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Sommario del 26/02/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI: l'aborto uccide il bambino e rovina la famiglia, i medici lo dicano con coraggio. Alle donne: Dio non abbandona chi sbaglia
  • Lettera del Papa in occasione della rinuncia del cardinale Sfeir all'ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti
  • Altre udienze
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Gheddafi accerchiato. Berlusconi: non controlla più il Paese
  • L'arcivescovo di Algeri: le proteste portino alla nascita di una società nuova e aperta al dialogo
  • L'incontro tra le fedi, un'arma per disinnescare le tensioni: intervista col prof. Kepnes
  • Corso alla Lateranense per riscoprire il ruolo del sacerdote di fronte all'emergenza educativa
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Chiesa e Società

  • La nunziatura a Tripoli: tutti i missionari restano in Libia accanto a chi soffre
  • Cina: la Chiesa piange la scomparsa di mons. Hu Daguo, vescovo legittimo e clandestino di Shiqian
  • È libero l’afghano convertito al cristianesimo condannato per apostasia
  • India. Nuovo attacco a scuola cattolica nello Stato del Karnataka
  • I vescovi colombiani: “no” alle adozioni da parte di coppie omosessuali
  • I vescovi dell’Arizona preoccupati per il nuovo giro di vite contro l’immigrazione irregolare
  • Congo. Il cardinale Monsengwo invita il clero a non appoggiare alcuna corrente politica
  • Nigeria. Lanciati i preparativi per il Congresso Eucaristico e il Congresso Pastorale del 2012
  • Polonia. Il salesiano Marek Rybinski, ucciso in Tunisia, insignito di un'onorificenza
  • Tivoli: il ricordo di don Nazzareno Lanciotti nel decennale dell’assassinio
  • Educatrici Salesiane: riscoprire il valore dell’indignazione nella questione morale
  • 24 Ore nel Mondo

  • Tensioni nel Mondo Arabo. Proteste in Tunisia contro il governo di transizione; 4 morti in Yemen
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI: l'aborto uccide il bambino e rovina la famiglia, i medici lo dicano con coraggio. Alle donne: Dio non abbandona chi sbaglia

    ◊   L’aborto non risolve nulla, ma “uccide il bambino” e produce solo un profondo “dramma morale ed esistenziale” per i genitori, che può segnare per sempre soprattutto una donna. Benedetto XVI lo ha affermato nel discorso tenuto questa mattina durante l’udienza concessa ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia per la Vita. Il Papa ha anche parlato delle responsabilità dei medici, della promozione di una scienza eticamente valida, invitando le donne vittime della sindrome-post abortiva a trovare consolazione in Dio che è padre e che ama. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Non c’è nessun vincitore dietro la scelta di abortire. Non vince il bambino, concepito per poi essere eliminato. Non vince la donna, che resta violata da una ferita che la tocca in un’intimità che solo lei può capire. Non vince l’uomo, sollevato da una soluzione che lo libera ma cieco davanti al vero dramma della donna, lasciata quasi sempre sola. Non vincono i medici che lo consigliano, inducendo la donna a vedere un peso nel dono che porta dentro di sé. Benedetto XVI ha ribadito tutto questo con serena fermezza, rivolgendosi in particolare a chi, ha detto, “vorrebbe negare la coscienza morale nell’uomo”, che fa “discernere il bene dal male” nelle diverse situazioni della vita. Come nella scelta di abortire:

    “La tematica della sindrome post-abortiva - vale a dire il grave disagio psichico sperimentato frequentemente dalle donne che hanno fatto ricorso all’aborto volontario - rivela la voce insopprimibile della coscienza morale, e la ferita gravissima che essa subisce ogniqualvolta l’azione umana tradisce l’innata vocazione al bene dell’essere umano, che essa testimonia. In questa riflessione sarebbe utile anche porre l’attenzione sulla coscienza, talvolta offuscata, dei padri dei bambini, che spesso lasciano sole le donne incinte”.

    La qualità morale dell'agire umano, ha detto il Papa, non è "una prerogativa dei cristiani o dei credenti", ma di "ogni essere umano". Chiunque può rimanere profondamente segnato se il “suo agire si svolge contrariamente al dettame della propria coscienza”. E ciò vale anche per i medici. Loro in particolare, ha sollecitato il Pontefice…

    “…non possono venire meno al grave compito di difendere dall’inganno la coscienza di molte donne che pensano di trovare nell’aborto la soluzione a difficoltà familiari, economiche, sociali, o a problemi di salute del loro bambino. Specialmente in quest’ultima situazione, la donna viene spesso convinta, a volte dagli stessi medici, che l’aborto rappresenta non solo una scelta moralmente lecita, ma persino un doveroso atto ‘terapeutico’ per evitare sofferenze al bambino e alla sua famiglia”.

    Inganni, per l’appunto, mentre ciò che i medici dovrebbero ribadire con “speciale fortezza” di fronte a una società che ha smarrito il senso della vita è, ha indicato Benedetto XVI, questa drammatica sequenza:

    “L’aborto non risolve nulla, ma uccide il bambino, distrugge la donna e acceca la coscienza del padre del bambino, rovinando, spesso, la vita famigliare”.

    Il tema delle banche del cordone ombelicale, oggetto di dibattito alla plenaria della Pontificia Accademia per la Vita, ha indotto il Papa a tornare su un altro argomento di stretta attualità scientifica ed etica, ovvero l’impiego delle cellule staminali provenienti dal cordone ombelicale:

    “Si tratta di applicazioni cliniche importanti e di ricerche promettenti sul piano scientifico, ma che nella loro realizzazione molto dipendono dalla generosità nella donazione del sangue cordonale al momento del parto e dall’adeguamento delle strutture, per rendere attuativa la volontà di donazione da parte delle partorienti”.

    Una generosità che non è quella delle moderne banche private per la conservazione del sangue cordonale: strutture, ha notato il Pontefice, in crescente aumento nelle quali ciò che si raccoglie è invece destinato a un uso esclusivamente personale e dunque, ha sottolineato Benedetto XVI, “giustamente guardate con perplessità” da molti ricercatori medici. Il Papa ha invitato i medici a promuovere una reale solidarietà umana e cristiana; la stessa che la Chiesa vuole riservare alle donne che hanno abortito. Benedetto XVI ha ripetuto loro, alla lettera, le parole, intrise di comprensione e di dolcezza, che Giovanni Paolo II scrisse nell’Evangelium vitae:

    “La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica (...) Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza (...) Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino”.

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    Lettera del Papa in occasione della rinuncia del cardinale Sfeir all'ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti

    ◊   Il Papa ha accettato a norma del can. 126 § 2 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO), la rinuncia all’ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti presentata dal cardinale libanese Nasrallah Pierre Sfeir che il prossimo 15 maggio compirà 91 anni. In una lettera al porporato, Benedetto XVI ricorda i suoi 60 anni di sacerdozio, “prova di fedeltà e di amore” per Gesù, e i quasi 50 anni di episcopato, di cui 25 alla guida della Chiesa maronita in un servizio - ha sottolineato - svolto con entusiasmo e docilità, sull’esempio di Maria, “per la maggior gloria di Dio e per il bene dei fedeli”. “Voi – scrive il Papa nella sua lettera – avete cominciato questo nobile ministero di Patriarca di Antiochia dei Maroniti nel tumulto della guerra che ha insanguinato il Libano per troppi anni. Con l’ardente desiderio di pace per il vostro Paese avete guidato questa Chiesa e girato il mondo per confortare il vostro popolo costretto a emigrare. Alla fine – conclude il messaggio del Papa - la pace è tornata, sempre fragile, ma ancora presente”.

