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Sommario del 25/02/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa riceve il patriarca libanese Sfeir. Intervista con mons. Eid sui cambiamenti nel mondo arabo
  • Crisi libica al Consiglio per i Diritti Umani. Mons. Tomasi: porre fine alle violenze contro i civili
  • Non paura ma amicizia: l'editoriale di padre Lombardi sulle tensioni nei Paesi arabi
  • Altre udienze e nomine
  • Mons. Carrasco De Paula: mondo sempre più aggressivo contro la vita umana
  • L’acqua non è una merce ma un diritto universale: così mons. Toso al Convegno di Greenaccord
  • Conferenza di mons. Oder sull'essenza della santità di Giovanni Paolo II: fu uomo di Dio e per l'umanità
  • Presentazione dei Lineamenta per il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione
  • Rammarico della Radio Vaticana per la decisione della Cassazione sul presunto inquinamento elettromagnetico
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Libia: gli insorti marciano verso Tripoli. La Comunità internazionale studia misure per porre fine alle violenze
  • Proteste anche in Iraq. Mons. Warduni: mancano lavoro, cibo, pace e libertà
  • Africa sub-sahariana: governi allarmati per il vento delle rivolte popolari
  • Rapporto Unicef e sfida educativa. Il cardinale Bagnasco richiama la responsabilità degli adulti
  • Chiesa e Società

  • Nord Africa. Il Custode di Terra Santa: in Medio Oriente euforia e preoccupazione
  • Tunisia. La testimonianza di una religiosa: “Qui tutti ci stimano”
  • India: l’Alta Corte del Himachal Pradesh accoglie ricorso contro legge anti-conversione
  • Pakistan. Moratoria sulla blasfemia: nuova proposta della società civile
  • Terremoto in Nuova Zelanda: Messe vietate all'interno delle chiese a Christchurch
  • Messico: nuovo progetto di legge sull’immigrazione. Per la Chiesa è un segno di speranza
  • Sacerdote ucciso in Brasile: vescovo chiede più sicurezza nelle città
  • Argentina: acceso dibattito sulla presenza dei simboli religiosi nei luoghi pubblici
  • Il pellegrinaggio in Terra Santa dei minatori liberati in Cile
  • Honduras. Il cardinale Rodríguez Maradiaga: nel Paese violenza dilagante
  • La denuncia delle associazioni: “Il Bangladesh affetto da insicurezza alimentare”
  • Congo: cooperazione Stato-Chiesa su temi sociali ed economici
  • Cina: assemblea annuale della diocesi di Feng Xiang sull'evangelizzazione
  • Il cardinale Bagnasco alla Salesiana: “L’educazione dei giovani è il futuro dell’uomo”
  • Croazia: presentato il logo scelto per la visita del Papa
  • Spagna. Cattolici e anglicani riconoscono reciprocamente il battesimo
  • Portogallo: il patriarcato di Lisbona rinnova la pagina internet
  • Polonia: a breve l’anniversario della Gmg di Czestochowa, la prima dopo la caduta dell’Urss
  • 24 Ore nel Mondo

  • Manifestazioni in Tunisia ed Egitto contro i governi provvisori
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa riceve il patriarca libanese Sfeir. Intervista con mons. Eid sui cambiamenti nel mondo arabo

    ◊   Il Papa ha ricevuto oggi in Vaticano il cardinale Nasrallah Pierre Sfeir, patriarca di Antiochia dei Maroniti, in Libano. Il porporato aveva partecipato mercoledì scorso alla cerimonia di benedizione della statua di San Marone, il fondatore della Chiesa maronita, posta in una nicchia esterna della Basilica Vaticana. All’evento era presente anche il capo di Stato libanese Michel Sleiman, che ieri ha avuto con il Papa un cordiale colloquio, incentrato anche sui recenti avvenimenti in alcuni Paesi arabi e nel quale è emersa la comune convinzione dell’urgenza di risolvere i conflitti ancora aperti nella Regione. A questo proposito il responsabile del Programma arabo della Radio Vaticana, padre Jean Mouhanna, ha raccolto la riflessione del vescovo maronita del Cairo, mons. François Eid, che ha fatto parte della delegazione del cardinale Sfeir:

    R. - (parole in arabo)
    Ciò che vediamo è un travaglio molto complicato dal quale dovrebbero nascere nuovi governi, diversi da quelli vecchi che hanno trascurato il bene dei popoli, impossessandosi di tutte le ricchezze dei loro rispettivi Paesi. Invece di instaurare lo stato di diritto hanno creato dei regimi di stampo familiare e questo ha allargato il fossato con il popolo. Dinanzi a questa situazione i giovani si sono trovati davanti ad una decisione: quella di cambiare. Una scelta non facile perché questi regimi sono armati, mentre i giovani hanno dalla loro parte solo la conoscenza e la cultura. In questo i mass media e le nuove tecnologie di comunicazione hanno molto aiutato i giovani. Il miracolo è iniziato in Tunisia: abbiamo visto e vediamo strade stracolme di giovani che chiedono giustizia. Noi ci auguriamo che non si infiltrino alcuni partiti religiosi per sfruttare, per i loro scopi, questa rivoluzione dei giovani trasformandola in una ideologia e in una situazione negativa.

    D. - Quali sono ora le prospettive?

    R. - (parole in arabo)
    Non c’è dubbio che il cambiamento è iniziato e non si può tornare indietro! I giovani aspirano solo ad uno Stato che sia per tutti i cittadini, a prescindere dall’appartenenza, culturale, religiosa, etnica o tribale. Sappiamo che Paesi come la Libia e lo Yemen sono strutturati su base tribale. I giovani invece si sentono di appartenere a un villaggio nazionale e universale, non tribale. Il loro sogno è quello di costruire uno Stato migliore capace di realizzare le loro aspirazioni. Dicono che ogni regime basato sull’ingiustizia deve finire. Cercano il pane, il lavoro, una vita dignitosa, la libertà, il diritto, perché la dignità di un semplice cittadino è uguale alla dignità di chi governa. Questi regimi invece sono fallimentari. I giovani hanno capito che anche i progressi compiuti da questi Paesi andavano solo a vantaggio dei corrotti. Il popolo non ha ottenuto nulla da questi progressi. Ora aspettano di ritrovare la loro dignità.

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    Crisi libica al Consiglio per i Diritti Umani. Mons. Tomasi: porre fine alle violenze contro i civili

    ◊   Riunione urgente stamani a Ginevra per il Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu per valutare le misure da prendere in relazione alle violazioni che si satanno verificando in Libia in Libia. Era presente mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu della città elvetica. Helene Destombes lo ha intervistato:

    R. – Il Consiglio dei Diritti Umani si è trovato molto concorde nel prendere la decisione di organizzare una sessione speciale per trattare la crisi libica. Oggi si è svolta questa sessione; hanno preso la parola l’Alto Commissario dei Diritti Umani, il rappresentante degli esperti indipendenti sui vari settori dei diritti umani. C’è stata, anche da parte degli Stati che hanno parlato finora – e la sessione è ancora in corso – una condanna totale dell’uso della violenza da parte delle autorità contro i civili, l’uso dei militari, di bombe, di mercenari. Tutto questo è chiaramente una violazione dei diritti più elementari, tra cui il diritto di riunirsi e di libertà d’espressione. E’ la volontà popolare che cerca una partecipazione diversa nella gestione dello Stato. Sono state fatte delle raccomandazioni importanti: la prima è che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite – che ha l’autorità di farlo – sospenda dal Consiglio dei Diritti Umani la Libia - che è un membro di questo Consiglio - perché le autorità libiche si sono comportate in maniera del tutto contraria ai principi del Consiglio dei Diritti Umani. La seconda raccomandazione è creare una missione internazionale di inchiesta, che vada in Libia ad esaminare come stanno veramente le cose e a vedere come aiutare a rimediare e bloccare questa enorme violenza contro la popolazione civile.

    D. - Qual è la posizione della Santa Sede ?

    R. - La Santa Sede afferma che bisogna anzitutto porre fine a questa violenza e fare in modo che si ritorni ad un dialogo per vedere se si può trovare una soluzione. Queste manifestazioni esprimono la volontà popolare di una partecipazione attiva e democratica nella gestione del Paese. La Santa Sede esprime sgomento e dolore per le tantissime vittime causate da questa crisi libica. Si cerca inoltre di capire come queste decisioni della Comunità internazionale possano avere efficacia per il beneficio dei cittadini della Libia ed anche per prevenire questi esodi massicci, che potrebbero essere inevitabili se non si trova una soluzione serena e concordata per questa crisi. (vv)

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    Non paura ma amicizia: l'editoriale di padre Lombardi sulle tensioni nei Paesi arabi

    ◊   Sugli avvenimenti che in queste settimane stanno scuotendo i Paesi arabi si sofferma il nostro Direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    Le violenze che accompagnano – in particolare in Libia – la resistenza all’estendersi del movimento di trasformazione della situazione politica nei Paesi arabi sono naturalmente fonte di grandissimo dolore per la sofferenza delle vittime e delle popolazioni, oltre che di preoccupazione sugli esiti del processo in corso, poiché la violenza rischia sempre di rendere molto più difficile la pacificazione. Certamente nei molti paesi interessati si tratta di una grande rivoluzione, che con occhio di speranza esperti osservatori vedono come possibile “primavera del mondo arabo”. I popoli occidentali riconoscono di esserne stati colti in gran parte di sorpresa. Molti capiscono che ogni vera crescita dei popoli arabi nella libertà e nella democrazia deve nascere anzitutto dal loro interno, senza interferenze esterne controproducenti. Altri hanno soprattutto paura e tendono a chiudersi in difesa. A noi sembra che oltre al doveroso rispetto occorrano disponibilità e iniziativa, per l’aiuto concreto nelle situazioni di difficoltà che ogni trasformazione profonda porta con sé, e poi l’amicizia e il dialogo fra i popoli e le culture, oggi più che in passato.

