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Sommario del 16/01/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI all’Angelus: sarà una gioia per me proclamare Beato Giovanni Paolo II. Appello ad accogliere e proteggere i migranti
  • L'arcivescovo Vegliò nella Giornata Mondiale del Migrante: dobbiamo essere consapevoli di appartenere tutti ad un'unica famiglia umana
  • L'arcivescovo Braz de Aviz alla Radio Vaticana: la vita consacrata è una grande ricchezza per la Chiesa
  • Oggi in Primo Piano

  • Futuro incerto per il Nepal dopo la fine della missione Onu
  • Un libro per raccontare paure e speranze del popolo di Haiti ad un anno dal terremoto
  • I figli al centro della risoluzione delle crisi familiari, tema di confronto in un convegno a Roma
  • Chiesa e Società

  • Il rabbino Toaff: la Beatificazione di Wojtyla è riconoscimento a un grande uomo
  • Il cardinale Bagnasco: gli Stati rispettino sempre la dignità del migrante
  • Pakistan: i cristiani sperano nella modifica della legge sulla blasfemia
  • Cina: ordinazioni nel tempo di Natale, segno di speranza per la Chiesa
  • Giornata dei malati di lebbra: iniziative dell’associazione Follereau
  • Concorso su Giovanni Paolo II per gli studenti di Roma
  • In Costa Rica, il II Congresso latinoamericano delle Vocazioni
  • 24 Ore nel Mondo

  • Ancora tensione e scontri in Tunisia dopo la fuga del presidente Ben Ali
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI all’Angelus: sarà una gioia per me proclamare Beato Giovanni Paolo II. Appello ad accogliere e proteggere i migranti

    ◊   All’Angelus, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI parla della prossima Beatificazione del suo amato predecessore Giovanni Paolo II. Esprime la sua gioia per questo evento tanto atteso e, salutando i fedeli polacchi, invita ad “una profonda preparazione spirituale” a tale avvenimento. Nella Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, il Papa ha dunque sottolineato che la Chiesa da sempre vive al suo interno l’esperienza della migrazione ed ha chiesto la protezione dei migranti e di coloro che si impegnano a loro favore. Il Pontefice non ha poi mancato di rivolgere un particolare pensiero a quanti, in diverse aree del mondo, sono stati colpiti da devastanti inondazioni. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Splende il sole su Piazza San Pietro, gremita di fedeli. Un clima di gioia festosa che sembra quasi anticipare l’evento che viene già definito memorabile: la Beatificazione di Karol Wojtyla. Evento di cui, all’Angelus, Benedetto XVI parla per la prima volta pubblicamente. Il Papa confida ai fedeli la sua emozione per questo avvenimento annunciato venerdì scorso:

    “Cari fratelli e sorelle, come sapete, il primo maggio prossimo avrò la gioia di proclamare Beato il Venerabile Giovanni Paolo II (applausi), mio amato predecessore. La data scelta è molto significativa: sarà infatti la II Domenica di Pasqua, che egli stesso intitolò alla Divina Misericordia, e nella cui vigilia terminò la sua vita terrena. Quanti lo hanno conosciuto, quanti lo hanno stimato e amato, non potranno non gioire con la Chiesa per questo evento. Siamo felici!”.

    E della Beatificazione di Papa Wojtyla, Benedetto XVI è tornato a parlare salutando i fedeli polacchi:

    Ta wiadomość była bardzo oczekiwana przez…”
    “Questa notizia - ha affermato - era molto attesa da tutti e, in modo particolare, da voi, per i quali" Giovanni Paolo II "è stato la guida nella fede, nella verità e nella libertà”. Vi auguro, ha concluso, “una profonda preparazione spirituale a questo evento”.

    Prima delle parole sulla Beatificazione di Papa Wojtyla, Benedetto XVI si era soffermato sull’odierna ricorrenza della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Spesso, ha constatato, la migrazione “è forzata da guerre o persecuzioni” e avviene “in condizioni drammatiche”. Poi, ha rammentato che anche i genitori di Gesù dovettero fuggire in Egitto per salvare la vita del loro bambino:

    “Il Messia, il Figlio di Dio è stato un rifugiato. La Chiesa, da sempre, vive al proprio interno l’esperienza della migrazione. Talvolta, purtroppo, i cristiani si sentono costretti a lasciare, con sofferenza, la loro terra, impoverendo così i Paesi in cui sono vissuti i loro avi”.

    D’altra parte, ha proseguito, “gli spostamenti volontari dei cristiani” sono “occasione per incrementare il dinamismo missionario della Parola di Dio e fanno sì che la testimonianza della fede circoli maggiormente nel Corpo mistico di Cristo, attraversando i popoli e le culture, e raggiungendo nuove frontiere, nuovi ambienti”. Ha così offerto una riflessione sul tema scelto per la Giornata: “Una sola Famiglia umana”:

    “Un tema che indica il fine, la meta del grande viaggio dell’umanità attraverso i secoli: formare un’unica famiglia, naturalmente con tutte le differenze che la arricchiscono, ma senza barriere, riconoscendoci tutti fratelli”.

    Ed ha ripreso il Concilio Vaticano II per sottolineare che la Chiesa “è segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”:

    “Per questo è fondamentale che i cristiani, pur essendo sparsi in tutto il mondo e, perciò, diversi per culture e tradizioni, siano una cosa sola, come vuole il Signore. E’ questo lo scopo della 'Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani', che avrà luogo nei prossimi giorni, dal 18 al 25 gennaio”.

    Una settimana, ha osservato, che viene preceduta dalla Giornata del Dialogo ebraico-cristiano, che “richiama l’importanza delle radici comuni che uniscono ebrei e cristiani”. Il Papa, rivolgendosi alla Vergine, ha quindi affidato alla sua protezione “tutti i migranti e quanti si impegnano in un lavoro pastorale in mezzo a loro”, con un pensiero speciale ai rappresentanti delle Comunità Migrantes della diocesi di Roma, presenti in Piazza San Pietro. Il Pontefice non ha infine mancato di esprimere particolare vicinanza alle popolazioni di Australia, Brasile, Filippine e Sri Lanka, recentemente colpite da devastanti inondazioni:

    “Il Signore accolga le anime dei defunti, dia forza agli sfollati e sostenga l’impegno di quanti si stanno prodigando per alleviare sofferenze e disagi”.