    Il cardinale Sfeir è nato a Reyfoun, in diocesi di Sarba dei Maroniti, in Libano, il 15 maggio 1920. È stato ordinato sacerdote il 7 maggio 1950. Nominato curato della Parrocchia di Reyfoun e segretario della diocesi di Damas, ha ricoperto l’incarico dal 1950 al 1956. Nominato segretario del Patriarcato Maronita, ha svolto questo incarico dal 1956 al 1961. Ha insegnato Letteratura e Filosofia Araba e Traduzione presso il Collegio dei Padri Maristi a Jounieh dal 1951 al 1961. Eletto alla Chiesa titolare di Tarso dei Maroniti è nominato vicario generale patriarcale il 19 giugno 1961 e il 16 luglio successivo ha ricevuto l'ordinazione episcopale. È stato nominato amministratore patriarcale presso mons. Antoine Piere Khoraiche, all'epoca arcivescovo di Saida (1974-1975). Poi ha ricevuto la nomina di consigliere della Commissione per la revisione del Diritto Canonico (1980). Nel 1977 è stato nominato rappresentante del presidente dell'Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici in Libano per Caritas-Libano e nel 1980 è stato nominato consigliere spirituale dell'Ordine di Malta. È stato eletto Patriarca di Antiochia dei Maroniti il 19 aprile 1986, prendendo possesso del patriarcato il 27 aprile dello stesso anno. Ha partecipato a tre Assemblee Generali del Sinodo dei Vescovi tra il 1986 e il 1994. È stato anche presidente delegato all’Assemblea Speciale per il Libano, presidente dell'Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici in Libano, capo del Sinodo della Chiesa Maronita e presidente del Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente. Giovanni Paolo II lo ha creato cardinale nel Concistoro del 26 novembre 1994.

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    Altre udienze

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina alcuni presuli della Conferenza episcopale delle Filippine, in visita "ad Limina". Nel pomeriggio riceverà il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per Vescovi.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Una ferita nel cuore dell’essere umano: l’aborto volontario nel discorso del Papa alla Pontificia Accademia per la Vita; in prima pagina, un editoriale del direttore dal titolo “La voce della coscienza”.

    Gheddafi isolato dal mondo: in rilievo, nell’informazione internazionale, la Libia, il cui leader rimane accerchiato a Tripoli.

    Il sacrificio di Pietro a imitazione del Maestro: in cultura, Antonio Paolucci sull’ultima fatica, nella Cappella Paolina, di Michelangelo pittore.

    Immagini contro l’Impero: Arturo Carlo Quintavalle sull'arte lombarda tra XI e XII secolo.

    Un articolo di Vicente Cárcel Ortí dal titolo “Una rosa (d'oro) e qualche spina”: Pio XI e il re di Spagna Alfonso XIII.

    E Giorgio VI parlò: Emilio Ranzato recensisce il film “The King’s Speech”, in attesa di molti Oscar, lodato anche da Elisabetta II.

    Il prezzo del potere spiegato ai ragazzi: “Macbeth” a fumetti al comunale di Modena.

    Umile e generoso servitore della pace: nell’informazione vaticana, Lettera del Papa al cardinale Sfeir che rinuncia all’ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti.

    Dammi tu una parola o Parola del Padre: nell’informazione religiosa, Manuel Nin sulle domeniche prequaresimali nella tradizione bizantina.

    Passi avanti nella difesa della libertà religiosa in India: a proposito del ricorso sulla legge contro le conversioni accolto dall'Alta Corte dell’Himachal Pradesh.

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    Oggi in Primo Piano



    Gheddafi accerchiato. Berlusconi: non controlla più il Paese

    ◊   Gheddafi non controlla più il suo Paese: sono parole del premier italiano, Silvio Berlusconi, che dice: stop al bagno di folla e sostegno al popolo. Fa eco il ministro della Difesa italiano, che dichiara sospeso il Trattato di amicizia con la Libia firmato il 30 agosto 2008 a Bengasi dallo stesso Berlusconi e dal leader libico. Intanto, a Tripoli sembra sia trascorsa una mattina di calma ricca di tensione. Secondo le dichiarazioni di testimoni alla Tv Al Jazira, almeno sette persone sono state uccise ieri nella capitale libica da forze di sicurezza. Gheddafi sarebbe asserragliato nel suo bunker e l’assalto alla capitale da parte delle forze ribelli, che hanno conquistato la Cirenaica e diverse città dell’ovest, sarebbe questione di ore. Il figlio di Gheddafi invece parla di trattative in corso con i ribelli. La moglie di Gheddafi Ayesh e la figlia Aisha avrebbero lasciato la Libia e sarebbero a Vienna. Certamente, è sempre più netto l’isolamento internazionale. Come altri diplomatici nei giorni scorsi, anche l'ambasciatore libico in Iran ha fatto oggi defezione chiedendo che Gheddafi lasci il potere. Il servizio di Fausta Speranza:

    Sono migliaia i profughi egiziani, indiani, tunisini che da giorni scappano dalle milizie di Gheddafi e, in un flusso continuo, superano la frontiera con la Tunisia a Ras Jedir. Dove i militari hanno messo su una tendopoli che ospita tra i quattro e i cinquemila profughi, via via smistati su autobus. Barbara Schiavulli, che si trova sul posto, riferisce che non sono più solo gli stranieri a fuggire dalla Libia:

    Per la prima volta arrivano anche i libici. Loro non tornano a casa come gli stranieri di questi giorni, ma cercano di mettersi al sicuro. Murad, ingegnere di 52 anni, ha portato la sua famiglia in salvo e ora freme per tornare indietro. Vuole unirsi ai ribelli per esserci il giorno in cui Gheddafi cadrà: “Ho visto cose orribili - racconta - come buttare giù porte di casa, entrare e sparare... I mercenari e le forze speciali sono ovunque, ma al colonnello non resta altro, il popolo è unito contro di lui”. Racconta dell’esercito, ormai dalla parte della gente, di combattimenti a Tripoli da dove lui viene... “Siamo gente perbene”, ci dice Murad, che ci dà appuntamento per lunedì nella Tripoli liberata.

    Quelli che varcano le frontiere parlano della ferocia della milizia di Gheddafi e di vere e proprie esecuzioni contro gente inerme. E c’è il caso di 25 lavoratori italiani rimasti bloccati, derubati e ormai senza viveri nella cittadina di Amal, nel sud della Libia. Il ministro italiano della Difesa, Ignazio La Russa, ha spiegato che dopo il tentativo ieri di riportarli in patria in aereo, oggi si sta provvedendo via nave. D’altra parte, in tutto il caos libico, i profughi sono al centro delle raccomandazioni dell’Onu, che dopo un accordo di massima sta mettendo a punto le sanzioni da varare. Da parte sua, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha annunciato le misure di Washington contro la Libia: congelare i beni della famiglia Gheddafi, ma non quelli che appartengono al popolo libico. Dell’isolamento internazionale, parliamo con Luigi Geninazzi, editorialista di Avvenire.

