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Sommario del 12/03/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Giappone: oltre 1400 vittime. 10mila dispersi in una città portuale. Centrale nucleare a rischio. Il dolore del Papa
  • Il nunzio in Giappone: la solidarietà di Benedetto XVI attraverso Cor Unum
  • Il Papa ai Comuni italiani: la Chiesa collabora con le istituzioni locali per essere vicina ai bisogni della gente
  • Altre udienze e nomine
  • Padre Lombardi: il libro del Papa su Gesù, "un dono per la nostra gioia"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Libia: i ribelli si ritirano da Ras Lanuf e Brega. Minacce del regime all'Italia
  • Karzai alla Nato: troppi raid sui civili, stop alle operazioni militari
  • Mons. Crociata: servizio civile, progressiva disattenzione dello Stato
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della prima Domenica di Quaresima
  • Chiesa e Società

  • India: nuovi episodi di intolleranza verso i cristiani nel Karnataka
  • Crisi umanitaria in Costa d'Avorio: 500mila profughi
  • Libia. Appello dell’Acnur: incrementare il numero di voli da Tunisia ed Egitto
  • Kenya. Devastante incendio in una baraccopoli di Nairobi: 10mila persone in fuga
  • Siccità in Uganda: è allarme epidemie
  • Messico. La Chiesa propone un visto umanitario per i migranti centroamericani
  • Bolivia: al via il settimo incontro delle Pontificie Opere Missionarie in America
  • Indonesia: lettera per la Quaresima dell’arcivescovo di Semerang
  • Teramo: lunedì il tradizionale pellegrinaggio degli studenti al Santuario di San Gabriele
  • Addio a Nilla Pizzi, regina della musica italiana
  • 24 Ore nel Mondo

  • Protesta nello Yemen. La polizia spara sulla folla: almeno quattro morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Giappone: oltre 1400 vittime. 10mila dispersi in una città portuale. Centrale nucleare a rischio. Il dolore del Papa

    ◊   All’indomani del terremoto e del conseguente tsunami che ha colpito ieri mattina il Giappone, si aggrava di ora in ora il bilancio delle vittime. Secondo la tv pubblica giapponese Nhk mancano all'appello 10.000 persone nel porto di Minamisanriku sulla costa orientale nella prefettura di Myagi. Nel resto del Paese sono almeno 1400 le vittime, tra morti e dispersi. Benedetto XVI, da parte sua, ha espresso il proprio profondo dolore per le “tragiche conseguenze” del sisma e dello tsunami che hanno investito la costa nordorientale del Paese. Nel telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e inviato al presidente della Conferenza episcopale giapponese, Leo Jun Ikenaga, il Papa manifesta la sua vicinanza alla popolazione colpita dal disastro e prega per quanti hanno perso la vita. A destare grande preoccupazione oggi è soprattutto l’allarme nucleare. Il sistema di raffreddamento di un reattore, in particolare, è andato in panne. Il governo, comunque, ridimensiona l’emergenza dovuta a questo guasto, ma non si può escludere l’ipotesi di fughe radioattive. Sulle centrali nucleari giapponesi si sofferma il prof. Giuseppe Zollino, docente di “Impianti Nucleari a fissione e fusione” presso la Facoltà di Ingegneria di Padova, intervistato da Amedeo Lomonaco:

    R. – Sono centrali di seconda generazione, cioè centrali costruite sostanzialmente negli anni Settanta. Producono costantemente, ogni anno, una grande quantità di energia elettrica. Il Giappone produce più del 30 per cento della propria elettricità da fonte nucleare. Nonostante, purtroppo, il Giappone sia l’unico Paese che abbia sperimentato sulla sua pelle la bomba atomica, tuttavia considera il nucleare per uso civile un’opzione importante e il numero di centrali nel Paese è molto alto.

    D. – Cosa è successo nel caso della centrale in cui si è verificato il guasto al sistema di raffreddamento del reattore?

    R. – In occasione del sisma, i sistemi di sicurezza rilevano le scosse prima ancora che il sisma diventi devastante. La procedura di sicurezza prevede che vengano inserite, in maniera automatica, delle barre che intercettano i neutroni e quindi il reattore si spegne.

    D. – Se il reattore si spegne, perché rimane caldo e perché bisogna continuare a raffreddarlo?

    R. – Perché dentro gli elementi di combustibile ci sono i prodotti di fissione dell’attività precedente allo spegnimento che continuano a decadere. La potenza prodotta, però, è ‘qualche percento' della potenza nominale dell’impianto. Ciò che è successo, almeno a leggere i rapporti, è che quando la scossa ha raggiunto il livello devastante che ha prodotto disastri in moltissime infrastrutture, inclusa la rete elettrica, è mancata l’elettricità, su quell’impianto e anche su altri. Quindi le pompe che avrebbero dovuto far circolare quell’acqua di raffreddamento per asportare quel poco di calore residuo, si sono bloccate e purtroppo il gruppo elettrogeno non è partito con prontezza. Adesso il raffreddamento è in corso e si stanno facendo le ispezioni per vedere quali siano stati i danni prodotti dal ritardo. E se c’è stato, in quell’intervallo di assenza di raffreddamento, un surriscaldamento delle guaine di questi elementi di combustibile, può esserci stato un rilascio di materiale fissile.

    D. – Quanto accaduto in Giappone dimostra che la costruzione di eventuali centrali nucleari non può prescindere dalla scelta di zone sicure, idonee…

    R. – In un Paese che abbia zone sismiche si evita di costruire le centrali nelle zone sismiche. In Giappone, purtroppo, il territorio è estremamente sismico e praticamente non esistono aree stabili e, comunque, non ce ne sono in zone di interesse per la costruzione di una centrale. (gf)

    Gli esperti concordano sul fatto che in qualsiasi altra parte del mondo un sisma del genere, di magnitudo 8,9 gradi della scala Richter, avrebbe avuto conseguenze devastanti. Ma terremoti di questa potenza possono essere previsti? Francesca Sabatinelli lo ha chiesto ad Antonio Piersanti, direttore del Dipartimento di sismologia dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia:

    R. - Nessuno al mondo è ancora in grado di prevedere i terremoti. Certo, tutta la comunità scientifica internazionale, sapeva che quell’area era un’area ad altissimo rischio di terremoto, e quindi, sapeva che prima o poi sarebbe arrivato di questa grandezza, però non sapevamo quando.

    D. – Il Giappone da sempre è un Paese preparato, probabilmente grazie a questa prevenzione il bilancio delle vittime sarà sicuramente ridotto rispetto a quello che poteva essere in un’altra parte del mondo?

    R. – Certamente il bilancio - purtroppo lo vediamo in queste ore - è molto pesante e probabilmente si appesantirà col tempo, però ricordiamoci che questo non è stato solo un terremoto, ma ne è seguito un devastante maremoto. Noi ci ricordiamo tutti che il grande maremoto della fine del 2004 a Sumatra, cioè una zona meno preparata a questo tipo di eventi, e che ha fatto centinaia di migliaia di vittime; quindi, purtroppo dobbiamo fare i conti col fatto che quando la natura si scatena in questa maniera, l’effetto è sempre catastrofico.

    D. – Questo sisma in Giappone ha spostato l’asse della terra, voi avete parlato di 10 centimetri.. Cosa comporterà questo?

    R. – Non ci sono conseguenze pratiche per spostamenti di questa entità dell’asse terrestre. Il dato è importante perché da questo tipo di ricerche noi siamo in grado di capire meglio come funziona intimamente il sistema terra e quindi di capire anche poi meglio, fenomeni come i terremoti, come i cambiamenti climatici.

