero ricorda come migliaia di persone siano state costrette a fuggire a causa della violenza e della distruzione. E avverte innanzitutto che la riconciliazione rappresenterà un elemento essenziale per tentare di trovare delle soluzioni. Il presule non manca poi di osservare che da lungo tempo ormai, i cristiani lasciano la culla del cristianesimo. E ciò è una fonte di preoccupazione particolare, perché comporta un cambiamento della struttura sociale di questi Paesi e della condizione dei cristiani che restano.

    Accoglienza e ospitalità, sottolinea ancora l’arcivescovo Vegliò, sono la caratteristica fondamentale del ministero pastorale tra i migranti e i rifugiati. Quindi, invoca la necessità di una “collaborazione tra la Chiesa d’origine e la Chiesa d’accoglienza”. La Chiesa d’origine deve, infatti, sentirsi obbligata di seguire i fedeli che si spostano altrove. La Chiesa d’accoglienza deve essere cosciente dei suoi nuovi doveri. Dunque, avverte, entrambe sono chiamate a riempire le loro responsabilità pastorali specifiche alla luce di un sentimento di comunione vivo ed espresso in modo concreto. “Le Chiese – ribadisce – non possono pensare di rispondere alla situazione dei rifugiati e dei migranti in modo isolato l’uno dall’altro. Una cooperazione è necessaria”. Un invito, evidenzia, già evocato al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente. Servono dunque strutture necessarie all’interno delle diocesi e una formazione fin dai seminari in visita del servizio pastorale agli sfollati. Inoltre, mons. Vegliò invita a sostenere quelle politiche che rafforzano i diritti dei rifugiati e a contrastare atteggiamenti di discriminazione e razzismo nei confronti dei migranti.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, l'emergenza nucleare in Giappone: corsa contro il tempo per evitare una catastrofe dopo le nuove esplosioni nella centrale di Fukushima. A cento chilometri da Tokyo livelli di radioattività dieci volte superiori al normale.

    Nel raffinato mondo dei preraffaelliti: Sandro Barbagallo presenta la mostra allestita alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna a Roma.

    Il male nei “Promessi Sposi”: Franco Camisasca sulle figure dell'Innominato e di Lucia.

    Risorgimento e resistenza: la prefazione di Francesco De Gregori al volume di Aldo Cazzullo “Viva l'Italia”.

    Grazie alla Chiesa l'italiano arriva ovunque: Francesco M. Valiante sulla storia della predicazione.

    Gli esercizi spirituali in Vaticano: Nicola Gori intervista il carmelitano scalzo François-Marie Léthel, prelato segretario della Pontificia Accademia di Teologia.

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    Oggi in Primo Piano



    Giappone: più grave l'allarme nucleare. Terza esplosione nell'impianto di Fukushima

    ◊   Dal Giappone continuano ad arrivare allarmanti notizie sull’emergenza nucleare. Il primo ministro Naoto Kan ha reso noto che “il livello radioattivo è notevolmente aumentato” e non è scongiurato il rischio di fusione del nocciolo nell'impianto di Fukushima, dove si è verificata una terza esplosione. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha aggiunto che l’incendio in un reattore della centrale, danneggiata dal terremoto, ha provocato una fuoriuscita di materiale fissile ed un livello di radioattività 10 volte “superiore al normale” è stato registrato anche a Tokyo. Quanto sta avvenendo in Giappone ha riaperto il dibattito sul nucleare anche in Europa. Stefano Leszczynski ha intervistato Matteo Mascia, coordinatore del progetto Etica e Politica ambientale della Fondazione Lanza di Padova:

    R. – Incidenti di questo tipo inevitabilmente pongono un problema di riflessione, per capire se questa tecnologia – così come oggi la conosciamo – rappresenta sicuramente una fonte, per quanto pulita, effettiva e capace di risolvere i problemi energetici, o più che altro – invece – non li risolve, per lo più mette a rischio la sicurezza della gente.

    D. – Una delle questioni che si sollevano anche in Giappone è – effettivamente – quanto conosciamo il nucleare. Addirittura, si ha la sensazione che non tutta la verità venga svelata, che qualcosa venga tenuto nascosto …

    R. – In generale, siamo di fronte a situazioni di questo tipo che sembrano porre resistenza ad offrire il maggior numero di informazioni possibili, perché c’è la paura del panico che possa prendere la popolazione locale e quelle che vivono intorno all’area in questione. E qui, potrebbe essere in qualche modo comprensibile. Il problema di fondo è che però molto spesso l’informazione è necessaria perché in democrazia le informazioni vanno comunque comunicate il più velocemente e il più chiaramente possibile. Bisogna però capire forse anche quanto si abbia conoscenza di quanto stia effettivamente avvenendo, quanto anche i tecnici dentro la centrale conoscano e riescano a percepire il processo che in questo momento sta avvenendo oppure rispondano a situazioni a loro volta emotive, perché, per fortuna, non abbiamo avuto grandi incidenti, tolto Chernobyl e tolto Three Mile Island in America; per cui queste sono situazioni che si presentano per la prima volta e quindi c’è la difficoltà di capirne e prevederne anche le conseguenze.

    D. – Secondo lei, c’è bisogno di un ripensamento a livello internazionale del ruolo delle agenzie? Le agenzie internazionali, insomma, con una maggiore capacità di ingerenza e di intervento preventivo?

    R. – Sì! Bisognerebbe, per esempio, che venisse rispettata maggiormente la Convenzione di Basilea, che riguarda proprio gli incidenti nucleari, che è stata sottoscritta alla fine degli anni Ottanta, nel 1989, a seguito dell’incidente di Chernobyl e che prevede una serie di obblighi per gli Stati per quanto riguarda la comunicazione dell’informazione in tempi molto stretti. Non dimentichiamo però che il Giappone è un punto di riferimento, un esempio per tutti i Paesi del mondo per quanto riguarda l’efficienza, l’attenzione alla modalità costruttiva, alla modalità della verifica e del monitoraggio. E siamo di fronte ad un evento che era imprevedibile e impensabile fino a quando tutto questo non è avvenuto. (gf)

    In questo contesto la Borsa di Tokyo ha subito un vero e proprio crollo con un -10.55. In forte ribasso anche le borse europee e, in apertura, Wall Street. Ma quali effetti può avere la tragedia che ha colpito il Giappone sull’economia mondiale. Luca Collodi lo ha chiesto al prof. Giovanni Palmerio, docente di Economia politica alla Lumsa di Roma:

    R. - Io penso che noi dovremmo distinguere il fenomeno finanziario dal fenomeno reale. La tragedia per i giapponesi è rappresentata dal terremoto, dallo tsunami e dalle conseguenze che si sono verificate sulle strutture nucleari. Secondo me non è un problema tanto grave il fatto che le Borse stiano scendendo e quella di Tokyo in particolare sia crollata. Le Borse reagiscono spesso, anzi quasi sempre, in modo emotivo e in alcuni casi in modo addirittura isterico. Ora quelle persone che possiedono, ad esempio, le azioni il cui prezzo è sceso, farebbero bene a non venderle, perché tra un po’ risaliranno. Il vero problema è questo: oltre alle perdite umane terribili, ci sono delle gravi perdite nella struttura produttiva del sistema giapponese. Però da un lato lo Stato potrà aiutare queste aziende per la costruzione e quindi per tante imprese si aprono delle prospettiva di ricostruzione. Se sapranno gestire e se daranno le strutture per gestire bene questa situazione, non temerei contraccolpi duraturi negativi sull’economia giapponese: in un primo tempo, certo che sì, ma certamente non nel tempo medio e lungo.

    D. - Prof. Palmerio, però, dobbiamo anche dire che questa crisi si aggiunge a crisi, perché la situazione del Giappone, ma anche dell’Europa, non era positiva…

    R. - Piove sul bagnato, perché c’era già una crisi finanziaria che è poi diventata economica. Se noi guardiamo ai dati strutturali, non vedo la situazione così negativa. La vedo negativa per quei Paesi che sono fortemente indebitati: il Portogallo e la Grecia hanno dei problemi sicuramente. (mg)

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    "Siamo terrorizzati": così il vescovo giapponese di Sendai

    ◊   Nel nord est del Giappone non cessano le scosse sismiche di assestamento. L’ultimo bilancio fornito dalla polizia è di oltre 2700 morti ed almeno 3700 dispersi. Ma si tratta di un bilancio ancora provvisorio ed il numero delle vittime è destinato ad aggravarsi. Nel nord del Paese, intanto, sono state da poco ripristinate, in parte, le linee elettriche e telefoniche. La popolazione locale dispone ancora di informazioni frammentarie sul disastro che ha colpito il Paese. Amedeo Lomonaco ha raggiunto telefonicamente mons. Martin Tetsuo Hiraga, vescovo di Sendai, la diocesi più colpita dal sisma e, soprattutto, dallo tsunami:

    R. – It’s very hard ...
    E’ molto dura. Stiamo attraversando grandissime difficoltà. Nei luoghi colpiti dallo tsunami la situazione è davvero terribile. Le chiese, le parrocchie sulla costa, colpite dallo tsunami, sono molto lontane da Sendai. Noi che viviamo a Sendai non siamo ancora riusciti a raggiungere quelle chiese, perché non possiamo usare le linee telefoniche. La situazione non è migliore per noi che viviamo a Sendai, per quanto riguarda la tragedia e il disastro, perché non c’è stata più elettricità per tre giorni – venerdì, sabato e domenica – e solo da domenica sera abbiamo potuto guardare la televisione e per la prima volta siamo riusciti a vedere la situazione disastrata delle zone colpite dallo tsunami.

    D. – Eccellenza, dunque avete informazioni frammentarie sulla drammatica situazione. Quali informazioni avete in particolare sull’emergenza nucleare?

    R. – It seems that the nuclear power station ...
    Per quello che siamo riusciti a sapere, sembra che la stazione nucleare sia nella prefettura di Fukushima e la città si trova a circa duecento chilometri da Sendai. Non possiamo raggiungere nemmeno quella zona e non conosciamo la situazione e il problema della stazione nucleare. Non ne sappiamo molto: l’unica fonte per avere notizie sono gli annunci del governo.