    R. – Sì, certo, è un isolamento perché l’embargo delle armi arriva sull’onda di una risoluzione dell’Onu, dopo che – mi pare – era già stata decisa da vari Paesi europei e anche dall’amministrazione Obama. Diciamo, però, che è una misura, come dire, un po’ scontata e tardiva: sarebbe stato meglio non dare negli anni passati le armi che adesso stanno usando. E’ chiaro ora che nessuno può mettersi in testa di fornirgliele ancora in modo lecito e legale. Però, è un segnale importante ed è un segnale politico perché, ovviamente, Gheddafi è isolato non solo sul piano interno, assediato nella sua Tripoli, nel suo bunker, ma anche a livello internazionale.

    D. – A questo punto,l il figlio di Gheddafi parla ancora con i ribelli di trattative in corso: c’è margine, secondo te?

    R. – Non credo. Anche se nessuno può dare giudizi netti e definitivi sulla situazione così confusa e caotica che c’è in Libia oggi. Però, mi sembra che i ribelli, che ormai avevano conquistato non solo la Cirenaica ma anche altre città della Tripolitania, si mettano a patteggiare o meglio a prendere tempo con il figlio del dittatore. Siamo davanti a uno scenario di totale incertezza, con possibili ricadute ancora più tragiche degli eventi che abbiamo vissuto nei giorni scorsi.

    D. – Come può essere il dopo Gheddafi?

    R. – Le domande che ci facevamo in Tunisia e in Egitto erano domande con alcune incognite, ma c’erano dei binari sui quali il treno della crisi poteva correre senza deragliare. In Egitto, abbiamo visto l’esercito che ha fatto una specie di golpe, ma ha promesso alla popolazione di mantenere il potere in modo provvisorio fino alle prossime elezioni e di garantire un passaggio democratico dei poteri. In Tunisia, la situazione è un po’ più confusa, però c’è un governo civile. In Libia, c’è il totale caos e come dicono gli storici che conoscono il Paese - e di loro dobbiamo fidarci più dei politici che hanno sbagliato tutte le previsioni e tutti gli accordi. La Libia non solo non ha mai avuto la democrazia, ma è sempre rimasto divisa in tante tribù, in tanti gruppi che si possono scontrare di nuovo e che il dittatore Gheddafi aveva ammansito con il potere dei soldi derivanti dagli incassi petroliferi. Adesso, tutto questo mondo è crollato e su queste macerie non sappiamo che cosa succederà. Io direi solo una cosa: non facciamo subito i profeti di sventura, affermando che sicuramente accadrà il peggio, che al Qaeda prenderà il potere. Al Qaeda è stata presa alla sprovvista, gli integralisti islamici sono stati presi alla sprovvista non solo dagli eventi in Libia, ma da questa grande ondata di libertà che percorre il Maghreb e l’intero mondo arabo. Quindi, la partita è molto aperta e in Libia è più che mai aperta. (bf)

    E’ evidente che la crisi libica, pur rientrando nello stesso vento di rivolta che ha animato il Nord Africa e il Medio Oriente, si caratterizza per la scarsità e frammentarietà delle notizie. Per l’assenza di giornalisti stranieri e soprattutto perché, a differenza della Tunisia e dell’Egitto, Internet non ha rappresentato un fattore determinante: l’infrastruttura da questo punto di vista era nettamente inferiore. In più, la rivolta in Libia ha preso subito la piega della guerra civile. Pertanto è difficile anche capire chi siano i ribelli. Luca Collodi ha chiesto aiuto a Fabrizio Maronta, docente di Geografia politica ed economica all’Università Roma Tre e collaboratore della rivista di geopolitica Limes:

    R. – Anche questo è un elemento piuttosto difficile perché l’elemento fondamentale dell’Egitto - se vogliamo fare un paragone molto vicino nel tempo e anche nello spazio - era l’esercito, quindi un’istituzione riconoscibile, fondamentalmente laica e anche, direi, socialmente omogenea. Invece, adesso ci troviamo di fronte a un fattore di estrema frammentazione, quello tribale. Vale la pena ricordare questo dato, perché non lo sento citato molto spesso e invece mi sembra un aspetto fondamentale: la Libia ha oltre 140 tribù il cui peso in questa insurrezione è in realtà ancora da appurare bene. La mia impressione è che 42 anni di dominio di Gheddafi - che ha mirato proprio a diluire il potere delle tribù, il quale era chiaramente un fattore di divisione che rendeva difficile governare lo Stato in modo unitario e soprattutto autoritario - abbiano in qualche modo un po’ diminuito il fattore tribale ma non lo abbiano assolutamente annullato. In questo momento, ripeto, credo che il fattore più determinante, ancor prima di quello religioso - spesso paventato nell’ipotesi dell’avvento di una situazione di islamismo estremo - sia proprio quello tribale. Da questo punto di vista, in realtà, è ben difficile fare analisi perché non si sa bene da che parte stiano le tribù. Per gli occidentali, soprattutto, è molto difficile poter trattare con esse, che non si presentano come un’istituzione unitaria ma come un "arcipelago" di istanze.

    D. – L’elemento religioso che ruolo può avere nello sviluppo della situazione libica?

    R. – Finora, Al Qaeda nel Maghreb è stata relativamente - e dico relativamente - assente dalla Libia perché, in realtà, la Libia è stata fondamentalmente un Paese di transito delle correnti migratorie e di conseguenza anche delle componenti estremiste. Il problema fondamentale è che tra le prime porte a essere aperte, ancora prima di quelle dei varchi di confine per accogliere i rifugiati tunisini e egiziani, sono state quelle delle carceri di massima sicurezza, soprattutto a Tripoli. Si pensa che questo fatto abbia permesso la fuoriuscita di una serie di elementi incarcerati dal regime di Gheddafi, perché ritenuti pericolosi anche per la stabilità del regime e che adesso potrebbero confondersi con i flussi migratori. (bf)

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    L'arcivescovo di Algeri: le proteste portino alla nascita di una società nuova e aperta al dialogo

    ◊   In Algeria, si è svolta oggi la prima marcia di protesta, dopo la revoca dello stato d’emergenza decisa giovedì scorso. Nella capitale Algeri si segnalano scontri tra sostenitori e oppositori del governo, con l’esercito che è intervenuto per dividere le due fazioni. Nel Paese è sempre alto il timore di una deriva fondamentalista. Per mons. Ghaleb Moussa Abdalla Bader, arcivescovo di Algeri, “la convivenza tra le culture e il dialogo interreligioso non è più una scelta, ma un fatto compiuto che si impone tanto nelle società mediorientali quanto in quelle occidentali”. Il cristianesimo – spiega mons. Bader – ci chiama a testimoniare che gli uomini, pur nella diversità, sono figli dell’unico Dio e quindi possono vivere pacificamente insieme. Il presule al microfono di Paolo Ondarza:

    R. – Siamo chiamati a vivere insieme. Non c’è scelta: o ci si scontra o s’impara ad accettarci, a rispettarci, ad aiutarci a vicenda. Non c’è alternativa. Questo non è un fatto che riguarda esclusivamente i Paesi che hanno una minoranza cristiana, come avviene nella mia regione mediorientale o dell’Africa del Nord, ma è oggi un fatto universale che coinvolge l’Europa, l’America. Siamo chiamati a vivere insieme, ad imparare a vivere insieme.