    Nella richiesta di novità da parte dei giovani vi sono due componenti importanti da tener presenti. Grazie ai legami con l’emigrazione, molti hanno un’idea positiva del mondo europeo, dei diritti umani, della democrazia e della libertà. Grazie alle nuove possibilità di comunicazione, molti si sentono aperti al dialogo e desiderosi di inserirsi in una comunità mondiale. Come sempre, le nuove possibilità sono connesse anche a dei nuovi rischi. Ma se non sono utilizzate per i loro aspetti positivi, quelli negativi prevarranno certamente.

    Se vicino a noi, sulla sponda meridionale di quell’ormai strettissimo mare che è il Mediterraneo, vi sono innumerevoli giovani desiderosi di crescita umana in maggiore libertà, non possiamo non fare tutto quanto è in noi per entrare senza paura in dialogo positivo con loro, imparando a vicenda le nostre diverse lingue.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina Sua Beatitudine il cardinale Nasrallah Pierre Sfeir, Patriarca di Antiochia dei Maroniti (Libano); alcuni presuli della Conferenza episcopale delle Filippine, in visita "ad Limina"; mons. Pierre Morissette, vescovo di Saint-Jérôme (Canada), presidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Canada, con il vice-presidente, mons. Richard William Smith, arcivescovo di Edmonton, e con il segretario generale, mons. Patrick Power. Il Santo Padre riceve questo pomeriggio il cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Concordia-Pordenone (Italia), presentata da mons. Ovidio Poletto, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Giuseppe Pellegrini, finora vicario generale di Verona. Mons. Giuseppe Pellegrini è nato a Monteforte d'Alpone, in diocesi e provincia di Verona, il 10 novembre 1953. Ha frequentato il Seminario Minore e Maggiore di Verona, conseguendo poi la Laurea in Sociologia. È stato ordinato presbitero il 2 giugno 1979 per la diocesi di Verona. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: dal 1979 al 1983, vicario parrocchiale a Bovolone (VR); dal 1983 al 1993, assistente del Seminario Teologico; dal 1993 al 1996, assistente diocesano di Azione Cattolica; dal 1994 al 1998, direttore dell'Ufficio diocesano di Pastorale giovanile; dal 1998 al 2000, a servizio della Conferenza Episcopale Italiana per il Giubileo; dal 1991 al 2006, docente di Sociologia religiosa presso lo Studio Teologico "San Zeno" di Verona; dal 2000 al 2006, vicedirettore dell'Ufficio Nazionale di Cooperazione Missionaria e vicedirettore Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie e assistente Nazionale del Movimento Giovanile Missionario; dal 2006 al 2008, direttore dell'Ufficio Nazionale di Cooperazione Missionaria e direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie e direttore Generale di "Missio". Dal 2007 è vicario generale della diocesi di Verona. Dal 2004 è cappellano di Sua Santità. È autore di diversi sussidi per la pastorale.

    Il Papa ha nominato vescovo ausiliare della diocesi di Pittsburgh (Usa) il rev. William J. Waltersheid, del clero della diocesi di Harrisburg , vicario per il Clero e la Vita Religiosa, assegnandogli la sede titolare vescovile di California. Il rev. William J. Waltersheid è nato il 18 novembre 1956 a Ashland (Pennsylvania). È stato ordinato sacerdote l’11 luglio 1992 per la diocesi di Harrisburg. Dal 2006 è vicario per il Clero e la Vita Religiosa. Dal 1998 è Censor Librorium della diocesi di Harrisburg. Oltre l’inglese, parla l’italiano, il francese e lo spagnolo e conosce il polacco e il croato.

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    Mons. Carrasco De Paula: mondo sempre più aggressivo contro la vita umana

    ◊   «La sfida è molto seria. Ci troviamo a operare in un mondo che si dimostra sempre più aggressivo nei confronti della vita umana. La nostra missione dunque assume una rilevanza sempre più evidente e richiede un rinnovato impegno». Con queste parole il vescovo Carrasco De Paula, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, ha inaugurato ieri i lavori della XVII assemblea generale nell’Aula vecchia del Sinodo in Vaticano. Per mons. Carrasco De Paula — nominato presidente il 30 giugno dello scorso anno — si è trattato della prima volta alla guida di un’assemblea generale del dicastero. Nel suo intervento, confermando la linea dei suoi predecessori, il presule – riferisce L’Osservatore Romano - ha ribadito che «al centro del nostro agire non c’è un concetto astratto, tanto meno un’ideologia. C’è una persona concreta. Tanto che la Pontificia Accademia per la Vita potrebbe chiamarsi “Pontificia Accademia per la persona”. Davanti a un mondo tanto aggressivo contro la vita la nostra missione è quella di riaffermare con forza la necessità di difendere l’uomo nella sua integralità». Ciò richiede naturalmente qualche «aggiustamento di rotta. Abbiamo raggiunto la maturità e dunque dobbiamo guardare al futuro con occhi nuovi. La prima cosa da fare è potenziare la nostra attività di studio».

    «Siamo chiamati — ha spiegato il presidente — ad affrontare argomenti molto complessi che richiedono competenze scientifiche, tecniche, teologiche, etiche e morali di altissima qualità. Bisogna perciò adeguarsi. Spesso ci chiedono spiegazioni appropriate anche altri dicasteri vaticani, soprattutto quando c’è in gioco la dignità della persona umana». È per questo motivo che vengono riunite unità di studio internazionali composte dai massimi esperti nelle diverse tematiche da affrontare. I primi due gruppi — quelli che hanno approfondito le questioni delle banche di cordone ombelicale e del trauma post-aborto — hanno iniziato a lavorare dallo scorso mese di settembre e oggi sono chiamati a presentare i risultati dei loro studi. E già sta per iniziare il lavoro del terzo gruppo di studio. «Si occuperà — ha anticipato il vescovo — dell’infertilità e delle terapie in grado di superare questo scoglio. Non si occuperà certamente della questione che tiene banco in questo momento, cioè la procreazione assistita. Tanto meno ci occuperemo dei limiti e dei danni per la salute legati a simili procedure. Quello che ci interessa è mostrare le strade alternative».

    Le coppie con problemi di fertilità oggi vengono quasi sempre indirizzate verso strutture che praticano tecniche artificiali. «Nessuno — ha affermato il presule — si preoccupa di avviare queste coppie verso centri che curano l’infertilità umana, un campo che ha fatto registrare enormi passi in avanti». Il più delle volte il consiglio «è addirittura quello di non perdere tempo con tentativi inutili. Una mentalità da sconfiggere — ha aggiunto — per restituire la speranza anche e soprattutto a chi non intende ricorrere a tecniche artificiali di procreazione. Proprio per dare risposte concrete abbiamo costituito un gruppo di studio del quale sono stati chiamati a far parte alcuni dei migliori specialisti italiani in materia. Con loro stiamo ora allargando l’orizzonte al mondo scientifico per dare vita ad una unità di lavoro internazionale. L’intenzione è quella di pubblicare un libro bianco sul problema della sterilità con tutte le soluzioni alternative possibili».

    Per quanto riguarda gli obiettivi di questa XVII assemblea, il vescovo ha indicato innanzitutto la volontà di dimostrare l’importanza di mettere a disposizione di tutti una risorsa eccezionale, quale il cordone ombelicale, «superando la tentazione di gettarlo come fosse un rimasuglio o di conservarlo per sé, pur sapendo magari che si avranno poche possibilità di utilizzarlo». Secondo intento è quello di dimostrare che «di fronte a problematiche insorgenti in seguito a una interruzione di gravidanza procurata, non si può mai parlare di sindrome». La sindrome è «un concetto clinico molto preciso — ha detto mons. Carrasco De Paula — e nei casi di manifestazioni post-aborto non si può assolutamente parlare di sindromi correlate. Ci sono delle conseguenze, certamente. Possono essere minime o persino traumatiche, e comportare situazioni di disagio psicologico grave, anche in ambito familiare. Si tratta comunque di situazioni da valutare per aiutare chi ne è colpito. Però deve essere chiaro che non ci si trova in presenza di una sindrome».

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    L’acqua non è una merce ma un diritto universale: così mons. Toso al Convegno di Greenaccord

    ◊   L’acqua non è una merce ma un bene comune che appartiene a tutti e al quale corrisponde un diritto «universale e inalienabile». Per questo la sua gestione non può obbedire solo alle ragioni del mercato, né può essere affidata esclusivamente al settore privato: al contrario, ha bisogno di «un controllo democratico» e «partecipato», che «va promosso tramite una cittadinanza attiva, in un confronto serrato con le stesse istituzioni pubbliche». E’ quanto ha affermato – riferisce L’Osservatore Romano - il vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, aprendo ieri a Roma la giornata di studio sul tema «Dammi da bere» con un forte richiamo alla centralità della questione idrica per il futuro dell’umanità e per lo sviluppo integrale dei popoli. «Il diritto all’acqua — ha ricordato all’incontro promosso dall’associazione Greenaccord con il sostegno della provincia di Roma — promana dal diritto primario alla vita». Ne deriva che «l’acqua ha una tale rilevanza sociale per cui gli Stati non possono demandarne la gestione ai soli privati». A riprova del fallimento delle politiche di approvvigionamento e distribuzione dell’acqua ispirate a «un criterio esclusivamente economico e privatistico», il presule ha citato il caso di Paesi come la Colombia, le Filippine, il Ghana, le cui capitali sono sprovviste di un’adeguata rete idrica pubblica. In quelle città — ha fatto notare mons. Toso — il costo dell’acqua, fornita da privati con autobotti, è da tre a sei volte superiore a quello di metropoli come New York e Londra. «Si giunge al paradosso — ha denunciato — che i poveri pagano molto più dei ricchi per quello che dovrebbe essere un diritto universale: l’accesso ad acque potabili».