    D. – Questo violento sisma può essere il preludio ad altri terremoti, in altre zone del pianeta?

    R. – Se lei intende che questo terremoto può provocare altri terremoti in altre zone del pianeta, no!(ma)

    Nell'area del Pacifico non ci sono stati i danni temuti, ma si è registrato solo un diffuso innalzamento del livello del mare. A 24 ore di distanza dal terremoto e dallo tsunami che ha devastato il Giappone, rientra l’allarme maremoto. Lo stato d’allerta per il pericolo di onde anomale era stato dichiarato nelle Filippine, a Taiwan, in Indonesia e in molte isole del Pacifico, ma anche in Russia, alle Hawaii, in California, Messico e sulle coste dell’America del sud.

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    Il nunzio in Giappone: la solidarietà di Benedetto XVI attraverso Cor Unum

    ◊   Dopo l'onda della devastazione, l'onda della solidarietà. Tra i soccorritori nelle aree devastate dal sisma giapponese vi sono anche i volontari della Caritas, impegnati nel portare aiuto alla popolazione colpita dal terremoto e, soprattutto, dal successivo tsunami. E' quanto sottolinea al microfono di Luca Collodi il nunzio apostolico in Giappone, mons. Alberto Bottari de Castello:

    R. – La Caritas si è subito messa in moto, ed ha assicurato il servizio 24 ore su 24: sono lì, già da stamattina. Sono stati loro a ricevere il messaggio di partecipazione, di affetto e di benedizione del Santo Padre inviato a firma del cardinale Bertone: l’hanno tradotto immediatamente in giapponese e diffuso a tutte le diocesi e dove sarà possibile sarà letto domani nelle chiese. Sempre domani, sarà iniziata una colletta, soprattutto a Tokyo. Per quanto riguarda il resto del Paese, si dovranno riunire con il presidente della Conferenza episcopale, che è a Osaka, per decidere il da farsi. Prima di tutto, dovranno farsi un quadro della situazione e dei danni. Lo tsunami è arrivato fino ad Okinawa e da lì non abbiamo ancora notizie sulle conseguenze.

    D. – Lei come ha vissuto e come sta vivendo questo momento, sul piano umano?

    R. – Direi che ci rendiamo conto un po’ alla volta di ciò che è successo, perché i primi momenti sono stati di vera paura: paura che ti toglie la capacità di pensare - corri qua e là, vedi tutto intorno a te cadere, non ti senti la terra sotto ai piedi, i mobili si muovono, non sai nemmeno cosa fare… Certo, guardiamo agli altri che hanno subito danni peggiori: vedere le case sradicate via, i treni di cui ancora non si riesce ad avere notizia, sentire la sofferenza umana ad un livello così terribile… Noi siamo i primi ad interessarci, naturalmente, assieme ai vescovi e anche La Caritas lavora molto bene. Io ho già ricevuto una telefonata da Cor Unum in cui mi si informava che a nome del Santo Padre, il dicastero ha già messo a disposizione 150 mila dollari che metteremo a disposizione. Sono piccole cose davanti alla gravità della situazione, ma è sempre qualcosa di importante: è un segno che viene dal Santo Padre e che ci riconsola un po’, ci rincuora. (gf)

    La scossa di terremoto, di magnitudo 8,9 della scala Richter, è stata impressionante anche a centinaia di chilometri dall'epicentro. E’ quanto sottolinea il padre francescano Claudio Gianesin, da 38 anni missionario in Giappone, raggiunto telefonicamente nel Paese asiatico da Antonella Palermo:

    R. - Ero nell’ufficio parrocchiale. Inizialmente mi sembrava mi girasse la testa, perché l’edificio ha iniziato a muoversi. Sembrava fossimo noi a star male, ad avere qualcosa che non andasse, poi invece la scossa aumentava sempre di più, finché ci siamo resi conto che si trattava di un terremoto. Poi è arrivato lo tsunami che ha letteralmente travolto tutto, case, treni, camion, auto, come fossero fuscelli.

    D. - La Chiesa si sta già operando per venire in soccorso...

    R. - Sì. Anche il vescovo della mia diocesi - mi trovo nella diocesi di Saitama - ha fatto un appello e domani ci sarà una colletta, per mandare aiuti. C’è stato un appello anche da parte dei frati. Adesso i generi di prima necessità iniziano a mancare dai negozi.

    D. - E’ noto l’atteggiamento di forte auto-controllo a cui è educato questo popolo...

    R. - Sì. A Tokyo, ieri, subito dopo il terremoto, le persone tornavano a casa a piedi, senza un senso d’isterismo. Sono rimasto veramente stupito dalla dignità con cui hanno affrontato questa situazione. (vv)


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    Il Papa ai Comuni italiani: la Chiesa collabora con le istituzioni locali per essere vicina ai bisogni della gente

    ◊   Comune e parrocchia alleati nel creare una convivenza giusta e solidale nelle città. È’ l’indicazione che Benedetto XVI ha dato ai rappresentanti dell’Anci, l’Associazione nazionale dei Comuni italiani, ricevuti questa mattina in udienza. Il Papa ha parlato del tema della sussidiarietà e del bisogno di favorire l’integrazione degli immigrati nei tessuti urbani. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Comuni nel senso di “comunità fraterne”. Un problema non facile in contesti dove le etnie che convivono sono sempre di più. Ma è questa la sfida di chi amministra un territorio nell’epoca della globalizzazione, secondo Benedetto XVI. Fin dall’inizio del discorso rivolto alla folta delegazione dell’Anci, circa 250 persone, il Papa ha offerto un’indicazione pratica per favorire la concordia civile:

    “Parrocchia e comune siano ad un tempo artefici di un modus vivendi giusto e solidale, pur in mezzo a tutte le tensioni e sofferenze della vita moderna. La molteplicità dei soggetti, delle situazioni, non è in contraddizione con l’unità della Nazione, che è richiamata dal 150.mo anniversario che si sta celebrando”.

    Nell’Italia che riflette sulla sua storia patria, l’attualità parla di una fisionomia sociale in rapido cambiamento. Molti sindaci di Comuni italiani devono gestire la complessa integrazione degli immigrati. In altre parole, trovare il giusto equilibrio tra le esigenze della cittadinanza e le spinte della globalizzazione. Di fronte a questa realtà, ha osservato il Papa…

    “…bisogna saper coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine la nazione italiana”.

    Sussidiarietà e solidarietà. Benedetto XVI si è soffermato su questi due principi cari alla Dottrina sociale della Chiesa. Principi, ha ribadito, che favoriscono l’“armonica compresenza” del valore dell’unità e di quello della pluralità. La sussidiarietà, ha ricordato il Papa, si esprime in quei servizi di “utilità sociale” che un organismo non statale offre a chi ha bisogno di sostegno. Servizi come quelli svolti, ad esempio, da parrocchie, oratori, istituti e case religiose di educazione e assistenza. Auspicando per essi “apprezzamento e sostegno, anche in termini finanziari”, il Pontefice ha riaffermato, sulla base della Caritas in veritate:

    “Il principio di sussidiarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa, perché se la sussidiarietà senza la solidarietà scade nel particolarismo sociale, è altrettanto vero che la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno”.