    D. – Come i giapponesi stanno affrontando questa tragedia?

    R. – We are very terrified ...
    Siamo terrorizzati: direi semplicemente questo. Siamo smarriti: come possiamo affrontare questa situazione, come possiamo superare questa tragedia? Spero che la gente della mia parrocchia, tutti i giapponesi siano capaci di affrontare questa situazione e di risollevarsi da questa immane tragedia. (ap)

    Si aggrava intanto l’emergenza umanitaria. L'Organizzazione Mondiale della Sanità si è detta pronta ad avviare una missione in Giappone per offrire assistenza alla popolazione. La Croce Rossa Italiana, da parte sua, ha attivato il numero 45500 per l'invio di sms solidali del valore di 2 euro. A Sendai, l’area più colpita dal sisma, Save The Children è presente da due giorni con i suoi operatori per fornire supporto ai bambini e ai loro genitori. Per contribuire alla raccolta fondi è possibile consultare il sito www.savethechildren.it. Ascoltiamo al microfono di Paolo Ondarza il responsabile comunicazione dell’organizzazione in Italia Filippo Ungaro.

    R. – Quello che ci dicono i nostri operatori sul campo – al momento abbiamo 45 persone che stanno lavorando sull’emergenza – è che sarebbero circa 100 mila i bambini sfollati: 500 mila persone in tutto di cui 100 mila minori.

    D. – Come vivono queste persone?

    R. – Purtroppo, la situazione è di estremo caos. Stamattina abbiamo ricevuto notizia che sarebbero migliaia le persone in fuga da Fukushima, proprio per il terrore delle radiazioni e delle contaminazioni. Nelle scuole dove sono stati istituiti i primi centri di accoglienza, le medicine incominciano a scarseggiare come anche il cibo. In questo contesto, purtroppo molti bambini sono rimasti sicuramente separati dai loro familiari e purtroppo alcuni di loro potrebbero anche essere rimasti orfani. I bambini hanno bisogno di un supporto psicologico perché su loro il trauma è sicuramente più forte, per l’esperienza che continuano a vivere visto che le scosse di assestamento continuano …

    D. – Parlava dei ricongiungimenti: siete già all’opera?

    R. – Nell’area di Sendai e lungo la strada tra Tokyo e Sendai stiamo allestendo aree a misura dei bambini dove li identifichiamo, li registriamo e – per quei bambini che sono stati separati dai loro familiari – ci attiviamo immediatamente per rintracciare i loro familiari ed effettuare il ricongiungimento familiare. Chiaramente, in queste ore di estremo caos non è assolutamente facile: le comunicazioni non sono funzionanti al cento per cento, in tante zone manca ancora l’elettricità, ma ci siamo mossi immediatamente fin dalle prime ore dell’emergenza e stiamo svolgendo questo lavoro. (gf)

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    Le truppe di Gheddafi avanzano verso Bengasi. Il G8 esclude l’intervento militare

    ◊   Se i governi occidentali ''si comporteranno come in Iraq, ci alleiamo con al Qaeda e dichiariamo la guerra santa''. È quanto minacciato da Gheddafi in un’intervista pubblicata oggi sul quotidiano italiano Il Giornale. Il monito del colonnello accompagna l’avanzata in Libia delle truppe governative che hanno riconquistato anche la città di Zuwarah, ultimo baluardo in Tripolitania dei ribelli. Intanto il G8 riunitosi a Parigi allontana l'opzione militare sulla Libia, rinviando la discussione al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Il servizio di Marco Guerra:

    Gheddafi evoca il fantasma di una santa alleanza con al Qaeda qualora l’occidente decidesse per un intervento militare in stile iracheno. Il leader libico usa anche la carta del terrorismo internazionale per minacciare il fronte delle potenze occidentali ancora indecise. Gheddafi afferma poi al giornale di essere “scioccato dall'atteggiamento degli europei” e di sentirsi “tradito” da Berlusconi. Il colonnello afferma inoltre che non c'è spazio di dialogo con i ribelli perché ''il popolo'' è dalla sua parte e “la gente chiede di intervenire” contro le ''bande armate''. Il rais mostra dunque sicurezza anche alla luce dell’avanzata delle sue truppe in cirenaica. Da ieri la città di Ajdabiya, ultima roccaforte dei ribelli prima di Bengasi, è attaccata dalle forze regolari libiche la cui offensiva avanza verso est. Fonti dei ribelli riferiscono invece di scontri in corso nel centro petrolifero di Brega, che al momento non sarebbe sotto il controllo di nessuna delle due fazioni. E’ invece completamente tornata nelle mani delle milizie pro-Gheddafi la Tripolitania. L’esercito è entrato stamani nel centro della città di Zuara, a pochi chilometri dal confine con la Tunisia. E i raid dell’aviazione di Tripoli continueranno indisturbati dal momento che nelle conclusioni del G8 dei ministri degli esteri a Parigi è stato eliminato ogni riferimento all'ipotesi di no fly zone. Russia e Germania hanno fatto sparire qualsiasi accenno alla questione nel documento conclusivo del vertice. Nel testo si ribadisce il sostegno della comunità internazionale per le ''legittime aspirazioni'' del popolo libico su diritti fondamentali, e si invita il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ad aumentare le pressioni su Gheddafi, affinché lasci il potere. Ma da Parigi non è emerso niente di più per provare a bloccare l'avanzata del rais.

    Dunque, davanti all’empasse della comunità internazionale Gheddafi usa la minaccia terroristica. È un avvertimento da prendere sul serio o siamo al colpo di coda del regime? Federico Piana lo ha chiesto a Adname Mokrani, teologo musulmano e docente di islamistica all’Università Gregoriana:

    R. - Lui è ben armato; ha gli aerei e quindi uno strumento tecnicamente molto efficace, ma questo non significa, però, che si possa tornare indietro. E’ molto difficile tornare indietro: è solo una questione di tempo; è una morte lenta per il regime. L’unificazione della Libia, dopo questa guerra, è assai difficile. Vedo una fine, ma una fine drammatica e sanguinosa.

    D. - Gheddafi ha lanciato le sue minacce all'occidente: “Io mi alleo con al Qaeda, perché è quella che poi vincerà se cado io...”. Questa è propaganda o no?

    R. - Gheddafi ed anche suo figlio Saif al-Islam ne hanno dette di tutti i colori: hanno detto che "questo è un popolo drogato; questi sono di al Qaeda, questi sono pagati dall’estero; sono traditori e delinquenti". Sono state usate parole di offesa e di disprezzo del loro popolo. Dunque non sono discorsi credibili. In questo vedo una mera propaganda. Non è da oggi, perché Gheddafi è abituato a parlare in questa maniera.

    D. - Però non c’è il rischio che, col vuoto di potere, prenda in mano la situazione una sorta di estremismo islamico oppure altre situazioni di questo tipo legate ad al Qaeda?

    R. - No. Non vedo seriamente questo rischio. I dittatori, per lunghi anni, hanno cercato di presentarsi come quelli che difendono l’Occidente contro la minaccia terroristica ed islamistica, mentre essi stessi sono le vere cause dell’estremismo. La dittatura produce questo e spesso l’estremismo serve alla dittatura per presentarsi come l’unica garante della stabilità. (mg)

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    Costa d'Avorio: mezzo milione di sfollati per le violenze. Il nunzio: siamo dimenticati

    ◊   In Costa D’Avorio rischia di consumarsi una tragedia umanitaria di enormi proporzioni. Continuano nel Paese africano gli scontri tra le fazioni di Laurent Gbagbo, il presidente uscente, sconfitto alle elezioni del novembre scorso, ma che non vuole cedere il potere, e di Alassane Ouattara, vincitore delle consultazioni, riconosciuto unanimemente dalla comunità internazionale. La diplomazia internazionale segna il passo di fronte ad una situazione che non lascia intravedere alcuna apertura al dialogo. Intanto, sarebbero circa 500 mila gli sfollati in fuga dai combattimenti. Persone che hanno bisogno di ogni cosa, per le quali si stanno mobilitando le parrocchie locali, la Caritas e le organizzazioni umanitarie. Che cosa può fare la comunità internazionale per risolvere questa situazione? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a mons. Ambrose Madtha, nunzio apostolico in Costa D’Avorio:

    R. - Purtroppo ci si è un po’ dimenticati della Costa d’Avorio. Da più di tre mesi, c’è una situazione molto preoccupante dal punto di vista politico, sociale e umanitario.

    D. - Qual è l’entità di questa emergenza?

    R. - La situazione politica ha causato molti rifugiati all’interno del Paese, così come anche all’esterno del Paese: tante persone sono fuggite dalla zona ovest del Paese, verso la Liberia. Secondo il Rapporto della Caritas internationalis ci sono diverse persone proprio tra la Liberia e la Costa d’Avorio. Anche all’interno della stessa Costa d’Avorio, in molte parrocchie, si trovano molti rifugiati che sono stati cacciati via dalle loro zone, perché hanno bruciato le loro case. La Chiesa sta cercando di fare quanto è possibile per aiutare questi rifugiati. C’è un vero disastro…

    D. - Di che cosa hanno bisogno queste persone che hanno lasciato le loro case?

    R. - Hanno bisogno di tutto, perché hanno abbandonato tutto nelle loro case: forse hanno portato via soltanto qualche vestito per i loro bambini. Come prima cosa hanno bisogno di nutrimento ed anche di medicine. L’Unione Europea ha imposto un embargo e ora è difficile trovare anche le medicine necessarie per quella che è la situazione sanitaria nel Paese: c’è la malaria, c’è il colera ed altri tipi di malattie.