    A ciò si aggiunge il conflitto, «drammatico e a volte persino violento», destinato a esplodere quando diverse popolazioni attingono per la loro sussistenza alle stesse risorse idriche. È il caso, per esempio, della regione del Nilo, dove i Paesi a monte sono costretti a tener conto delle necessità di quelli a valle nell’utilizzo e nell’amministrazione dell’acqua. «Secondo molte analisi strategiche — ha messo in guardia il vescovo — in futuro, dopo le guerre per il petrolio che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, assisteremo a nuove guerre per l’acqua». D’altra parte, lo stato di salute idrico del pianeta risulta già oggi allarmante. Le cifre fornite dal segretario di Giustizia e Pace sono eloquenti nella loro drammaticità. Un miliardo di persone non ha accesso ad acque potabili sicure. A causa dei cambiamenti climatici, a questo numero potrebbero aggiungersi entro il 2050 altri 2 miliardi e 800 milioni di individui. Secondo le previsioni, dal 5 al 25 per cento degli usi globali di acqua dolce probabilmente supererà nel lungo termine le forniture disponibili e perciò circa la metà della popolazione mondiale entro il 2025 sarà destinata a dover fronteggiare le conseguenze della scarsità di acqua.

    Le ripercussioni di questa situazione sono evidenti soprattutto nei Paesi più poveri. Secondo il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente The greening of water law: managing freshwater resources for people and the environment (New York, 2010), circa 2,5 miliardi di persone nel mondo — quasi la metà della popolazione in via di sviluppo — vivono in condizioni sanitarie precarie. A causa di ciò, ogni anno circa 1,8 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni muoiono per malattie diarroiche (come colera, tifo e dissenteria) attribuibili all'assenza di acqua potabile, oltre che dei servizi sanitari di base. In realtà — ha spiegato Toso — i poveri soffrono spesso non tanto per la scarsità di acqua in sé, quanto «per l’impossibilità economica di accedervi», come mette in luce anche il rapporto del 2006 del programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) intitolato Beyond scarcity: Power, poverty and the global water crisis. Secondo l’impostazione «neoliberista» di molte politiche di gestione idrica, infatti, «l’acqua sarebbe un bene economico come altri, il cui valore di scambio o prezzo dovrebbe essere fissato secondo le comuni regole della domanda e dell’offerta, e in definitiva secondo la logica del profitto». Una teoria in base alla quale «il costo di tutto ciò che si usa deve essere a carico del consumatore, di colui che trae utilità dall'uso». Ma è chiaro che in questa prospettiva — ha evidenziato il vescovo — «persino i più poveri dovrebbero “pagare” per l'accesso ai cinquanta litri di acqua potabile considerati dall'Organizzazione mondiale della sanità la quantità giornaliera minima indispensabile per la sussistenza».

    A questo proposito sono illuminanti le parole della Caritas in veritate: «Il diritto all'alimentazione, così come quello all'acqua — scrive Benedetto XVI — rivestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti, ad iniziare, innanzitutto, dal diritto primario alla vita. È necessario, pertanto, che maturi una coscienza solidale che consideri l'alimentazione e l'accesso all'acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni». Lo stesso Compendio della dottrina sociale della Chiesa ricorda che «l'acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale», così da provvedere «al soddisfacimento del bisogno di tutti e soprattutto delle persone che vivono in povertà». Proprio a partire da queste indicazioni mons. Toso ha chiesto alla comunità mondiale un impegno nella gestione delle risorse idriche che vada al di là della semplice disponibilità alla cooperazione. A giudizio del presule, manca oggi a livello internazionale «l’affermazione preliminare dell’esistenza di un diritto fondamentale ed inalienabile all’acqua»; e sembra lontana, inoltre, «l’esistenza di una autorità politica che sappia mediare gli interessi in gioco e far rispettare il diritto nell’orizzonte del bene comune di tutti i popoli e le persone». Due carenze da colmare al più presto, anche perché il diritto all’acqua — ha ricordato — è «la base per il rispetto di diversi altri diritti fondamentali», quali il diritto a «godere di uno standard di salute migliore possibile», il diritto «a una alimentazione sufficiente e sana» e il diritto «a una vita dignitosa».

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    Conferenza di mons. Oder sull'essenza della santità di Giovanni Paolo II: fu uomo di Dio e per l'umanità

    ◊   Cominciano a moltiplicarsi, in tutto il mondo, gli appuntamenti di natura ecclesiale e culturale che intendono sensibilizzare all’evento che, il prossimo primo maggio, catalizzerà l’attenzione mondiale: la Beatificazione di Giovanni Paolo II. Uno di questi appuntamenti si celebra oggi pomeriggio all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma. Si tratta di una Conferenza dal titolo “Il segreto e l’essenza della santità di Giovanni Paolo II” e avrà come relatore mons. Slawomir Oder, postulatore della Causa di Beatificazione di Papa Wojtyla. L’incontro è promosso dal “Centro Studi Giovanni Paolo II”, una struttura del Regina Apostolorum che raccoglie pubblicazioni e scritti del e sul prossimo Beato. Alessandro Gisotti ha chiesto allo stesso mons. Oder con quali sentimenti si stia preparando a questo avvenimento:

    R. – Non c’è dubbio che, anzitutto a livello umano, si tratti di una grande emozione. Per me, la Causa di Beatificazione di Giovanni Paolo II è stata senz’altro un’avventura spirituale che ha segnato la mia persona e che costituisce una cesura nella mia vita. Avere quindi la consapevolezza di aver potuto contribuire alla realizzazione di questa realtà straordinaria, di essere arrivati al punto in cui ci troviamo, mi dà un senso di soddisfazione, di gioia nei confronti del Signore.

    D. – Ci sono sicuramente tanti aspetti importanti di questo processo per la Causa di Beatificazione. Se dovesse dire la cosa che più l’ha colpita in questi anni…

    R. – Sicuramente la sua spiritualità, il suo modo di pregare, il suo modo di essere. Della figura di Giovanni Paolo II colpisce senz’altro la profondità della sua vita spirituale. Un’espressione che lo definisce molto bene è “uomo di Dio”, “uomo di preghiera”. E questo è un aspetto che porterò con me nel mio cuore, un tesoro per me, per il mio sacerdozio. Poi, il processo è fatto anche di incontri con le persone che scrivono le testimonianze e che partecipano al processo. In questo caso, ciò che mi ha colpito è stata la vicinanza di questo grande uomo di Dio – questo grande mistico, possiamo dire – alla vita di tanta gente. Lui è entrato nei nostri cuori, nelle nostre famiglie, e vi è rimasto. L’affetto che si percepisce dalle testimonianze che ancora arrivano alla sede della postulazione fa capire che Papa Wojtyla è una persona viva nei nostri cuori, nei nostri sentimenti.

    D. – Una cosa molto bella, molto spontanea sono i gruppi di preghiera che sono sorti e si sono moltiplicati in tutto il mondo per questa Beatificazione…

    R. – Sì. Praticamente fin dall’inizio del processo, subito dopo la morte di Giovanni Paolo II, sono stati segnalati i primi gruppi di preghiera sorti spontaneamente in varie parti del mondo. Oggi, sono registrati tanti gruppi in vari continenti, visibili sul sito della postulazione, che danno la possibilità di emergere, di uscire da queste realtà. Sono realtà che coinvolgono in movimenti spirituali nati spontaneamente, o gruppi familiari o gruppi di amici che si radunano e pregano.

    D. – Veniamo al tema della conferenza al Regina Apostolorum, un tema con un titolo già molto ambizioso: “Il segreto e l’essenza della santità di Giovanni Paolo II”. E’ ovviamente molto difficile rispondere a questa domanda. Ma qual è stata l’essenza di questa testimonianza di santità?

    R. – Effettivamente, restituire con una frase – ma anche con una conferenza – un quadro completo di questo personaggio è impossibile. Quello che caratterizza però la figura di Giovanni Paolo II, come emerge dalle carte del processo di Beatificazione, sono essenzialmente due dimensioni. La sua dimensione di uomo di preghiera, di uomo di Dio, e la dimensione della sua ansia apostolica, il suo essere missionario di Cristo. Davvero urgeva in lui quella carità di Cristo e lo spingeva a portare il Signore ovunque. Il punto in comune di questi due aspetti è il suo amore per Cristo. Lui ha amato il Signore perché si è sentito profondamente amato dal Signore, perciò non poteva fare altro che rispondere con questa profondità di vita spirituale e con questa apertura del suo cuore nei confronti del mondo.

    D. – Quali frutti si potranno raccogliere da questa Beatificazione del primo maggio?

    R. – Ho una consapevolezza: negli anni di questo processo, ho avuto la netta sensazione che a farlo sia stato in realtà il Signore: è Lui che detta i suoi tempi, il suo modo di agire, spesso sorprendente e stupefacente. Perciò sono convinto che il Signore, attraverso la bontà del messaggio di Giovanni Paolo II, potrà seminare nei cuori di tante persone molti frutti spirituali. Ma quello che sicuramente sarà un elemento comune, come lo spero e mi auspico, è il suscitare la speranza, la rinnovata speranza di cui Giovanni Paolo II è stato giustamente chiamato testimone, e lo è. E’ la speranza che il mondo non dà, ma la dà solamente l’amicizia con il Signore, con Cristo. (gf)

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    Presentazione dei Lineamenta per il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione

    ◊   Venerdì prossimo 4 marzo, alle ore 11.30, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede si terrà la conferenza stampa di presentazione dei Lineamenta per la XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, in programma in Vaticano dal 7 al 28 ottobre 2012 sul tema «Nova evangelizatio ad christianam fidem tradendam - La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». Interverranno mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, e mons. Fortunato Frezza, sotto-segretario del Sinodo dei Vescovi.

