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Sommario del 27/02/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ricorda all’Angelus che non si possono servire due padroni: Dio e la ricchezza; invita quindi a vivere con semplicità e sobrietà
  • Comunicare nell’era digitale senza dimenticare l’uomo: da domani plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali
  • Oggi in Primo Piano

  • Sanzioni Onu contro la Libia; i ribelli si apprestano a varare un nuovo governo mentre Gheddafi resiste a Tripoli
  • Scontri e tensioni nel Maghreb e ricadute sui flussi migratori. Il Cir chiede la protezione temporanea dei profughi in Italia e in Europa
  • Le sofferenze dei cristiani discriminati in Iraq: mons. Casmoussa chiede di continuare nel dialogo con gli islamici
  • Giornata di preghiera in Cile ad un anno dal terremoto: colletta in tutte le chiese per i giovani colpiti dal sisma
  • Chiesa e Società

  • Dalla politica italiana, alle rivolte nei Paesi islamici. Intervista del cardinale Bagnasco al Giornale
  • Domani, Giornata internazionale delle Malattie rare, incentrata sulle disparità sanitarie
  • Libia: prosegue senza sosta l’impegno umanitario dei religiosi accanto ai sofferenti
  • Egitto. Dopo la rivolta continua l’azione dell’Aifo accanto ai bambini disabili
  • Nepal. Santoni indù protestano per le tombe cristiane autorizzate vicino a un tempio sacro a Shiva
  • Paraguay. Appello della Chiesa cattolica per combattere la dengue
  • In Tanzania cala la mortalità infantile grazie all’ospedale di Itigi
  • Repubblica Centrafricana: grave la situazione della scuola
  • I Gesuiti in Sudan insegnano ai giovani a diventare agricoltori
  • La Chiesa del Vietnam attende con gioia la beatificazione di Giovanni Paolo II
  • Cresce l’impegno missionario dell’America Latina
  • 24 Ore nel Mondo

  • Le proteste antigovernative nel mondo arabo arrivano in Oman. Nuovi scontri in Tunisia
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ricorda all’Angelus che non si possono servire due padroni: Dio e la ricchezza; invita quindi a vivere con semplicità e sobrietà

    ◊   Non si possono servire due padroni: Dio e la ricchezza. Il Papa all’Angelus chiede di avere fede nella Provvidenza e di adottare uno stile di vita semplice e sobrio, nel rispetto del Creato. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Avere fiducia nella Provvidenza e affidarle tutte le angosce, difficoltà e preoccupazioni per il futuro. L’invito di Benedetto XVI, ispirato dalle parole di Isaia nella liturgia domenicale, e dal Vangelo di Matteo, dove Gesù esorta i suoi discepoli a non preoccuparsi delle cose di cui vanno in cerca i pagani, di non chiedersi dunque “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo” e a confidare nel Padre celeste, che conosce i nostri bisogni. Un discorso questo di Gesu – ha osservato il Papa - che “potrebbe apparire poco realistico, se non evasivo”, “di fronte alla situazione di tante persone, vicine e lontane, che vivono in miseria” .

    “In realtà, il Signore vuole far capire con chiarezza che non si può servire a due padroni: Dio e la ricchezza. Chi crede in Dio, Padre pieno d’amore per i suoi figli, mette al primo posto la ricerca del suo Regno, della sua volontà”.

    “E ciò – ha osservato il Santo Padre - è proprio il contrario del fatalismo o di un ingenuo irenismo.”

    “La fede nella Provvidenza, infatti, non dispensa dalla faticosa lotta per una vita dignitosa, ma libera dall’affanno per le cose e dalla paura del domani”.

    “E’ chiaro che questo insegnamento di Gesù, - ha aggiunto Benedetto XVI - pur rimanendo sempre vero e valido per tutti, viene praticato in modi diversi a seconda delle diverse vocazioni”:

    “un frate francescano potrà seguirlo in maniera più radicale, mentre un padre di famiglia dovrà tener conto dei propri doveri verso la moglie e i figli. In ogni caso, però, il cristiano si distingue per l’assoluta fiducia nel Padre celeste, come è stato per Gesù.”

    E’ proprio infatti, “la relazione con Dio Padre - ha spiegato il Papa - che dà senso a tutta la vita di Cristo, alle sue parole, ai suoi gesti di salvezza, fino alla sua passione, morte e risurrezione.

    “Gesù ci ha dimostrato che cosa significa vivere con i piedi ben piantati per terra, attenti alle concrete situazioni del prossimo, e al tempo stesso tenendo sempre il cuore in Cielo, immerso nella misericordia di Dio”.

    Alla Madre della divina Provvidenza Benedetto XVI ha affidato le nostre vite, il cammino della Chiesa, le vicende della storia.

    “In particolare, invochiamo la sua intercessione perché tutti impariamo a vivere secondo uno stile più semplice e sobrio, nella quotidiana operosità e nel rispetto del creato, che Dio ha affidato alla nostra custodia”.

    Dopo la preghiera mariana, i saluti nelle varie lingue rivolti ai fedeli e turisti raccolti in piazza S. Pietro. Un indirizzo particolare è andato alla rappresentanza giunta in occasione della Giornata internazionale per le malattie rare, cui il Papa ha assicurato una preghiera speciale, augurando passi avanti per la ricerca in questo campo. Giornata che verrà celebrata domani sotto lo slogan “Rari ma uguali”.

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    Comunicare nell’era digitale senza dimenticare l’uomo: da domani plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali

    ◊   Si apre domani a Roma la plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Durante i lavori si parlerà in particolare degli spunti offerti dal Papa nel suo Messaggio per la 45.ma Giornata mondiale dedicata ai mass media, intitolato “Verità, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”. Philippa Hitchen ne ha parlato col presidente del Dicastero vaticano per le Comunicazioni sociali, mons. Claudio Maria Celli:

    R. - Credo che questo nuovo messaggio del Papa per la Giornata Mondiale del 2011 sia in linea con i messaggi degli scorsi anni. Il Santo Padre ci invita nuovamente a riflettere su cosa significa oggi comunicare: non è solamente un problema di tecnologia ma, ancora una volta, è preso in considerazione l’aspetto umano e l’invito è che l’uomo, nella comunicazione, sia sempre più se stesso. L’invito è che l’uomo sia autentico, perché è l’unica maniera per far sì che una comunicazione non sia solamente una trasmissione d’informazioni, ma sia veramente una comunicazione tra esseri umani. E’ andare proprio alla radice del fatto comunicativo, cioè questo prendere consapevolezza che è un passaggio da uomo a uomo, da donna a donna, da un uomo ad una moltitudine di uomini. Questo è molto importante, perché esige che l’uomo sia sempre attento a ciò che lo guida, come a ciò che lo ispira, proprio nel rapporto con gli altri. Direi che il Papa, quest’anno, ha poi sottolineato anche cosa vuol dire avere uno stile cristiano nel mondo della comunicazione, che non è soltanto un parlare di tematiche religiose, ma è anche come l’uomo, che ha nel suo cuore il messaggio evangelico, - e quindi vive in comunione con il Signore Gesù - affronta il rapporto con gli altri.