    D. - Quali speranze ci sono che questo scontro tra i due presidenti si concluda presto?

    R. - Io direi che ci sono poche speranze e questo perché entrambi sono fermi nelle loro posizioni. Non c’è un avvicinamento, nonostante alcuni forum religiosi siano riusciti a compiere qualche passo avanti, ma è molto difficile. Noi ci auguriamo sempre che questi due leader, Ouattara e Gbagbo, si possano incontrare per cercare di arrivare a qualche conclusione. La nostra speranza è che tutta questa situazione finisca presto, anche se la realtà ci mostra che, forse, non finirà così presto. (mg)

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    La Cassazione: esporre il Crocifisso negli uffici pubblici non è una minaccia alla libertà religiosa

    ◊   “Per esporre negli uffici pubblici simboli religiosi diversi dal Crocifisso‚ è necessaria una scelta discrezionale del legislatore, che allo stato non sussiste". Lo scrivono le toghe della Corte di Cassazione nelle motivazioni con cui confermano la rimozione dalla Magistratura del giudice Luigi Tosti. Quest’ultimo – lo ricordiamo - si era rifiutato di tenere udienza nelle aule dove fosse esposto un Crocifisso. Secondo la Corte Suprema l’esposizione del simbolo della cristianità nei tribunali non costituisce una minaccia alla libertà religiosa. Paolo Ondarza ha raccolto il commento di Giuseppe Dalla Torre, presidente onorario dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:

    R. – A me pare la giusta fine di una vicenda abbastanza assurda. Indubbiamente esistono norme dell’ordinamento che prevedono l’esposizione di questo simbolo del Crocifisso nelle aule pubbliche, nelle scuole e, dall’altra parte, esiste un problema relativo al ruolo dei magistrati, i quali sono chiamati a rendere giustizia innanzitutto.

    D. – Va ricordato che al giudice Tosti era stata assegnata un’aula senza Crocifisso per tenere le sue udienze, ma nonostante ciò egli rifiutò varie prestazioni processuali facendo riferimento alla presenza del Crocifisso nel resto delle aule italiane...

    R. – A me pare che non si sia tenuto adeguatamente presente in passato – e la sentenza della Cassazione sostanzialmente invece riafferma – una giurisprudenza importante della Corte Costituzionale, che in materia di obiezione di coscienza e in materia di obiezione di coscienza del giudice tutelare ha detto che il giudice tutelare deve innanzitutto assicurare la giustizia e le questioni personali di coscienza devono passare in secondo grado. Allora io credo che sia molto più grave il problema in coscienza dell’interruzione di una vita che non il problema di un simbolo in un’aula di tribunale, che non costringe nessuno ad un atto di fede.

    D. – La Cassazione tiene a precisare che la laicità dello Stato non si discute...

    R. – Non è in discussione, perché la laicità dello Stato non significa un’assoluta e impossibile neutralità e, d’altra parte, lo Stato è nient’altro che l’organizzazione di una società civile la quale ha dei suoi valori, una sua tradizione e determinate sue radici. A me pare importante anche sottolineare che se per il credente il Crocifisso ha un grande valore religioso, per il non credente o per chi crede in una religione diversa da quella cristiana, il Crocifisso, da un lato, non costringe a nessun atto di culto e quindi non viola la sua libertà religiosa e quindi non tocca la laicità dello Stato da questo punto di vista, e dall’altra parte non fa altro che rappresentare che cosa? La vicenda di un uomo che ha dato la propria vita per il bene di tutti, per la salvezza di tutti. Per noi quell’uomo è Dio, ma evidentemente il significato di questo atto non può che toccare tutti. (ap)

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    La vita religiosa nei documenti del Vaticano II. Una riflessione sul decreto conciliare "Perfectae caritatis"

    ◊   Tra i numerosi ambiti nei quali il Concilio Vaticano II si pronunciò durante i suoi lavori figura certamente anche quello della vita consacrata. Il decreto che la riguarda si intitola Perfectae caritatis e fu emanato da Paolo VI nell’ottobre del 1965. Ascoltiamo in proposito il commento del padre gesuita Dariusz Kowalczyk, nella 19.ma puntata della nostra rubrica dedicata ai documenti conciliari:

    Gli ordini religiosi non sono elemento indispensabile della Chiesa. Il Concilio tuttavia fa notare che “fin dai primi tempi della Chiesa vi furono uomini e donne che per mezzo della pratica dei consigli evangelici vollero seguire Cristo con maggiore libertà” (n. 1). Possiamo sperare che tali persone ci saranno fino alla fine dei tempi. Il rinnovamento della vita religiosa consiste, da un lato, nel continuo ritorno all'ispirazione originaria degli istituti, e dall’altro - nell'adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi (cfr. n. 2). Il decreto sulla vita religiosa però sottolinea che “le migliori forme di aggiornamento non potranno avere successo, se non saranno animate da un rinnovamento spirituale” (n. 2).

    La castità religiosa, vissuta con autenticità è la contro-prova di “false teorie, che sostengono essere la continenza perfetta impossibile o nociva al perfezionamento dell'uomo” (n. 12). Il Concilio, allo stesso tempo, avverte però che volendo vivere nella castità non si può solo presumere dalle proprie forze, ma ci si deve fidare dell’aiuto divino. La povertà religiosa consiste nel dipendere dai superiori nell’uso dei beni, nell’essere povero nello spirito, ma anche "nell’obbedire alla comune legge del lavoro". L’obbedienza religiosa invece si basa sulla fede che Dio vuole agire nella vita del religioso attraverso i suoi superiori. Così l’obbedienza, “lungi dal diminuire la dignità della persona umana" ma "la conduce alla maturità, facendo crescere la libertà dei figli di Dio” (n. 14). I superiori, da parte loro, dovrebbero governare “quelli che sono loro sottomessi, con rispetto della persona umana e facendo sì che la loro soggezione sia volontaria” (n. 14).

    Non mancano le opinioni che il Concilio, che si è concentrato sul ruolo dei vescovi, non ha approfondito l’importanza per la Chiesa della vita religiosa. Forse questo sarà uno dei compiti di un prossimo Concilio.

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    I bambini sempre più dimenticati dalla Tv, nel Rapporto Media e Minori raddoppiate le violazioni

    ◊   Presentato stamane a Roma il rapporto Media Minori 2010. Bilancio tutto in negativo per la tutela dei piccoli spettatori davanti allo schermo Tv. Il servizio di Roberta Gisotti.

    Gli adulti in Italia sempre più egoisti e indifferenti al bene dell’infanzia. Un dato di fatto che emerge dal Rapporto stilato come ogni anno dal Comitato incaricato di vigilare sul Codice di autoregolamentazione sottoscritto nel 2002 dal Servizio pubblico e dall’emittenza privata; Codice poi recepito nel 2004 nella Legge Gasparri. Ma ciò non è bastato a farlo rispettare né dalla Rai, né da Mediaset, né da Sky, i principali attori della scena televisiva. Cosicché le violazioni lo scorso anno hanno avuto addirittura un’impennata: il 60 per cento in più rispetto al 2009 e il 150 per cento in più rispetto al 2008! Se la Rai è passata da 14 a 19 violazioni accertate, Mediaset le ha più che triplicate da 7 a 23, mentre Sky che non ne aveva alcuna ne ha collezionate ben 17.

    Ma questi numeri sono minimamente indicativi di un flusso continuo di immagine e parole lesive, che dal piccolo schermo ad ogni ora del giorno e della notte si riflettono negativamente sulla vita dei bambini e dei ragazzi, fino a compromettere il sano sviluppo psicofisico di quanti restano – spesso soli - lunghe ore davanti alla Tv, subendo oltre a contenuti inadatti alla loro età anche un bombardamento pubblicitario, che non ha eguali in Europa. In cima alla lista nera stilata dal Comitato sono film e telefilm, seguiti da programmi di intrattenimento farciti di cronaca nera e gossip, che riempiono anche i Tg nella cosiddetta fascia protetta tra le 16 e le 19, che protetta in realtà non è mai stata. Il Comitato esprime giusta preoccupazione e chiede pure di varare un nuovo Codice Media e Minori che comprenda anche i New Media. Ma a cosa servirà - ci si chiede - se il Codice attuale viene calpestato con impudenza dai responsabili delle Tv? Di certo non si è sviluppata – come era auspicabile - una cultura di sostegno al Codice, oltre al fatto che i meccanismi sanzionatori non sono efficaci. Non basta allora una volta l’anno denunciare in sede istituzionale i diritti negati all’infanzia sul piccolo schermo, senza che nulla cambi ma anzi peggiori.

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    Chiesa e Società



    Caritas Corea: “Il passato non conta, faremo di tutto per il Giappone”