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    Rammarico della Radio Vaticana per la decisione della Cassazione sul presunto inquinamento elettromagnetico

    ◊   “Rammarico” per la decisione di rigettare un ricorso i cui motivi, almeno in parte, anche la procura generale “non aveva ritenuto infondati”. A esprimerlo è la Direzione generale della Radio Vaticana in merito alla sentenza pronunciata ieri dalla Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, relativa al procedimento a carico dell’Emittente per il presunto inquinamento elettromagnetico. Il ricorso rigettato ieri, spiega in una nota la Direzione della Radio, era stato presentato dalla difesa contro la sentenza pronunciata il 14 ottobre 2009 dalla Corte di Appello di Roma, la quale – si rammenta – “aveva dichiarato di non doversi procedere nei confronti di un ex Dirigente dell’Emittente pontificia per prescrizione del reato (“getto pericoloso di cose”)”. Tale sentenza, spiega la nota, “veniva contestata dalla difesa” perché “privava - di fatto - l’imputato della possibilità di essere giudicato – e quindi assolto – nel merito”, e questo “contrariamente ai principi giuridici fissati da una precedente sentenza della stessa Corte di Cassazione”. Rimandando “una valutazione più approfondita della decisione della Suprema Corte alla pubblicazione delle motivazioni della sentenza, la Direzione della Radio – afferma la nota – esprime rammarico per questa decisione anche alla luce del fatto che la procura generale non aveva ritenuto infondati alcuni motivi del ricorso”.

    I vertici della Radio Vaticana sottolineano, inoltre, che “la sentenza si inserisce in una vicenda processuale lunga e tormentata”, che ha visto l’Emittente pontificia “oggetto di accuse ingiuste per i presunti disturbi nei confronti di una parte della popolazione, in relazione alle emissioni elettromagnetiche del Centro Trasmittente di Santa Maria di Galeria”. “Come spiegato molte volte in questi anni anche in sede processuale” – prosegue il comunicato – vale la pena ricordare “che la Radio Vaticana ha sempre svolto la sua attività nel quadro degli accordi internazionali esistenti con l’Italia relativi al Centro Trasmittente di Santa Maria di Galeria e che si è sempre attenuta alle raccomandazioni internazionali in materia di emissioni elettromagnetiche anche prima della esistenza di normative italiane”. “Dal 2001, poi, in seguito all’accordo con il Governo italiano”, la Radio Vaticana – ribadisce la Direzione – “rispetta attentamente i limiti previsti dalla sopravvenuta legislazione italiana, come dimostrano le ripetute misurazioni svolte dalle istituzioni pubbliche italiane più competenti e attrezzate in materia”. Ed “essendo tale normativa assai restrittiva – si conclude – non vi è alcun motivo giustificato di preoccupazione da parte della popolazione, con la quale è sempre stato desiderio della Radio Vaticana coltivare un rapporto di collaborazione”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   “Il Papa ha ragione”: in prima pagina, Emanuele Rizzardi riguardo a uno studio di Harvard sulla lotta all’Aids.

    L’inarrestabile vento del cambiamento: in rilievo, nell’informazione internazionale, la Libia, che vive momenti drammatici mentre il mondo si interroga su come arrestare le violenze.

    Egoismo e ingiustizie alimentano la spirale della violenza: nell’informazione vaticana, intervista di Mario Ponzi al cardinale Robert Sarah, presidente di Cor Unum, sulla situazione nei Paesi del Maghreb.

    Cattedrali cuori d’Europa: in cultura, Timothy Verdon sugli edifici simbolo del dialogo tra Dio e l’uomo.

    La volta che il grande Nord urlò all’infinito: Isabella Farinelli su Edvard Munch e i pittori scandinavi dell’Ottocento.

    E l’emiro si commosse sulla tomba di Yahia figlio di Zaccaria: uno scritto, del 2007, dell’archeologo padre Michele Piccirillo (morto nel 2008) in occasione della mostra, a lui dedicata, “Sebastiya. I frutti della storia e la memoria di Giovanni Battista”.

    Quella suora nell’Academy Award: madre Dolores Hart intervistata dal “Corriere della Sera”.

    La Chiesa coscienza critica per il mondo di oggi: un articolo del cardinale Gianfranco Ravasi sull’ “Espresso”, che ha rinnovato la sua grafica.

    I nuovi orizzonti di una incredibile parentela tra ebrei e cristiani: nell’informazione religiosa, l’introduzione del cardinale Roger Etchegaray, vice decano del collegio cardinalizio, al libro del diplomatico israeliano Nathan Ben Horin.

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    Oggi in Primo Piano



    Libia: gli insorti marciano verso Tripoli. La Comunità internazionale studia misure per porre fine alle violenze

    ◊   In Libia la situazione è sempre più critica: la diplomazia internazionale si mobilita nel tentativo di fermare le violenze e le milizie antigovernative marciano, intanto, verso Tripoli che secondo diverse fonti potrebbe ospitare nelle prossime ore, dopo la manifestazione in favore di Muammar Gheddafi, anche proteste di massa contro il regime. Anche oggi si registrano diverse vittime. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il futuro della Libia passa attraverso una duplice strada. La prima è quella che stanno percorrendo le milizie antigovernative. Gli insorti hanno preso il controllo della città costiera di Misurata e stanno marciando verso Tripoli. Il governo libico, intanto, ha aumentato stipendi e sussidi. Muammar Gheddafi, che ieri in un collegamento telefonico con la televisione pubblica ha annunciato la possibile interruzione dei flussi di petrolio, si trova probabilmente assediato in un bunker sotterraneo nel centro della capitale. Mentre il colonnello si aggrappa al potere, la comunità internazionale accelera il passo per risolvere la crisi. La strada da percorrere, in questo caso, è indicata da Unione Europea, Nato e Onu. L’Unione Europea ha dichiarato che prenderà al più presto delle misure per far uscire la Libia dalle violenze. La prima decisione presa è quella di stanziare 3 milioni di euro per esigenze umanitarie. L’Alleanza Atlantica prende in esame varie opzioni e non è da escludere un intervento militare. Il segretario della Nato, Rasmussen, ha convocato una riunione urgente per consultazioni sulla situazione libica in rapida evoluzione. L’Onu esprime preoccupazione per l’allarmante intensificarsi della repressione che potrebbe aver causato migliaia di morti. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà di nuovo per una sessione d’emergenza. Francia e Gran Bretagna hanno presentato una bozza di risoluzione nei confronti della Libia che prevede "l'embargo totale sulle armi", “delle sanzioni” e l'apertura di un’inchiesta alla Corte penale internazionale per “crimini contro l'umanità”. Ed è tragica la prospettiva di ulteriori crimini. L’ex ministro libico della Giustizia, Mustafa Abdel Galil, ha dichiarato “che Gheddafi dispone di armi chimico-batteriologiche e non esiterà ad usarle” per reprimere la rivolta.

    La comunità internazionale si mobilita dunque per porre fine alle violenze in Libia. Si profila anche la possibilità di un’azione militare internazionale di carattere umanitario. Quali scenari si aprono a questo punto? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Paolo Quercia, esperto di relazioni internazionali.

    R. – Ovviamente, le opzioni militari sono sul tappeto dal momento in cui siamo di fronte ad una guerra civile i cui esiti sono imprevedibili. Bisogna capire poi cosa si intende per azioni militari perché ci sono varie tipologie. Si è parlato anche di gruppi di forze speciali allo scopo di proteggere cittadini europei. Quelli che soprattutto possono essere più immaginabili nelle prossime ore sono interventi umanitari allo scopo di portare beni di conforto, generi alimentari ed eventualmente dare assistenza ai profughi che si possono ammassare in parti del Paese.

    D. – Altre azioni di carattere internazionale sono avvenute pochi anni fa nei Balcani. Ci sono delle differenze sostanziali, secondo lei?

    R. - Sì, ci sono differenze perché la situazione libica è estremamente confusa e al momento ci sono anche rischi. Ovviamente, l’ingerenza umanitaria deve subentrare anche per non dare adito a interpretazioni che si tratti di operazioni militari con altri fini: per poter ricorrere a un tale intervento devono verificarsi alcune condizioni specifiche e io credo che queste condizioni, nella confusa situazione libica, ancora non siano chiaramente identificabili, come invece lo furono nel corso delle guerre nei Balcani.

    D. – Ci sono secondo lei dei pericoli concreti per l’Europa, visto che lo scenario di guerra è così vicino?

    R. – Per l’Europa i pericoli ci sono e purtroppo in misura maggiore per i Paesi dell’Europa meridionale. Ovviamente, la prossimità geografica rende questa parte d’Europa molto più sensibile a tutto quello che sta avvenendo. Dobbiamo anche tenere presente che eventuali misure di carattere militare che verrebbero adottate in buona parte dovrebbero essere applicate da Paesi come l’Italia, la Francia o comunque Paesi della sponda sud; e per posizione geografica, noi siamo uno dei Paesi candidati su cui eventualmente queste missioni andrebbero ad insistere. Quindi siamo effettivamente in prima linea da questo punto di vista. (bf)

    In Libia, intanto, non è solo la città Tripoli a vivere ore di grande tensione. Una zona particolarmente calda è la frontiera con la Tunisia, a poche decine di chilometri da Tripoli. A causa della possibile caduta della capitale nelle mani degli insorti, è imponente l’afflusso di persone che stanno lasciando la Libia. Dal confine libico-tunisino ci riferisce Barbara Schiavulli:

    I militari tunisini sono gentili, aprono quel cancello leggero ma spesso come l’idea che si ha di una barriera insuperabile. Lo chiudono dietro a chi entra, in una Tunisia pronta ad incassare l’emergenza. Migliaia di persone, 2.500 ogni sei minuti dicono, forse esagerando, le autorità tunisine. Ma sono tanti quelli che arrivano dalla Libia e superano il confine: lavoratori stranieri, soprattutto egiziani, tunisini e cinesi. Un fiume di persone con le schiene piegate dal peso di vecchie valige, strette nei loro giacconi per proteggersi dal freddo tagliente e dalla sabbia del deserto. Arrivano da Tripoli e portano con sé le storie orribili di persone ferite, uccise negli ospedali, sparizioni, fosse comuni per nascondere il massacro che si compie. I nuovi arrivati silenziosi salgono sugli autobus e spariscono verso Nord, lasciando i loro ricordi e le voci di combattimento che si stanno consumando nella zona Ovest del Paese, l’ultima roccaforte di Gheddafi, dove si consumerà la battaglia più sanguinosa.