    D. - Eppure rimane una sfida sempre più grande far sentire questa voce, questo messaggio di autenticità in questo grande mondo di Internet…

    R. - E’ verissimo. Ecco perché, a volte - anche l’anno scorso se lei ricorda -, il Papa ci ha invitato ad essere presenti in questo “Cortile dei gentili”, questo spazio nel mondo cibernetico dove gli uomini possono anche incontrare la parola di verità. Direi che questa è anche la grande missione della Chiesa. Ricorderà che l’anno scorso parlavamo di una pastorale nel mondo digitale. Pastorale che non è altro che far sì che la parola di Dio possa risuonare anche in questi ambiti, che sembrerebbero a prima vista non umani o così freddi. Il Papa, l’anno scorso, diceva proprio a noi: “Fate sì che il mondo del web, il cyber-spazio, possa diventare veramente un possibile Cortile dei gentili, dove gli uomini si ritrovano”. Si ritrovano nel rispetto, ma si ritrovano anche con un’autenticità. Ecco perché il Papa, quest’anno, ci parla anche di annuncio, di proclamazione. Una proclamazione, però, che va vissuta - come dice il Papa in questo messaggio - con discrezione e rispetto. Quindi non è solamente un’imposizione o un annuncio commerciale, ma è una comunicazione di vita, una comunicazione che va dal cuore di un uomo al cuore di un altro uomo o dal cuore di una donna ad un’altra donna, ma vissuto con questa discrezione e con questo rispetto. Credo che queste parole del Papa invitino tutti noi a prendere consapevolezza della forma in cui si deve essere presenti nel mondo di oggi, quello della comunicazione, e vedere come a questa nostra presenza sappiamo dare le strutture portanti di un dialogo che si fa veramente rispetto per l’altro. Lei ricorderà che il Papa, in un suo discorso al mondo della cultura in Portogallo, lo scorso maggio, prendeva consapevolezza che dobbiamo dialogare con le verità degli altri, ma in questo senso, però, senza dimenticare di essere annunciatori di questa verità che abbiamo ricevuto. Nel contesto nazionale, però, nel mio contesto umano di oggi, devo avere la consapevolezza che sono chiamato a saper dialogare con le verità degli altri e far presente questa verità che ho ricevuto e che tengo nel mio cuore, testimoniarla ma con toni di discrezione e di rispetto per gli altri. Questo è un cammino che certamente esige da tutti noi un ripensamento ed una verifica. (vv)

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    Oggi in Primo Piano



    Sanzioni Onu contro la Libia; i ribelli si apprestano a varare un nuovo governo mentre Gheddafi resiste a Tripoli

    ◊   Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato all'unanimità la risoluzione con le sanzioni contro la Libia che prevedono il blocco di beni e l’embargo alla vendita di armi. Ormai tutti i principali esponenti della comunità internazionale chiedono le dimissioni di Gheddafi, mentre sul terreno prosegue la fase di stallo, con i ribelli che controllano le principali città orientali del Paese e si apprestano a varare un governo di transizione e i governativi che tengono saldamente nelle loro mani la capitale Tripoli. Il servizio di Marco Guerra:

    L'embargo sulla vendita di armi, il divieto di viaggiare negli Stati membri dell'Onu per 16 persone legate al regime e il congelamento dei beni finanziari del leader libico di quattro dei suoi figli. È quanto prevede la risoluzione 1970 approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nel documento si afferma inoltre che “gli attacchi sistematici” contro la popolazione civile in Libia “possono essere considerati crimini contro l'umanità”. L’isolamento internazionale del regime di Tripoli ha quindi raggiunto il punto di non ritorno. Il presidente degli Stati Uniti Obama, il primo ministro britannico Cameron e il cancelliere tedesco Merkel chiedono espressamente che Gheddafi lasci il potere per il bene del Paese, e a tal proposito il ministro degli Esteri italiano Frattini parla di “opzione inevitabile”. Sul terreno però la situazione sembra tutt’altro che definita. I sostenitori dell'opposizione controllano le principali città orientali e tutta la cirenaica. A Tripoli regna una calma tesa, con le strade piene di auto in una città che sembra saldamente nelle mani dei governativi. Ma attorno alla capitale si stringe il cerchio dei ribelli. La cittadina di Zawia, ad una ventina di chilometri da Tripoli, è in mano ai rivoltosi, così come la città di Nalut al confine con la Tunisia. E fra circa un’ora a Bengasi è prevista una conferenza stampa nella quale l'ex ministro della Giustizia, Mustafa Abdeljalil, renderà nota la composizione del nuovo governo libico ad interim.

    Ma come reagirà Gheddafi alle sanzioni internazionali. Marco Guerra lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:

    R. - Io credo che Gheddafi in questo momento abbia ben altri problemi. Nel momento in cui lotta letteralmente per la vita e per la sopravvivenza improbabile, peraltro, del proprio regime, credo che le sanzioni internazionali non siano per lui una priorità.

    D. - Cosa dobbiamo aspettarci ora? L’isolamento internazionale può indurre Gheddafi a lasciare?

    R. – Non credo che Gheddafi lascerà perché c’è la pressione internazionale che comincia a costruirsi intorno a lui. Credo che Gheddafi cercherà in ogni modo di resistere e poi di mettere in salvo il bottino che ha raccolto in tutti questi anni di controllo della Libia. Credo che ci siano anche delle componenti tribali e psicologiche che faranno sì che lui resisterà fino all’ultimo.

    D. – La propaganda sta giocando un ruolo di primo piano. Che idea ti sei fatto su Gheddafi? Ha perso veramente il controllo del Paese?

    R. – Io credo che Gheddafi a prescindere da quanto controllo abbia ancora sulla Libia sia politicamente morto. E’ impensabile che dopo quello che sta succedendo ed è successo si torni a quello che succedeva prima, con lui che arriva e pianta una tenda nel cuore di Roma o nel cuore del Cremlino, tanto per fare un altro esempio, non solo italiano; con tutti i leader internazionali che lo omaggiano e si felicitano per la sua presunta conversione filooccidentale. Anche perché la sua conversione è stata solo filooccidentale e quindi filo-guadagni e filo-vendita gas e petrolio ai nostri Paesi. Poi, non è stata assolutamente una conversione alla democrazia e ai diritti umani.