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    L'arcivescovo Vegliò nella Giornata Mondiale del Migrante: dobbiamo essere consapevoli di appartenere tutti ad un'unica famiglia umana

    ◊   Oggi, come ricordato dal Papa all'Angelus, la Chiesa celebra la 97.ma Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato. "Una sola famiglia umana" è il tema scelto quest’anno da Benedetto XVI per tale ricorrenza istituita da Pio X nel 1914. Ma quali Paesi sono oggi maggiormente interessati dal fenomeno migratorio e quali cause generano tali esodi? Fabio Colagrande lo ha chiesto all’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti:

    R. - Secondo dati recenti forniti dalle Nazioni Unite, i migranti in situazione di regolarità oggi nel mondo sono circa 214 milioni. Si stima che altri 15-20 milioni siano gli irregolari. A questi dobbiamo aggiungere almeno 15 milioni di rifugiati, mentre le persone sfollate all’interno dello stesso Paese (quelle che convenzionalmente sono definite come Internally Displaced Persons), soprattutto per violazioni di diritti umani, si aggirano attorno ai 27 milioni. Le regioni da cui maggiormente partono le persone in movimento sono senza dubbio quelle dell’Africa subsahariana, quelle del Medio Oriente e tutto il Sudest asiatico, ma anche molti Paesi dell’America Latina: insomma, quasi tutti i Paesi del mondo sono toccati da questo fenomeno, come zone di origine, di destinazione o di transito dei flussi di mobilità umana. Le cause sono le più svariate. A livello locale o nazionale: la ricerca di un futuro migliore, la povertà, la disoccupazione, le crisi economiche e politiche, i conflitti politici e sociali, la fame e le guerre. A livello mondiale, invece, vorrei ricordare soprattutto lo squilibrio economico internazionale, il degrado ambientale, la violazione dei diritti umani l’assenza di pace e di sicurezza.

    D. - Dinanzi a questo scenario, quali sono le situazioni che maggiormente preoccupano la Chiesa e, in particolar modo, il Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti?

    R. - Ormai da settimane seguiamo con apprensione la sorte di diversi migranti di nazionalità eritrea, etiope, somala e sudanese sottoposti a violenze, torture e continue estorsioni da parte di bande di predoni in Egitto e nei Paesi limitrofi. Qui vi è anche un collegamento fra i trafficanti e il crimine organizzato che gestisce il "mercato nero" di organi umani. Situazioni di grande sofferenza vi sono anche in Costa d’Avorio e in Sudan, costringendo migliaia di persone alla fuga dai loro Paesi, mentre i Paesi ricchi del mondo disputano una guerra fredda ed economica per accaparrarsi le risorse dell’Africa. Poi, continua il calvario dei profughi iracheni immigrati in Nord Europa, dove le autorità rimpatriano forzatamente i richiedenti asilo, le cui le domande vengono rifiutate. Così sta succedendo in Gran Bretagna, Francia, Olanda, Norvegia e Svezia, sebbene questa pratica sia stata condannata in sede di Unione Europea. Pare che dal 2008 ad oggi, circa 5 mila iracheni siano tornati volontariamente nel loro Paese, mentre più di 800 sono stati rimandati indietro contro la loro volontà. Nella cronaca di questi giorni, poi, tutti leggiamo la tragedia di milioni di sfollati a causa di disastri provocati dalla natura o dalla cattiva gestione del territorio da parte dell’uomo. In effetti, vi sono già numerosi morti in seguito all’inondazione della città di Brisbane. La terza città più grande dell’Australia si è trasformata in una “zona di morte”, ma il dramma delle inondazioni continua a devastare anche il nordest dell’Australia. In Brasile, tantissime persone sono rimaste senza casa in seguito alle piogge torrenziali che hanno causato numerose frane nelle città in cima alle montagne che circondano Rio de Janeiro. Le alluvioni hanno colpito anche lo Sri Lanka, dove fonti governative informano della creazione di 351 campi per l’accoglienza degli sfollati, il cui numero si avvicina ai 130 mila, mentre il totale delle persone colpite dalle alluvioni supera gli 860 mila. Senza dimenticare, infine, che in Indonesia sono almeno 11 mila le persone sfollate nei campi di accoglienza, in seguito alle gravi inondazioni causate dall’acqua piovana mista alle rocce vulcaniche e alle sabbie, che hanno spazzato via le strade e danneggiato molti villaggi. Gli sforzi della Chiesa per aiutare le popolazioni colpite sono molteplici: arrivano aiuti economici da diversi Paesi e anche il Papa, specialmente tramite il Pontificio Consiglio Cor Unum, offre la sua solidarietà. Qui, però, vorrei soprattutto ricordare l’appello al rispetto dei diritti degli immigrati che è stato lanciato in questi giorni dall’arcivescovo di Léon e presidente della Conferenza episcopale del Messico, Mons. José Guadalupe Martín Rábago, di cui ha riferito anche L’Osservatore Romano. Il vescovo ha denunciato violenze e soprusi subiti dai migranti che cercano di raggiungere gli Stati Uniti, accanto all’abuso di autorità, all’incursione da parte delle forze di sicurezza, ai sequestri di immigrati irregolari e al crescente potere della criminalità organizzata. A Chahuites, nello scorso mese di dicembre, 50 migranti centroamericani sono stati rapiti e la loro sorte è tutt’ora ignota, come lo è quella dei migranti africani nella penisola del Sinai.

    D. - In queste situazioni, come si inserisce l’operato della Chiesa?

    R. - Siamo tutti consapevoli, oggi, di vivere in un mondo che se, da una parte, è sempre più globalizzato, dall’altra appare anche diviso dalla diversità culturale, sociale, economica, politica, religiosa e presenta nuove sfide alla nostra coscienza cristiana, una delle quali, particolarmente importante, afferma il Papa nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale di quest’anno, è la consapevolezza di appartenere tutti ad un’unica famiglia umana, la “famiglia dei popoli”, “chiamata ad essere unita nella diversità”. E nello sforzo di armonizzare l’unità dell’umanità, nella diversità dei popoli che la compongono, è necessario impostare tutta una pedagogia per l’accoglienza delle differenze, per la cultura del dialogo, della reciprocità e della solidarietà. La Chiesa sente l’importanza di unificare società, come quelle attuali, socialmente disintegrate. L’impegno del dialogo su tutti i fronti (a livello interculturale, interconfessionale e interreligioso) diventa il compito più urgente che i cristiani sono chiamati a svolgere, oggi, in società sempre più caratterizzate dal pluralismo etnico, culturale e religioso.

    D. - Come rileggere il Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del migrante e del Rifugiato alla luce delle nuove sfide che sta affrontando la comunità internazionale?

    R. - Quest’anno il Messaggio di Benedetto XVI, il quinto del suo Pontificato, sottolinea che l’umanità è una sola famiglia, multietnica e interculturale. In tale contesto, la Chiesa avverte come suo compito anzitutto quello di ristabilire i valori e la dignità umana, specialmente mediante la promozione di una cultura dell’incontro e del rispetto, che risana le ferite subite e apre nuove possibilità di integrazione, di sicurezza e di pace. La sfida consiste nel creare zone di tolleranza, speranza, guarigione, protezione, e nell’assicurare che drammi e tragedie – causati da atteggiamenti di intolleranza che, purtroppo, sfociano anche nella xenofobia e nel razzismo – non accadano mai più. Poi, per quanto riguarda la lotta alle cause delle migrazioni, volontarie o forzate, di quelle per motivi economici o provocate da disastrosi mutamenti dell’ecosistema, è da auspicare che gli Stati più avvantaggiati sappiano cogliere l’esortazione del Santo Padre all’equa distribuzione dei beni della terra, mettendo in atto interventi strutturali ed efficaci, come cooperazione allo sviluppo dei Paesi più poveri, riducendo le cause degli esodi forzati.