    I commentatori internazionali si dividono sul futuro del regime di Gheddafi. Secondo diversi osservatori, sono le ultime ore del colonnello alla guida della Libia. E’ questa l’idea anche di Muhammad Rifaa al Tahtawi, dell’Università egiziana Al Azhar e già ambasciatore del Cairo in Libia, intervistato da Francesca Sabatinelli:

    R. – Penso che in Libia per Gheddafi sia finita. Ci sono cinque motivi che mi spingono ad affermarlo. La storia ce lo insegna: quando un governo, un sistema, comincia ad uccidere i suoi cittadini per strada perde la sua legittimità. E’ successo nella Russia degli zar, è successo in Iran e attualmente sta succedendo anche in Libia. Il secondo motivo è che la barriera della paura si è frantumata, non c’è più paura. Poi ci sono i fatti concreti. Prima di tutto, la parte est della Libia, ormai è stata liberata e anche la parte ovest è liberata. Tripoli non è stata liberata ma ci sono forti scontri. Poi, nella Libia centrale, perfino la base che si presume sia il sostegno per Gheddafi sta barcollando, non è più una base molto stabile. Il quarto motivo è che c’è l’assenza dei massimi rappresentanti del governo. Il quinto motivo riguarda anche l’esercito. Ci sono delle unità militari che vanno a Malta … si stanno ritirando … Quindi, sia dal punto di vista militare che politico c’è una specie di cedimento del regime. (bf)

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    Proteste anche in Iraq. Mons. Warduni: mancano lavoro, cibo, pace e libertà

    ◊   In Iraq si sono tenute in diverse città del Paese manifestazioni di protesta antigovernative in occasione dell’odierna Giornata della rabbia. In seguito a scontri tra dimostranti e forze dell’ordine sono morte cinque persone a Mosul e due nei pressi di Kirkuk. Proteste anche a Baghdad, dove la polizia è stata schierata in assetto antisommossa. Ma quali i motivi della protesta in Iraq? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a mons. Shlemon Warduni, vicario patriarcale caldeo di Baghdad:

    R. – I motivi delle proteste vengono dalla mancanza del lavoro, dalla mancanza di elettricità e di acqua, e la fine del programma “Oil for Food” che ci garantiva almeno un po’ di cibo in cambio di petrolio. Sono otto anni che promettono qualcosa, ma finora non è stato fatto granché: anzi, qualche volta, le cose peggiorano sempre più. In questo momento la vera grande mancanza – e che dovrebbe invece esserci – è la pace. Se non c’è la pace, la vita diventa sempre più difficile. La gente ha ragione a protestare e a chiedere il rispetto dei propri diritti.

    D. – Eccellenza, secondo lei, quando sta accadendo nel Nord Africa, nel mondo arabo in generale e quindi le proteste in Egitto, in Tunisia e in Libia, possono avere anche un riflesso in Iraq?

    R. – Certamente, anche perché hanno già avuto riflessi in tutto il Medio Oriente e in altri Paesi. La situazione è questa in quasi tutte le nazioni arabe: ciò che sta succedendo, dimostra come oggi ci siano nel mondo tanti dittatori. Speriamo ora che da questa situazione, possano imparare qualcosa decidendo così di dare la libertà alla propria gente.

    D. – Quale strada si può prendere dopo la caduta di un regime?

    R. – Prima di tutto bisogna difendere il bene di tutti i cittadini; bisogna favorire una economia che garantisca i diritti di tutti e quindi non caratterizzata da interessi personali, da interessi di partito. Non si può pensare che i cittadini siano schiavi… E’ necessario fare qualsiasi cosa in pace e garantendo la sicurezza a tutti. (mg)

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    Africa sub-sahariana: governi allarmati per il vento delle rivolte popolari

    ◊   In questi giorni di profonde trasformazioni nel Maghreb e non solo, la stampa africana si interroga sulla possibilità che il vento delle rivolte popolari in Libia, Egitto e Tunisia “riesca ad attraversare il deserto e travolga, come uno tsunami, le roccaforti sub-sahariane dei regimi autocratici”. A riferirlo è l’Agenzia missionaria Misna, che riporta le riflessioni di diverse testate giornalistiche del Continente. Ce ne parla padre Carmine Curci, direttore della Misna, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – C’è soprattutto un fermento molto forte da parte dei giovani, che ha accompagnato ed accompagna, attraverso i canali televisivi internazionali, quello che è successo – a partire dal 17 dicembre – prima in Tunisia, poi in Egitto ed ora in Libia. I giovani africani a Sud del Sahara hanno cominciato a sentire dentro di loro un po’ questa rabbia. Questo esiste tra i giovani e i giornali lo hanno percepito. Ci sono, però, anche delle differenze: se nei Paesi del Maghreb, Internet, Facebook e Youtube hanno giocato un ruolo molto importante, nel Sud del Sahara invece Internet non è ancora alla portata di tanta gente, anche se – per esempio - in Africa ci sono circa 500 milioni di cellulari. Esistono quindi delle differenze, soprattutto dal punto di vista della comunicazione.

    D. – Nei Paesi dell’Africa sub-sahariana ci sono dei fattori che potrebbero, in qualche modo, collegarsi ai motivi all’origine delle proteste di Tunisi, del Cairo, di Tripoli?

    R. – Sì. Anzitutto il problema della disoccupazione giovanile; l’oppressione di alcuni governi dittatoriali che abbiamo nel Sud del Sahara; il tasso di alfabetizzazione: tutti questi elementi possono collegarci a ciò che è successo nelle rivolte del Maghreb. La gente del Sud del Sahara è stanca delle promesse fatte dai loro presidenti.

    D. – In alcuni Paesi ci sono presidenti che sono al potere da quasi 30 anni, con nuove generazioni di africani che hanno conosciuto solo un capo di Stato…

    R. – Effettivamente sì. Pensiamo che il 60 per cento della popolazione africana ha meno di 18 anni e che è nata con l’immagine - in casa o per la strada - della faccia di un solo presidente. Conoscono solo questo tipo di politica. E’ importante la televisione, che sta facendo vedere altri modi di fare politica. Incide pure il fatto che molti giovani abbiano studiato: il senso della democrazia sta prendendo piede nei loro cuori.

    D. – Quindi sembra di capire che se da un lato ci sono fattori simili alle ragioni delle rivolte nel Maghreb, dall’altro ci sono fattori che, invece, impediscono o comunque rendono più difficile una protesta di piazza. Allora cosa c’è da aspettarsi per i prossimi mesi nell’Africa sub-sahariana?

    R. – Il fatto che in alcuni Paesi comincino a sentire questo desiderio indica una possibilità di muoversi. Vorrei ricordare che nel 1989 cominciò a farsi sentire in Benin, da parte dei giovani, il desiderio di un multipartitismo: furono proprio i giovani delle università a scendere in piazza. E’ possibile che nei prossimi mesi – ancora una volta – rivedremo i giovani nelle città africane muoversi, per chiedere una partecipazione politica nelle scelte dei loro Paesi. (mg)

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    Rapporto Unicef e sfida educativa. Il cardinale Bagnasco richiama la responsabilità degli adulti

    ◊   Nella sfida educativa gli adolescenti sono la punta più critica, ma anche l’occasione migliore di un esame di coscienza e responsabilità per noi adulti: così oggi il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, al termine della presentazione del rapporto “La condizione dell’infanzia nel mondo 2011-Adolescenza. Il tempo delle opportunità”, che l'Unicef ha voluto presentare in anteprima al porporato. 138 pagine che evidenziano dettagliatamente le enormi criticità di vita e di sviluppo che nel mondo affrontano gli adolescenti tra i 10 e i 19 anni, le sfide che li attendono e l’importanza di investimenti rapidi e mirati per interrompere cicli radicati di povertà, disuguaglianza e discriminazione. Il servizio di Gabriella Ceraso:

    Sono 1,2 miliardi gli adolescenti nel mondo: il 18% della popolazione globale. Di essi l’88% vive nei Paesi in via di sviluppo: più di uno su 5, in Africa sub-sahariana e in Asia meridionale e orientale-pacifico. Solo il 12% nel mondo industrializzato. E a metà del secolo la stragrande maggioranza si concentrerà solo in Africa. E’ la generazione emergente, una risorsa umana unica e una forza lavoro volenterosa, ma con poche opportunità. Infatti, se molti di loro hanno beneficiato dei progressi compiuti nella sopravvivenza e nell’istruzione infantile ora nell’età cruciale della vita affrontano sfide sempre più critiche: l’instabilità economica progressiva, il degrado ambientale, l’invecchiamento sociale, l’aggravarsi di crisi umanitarie. A pagare di più - in termini di violenza, malnutrizione, mortalità - sono le adolescenti. Più di 70 milioni di giovani donne hanno subito mutilazioni genitali; solo il 19% conosce i rischi dell’HIV; Cina esclusa una su 5 è sposata o convivente e solo in Africa il 25% ha partorito prima dei 18 anni. A livello sanitario i progressi raggiunti non bastano: 1 adolescente su 5 soffre di salute mentale, un terzo dei nuovi sieropositivi è compreso tra i 15 e i 24 anni. Bassissimo anche il livello di istruzione che li metterebbe a riparo da abusi e sfruttamento: quasi la metà degli adolescenti, infatti, non frequenta la scuola secondaria e ha il triplo di possibilità di rimanere disoccupato rispetto ad un adulto. Impressionante anche il dato relativo al lavoro minorile che impegna oltre 150 milioni di ragazzi entro i 14 anni. In mano alle forze dell’ordine inoltre, c’è nel mondo più di un milione di bambini. “Sono ferite, contraddizioni e violazioni” secondo il cardinale Bagnasco, che oltre a generare preoccupazione e disapprovazione devono spingere a scelte e responsabilità più grandi e profonde. “In questa direzione va - continua il porporato - il tema dell’impegno pastorale assunto dai vescovi per i prossimi 10 anni, quello della sfida educativa”. Ma in questa direzione vanno anche gli investimenti mirati che l’Unicef chiede, come più dati su questa fascia di età, più leggi, più programmi di tutela, più coinvolgimento dei giovani e in questa direzione va già l’operato sul terreno dell’Unicef. Le priorità dal presidente Vincenzo Spadafora:

    “La nostra campagna principale in molti Paesi è per riportare i ragazzi nelle scuole. Chiaramente, questo vuol dire costruire nuove scuole, ma anche formare personale o, molto spesso, in situazioni di disagio, vuol dire fare quella che noi chiamiamo la scuola 'estemporanea' all’aperto, sotto un albero. Sul lavoro minorile stiamo lavorando chiaramente soprattutto per monitorare e quindi riuscire, appunto, a sottrarre, a denunciare e a riportare i ragazzi in centri o nelle loro famiglie. Il dato difficile e meno gestibile, anche per un’organizzazione come la nostra, è quello dei bambini coinvolti nei conflitti armati. Però, lì dove si lavora i risultati sono positivi”.