    ◊   Non soltanto vittime e rischio nucleare: il devastante terremoto e lo tsunami conseguente che hanno colpito nei giorni scorsi il Giappone hanno provocato anche un’ondata di solidarietà nei confronti di un Paese che, in Asia, è stato sempre visto quanto meno con sospetto. Cina e Corea del Sud, storici oppositori di Tokyo, ma anche le nazioni più vicine all’arcipelago, hanno infatti inviato condoglianze e aiuti umanitari alla popolazione e al governo nipponico. In prima fila ci sono i cattolici sudcoreani e le organizzazioni religiose di Seoul. Il 12 marzo scorso l’arcivescovo di Seoul, cardinale Nicholas Cheong Jin-suk, ha inviato un messaggio a tutti i fedeli e a tutte le parrocchie chiedendo di pregare per la sopravvivenza delle persone scomparse e ha invitato le squadre di soccorso “a lavorare con la massima velocità possibile” per salvare il maggior numero di vite umane. Il porporato ha anche promesso 50mila dollari in aiuti da inviare ai sopravvissuti. Il gesto forse più significativo, tuttavia, l’ha compiuto il presidente della Caritas coreana mons. Lazzaro You Heung-sik. Il vescovo di Daejeon ha infatti chiesto ai fedeli e ai coreani tutti di “dimenticare l’animosità storica che contrappone Corea e Giappone” e ha chiesto a tutti di “pregare con cuore sincero per le vittime e per i sopravvissuti del peggior terremoto che abbia mai colpito il Sol Levante”. In un messaggio a tutti gli operatori Caritas della Corea, mons. You scrive: “Il Giappone è senza dubbio il Paese di cui abbiamo il ricordo peggiore. Ma noi siamo cattolici, crediamo in Dio e nella Sua parola, e per questo dobbiamo pregare, aiutare ed amare i nostri fratelli”. In conclusione, il presule invita tutti coloro che sono in grado di partire ad andare “e fare tutto quello che è in nostro potere per aiutare, con amore”. In termini pratici, la Caritas donerà subito 100mila dollari per i primi soccorsi. Il presidente della Conferenza episcopale coreana, mons. Pietro Kang U-il, ha inviato un messaggio al suo confratello mons. Ikenaga Jun, presidente della Conferenza giapponese per esprimere “solidarietà attraverso ogni forma possibile di assistenza” alle vittime. La Conferenza coreana, inoltre, ha invitato ufficialmente le 16 diocesi coreane a raccogliere fondi da inviare in Giappone. Lo spirito di solidarietà espresso dai vescovi è stato colto molto bene dai fedeli, che su alcuni siti internet inviano messaggi per il popolo giapponese. Fra questi si legge “Giappone, ce la puoi fare”; “Così vicini, ma così lontani… Non importa, siamo una famiglia unica su questa Terra”; “Siamo vicini, e i vicini si aiutano quando si presenta il momento del bisogno”. Anche le denominazioni cristiane si sono unite allo sforzo. Il Consiglio nazionale delle chiese di Corea, tramite il reverendo Kim Young-ju, ha scritto: “Siamo sicuri che i giapponesi riusciranno anche questa volta a superare questa tremenda prova”. Da parte sua, il Consiglio protestante cristiano di Corea ha chiesto ai fedeli di fare donazioni e di pregare per la rapida ripresa dell’area colpita dal terremoto. (R.P.)

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    Le Chiese tedesche chiedono di rinunciare al nucleare

    ◊   A seguito della catastrofe nucleare causata dal terremoto in Giappone, i rappresentanti della Chiesa cattolica ed evangelica tedesca, mons. Robert Zollitsch (Dbk) e Nikolaus Schneider (Ekd), hanno chiesto l’abbandono del nucleare e l’utilizzo di forme energetiche alternative. Durante l’apertura dell’assemblea plenaria dei vescovi cattolici riuniti a Paderborn - riporta l'agenzia Sir - mons. Zollitsch ha ribadito ieri che “l’energia atomica non è l’energia del futuro” ma una “tecnologia di passaggio”. Mons. Zollitsch ha esortato i politici tedeschi a “ripensare al settore energetico per adottare fonti energetiche più ecologiche e sostenibili. Occorre tener conto degli interessi delle generazioni future”. Da parte sua, in un’intervista al quotidiano “Neue Osnabrücker Zeitung”, Schneider ha espresso critiche verso il nucleare, affermando che “in considerazione di quanto accade in Giappone”, “dobbiamo liberarci quanto prima da questa tecnica” e che “non si può pensare a prolungare l’utilizzo dei reattori in Germania. Inoltre, ha ammonito Schneider, “non esiste ancora una soluzione per lo stoccaggio delle scorie atomiche”. (R.P.)

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    Libia: partiti altri 50 rifugiati africani, ma per la Chiesa "occorre fare di più”

    ◊   “Sono partite altre 50 persone tra eritrei ed etiopici, grazie alla generosità dell’Italia. Ma siamo immersi in una sfida apparentemente infinita, perché partite cinquanta persone se ne presentano altre duemila. Ieri avevamo la chiesa invasa dai rifugiati africani che sperano di trovare un posto su un aereo o su una nave per lasciare il Paese” dice all’agenzia Fides mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, in Libia. “Il mio più grande desiderio - continua Mons. Martinelli - è che si trovi il modo di imbarcare tutte queste persone su una nave diretta verso un Paese che decida di accoglierli. Non è giusto farli partire a piccoli gruppi e lasciare la gran parte di loro in un’attesa spasmodica, perché sono soprattutto donne e bambini. Ieri sono rimasti a terra un gruppo numeroso di donne e bambini, alcuni di pochi mesi. Purtroppo non tutti avevano i documenti in regola e quindi sono stati lasciati a terra. Rinnovo l’appello perché queste persone possano essere accolte al più presto da qualche Paese”. “Noi come Chiesa possiamo fare da tramite, ma le nostre forze sono molto ridotte. Aiutiamo queste persone a pagare l’affitto delle case e a comprarsi da mangiare, grazie all’aiuto di alcuni benefattori e della Caritas italiana. Il problema è che i generi alimentari iniziano a scarseggiare sul mercato” afferma il vicario apostolico di Tripoli. Per quel che concerne la comunità cattolica mons. Martinelli loda “le circa 2mila infermiere filippine che sono rimaste. Le loro famiglie, mariti e figli, sono partite, ma loro, donne e ragazze, sono rimaste, dimostrando così un alto senso di professionalità e di coscienza umana, perché altrimenti senza di loro gli ospedali sarebbero sguarniti di qualsiasi assistenza medica”. Inoltre “vi sono ancora diversi africani. Il mercoledì delle Ceneri la chiesa era piena – racconta mons. Martinelli -, i fedeli vengono perché trovano coraggio nella preghiera”. “Torno a ripetere che la pace è ancora possibile e che la due parti possono riconciliarsi – conclude il vicario apostolico -. Ci vorrebbe l’intervento di un’alta autorità morale araba o africana, del livello di Nelson Mandela per intenderci, per avvicinare le due parti. Forse anche qualche autorità ecclesiastica del mondo arabo potrebbe tentare una mediazione. Lo stesso popolo libico non vuole la guerra. La Libia deve ritrovare l’unità. Vi sono diverse persone originarie di Bengasi che vivono a Tripoli, non penso che sia possibile separare il Paese”. (R.P.)

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    Karachi: muore cristiano in carcere per blasfemia. Attivisti: circostanze sospette

    ◊   È morto in carcere mentre scontava l’ergastolo per blasfemia Qamar David, cristiano pakistano originario di Lahore, ma residente a Karachi. Fonti ufficiali confermano che l’uomo è deceduto la scorsa notte nella sua cella, in seguito a un attacco cardiaco; egli in passato aveva subito diversi episodi di violenze fra le mura della prigione. Attivisti per i diritti umani chiedono l’apertura di un’inchiesta per accertare “le vere cause” della morte. Interpellato dall'agenzia AsiaNews, il vescovo di Islamabad parla di “false accuse” montate a carico di David per condannarlo e si chiede “quanto sangue cristiano dovrà ancora scorrere” prima che le famigerate leggi sulla blasfemia vengano “abolite”. Qamar David era originario della cittadina di Hamza, vicino Lahore (Punjab), ma svolgeva il mestiere di imbianchino per contro proprio a Karachi, nel sud del Paese. L’8 giugno del 2006 è stato denunciato, in base agli articoli 295 A e C del Codice penale pakistano, da un rivale d’affari con false accuse di blasfemia; egli, a detta del querelante, avrebbe inviato messaggi telefonici con parole ingiuriose nei confronti di Maometto. In base alle controverse norme sulla blasfemia, introdotte nel 1986 dal dittatore pakistano Zia-ul-Haq, chi usa frasi denigratorie verso il profeta o dissacra il Corano è passibile di condanna a morte o del carcere a vita. In genere i casi di pena capitale vengono commutati nel carcere a vita. Il 25 febbraio 2010 il giudice aggiunto Jangu Khan, del tribunale di Karachi, lo ha riconosciuto colpevole di parole “infamanti” verso Maometto e, in base alla “legge nera” e con la sola testimonianza del suo accusatore, ha condannato Qamar David al carcere a vita. L’uomo è morto nella notte in carcere e per le autorità dell’istituto a stroncarlo è stato un attacco cardiaco. Il responsabile della polizia spiega che il corpo è custodito all’ospedale civile di Karachi, a disposizione delle autorità sanitarie per l’autopsia, che dovrà far luce sulle reali cause del decesso. Gruppi di attivisti per i diritti umani cristiani chiedono la formazione di un comitato di inchiesta per accertare i motivi della morte dell’uomo. Nel frattempo la famiglia si è messa in viaggio verso Karachi, per recuperare la salma. David si trovava in carcere dall’estate del 2006 e, in questi anni di detenzione, aveva subito minacce e percosse sia dalle guardie carcerarie che dai prigionieri. Interpellato dall'agenzia AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, esprime il dolore “personale” e “di tutta la Chiesa cattolica” da diversi giorni in lutto per l’omicidio del ministro cristiano per le Minoranze Shahbaz Bhatti, assassinato il 2 marzo scorso. “Non ci siamo ancora ripresi dalla perdita – afferma il prelato – e questa nuova notizia aumenta le preoccupazioni per il futuro dei cristiani in Pakistan”. Il vescovo parla esplicitamente di “false accuse” di blasfemia a carico di Qamar David e si domanda “quando sangue dovrà essere ancora versato” prima che la “legge nera” venga abolita. Egli punta il dito contro il governo, le cui mani sono “sporche di sangue” e conclude: “questo è un altro triste giorno per le minoranze in Pakistan”. (R.P.)