    Margot Canto, peruviana, è arrivata in Italia 10 anni fa. Lavora presso l’Ufficio della pastorale dei migranti della diocesi di Torino, dove presta consulenza in favore di altri stranieri. Al microfono di Anna Rita Cristaino, spiega i motivi che l’hanno spinta a lasciare il suo Paese e come da allora sia cambiata la sua vita:

    R. – Lavoravo in una ditta molto importante e avevo un alto incarico, ma avendo già compiuto più di 45 anni - e nel mio Paese avere 45 anni significa essere già vecchi - ho dovuto lasciare il mio lavoro. Avevo ancora due figli da mantenere e in quel momento, quindi, abbiamo deciso di venire in Italia.

    D. – Come è stata accolta e quali le difficoltà maggiori che ha dovuto affrontare?

    R. – Quando siamo arrivati ci siamo trovati veramente in grande difficoltà, perché siamo diventati extracomunitari. Per questo non riuscivamo a trovare una casa e non riuscivamo a trovare un lavoro del nostro livello, essendo laureati: questo è stato un problema per noi, perché non avevamo percepito ancora che il nostro ruolo come stranieri in Italia sarebbe stato un ruolo di basso livello. Così abbiamo deciso di lavorare come lavoravano qui tutti gli stranieri. Ho iniziato, dunque, un nuovo percorso.

    D. – Ci sono state occasioni, quindi, in cui si è sentita discriminata?

    R. – Mi sono sentita molto discriminata, inizialmente. E’ stato molto difficile accettare questa situazione, trovarsi prima di tutto in una società che non ti accetta e dove non sei ben accolta.

    D. – Chi l’ha aiutata all’inizio e quali i passi successivi che lei ha fatto?

    R. – A Torino, c’è l’Ufficio pastorale migranti e con il loro aiuto ho iniziato a studiare prima la lingua e poi ho seguito il percorso di mediazione interculturale per diventare referente di comunità.

    D. – Nel Messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni, il Papa sottolinea come tutti i popoli costituiscano una sola comunità, parla di una sola famiglia umana...

    R. – Questo del Papa è un Messaggio molto importante. Mi sembra che cosa fondamentale, non solo per gli Stati o per le leggi ma per le persone, sia quella di pensare che noi stranieri siamo persone, non siamo manodopera. Siamo persone e non una cosa, con una nostra famiglia, una nostra vita e con cui si può compartire la propria vita, stringere amicizia e fare conoscenza.(ap)

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    L'arcivescovo Braz de Aviz alla Radio Vaticana: la vita consacrata è una grande ricchezza per la Chiesa

    ◊   Il 4 gennaio scorso, il Papa ha nominato l’arcivescovo di Brasilia, mons. João Braz de Aviz, nuovo prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Il presule, che succede al cardinale Franc Rodé, ha 63 anni ed era alla guida dell’arcidiocesi di Brasilia dal 2004. Nel maggio scorso, ha organizzato il 16.mo Congresso Eucaristico Nazionale, in coincidenza con il 50.mo anniversario della città. Silvonei Protz gli ha chiesto di raccontare come ha accolto questa nomina:

    R. – L’ho ricevuta con grande semplicità ed accogliendo quindi un servizio più vicino alla Santa Sede, alla Curia Romana e soprattutto alla persona del Santo Padre.

    D. – Anche un riconoscimento da parte del Papa alla Chiesa in Brasile?

    R. – Il cardinale Tarcisio Bertone mi ha detto che una delle ragioni di questa nomina era l’attenzione del Santo Padre alla Chiesa in Brasile.

    D. – In che prospettiva vede questo lavoro al fianco del Santo Padre?

    R. – Io penso che il primo ruolo sia proprio quello di essere molto vicino al cuore di Papa Benedetto XVI. Ma, allo stesso tempo, credo che sia fondamentale lo sforzo e l’impegno comune di tutto il gruppo che lavora nella Congregazione per accompagnare le persone consacrate in tutti quegli aspetti che caratterizzano la loro vita. Noi conosciamo bene la ricchezza che ha la Chiesa in questo ambito: sin dai primi secoli queste famiglie di monaci, di eremiti, di frati, di suore e di persone che hanno risposto ad un carisma che Dio ha suscitato nella Chiesa, hanno realizzato una storia di santità nella Chiesa. Io penso che questo lavoro nel campo della vita consacrata sia speciale. Il mondo di oggi spesso non dà più un grande valore a colui che decide di consacrarsi a Dio, per esempio nella verginità, nel celibato. E qui noi abbiamo uomini e donne, appartenenti a tante famiglie religiose, che hanno saputo comprendere questa luce e che sanno che in loro c’è questa luce che produce questo cammino verso la consacrazione. Questo è un patrimonio della Chiesa, in tutti i secoli. Io penso che questo sia un dono immenso per la Chiesa, che noi dobbiamo curare da molto vicino.

    D. – Si parla di fioritura di nuove comunità nel mondo e principalmente in Brasile: qual è la realtà di queste nuove comunità?

    R. – Viviamo un momento molto fecondo. Io penso che questo fenomeno, nel suo insieme, sia realmente un dono di Dio, della grazia di Dio, dell’amore di Dio per la nostra nazione. Io vedo anche che questi carismi nascono un po’ dappertutto - in Italia, in Spagna, così come in Oriente – e coinvolgono anche i giovani e in modo veramente appassionante, al punto da far lasciare loro tutto: questo non vuol dire che si tratta di una cosa superficiale, ma è una cosa di molto profondo! E’ l’azione di Dio che è sempre nuova. Dio sta lavorando alla sua Chiesa.