    Benedetto XVI ha poi affrontato il nodo della libertà religiosa. Ribadendo che “la Chiesa non domanda privilegi”, ma solo “di poter svolgere liberamente la sua missione” – come purtroppo non accade in altri Paesi in cui “le minoranze cristiane sono spesso vittime di discriminazioni e di persecuzioni – il Papa ha concluso:

    “Desidero esprimere il mio apprezzamento per la mozione del 3 febbraio 2011, approvata all’unanimità dal vostro Consiglio Nazionale, con l’invito a sensibilizzare i Comuni aderenti all’Associazione nei confronti di tali fenomeni e riaffermando, allo stesso tempo, ‘il carattere innegabile della libertà religiosa quale fondamento della libera e pacifica convivenza tra i popoli’”.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Vigevano (Italia), presentata da mons. Claudio Baggini in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons. Vincenzo Di Mauro, finora arcivescovo-vescovo coadiutore della medesima diocesi. Mons. Vincenzo Di Mauro è nato a Monza (arcidiocesi e provincia di Milano), il 1° dicembre 1951. È stato ordinato sacerdote il 12 giugno 1976. Ha conseguito la laurea in Lettere moderne e giornalismo presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore. Dopo aver esercitato il ministero sacerdotale nella sua arcidiocesi per alcuni anni come vicario parrocchiale, rettore del Santuario di Sant'Antonio Abate in Milano, assistente dell'arcivescovo per la Cattedra per i non Credenti, assistente dell'Azione Cattolica ragazzi e assistente dei Maestri Cattolici, nel 1994 è stato assunto presso il Pontificio Consiglio per i Laici con l'incarico di seguire la Sezione Movimenti e Associazioni. Nel 1998 è rientrato nell’arcidiocesi di Milano ed è stato nominato parroco di Santa Maria di Caravaggio in Milano. Nel 2004 è tornato a Roma ed è stato nominato delegato della Sezione Ordinaria dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Il 3 settembre 2007 è stato eletto vescovo titolare di Arpi e nominato segretario della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. Ha ricevuto l'Ordinazione episcopale il 29 settembre 2007. Dal 22 novembre 2010 è vescovo coadiutore di Vigevano, con il titolo ad personam di arcivescovo.

    Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Mbinga (Tanzania), presentata da mons. Emmanuel A. Mapunda, per raggiunti limiti di età. Gli succede il rev. John Chrisostom Ndimbo, segretario esecutivo del Dipartimento di Educazione presso la Conferenza Episcopale della Tanzania". Il rev. John Chrisostom Ndimbo, è nato nel villaggio di Kipololo, nella parrocchia di Lundumato, Diocesi di Mbinga, il 12 ottobre 1960. È stato ordinato sacerdote il 21 giugno 1989 ed incardinato nell’Arcidiocesi di Mbinga.

    Il Santo Padre ha nominato arcivescovo dell’Arcidiocesi di Hyderabad (India), mons. Thumma Bala, finora vescovo di Warangal (India)

    Il Santo Padre ha nominato arcivescovo coadiutore dell’Arcidiocesi di Calcutta (India), mons. Thomas D’Souza, finora vescovo di Bagdogra.

    Il Santo Padre ha eretto la Diocesi di Kondoa (Tanzania), con territorio dismembrato dalla Diocesi di Dodoma, rendendola suffraganea della Sede Metropolitana di Dar-es-Salaam. Il Papa ha nominato primo vescovo di Kondoa, il rev. Bernardine Mfumbusa, del clero di Dodoma, vice-cancelliere degli Affari di Studi Accademici presso l’Università di S. Agostino a Mwanza". Il rev. Bernardine Mfumbusa, è nato ad Arusha il 1° aprile 1962. È stato ordinato sacerdote il 14 giugno 1992, nella Chiesa Parrocchiale di Kondoa, ed incardinato nella Diocesi di Dodoma.

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    Padre Lombardi: il libro del Papa su Gesù, "un dono per la nostra gioia"

    ◊   Gratitudine per un’opera costata molta fatica a un uomo sul quale grava il peso di una enorme responsabilità. È il sentimento dei cattolici – ma anche di molti che non lo sono – per la seconda parte del libro su Gesù di Nazaret scritta da Benedetto XVI e pubblicata giovedì scorso. Un volume che segue Gesù dall'ingresso in Gerusalemme al Calvario e alla Risurrezione, nel percorso intimo di un Papa e di un teologo “alla ricerca del volto di Cristo”. Su questi spunti riflette il nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    Il secondo volume della grande opera del Papa su Gesù è uscito nelle librerie in questi giorni. Solo tre osservazioni. Il card. Ouellet, presentando il volume, non ha avuto timore di affermare che la ritiene un’opera di importanza “storica”, nel senso che “inaugura una nuova era dell’esegesi teologica”. Lo studioso Joseph Ratzinger, che è anche il Pastore della Chiesa universale, ci guida in una lettura competente, approfondita e allo stesso tempo coerente con la fede cristiana e la sua tradizione. E’ una sintesi nuova e vissuta fra le esigenze della cultura storico-critica e quelle della fede, in cui sono nati i testi dei Vangeli e in cui solo possono essere capiti nel modo più adeguato.

    Un altro presentatore, il prof. Magris, ha affermato che questo libro “è fatto per il dialogo”. La figura di Gesù viene presentata a tutti come la grande risposta di Dio agli interrogativi più profondi e veri dell’esistenza umana di ogni tempo, compresi quelli cruciali sul male, sulla sofferenza e sulla morte. E’ un’offerta, che corrisponde al senso della stessa missione di Gesù, che può essere accolta o rifiutata, ma è sempre “sangue versato per tutti” e mai “contro” qualcuno.

    Infine, con questo volume, che giunge al cuore della vicenda e del significato della vita di Gesù - la passione e la risurrezione – si compie un grande desiderio del Papa, il culmine del suo “lungo cammino interiore” alla ricerca del “volto del Signore”, ma anche la sua condivisione per chiunque voglia parteciparvi. Sappiamo che è costato fatica al Papa portarlo a compimento nonostante i gravosi impegni del suo servizio quotidiano. Perciò gliene siamo particolarmente grati. E’ un dono per la nostra gioia. Contemplando la scena dell’Ascensione, il volume si conclude con queste parole: “Nella fede sappiamo che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su di noi. E’ questa la ragione permanente della gioia cristiana”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, il terremoto in Giappone: forti esplosioni nella centrale atomica di Fukushima mentre aumenta il numero delle vittime e dei dispersi. Il cordoglio di Benedetto XVI.

    Pluralità e unità della nazione: il discorso del Papa all’Associazione nazionale comuni italiani.

    L’agonia della Costa d’Avorio: Pierluigi Natalia sulla crisi politica, istituzionale e sociale nel Paese africano.

    E zoppicando partì alla ventura: Alain Besançon recensisce il volume “Inigo, portrait” di François Sureau, dedicato a due anni cruciali della vita di sant’Ignazio.

    Donne d’altri tempi: Clementina Mazzucco sulle testimonianze femminili presenti nei documenti antichi sui primi martiri.

    Una voce rosa e fiori: Giulia Galeotti sulla morte di Nilla Pizzi.

    Ci si creda o no il diavolo esiste: Gaetano Vallini sul film “Il rito” di Mikael Håfström che rilancia la figura dell’esorcista. Sul tema, il discorso di Paolo VI all’udienza generale del 15 novembre 1972.

    L’Evento che spiega l’uomo all’uomo: Angelo Scola, cardinale patriarca di Venezia, sulle tre encicliche trinitarie di Giovanni Paolo II.