    D. – Quanto è realistica l’opzione di un intervento armato della Comunità internazionale sotto l’egida dell’Onu?

    R. – Io la vedo molto poco probabile. Credo che nessuno voglia prendersi - per esprimersi brutalmente - una grana di questo genere. Tra l’altro la crisi libica, a parte i flussi di profughi, è per il momento tutta interna. Certo se dovesse esserci una esportazione della violenza, un’esportazione degli scontri armati, allora forse un intervento internazionale sarebbe più probabile e più immaginabile. Allo stato attuale, credo do di no.(bf)

    Intanto si aggrava l’emergenza umanitaria alle frontiere con la Libia. Secondo l’Unhcr circa 100 mila persone hanno lasciato il Paese nell'ultima settimana. Un flusso continuo che si dirige soprattutto verso la Tunisia. Sentiamo la testimonianza di Barbara Schiavulli, che si trova al valico tunisino di Ras Jedir, ancora al microfono di Marco Guerra:

    R. - Il confine è ancora chiuso. C’è una marea di gente che sta arrivando. Soltanto dall’altra parte pare che i poliziotti stiano facendo passare tutti ormai, però invece dalla parte nostra non fanno entrare in Libia ancora e pare che si stia anche schierando l’esercito.

    D. – Che Paese raccontano i profughi che arrivano alla tendopoli?

    R. – Non sono profughi libici perché la maggior parte sono stranieri, quindi lavoratori cinesi, thailandesi, egiziani, che tornano e poi prendono aerei per andare nelle loro rispettive case. Oggi e ieri hanno cominciato ad entrare i libici: vengono tutti dalla zona di Tripoli verso ovest, quindi i paesi di Zaura. Ci sono però diversi racconti. I libici ti raccontano di scontri, di una situazione molto instabile; invece quelli che lavorano e che comunque erano nelle aziende, alcune delle quali nei deserti, ovviamente, hanno visto molto meno. Purtroppo, non essendoci un'informazione indipendente anche i giornalisti che sono riusciti ad entrare, per esempio, a Tripoli con il visto sono comunque scortati dall’esercito che non li fa andare ovunque. Quindi nel momento in cui cadrà questo confine riusciremo finalmente ad entrare - qua ci sono giornalisti di tutto il mondo - si riuscirà forse a vedere veramente cosa sta succedendo, perché c’è una forte propaganda da parte dei pro Gehddafi ma anche da chi sta facendo la rivoluzione che usa le informazioni anche per fare la propria battaglia. (bf)

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    Scontri e tensioni nel Maghreb e ricadute sui flussi migratori. Il Cir chiede la protezione temporanea dei profughi in Italia e in Europa

    ◊   Le tensioni e gli scontri nel Maghreb, con particolare riferimento alla Libia, preoccupano i Paesi del Mediterraneo per le possibili ondate migratorie. C’e chi parla di oltre un milione di persone che potrebbero sbarcare in Italia, intanto da più parti viene l’invito a non creare allarmismo. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Valeria Carini, responsabile comunicazione del Consiglio Italiano per i Rifugiati:

    R. – Prima di tutto capire che tipo di impatto la crisi libica avrà sui flussi di migranti in Italia, in Europa, ma anche nei Paesi limitrofi è veramente molto difficile e parlare di cifre - come un milione o un milione e mezzo – non fa che creare panico nell’opinione pubblica ed un allarmismo che non servirà a gestire nessun tipo di emergenza, qualora questa si dovesse creare.

    D. – Quindi, in sostanza, bisognerà vedere che cosa accadrà?

    R. – La prima cosa da fare è comprendere quello che accadrà, ma soprattutto qualsiasi cosa succederà nell’altra parte del Mediterraneo è necessario fare subito un’accoglienza adeguata alle persone che verranno, garantendo loro una protezione legale. Quello che noi pensiamo che si dovrà fare – quale che sia il flusso – sarà quello di attivare una protezione temporanea, che è un meccanismo che l’Italia condivide insieme all’Unione Europea, per concedere una protezione, per un periodo adeguato, alle persone che arriveranno in Italia e in Europa dalla Libia e dai Paesi del Nord Africa. Una volta fatto questo e solo se i numeri cresceranno, come si sta dicendo in questo momento, solo allora si potrà pensare ad una ridistribuzione fra i Paesi europei.

    D. – Ecco, la misura di protezione temporanea elimina anzitutto la possibilità di un diretto rimpatrio e consente di poter identificare, caso per caso, le singole situazioni…

    R. – La protezione temporanea è un meccanismo particolare, creato in Europa dopo la crisi dei Balcani e del Kosovo. E’ un meccanismo che si applica alle persone in fuga da una particolare regione geografica e che, per il numero e per l’afflusso massiccio, non possono in breve tempo essere analizzate, caso per caso, nella loro richiesta di protezione internazionale. La cosa importante da sottolineare è che anzitutto non esclude in seguito l’applicazione della protezione per la Convenzione di Ginevra e quindi il riconoscimento dello status di rifugiato e, seconda cosa, non comprende al suo interno quelle persone che vengono escluse dalla protezione dello status di rifugiato, ovvero quelli che si sono macchiati di crimini contro l’umanità o di gravi crimini di delitto comune o crimini contro la pace.

    D. – L’agenzia europea per le frontiere – Frontex – ha inviato, dopo i fatti di Lampedusa, dove in meno di una settimana sono arrivati circa 5 mila tunisini, 50 esperti, 2 motovedette e 7 aerei. Qual è, secondo te, il ruolo dell’Unione Europea?

    R. – Quello che noi chiediamo e che ribadiamo è che nessuna operazione di controllo marittimo delle frontiere si deve tradurre, in questo momento, in un respingimento di persone che hanno bisogno di protezione in Italia. Quello che dovrà fare Frontex e l’Italia è quello di permettere il salvataggio in mare, qualora ce ne sia bisogno, e di accompagnare verso un porto sicuro le persone che stanno cercando di arrivare nel nostro Paese. Questo ci sembra chiaro ed è indispensabile. Dobbiamo sottolineare che positivamente il governo italiano nella crisi della Tunisia non ha respinto barche in alto mare e ha permesso l’accesso alla protezione in Italia. Questo ci sembra essere un fatto positivo e che deve essere assolutamente mantenuto nella gestione anche delle possibili crisi future.