    D. – Talvolta, questa convivenza porta alla luce delle diversità che fanno paura. Come arginare lo scontro?

    R. – Vivere insieme non significa voler cancellare quelle che sono le nostre differenze. Le differenze rimarranno differenze: chi è musulmano rimarrà musulmano, chi è buddista rimarrà buddista, io che sono cristiano rimarrò cristiano. Ci saranno sempre delle differenze. E’ importante imparare ad accettare che l’altro può pensarla in un’altra maniera, che l’altro appartiene a un’altra religione, che l’altro possa avere un altro modo di vedere le cose.

    D. – Premessa per il dialogo interreligioso è la considerazione del valore dell’uomo, figlio di Dio e quindi ne consegue che tutti gli uomini sono fratelli…

    R. – Finché, non ci convinciamo che siamo tutti uomini, tutte creature di Dio, figli di Dio. Devo essere convinto che l’altro è un uomo come me e che ha quindi gli stessi diritti e gli stessi doveri che ho anche io. Se non arriviamo a questa convinzione, allora è inutile: non si può obbligare ad amare. E’ mio dovere, da cristiano, perché è la mia religione che me lo dice, dire a tutto il mondo che l’uomo è la creatura di Dio: l’uomo cristiano, l’uomo musulmano, l’uomo buddista e anche l’uomo non credente è figlio di Dio, è redento da Dio e Cristo è morto anche per lui.

    D. – In alcuni Paesi del Medio Oriente – ed è la sua convinzione – ci sono dei fattori precisi che ostacolano il dialogo: uno di questi è la diffusione di determinati testi scolastici che, a suo parere, andrebbero rivisti e corretti…

    R. – Il modo di presentare la storia e di interpretare gli eventi storici presenti nei libri, credo sia da rivedere. Io facevo cenno alla nostra regione del Medio Oriente, dove tutti i libri di lingua, di storia e perfino di letteratura islamica sono testi islamici: non vorrei che i testi scolastici diventino, quindi, dei manuali di catechismo. C’è un altro luogo per insegnare la religione. Questo anche sul vocabolario, perché chiamare ancora gli altri “infedeli” oggi non è più accettabile. Nemmeno per alcuni musulmani: non accettano più di chiamare i cristiani e gli altri fedeli kuffar. Nessuno lo accetta più oggi.

    D. – Ciò che sta accadendo con le diverse rivolte nel mondo arabo crede possa contribuire alla nascita di una nuova società, più disposta all’incontro?

    R. – Questa è la sfida e questo è l’augurio: solo se ci sarà una generazione capace di prendere in mano la situazione, dopo questi eventi, per creare una società nuova. E’ una sfida ed è un augurio. (mg)

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    L'incontro tra le fedi, un'arma per disinnescare le tensioni: intervista col prof. Kepnes

    ◊   Il panorama politico del Medio Oriente e del Nord Africa, si sta dunque modificando con conseguenze drammatiche, diverse tra loro e imprevedibili. In questo scenario, il dialogo interreligioso tra ebrei, cristiani e musulmani è più importante che mai e rappresenta “una questione di vita o di morte”. È quanto sostiene il professor Steven Kepnes, ebreo e docente di Studi Giudaici alla Colgate University di New York, che su questo tema ha tenuto giovedì scorso a Roma una conferenza presso la Pontificia Università Gregoriana. Linda Giannattasio lo ha intervistato:

    R. – I’m just looking at the world where we have major conflicts …
    Osservo quella parte del mondo in cui c’è il maggior numero di conflitti – Africa, Medio Oriente – e purtroppo, cristiani, ebrei e musulmani stanno uccidendosi fra loro. Ecco perché è una questione di vita o di morte. A volte sembra che i conflitti in Africa o in Medio Oriente siano di carattere squisitamente nazionale o economico. Noi sappiamo, però, che se riuscissimo ad avere una maggiore comprensione tra le religioni, questo potrebbe portare anche a una diminuzione delle tensioni nell’ambito dei conflitti nazionali. Ci sono leader religiosi musulmani, cristiani ed ebrei che hanno consacrato la loro vita allo sforzo di unire le persone: se nei conflitti nazionali si desse la parola in ambito diplomatico proprio a questi leader, io sono convinto che potrebbero trovare delle soluzioni.

    D. – C’è il rischio che situazioni di crisi politica come quelle che si vivono da sempre in Medio Oriente, ma anche – in questo momento – in Africa, possano invece allontanare da questo dialogo interreligioso e creare fondamentalismi?

    R. – Yes. The religions that some people seem to be attractive to now, are the more …
    Mi sembra che le religioni dalle quali alcune persone sembrano essere attratte in maniera particolare siano proprio quelle fondamentaliste. Sono precisamente quelle religioni che dividono la gente piuttosto che unirla. Penso che gli ebrei, i musulmani e i cristiani più liberali e più aperti di mente abbiano bisogno di alzare il tono della voce, di comunicare il loro messaggio.

    D. – Lei sta portando avanti da anni il cosiddetto “metodo scritturale” in Israele: leggere insieme la Bibbia, il Corano, può alimentare questo dialogo interreligioso?

    R. – This method of “scriptural reasoning” is one where people sit together …
    Questo “metodo di ragionamento scritturale” prevede che la gente si trovi insieme a leggere e studiare i propri Testi sacri; e leggere il tuo Testo sacro da ebreo, insieme ad un musulmano e ad un cristiano, ti porta a conoscere le persone sul piano della loro fede, ti fa comprendere cosa è più importante per loro, ti porta a sviluppare amicizie che durano nel tempo. E quando nascono amicizie tra persone di popoli che sono in conflitto tra di loro, questo fa sì che esse riescano a comprendersi meglio e a sua volta questo messaggio può essere trasmesso ad un pubblico più vasto. (gf)

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    Corso alla Lateranense per riscoprire il ruolo del sacerdote di fronte all'emergenza educativa

    ◊   “Pastori dinanzi all’emergenza educativa” è la sfida e il titolo del Corso di formazione teologico-pastorale per sacerdoti che si chiuderà lunedì 28 febbraio presso la Pontificia Università Lateranense. Due settimane di lavori, strutturate in sei incontri, per riflettere su come ogni sacerdote debba porsi di fronte alle frontiere della formazione. Tra le relazioni finali, quella del vescovo di Teano-Calvi, mons. Arturo Aiello, intitolata “La vita del prete: tra l’andare e il restare. Appunti per una strategia pastorale”. Luca Collodi lo ha intervistato:

    R. - “Emergenza” è riprendere le fila dell’educazione rispetto a tempi in cui le cose, i valori, la visione dell’uomo passavano di bocca in bocca, di generazione in generazione in una maniera quasi automatica. Oggi non è più così ed è da qui, dall’impegno educativo, che nasce da sempre anche l’aspetto dell’emergenza.