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    Oggi in Primo Piano



    Libia: i ribelli si ritirano da Ras Lanuf e Brega. Minacce del regime all'Italia

    ◊   Le cancellerie dei Paesi arabi riunite al Cairo cercano una posizione comune sulla crisi libica. Sì all’ipotesi di una no fly-zone da parte della Lega Araba. Intanto, il regime libico minaccia l’Italia e l’Europa dopo il vertice di ieri a Bruxelles in cui l'Ue ha affermato che Gheddafi deve lasciare il potere. Il servizio di Stefano Leszczynski.

    Mentre proseguono i combattimenti in Libia con l’arretramento dei ribelli dal centro petrolifero di Ras Lanuf e dalla città di Brega, sottoposta a pesanti bombardamenti, i ministri degli Esteri dei Paesi della Lega Araba si sono riuniti al Cairo per trovare una posizione comune sulla crisi. Il segretario generale della Lega, Amr Mussa, si è detto favorevole all'imposizione di una no-fly zone sul Paese ed ha auspicato che l'organizzazione ''svolga un ruolo'' nella sua attuazione. I ribelli del Consiglio Nazionale di Transizione intanto hanno chiesto alla Lega Araba il riconoscimento ufficiale, sulla scia di quanto già fatto dalla Francia. Per conto dell'Ue, il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, concludendo oggi a Budapest il Consiglio informale dei 27 ministri degli Esteri, ha spiegato che, pur considerando come interlocutore valido il Comitato nazionale di Transizione di Bengasi, l'Unione Europea è pronta a parlare anche con altre forze sul terreno libico per contribuire ad una soluzione della crisi. Anche le diplomazie dei Paesi dell’Unione Africana sono al lavoro per elaborare una linea politica che non preveda tuttavia un intervento armato sulla Libia. I leader di Sudafrica, Uganda, Mauritania, Congo e Mali costituiranno un comitato che si recherà prossimamente a Tripoli per cercare di contribuire a porre fine alle violenze. Intanto, non si è fatta attendere la reazione del clan Gheddafi alle prese di posizione europee emerse nel vertice di ieri a Bruxelles, e cioè: congelamento degli interessi economici di Tripoli e disconoscimento di qualsiasi ruolo ricoperto dal colonnello. Il figlio di Muhammar Gheddafi in un’intervista al Corriere della Sera non ha risparmiato minacce e ritorsioni nei confronti dell’Italia in particolare. “Presto faremo i conti con tutti”, ha sottolineato il secondogenito del dittatore libico.

    Indubbiamente Gheddafi appare sempre più isolato a livello internazionale. Ma sulle scelte emerse al vertice europeo di ieri e sulla posizione degli altri protagonisti della comunità internazionale in relazione alla difficile situazione in Libia, ascoltiamo l’intervista di Fausta Speranza a Alessandro Colombo, docente di relazioni internazionali all’Università degli Studi di Milano:

    R. – E’ emersa, da un lato, potremmo dire, quasi una generica preferenza per una transizione di potere in Libia. E’ naturale che da questo momento in poi Gheddafi diventi, o diventerebbe, un interlocutore difficilmente praticabile. Dall’altro lato, è emersa naturalmente una grande incertezza, una grande cautela, che ha diverse ragioni: una ragione prettamente militare – cioè il rischio di aprire l’ennesimo fronte, in un contesto nel quale tutti i Paesi europei, oltre che gli Stati Uniti, sono già sovra impegnati dal punto di vista militare; e poi una ragione soprattutto sul terreno giuridico, più generalmente il terreno della legittimità, perché è noto che diversi attori importanti e meno importanti non sarebbero favorevoli ad un intervento militare e questo rischierebbe di produrre nuove lacerazioni all’interno della comunità internazionale.

    D. – In qualche modo, dunque, si sceglie di non intervenire con truppe o con le bombe, ma di stringere in una morsa finanziaria e diplomatica Gheddafi. E’ così?

    R. – Questa è la scelta. In realtà è una scelta che dal punto di vista di ciò che sta avvenendo sul campo avrà effetti molto probabilmente insignificanti: semmai è una scelta che potrà avere effetti, se ne avrà, in futuro. In campo questo significa, almeno per qualche giorno, per qualche settimana – non sappiamo quale sarà la resistenza degli insorti – dare campo libero sostanzialmente alle truppe fedeli a Gheddafi. Quindi, dal punto di vista dello stallo militare, questo non può costituire un deterrente serio oggi, per Gheddafi e le sue truppe.

    D. – Dal vertice europeo è emerso anche l’input ad un riconoscimento sempre più sostanziale ai protagonisti della rivolta: questo comitato, dunque, di Bengasi. Ma chi sono?

    R. – Questa è una bella domanda! Non sappiamo esattamente chi siano e non sappiamo, soprattutto, esattamente, chi saranno, perché questa è la cosa più rilevante. Quando pensiamo al futuro dei rapporti con la Libia, non ci dobbiamo interrogare su chi è in campo oggi, ma chi conterà domani. Credo che questa sia una domanda alla quale ragionevolmente non si può ancora rispondere. Va detto che anche sul tema del riconoscimento, alla fine, l’Unione Europea ha adottato una posizione molto cauta, molto più cauta di quella – devo dire – anche un po’ intempestivamente suggerita da Sarkozy qualche giorno fa. Non è ancora il momento sostanzialmente di prendere decisioni nette, in parte perché non si conosce la natura degli interlocutori, ma in parte soprattutto per questa ragione: perché non si sa quale sarà l’evoluzione di qui a qualche settimana.

    D. – Non abbiamo parlato del ruolo dei Paesi arabi…

    R. – Perché il ruolo dei Paesi arabi in questo momento è a dir poco delicato. Da un lato, quello che sta avvenendo è la risalita in superficie di fratture all’interno del mondo arabo, che ci sono sempre state, che sono fratture che hanno tra l’altro un’infinità di radici diverse, che riguardano anche la composizione molto eterogenea dal punto di vista persino geopolitico del mondo arabo e, dall’altro lato, naturalmente, queste divisioni sono esacerbate dal fatto che i regimi politici arabi, in questo momento, vivono anche al loro interno una grande crisi di legittimità. Quindi, questo rende tutto molto più delicato, perché ciascuna pronuncia di qualunque Paese arabo, oltre che della Lega Araba nel suo complesso, ha da un lato un riflesso sul terreno internazionale, ma dall’altro lato soprattutto sulla stabilità interna dei regimi.

    D. – Prof. Colombo, docente di Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Milano, parliamo anche della minaccia di Gheddafi all’Italia. Le minacce sono sempre un segno di debolezza, non è così?