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    Dopo l’omicidio del ministro Bhatti, la società civile pakistana alza la voce

    ◊   “Il silenzio significa nuovo sangue”. Questa il titolo della campagna promossa dalla cittadinanza del Pakistan che a gran voce chiede di non lasciare impuniti gli assassini del Ministro Shahbaz Bhatti. La rete “Cittadini per la Democrazia” – riferisce l’agenzia Fides - ha lanciato una campagna di firme che in due giorni ha raccolto già 15mila adesioni e ha scritto una lettera aperta alle autorità del Paese. “Vogliamo promuovere il rispetto di tutti i settori della società, senza discriminazioni e dare prova che la società pakistana non accetta l’intolleranza, l’odio, la violenza che hanno portato all’omicidio di Salmaan Taseer e Shahbaz Bhatti”, ha spiegato un attivista pakistano della rete. I promotori si sono riuniti sabato scorso, 12 marzo, a Karaci, presentando la manifestazione e avviando la campagna, che invoca legalità per contrastare il clima di impunità che permette di compiere pubblicamente apologia di reato. La campagna chiede anche a leader e partiti politici di riprendere in mano la scottante questione della legge sulla blasfemia: nessuno può essere definito “blasfemo” e dunque diventare un obiettivo legittimo, perchè difende la dignità, i diritti inalienabili e le libertà fondamentali dell’uomo. Nella lettera aperta, che invita il governo ad assicurare adeguata protezione alla parlamentare Sherry Rehman, pubblicamente minacciata, si chiede al mondo politico un deciso cambio di rotta nella politica conciliante verso i gruppi estremisti islamici e l’immediata incriminazione per chi incita all’odio religioso e all’omicidio, come ha fatto il mullah Yousuf Qureshi, della moschea Mohabbat Khan a Peshawar, annunciando una ricompensa per chi avesse ucciso Asia Bibi. (M.I.)

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    Il cardinale O’Brien: aiuti al governo pakistano solo se rispetta la libertà religiosa

    ◊   Il governo inglese e tutti i governi occidentali, nel fornire aiuti di cooperazione al governo pakistano, dovrebbero porre alcune condizioni: il pieno rispetto della libertà religiosa, la protezione delle comunità cristiane perseguitate, la tutela dei diritti umani per la fine delle discriminazioni sociali e religiose. E quanto sostiene il cardinale Keith O’Brien, arcivescovo di Saint Andrews e Edinburgh, intervenuto oggi a Glasgow, in Scozia, alla presentazione del Rapporto “Perseguitati e dimenticati”, redatto dall’opera “Aiuto alla Chiesa che soffre”. Come riferiscono fonti dell'agenzia Fides, in questi giorni il governo inglese ha annunciato che duplicherà i fondi di cooperazione destinati al governo pakistano, giungendo fino alla ragguardevole cifra di 445 milioni di sterline. Di fronte a questo annuncio, e ricordando il recente omicidio del Ministro Bhatti, il cardinale O’Brien ha detto: “Invitiamo il governo del Regno Unito a ottenere, in via preventiva, garanzie precise dal governo pakistano – e da altri governi – prima di dare questi aiuti. Aumentare gli aiuti al Pakistan quando la libertà religiosa non è tutelata e quando coloro che alzano la voce per difenderla sono assassinati è una politica estera anticristiana”. Il porporato ha aggiunto: “Urge fare pressione sul governo pakistano – e sugli altri governi dei Paesi arabi – per la tutela della libertà religiosa: allo stanziamento di aiuti da parte dei Paesi occidentali deve corrispondere un impegno per il rispetto dei diritti umani”. Il Rapporto 2011 di “Aiuto alla Chiesa che Soffre” rileva che il 75% delle persecuzioni sui credenti nel mondo riguarda i cristiani, e nota che la situazione delle comunità cristiane è peggiorata, fra gli altri, in Paesi come Afghanistan, Pakistan e Iraq. (R.P.)

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    Pakistan: le persone disabili rischiano di cadere vittime della tratta

    ◊   Vivere con una disabilità in una città come Karachi è già abbastanza difficile, ora si è aggiunto anche il problema del traffico di queste persone, destinate a mendicare nei Paesi limitrofi. In una nota recentemente diffusa dalla polizia pakistana del distretto Khairpur di Sindh, si legge che centinaia di persone disabili sono oggetto di tratta, molti provengono dalla provincia meridionale di Sindh, e sono destinati all’Iran. Negli ultimi mesi circa 300 persone con disabilità sono state portate nel Paese asiatico per chiedere l'elemosina, ma si teme che potrebbero essere molte di più. "La banda dei trafficanti si sta allargando in tutta la provincia" ha dichiarato Salam Dharejo, responsabile della Ong per la tutela dei diritti dei bambini lavoratori. La tratta è un problema crescente in entrambi i distretti di Khairpur e Shikarpur. In Iran, i pakistani disabili, bambini e adulti, mendicano fuori dei santuari o delle moschee. Altri vengono semplicemente rapiti con la conseguente richiesta di riscatto. Secondo il Rapporto 2010 sul traffico degli esseri umani, curato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, il Pakistan è definito un Paese "Tier 2", ossia uno di quelli "i cui governi non sono pienamente conformi alle norme minime del Trafficking Victims Protection Act's, ma che stanno compiendo sforzi significativi per mettersi in conformità con tali norme". Nel Rapporto ripreso dall'agenzia Fides, si legge ancora che il Pakistan è "un Paese che fa da fonte, transito e destinazione di uomini, donne e bambini sottoposti al traffico di persone, in particolare al lavoro forzato e alla prostituzione". Sin da bambini, ai disabili viene detto che non sono buoni a nulla e che dipenderanno per sempre dagli altri. Sono pesantemente svantaggiati nel settore educativo e spesso quelli provenienti da famiglie povere sono destinati a mendicare. Secondo le stime del governo pakistano, nel 2009 i disabili nel Paese erano 6.789, ma da uno studio dell'agenzia giapponese per lo sviluppo, Jica, risultano essere il 2.49% su 165 milioni di abitanti. Il 2% dei lavori governativi sono destinati ai disabili, ma devono risultare registrati. Spesso sono autorizzati all'assistenza medica gratuita e alla riabilitazione in tutti gli ospedali federali del governo. Tuttavia, molti non sono registrati e non hanno un reddito fisso, e spesso sono costretti a chiedere l'elemosina per le strade. Queste persone hanno poche opportunità a disposizione per guadagnarsi da vivere in qualsiasi altro modo. (R.P.)

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    India: veglia di preghiera e digiuno per la sicurezza dei cristiani del Karnataka

    ◊   La comunità cristiana di Mangalore ha iniziato una lunga veglia di preghiera e di digiuno per la pace e la sicurezza nel Karnataka, teatro più di due anni fa di un’ondata di violenze anti-cristiane e tornato in queste settimane al centro delle cronache per il dibattito sul mancato riconoscimento di quegli attacchi da parte delle autorità. Per tre settimane - ha spiegato all’agenzia Ucan il promotore dell’iniziativa, il padre carmelitano Nelson Pinto, - i cattolici della diocesi parteciperanno a una maratona di preghiere e si asterranno dalla carne e da tutti i loro cibi preferiti sull’esempio del Profeta Daniele che, come racconta nella Bibbia, fece penitenza per tre settimane rinunciando al buon cibo, alla carne e al vino. Ad inaugurare la veglia, il 10 marzo, è stato il vescovo della città Aloysius Paul D’Souza che ha ricordato come dagli attacchi del 2008 i cristiani del Karnataka vivano “in costante terrore” e si sentano insicuri. “Offriamo 21 giorni di preghiere e digiuno per l’incolumità dei cristiani”, ha detto il presule all’apertura del digiuno cui hanno partecipato 600 fedeli. Le violenze contro i cristiani nel 2008 scoppiarono appena tre mesi dopo la salita al governo locale del partito nazionalista Baratiya Janata Party (Bjp), ritenuto un fiancheggiatore dei gruppi estremisti indù. Nei primi giorni furono danneggiati almeno 27 edifici cristiani. In tutto, in quell’anno, si contarono oltre 113 attacchi in 29 distretti. Leader e fedeli cristiani del luogo continuano a denunciare che le violenze non si sono fermate, ma proseguirebbero nell’indifferenza e anche con la complicità delle istituzioni civili, come confermano purtroppo due nuovi episodi verificatisi in questi giorni: gli atti vandalici contro un cimitero cattolico a Mysore e l’arresto di due pastori evangelici accusati di compiere “conversioni forzate”. (L.Z.)

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    L’arcivescovo Williams invita i leader anglicani a pregare per i cristiani perseguitati nel mondo

    ◊   Preoccupazione e angoscia – riferisce l’Osservatore Romano - sono state espresse dall'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, in una lettera inviata ai diversi capi delle comunità anglicane, per le minacce quotidiane e le persecuzioni contro le sorelle e i fratelli cristiani che vivono nei Paesi più a rischio del mondo. In occasione dell'approssimarsi della Pasqua l'arcivescovo Williams invita tutti i fedeli a “pregare affinché ci si avvicini maggiormente alla realtà dell'amore di Cristo e del suo sacrificio per noi, cosicché il suo spirito ci raggiunga in maniera più potente e ci permetta di condividere quell'amore con il mondo. I nostri pensieri - spiega il primate della Comunione anglicana - sono rivolti in special modo ai responsabili e alla popolazione del Medio Oriente e di Gerusalemme, costretti ad affrontare quotidianamente la massiccia instabilità e incertezza. Ricordiamo anche il nostro vescovo di Gerusalemme, ancora in attesa di chiarimenti in merito al suo diritto di residenza. Pensiamo con angoscia alle sofferenze e alle ansie della Chiesa in Pakistan, nel quadro dei brutali omicidi che si sono verificati nelle ultime settimane”. I continui attacchi alle comunità cristiane in alcune parti della Nigeria sono motivo di profonda angoscia e preoccupazione per la Comunione anglicana. A tal riguardo Williams ricorda il recente incontro con il primate anglicano in Nigeria nel corso del quale si è discusso della necessità per i cristiani di tutto il mondo di mantenere alta l'attenzione su tale questione presso i propri Governi. “In Zimbabwe - prosegue la lettera - la nostra comunità è ancora oggetto di costante attacco a causa della sua posizione coraggiosa a favore della giustizia. Nel Sudan meridionale, dopo il referendum che è stato più pacifico di quanto si osasse sperare, si deve affrontare l'enorme sfida di contribuire alla formazione di una nuova nazione. Gli attuali sviluppi nella zona di Abyei evidenziano che il rischio di ulteriori conflitti e lo spostamento delle popolazioni è ben lungi dall'essere un ricordo del passato. Ringraziamo i nostri fratelli e le nostre sorelle che continuano a servire con spirito di sacrificio nelle situazioni di disastri naturali, mostrando come l'amore di Dio in Cristo può ispirare una sollecitudine fedele e preziosa per tutta la comunità”. Una preghiera particolare, nel messaggio scritto prima dei drammatici eventi in Giappone, viene rivolta anche ai cittadini di Christchurch, in Nuova Zelanda, dopo il terremoto che ha causato molte vittime e distrutto la cattedrale anglicana insieme con molte altre chiese. “Lì, come ad Haiti e in Pakistan l'anno scorso, la Chiesa ha dimostrato al di là di ogni dubbio che essa è un'efficace compassionevole presenza per la guarigione di una comunità devastata. Il paesaggio che sta di fronte a noi - continua Williams - è per molti versi cupo. Ma ciò che è miracoloso, come sempre, è la fedeltà dei credenti nel bel mezzo di questi avvenimenti. I cristiani in Pakistan o in Egitto ancora continuano ostinatamente ad amare il loro prossimo e il loro nemico e rifiutano di adeguarsi ai modelli del mondo. Questi eventi ci ricordano anche l'importanza della nostra fratellanza in tutto il mondo. (R.G.)