    D. – Con quali sentimenti lascia Brasilia?

    R. – Io amo moltissimo Brasilia e parto con il cuore pieno, pieno di affetto per Brasilia, ma pronto a vivere questa nuova missione. (mg)

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    Oggi in Primo Piano



    Futuro incerto per il Nepal dopo la fine della missione Onu

    ◊   In Nepal è terminata la missione dell’Onu giunta nel Paese quattro anni fa per sorvegliare il processo di pace e la transizione democratica, dopo la fine della guerra civile che ha portato al rovesciamento della monarchia. L’instabile governo non ha trovato l’accordo per rinnovare la missione che, con rammarico da parte del Consiglio di Sicurezza, non è riuscita a raggiungere gli obiettivi. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Barbara Monachesi, cooperante di Apeiron Onlus, raggiunta telefonicamente a Kathmandu:

    R. – Non è stato svolto quel lavoro che si pensava che le Nazioni Unite potessero svolgere. Basta pensare che erano presenti qui da anni e ancora non c’è un processo di pace che si possa definire veramente tale. Uno dei problemi irrisolti - fra i più grossi - è quello relativo alla gestione di più di 19 mila ex guerriglieri maoisti che – essendo finita la guerra civile – non hanno al momento alcuna collocazione e sono ancora confinati nei quartieri militari, senza avere un futuro, senza avere nulla…

    D. – C’è da aggiungere che il Paese resta in preda ad una crisi politica senza precedenti…

    R. – Tutto qui è abbastanza incerto. Basta pensare che da fine giugno del 2010 non c’è un governo che sia riconosciuto: si sono incontrati ormai – penso - più di venti volte per tentare di nominare un nuovo primo ministro. Diciamo che anche se c’è stato il passaggio da monarchia a repubblica, in realtà per chi vive qui la vita non ha subito alcun cambiamento, forse è peggiorata: tutti i prezzi sono saliti alle stelle; ancora adesso non arrivano i carburanti; a volte non si trovano neanche le bombole del gas… Insomma, chi si aspettava di vedere dei grandi miglioramenti con la fine del conflitto, al momento non li vede.

    D. – Secondo lei, c’è il rischio di una riattivazione da parte dei guerriglieri?

    R. – Purtroppo c’è stata una sorta di scissione all’interno del partito maoista stesso, tra il teorico del movimento e il capo dei ribelli Prachanda. Quest’ultimo, in uno dei suoi tanti discorsi, ha avanzato l’idea di imbracciare nuovamente le armi qualora non ci fosse stata una presa di posizione decisa proprio per risolvere il problema degli ex guerriglieri.

    D. – Cosa chiedono gli ex guerriglieri?

    R. – Vorrebbero essere impiegati in qualche modo. Si pensava ad una loro integrazione nell’esercito dello Stato, ma è anche vero che non si può pensare di aggiungere altri 19 mila uomini nell’esercito di uno Stato, che non raggiunge neanche i 25 milioni di abitanti.

    D. – Qual è la giustificazione data dai partiti?

    R. – Non ne forniscono… Continuano a darsi la colpa a vicenda, senza che nessun ceda mai su nulla. E’ ovvio che senza trovare un compromesso, non si potrà arrivare da nessuna parte! In questo modo continuano a dimostrarsi incapaci di governare e basti pensare che per mesi, mesi e mesi hanno rimandato il lancio del budget del nuovo anno, perché in Nepal l’anno fiscale finisce a luglio: per mesi, mesi e mesi non sono quindi stati dati soldi a livello territoriale e locale. Per questo, c’è chi auspica veramente il ritorno del re… (mg)

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    Un libro per raccontare paure e speranze del popolo di Haiti ad un anno dal terremoto

    ◊   Il secondo turno delle elezioni presidenziali e legislative previste per oggi ad Haiti non avrà luogo. E’ quanto reso noto ieri sera dal Consiglio elettorale provvisorio. Intanto, ad un anno dal terribile sisma che ha scosso l’isola caraibica, un libro offre il punto di vista della popolazione sui problemi del dopo terremoto. Si tratta di “Haiti: l’innocenza violata, chi sta rubando il futuro del Paese?”, edito da Infinito Edizioni e scritto a quattro mani da Marco Bello e Alessandro De Marchi. Salvatore Sabatino ne ha parlato con uno degli autori, Marco Bello:

    R. – Curando questa raccolta di testimonianze ci siamo accorti che, di fatto, ciò che sta succedendo è che il governo haitiano ha completamente abdicato alle sue prerogative, mettendo nelle mani delle comunità internazionale – in particolare degli Stati Uniti che ovviamente sono molto influenti nell’area – le prospettive per il futuro del Paese. Nel momento in cui si definiscono le visioni e le prospettive, quello che ci dicono gli haitiani è che loro vorrebbero partecipare a questo processo, ma ne sono stati totalmente esclusi.

    D. – Gli haitiani insomma vogliono ricostruire il loro futuro e quello che lanciano anche dalle pagine della vostra pubblicazione è comunque un messaggio di speranza, di voglia di fare…

    R. - Assolutamente. Bisogna dire che ad Haiti c’è una società civile molto viva che è stata decapitata e che ha subito molte perdite e danni a causa del terremoto. Ma è una società civile che ha fatto la storia di questo Paese, a partire dalla comunità ecclesiale di base negli anni ’70 dai movimenti contadini ai movimenti femministi intellettuali e si stanno organizzando per cercare di portare la loro voce su quello che vorrebbero fosse la ricostruzione. Loro hanno molte idee, hanno visioni per il futuro, hanno anche risorse e competenze e hanno anche molte energie e voglia di fare. Ovviamente, è una galassia di organizzazioni che cercano di coordinarsi. Ci sono anche organizzazioni per i diritti umani che si fanno sentire.

    D. – Ad un anno dal terremoto, Haiti è un Paese ancora in ginocchio, tutto da ricostruire, piagato dal colera e con una situazione politica difficile. Qual è la ricetta per fare rinascere l’isola?

    R. – Quello che molti suggeriscono come società civile è la creazione di un governo di transizione, un governo di consenso nazionale, che possa in qualche modo dialogare con la comunità internazionale, di cui hanno sicuramente bisogno. Però, possono anche mettere dei “paletti” e possono organizzare e strutturare un percorso per uscire da questa crisi fondamentale. Bisogna dire che, anche prima del terremoto, Haiti viveva una storia piuttosto travagliata.

    R. – I proventi di questo libro verranno devoluti a progetti di sviluppo per la società civile haitiana. Avete già individuato qualche progetto che vi piacerebbe finanziare?

    R. – Sì, noi lavoriamo in collaborazione con l’Ong Cisv e col Progetto Mondo Mlal di Verona. A noi piacerebbe appoggiare i contadini in modo tale che la produzione agricola interna aumenti. Questo porterebbe a una miglior condizione di vita per le famiglie e quindi, in ultima analisi, le famiglie riuscirebbero a seguire i bambini e alcune tendenze, tra cui anche l’inurbamento, sarebbero frenati e si potrebbe andare verso lo sviluppo. Certo, sarebbe una goccia nell’oceano: però noi pensiamo che un modo di agire sarebbe quello di confrontarsi con amici e partner haitiani. Un percorso potrebbe essere questo. Ecco perché sarebbe importante appoggiare la produzione agricola all’interno del Paese. (bf)

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    I figli al centro della risoluzione delle crisi familiari, tema di confronto in un convegno a Roma