    R. - La Pontificia Università Lateranense lunedì 28 febbraio dedica una tavola rotonda a questo tema. Che difficoltà, oggi, incontra il prete nella sua pastorale?

    R. - Difficoltà rispetto ad essere riconosciuto dalle persone come un messaggero. Si tratta allora di riprendere una serie di relazioni, di fare attenzione a quel groviglio di relazioni all’interno del quale ogni prete, anche quello giovane, si trova ad operare. Diciamo che questa sensibilità rispetto alle relazioni c’è sempre stata, ma oggi è un’urgenza particolarmente forte: educare i presbiteri ad essere uomini di relazione, perché più che nel messaggio dato alla massa - di cui pure c’è bisogno - è nel contatto personale, nel custodire e nell’essere registi di relazioni che passa il Vangelo.

    D. - Quale deve essere il giusto equilibrio in un sacerdote tra la preghiera e la vita quotidiana?

    R. - Questo è il vero nodo. Tante crisi, tante difficoltà nascono dal ritenere esaurito il proprio cammino di formazione spirituale e quindi anche il proprio impegno di comunione con Gesù, con il Maestro. Nella misura in cui il prete riuscirà a essere contemporaneamente uomo di Dio e uomo tra gli uomini, in questo punto di convergenza c’è la vera soluzione e la possibilità di essere incisivo. A volte ci si perde in una sorta di sociologismo, di bilanciamento verso le relazioni pastorali, dimenticando però che c’è una fonte cui attingere continuamente. (vv)

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   In questa ottava Domenica del Tempo ordinario la liturgia ci propone il passo evangelico in cui Gesù invita i suoi discepoli a non essere attaccati al denaro ma ad avere fiducia in Dio. Né bisogna preoccuparsi del cibo, del vestito o di altre necessità materiali per il futuro, perché a ciascun giorno basta la sua pena. Quindi aggiunge:

    “Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.

    Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Avete notato quanti negozi di abbigliamento ci sono nelle zone commerciali delle nostre città? Sembra che la merce più richiesta sia proprio quella del vestire alla moda, per essere griffati da capo a piedi: una concentrazione sull’apparire e sul vestire, quasi una idolatria collettiva e nevrotica per mostrarsi ed essere visti. Ne sono contagiati uomini e donne, e specialmente i giovani, bambini inclusi. Una illusoria identità affidata alle griffes, per sentirsi vivi in un mondo di comparse. Proprio su questi desideri esagerati: dal vestire al mangiare, dalle garanzie alla salute, interviene oggi Gesù. Tutto può diventare idolo e idolatria, stordire il cuore e distrarre la vita, tra affanno e illusione: il possesso, il vestito, il prestigio, i piaceri. Per Gesù l’insidia più pericolosa è nell’accumulo di denaro, nel dargli tutto lo spazio possibile nella vita e nel cuore, in un’ansia di sicurezza che non lascia vivere più. E si diventa servi, anzi schiavi di mammona. E Dio finisce per restare al margine, come soprammobile, tanto per fare scena; ma il vero tesoro è altrove, altrove il cuore guarda e pensa. “Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia”, conclude Gesù. Non si tratta di star senza far niente, sperando tutto da Dio. Ma di diventare più sereni e più sobri. E allora molte manie appariranno per quello che sono: illusioni vere e falsi bisogni.

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    Chiesa e Società



    La nunziatura a Tripoli: tutti i missionari restano in Libia accanto a chi soffre

    ◊   Tutti i religiosi che operano in Libia hanno espresso la volontà di non lasciare il Paese e di ''restare accanto a chi soffre'', mentre si intensifica l'attività di assistenza alla popolazione e ai feriti. Lo riferisce una nota che la nunziatura apostolica in Libia ha inviato all'Agenzia Fides. “In merito alla grave situazione che si è determinata negli ultimi giorni in Libia – afferma la nota - le comunità religiose che operano nei due Vicariati Apostolici di Tripoli e Bengasi, continuano a essere pienamente al servizio della popolazione e dei fedeli. La maggioranza delle 16 comunità femminili, composte da suore provenienti da diverse nazioni, presta la propria opera nel settore sanitario e, in queste ore, ha intensificato l’assistenza alla popolazione. Le religiose hanno espresso la volontà di restare accanto a chi soffre. Allo stesso modo, anche i due vescovi ed i 15 sacerdoti proseguono il loro servizio ed intendono continuare la missione loro affidata. Pur nel difficile frangente che il Paese si trova a vivere – si legge nella nota - l’atteggiamento dei missionari presenti in Libia mira a infondere coraggio e ad assicurare ogni forma di assistenza possibile alla comunità cattolica - che è di circa 100.000 fedeli - e all’intera popolazione. Occorre peraltro rilevare che anche nel contesto attuale il popolo libico, come tradizionalmente ha sempre fatto, sta manifestando apprezzamento per la presenza e il servizio delle suore e dei sacerdoti. In questi giorni tale benevolenza – conclude la nota della nunziatura - si dimostra con gesti concreti di solidarietà e di protezione nei confronti dei religiosi presenti nel Paese”.

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    Cina: la Chiesa piange la scomparsa di mons. Hu Daguo, vescovo legittimo e clandestino di Shiqian

    ◊   Lo scorso 17 febbraio, all’età di quasi 90 anni, si è spento mons. Agostino Hu Daguo, vescovo legittimo e clandestino della prefettura apostolica di Shiqian (Shihtsien), nella provincia di Guizhou (Cina Continentale). Il presule era nato il 15 maggio 1921 in una famiglia di vecchia tradizione cristiana a Tongzhou, nella contea di Pingtang, nel Guizhou. Battezzato quando aveva solo un mese di vita. Nell’età da 7 a 11 anni apprende a conoscere le Sacre Scritture, frequentando regolarmente la Chiesa cattolica. Nel 1936 entra nel seminario diocesano minore di Guiyang, per passare nel 1939 a quello maggiore “San Pietro” per lo studio della teologia. E’ ordinato sacerdote il 29 giugno 1951. Dopo l’ordinazione sacerdotale insegna nel seminario maggiore e nel 1955 è mandato a lavorare nella parrocchia di Youtangkou in qualità di viceparroco, ma il 4 aprile viene arrestato e poi internato, per circa tre anni, nel Centro di detenzione di Guizhou. Nel 1958 è condannato a dieci anni di lavori forzati e di rieducazione in tre diverse fabbriche del Guizhou. Al termine della pena è inviato, in regime di semi-detenzione, nella fabbrica di Fuquan. Viene poi riabilitato e mandato ad insegnare nel seminario teologico di Chengdu, nella provincia di Sichuan. Le difficoltà per il Presule non erano ancora terminate perché, quattro anni dopo, a causa della sua ferma fedeltà al Santo Padre è allontanato dall’insegnamento. Decide, perciò, di tornare nel Guizhou dove è nominato parroco di Duyun, Dushan, Fuquan Tuanbo e Wen’an. Nel 1987 è ordinato vescovo dal compianto mons. Giuseppe Fan Xueyan, di Baoding. Nel 1999, all’età di quasi 80 anni, ha un incidente ad una gamba, dal quale non si è mai ristabilito completamente. Negli ultimi anni, non faceva mistero delle sue difficoltà di linguaggio, di comprensione e di deambulazione, pur continuando a spendere le sue energie nel servizio del Signore e dedicandosi in modo particolare ad ascoltare le confessioni dei fedeli. Le autorità civili, che non l’hanno mai riconosciuto come vescovo, gli avevano impedito di risiedere a Shiqian. Nonostante che la sua residenza fosse a Duyun, nell’arcidiocesi di Guiyang, egli, con discrezione ed efficacia, ha amministrato clero e fedeli della sua prefettura apostolica con grande zelo e con spirituale fervore, ridando vita e speranza alle varie comunità parrocchiali, sparse nelle zone montagnose. Mons. Hu ha condotto una vita all’insegna della semplicità e della povertà, in piena aderenza ai principi della Chiesa universale e al Primato di Pietro. Era molto dotato dal punto di vista intellettuale ed è sempre stato stimato da tutti come un ecclesiastico santo. I suoi funerali sono stati celebrati domenica scorsa nella cattedrale. Il clero e i fedeli della sua prefettura apostolica lo rimpiangono vivamente. In lui, come in tanti altri vescovi cinesi che sono morti negli ultimi anni, si sono compiute le parole del libro della Sapienza: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé: li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto” (Sap 3, 1-6).