    D. – In questo momento dalla Libia non arrivano migranti, ma dove sono le immediate ricadute di questa crisi?

    R. – Nei confronti dei Paesi di frontiera terrestre. Siamo stati in Tunisia pochi giorni fa con una missione: al confine sud della Tunisia, che dista solamente 69 chilometri dal confine libico, ho visto tantissime macchine con targa libica ritornare. Sono già più di 25 mila le persone in ritorno dalla Libia alla Tunisia: si tratta di un flusso misto, composto anche da libici che hanno dovuto abbandonare il loro Paese e da migranti dell’Africa Sub Sahariana. Quindi quello che dobbiamo pensare, oltre a dare un’accoglienza a quanti possono arrivare qui, è di aiutare e supportare i Paesi dell’altra parte del Mediterraneo, che in questo momento importante di transizione democratica non possono essere gravati da flussi di migranti per loro veramente ingestibili. (mg)

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    Le sofferenze dei cristiani discriminati in Iraq: mons. Casmoussa chiede di continuare nel dialogo con gli islamici

    ◊   “La minoranza cristiana in Iraq è facile preda di ogni genere di vessazione”: così mons. Georges Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mosul denuncia conversioni obbligate all’Islam, chiusure di negozi cristiani e terreni dati ai musulmani. E, nel contesto dell’attuale protesta nei Paesi arabi, insieme alla speranza di una maggiore democrazia, ci sono timori di ulteriori infiltrazioni integraliste. Tuttavia il presule, che solo alcuni anni fa ha vissuto sulla sua pelle il dramma del rapimento, non si stanca di ripetere: “Il dialogo interreligioso con gli amici musulmani è indispensabile per costruire un Iraq moderno e rispettoso del diritto”. Al microfono di Paolo Ondarza mons. Casmoussa ricorda che nei secoli passati, nonostante divergenze culturali, cristiani e musulmani hanno convissuto pacificamente:

    R. – C’est un fait historique…
    Questo è un fatto storico, però si vorrebbe che fosse anche un fatto di convinzione. Noi vorremmo che fosse un progetto di vita, in modo che ognuno possa sentire se stesso pienamente cittadino, con tutti i suoi diritti. Se nel nostro Paese continuiamo sulla strada del dialogo, saremmo allora tutti vincenti.

    D. – I cristiani sono una minoranza in Iraq e non solo numerica: non hanno accesso a posti decisionali e sono tanti i pregiudizi nei loro confronti…

    R. – Oui, il y a…
    Sì, effettivamente i cristiani si sono visti rifiutare le cariche pubbliche e quando hanno visto che non vi era alcun modo di accedere, hanno ripiegato verso le professioni libere, la libera professione. Quello che noi vogliamo è che non vi siano questi pregiudizi, ma che vi sia il merito così che il cittadino senta veramente la sua piena appartenenza alla società cui appartiene.

    D. – Tanti i luoghi comuni e i cristiani rifiutano di essere assimilati ai Crociati del Medio Evo o agli occidentali occupanti del XXI secolo…

    R. – Oui exactement…
    Sì, esattamente. Noi eravamo cristiani, ma il fatto di essere cristiani non significava assolutamente che eravamo con i Crociati, anche se loro erano cristiani. Io non posso accusare un cittadino iracheno, un musulmano iracheno, di essere – ad esempio – un filo iraniano o filo tunisino o altro solo per il fatto di essere musulmano e quindi per la sua religione.

    D. – Talvolta i conflitti politici fanno sì che la differenza sia vissuta come separazione o addirittura odio: lei ha vissuto sulla sua pelle un sequestro da parte dei fondamentalisti e nonostante questo non si stanca di dire che il dialogo è l’unica soluzione…

    R. – Justement moi, j’encourage…
    Infatti, io incoraggio gli intellettuali moderati a costruire questo Paese democratico: solo in questo modo avremo le stesse opportunità e avremo un’uguaglianza di mezzi. (mg)

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    Giornata di preghiera in Cile ad un anno dal terremoto: colletta in tutte le chiese per i giovani colpiti dal sisma

    ◊   Il Cile si raccoglie in preghiera, oggi, ad un anno dal devastante terremoto che il 27 febbraio 2010 ha colpito il Paese, causando oltre 450 vittime accertate e decine di dispersi. Due milioni le persone direttamente coinvolte dal sisma, mezzo milione gli edifici danneggiati. E, in questi ultimi giorni nuove scosse hanno interessato la costa centrale cilena. Questa domenica in tutte le diocesi sono organizzate iniziative e celebrazioni per ricordare l’anniversario. Ascoltiamo in proposito il nuovo arcivescovo di Santiago del Cile, mons. Ricardo Ezzati Andrello, al microfono di Alina Tufani:

    R. – La comunità cristiana si riunisce con due grandi finalità. Anzitutto quella di pregare il Signore per le vittime del terremoto ed esprimere, attraverso la nostra preghiera, la vicinanza alle famiglie che hanno sofferto per la perdita dei loro cari, dei loro parenti. Questa preghiera vuole farci unire, tutti insiemi, in un senso di Chiesa e vuole esprimere la comunione profonda, che esiste fra di noi anche e soprattutto in questi momenti di dolore. In secondo luogo, vorremmo che questa domenica sia dedicata alla solidarietà: perché vogliamo non soltanto ringraziare il Signore per la nostra vita e pregare per i nostri defunti, ma vogliamo riuscire a risvegliare nel cuore di tutti i fedeli il senso della carità e della solidarietà. E’ per questo che la Conferenza episcopale ha organizzato, proprio in questa domenica, una speciale azione di solidarietà: vogliamo che la colletta, che si farà in tutte le chiese, sia a beneficio dei ragazzi e dei giovani che studiano, che frequentano le scuole e le università, perché purtroppo a causa della situazione precaria delle loro famiglie, spesso non hanno la possibilità di farlo. Vogliamo esprimere questa nostra solidarietà con il mondo dei giovani come segno di ciò che la speranza può fare, anche nei momenti più difficili.

    D. – Un anno fa, lei era arcivescovo di Concepción, uno dei luoghi più colpiti da questo tragico terremoto, ed ha quindi vissuto tutto questo in prima persona. Quale il suo ricordo e quale prospettiva per il futuro?

    R. – Celebrando l’Eucaristia nell’atrio della cattedrale, poiché il terremoto l’ha danneggiata fortemente, ho invitato sempre a guardare in alto, dove si trova un’immagine della Madonna che, con le braccia aperte, indica la sua vicinanza al popolo. Ho sempre detto che le braccia aperte della Vergine volevano essere per noi l’invito a vivere la nostra vita con le “mani aperte”, con le mani cioè aperte all’aiuto, con le mani aperte per accogliere, con le mani aperte per costruire insieme il futuro. Credo che il richiamo più forte, pensando a questo terremoto, sia proprio questo: in due minuti abbiamo perso tutto quello che l’ingegno umano aveva costruito. Ma quello che ci è rimasto sono i valori profondi dell’amicizia, della fraternità e dell’amore. Le mani aperte della Vergine indicano, appunto, questo nostro compito. Credo che proprio questo sia il messaggio che oggi vorrei portare alla popolazione, non soltanto di Concepción ma anche di tutte le altre città che hanno sofferto per le gravi conseguenze del terremoto e del maremoto: quando uniamo le nostre mani, quando usiamo le nostre mani per costruire solidarietà, quando usiamo le nostre mani per mettere insieme le capacità di tutti, allora sempre è possibile la speranza, sempre è possibile ricostruire, forse anche meglio, quello che è stato purtroppo distrutto. (mg)

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    Chiesa e Società



    Dalla politica italiana, alle rivolte nei Paesi islamici. Intervista del cardinale Bagnasco al Giornale