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    Iraq. Mons. Warduni: “Non disperdere il ricordo di mons. Rahho”

    ◊   “La vita e la morte di mons. Faraj P. Rahho è una luce che illumina la nostra vita e ci dà la forza di rimanere come testimoni della fede cristiana pur in una situazione così difficile”. Queste le parole pronunciate da mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo di Mosul, durante la celebrazione della messa in ricordo di mons. Faraj P. Rahho, suo predecessore, trovato morto il 12 marzo di tre anni fa nei dintorni del Paese, dove era stato rapito il 29 febbraio. Nel corso della celebrazione è stato ricordato anche il 25mo anniversario della fraternità “Carità e Gioia”, fondata da mons. Rahho per la cura dei disabili. A guidarla oggi è il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, che durante il rapimento condusse le trattative con i rapitori. “Sono stati giorni tristi – ha raccontato il vicario all’agenzia Sir - non sapevamo a chi rivolgerci, abbiamo cercato l’appoggio di tutti, anche di gruppi militanti”. “Ad un certo punto – ha sottolineato - ci sembrava di vedere la luce in fondo al tunnel, salvo poi piombare nello sconforto quando fu ritrovato il corpo senza vita di mons. Rahho”. “Mi ero anche offerto ai rapitori al suo posto – ha sottolineato mons. Warduni - ma senza esito”. “Lo spirito di perdono e di riconciliazione – ha affermato il vicario – è stato il grande lascito di mons. Rahho alla chiesa irachena”. “È importante – ha concluso mons. Warduni - che il suo ricordo e quello di altri martiri non vada disperso”. (M.I.)

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    Madagascar: i vescovi esprimono grande preoccupazione per la crisi nel Paese

    ◊   Preoccupazione dei vescovi del Madagascar per la grave crisi politica che da circa due anni rende dura e difficile la vita del popolo malgascio. Mon. Benjamin Marc Ramaroson, vescovo di Farafangana - intervistato dal Catholic Relief Services - dipinge un quadro fosco della situazione sull'isola. “Il popolo malgascio - sottolinea il presule - è stanco delle molteplici preoccupazioni quotidiane (come la mancanza di accesso alle cure e ai farmaci, la disoccupazione, la diffusa povertà) e delle continue calamità naturali, compresa l’ultima dello scorso febbraio, che ha causato la morte di oltre 34 persone e lo sgombero di oltre 216mila abitanti dalle proprie abitazioni”. Il Madagascar, ricco di materie prime, è uno dei Paesi più poveri del mondo. La crisi politica scoppiata all’indomani delle dimissioni del presidente Marc Ravalomanana – riferisce l’Osservatore Romano - ha aggravato le già precarie condizioni economiche del Paese. Altro problema che patisce il Madagascar sono le sanzioni della comunità internazionale che ha tagliato, dal 2009, il proprio aiuto, mentre il bilancio dello Stato dipende in gran parte proprio da finanziamenti internazionali. “Il fatto che lo Stato non riceva più aiuti internazionali – ha spiegato mons. Ramaroson - ha accentuato ulteriormente la difficile situazione socio-politica già precaria a causa della crisi”. Per larga parte, il popolo malgascio riesce a sopravvivere per gli aiuti umanitari, per l'attività incessante della comunità ecclesiale locale attraverso la Caritas e le associazioni, gruppi e movimenti di ispirazione cattolica. Secondo mons. Ramaroson, i pur lodevoli sforzi umanitatri non possono costituire “la soluzione a tanti gravi problemi”. Il vescovo, nell'auspicare un nuovo, condiviso cammino verso il bene comune in Madagascar, pone la sua speranza nelle elezioni presidenziali e parlamentari di quest'anno, anche se ammette che c'è ancora molta strada da percorrere per appianare le frequenti tensioni e i contrasti nella vita politica malgascia. “Fin dall'inizio – ricorda il presule - i vescovi hanno sottolineato che l'esito della crisi politica sono proprio le elezioni”. “Stiamo lavorando nella nostra diocesi - ribadisce - per conformarci di più allo Stato di diritto”. “La Chiesa - ribadisce il presule - è chiamata a svolgere un ruolo determinante in vista delle prossime elezioni, non schierandosi politicamente, ma indicando nelle scelte quei candidati che nei loro programmi politici abbiano a cuore il rispetto della persona, della vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale, la libertà di educazione e di espressione religiosa, la solidarietà”. (M.I.)

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    Sudan: l'impegno delle Chiese per il rispetto dei diritti umani nei due futuri nuovi Stati

    ◊   Le Chiese sudanesi “resteranno vigili e non rimarranno in silenzio di fronte a un’ingiustizia o a una violazione dei diritti umani nel Paese”. È l’impegno scaturito da una riunione del Consiglio delle Chiese del Sudan (SCC) svoltasi nei giorni scorsi a Juba e dedicata all’esame della situazione dopo il referendum per l’indipendenza del Sud Sudan e alle sfide future che attendono i due futuri Stati. Nella dichiarazione finale dell’incontro, riferisce all’africa.com ripresa dall’agenzia Apic i leader cristiani esprimono soddisfazione per lo svolgimento pacifico della consultazione, ma si rammaricano anche di dovere “ancora una volta condannare e respingere nel modo più netto ogni forma di violenza che causi la morte, la tortura e l’espulsione di masse di persone innocenti in una fase in cui doveva finalmente prevalere la pace”. I problemi all’origine della guerra - rileva la dichiarazione - restano insoluti, il trauma provocato dal conflitto è ancora profondo e troppo facile è l’accesso alle armi. I leader cristiani si impegnano quindi “ad intensificare da subito i propri sforzi per riconciliare il popolo sudanese e a contribuire alla costruzione di due nazioni pacifiche e giuste”. La dichiarazione, firmata dal presidente del SCC, il reverendo Ezekiel Kondo, evidenzia come anche dopo il 9 luglio (data in cui è prevista la dichiarazione d’indipendenza del Sud Sudan), i due nuovi Stati resteranno comunque multietnici, multiculturali e multi-confessionali e che quindi le costituzioni che si daranno dovranno tenere conto di questa realtà. In conclusione le Chiese cristiane sudanesi si impegnano a rispettare e ad applicare pienamente i valori etici che difendono e ad aiutare stabilire costituzioni che riflettano questi valori e questa etica”. (L.Z.)

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    Sud Sudan: evacuati i bambini dopo scontri armati nel Villaggio Sos di Malakal

    ◊   Sabato scorso un gruppo di ribelli è entrato nel Villaggio Sos di Malakal, nel sud del Sudan, che si è tramutato in teatro di violenti scontri armati tra loro e i soldati della Spla (Sudan People's Liberation Army). “Negli ultimi giorni la situazione a Malakal è precipitata. I ribelli si sono rifugiati in una delle case famiglia e sono stati circondati dai soldati e dalla polizia. Gli scontri si sono ripetuti anche domenica scorsa. L’intero staff e 103 bambini accolti nel Villaggio Sos, sono stati trasferiti temporaneamente in un albergo situato in un’area sicura” informa Franco Muzio, direttore di Sos Villaggi dei Bambini. Nelle settimane passate lo stesso Villaggio Sos di Malakal aveva offerto accoglienza temporanea a 150 famiglie, che sono state costrette a lasciare le loro case a causa degli scontri. Sos Villaggi dei Bambini è presente a Malakal dal 2002. Offre sostegno alla comunità locale attraverso il Centro di Sviluppo Sociale Sos, e accoglie 103 bambini nel Villaggio Sos. Già durante le due gravi crisi del 2006 e del 2009, l’Associazione ha offerto protezione, materiale sanitario e assistenza medica nelle aree di conflitto, a migliaia di bambini e alle loro famiglie. (R.P.)

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    Kenya: i vescovi lanciano un programma di educazione civica sulla nuova Costituzione

    ◊   La Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale keniana ha promosso, nel periodo di Quaresima, uno speciale programma di educazione civica sulla nuova Costituzione. Il corso, per il quale è stato preparato un sussidio distribuito nelle parrocchie, è rivolto a tutti i fedeli ai quali saranno illustrati in modo accessibile i contenuti e le implicazioni della Carta costituzionale approvata con un referendum lo scorso agosto dopo un lungo iter parlamentare. Nel programma – riferisce l’agenzia Cns – è previsto l’approfondimento di vari temi importanti: dai diritti umani, alla selezione della leadership politica, al traffico di esseri umani, alla giustizia. “Vogliamo che i cittadini keniani comprendano appieno la nuova legge fondamentale, piuttosto che accontentarsi delle spiegazioni dei leader politici”, ha spiegato al lancio dell’iniziativa mons. Zacchaeus Okoth, presidente della Commissione Giustizia e Pace. Nell’introduzione al sussidio, l’arcivescovo invita i fedeli cattolici “a puntare la loro attenzione sugli aspetti positivi della Costituzione e ad accertarsi che sia attuata in modo da promuovere la vita, l’uguaglianza e la dignità di tutti i keniani”. Durante il dibattito sulla riforma costituzionale, i vescovi, insieme alle altre Chiese cristiane nel Paese, avevano espresso la loro ferma contrarietà ad alcune parti del testo, in particolare a un articolo che a loro avviso rischia di aprire la strada alla legalizzazione dell'aborto. Obiezioni che non sono state accolte. Dopo l’esito positivo del referendum del 4 agosto 2010, la Chiesa si è detta peraltro pronta a partecipare alla messa a punto e al processo di attuazione della Carta fondamentale. Secondo quanto anticipato all’agenzia Cns dal Ministro della Giustizia Mutula Kilonzo, essa entrerà in vigore dopo le elezioni generali del 2012. (L.Z.)