    ◊   Ogni anno in Italia 84 mila separazioni e 53 mila divorzi coinvolgono 150 mila bambini, spesso posti al centro di scontri tra padre e madre e vittime dell’allontanamento di un genitore ad opera di quello affidatario. Questi minori rischiano di sviluppare disturbi psicologici, comportamentali, alimentari, di dipendenza o autolesionismo, che in una parola sono riassunti nella sigla Pas, la “Sindrome da alienazione parentale”. Se ne è parlato nei giorni scorsi a Roma in un convegno promosso dall’Associazione avvocati matrimonialisti italiani. “Nella risoluzione di crisi familiari occorre dare centralità ai figli”, ha commentato l’avvocato matrimonialista, Anna Maria Panfìli. Paolo Ondarza l’ha intervistata:

    R. – Nell’ambito dei procedimenti è molto importante dare davvero – quello che la legge dice – un valore preminente all’interesse dei figli. Questo si può fare se collaborano tutti gli operatori: gli avvocati, i giudici e anche le parti che sono in lite. Poi c’è un aspetto culturale, che è quello che impone di capire che i bambini, all’interno della separazione, soffrono e soffrono tanto. Dire loro che sono molti i bambini che hanno i genitori separati non basta, li fa sentire fuori posto e, a volte, in colpa, perché fa dire loro: “Sto male! Perché sto così male?”

    D. – Gli psichiatri e gli psicologi spiegano che i bambini, vittime di scontri tra genitori, rischiano di sviluppare seri disturbi psicologici comportamentali, alimentari o addirittura di dipendenza...

    R. – Sì, è certamente il frutto dell’incapacità degli adulti di dare una soggettività al bambino. Quando il bambino diventa lo strumento di un genitore per fare lotta all’altro è evidente che perde la sua identità.

    D. – Sicuramente, il contesto che circonda la coppia intenzionata a divorziare o a separarsi non aiuta i bambini coinvolti...

    R. – Sì, la nostra è una civiltà molto contraddittoria, perché da un lato si moltiplicano le carte dei diritti del bambino, dall’altra, però, ancora non è cresciuta la sensibilità generale che afferma che il bambino è una persona in relazione con la sua famiglia, che ha un’identità dipendente dalle sue relazioni familiari. Tutto questo deve diventare un lavoro di approfondimento da sviluppare in tutti gli ambiti: ad esempio, nella formazione degli operatori che si occupano del conflitto familiare e, quindi, anche nella formazione degli avvocati e dei magistrati minorili.

    D. – Nell’ultimo ventennio, sono state 84 mila le separazioni e 53 mila i divorzi ogni anno: un dato che non può lasciare indifferenti. Ma quanto si fa per sostenere le coppie con figli in difficoltà?

    R. – Poco, sempre troppo poco… Io non vedo, ad esempio, lavoro di sostegno per una possibile riconciliazione. Questa è davvero una grandissima carenza del nostro sistema. E’ vero che c’è il tentativo obbligatorio di conciliazione in tutte le separazioni, ma chi lavora in questo ambito sa benissimo che è una formalità. E’ anche vero che c’è l’offerta sul territorio di questo servizio di mediazione, che dovrebbe prevenire la crisi familiare, ma non è pubblicizzato, e oggi è più rivolto a contenere il conflitto una volta che è esploso. Credo che occorra una più capillare distribuzione del servizio di sostegno alle funzioni genitoriali e alla coppia, e anche una più diffusa chiarezza sul valore del matrimonio e della stabilità delle relazioni, perché oggi è il contrario quello che ci viene proposto: e cioè che liberarsi della persona con cui ci si è sposati è cosa buona. Non voglio dire che non ci siano delle situazioni davvero drammatiche, che non si possono più ricomporre, ma molte delle situazioni sarebbero contenibili se fossero prese in tempo.(ap)

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    Chiesa e Società



    Il rabbino Toaff: la Beatificazione di Wojtyla è riconoscimento a un grande uomo

    ◊   La Beatificazione di Karol Wojtyla è “il riconoscimento a un grande Papa e a un grande uomo che io ho conosciuto molto bene”: è quanto affermato dal rabbino capo emerito di Roma, Elio Toaff, protagonista insieme a Giovanni Paolo II della storica visita papale alla sinagoga di Roma del 13 aprile del 1986. Il rabbino Toaff, il cui nome è ricordato con gratitudine da Papa Wojtyla nel suo testamento spirituale, ha inoltre affermato che la Beatificazione del Pontefice polacco gli fa molto piacere pur essendo “un fatto interno alla Chiesa cattolica”. Karol Wojtyla ed Elio Toaff si incontrarono per la prima volta l’8 febbraio del 1981 durante la visita pastorale alla parrocchia romana di San Carlo ai Catinari. Qui, in un locale adiacente alla parrocchia, il Papa e il rabbino ebbero un colloquio privato, come testimoniato dal cardinale Mejia, all’epoca segretario vaticano per i rapporti religiosi con l’ebraismo. (A.G.)

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    Il cardinale Bagnasco: gli Stati rispettino sempre la dignità del migrante

    ◊   “La Chiesa è, nel nome di Cristo, amica di ogni uomo”, così il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, ha aperto l'omelia durante la Messa, celebrata nella cattedrale genovese di San Lorenzo, in occasione della 97.ma “Giornata mondiale del migrante e del rifugiato”. Il porporato ha quindi salutato tutti coloro che approdano nella “nostra terra” da altre zone del mondo alla ricerca di “serenità, prosperità e pace”, rivolgendosi ai numerosi stranieri presenti nella Cattedrale del capoluogo ligure. La giornata odierna, ha poi spiegato l’arcivescovo di Genova, “vuole educarci al valore della relazione, dell'incontro con persone e storie, popoli che provengono da mondi, culture, religioni e tradizioni differenti, per crescere nell'accoglienza e nella reciproca stima”. Il cardinale Bagnasco ha proseguito mettendo l’accento sull'importanza del dialogo come “strumento e metodo” della fraternità che “valorizza le esperienze umane, cristiane e religiose diverse”, con alcune particolari attenzioni: “In primo luogo il dialogo della vita, che si ha quando le persone si sforzano di vivere pronte a farsi prossimo”. Poi – ha aggiunto il porporato - “il dialogo dell’azione, nel quale i cristiani e gli altri credenti collaborano per lo sviluppo integrale dei singoli e dei popoli”. Inoltre, “il dialogo dello scambio teologico e il dialogo dell’esperienza religiosa, nel quale le persone, radicate nelle loro tradizioni religiose, condividono le ricchezze spirituali”. Il presidente della Cei è poi entrato nel merito del diritto di emigrare affermando che "la Chiesa lo riconosce ad ogni uomo nel duplice aspetto di possibilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni di vita". E “al tempo stesso, gli Stati hanno il diritto di regolare i flussi migratori e di difendere le proprie frontiere, sempre assicurando il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana”. Il presidente della Cei ha fatto poi riferimento alla lunga storia di accoglienza del capoluogo ligure, ricordando che “Genova è luogo fondamentale nella storia della mobilità umana in Italia per le partenze transatlantiche dal suo porto a partire dalla fine dell'800 e nei primi decenni del '900; per la storia delle migrazioni interne e per i lavoratori frontalieri verso il Principato di Monaco e la Costa Azzurra; per l'immigrazione di ritorno, oggi, dall'America latina; per il mondo dei marittimi curati dalla 'Stella Maris' a Genova e in Liguria fin dai primi anni del '900”. Il porporato ha concluso l’omelia chiedendo alla “Santa Vergine, Stella maris, la grazia di continuare in Italia con rinnovata convinzione questo cammino”. “Fa parte dell’anima e della missione della Chiesa – ha detto infine il cardinale Bagnasco – essere segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. (M.G.)