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    È libero l’afghano convertito al cristianesimo condannato per apostasia

    ◊   Sayed Musa, il 45enne operatore della Croce Rossa arrestato il 31 maggio del 2010 in Afghanistan in seguito alla sua conversione dall’islam al cristianesimo per la quale era stato condannato a morte con l’accusa di apostasia, è stato liberato la scorsa notte. Lo ha dichiarato all’agenzia Fides il suo avvocato, Afzal Nooristani, che è anche il direttore della Legal Aid Organization of Afghanistan, organizzazione che si occupa di assistenza legale e tutela dei diritti umani. Il rilascio di Musa è seguito alle pressioni della comunità internazionale e soprattutto del governo degli Stati Uniti; ora l’uomo troverà probabilmente asilo politico in Pakistan, dove risiede parte della sua famiglia. Per un caso che si risolve felicemente, però, ce ne sono altri ancora in dubbio, come quello di un altro afghano convertito, Ahmad Shah. “Occorre una complessiva riforma del sistema giuridico – ha spiegato Nooristani – ma il Paese attualmente attraversa un complesso di problemi e sfide come il terrorismo, la presenza di forze ultraconservatrici e la nebulosità della classe politica che rendono tutto più difficile”. La Costituzione dell’Afghanistan dichiara l’islam religione di Stato, ma riconosce ai seguaci di altre fedi il diritto al culto nelle forme previste dalla legge. La sharia, inoltre, è la fonte del diritto ed esistono leggi che prevedono la pena di morte per apostasia e blasfemia. (R.B.)

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    India. Nuovo attacco a scuola cattolica nello Stato del Karnataka

    ◊   Ennesimo attacco a una scuola cattolica indiana da parte degli estremisti indù: stavolta l’aggressione, avvenuta la notte del 22 febbraio scorso, è avvenuta a Belgaum, nello Stato del Karnataka, e l’istituto in questione è la scuola cattolica della Divina Provvidenza. L’agenzia Fides ricorda che da diversi giorni i cristiani di questo Stato stanno manifestando contro il rapporto di un giudice che nega le responsabilità degli estremisti indù nelle violenze anticristiane del 2008. Per lunedì, infatti, è in programma una nuova iniziativa: una marcia di protesta cui parteciperanno il vescovo della città, mons. Peter Machado, altri presuli e migliaia di fedeli. Tornando alla scuola, l’attacco ha scatenato il panico tra le suore Canossiane, gli studenti e i genitori: “Siamo allarmati perché temiamo possa essere una reazione dei gruppi fondamentalisti indù – ha dichiarato il vicario generale della diocesi di Belgaum, padre Lucio Mascarenhas – ma i fedeli non si fermeranno davanti alle ingiustizie e alle falsità”. (R.B.)

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    I vescovi colombiani: “no” alle adozioni da parte di coppie omosessuali

    ◊   Ieri il segretario dell’episcopato della Colombia, mons. Juan Vicente Córdoba Villota, ha informato i giornalisti del fatto che i vescovi hanno indirizzato un documento ai membri della Corte Costituzionale per chiedere che non sia legalizzata la possibilità che le coppie omosessuali adottino figli. “In concreto chiediamo alla Corte - ha precisato il presule - di non autorizzare le adozioni di figli in questi casi, tenendo presente i diritti dei minorenni. Secondo il diritto internazionale, ma anche secondo il nostro codice, per i minorenni l’adozione è, al di sopra di ogni cosa, una protezione del bambino (articolo 88)". Quando lo Stato autorizza un’adozione si propone di dare il suo patrocinio sociale e la sua protezione a persone che hanno bisogno di essere accolte in una famiglia “sia per ragioni di tenera età sia per manifesto stato di indifesa. Perciò è evidente che l’interesse primo e supremo è quello della persona che ha bisogno di essere adottata, il minore, e quindi è questa la motivazione e il fondamento dell’adozione in quanto figura giuridica”. Per mons. Juan Vicente Córdoba Villota, secondo quanto i vescovi affermano nella loro lettera alla Corte, “l’adozione può essere concessa soltanto in funzione dei diritti del minore e in caso di un qualsiasi conflitto sono questi diritti quelli che devono prevalere sempre”. “L’adozione - ha osservato il segretario dell’episcopato colombiano - non è un diritto delle persone che desiderano adottare, sia nel caso di coppie omosessuali o eterosessuali, perciò stabilire quanto credono i vescovi non costituisce una violazione di un diritto fondamentale. Tale presunto diritto, infatti, non esiste”. Infine, il presule ha voluto rilevare come, di fronte ad alcune critiche, agendo in questo modo non si configuri nessuna “discriminazione” delle persone che desiderano adottare. (A cura di Luis Badilla)

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    I vescovi dell’Arizona preoccupati per il nuovo giro di vite contro l’immigrazione irregolare

    ◊   Negli Stati Uniti, i vescovi dell’Arizona hanno espresso forti preoccupazioni per una serie di proposte di legge attualmente all’esame del Senato dello Stato che prevedono un ulteriore giro di vite contro l’immigrazione irregolare. Le nuove norme, approvate in questi giorni in sede di commissione, rimettono in discussione lo ius soli (l’acquisizione automatica della cittadinanza se nati negli Stati Uniti) e, tra le altre cose, imporrebbero alle strutture sanitarie e alle scuole l’obbligo di segnalare all’Ufficio Immigrazione eventuali immigrati illegali. Un’altra proposta di legge vuole inoltre rendere punibili gli immigrati irregolari colti a guidare una macchina nello Stato. “Se passassero, queste misure servirebbero solo a creare più problemi a persone innocenti e vulnerabili, distraendo l’attenzione da una sensata riforma dell’immigrazione”, questo il commento in una nota della Conferenza cattolica dell’Arizona, che ha ribadito che il problema può “essere affrontato adeguatamente solo attraverso una seria riforma dell’immigrazione a livello federale”. L’iter parlamentare delle proposte è solo agli inizi e, come ha rilevato il direttore esecutivo della Conferenza Ron Johnson, la loro approvazione finale è tutt’altro che certa: “Anche se superassero il vaglio del Senato ci sarebbe ancora l’esame della Camera dei Rappresentanti”, ha detto. I vescovi dell’Arizona, sono già intervenuti a più riprese contro un’altra controversa legge approvata dallo Stato l’anno scorso che introduce il reato di ‘clandestinità’ e consente alla polizia di arrestare un immigrato anche solo sulla base del semplice sospetto di ‘irregolarità’. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Congo. Il cardinale Monsengwo invita il clero a non appoggiare alcuna corrente politica