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    Bolivia: al via l’incontro continentale dei direttori nazionali delle Pom

    ◊   Con la Concelebrazione Eucaristica presieduta dal nunzio apostolico, mons. Giambattista Diquattro, ha avuto inizio ieri pomeriggio, il VII Incontro continentale dei direttori nazionali delle Pom (Pontificie Opere Missionarie) d'America, che si svolge in Bolivia, nella città di Santa Cruz. I delegati provengono da 22 Paesi e durante questo incontro rifletteranno sulla realtà del lavoro missionario nel continente americano. La Messa inaugurale - riporta l'agenzia Fides - è stata celebrata nella cappella della casa "Giovanni XXIII", a Santa Cruz, presieduta dal nunzio apostolico, il quale durante l'omelia ha affermato che il lavoro proposto, la missione, è una azione ispirata dallo Spirito che ha avuto inizio con la nascita della Chiesa stessa e proseguirà fino alla fine per l'azione dello Spirito di Dio, e noi siamo strumenti di questa opera. In serata, mons. Eugenio Scarpellini, direttore delle Pom della Bolivia, ha presentato ai partecipanti il programma dell'incontro di quattro giorni, evidenziando la presenza di quattro delegati delle missioni provenienti dalle diverse zone della Bolivia: padre Osvaldo Peña, responsabile a Santa Cruz, suor Diva che rappresenta la regione settentrionale, suor Aparecida della zona della Chiquitania e padre Leopoldo, della zona delle valli. Le aspettative per questo incontro sono alte, in particolare, per lo scambio delle esperienze. Per questa opportunità sono presenti delegati provenienti da diversi Paesi, con differenti realtà sociali ed ecclesiali. Il contributo di tutte queste esperienze e testimonianze stimolerà il cammino della missione nel continente. (R.P.)

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    Campagna del Consiglio Ecumenico delle Chiese per il diritto all'acqua di tutti gli esseri umani

    ◊   Riflettere e agire per rendere l’accesso e la distribuzione delle risorse idriche un diritto di tutti gli esseri umani. Questo l’impegno sotteso alla campagna “Sette settimane per l’acqua: acqua, conflitto e giusta pace”. Un’iniziativa – riferisce l’Osservatore Romano - condotta dalla Rete ecumenica per l’acqua, organizzazione di rappresentanza di varie comunità cristiane e di ong, coordinata dal Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc). La campagna, giunta alla sua quarta edizione, coincide con il periodo della Quaresima. “Tradizionalmente il tempo che precede la Passione - spiega la responsabile della rete, Maike Gorsboth - è destinato alla riflessione su ciò che è necessario per la vita”. La prima settimana, conclusasi ieri, è stata dedicata al tema “Terra e acqua”. Fino al 24 aprile saranno affrontate questioni inerenti i conflitti legati al libero utilizzo delle risorse idriche ed energetiche, in particolare nei Paesi africani e del Medio Oriente. Altri sette giorni saranno poi incentrati sulle donne e le violenze. “Per sette settimane - aggiunge - incoraggeremo i fedeli a farsi promotori attivi” dei diritti per l’acqua “presso tutte le sedi internazionali”. Sarebbero oltre 900 milioni le persone nel mondo che non hanno libero accesso alle risorse idriche. Una situazione, osserva la Rete ecumenica per l’acqua, che non è dovuta soltanto alla scarsità delle risorse, ma anche allo sfruttamento senza regole. Utilizzo dell’acqua crescente e insostenibile o di altre risorse a scopi agricoli e industriali, degrado ambientale e inquinamento: sono queste alcune delle principali cause che alimentano le situazioni di malessere sociale in vari Paesi e che spesso sono causa di conflitti. A questo va anche aggiunta la tendenza ad affidare a strutture private lo sfruttamento delle risorse idriche o di altro genere. La Rete ecumenica evidenzia che “sempre più l’acqua, è considerata come un normale bene commerciale e non come un diritto”, per cui “accade sempre più spesso che là dove sono stati avviati dei progetti di privatizzazione, ai poveri e alle persone disagiate viene precluso l’accesso all’acqua”. (R.G.)

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    Terra Santa: le reliquie della Patrona delle Missioni arrivate a Gerusalemme

    ◊   Le reliquie di Santa Teresa di Lisieux, Patrona delle Missioni, sono arrivate ieri all'aeroporto di Tel Aviv, accolte dal nunzio apostolico in Israele, mons. Antonio Franco, dal Patriarca latino, Fouad Twal, e da altri 25 rappresentanti della Chiesa cattolica in Terra Santa. Subito dopo le reliquie sono state trasferite a Gerusalemme. Secondo quanto riferito all’agenzia Fides dal vice-custode di Terra Santa, padre Artemio Vitores, “i resti mortali di Santa Teresa di Lisieux, Patrona delle Missioni, verranno custoditi nella residenza del delegato apostolico a Gerusalemme fino al 16 marzo, quando si effettuerà l’ingresso solenne al Patriarcato Latino". La celebrazione di ingresso delle Reliquie di Santa Teresina a Gerusalemme si svolgerà quindi domani e prevede: alle ore 16.30, l’ingresso delle spoglie alla Porta di Giaffa, seguito alle ore 17.30 da una celebrazione presso il Patriarcato Latino di Gerusalemme. (R.P.)

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    Germania: celebrata la Settimana della fratellanza

    ◊   Rappresentanti della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca (Ekd) e della Conferenza generale e dei rabbini ortodossi si sono incontrati ieri a Minden, nell’ambito della tradizionale Settimana della fratellanza, dedicata quest’anno ai mutamenti socio-politici in Germania. Al termine del colloquio, i partecipanti hanno dichiarato che “la secolarizzazione e la presenza dell’Islam è uno dei cambiamenti sociali più importanti” e che “nel dibattito spesso condotto in modo controverso su questi temi, vengono affrontate questioni fondamentali che riguardano non solo la politica per l’integrazione” ma anche la libertà religiosa. I rappresentanti religiosi - riferisce l'agenzia Sir - hanno sottolineato la necessità di “continuare a cercare il dialogo” e hanno perciò concordato di “continuare a curare un approccio reciproco rispettoso, come base per la coesistenza delle religioni” e “in particolare con l’Islam”, moltiplicando gli sforzi per contrastare il razzismo, l’antisemitismo e la xenofobia. “Le opportunità offerte da una società democratica per uno scambio fruttuoso tra le religioni, nell’ambito di una libertà religiosa”, hanno concluso i rappresentanti cristiani ed ebraici, “devono essere sfruttate consapevolmente per contribuire ad una coesistenza pacifica delle persone”. (R.P.)

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    Riconoscimento a Davide Dionisi della Radio Vaticana al "Premio Cronista 2011"

    ◊   È andato alla Radio Vaticana uno dei riconoscimenti speciali della 37.ma edizione del “Premio Cronista 2011 – Piero Passetti”, indetto dalla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), sezione Unione nazionale cronisti italiani. Tra le 70 candidature al vaglio della giuria, scelte nel settore della carta stampata, radio-tv e nuovi media, sono stati individuati i due vincitori del Premio, che verrà consegnato a Viareggio il 26 marzo: si tratta di Anna Buttazzoni, del Messaggero Veneto, e di Marco Giovannelli, del Messaggero.it. carta stampata, della informazione radio-teletrasmessa e dei nuovi media giunte da tutta Italia. Il nostro collega Davide Dionisi si è invece aggiudicato uno dei premi speciali messi a disposizione dalle più alte Istituzioni. Oltre a Dionisi, analogo riconoscimento è stato attribuito ad Antonio Crispino (Studio Aperto), Grazia Graziadei (Rai Tg1), Claudio Marincola (Il Messaggero), Antonio Manzo (Il Mattino), alla redazione della testata on line Mixa, a Valeriana Semeraro, Luca Giuntini, Daniele Tagliavia, Gianluca Oldani (L’inkre@dibile dell’Università di Padova), Alessandra Vaccari (L’Arena), Giovanna Vitale (La Repubblica). Riguardo ai vincitori del Premio principale, la Buttazzoni è stata premiata per i servizi sugli abusi nell’utilizzazione dell’auto blu di servizio da parte del Presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia, Giulia Edouard Ballaman. Dopo un tentativo di negare l’evidenza, documentata dagli articoli del Messaggero Veneto, la Ballaman si è dovuta dimettere. Giovannelli ha invece raccontato la storia della signora Ginetta, 91 anni, sotto sfratto. Il giorno in cui la signora viene ricoverata in ospedale, l’ufficiale giudiziario si introduce nell’appartamento e cambia la serratura. I servizi del Messaggero.it inducono il Comune a fornire alla signora un nuovo alloggio. Nei prossimi giorni saranno comunicati anche i vincitori dei Premi Vita di Cronista, Città di Viareggio, Provincia di Lucca e dell’International award reporter of the year, che completano l’insieme del Premio Cronista. (A.D.C.)