    R. – Sono un segno di debolezza. In realtà, in questo momento, direi che le minacce di Gheddafi andranno capite: andrà capito il contenuto di queste minacce tra qualche settimana. Va detto che l’Italia, proprio per questa ragione, è stata tra i Paesi più cauti all’interno dell’Unione Europea. Non è detto che una permanenza di Gheddafi – e non sappiamo neanche per quanto tempo – debba necessariamente costituire una lacerazione dei rapporti tra Italia e Libia. Questo, anzi, per certi versi mi stupirebbe. E’ naturale che dovrebbero cambiare i modi e dovrebbe cambiare l’evidenza, forse, dei rapporti, ma l’Italia non ha molte possibilità di rivedere in profondità i rapporti con la Libia e la Libia tutto sommato, a propria volta, ha molti interessi a continuare i rapporti con l’Italia. Quindi, al di là di queste schermaglie, anche molto dure oggi, dal punto di vista della polemica politica, io credo che i rapporti non potranno essere recisi, perché nessuna delle due parti se lo può permettere. (ap)

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    Karzai alla Nato: troppi raid sui civili, stop alle operazioni militari

    ◊   Il presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai, ha chiesto alla Nato di cessare completamente le operazioni militari nel Paese. Lo ha fatto stamattina durante un discorso nella provincia orientale di Kunar, dove l’Isaf è accusata di aver ucciso in un recente raid decine di civili, tra cui anche nove bambini. La presa di posizione del capo dello Stato afghano arriva anche in risposta al vertice Nato di ieri a Bruxelles, in cui il segretario generale, Anders Fogh Rasmussen, ha ribadito che la missione internazionale terminerà nel 2014. Ma che significato hanno le parole di Karzai in un momento delicato come quello attuale? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

    R. – Queste dichiarazioni sono fatte dopo uno degli sfortunati incidenti, forse troppo frequenti, in cui la Nato ha ucciso dei civili, e quindi il discorso di Karzai è un discorso diretto soprattutto agli afghani: è importante che Karzai si differenzi dalla rabbia più che comprensibile di chi subisce perdite non ad opera dei talebani, ma ad opera della Nato che dovrebbe proteggerli. Ma in realtà, c’è ben altro: Karzai è un presidente sempre più accusato dalla Nato di essere incapace e quindi tende a preparare il terreno per quando la Nato non ci sarà più.

    D. – Secondo lei, l’Afghanistan è in grado di fare parzialmente a meno dell’apporto della coalizione internazionale?

    R. – Ricordiamoci che la Nato è in Afghanistan su richiesta del governo afghano, e sarebbe anche meglio che il governo afghano facesse la sua parte. Un ritiro, oggi, della Nato provocherebbe l’anarchia totale, perché le forze armate afghane non sono ancora pronte e la polizia afghana è in uno stato disastroso; non c’è ancora un accordo politico con quelli che vengono definiti i talebani più moderati, e quindi non ci sarebbe, né dal punto di vista dello scenario della sicurezza né da quello politico, una transizione accettabile per il popolo afghano, prima di tutto, prima che per la comunità internazionale.

    D. – La comunità internazionale sta lavorando anche all’interno dell’intera area in cui si trova l’Afghanistan, considerando che i talebani non sono solo in Afghanistan ma – ad esempio – anche in Pakistan e in altre zone confinanti?

    R. – Per anni, la comunità internazionale e la Nato, l’Occidente soprattutto, hanno commesso ogni genere di errore: militari, tattici, politici … in Afghanistan e in tutta l’area; e le difficoltà di oggi sono anche il frutto di questo cumulo di errori. Oggi si cerca di inquadrare più realisticamente il problema Afghanistan nel quadro regionale. Vi sono, però, difficoltà oggettive; è una situazione davvero difficile da risolvere, perché Paesi come il Pakistan hanno un governo fragilissimo, che ha all’interno delle forze di sicurezza gruppi che lavorano contro la pacificazione. E in più, c’è da considerare anche una crescente perdita di influenza occidentale in tutto il Medio Oriente allargato ed una stanchezza dell’opinione pubblica occidentale: gran parte dell’opinione pubblica occidentale vorrebbe un ritiro, è sempre meno interessata a questi Paesi lontani in cui si muore, ci sono cattive notizie da dieci anni. Tutto ciò viene percepito in loco e rende la nostra iniziativa sempre più faticosa. (gf)

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    Mons. Crociata: servizio civile, progressiva disattenzione dello Stato

    ◊   C’è un “progressivo inaridimento degli spazi offerti ai giovani per forme di educazione alla cittadinanza e al servizio”. E’ un vero allarme quello che lancia il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, al settimo incontro nazionale a Roma dei giovani in servizio civile degli enti di ispirazione cristiana. Preoccupazione soprattutto per il calo dei finanziamenti statali dedicati a questa esperienza. Alessandro Guarasci

    Negli ultimi dieci anni sono stati oltre 6 mila i ragazzi che hanno svolto il servizio civile negli enti cristiani. Dunque una realtà viva, che però comincia a denunciare difficoltà. Nel suo intervento al settimo incontro nazionale di questi giovani, mons. Mariano Crociata ha avuto toni preoccupati e denunciato una “progressiva disattenzione” da parte dello Stato:

    “Le prospettive per il 2011-2013, stanti le disponibilità finanziarie contenute nella Legge di stabilità approvata a fine 2010 - nella quale è stata stanziata la somma più bassa destinata al servizio civile in tutto il decennio - prefigurano un’ulteriore diminuzione del numero di volontari”.

    Se tale scarsità di risorse dovesse essere confermata, il servizio civile è destinato ad essere irrilevante. Insomma, per mons. Crociata non si può ridurre il servizio civile a un’elite. E questo perché tale esperienza, di servizio agli ultimi, è un valore per la comunità, e ciò vale ancor di più a 150 anni dall’unità d’Italia. Ancora mons. Crociata:

    “E’ importante ricordare come la partecipazione dei cattolici alla costruzione del Paese sia passata negli ultimi decenni anche attraverso l’esperienza di tanti giovani che, col servizio civile, hanno inteso apportare il proprio contributo al progresso della comunità e alla costruzione della cosa pubblica”.

    Insomma, se le condizioni di vita di tanti poveri sono migliorate è anche per l’aiuto fattivo dei giovani del servizio civile e degli obiettori di coscienza. Francesca presta la sua opera nell’ufficio per la pace della Caritas di Roma:

    “Si riesce a percepire quello che di buono si fa, ma anche quello che si riceve. Io credo che l’importante sia donare e donarsi realmente”.

    Ragazzi che vanno controcorrente in questa civiltà del consumo. Un segno, come dice mons. Crociata, da serbare nel cuore.

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della prima Domenica di Quaresima

    ◊   In questa prima Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il passo evangelico in cui Gesù viene condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo per tre volte. Gesù gli risponde:

    «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».

    Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Dopo le ceneri, di mercoledì scorso, altro classico passaggio della Quaresima è la scena delle tre tentazioni: esse sono un invito che il diavolo fa a Gesù nel deserto a far un uso manipolatore della propria identità di “Figlio di Dio”. Usare capricciosamente la potenza di Dio per soddisfare la fame, buttarsi dal Tempio per fare spettacolo e lasciare tutti a bocca aperta, desiderare di dominare il mondo intero e per questo adorare Satana. Ma la potenza di Dio, che il Figlio possiede, è donata per amare e servire, non per spettacolo o arroganza o idolatria. In sostanza si tratta del rischio di strumentalizzare Dio, per autogratificazione. Forse come cristiani e come chiesa non sono queste le nostre tentazioni. Ma certamente non mancano illusioni e miraggi: come l‘efficientismo fanatico, l’ambizione della fama, l’individualismo libertario. E tutto questo diviene come alternativa a Dio, surrogato della sua immagine e della sua presenza. Come per Gesù, anche noi possiamo trovare nella Parola la luce e la risorsa per una fedeltà autentica e vigilante. Nella Parola ascoltata e vissuta e nella sollecitudine generosa verso gli altri, troveremo il miglior antidoto alla manipolazione di Dio e la risorsa per evitare idolatrie di autopromozione.