    ◊   La missione della Chiesa è di predicare il Vangelo di Gesù e non di fare politica. E’ quanto ha ricordato nei giorni scorsi al clero dell’arcidiocesi di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, durante un incontro che si è svolto al Centro Nganda di Kinshasa. Il porporato, si legge sul sito www.lepotentiel.com, ha convocato sacerdoti e religiosi dopo alcune notizie circolate nei media circa possibili ingerenze del clero nella politica. Ricordando che prima missione di quanti dedicano interamente la loro vita alla Chiesa è il servizio a Dio, l’arcivescovo di Kinshasa ha fatto riferimento ad una certa “intossicazione” di cui avrebbero parlato i media congolesi “volta a destabilizzare la Chiesa cattolica”. Da qui l’esortazione al clero ad annunciare il Vangelo sempre, “quali che siano i malintesi che possono sorgere”, poiché “la Parola di Dio non può essere incatenata”. Con lo sguardo alle elezioni che si profilano nell’orizzonte del Paese, il porporato ha affermato che “non si può utilizzare la Chiesa per le campagne dei partiti politici. I sacerdoti non possono essere di parte, ma devono farsi tutto per tutti, ossia devono offrire i loro servizi a tutti senza alcuna distinzione”. L’appello del cardinale Monsengwo giunge in seguito alla eventualità che uomini impegnati nella politica cerchino appoggio su quanti possono avere un ascendente morale e psicologico sui cristiani. (T.C.)

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    Nigeria. Lanciati i preparativi per il Congresso Eucaristico e il Congresso Pastorale del 2012

    ◊   La Chiesa nigeriana si sta preparando a celebrare nel 2012 due importanti eventi: il suo secondo Congresso Eucaristico Nazionale e il suo quarto Congresso Pastorale. I preparativi, riferisce l’agenzia dei vescovi CnsNg (Catholic News Service in Nigeria), sono iniziati ufficialmente nei giorni scorsi con l’inaugurazione del Comitato organizzativo presieduto da mons. Hilary Okeke, responsabile del Dipartimento per gli affari pastorali della Conferenza episcopale nigeriana (Cbcn). Tra i compiti principali del nuovo organismo, oltre all’organizzazione degli aspetti logistici, vi saranno la preparazione dei Lineamenta e dell’Instrumentum Laboris del Congresso pastorale e la mobilitazione dei fedeli nigeriani per il Congresso Eucaristico, nonché la raccolta dei fondi necessari per finanziare i due eventi che saranno ospitati nella capitale Abuja. Rivolgendosi ai membri del Comitato, mons. Okeke e il segretario generale della Cbcn, padre Michael Ekpenyong hanno ricordato quanto importanti sono i due Congressi per la vita della Chiesa in Nigeria e quindi la delicatezza della missione loro affidata invitandoli a considerarla come un vero e proprio apostolato. Oltre a mons. Okeke della presidenza del Comitato organizzativo fanno parte mons. Anthony Adaji, presidente del Dipartimento episcopale per i Congressi e i Pellegrinaggi (nominato vice-presidente) e padre Emmanuel Idoko (segretario). Il primo Congresso Eucaristico Nazionale della Nigeria si è svolto nel 2002 a Ibadan ed aveva per titolo “L’Eucaristia e l’evangelizzazione”. (L.Z.)

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    Polonia. Il salesiano Marek Rybinski, ucciso in Tunisia, insignito di un'onorificenza

    ◊   Il presidente della Polonia Bronislaw Komorowski ha consentito a titolo postumo, l’assegnazione della Croce d’Ufficiale dell’Ordine della Polonia Restituta (Rinata) a don Marek Rybiński, missionario salesiano tragicamente morto in Tunisia. La motivazione riportata per l’assegnazione postuma del riconoscimento è “per i grandi risultati raggiunti nella formazione degli atteggiamenti morali dei ragazzi e dei giovani, per la testimonianza d’amore verso l’uomo, e per i frutti conseguiti nel lavoro missionario”. L’Ordine della Polonia Restituta è una delle onorificenze più elevate della Polonia. L’Ordine può essere conferito per il raggiungimento di importanti risultati nell’ambito dell’educazione, scienza, sport, cultura, arte, economia, difesa della nazione, impegno sociale, servizio civile o per l’impegno nel migliorare le relazioni internazionali. Venne creato il 4 febbraio 1921 e può essere conferito sia a civili che a militari, comprese personalità straniere. Mercoledì 2 marzo verrà celebrata una solenne Eucaristia nella Basilica del Sacro Cuore a Varsavia. La salma sarà tumulata nel cimitero di Varsavia Brudno. (I.P.)

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    Tivoli: il ricordo di don Nazzareno Lanciotti nel decennale dell’assassinio

    ◊   “Don Nazzareno rappresenta per tutti un modello di sacerdote innamorato di Dio e del popolo che gli fu affidato. Uomo eucaristico e mariano ha saputo impegnarsi per i poveri, fino al dono di sé, senza cedere ad un semplice amore filantropico ma vivendo esemplarmente l’amore cristiano e sacerdotale, un amore che lo ha condotto a dare la vita per i fratelli e che lo rende un modello sacerdotale e missionario valido per l’oggi”. Con queste parole mons. Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli, ricorda don Nazzareno Lanciotti nel decennale del suo brutale assassinio. Il vescovo – riferisce il Sir - presiederà la Messa domani, alle ore 11.30, nella chiesa parrocchiale di S. Andrea Apostolo in Subiaco. Nato a Roma il 3 marzo 1940, don Nazzareno aderì nel 1971 all’operazione Mato Grosso partendo come missionario “fidei donum” per la diocesi di Cáceres dove molteplici furono le sue attività a favore dei poverissimi indios. La sera dell’11 febbraio 2001, mentre cenava, fu colpito alla nuca da due killer mandati per “togliere di mezzo” un prete scomodo. Dopo aver perdonato i suoi assassini morì il 22 febbraio 2001 in un ospedale di San Paolo del Brasile. Il processo di beatificazione, iniziato nella diocesi di São Luiz de Cáceres, ha già terminato la fase diocesana. Domani, al termine della celebrazione, sarà intitolata a don Nazzareno Lanciotti una Piazza nella città di Subiaco.