    ◊   La politica, l’educazione, la moralità, il ruolo delle donne, le preoccupazioni della Chiesa, la legge sul fine vita ma anche l’attualità internazionale, la rivolta in Libia, la Tunisia, l’Egitto. Sono i temi affrontanti dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nell’articolata intervista pubblicata oggi su "Il Giornale". In riferimento all’attuale situazione in Italia, il porporato ha ammonito: “Siamo di fronte ad una delegittimazione reciproca e se non si sta attenti potrebbe essere troppo tardi per tornare ad un maggior senso delle istituzioni”. “La fibrillazione politica ed istituzionale - ha aggiunto - non avvantaggia la società e rischia di creare un clima avvelenato che rende insicuri e alla lunga intolleranti”. Parlando di quelle che sono le principali preoccupazioni che attraversano la Chiesa in questo momento, il cardinale Bagnasco ha posto l’accento sulla visione edonista della vita che rischia di mortificare la dignità personale e corrompere le migliori energie del Paese. “Siamo tutti avvertiti del fatto che una certa cultura della seduzione abbia introdotto una mentalità e ancor prima una pratica di vita, dove sono state messe al bando parole come sacrificio, impegno, disinteresse”, ha sottolineato il presidente dei vescovi italiani. Quindi ha ribadito la necessità di far fronte alla crisi economica, riconoscendo che dietro di essa si cela una difficoltà più profonda: la mancanza di valori veri e condivisi che garantiscano la salvaguardia del bene comune. Interpellato sul caso Ruby, ha poi affermato che “il problema morale è fin troppo evidente perché venga piegato a beneficio dell’una o dell’altra fazione politica”. “La coerenza personale e il rispetto delle regole - ha aggiunto - sono la condizione necessaria per lo sviluppo di una democrazia”. A proposito delle recenti manifestazioni che hanno visto scendere in piazza le donne per difendere la loro dignità, il cardinale Bagnasco ha evidenziato come nel mondo occidentale, le donne si trovino a vivere una situazione inadeguata dovuta proprio al “ricorrente sfruttamento del corpo femminile, come di persistenti diseguaglianze sul piano sociale ed economico”. Riguardo la questione morale, il presidente della Cei ha auspicato che “l’istanza etica, come quella spirituale e religiosa che le sono intrinsecamente connesse, crescano in modo stabile nella coscienza collettiva”, dopo la deregulation morale, cui “abbiamo assistito per decenni, secondo la quale non esisterebbero vincoli da rispettare ma solo desideri da realizzare.” Un auspicio particolare è che i cattolici impegnati in politica riescano a trovare un insieme di valori incentrati sulla difesa della vita, della famiglia e della libertà di educazione. Il porporato si è soffermato poi sul disegno di legge del fine vita, in discussione alla Camera il 7 marzo. “Non è una legge cattolica”, ha detto, “ma rappresenta un modo concreto per governare la realtà e non lasciarla in balia di sentenze che possono a propria discrezione emettere un verdetto di vita o di morte.” “Precisare che l’alimentazione e l’idratazione non sono delle terapie, ma funzioni vitali per tutti, sani e malati, - ha aggiunto - corrisponde al buon senso dell’accudimento umano e pongono un limite invalicabile, superato il quale, tutto è possibile”. Interpellato ancora sul federalismo fiscale, il porporato si è detto convinto che la riforma “va vagliata attentamente e va realizzata tenendo a mente che non si dà sussidiarietà efficace senza una vera e continua solidarietà”. Riguardo le celebrazioni per i 150 anni d’Italia, il cardinale Bagnasco ha posto in luce il ruolo fondamentale della Chiesa “che ha sempre alimentato l’unità” del Paese “ben prima della sua unificazione statale”, sottolineando come “la sua evangelizzazione e la sua azione”, abbiano offerto “un codice culturale e una matrice perfino sociale ed economica”, fondamentale per l’unificazione. Infine interpellato sulle rivolte in atto nel mondo arabo e sul dramma in Libia, il porporato ha condannato l’enorme tributo di sangue, richiamando la comunità internazionale ad una forte assunzione di responsabilità anche rispetto alla questione migratoria. “Bisognerà vigilare perché tale questione - ha raccomandato - non abbia un impatto devastante sui fragili equilibri interni, e all’ospitalità doverosa faccia da contrappeso la necessaria legalità. L’Italia è la porta dell’Europa e l’Europa deve essere presente in modo adeguato, tempestivo ed efficace”. (A cura di Cecilia Seppia)

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    Domani, Giornata internazionale delle Malattie rare, incentrata sulle disparità sanitarie

    ◊   Le associazioni dei malati in tutto il mondo hanno già cominciato da tempo a prepararsi per la Giornata internazionale per le Malattie Rare, in calendario per domani 28 febbraio. Giornata, sotto il motto “Rari ma Uguali”, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica, le autorità sanitarie europee, nazionali e locali e le autorità politiche, gli operatori sanitari, i ricercatori, gli accademici, le industrie farmaceutiche e biotecnologiche e i media sulla questione delle malattie rare. Le campagne di sensibilizzazione sono state estese a tutta l’Europa, compresa la Russia, la Georgia e l’Armenia, agli Stati Uniti, al Canada, per arrivare all’Australia, alla Nuova Zelanda, alla Cina e al Giappone. Il tema scelto per la Giornata 2011 è “Malattie rare e disparità sanitarie”, al fine di attirare l’attenzione sulle divergenze che esistono in campo sanitario per le persone affette da malattie rare tra i diversi Paesi dell’Unione Europea e all’interno degli stessi; e sulle divergenze che esistono in campo sanitario per le persone affette da malattie rare paragonate ad altri settori della società. La campagne sono tese a sostenere: l’accesso equo alle cure sanitarie e ai servizi sociali per le persone affette da malattie rare; l’accesso equo ai diritti sociali di base: salute, educazione, impiego, alloggio; l’accesso equo ai farmaci e ai trattamenti ‘orfani’. In Europa, l’obiettivo immediato è di porre queste malattie tra le priorità dell’agenda politica di ciascun Paese e di promuovere la loro inclusione nel terzo programma di Salute pubblica dell’Unione europea, sulla politica e le priorità di finanziamento per il periodo 2014-2020. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Libia: prosegue senza sosta l’impegno umanitario dei religiosi accanto ai sofferenti