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    Chiesa e Società



    India: nuovi episodi di intolleranza verso i cristiani nel Karnataka

    ◊   Ancora episodi di intolleranza verso i cristiani nello Stato indiano del Karnataka, nell’India sud-occidentale. Giovedì scorso, riferisce l'agenzia Fides, il cimitero cattolico della parrocchia di Gesù Bambino a Pushpagiri, vicino alla città di Mysore, è stato teatro di atti di vandalismo da parte di ignoti, che hanno distrutto una statua di Cristo e devastato alcune tombe. Qualche giorno prima nel distretto di Tumkur due pastori evangelici sono stati arrestati dopo la denuncia da parte di alcuni estremisti indù di aver compiuto “conversioni illecite”. In precedenza, gli stessi militanti avevano saccheggiato una chiesa, portando via bibbie e libri cristiani. Il Karnataka è da settimane al centro delle attenzioni dell’opinione pubblica e delle cronache per il dibattito sul mancato riconoscimento degli attacchi contro i cristiani avvenuti nel 2008. Leader e fedeli cristiani del luogo continuano a denunciare l’indifferenza o in alcuni casi la complicità delle istituzioni civili, governate dal partito nazionalista indù Baratiya Janata Party, ritenuto un fiancheggiatore dei gruppi estremisti indù. Resta quindi nella comunità cristiana la preoccupazione e la percezione di essere vittime di un clima di intolleranza.(M. R.)

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    Crisi umanitaria in Costa d'Avorio: 500mila profughi

    ◊   Cresce la preoccupazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur), per la risposta finora molto limitata della comunità internazionale alla crisi in Costa d’Avorio. Con 370mila sfollati ad Abidjan e nell’ovest del Paese e oltre 76mila rifugiati in Liberia, il numero di persone costrette alla fuga si aggira intorno a 500mila. Lo scorso 14 gennaio, l’Agenzia ha lanciato alla comunità internazionale un appello per 46 milioni di dollari necessari a far fronte al flusso di rifugiati in Liberia. Finora sono arrivati solo 5 milioni di dollari. I nuovi flussi stanno però inducendo l’Acnur a lanciare un nuovo appello per richiedere una cifra superiore. Continuano intanto a deteriorarsi le condizioni di sicurezza ad Abidjan: è di tre morti e 30 feriti il bilancio degli scontri avvenuti il 6 e 7 marzo scorso nei distretti di Abobo e Cocody. Intanto, posti di blocco presidiati da uomini armati continuano a rendere pericolosi gli spostamenti intorno alla principale città del Paese, un danno per tutta la popolazione. Nel frattempo, l’Acnur continua, dove possibile, a prestare assistenza, spesso attraverso le organizzazioni non governative locali. Intorno alla città sono stati individuati finora 20 siti dove si sono concentrate ingenti quantità di sfollati. In alcune di queste località, il numero e le necessità della popolazione sono ancora in corso di accertamento, ma è certo che vi è urgente necessità di cibo e aiuti, tra cui farmaci. Nel resto del Paese, la violenza divampata nelle regioni occidentali sembra estendersi anche a quelle centrali e sud-orientali. Si parla di tentativi di impedire gli spostamenti e di abusi fisici, compresi casi di stupro, nelle testimonianze delle persone in fuga. E sono sempre di più i rifugiati arrivati in Liberia che riferiscono di essere stati coinvolti in scontri a fuoco durante la fuga. Alcuni di loro sono stati costretti a trovare riparo e a trascorre la notte nella boscaglia. Con questi nuovi flussi, l’Agenzia deve aggiornare i piani per le sue operazioni in Liberia e adeguare il budget per prepararsi ad assistere fino a 150mila rifugiati. (M.I.)

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    Libia. Appello dell’Acnur: incrementare il numero di voli da Tunisia ed Egitto

    ◊   Il confine continuerà a restare aperto per tutti coloro che fuggono dalla violenza in Libia. Così il governo tunisino ha rinnovato le proprie garanzie ad António Guterres e a William Swing, rispettivamente Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati e Direttore generale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, la cui missione congiunta si è conclusa ieri in Tunisia. Oltre 3mila persone continuano ad arrivare ogni giorno alla frontiera - riferiscono gli operatori Acnur - ma massimo mille riescono ad imbarcarsi su un trasferimento aereo. E nel campo di transito di Choucha allestito nell’area di confine sono adesso in 17mila le persone in attesa di un volo verso casa o di altre soluzioni. Acnur e Oim hanno reiterato il loro appello a mettere a disposizione un numero maggiore di voli di lungo raggio verso i Paesi asiatici e dell’Africa sub-sahariana: ne servono circa 70 in più. Dalle due agenzie umanitarie è giunto anche un ringraziamento ai donatori per i finanziamenti garantiti per noleggiare aerei, grazie ai quali questo fine settimana sarà possibile potenziare il numero di partenze. Sempre attiva 24 ore su 24 la linea telefonica dedicata a rifugiati e i richiedenti asilo che si trovano in Libia, gestita da operatori dell’Acnur e di agenzie partner. Quasi 800 le telefonate ricevute finora, provenienti da rifugiati e richiedenti asilo in Libia, ma anche da loro famigliari che si trovano all’estero. È infine ufficiale la comunicazione all’Acnur del governo algerino che terrà aperte le proprie frontiere a tutte le persone in fuga dalla Libia. Un team di operatori dell’agenzia sarà al più presto dispiegato nell’area di confine. Finora le persone fuggite dalla violenza in Libia sono oltre 230mila, delle quali 118mila in Tunisia, 107mila in Egitto, oltre 4mila in Algeria e più di 2mila in Niger. (M.I.)

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    Kenya. Devastante incendio in una baraccopoli di Nairobi: 10mila persone in fuga

    ◊   Diecimila persone sono state colpite dall’incendio che martedì scorso ha devastato la baraccopoli di “Deep Sea”, a nord di Nairobi. “Un fumo denso e acre ha avvolto lo slum in pochi minuti”, racconta il parroco della comunità, padre James, in un comunicato di “AfrikaSi”, ong che opera nei settori educativo e sanitario della baraccopoli. “I pompieri hanno tardato ad arrivare e, in ogni caso, era impossibile entrare nel villaggio perché le baracche sono una addossata all’altra”. Padre James si è detto preoccupato per quanto potrà accadere ora in mancanza di alcun riferimento di legge per terre e case. "C’è il rischio di una vera lotta tra poveri dove la violenza può farla da padrone”. La Croce Rossa, che inizialmente non era intervenuta perché impegnata in altri quattro slum della città, ha provveduto a rifornire i senza tetto di ripari d’emergenza, coperte e cibo. (M.R)

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    Siccità in Uganda: è allarme epidemie

    ◊   Migliaia di persone che vivono in 36 dei 112 distretti dell'Uganda sono a rischio di epidemia a causa del probabile periodo di siccità che colpirà il Paese. A lanciare l’allarme è il Ministro per la Prevenzioni delle Catastrofi, Musa Ecweru, che teme un’imminente crisi idrica. Secondo le previsioni meteorologiche, l'Uganda si troverà a fronteggiare un lungo periodo di siccità, nonostante le piogge previste per il mese di marzo, che comunque non saranno sufficienti per sostenere l'agricoltura. Secondo gli operatori sanitari questo scenario, insieme alle scarse misure igenico-sanitarie, potrà favorire la diffusione di malattie come diarrea e dissenteria. “La situazione richiede particolare attenzione, molte famiglie sono prive di generi alimentari”, ha detto il ministro Ecweru in un comunicato riportato dall’agenzia Fides. In alcuni dei 36 distretti colpiti i pozzi si stanno prosciugando e i residenti sono costretti a percorrere lunghe distanze in cerca di acqua, ostacolati dai forti venti e da una temperatura che oscilla di giorno tra i 35 e i 38 gradi. Nel distretto di Acholi, nel nord del Paese, numerosi sono gli incendi ed il livello dei fiumi si sta abbassando, colpendo così anche la produzione di elettricità. I torrenti Aswa, Ayugi, Unyama e Pager, nei distretti Amuru e Kitgum, si stanno prosciugando, mentre scompaiono i pascoli nei distretti di Nakasongola e Bullisa. (M. R.)