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    Educatrici Salesiane: riscoprire il valore dell’indignazione nella questione morale

    ◊   Un appello a “riscoprire il valore dell’indignazione”: a lanciarlo sono le educatrici della Federazione Scs (Salesiani per il sociale), nell’editoriale dell’ultima newsletter, citato dal Sir, in cui tornano sulla “questione morale” e denunciano la loro difficoltà educativa davanti ai messaggi diseducativi cui sono sottoposti i minori: “Il passaggio di certi esempi – scrivono - aumenta enormemente la fatica educativa, per noi che vogliamo lasciare in eredità qualcosa ai ragazzi che seguiamo e metterli nelle condizioni di vivere la loro vita in maniera consapevole e autonoma”. E chiedono che l’interesse dei minori sia superiore rispetto a qualsiasi altra cosa, “sia negli atti concreti nei loro confronti, che nei modelli che si offrono loro”. Da donne, a pochi giorni dalla festa che le celebra, le promotrici dell’appello invitano, inoltre, ad un cambio di rotta rifiutando i modelli culturali che vengono propinati: “svantaggianti e svalorizzanti la donna come persona, che ne oltraggiano la dignità”. Concludono con un appello: “Il criterio di validazione di qualsiasi proposta deve essere la coerenza esistenziale. Iniziamo allora a riscoprire anche il valore dell’indignazione e della denuncia perché se vogliamo giovani migliori dobbiamo per prima cosa essere adulti migliori.

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    24 Ore nel Mondo



    Tensioni nel Mondo Arabo. Proteste in Tunisia contro il governo di transizione; 4 morti in Yemen

    ◊   La tensione resta alta in diversi Paesi dell’area nordafricana e mediorientale dove non si spegne l’ondata delle proteste antigovernative. Dopo un periodo di relativa tranquillità la piazza torna ad agitarsi nello Yemen ma anche in Egitto e Tunisia. Il servizio è di Eugenio Bonanata:

    Cresce l’insofferenza dei tunisini nei confronti del nuovo governo guidato da Ghannouchi. Nonostante la promessa di elezioni entro luglio al massimo, centinaia di persone oggi sono scese nuovamente in piazza a Tunisi per chiedere il rinnovamento immediato dei vertici dello Stato costringendo la polizia ad utilizzare gas lacrimogeni per disperderli. Anche ieri sera ci sono stati scontri: si parla di vittime ma la notizia non ha trovato conferme, mentre in città restano evidenti i segni degli scontri. Scenario simile in Egitto. Stamattina l’esercito ha diramato un comunicato di scuse per aver disperso - stanotte - i manifestanti tornati in piazza Tharir, al Cairo, invocando le dimissioni del governo di transizione. I militari egiziani attraverso la nota hanno ribadito il proprio sostegno alla rivoluzione che ha portato alle dimissioni di Mubarak. Ed è sempre preoccupante la situazione nello Yemen dove si registrano almeno 4 morti e una quarantina di feriti nelle manifestazioni antigovernative delle ultime 24 ore. Fonti mediche riferiscono che la polizia ha aperto il fuoco contro i dimostranti nella città di Aden. Intanto oggi a margine di un’affollata riunione nella capitale Sanaa i leader di alcune importanti tribù del nord hanno deciso di unirsi alle proteste contro il presidente Saleh. Nel vicino Bahrein, invece, la leadership tende la mano agli oppositori in rivolta ormai da diversi giorni. Il re Al Khalifa ha licenziato 3 ministri considerati “responsabili della crisi”. E in queste ore si è saputo di una nuova manifestazione in Arabia Saudita che risale a giovedì scorso. Gruppi sciiti sono scesi in piazza in diverse province orientali - ricche di petrolio - per chiedere la liberazione di alcuni compagni arrestati nelle dimostrazioni del 19 febbraio scorso. In Iran, infine, l’opposizione sta organizzando un nuova manifestazione contro il regime da tenersi martedì prossimo primo marzo in diverse città. Motivo principale – si legge in un comunicato – protestare contro gli arresti domiciliari inflitti ai due leader riformisti Mussavi e Karrubi.

    Iraq
    In Iraq attacco dei ribelli contro la più grande raffineria del Paese, che si trova 180 chilometri a nord di Baghdad. Uccisi almeno quattro lavoratori dell’impianto, colpito da bombe che hanno provocato un vasto incendio. L'attività della raffineria – riferiscono fonti locali - è completamente bloccata.

    Afghanistan
    Violenza protagonista anche in Afghanistan. Almeno 9 civili hanno perso la vita per l’esplosione di un ordigno al passaggio del veicolo su cui viaggiavano. E’ successo nei pressi di Khost, nella zona sud est del Paese. Il capo della sicurezza locale ha precisato che tra le vittime ci sono 4 bambini e 3 donne.

    Elezioni in Irlanda
    Prosegue in Irlanda lo spoglio delle schede del voto legislativo anticipato, che si è svolto ieri. Secondo gli exit polls, sorpasso del Fine Gael sul Fianna Fail. Da Dublino Enzo Farinella:

    Mentre continua la conta di voti, iniziata questa mattina alle nove ora locale, vengono confermati la superiore affluenza alle urne rispetto alle consultazioni generali del 2007 e il cambio di guardia al Governo detenuto dal partito Fianna Fail negli ultimi 13 anni. Secondo l’exit poll, il Fine Gael, alleato del partito popolare europeo, con oltre il 36% delle preferenze nazionali e 72 seggi previsti su un totale di 166 del Parlamento irlandese, si conferma come partito guida del nuovo Governo. Ai laburisti viene dato il 20,5% con 38 deputati, il migliore risultato della loro storia. Il Partito Fianna Fail fondato da Eamon de Valera è precipitato, dalla sua maggioranza relativa in Parlamento con 78 deputati ai 20 previsti dal 15% dell’exit poll, con un crollo quasi totale a Dublino, dove vien dato solo l’8%. Ottimo anche il risultato per il partito nazionalista Sinn Fein di Gerry Adams, a cui vengono assegnati 15 seggi dal 10% dell’exit poll. I 233 candidati che si presentavano come i dipendenti e che denotano la protesta generale contro la mala amministrazione dell’economia irlandese degli ultimi anni, potrebbero ottenere 20 seggi con il loro 15,5% delle preferenze nazionali. Ai verdi vengono dati tre candidati con due e sette percento previsto.

    Francia: allarme bomba
    Falso allarme bomba a Parigi. Evacuata la Torre Eiffel e gli uffici della Torre Montparnasse dopo che la polizia, ieri sera, ha ricevuto due telefonate anonime che segnalavano la presenza di un ordigno in entrambi i siti. Oltre duemila le persone che hanno dovuto abbandonare l’area. Già, lo scorso settembre la Tour Eiffel era stata evacuata due volte in seguito a falsi allarmi bomba.

    Nuova Zelanda: sale il bilancio delle vittime del terremoto
    É salito a 144 morti l’ultimo bilancio del terremoto che martedì scorso ha devastato la città neozelandese di Christchurch. Le autorità locali hanno precisato che sono oltre 200 i dispersi, mentre nella zona si denunciano diversi casi di saccheggi.

    Giappone: si ferma la crescita demografica
    I giapponesi sono circa 128 milioni ma la crescita demografica nel Paese è ferma: la popolazione dal 2005 al 2010 è cresciuta soltanto di 288 mila unità, lo 0,2 per cento, grazie soprattutto all’incremento del numero di cittadini stranieri. A diffondere i dati è il ministero degli Affari Interni di Tokyo precisando che i giovani, a causa della crisi economica e della mancanza di lavoro, sono riluttanti a mettere su famiglia. (Panoramica internazionale a cura di Mariapia Iacapraro ed Eugenio Bonanata)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 57

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.