    ◊   «La principale preoccupazione è quella di essere accanto ai malati e ai sofferenti e rendere il contributo prezioso per via della nostra vicinanza alla popolazione»: con queste parole il vicario apostolico di Benghazi, Sylvester Carmel Magro, ha commentato l’impegno della comunità cattolica in Libia. Lo riferisce L’Osservatore Romano. I religiosi e le religiose continuano senza sosta a fornire sostegno alla popolazione, nonostante i pericoli per le violenze che stanno segnando il Paese africano. In particolare, sono numerose le suore, coadiuvate da infermiere soprattutto filippine, che lavorano negli ospedali e nelle strutture messe a disposizione per soccorrere i feriti e i malati. A Tripoli, a esempio, operano fra le altre le suore di Madre Teresa, mentre altre comunità di religiose sono presenti a Bengasi e a Tobruk. All’emergenza sanitaria per i feriti e dei malati, si aggiunge quella dell’assistenza degli immigrati provenienti dall’Eritrea o da altri Paesi dell’Africa sub-sahariana, che hanno come unico punto di riferimento le strutture missionarie. Il vicario apostolico di Benghazi ha spiegato che «i cattolici condividono il destino della nazione con chiunque altro». La realtà attuale e il futuro appaiono costellati d’incertezze. Una missionaria delle Suore della Carità dell’Immacolata Concezione ha osservato che le religiose non sono state coinvolte nelle violenze e che «il loro lavoro continuerà nonostante le incognite su chi effettivamente controlla il territorio». La polizia e l’esercito, ha puntualizzato la religiosa, «sono scomparsi e ognuno pensa a salvare se stesso e i propri beni». I vicariati apostolici di Benghazi e di Tripoli coordinano le strutture e le attività dei missionari. Diverse comunità parrocchiali sono servite dai francescani. Data l’alta presenza d’immigrati, provenienti anche dall’Asia, le celebrazioni delle Messe avvengono in varie lingue, almeno una volta alla settimana. La comunità cattolica non è stata fatta oggetto di violenze. «Molti fedeli si recano nelle nostre parrocchie per implorare la pace — ha evidenziato il vicario apostolico di Tripoli, Giovanni Innocenzo Martinelli — e le chiese di Tripoli e di Bengasi non hanno subito alcuna offesa». In ogni città della Cirenaica, ha aggiunto, le suore portano speranza alla popolazione: «Oltre al servizio pastorale — ha specificato il presule — offriamo un servizio sociale. Per i libici e gli immigrati le nostre chiese sono sia luogo di culto che di assistenza e di socializzazione». Un impegno che non cesserà: «Siamo qui per servire il popolo libico e nessuno se la sente di lasciare».


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    Egitto. Dopo la rivolta continua l’azione dell’Aifo accanto ai bambini disabili

    ◊   È rimasto sospeso per una decina di giorni a causa delle tensioni che si sono sviluppate nel Paese e nel resto del Maghreb, il Progetto di Riabilitazione su base comunitaria dell’Associazione italiana Amici di Raul Follereau (Aifo), che ad Alessandria d’Egitto assiste circa 1700 bambini con problemi di disabilità mentale. L’Aifo lavora a stretto contato con l’ong locale Caritas Egitto che a sua volta gestisce il Centro di sostegno, educazione, formazione e integrazione attivo nelle aree di Karmuz, Smouha, hadra, Mandara, Bacchius, Kabbari, Borg El Arab, Moutaza e Gomrok. L’Aifo, ricorda l’agenzia Fides, opera in Egitto dal 1997, dove, su circa 75 milioni di abitanti dei quali 10 residenti nel solo governatorato di Alessandria, e ben 500mila al Cairo, l’incidenza delle persone con disabilità è del 4 per cento. (R.B.)


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    Nepal. Santoni indù protestano per le tombe cristiane autorizzate vicino a un tempio sacro a Shiva

    ◊   C’è tensione in Nepal, tra la maggioranza indù e la minoranza cristiana, tanto che si temono scontri per la giornata del primo marzo per la festa del Mahashuvaratri, giorno dedicato a Shiva. Ormai da giorni centinaia di santoni indù provenienti da tutto il Paese e dalla vicina India si sono accampati nella foresta di Slesmantak, nei pressi del Tempio di Pashipati, per protestare contro le tombe che qui i cristiani hanno potuto costruire grazie all’autorizzazione del governo. La protesta, inoltre, non è molto pacifica: AsiaNews riferisce di tombe aperte, lapidi distrutte e alberi bruciati. Pashipati è il più grande Tempio al mondo dedicato a Shiva, meta di pellegrinaggio da tutta l’Asia: risalente al XVII secolo, è stato dichiarato patrimonio dell’Unesco. Fino al 2006 l’unico interlocutore del sommo sacerdote indù Mool Bhatt era il re del Nepal, che manteneva il divieto di frequentare l’area ai non indù, ma con l’avvento della democrazia il governo ha concesso l’ingresso e l’utilizzo dell’area anche ad altre confessioni, anche per ovviare al problema della carenza di aree per le sepolture. (R.B.)


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    Paraguay. Appello della Chiesa cattolica per combattere la dengue

    ◊   L'arcivescovo di Asunción, mons. Pastor Cuquejo, ha lanciato un appello alla cittadinanza per combattere l'Aedes Aegipty, insetto vettore della dengue. Nel comunicato diffuso dall'arcidiocesi e citato dalla Fides, mons. Cuquejo invita "sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, tutti gli operatori di pastorale, i fedeli cattolici, a collaborare per la prevenzione contro questa pandemia, mantenendo le case pulite, soprattutto nelle zone più colpite dal mosquito”. “Dobbiamo trasformarci in controllori, per la nostra salute e per quella del prossimo. Sfortunatamente questa epidemia è nel paese, e le sue conseguenze, se non si interviene con fermezza, responsabilità e carità, possono causare molta sofferenza alle famiglie paraguayane” aggiunge l'arcivescovo. Mons. Cuquejo si è rivolto anche al governo che, attraverso i tecnici, i mezzi e le risorse per l'assistenza sanitaria della popolazione, ha l'obbligo di agire in modo efficace di fronte ad una tale epidemia. “Tuttavia, tutti noi, istituzioni pubbliche, private e cittadini – conclude il presule - dobbiamo assumerci le nostre responsabilità per combattere contro la diffusione della malattia, la cui prevenzione dipende in gran parte dalla nostra collaborazione, visto che i focolai dei mosquitos vettori si trovano nelle nostre case, nei nostri giardini, nel nostro circondario”.


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    In Tanzania cala la mortalità infantile grazie all’ospedale di Itigi

    ◊   La mortalità infantile in Tanzania si è ridotta del 98 per cento rispetto agli anni Sessanta e del 10 negli ultimi anni. Questo confortante risultato, riferisce la Fides, si è potuto raggiungere anche grazie al lavoro dei 250 professionisti, tra personale medico e non, dell’ospedale San Gaspare di Itigi, situato in una delle zone più povere del Paese, che è una struttura molto all’avanguardia. Con 350 posti letto, 150 in pediatria, un ritmo di settemila ricoveri l’anno, 62mila visite a pazienti esterni e novemila esami in laboratorio, offre assistenza agli abitanti del posto, ma anche a quelli più lontani, senza alcuna distinzione di etnia o credo religioso. Il nosocomio, infine, fa parte dei progetti dell’associazione Amici delle Missioni, in collaborazione con i Missionari del Preziosissimo Sangue attivi in Tanzania e in India e lavora a stretto contatto con il Bambino Gesù di Roma per speciali interventi al cuore e di chirurgia specializzata. (R.B.)