    Sia i vescovi italiani che l’Unicef hanno infine sottolineato l’entusiasmo e la buona volontà che caratterizza i giovani adolescenti quando sono coinvolti in programmi a loro destinati. Questo vale anche per i ragazzi italiani che hanno problemi relativi spiega il presidente Spadafora, soprattutto modelli culturali sbagliati:

    “C’è tanto da lavorare sui modelli culturali. Però, andando anche in giro nelle scuole italiane, incontro migliaia di adolescenti contenti di impegnarsi in attività sociali. Vuol dire riuscire a orientare le proprie scelte in modo coerente con un valore di solidarietà che il nostro Paese non può dimenticare, tanto più che nei prossimi anni gli italiani si troveranno ad avere anche sfide comuni con i ragazzi dei Paesi in via di sviluppo: il contesto economico incerto, l’alto livello di disoccupazione, i cambiamenti climatici … Purtroppo, sfide quotidiane per gli adulti tra 10, 15 anni”. (bf)

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    Chiesa e Società



    Nord Africa. Il Custode di Terra Santa: in Medio Oriente euforia e preoccupazione

    ◊   “In Palestina ed Israele si guarda ai recenti avvenimenti in Medio Oriente e nord Africa con grande attesa in un misto di euforia e preoccupazione a seconda della prospettiva da cui si guarda agli eventi”. Lo ha dichiarato questa mattina padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, a margine del convegno “Sebastiya, i frutti della storia e la memoria di Giovanni Battista” all’Università Cattolica di Milano. “Rispetto al resto del Medio Oriente – ha proseguito il Custode ripreso dall'agenzia Sir - oggi la Terra Santa sembra un’oasi di tranquillità. Nessuno si aspettava che questi cambiamenti epocali potessero succedere così rapidamente”. Fatti che vengono percepiti in maniera diversa dalla popolazione. “Il popolo palestinese – ha aggiunto padre Pizzaballa - li vive con euforia, contenta di questi cambiamenti. Dall’altra parte, invece, in Israele quanto sta avvenendo viene vissuto con molta preoccupazione. In generale, però, da entrambe le parti c’è molta attesa per quelli che potrebbero essere gli effetti futuri”. In riferimento alla caduta del presidente egiziano Mubarak, il custode di Terra Santa ha ricordato come “questo abbia comportato il venir meno di un elemento di stabilità per il Medio Oriente, in particolare per quelli che erano i rapporti del mondo arabo con Israele”. “Per ora – ha concluso padre Pizzaballa – è molto difficile dare identità a questi movimenti e capire quale potrà essere l’esito tra qualche anno”. (R.P.)

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    Tunisia. La testimonianza di una religiosa: “Qui tutti ci stimano”

    ◊   Nonostante le migliaia di persone tornate in piazza oggi a Tunisi per chiedere le dimissioni del governo provvisorio, in Tunisia non ci sarebbero mai stati segni di ostilità verso gli stranieri, tanto meno verso i cristiani. Così racconta all'agenzia Sir suor Chiara Durello, delle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione, congregazione fondata da Sant’Emilia de Vialar e presente nel Paese fin dal 1840. “Noi suore abbiamo avuto molte testimonianze d’affetto – ha detto ancora la religiosa, a Tunisi da sette anni – anche da parte dei fedeli musulmani. Siamo qui da tanti anni e la gente ormai ci conosce”. A questo proposito, suor Chiara definisce la morte di padre Rybinski, il giovane salesiano ucciso a Manouba nei giorni scorsi, “un caso isolato”. Le religiose hanno due case, una nella Medina e l’altra in periferia, dove svolgono attività pastorali e sociali, soprattutto di assistenza alle ragazze madri e ai bambini abbandonati. (R.B.)

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    India: l’Alta Corte del Himachal Pradesh accoglie ricorso contro legge anti-conversione

    ◊   Una buona notizia per il dialogo interreligioso in India: l’Alta Corte dello Stato dell’Himachal Pradesh, uno dei cinque della Federazione in cui è in vigore il Freedom of Religion Act del 2006 (gli altri sono il Madhya Pradesh, il Chhattisgarth, l’Orissa e il Gujarat) ha ammesso il ricorso che contesta la validità costituzionale della cosiddetta legge anti-conversione, che impedisce ai fedeli indù di convertirsi a un’altra fede, ma non l’opposto. Il ricorso, specifica l'agenzia Fides, è stato portato avanti da due organizzazioni della società civile: l’Evangelical Fellowship of India che raccoglie ben 200 comunità evangeliche, e l’Act Now for harmony and democracy. Le argomentazioni del ricorso, ritenute valide dal giudice, riguardano la violazione di tre diritti in particolare: quello alla privacy, quello alla libertà religiosa e quello alla libertà di parola e di espressione, tutti disciplinati dalla Costituzione dello Stato, e riguardano anche l’interferenza del provvedimento legislativo nella sfera intima dell’uomo, quella, cioè, del rapporto tra l’anima e Dio. In particolare, vittime del Freedom of Religion Act sono i missionari cristiani, accusati dagli estremisti indù di fare proselitismo tra gli indigeni dalit e i fuori casta. La prima udienza è fissata per il 14 giugno prossimo, mentre è ancora in esame il ricorso, di natura simile e di cui questo potrebbe costituire un precedente valido, presentato dalla Conferenza episcopale dell’India nel 2009 contro l’applicazione della legge anti-conversione nel Gujarat. (R.B.)

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    Pakistan. Moratoria sulla blasfemia: nuova proposta della società civile

    ◊   Una moratoria sull’applicazione della legge sulla blasfemia in Pakistan: è la nuova proposta che circola nella società civile pakistana, trovando l’appoggio di intellettuali, editorialisti e studiosi anche in altri paesi del mondo. In Pakistan attivisti per i diritti umani, di religione musulmana, parlando all’agenzia Fides, definiscono l’idea “buona e interessante”, notando che potrebbe diventare una proposta ufficiale della società civile al governo. Mehdi Hasan, Presidente della “Commissione per i Diritti Umani del Pakistan”, una fra le organizzazioni più importanti nella nazione, afferma che “siamo fondamentalmente favorevoli a una moratoria sulla blasfemia, ma la nostra posizione ufficiale è quella di chiederne l’abolizione. Va ricordato che prima del 1986 non vi erano in Pakistan denunce di blasfemia e dopo abbiamo avuto, in 20 anni, circa 1.000 casi, mentre 70 persone, solo accusate di blasfemia, sono state vittime di esecuzioni extragiudiziali. Due proposte concrete per evitare abusi sono queste: dare il compito di registrare le eventuali denunce di blasfemia ad agenti di polizia di alto grado; affidare i processi direttamente all’Alta Corte, saltando i tribunali di primo grado, troppo esposti alle pressioni. Auspichiamo che la proposta di moratoria sia discussa da studiosi, giuristi, politici e intellettuali e non dai militanti nelle piazze”. La rappresentante della All Pakistan Minorities Alliance in Punjab, la cristiana Najmi Saleem, dichiara che “il nostro obiettivo resta quello di fermare l’abuso di questa legge, che colpisce specialmente le minoranze cristiane. Se la moratoria potrà servire, è benvenuta. Ma crediamo che qualche modifica dovrà essere operata: è quanto chiediamo al governo anche se, data la tensione e le circostanze sfavorevoli, si dovrà attendere del tempo. Speriamo che l’impegno del Ministro per le Minoranze Religiose, Shahbaz Bhatti, porti risultato”. Padre Mario Rodrigues, Direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Pakistan, nota a Fides che “la legge sulla blasfemia è chiamata ‘legge nera’. Oggi chi vi si oppone viene definito blasfemo e rischia la vita. L’idea di una moratoria sulla sua applicazione mi trova molto favorevole: servirebbe almeno a scongiurare nuovi casi costruiti su false accuse. Ma credo che il governo difficilmente vorrà esporsi”. Haroon Barket Masih, a capo della Masihi Foundation, che fornisce assistenza legale e materiale ad Asia Bibi, la donna condannata a morte per blasfemia, dice a Fides: “Sosteniamo con forza tale proposta. Sarebbe un primo passo per evitare alla legge di nuocere ancora. Ha fatto del male a tante persone e altri potrebbero ancora soffrire. Mi sembra anche una mossa equilibrata dal punto di vista politico: con una moratoria temporanea, il governo da un lato potrebbe dire ai gruppi radicali islamici che la legge resta in vigore, ma intanto fermarne il cattivo uso e la strumentalizzazioni”. (R.P.)

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    Terremoto in Nuova Zelanda: Messe vietate all'interno delle chiese a Christchurch

    ◊   Mons. Barry Jones, vescovo di Christchurch, la seconda città della Nuova Zelanda colpita il 21 febbraio scorso da un violentissimo terremoto, il secondo nel giro di pochi mesi, in cui sono morte 113 persone e oltre 200 sono rimaste ferite, ha vietato la celebrazione di Messe all’interno delle 78 chiese della diocesi finché queste non saranno state sottoposte ai necessari controlli sulla sicurezza e la stabilità degli edifici. Analoga sorte toccherà alle sette scuole secondarie diocesane e alle 29 primarie cattoliche. L’agenzia Fides riferisce, poi, della grave situazione dell’ultracentenaria Cathedral of the Blessed Sacrament, l’unica in stile romano, che era in restauro al momento del secondo sisma e ha riportato ingenti danni alla facciata e alle vetrate, che sono andate completamente distrutte, mentre il tetto e la grande cupola sono paurosamente incrinati: non si sa ancora, dunque, se l’edificio potrà essere recuperato o dovrà essere demolito e ricostruito. (R.B.)