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    24 Ore nel Mondo



    Marcia della pace con migliaia di persone a Karachi contro le violenze di gruppi politici

    ◊   Migliaia di persone hanno preso parte oggi a una “marcia della pace” a Karachi, la più grande città portuale nel sud del Pakistan, dove continuano i regolamenti di conti tra gruppi politici rivali. Nelle ultime 24 ore, almeno 15 persone sono state uccise in diversi incidenti nella città. Il bilancio degli ultimi cinque giorni è così salito a oltre 40 morti e decine di feriti. La nuova ondata di violenza è scoppiata giovedì scorso quando la Corte Suprema ha deciso di rimuovere il giudice Deedar Hussein dalla guida di un organismo governativo anti corruzione. Ma intanto, almeno tre appartenenti a un comitato di pace anti talebano sono stati uccisi in un agguato stamattina nel distretto tribale di Mohmand, nel nord ovest del Pakistan. Lo riferisce la tv Samaa. Un gruppo di sospetti militanti islamici ha attaccato un posto di blocco nell'area di Baizai presidiato dalla milizia locale che collabora con le forze governative nella lotta contro i ribelli estremisti nelle regioni confinanti con l'Afghanistan. La scorsa settimana un kamikaze si era fatto esplodere durante un corteo funebre dove erano riuniti diversi appartenenti a milizie anti talebane, chiamate “lashkar” nei pressi di Peshawar, causando la morte di 37 persone.

    Bloccata da Israele nave diretta a Gaza con armi
    Un commando della marina militare israeliana ha abbordato e fermato in alto mare una nave mercantile liberiana, proveniente dalla Turchia con a bordo un carico di armi e munizioni destinati, secondo Israele, a “organizzazioni terroristiche” nella Striscia di Gaza. Il portavoce militare israeliano, nel darne oggi notizia, ha affermato che la nave "Victoria" era partita dal porto siriano di Latakia, aveva raggiunto quello turco di Mersin, da dove aveva poi levato le ancore in direzione di Alessandria. Il portavoce ha sottolineato che la Turchia “non è in alcun modo implicata nella vicenda”, ma ha alluso a una complicità della Siria e dell'Iran. Le relazioni tra Israele e Turchia sono tese dopo l'arrembaggio della nave turca Mavi Marmara, lo scorso maggio, nel corso del quale nove pacifisti turchi filo-palestinesi furono uccisi in scontri con soldati israeliani.

    A Gaza, manifestazioni per l’unificazione tra Hamas e Al fatah
    Per il secondo giorno consecutivo nella città di Gaza si è tenuto un raduno di massa a sostegno della riunificazione tra Hamas, il gruppo radicale che controlla la Striscia di Gaza, e al-Fatah, il partito nazionalista che domina nell'Autorità Nazionale Palestinese, e che governa le aree autonome della Cisgiordania.

    Obama esamina con il segretario della Difesa il ritiro dall’Afghanistan
    Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha incontrato ieri a Washington il segretario della Difesa americano, Robert Gates, e il comandante delle forze militari in Afghanistan, generale David Petraeus, “per discutere del piano che prevede di cominciare a ridurre la forze militari Usa a partire da luglio”. Lo ha reso noto la Casa Bianca, precisando che nell'incontro Obama, Gates e Petraeus hanno valutato anche “la crescita delle forze di sicurezza afghane” in vista “del previsto annuncio il prossimo 21 marzo da parte del presidente afghano, Hamid Karzai, dell'inizio della transizione della sicurezza alle forze afghane”. La Casa Bianca ha precisato che il piano strategico messo a punto a suo tempo prevede che entro il 2014, l'Afghanistan abbia la piena responsabilità della sicurezza nel Paese. Intanto, oggi in due province dell'Afghanistan orientale l'azione di un kamikaze e lo scoppio di un ordigno rudimentale (ied) hanno causato la morte del preside di un istituto scolastico e di un ex presidente di consiglio provinciale. Entrambi gli attentati, si è appreso, sono stati rivendicati dai talebani.

    In Tunisia negata l’autorizzazione a partiti confessionali
    Il ministero dell'Interno tunisino ha respinto la richiesta di autorizzazione alla costituzione di un partito confessionale, così come aveva già fatto nei giorni scorsi per altre formazioni politiche che si rifanno esplicitamente all'islam. Questa volta, riferisce la Tap, è stato opposto il no ad attività politiche per il Partito dell'unità araba ed islamica. Stessa sorte hanno subito le richieste di riconoscimento proposte dal Partito per la libertà e la dignità, dal Partito della giustizia e dello sviluppo e dal Partito d'unicità e della riforma. È stata invece autorizzata la costituzione di altri tre partiti (quello repubblicano, quello della Gioventù per la rivoluzione e la libertà e quelle della Dignità per la giustizia e lo sviluppo). Dalla dissoluzione del regime di Ben Ali il numero dei partiti ufficialmente riconosciuti è salito a 37.

    Il leader dell’opposizione eletto presidente in Niger
    Il leader dell'opposizione Mahamadou Issoufou ha vinto con quasi il 58% dei suffragi le elezioni presidenziali del Niger, secondo i risultati ancora provvisori del secondo turno resi noti ieri dalla commissione elettorale. Issoufou ha ottenuto circa 1,8 milioni di voti, pari al 57,95%, contro 1,3 milioni ottenuti dall'ex premier Seini Oumarou, pari al 42,05%. Il 6 aprile è prevista l'investitura del nuovo presidente, con il quale la guida del Paese, ricco di uranio, tornerà ai civili, dopo un anno di governo della giunta militare che ha preso il potere con un colpo di Stato nel febbraio 2010.

    Tra ieri e oggi oltre 1600 persone sbarcate a Lampedusa
    Proseguono gli sbarchi di migranti sull’isola italiana di Lampedusa. Oltre 20 barconi sono arrivati a Lampedusa da ieri mattina. Si è parlato subito di oltre 1600 persone. Nella notte un pattugliatore della Marina ha soccorso 129 immigrati alla deriva. Al momento al centro di accoglienza di Lampedusa ci sono oltre 2800 migranti a fronte di un limite di 800 posti. Inoltre, potrebbe aver fatto un numero maggiore di vittime il naufragio al largo della Tunisia tra domenica e lunedì di cui hanno dato testimonianza tunisini giunti ieri a Lampedusa. Secondo fonti locali, le barche partite da Zarzis avevano almeno 60-70 persone e non, come si riteneva, una quarantina. A Lampedusa, Francesca Sabatinelli ha raggiunto telefonicamente Barbara Molinario, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur):

    R. – Tra ieri ed oggi sono arrivate quasi duemila persone a Lampedusa, in 26 sbarchi; sono migranti tunisini che arrivano direttamente dalla Tunisia. La maggior parte sono uomini tra i 20 ed i 30 anni, c’erano anche donne e minori non accompagnati ma in una percentuale minima rispetto agli uomini.

    D. – Stiamo parlando di persone che per la maggior parte si possono definire immigrati di tipo economico?

    R. – Sì: da quello che stiamo riscontrando noi, la maggior parte delle persone che arrivano dalla Tunisia ci dicono di essere venuti per motivi economici: spinti da una crisi economica molto forte e dall’insicurezza, da una sfiducia nel futuro. Ci sono anche persone che sono bisognose di protezione e quindi fanno domanda di protezione internazionale, però sono veramente una percentuale minima rispetto alle persone che stanno arrivando.

    D. – Queste persone vengono portate nel Centro di accoglienza di Lampedusa che normalmente gestisce posti per 850 persone. Che situazione si sta creando nel Centro di accoglienza?

    R. – La situazione in questo momento è critica. Si stanno reperendo altre strutture sull’isola per decongestionare; Lampedusa è chiaramente un centro di transito, e quindi sarebbe bene trasferire il numero maggiore di persone oggi, anche per prepararsi a sbarchi ulteriori, in giornata.

    D. – La Capitaneria si aspetta ulteriori sbarchi?

    R. – Oggi sì: il mare è calmo e quindi è facile prevedere che ci siano nuovi arrivi.

    D. – Quali sono le emergenze che l’Acnur ha messo in evidenza?

    R. – La priorità assoluta per Lampedusa è trasferire i migranti in altri centri di accoglienza in Italia. (gf)

    L’Iran reagisce con disappunto all’idea di truppe da Paesi del Golfo in Bahrein
    L'Iran ha bollato come "inaccettabile" l'arrivo di truppe straniere nel Bahrein dove da settimane la maggioranza sciita protesta contro le discriminazioni a favore della minoranza sunnita, cui fa capo la stessa Famiglia Reale. Ieri l'Arabia Saudita aveva inviato nel piccolo sceiccato oltre un migliaio di soldati con ingenti mezzi in appoggio, per contribuire al mantenimento dell'ordine pubblico.

    Il Consiglio d’Europa critica duramente la Grecia per le condizioni nelle carceri
    Carceri in mano a gruppi di detenuti e centri per immigrati sovraffollati e tenuti in uno stato pietoso. Queste le dure accuse alla Grecia contenute in una dichiarazione pubblica del Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d'Europa. Quella è la prima volta che il Cpt fa una dichiarazione pubblica nei confronti di un paese membro della Ue, e solo la sesta volta da quando è stato creato nel 1989. Ma il ricorso a una dichiarazione pubblica, secondo il Cpt è stato reso necessario vista la totale inerzia delle autorità greche e alla costatazione che da quando il Cpt ha iniziato a visitare il Paese nel 1993 la situazione non ha fatto che peggiorare.

    Ogni giorno scompaiono a Mumbai 28 persone: la denuncia di "Times of India"
    Ogni giorno 28 persone scompaiono a Mumbai, la metropoli dello Stato centrale indiano del Maharashtra, in maggior parte giovani donne destinate al mercato della prostituzione. Lo riferisce il quotidiano "Times of India" che denuncia un allarmante aumento del traffico di esseri umani in India negli ultimi due anni. Nel 2009-2010 nella megalopoli e centro finanziario indiano sono sparite 20.682 persone, di cui 5.654 sono giovani donne di età compresa tra i 19 e 35 anni, secondo dati della polizia. Il fenomeno è in crescita anche se si considera l'intero Stato del Maharashtra, dove nel 2010 sono scomparse 12.819 mila ragazze contro le 11.295 dell'anno precedente. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 74

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.