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    Pakistan: i cristiani sperano nella modifica della legge sulla blasfemia

    ◊   La controversa legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan continua a turbare la comunità cristiana nel Paese asiatico che ne chiede l’abrogazione o quanto meno la modifica. La società civile pakistana, ricorda l'agenzia Fides, ha mostrato una forte spaccatura sulla questione. Per questo, i cristiani hanno accolto con grande soddisfazione la notizia che il presidente del Pakistan Asif Ali Zardari ha discusso e parlato della legge nel corso dei colloqui con il presidente Usa, Barack Obama, nella sua recente visita alla Casa Bianca. Secondo quanto riferiscono fonti di Fides, nella comunità cristiana in Pakistan “il fatto che la questione della blasfemia sia entrata nell’agenda dei colloqui internazionali, accanto alla lotta al terrorismo, è di vitale importanza”. “Vuol dire – proseguono -, che si comprende quanto sia essenziale per la società pakistana. Si tratta di una battaglia di civiltà, di difesa dello stato di diritto, di custodia dei principi basilari della democrazia e dei diritti inalienabili dell’uomo”. Il presidente Zardari, secondo i cristiani, è oggi, insieme con il ministro cattolico per le Minoranze Religiose Shabhaz Bhatti, “l’uomo politico con funzioni istituzionali di maggior peso che è seriamente impegnato a tutelare la legalità, la difesa dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini pakistani, a qualsiasi religione appartengano”. Oggi, infatti, il panorama politico nazionale, spiega la fonte di Fides, “vede il governo incerto e titubante sulla questione della blasfemia, in quanto la sua stessa sopravvivenza politica è legata, per certi versi, all’appoggio dei partiti religiosi, che impongono una sorta di ricatto”. Il premier Gilani ha comunque riferito – dopo aver detto nei giorni scorsi che la legge non sarebbe stata emendata – che "l’esecutivo intende battersi per evitare le distorsioni e gli abusi della legge: questa è un’altra buona notizia". Si potrà, ad esempio, eliminare la pena di morte, di cui è vittima la cristiana Asia Bibi. Oppure – è un’altra proposta – prevedere che una denuncia di blasfemia si possa registrare solo dopo l’esame e l’autorizzazione di una commissione interreligiosa. Il dibattito, comunque, resta aperto a livello politico e sociale, e i cristiani auspicano che si mantenga entro i binari di civiltà e di un confronto sereno, nel rispetto delle posizioni di tutti. (M.G.)

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    Cina: ordinazioni nel tempo di Natale, segno di speranza per la Chiesa

    ◊   Nel tempo di Natale e all’inizio del nuovo anno civile, diverse diocesi della Cina continentale hanno celebrato le ordinazioni diaconali e presbiterali, segno di speranza per il futuro della Chiesa in Cina. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, mons. Huo Cheng, vescovo della diocesi di Fen Yang nella provincia dello Shan Xi, ha presieduto il 7 gennaio una ordinazione presbiterale e due diaconali della diocesi di Zhu Ma Dian, della provincia dell’He Nan. Una trentina di sacerdoti provenuti da diverse diocesi hanno concelebrato questa ordinazione “storica”: infatti, riferisce l'agenzia Fides, per la diocesi l’ultima ordinazione era stata celebrata 10 anni fa. Hanno preso parte al solenne rito una ventina di religiose ed oltre duecento fedeli. Nella solennità dell’Epifania, il vescovo novantenne Mons. Liu Shi Gong ha presieduto l’ordinazione sacerdotale del diacono Song Lian Suo, nella Cattedrale della diocesi di Ji Ning. Con il vescovo hanno concelebrato 36 sacerdoti, mentre i fedeli presenti erano oltre 500. Alla vigilia di Natale, due diaconi della diocesi di Shang Hai e 4 della diocesi di Wen Zhou hanno ricevuto l’ordinazione sacerdotale dalle mani di mons. Xing Wen Zhi, vescovo ausiliare della diocesi di Shang Hai. Il solenne rito si è tenuto nella Cattedrale di Shang Hai ed è stato concelebrato da 105 sacerdoti provenuti da tutto il Paese.

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    Giornata dei malati di lebbra: iniziative dell’associazione Follereau

    ◊   Il 30 gennaio prossimo sarà celebrata la 58.ma Giornata mondiale dei malati di lebbra, voluta da Raoul Follereau per promuovere i diritti di questi malati e dedicata quest’anno al continente africano. Tema dell’edizione 2011: “C'è un solo cielo per tutto il mondo”. La citazione, tratta dal Testamento ai Giovani di Follereau, “è un invito - spiega una nota dell’associazione - a guardare in alto per cogliere ciò che sfugge alle menti prigioniere di un quotidiano, angusto egoismo” e “scoprire il comune destino che accompagna la vita di ogni persona” qualunque sia “la sua condizione economica, fisica, sociale”. In vista dell’appuntamento, riferisce l’agenzia Sir, sono già quasi 800 le piazze del “Miele della Solidarietà”, che come ogni anno verrà distribuito dai volontari dell’Aifo (Associazione italiana amici di Raoul Follereau). Ad avvolgere i vasetti di miele saranno sacchetti di iuta confezionati da persone guarite dalla lebbra grazie al progetto Sumana Halli a Bangalore, in India. Il ricavato dell’iniziativa finanzierà la cura dei malati di questo Paese. Da oggi, ricorda l’associazione, avranno inizio gli incontri dei “Testimoni di solidarietà” persone direttamente impegnate nei progetti Aifo all'estero, che per l'occasione si fanno “promotrici di consapevolezza” presso la società civile, presso scuole, parrocchie ed altre istituzioni. Dal 22 gennaio al 10 febbraio sarà attivo il servizio Sms solidale, attraverso il quale si potrà donare 1 euro all'associazione inviando un Sms al numero 45592 (A.G.)