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    Messico: nuovo progetto di legge sull’immigrazione. Per la Chiesa è un segno di speranza

    ◊   Il riconoscimento della loro personalità giuridica, l’accesso all’istruzione, il servizio medico d’emergenza e l’accesso al registro di stato civile e alla giustizia: questo è quanto prevede il progetto di legge sull’immigrazione approvato dal Senato del Messico e che ora sarà nuovamente sottoposto alla Camera dei deputati. Da tempo, infatti, riferisce l'agenzia Fides, diversi gruppi nazionali e internazionali a favore dei migranti e alcuni esponenti dell’opposizione governativa chiedevano in materia una legge equa e la protezione dei diritti umani. Oggi questo testo impedisce di fatto di criminalizzare gli stranieri trovati in territorio messicano privi di documenti, indipendentemente dalla loro origine, dalla loro nazionalità, sesso o situazione di immigrato. Proprio due giorni fa i vescovi della Caritas locale, i presidenti e i direttori nazionali della Caritas del Centroamerica, del Messico e di Panama si erano riuniti a Città del Messico per affrontare il problema che assume proporzioni sempre più spaventose: “Stiamo per vedere un evento unico nella storia messicana – è il commento al nuovo progetto di legge di padre Alejandro Solalinde, direttore della casa Hermanos en el camino di Ixtepec, a Oaxaca – è una speranza per il Paese, il Messico che vogliamo vedere è proprio questo: camminare insieme, uniti, lasciare da parte ogni egoismo e divisione”. (R.B.)

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    Sacerdote ucciso in Brasile: vescovo chiede più sicurezza nelle città

    ◊   Padre Romeu Drago, sacerdote brasiliano di 56 anni, originario di Marilândia, nello Stato di Espírito Santo in Brasile, è stato trovato morto carbonizzato ai margini di una strada statale domenica scorsa. Il prete, precisa l'agenzia Zenit, prestava servizio come amministratore nella parrocchia di Nostra Signora del Carmelo, nell’arcidiocesi di Montes Claros, nello Stato brasiliano di Minas Gerais. Probabilmente il religioso è stato vittima di un furto in casa, questa l’ipotesi degli inquirenti, ucciso e poi portano nel luogo di ritrovamento del corpo dai malviventi: mancano, infatti, all’appello la sua auto e altri effetti personali. La Conferenza episcopale brasiliana aveva denunciato sabato la scomparsa del sacerdote; l’arcivescovo di Montes Claros, mons. José Alberto Moura, in una nota sulla morte del sacerdote, ha lanciato un appello alle autorità affinché trovino una soluzione efficace alla mancanza di sicurezza nelle città. (R.B.)

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    Argentina: acceso dibattito sulla presenza dei simboli religiosi nei luoghi pubblici

    ◊   Rimuovere la statua della Vergine di Luján, patrona dell’Argentina, che campeggia nel Salón de Pasos Perdidos del Congresso Nazionale, per sostituirla con uno spazio multi religioso generico: è questa la proposta avanzata dal deputato socialista Sergio Ariel Basteiro, fortemente criticata dalle organizzazione in difesa delle redici cristiane del Paese. Una di esse, “Para hacerse oír hablemos claro” in una lettera aperta alla cittadinanza, alcuni stralci della quale sono riportati dall’Osservatore Romano, ha definito la proposta un’offesa ai sentimenti religiosi della grande maggioranza del popolo argentino, un tentativo di “discriminare” i cattolici in nome di un malinteso concetto di laicità dello Stato. È solo “l’ultima di una lunga serie di iniziative analoghe promosse in varie parti del Paese – scrivono ancora i responsabili dell’organizzaizone – si confonde così il concetto di Stato laico o non confessionale assimilandolo a quello di uno Stato agnostico, in cui mettere fuori legge ogni manifestazione religiosa in ambito pubblico, senza temere la rimozione dalla coscienza collettiva dei valori religiosi, della cultura e della religione che formano l’identità nazionale”. (R.B.)

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    Il pellegrinaggio in Terra Santa dei minatori liberati in Cile

    ◊   “Speriamo che questo pellegrinaggio ci aiuti a rafforzare la nostra fede e a cogliere il significato profondo di questi luoghi”. Così ha detto, appena arrivato all’aeroporto di Tel Aviv, uno dei minatori cileni salvati nell’ottobre scorso dopo 69 giorni di prigionia sotto terra in seguito a un crollo, che in questi giorni effettueranno un pellegrinaggio in Terra Santa, su invito del ministero del Turismo israeliano e dell’Ambasciata del Cile in Israele. “Per noi è una benedizione di Dio essere qui – ha aggiunto – e avere la possibilità di ringraziare le migliaia di persone che hanno pregato per noi mentre eravamo intrappolati là sotto”. Il programma del viaggio, riporta l'agenzia Sir, prevede le visite ai Luoghi Santi della vita di Gesù a Gerusalemme e un incontro con il presidente Shimon Peres. (R.B.)

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    Honduras. Il cardinale Rodríguez Maradiaga: nel Paese violenza dilagante

    ◊   “La Parola di Dio ci dice chiaramente che colui che toglie la vita a un’altra persona deve rendere conto a Dio di quel sangue versato”. Così l’arcivescovo di Tegucigalpa, in Honduras, cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, ha commentato i fatti sanguinosi avvenuti nel Paese negli ultimi giorni, in particolare l’assassinio del pastore evangelico Roberto Marroquín, avvenuto nella città di San Pedro Sula. Un atto “che non ha alcuna giustificazione né spiegazione”, non regge neppure l’ipotesi del furto, inizialmente avanzata, dal momento che sono stati portati via soltanto due cuccioli di cane. “La violenza non porterà mai a qualcosa di buono per le persone e la nazione”, ha detto il porporato che ha spesso ricevuto minacce di morte da parte di gruppi criminali operanti nel Paese e ha anche subìto un attentato, come precisa la Zenit. Il cardinale ha concluso condannando la violenza che sta flagellando l’Honduras, a causa della quale si è perso il rispetto della vita, e ha lanciato al popolo un appello affinché risolva le controversie con il dialogo. (R.B.)

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    La denuncia delle associazioni: “Il Bangladesh affetto da insicurezza alimentare”

    ◊   Il Bangladesh sarebbe un Paese autonomo dal punto di vista dell’autosufficienza alimentare, eppure soffre della cosiddetta mancanza di sicurezza, che l’Onu definisce come certezza di avere cibo ogni giorno con cui sfamarsi. Il Paese si trova, inoltre, al 134.mo posto su 178 della classifica stilata da Trasparency International sugli Stati più corrotti. È la drammatica fotografia che fanno del Bangladesh alcune associazioni della società civile bengalese come Asian Legal Resource Center e Hotline Human Rights Bangladesh, che denunciano la situazione di molti agricoltori, settore in cui è impiegato il 68% della popolazione totale, rimasti senza terra e che quindi per cinque mesi l’anno non sanno cosa dare da mangiare alle proprie famiglie e la conseguente, diffusa malnutrizione infantile, che affligge circa sei milioni di bambini al di sotto dei due anni. Secondo queste associazioni, riferisce l'agenzia Fides, alla base della situazione ci sono evidenti responsabilità politiche del governo che “violano il diritto alla sussistenza per i gruppi più vulnerabili come donne, bambini, contadini, poveri e minoranze indigene”. Il distretto più colpito è quello di Gaibandha. (R.B.)

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    Congo: cooperazione Stato-Chiesa su temi sociali ed economici

    ◊   Lotta alla povertà, valutazione del debito estero, gestione delle risorse naturali, lotta alla corruzione, sostegno ai settori della sanità e dell’istruzione: sono le preoccupazioni sollevate da esponenti della Chiesa congolese nell’incontro che hanno avuto, ieri, con il primo ministro Adolphe Muzito, accompagnato da una delegazione ministeriale. Un incontro che s’inserisce nell’ambito di una rafforzata collaborazione tra la Conferenza episcopale nazionale (Cenco) e lo Stato, e che dovrebbe concretizzarsi con la nascita di una “commissione permanente” composta da religiosi e rappresentanti governativi, auspicata dal primo ministro.Tra le richieste avanzate dalla Chiesa sono emerse quelle di un “comitato nazionale di monitoraggio delle spese nella lotta alla povertà” e di una valutazione del debito estero del Congo. All’incontro hanno partecipato mons. Nicolas Djomo, vescovo di Tshumbe e presidente della Cenco, il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, nonché gli arcivescovi di Mbandaka-Bikoro, Lubumbashi, Kisangani, Bukavu e Kananga. (R.P.)