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    Messico. La Chiesa propone un visto umanitario per i migranti centroamericani

    ◊   Concedere “un visto umanitario” temporaneo agli emigranti centroamericani: questa è la proposta presentata dalla diocesi di Saltillo e da altri organismi (il Centro Diritti Umani, Miguel Agustín Pro Juárez, la fondazione Rafto di Norvegia e la Commissione Pastorale della Mobilità Umana della Conferenza episcopale messicana) da sottoporre alla Commissione sulla Popolazione della Camera dei Deputati messicana. “Poichè la riforma dell'immigrazione da parte del Senato, fatta qualche settimana fa, continua a sostenere la criminalizzazione degli emigrati dell'America centrale - ha affermato il Vescovo di Saltillo, mons. Raul Vera, nel corso di una conferenza stampa - si richiede la possibilità di concedere questo documento con il quale il Messico potrebbe rappresentare un esempio per tutto il mondo e potrebbe anche acquisire un'autorità morale per chiedere un trattamento dignitoso dei messicani che emigrano negli Stati Uniti”. Il visto umanitario - riferisce l’agenzia Fides - sarebbe temporaneo e verrebbe rilasciato solo a coloro che desiderano attraversare il territorio messicano, soprattutto dal sud fino al confine nord del Paese. “Per potere avere il visto - ha spiegato mons. Vera - non sarebbe necessario avere un conto corrente bancario o dimostrare di avere dei contratti di lavoro, la residenza, lo stato di immigrazione o dover dare ulteriori informazioni”. Il documento, che avrebbe una validità di due mesi, consentirebbe anche ai migranti di non prendere strade pericolose o diventare vittime di rapimenti ed estorsioni da parte del crimine organizzato. (M.I.)

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    Bolivia: al via il settimo incontro delle Pontificie Opere Missionarie in America

    ◊   Un’analisi della realtà boliviana e dell’azione pastorale e missionaria della Chiesa nel continente americano: sono questi i temi principali del settimo incontro continentale dei direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie in America, che si svolgerà nella città boliviana di Santa Cruz dal 14 al 19 marzo. La Bolivia è attualmente colpita dalle conseguenze di piogge torrenziali ed inondazioni, che hanno suscitato la solidarietà delle altre nazioni. "Credo che, nella dinamica della nostra attività missionaria, non si possano tralasciare questi eventi ed è anche importante rispondere a tali disastri con azioni tempestive ed efficaci, per alleviare il dolore e la sofferenza dei nostri fratelli”, ha detto suor Cilenia Rojas, coordinatrice nazionale delle missioni in Bolivia all’agenzia Fides. “Questi fatti devono sollecitare azioni di solidarietà e mettere in moto la capacità di condivisione umana per essere in grado di donare quello che abbiamo a chi ne ha bisogno in questo momento". I rappresentanti delle opere missionarie, provenienti da 22 Paesi, avvieranno inoltre i preparativi per il quarto Congresso Missionario Americano e per il nono Congresso Missionario Latinoamericano, che si terrà in Venezuela nel 2012. In questi giorni sono previsti interventi di padre José Fuentes, segretario per la pastorale della Conferenza episcopale della Bolivia; di mons. Sergio Gualberti, vescovo ausiliare di Santa Cruz; e di mons. Jan Dumon, segretario generale della Pontificia Opera di San Pietro Apostolo. (M. R.)

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    Indonesia: lettera per la Quaresima dell’arcivescovo di Semerang

    ◊   Si intitola “attraverso Maria a Gesù: 40 giorni di ritiro” l’iniziativa promossa dall’arcivescovo di Semarang, Johannes Maria Trilaksyanta Pujasumarta, per celebrare la Quaresima nella diocesi indonesiana. In una lettera pastorale, riferisce AsiaNews, il presule invita i fedeli ad applicare l’esperienza di Gesù nel deserto alla vita di tutti i giorni pregando, contemplando e meditando perché essi, “dopo 40 giorni di digiuno e abnegazione” siano “spiritualmente pronti a entrare nella Settimana Santa” ed a vivere nel profondo “il momento più alto della storia della salvezza”. Mons. Pujasumarta sottolinea come la pratica degli esercizi spirituali rafforzi la fede e vada introdotta ed esercitata “in modo graduale”. “Abbiamo a disposizione ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana e sono convinto che sia possibile bilanciare le esigenze spirituali con quelle materiali”, precisa il prelato, che chiarisce come non sia necessario ritirarsi in un convento o in un particolare edificio per pregare, ma sia sufficiente trovare nel corso della giornata dei momenti da dedicare alla preghiera e al Rosario. “La Chiesa ci chiede di meditare a livello spirituale la storia della salvezza di Dio”, scrive l’arcivescovo di Semarang, che aggiunge: “Da buoni cattolici e figli di Dio” dobbiamo trasformare la nostra vita “in un dono per gli altri, ma soprattutto per quanti sono nel bisogno o vivono situazioni di emarginazione”. Per questo è necessario non solo partecipare alla Messa domenicale e all’Eucarestia, ma bisogna anche meditare sulla vita di Gesù e sulla nostra, alla luce di quanto è scritto nella Bibbia. “Lasciamo che sia la parola di Dio a cambiarci “, conclude mons. Pujasumarta , “e chiediamo al contempo la sua benedizione, per accordare il nostro volere ai suoi insegnamenti”. Da ultimo, egli lancia una proposta: mettere nero su bianco in un diario i pensieri e le riflessioni, per condividere “l’esperienza di fede” con gli amici. (M.R.)

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    Teramo: lunedì il tradizionale pellegrinaggio degli studenti al Santuario di San Gabriele

    ◊   Al via lunedì prossimo al Santuario di San Gabriele nei pressi di Teramo il tradizionale pellegrinaggio degli studenti, giunto alla trentunesima edizione. Sono attesi circa dodicimila giovani, che, in vista degli esami di maturità, chiederanno la protezione di San Gabriele dell’Addolorata, santo “studente” morto nel 1862 all’età di 24 anni. Durante la mattinata, riferisce l’agenzia SIR, si terranno due Messe alle quali seguirà il rito della “benedizione delle penne”. Nel pomeriggio è previsto uno spettacolo musicale di Andrea Carretti e del padre passionista Aurelio con la sua band “Anime libere”. I padri passionisti, fondatori del santuario, animeranno questa giornata che rappresenta anche una occasione per molti giovani di accostarsi alla confessione. A tal fine saranno a disposizione una trentina di confessori. Al santuario giungono normalmente circa due milioni di pellegrini l’anno ed è uno tra i 15 più frequentati al mondo (M. R.)

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    Addio a Nilla Pizzi, regina della musica italiana

    ◊   E scomparsa questa mattina a Milano Nilla Pizzi, icona storica della canzone leggera italiana. La cantante bolognese, che avrebbe compiuto 92 anni il prossimo il 16 aprile, è stata nel 1951 la prima vincitrice del Festival di Sanremo con “Grazie dei Fiori”, successo che avrebbe replicato l’anno successivo con “Vola Colomba”. L’artista era ricoverata in clinica dopo un intervento subito tre settimane fa. (M.R.)