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    Repubblica Centrafricana: grave la situazione della scuola

    ◊   Versa in condizioni molto critiche la scuola nella Repubblica Centrafricana, dopo decenni di violenza politica nel nord del Paese che hanno causato distruzioni su vasta scala e massicci esodi di sfollati. L’agenzia Fides riferisce di una grave mancanza di insegnanti e di strutture adeguate: a Ouande, nel Linguiri Village, ad esempio, 200 alunni della scuola elementare sono costretti a fare lezione sotto un grande albero e, perciò, a interrompere i corsi durante la stagione delle piogge. Inoltre non ci sono né acqua, né servizi igienici, né la distribuzione dei pasti. Secondo i dati Unicef, nell’area vivono circa cinquemila bambini nella fascia d’età delle elementari, che occupano circa 19 scuole. Su 76 maestri, circa uno ogni 94 studenti, 40 sono genitori. Le agenzie di aiuti umanitari hanno contribuito alla costruzione di 800 scuole nella zona nordoccidentale del Paese. (R.B.)


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    I Gesuiti in Sudan insegnano ai giovani a diventare agricoltori

    ◊   I Gesuiti insegneranno ai giovani del Sudan a lavorare la terra e ad allevare gli animali. Questo sarà l’obiettivo di Majis, il nuovo istituto multidisciplinare e agricolo inaugurato dalla Compagnia di Gesù ad Akoljal Village, in Sudan, a una decina di km dalla città di Rumbek. Il supervisore della struttura, riferisce il Sir, sarà padre Francis Njuguna. I corsi saranno pratici e riguarderanno la produzione agricola e l’allevamento, saranno della durata di un anno, divisi in fasi alle quali potranno accedere un centinaio di studenti per volta. Questi corsi si vanno ad affiancare a quelli professionali gratuiti di elettronica e d’informatica che i Gesuiti realizzano in collaborazione con le parrocchie e le università locali. (R.B.)


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    La Chiesa del Vietnam attende con gioia la beatificazione di Giovanni Paolo II

    ◊   C’è un’atmosfera di trepidante attesa in Vietnam, per il prossimo Primo maggio, data scelta per la Beatificazione a Roma di Giovanni Paolo II. I cattolici vietnamiti infatti, riporta AsiaNews, sono particolarmente affezionati a Papa Wojtyla, del quale ricordano il sostegno e l’incoraggiamento a contribuire alle attività pastorali e sociali della Chiesa nel loro Paese. Nel 1989 Giovanni Paolo II, di ritorno da una visita in Corea, inviò ai fedeli del Vietnam un messaggio: “Fin dall’inizio dell’evangelizzazione siete divenuti una comunità attiva e profonda per la fede di tutta la Chiesa, ciò è congeniale alla cultura vietnamita che è diligente nella preghiera e umanamente generosa con tutti – scriveva l’allora Pontefice – sono sicuro che le circostanze faranno onore al vostro Paese, mostrando attenzione alla giustizia e dando impulso al rapporto con i valori spirituali davvero necessari per lo sviluppo”. Nella società del Vietnam, infatti, la gente pensa che tutte le religioni insegnino a fare cose buone e a rifuggire da quelle cattive e tutti i giovani vengono coinvolti in programmi caritatevoli e attività sociali, in accordo con quel “Voi giovani siete la speranza della Chiesa”, pronunciato sempre da Giovanni Paolo II durante la Gmg del 1995 nelle Filippine. Molto, in realtà, è stato fatto in diversi campi, soprattutto per la cura della salute, le attività sociali, formative ed educative e corsi di formazione sono stati attivati nell’arcidiocesi di Saigon con l’obiettivo di far conoscere Cristo ai giovani in maniera più approfondita. (R.B.)


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    Cresce l’impegno missionario dell’America Latina

    ◊   È in continua crescita l’impegno missionario dell’America Latina: il 24 febbraio scorso suor Paola Guerreiro, della comunità Servi del vangelo in Argentina è partita alla volta di Israele, dove andrà a lavorare per la pace nella complessa realtà della Striscia di Gaza. Domani, poi, suor Solange Badaraco, uruguayana, che ha effettuato un’importante esperienza formativa ad Haiti, riceverà il mandato missionario nella Parrocchia Sagrada Familia a Montevideo. Già il 21 febbraio, inoltre, altre tre religiose erano partite dal Brasile per Port-au-Prince, dove saranno accanto a bambini ed adolescenti per il progetto di solidarietà che unisce la Chiesa del Brasile alla Chiesa di Haiti. “Il mondo guarda alla nostra Chiesa in America Latina e nei Caraibi e aspetta un impegno ancor più significativo per la missione universale in ogni continente – si legge nello stralcio riportato dalla Fides del documento di Aparecida – per non chiuderci in noi stessi dobbiamo prepararci come discepoli missionari senza frontiere, pronti ad andare verso l’altra sponda”. (R.B.)

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    24 Ore nel Mondo



    Le proteste antigovernative nel mondo arabo arrivano in Oman. Nuovi scontri in Tunisia

    ◊   Il clima continua ad essere teso in diversi Paesi arabi nel nord Africa e in medio Oriente. Nuovi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza si sono registrati nella notte in Tunisia: tre morti nella capitale, decine i feriti, 100 le persone arrestate. Vittime anche in Oman, dove la polizia ha aperto il fuoco contro i dimostranti a Sohar. Intanto l’Egitto torna in piazza Tahrir contro il governo del generale Shafiq e il re del Bahrein avvia un rimpasto dell’esecutivo. Cecilia Seppia:

    Ennesimo colpo di coda delle proteste antigovernative che dilagano e infiammano il mondo arabo. A farne le spese oggi è l’Oman. Qui nella città industriale di Sohar la gente è scesa in strada per chiedere riforme politiche e la polizia ha subito risposto con gas lacrimogeni, poi non ha esitato a sparare sulla folla: 2 i morti, decine i feriti. L’esercito ha immediatamente isolato la zona, ma le proteste sono in corso anche nella città meridionale di Salalah, dove i dimostranti sono accampati da venerdì scorso presso l’ufficio di un governatore provinciale. Notte di fuoco anche in Tunisia: secondo il ministero dell’Interno ci sarebbero state 3 vittime negli scontri tra polizia e manifestanti nella capitale, mentre per esponenti dell’opposizione il bilancio potrebbe essere più grave. 100 invece le persone finite in manette, tutti oppositori del governo ad interim del premier Ghannouci. Ieri nello Yemen erano 7 le vittime di una manifestazione finita nel sangue, da qui oggi un esponente di una cellula di al-Qaeda in un messaggio audio ha incitato tutti gli arabi ad unirsi per abbattere i loro governanti ed instaurare la sharia, poi la minaccia di nuovi efferate violenze nella patria dell’ex presidente Ben Alì. Intanto l’Egitto torna in piazza Tahrir, luogo simbolo della rivolta: poche centinaia di persone continuano a chiedere le dimissioni del governo diretto dal generale Ahmed Shafiq e l'abolizione della legge di emergenza.