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    Concorso su Giovanni Paolo II per gli studenti di Roma

    ◊   In occasione del 90.mo anniversario della nascita di Karol Wojtyla, il movimento "Gruppi di preghiera Figli Spirituali di Giovanni Paolo II" in collaborazione con l’Ufficio per la pastorale scolastica del Vicariato di Roma e con il patrocinio della presidenza del Consiglio dei Ministri, indice il primo concorso rivolto alle scuole primarie e secondarie di Roma Capitale sul tema: “Giovanni Paolo II. Una luce di speranza nella Chiesa e nel mondo”. Gli studenti potranno partecipare singolarmente o come classe presentando entro il 15 marzo un elaborato che utilizzi qualsiasi tecnica o strumento multimediale: disegni o pittura, poesie, componimenti, raccolta foto, interviste, realizzazione di video, composizioni musicali. La premiazione degli elaborati avrà luogo il 13 maggio 2011 alle ore 17 presso la Pontificia Università Lateranense e sarà preceduta da una veglia di preghiera mariana la sera del 12 maggio nella Basilica di Santa Maria Maggiore e da una Santa Messa di ringraziamento per il “dono” del Beato Giovanni Paolo II. (A.G.)

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    In Costa Rica, il II Congresso latinoamericano delle Vocazioni

    ◊   “Rafforzare la cultura vocazionale perché i battezzati assumano la chiamata ad essere discepoli e missionari di Cristo nelle attuali circostanze dell’America Latina e dei Caraibi”: è l’obiettivo del Secondo Congresso continentale latinoamericano delle Vocazioni, che si terrà dal 31 gennaio al 5 febbraio in Costa Rica. Promosso dal Dipartimento Vocazioni e Ministeri del Celam, in collaborazione con altri organismi ecclesiali, il Congresso vedrà la partecipazione delle delegazioni delle Conferenze episcopali latinoamericane. L’iniziativa vuole rispondere alle sfide poste dal documento di Aparecida sul tema della formazione dei discepoli e missionari di Cristo, come informa la nota degli organizzatori ripresa dall’Agenzia Fides, ricordando che la pastorale vocazionale occupa un posto particolare in questo settore, poiché accompagna da vicino “tutti quelli che il Signore chiama al suo servizio nella Chiesa, nel sacerdozio, nella vita consacrata e nello stato laicale”. Il comunicato ricorda, inoltre, che la pastorale vocazionale è responsabilità di tutto il popolo di Dio, comincia in famiglia e continua nella comunità cristiana, si rivolge ai bambini e ai giovani per aiutarli a scoprire il senso della vita e il progetto di Dio per ciascuno di loro, è frutto di una pastorale coordinata che coinvolge le famiglie, le parrocchie, le scuole cattoliche e le altre istituzioni ecclesiali. Infine, si sottolinea che “è necessario intensificare in diversi modi la preghiera per le vocazioni, con la quale si contribuisce anche a creare maggiore sensibilità e recettività di fronte alla chiamata del Signore”. (M.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Ancora tensione e scontri in Tunisia dopo la fuga del presidente Ben Ali

    ◊   Ancora tensione in Tunisia dopo i disordini di ieri. La scorsa notte, nonostante il coprifuoco, ci sono stati saccheggi e alcuni episodi di violenza con un numero di vittime difficile da confermare. A livello politico proseguono le consultazioni in vista della formazione di un nuovo esecutivo, mentre oggi è stata indetta una nuova manifestazione di piazza a Tunisi per chiedere lo scioglimento del partito al potere dell’ex presidente Ben Ali, fuggito venerdì in Arabia Saudita. Il servizio di Eugenio Bonanata:

    Le agenzie internazionali segnalano la ripresa di scontri nel centro di Tunisi. Uomini armati hanno aperto il fuoco provocando la morte di almeno una persona. Alcune unità dell’esercito hanno circondato la sede del Ministero dell’interno, mentre l’ex titolare del dicastero è stato arrestato per aver dato l’ordine di sparare contro i manifestanti nei giorni scorsi. Per gli stessi motivi l’ex capo della sicurezza, già arrestato, sarà processato per incitamento alla violenza e minaccia alla sicurezza nazionale. Secondo l’emittente televisiva araba al-Jazeera sono tre mila i poliziotti arrestati fino ad ora per la loro vicinanza alla deposta leadership. Ci sarebbero loro dietro i numerosi saccheggi ai danni di negozi e di abitazioni civili, avvenuti la notte scorsa a causa della penuria di cibo che comincia a farsi sentire in città e nonostante il coprifuoco. Coprifuoco, che, a partire da oggi, sarà ridotto di un’ora. Lo hanno deciso le autorità a fronte di quello che considerano “il miglioramento della situazione”, pur lasciando inalterate le altre misure di sicurezza come il divieto di assembramenti per le strade. Sempre nella notte è avvenuta l’uccisione di un parente dell’ex presidente, mentre in un ospedale di Tunisi è deceduto il fotografo francese colpito da un lacrimogeno durante le dimostrazioni di venerdì. Folla, intanto, negli aeroporti: numerose, infatti, le persone che attendono di lasciare il Paese con i primi voli dopo la revoca del blocco dello spazio aereo. A livello politico il neo premier incaricato Ghannnouci prosegue i colloqui con le forze di opposizione in vista della creazione di un governo di unità nazionale. L’obiettivo è anche quello di indire nuove elezioni, che, secondo le prime dichiarazioni, potrebbero svolgersi nel giro di una sessantina di giorni. Questo lo scenario caldeggiato dalla Comunità internazionale, mentre oggi l’Iran ha messo in guardia la Tunisia dalle ingerenze di Unione Europea e Stati Uniti. Ieri, invece, ad esprimere appoggio al presidente deposto Ben Ali è stato il leader libico Gheddafi.

    Sulla situazione politica in Tunisia e sul ruolo dei partiti di opposizione in questo momento di transizione, abbiamo intervistato Domenico Quirico, esperto di questioni africane per il quotidiano "La Stampa", raggiunto telefonicamente a Tunisi:

    R. – I cosiddetti partiti di opposizione che erano presenti, legalizzati e consentiti in questo Paese negli ultimi 20 anni, non rappresentano nulla. E non rappresentano nulla perché erano delle formazioni – diciamo – “fantoccio”, al servizio – pagate e stipendiate - dal regime di Ben Alì. Un governo di unità nazionale con queste forze e con queste sigle, che sono assolutamente vuote e fatte di personaggi largamente frammisti a quello che il regime faceva, non ha senso. Le forze di opposizione vere esistono, ma sono in esilio o si tratta di gente che è stata in carcere: nessuno li conosce, perché sui giornali nessuno ovviamente parlava di loro, se non come banditi, fuggiaschi o peggio; non hanno soldi, non hanno strutture. L’organizzazione di un governo di unità nazionale con quello che c’è qui oggi, non dà alcuna garanzia.

    D. – Si parla del possibile ritorno sulla scena politica di forze islamiche e in qualche modo estremiste: in questo quadro è possibile confermare questo timore?