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    24 Ore nel Mondo



    Protesta nello Yemen. La polizia spara sulla folla: almeno quattro morti

    ◊   Nuova giornata di scontri nello Yemen, tra i manifestanti che chiedono le dimissioni del presidente Saleh e la polizia che ha sferrato un’offensiva in diverse città del Paese. Il bilancio finora è di quattro morti: tre nella capitale Sana’a e un ragazzo di 12 anni ucciso nella città di Mukalla. Il servizio di Roberta Barbi:

    Sale la tensione nello Yemen, dove si moltiplicano gli scontri tra manifestanti e forze di polizia: a Mukalla, nella provincia meridionale dell’Hadramawt, un dodicenne è stato ucciso dalla polizia che ha aperto il fuoco nel tentativo di disperdere la folla. Altre due vittime si registrano nella capitale Sana’a, dove i manifestanti sono asserragliati dalla notte scorsa nella piazza dell’università. Le Forze dell’ordine hanno chiuso la piazza per motivi di sicurezza e hanno lanciato gas lacrimogeni sulla gente. Fonti mediche riferiscono anche di lanci di gas sconosciuti, che avrebbero causato lo svenimento di molte persone. Sempre a Sana’a le proteste sono arrivate fin sotto la redazione locale della tv panaraba al Jazeera, che è stata circondata dai manifestanti, mentre un uomo è stato fermato mentre cercava di infiltrarsi nel sit-in armato di pistola e di una bomba a mano. Il bilancio ammonta finora a circa 300 feriti nelle due città, cui se ne aggiungono 14 a Taez, a circa 160 km dalla capitale, dove i manifestanti hanno tentato questa mattina l’assalto alla prefettura. Secondo l’Onu, sale così a 37 il bilancio delle vittime nello Yemen dalla fine di gennaio, da quando, cioè, sono iniziate le manifestazioni contro il presidente Saleh, che nei giorni scorsi aveva promesso una nuova Costituzione da sottoporre a referendum popolare e una nuova legge elettorale che avrebbe portato a libere elezioni, una proposta appoggiata dagli Stati Uniti che hanno esortato l’opposizione ad accettare. I manifestanti, però, hanno risposto di non volere più come interlocutore Saleh, che è al potere da 30 anni e che, vista la situazione, potrebbe proclamare a breve lo stato di emergenza.

    Israele – strage in Cisgiordania
    È caccia al palestinese che la notte scorsa ha sterminato una famiglia israeliana di cinque persone nell’insediamento di Itamar, nei pressi della città di Nablus, Cisgiordania del nord. Tutti e cinque i membri della famiglia sono stati uccisi a pugnalate mentre dormivano nei loro letti. L’esercito israeliano ha circondato la città di Nablus e ha intimato alla popolazione di restare in casa. Da giorni, nella colonia ebraica la tensione era alta e si erano verificati scontri, ma la strage di stanotte è il fatto più grave dall’attentato del marzo 2008, quando un palestinese penetrò in una scuola israeliana e uccise otto studenti.

    Egitto
    Scandendo lo slogan “Mano nella mano”, migliaia di egiziani sono scesi oggi in piazza al Cairo, per mostrare l’unità della popolazione dopo gli scontri interconfessionali dei giorni scorsi, che hanno provocato una decina di morti e centinaia di feriti. Intanto, ieri sera due ex parlamentari del Consiglio consultivo della Shura, oggi sciolto, sono stati arrestati con l’accusa di essere i mandanti dell’attacco a cavallo contro i manifestanti in piazza Tahrir del 2 febbraio.

    Tunisia
    Alto tradimento e complotto contro la sicurezza dello Stato: con queste accuse sono stati arrestati ieri sera tre dei più stretti collaboratori dell'ex presidente, Ben Ali, che già erano stati messi ai domiciliari all’indomani della caduta del regime, il 14 gennaio. A Matlaoui, inoltre, nel sud del Paese, ieri pomeriggio si sono verificati violenti scontri in seguito alla pubblicazione di false offerte di lavoro in miniera: per disperdere la folla sono dovuti intervenire polizia ed esercito.

    Pakistan
    Sono almeno sei i sospetti militanti islamici uccisi oggi a Orakzai, nel nordovest del Paese, nel corso degli scontri seguiti all’attacco contro un posto di blocco da parte di un gruppo di ribelli. Nel Beluchistan, invece, provincia del Pakistan del sud, due razzi lanciati contro un’abitazione hanno ucciso una famiglia di sei persone. Sale, infine, a 14 morti il bilancio del duplice attacco di ieri pomeriggio di un drone americano nel Waziristan del nord, ai confini con l’Afghanistan.

    India
    Un’antica disputa tra famiglie di bramini per la proprietà di alcuni appezzamenti di terreno si è trasformata in una tragedia, ieri, nello Stato indiano dell'Uttar Pradesh, al confine con il Nepal. Il capo di una delle famiglie è stato ucciso e 10 componenti di altre due, fra cui cinque bambini, sono morti nell'incendio della loro casa: in tutto le vittime sono 11.

    Cina – esplosioni in miniere
    Almeno 13 minatori sono rimasti uccisi e altri sei risultano dispersi nell’esplosione avvenuta poco dopo la mezzanotte nella miniera di carbone di Xincheng, nella provincia sudoccidentale cinese del Guizhou. Ieri pomeriggio, un’altra esplosione, nella provincia centrale dello Hunan, aveva causato la morte di sei operai nella miniera di Jinyue, mentre altri tre risultano ancora dispersi.

    Sudan
    Milizie armate hanno attaccato oggi la città petrolifera di Malakal, capitale dello Stato dell’Alto Nilo, nel sud Sudan, causando un numero di vittime ancora in corso d’accertamento. Secondo un portavoce dell’esercito, le milizie, probabilmente dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan entrato in conflitto con l’establishment del sud, sarebbero entrate in città dopo un raid notturno. L’attacco segna l’apice di un’escalation di violenza, seguita al voto del gennaio scorso che, con una maggioranza del 98%, ha sancito l’indipendenza del sud Sudan, effettiva nel luglio prossimo. I leader del Sud Sudan hanno accusato oggi le autorità di Khartoum di voler rovesciare il governo semi-autonomo di Giuba prima che sia proclamata l'indipendenza del Paese il prossimo luglio e annunciato la sospensione dei negoziati con il governo centrale sulla secessione del Sud.

    Niger - elezioni
    Si sono aperte stamattina alle 8 e si chiuderanno alle 19 le urne elettorali del Niger, dove si sta svolgendo il secondo turno delle presidenziali, che vedono l’ex premier Seini Oumarou Issoufou in testa con il 36% delle preferenze sullo storico oppositore, Mahamadou Issoufou. Gli elettori del Paese, che è uno dei più poveri del mondo, sono 6.7 milioni.

    Usa – si ribalta bus, 13 morti
    Grave incidente questa mattina all’alba su un’autostrada del Bronx: un bus con 30 persone a bordo si è schiantato contro un palo della luce che gli ha tranciato il tetto. Si contano 13 vittime e sei feriti gravi.

    Russia – esplosioni a Mosca
    Non ci sono vittime, ma solo danni ad alcune auto: è questo il bilancio dell’esplosione di due ordigni, uno vicino all’altro, avvenute ieri pomeriggio nella periferia nordorientale di Mosca. Secondo le prime ipotesi investigative, le due bombe sarebbero da catalogarsi come atti di teppismo. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Barbi e Mariapia Iacapraro)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 71

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.