    Elezioni politiche in Irlanda: spoglio conferma exit poll, vince Fine Gael
    Vittoria in Irlanda per il Fine Gael, il partito centrista di opposizione che ha conquistato il 36,1% dei voti nelle elezioni di venerdì, vincendo nettamente la consultazione per il rinnovo del Parlamento. Dopo lo spoglio dell'80% delle schede, il partito del premier Brian Cowen, il Fianna Fail è crollato al terzo posto con il 17,5 %, preceduto anche dai laburisti che hanno ottenuto il 19,4%. Il servizio di Enzo Farinella:

    Con 35 seggi ancora da assegnare su un totale di 166 rappresentanti nel Parlamento irlandese, il quadro della nuova scena politica, dopo le consultazioni elettorali, svoltesi venerdì, appare abbastanza chiaro. Il Fine Gael di Enda Kenny, alleato del partito popolare europeo, si impone alla guida del Paese, con il maggior numero di deputati, circa 75. Quasi certamente governerà in coalizione con i laburisti, al secondo posto dello schieramento politico. Pesante la sconfitta del partito Fianna Fail, alla guida dell’Irlanda negli ultimi 13 anni e dominatore della scena politica fin dagli anni ’30. Adesso, il partito fondato da Eamon de Valera siederà sugli scanni dell’opposizione, decimato, con circa 20 deputati. Ne aveva 78 nel 2007. Accanto a loro figureranno i nazionalisti di Gerry Adams, che hanno quasi triplicato la loro presenza in Parlamento. Lo stesso Adams, che si presentava per la prima volta alle consultazioni nazionali, è tra i 14 deputati già eletti del partito Sinn Fein. Sono scomparsi del tutto i Verdi, mentre gli Indipendenti hanno fatto registrare un’ottima percentuale con 16 deputati già eletti e altri in attesa. Il complicato sistema elettorale irlandese, con convalida individuale dei voti, eliminazione dei candidati che hanno ottenuto il minor numero di preferenze e la conseguente distribuzione delle medesime agli altri candidati, rallenta il processo di proclamazione dei vincitori, ma nello stesso tempo rende lo stesso sistema quanto mai avvincente. Comunque il nuovo Taoiseach o primo ministro della Repubblica d’Irlanda sarà Enda Kenny, leader del partito Fine Gael, le cui priorità sono, come lui stesso ha affermato: ricostruire l’Irlanda e la sua reputazione e riconquistare la posizione di prestigio di cui quest’isola ha sempre goduto all’interno dell’UE e del mondo intero, con un governo forte e stabile. Il nuovo Parlamento si riunirà il 9 marzo.

    Nuova Zelanda: 147 morti ad una settimana dal sisma
    Continua a salire il bilancio delle vittime del terremoto che martedì scorso ha colpito la città di Christchurch in Nuova Zelanda: 147 i morti e più di 50 le persone che mancano ancora all’appello. Lo ha detto il capo distrettuale della polizia Dave Cliff che precedentemente aveva parlato di 200 dispersi, assicurando che le squadre di soccorso sono ancora a lavoro. Il primo ministro John Key ha dichiarato che il disastro provocato dal sisma è il più tragico nella storia del Paese: i danni sono stati così devastanti che un terzo degli edifici della città, dovranno essere rasi al suolo e ricostruiti totalmente.

    Afghanistan
    Dieci persone sono rimaste uccise a causa dell’esplosione di due bombe nel distretto di Arghandab, nella provincia meridionale afghana di Kandahar. Lo riferiscono fonti governative spiegando che i due ordigni, comandati a distanza, sono esplosi in successione in un’area dove stava avendo luogo un combattimento illegale di cani.

    Corea del Nord minaccia il Sud di rispondere con il fuoco alla propaganda
    La Corea del Nord ha minacciato di colpire con il fuoco i militari sudcoreani se non sarà fermato l'invio di volantini di propaganda nel suo territorio. Lo riferisce la Kcna, agenzia ufficiale di Pyongyang. La minaccia arriva alla vigilia delle manovre militari congiunte Usa-SudCorea. I militari del Sud, hanno spedito dall’inizio del mese 10 mila articoli di prima necessità, usando cestini con viveri insieme ad informazioni sulle rivolte pro-democrazia in corso in Nord Africa.

    Medio Oriente
    Ancora lanci di razzi dalla Striscia di Gaza. Questa mattina nel settore di Eshkol, nel sud di Israele, un altro missile è stato sparato senza causare vittime ne’ danni. Lo ha confermato un portavoce militare. Ieri l’aviazione israeliana aveva effettuato una serie di raid contro il territorio della Striscia in risposta a lanci di razzi provenienti da Gaza, con un bilancio di quattro feriti.

    Francia
    E’ atteso per oggi l’annuncio delle dimissioni del ministro degli Esteri francese, Michelle Alliot-Marie, al centro delle polemiche a causa della sua vacanza natalizia a spese dell'entourage dell'ex presidente tunisino Ben Ali. La Alliot-Marie, che si trova in missione all'estero, ha però rifiutato di confermare la notizia. Questa sera il presidente Sarkozy, parlerà alla nazione.

    La Cina rivede al ribasso il Pil
    La Cina ha fissato al 7% la crescita economica fino al 2015. Lo ha detto stamattina il primo ministro Wen Jiabao, abbassando le stime precedenti, fissate al 7,5%. Il premier cinese ha anche parlato a sfavore del rafforzamento dello yuan per i suoi risvolti negativi sull'economia cinese.

    Italia: rabbia e dolore per la morte di Yara, scomparsa da 3 mesi
    In prima pagina su tutti i giornali italiani, il ritrovamento del corpo di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa tre mesi fa nel bergamasco. Il cadavere è stato rinvenuto ieri pomeriggio in un campo a Ponte San Pietro, ad una decina di chilometri da Brembate e il riconoscimento è stato possibile grazie ai vestiti che la ragazza indossava al momento della scomparsa e all’apparecchio ortodontico. Domani, sarà effettuata l'autopsia sui resti della ragazzina. Da chiarire innanzitutto quando il corpo sia stato portato nel campo: il sindaco della città ha confermato che l’area era stata battuta almeno due volte durante le ricerche. Dolore e commozione oggi alla Messa celebrata dal parroco di Brembate don Corinno. “Ora sappiamo cos’è un orco e siamo preoccupati perchè l’orco è tra noi” ha detto il sacerdote, esortando le autorità a far luce sulla vicenda. (Panoramica internazionale a cura di Cecilia Seppia)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 58

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.