    R. – Se le cose non verranno organizzate rapidamente e se non si daranno dei segni tangibili alla gente che è andata in strada, che si è fatta ammazzare in questi giorni, il movimento islamico potrebbe seguire il modello algerino e potrebbe diventare veramente una forza predominante. Il pericolo islamista in questo Paese non esiste e non esiste non perché Ben Alì li ha massacrati, ma perché semplicemente l’islamismo locale era molto laicizzato e largamente minoritario. Diciamo che in una previsione assai, assai pessimistica in caso di elezioni vere, potrebbe totalizzare al massimo un 20 per cento: la percentuale di un partito islamico. Però – ripeto – nella delusione che può venire dopo aver cacciato Ben Alì, gli islamisti potrebbero trovare uno spazio assai più largo.

    D. – Il processo rivoluzionario in Tunisia è cominciato da un giovane disoccupato che si è dato fuoco: cosa dire della giovane generazione, del suo rapporto con Internet e del suo livello di istruzione?

    R. – Questa è una rivoluzione che è stata fatto solo dai giovani. In una certa misura il regime passato ha pagato l’unica cosa buona che ha fatto: aver assicurato una scolarizzazione di massa e aver spinto le famiglie e i giovani stessi a vedere nella laurea il segno del loro successo sociale. Successo sociale che poi, però, non si traduceva in posti di lavoro! L’impressione è che adesso ci sia una nuova leva giovanile, che si è impadronita del movimento e che è molto più arrabbiata di quella che lo ha iniziato, perché vuole tutto e subito. Se non la si accontenta subito, se non le si danno dei segni concreti che qualcosa è cambiato, allora prenderà altre vie, che sono quelle della violenza, dell’anarchia e – forse – dell’islamismo. (mg)

    Egitto
    Il tribunale egiziano di Qena ha condannato a morte uno degli autori della strage di cristiani copti del 6 gennaio del 2010. In quell'occasione, sei fedeli rimasero uccisi in una sparatoria all'uscita di una chiesa di Nagaa Hamadi, dove avevano appena partecipato alla Messa del Natale copto. Soddisfazione da parte degli avvocati delle famiglie, anche se si sono detti preoccupati per il rinvio della sentenza a febbraio per gli altri due complici della strage.

    Costa d’avorio
    Prosegue la mediazione dell’Unione Africana per risolvere la crisi politica in Costa d’Avorio dopo il contestato ballottaggio presidenziale del 28 novembre scorso. Per oggi è atteso l’arrivo del kenyota Odinga per un nuovo round di colloqui con il presidente uscente Gbagbo e il vincitore delle elezioni presidenziali Ouattara. Intanto è stato prolungato il coprifuoco notturno fino a sabato 22 gennaio.

    Sudan
    Si sono chiuse ieri le operazioni di voto per il referendum sull'indipendenza del Sud Sudan, animista e cristiano, dal nord a maggioranza arabo-musulmana. Dal 9 al 15 gennaio, hanno votato per il referendum sulla secessione da Khartoum circa il 90% dei circa 4 milioni di aventi diritto al voto, secondo quanto riferito dall'ex presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, capo della delegazione degli osservatori internazionali. Da giorni era stato ormai superato il quorum del 60%, necessario perchè la consultazione avesse valore. La maggior parte dei votanti, ha aggiunto Carter in una conferenza stampa, avrebbero detto di essere favorevoli alla secessione. Per avere i risultati ufficiali servirà però aspettare alcune settimane. Secondo quanto indicato dalla commissione del referendum i dati complessivi saranno comunicati il 7 febbraio.

    Medio Oriente
    Lo Stato israeliano sta per approvare la costruzione di altre 1400 case a Gerusalemme est, malgrado gli appelli della comunità internazionale per un nuovo congelamento degli insediamenti. Il progetto, secondo la stampa isrealiana, sarà approvato nei prossimi giorni e prevede la costruzione di abitazioni a Gilo, uno dei più grandi insediamenti israeliani alla periferia di Gerusalemme, vicino alla città di Betlemme, in Cisgiordania. Dura la reazione del capo negoziatore palestinese, Saeb Erakat, che ha "condannato fermamente" la decisione israeliana. I palestinesi giudicano essenziale per la ripresa dei colloqui il congelamento della costruzione di case nei Territori occupati in Cisgiordania e a Gerusalemme est.

    Iran nucleare
    Israele avrebbe compiuto un attacco informatico per rallentare il controverso programma nucleare iraniano. Lo sostiene il "New York Times", secondo cui, con l'aiuto dell'intelligence Usa, lo Stato ebraico ha creato un virus informatico che si ritiene abbia sabotato le centrifughe nucleari di Teheran. Il quotidiano americano sostiene che i test del virus informatico sono stati condotti durante "gli ultimi due anni" nella super-protetta centrale nucleare israeliana di Dimona, nel deserto del Neghev.

    Libano
    È attesa per domani la consegna al Tribunale Speciale per il Libano degli atti di accusa nei confronti dei presunti mandanti ed esecutori dell'uccisione, sei anni fa a Beirut, dell'ex premier libanese Rafiq Hariri. Secondo le indiscrezioni della stampa i fascicoli del procuratore, Daniel Bellemare, puntano il dito su esponenti del movimento sciita libanese filo-iraniano Hezbollah. E proprio in vista della consegna delle accuse alla Corte internazionale che ha sede in Olanda, il leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah, terrà questa sera un discorso televisivo alla nazione, dopo che mercoledì scorso ha provocato la caduta del governo Hariri facendo dimettere in totale 11 ministri del “Partito di Dio”, perché il premier - che ha ottenuto un nuovo incarico dal presidente Michel Suleiman - non aveva preso le distanze dal Tribunale speciale Internazionale.

    Afghanistan
    Nuova strage di civili in Afghanistan. Nove persone, tra cui sei donne e un bambino, che si recavano a una festa di nozze, sono rimaste uccise nell'esplosione di una bomba artigianale posta ai bordi di una strada, nella provincia di Bachlan, nel nord Paese. Lo ha reso noto un responsabile della polizia locale. Poche ore prima, in un episodio analoga nella provincia meridionale dell'Helmand, erano morti sei civili che erano a bordo di un pulmino saltato su una mina.

    Brasile - emergenza alluvioni
    È salito a quasi 600 morti il bilancio delle alluvioni che hanno colpito lo Stato brasiliano di Rio de Janeiro. Le autorità locali, che non sono ancora riuscite a fornire il numero esatto dei dispersi, hanno rivolto un appello urgente a donare sangue, cibo e medicine per le circa 14mila persone che sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Drammatica anche la situazione sanitaria per via delle centinaia di cadaveri estratti dal fango o ancora sepolti dalle macerie. Si temono epidemie e intossicazioni, per mancanza di acqua potabile e cibi avariati. In particolare, l’acqua infetta potrebbe creare l'ambiente ideale per la proliferazione delle zanzare portatrici della febbre dengue. (Panoramica internazionale a cura di Eugenio Bonanata e Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 16

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.