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    Cina: assemblea annuale della diocesi di Feng Xiang sull'evangelizzazione

    ◊   Tutti i fedeli e i sacerdoti della diocesi devono dedicarsi all’evangelizzazione nella massima consapevolezza della propria identità e del mandato affidato dal Signore e dalla Chiesa. I sacerdoti in particolare devono continuare a santificarsi, seguendo l’esempio di San Jean-Marie Vianney, per offrire la migliore immagine di bontà, amore, dedizione e servizio alla società e ai non cristiani. Sono i punti principali del progetto pastorale 2011 della diocesi di Feng Xiang, nella provincia dello Shaan Xi, riassunti durante l’Assemblea annuale diocesana svoltasi dal 15 al 18 febbraio. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, sono stati una cinquantina i partecipanti all’Assemblea diocesana: sacerdoti responsabili delle diverse Commissioni diocesane, parroci, religiosi/e, laici attivi. Il vescovo novantenne mons. Lucas Li Jing Feng, che era stato invitato da Benedetto XVI al Sinodo dei vescovi sull'Eucaristia nel 2005 insieme ad altri tre vescovi cinesi del continente, ha partecipato a tutti e 4 i giorni dell’incontro, seguendo tutti gli interventi dei responsabili delle diverse commissioni, il rapporto finanziario, etc. Dopo la solenne Concelebrazione Eucaristica del 18 febbraio, con l’affidamento del mandato missionario, tutti i partecipanti sono tornati alla propria parrocchia e comunità con uno spirito missionario rinnovato. La diocesi di Feng Xiang è suddivisa in 4 decanati e 30 parrocchie, conta oltre 20.000 fedeli, 38 sacerdoti (di cui 18 religiosi) e 60 religiose che appartengono a 3 congregazioni femminili (Francescane Missionarie di Maria, Suore del Sacro Cuore e Piccole Sorelle di Santa Teresa). La diocesi nasce come missione francescana e ancora oggi i devoti del Santo di Assisi continuano ad animare la diocesi. Nella diocesi vi sono due santuari mariani e un cimitero per i sacerdoti cattolici. La diocesi gestisce anche diversi enti di servizio sociale, come le cliniche ed un orfanotrofio. (R.P.)

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    Il cardinale Bagnasco alla Salesiana: “L’educazione dei giovani è il futuro dell’uomo”

    ◊   L’educazione dei giovani come strumento che conduca a scegliere la cultura della vita anziché la cultura della morte, il confronto tra le quali mette in gioco il futuro dell’uomo. Questo ieri il centro dell’intervento del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente dei vescovi italiani, presso la Pontificia Università Salesiana. Nel suo discorso, intitolato “Educare alla vita buona del Vangelo: il contributo delle università”, il porporato ha sottolineato il concetto di “emergenza educativa” più volte evidenziato anche da Benedetto XVI come la principale sfida da raccogliere per la Chiesa proiettata nell’epoca attuale. “L’educazione è stata in ogni tempo un compito delicato e difficile – sono le sue parole riportate dall'agenzia Sir – anima dell’educazione può essere solo una speranza affidabile e oggi questa nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di diventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini senza speranza e senza Dio”. Un punto focale dell’intervento è stato la condizione giovanile, un tema inscindibile dalla riflessione sulla crisi di fiducia nella vita che nei giovani assume la forma di una vera e propria fragilità, troppo spesso “luogo di scorribande emotive sempre più veloci per la legge della sensibilità – ha proseguito il cardinale Bagnasco – su questa esposizione senza difese si concentra il fuoco incrociato degli interessi più diversi, economici e commerciali”. Un fuoco incrociato che può “sfociare nello stordimento, nel disinteresse generico, nella eccedenza, nel cinismo comportamentale”, insomma, in una “tristezza facilmente risentita”. Sul tema della ricerca della verità, il presidente della Cei si chiede da cosa essa oggi, sia oscurata: “Dalla banalità e dalla volgarità imperante”, è la risposta, e, richiamando l’enciclica del Papa “Caritas in Veritate”, ha concluso con una considerazione sui “valori non negoziabili”: “Quando una società si avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo”. (A cura di Roberta Barbi)

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    Croazia: presentato il logo scelto per la visita del Papa

    ◊   Una madre in attesa, insieme con il padre e tre bambini; sullo sfondo una croce a simboleggiare la fede cristiana cui la famiglia, posta nelle mani di Dio, si affida. I colori sono quelli della Città del Vaticano, il giallo e il bianco, e quello della città di Zagabria, il blu. È fatto così il logo della visita pastorale di Benedetto XVI in Croazia, prevista per il 4 e il 5 giugno prossimi, in coincidenza della Giornata nazionale della famiglia. L’immagine, realizzata dal giornale dell’episcopato croato Glas Koncila, è stata presentata nei giorni scorsi, riferisce l'agenzia Sir, all’agenzia di stampa cattolica locale Ika. Lo slogan scelto per l’evento, infine, che culminerà con la Messa solenne, è “Insieme in Cristo”. (R.B.)

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    Spagna. Cattolici e anglicani riconoscono reciprocamente il battesimo

    ◊   Anglicani e cattolici di Spagna hanno siglato un documento che sancisce il riconoscimento reciproco dei riti del battesimo nelle due confessioni e che avrà valore, ma solo nel Paese iberico, per entrambe le Chiese. La storica firma, specifica l'agenzia Zenit, è stata apposta nella sede della Conferenza episcopale spagnola dal vescovo di Almería e presidente della delegazione per le Relazioni ecumeniche dell’episcopato locale, mons. Adolfo González Montes, e dal vescovo della Chiesa spagnola Riformata episcopale, Carlos López Lozano, alla presenza del vescovo di Vic, mons. Roman Casanova, e di un rappresentante dell’arcivescovo di Canterbury. È un risultato molto importante raggiunto dal dialogo ecumenico che “ha aiutato a rafforzare la convinzione del carattere fondamentale del battesimo nell’opera di edificazione della Chiesa”; rappresenta il “compimento alle raccomandazioni che questo riconoscimento della sacralità del battesimo e la sua valida amministrazione” e conclude di fatto un lungo cammino avviato negli anni Ottanta. La dichiarazione non si esprime, invece, sulla differenza relativa alla natura sacramentale della Confermazione. Dopo la firma, nella cattedrale anglicana del Salvatore di Madrid, ha avuto luogo un atto di rendimento di grazie con un solenne Te Deum. (R.B.)

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    Portogallo: il patriarcato di Lisbona rinnova la pagina internet

    ◊   Il patriarcato di Lisbona ha presentato ufficialmente la sua nuova pagina internet, premettendo che si tratterà di "uno spazio di informazione e dialogo". Nel messaggio di benvenuto, riferisce l’agenzia Sir - il cardinale patriarca José Policarpo auspica che il nuovo sito diventi "una delle porte più aperte e più importanti per la comunicazione della Chiesa di Lisbona con i fedeli e con i cittadini in generale". Il cardinale Policarpo ha sottolineato l'importanza di questo rinnovamento, ricordando che la diocesi è stata una delle prime ad avere una pagina ufficiale nella rete Web, ormai da un decennio: "Già da qualche tempo, sia come organizzazione diocesana, sia per sollecitazione dei fedeli, sentivamo il bisogno di migliorare il sito, adattandolo alle esigenze di una comunità che pretende di essere interattiva". "La nuova pagina ha l'ambizione missionaria di costituire una fonte di informazione, nella coscienza che, quando essa sia ben fatta, si trasforma anche in uno strumento prezioso e decisivo di formazione". Il sito Web, che mantiene l'indirizzo precedente, www.patriarcato-lisboa.pt, "cercherà di offrire semplicità, facilità e attualità", ha aggiunto padre Nuno Brás, responsabile del dipartimento comunicazione del patriarcato: "Cercheremo di rispondere ai suggerimenti e ai dubbi che potranno sorgere, e lo stesso mons. Policarpo ha dato la sua disponibilità a contribuire direttamente sulle tematiche più rilevanti". In occasione della festa del beato José Allamano, fondatore dei missionari della Consolata, anche la rivista Fátima Missionaria ha presentato una nuova pagina internet con il motto: "Un'altra visione del mondo". Info: www.fatimamissionaria.pt. (R.P.)

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    Polonia: a breve l’anniversario della Gmg di Czestochowa, la prima dopo la caduta dell’Urss

    ◊   In occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II e del 20.mo anniversario della Giornata Mondiale della Gioventù (Gmg) di Czestochowa, in Polonia, il settimanale cattolico locale Niedzela ha iniziato una raccolta di documenti e testimonianze dei giovani che parteciparono all’evento del 14 e 15 agosto 1991, il primo cui poterono prendere parte ragazzi di un Paese dell’ex blocco sovietico. L’evento fu particolarmente importante, ricorda l'agenzia Fides, perché si celebrava in un Santuario mariano e in Polonia, la terra natale di Papa Wojtyla; fu la prima volta, inoltre, che la Gmg superò il milione di persone. Questo l’indirizzo cui mandare il materiale: sdmczestochowa@niedzela.pl, indicando nome, cognome, indirizzo e il consenso alla pubblicazione sul sito web del periodico, ma non si esclude che la pubblicazione venga fatta anche sul cartaceo né l’ipotesi di trarne un libro. (R.B.)

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    24 Ore nel Mondo



    Manifestazioni in Tunisia ed Egitto contro i governi provvisori

    ◊   Ad un mese esatto dall'inizio della rivolta popolare in Egitto, Piazza Tahrir, al centro del Cairo, punto di riferimento dei manifestanti, oggi è di nuovo gremita da centinaia di migliaia di persone. La dimostrazione è stata indetta dal "Movimento del 6 Aprile", oltre che dai Fratelli musulmani, con l’obiettivo di continuare la pressione sul Consiglio supremo delle Forze armate per arrivare all’estromissione degli esponenti del governo provvisorio, collegati al vecchio regime, e a un processo rapido per l’ex presidente, Hosni Mubarak.

    Tunisia
    Da questa mattina, alcune decine di migliaia i manifestanti sono riuniti nel centro di Tunisi per chiedere le dimissioni del governo provvisorio tunisino, insediatosi dopo la cacciata dell'ex presidente, Zine el-Abidine Ben Ali. Lo riferisce l'emittente satellitare al-Arabiya. Con la conclusione della preghiera islamica del venerdì, si prevede che la protesta possa raggiungere dimensioni maggiori.

    Bahrain
    Anche nel Bahrein non si arresta l’ondata delle proteste antigovernative. Migliaia di manifestanti sono da stamani nel centro di Manama per il “venerdì del lutto”, così come è stata definita la giornata odierna dalle opposizioni e dalle organizzazioni della società civile, per commemorare i sette uomini uccisi dall'inizio delle proteste, dodici giorni fa. La mobilitazione è animata per lo più dagli sciiti del Bahrein, la maggioranza della popolazione dell'arcipelago del Golfo, che chiedono un ridimensionamento della dinastia sunnita dei Khalifa, al potere da oltre due secoli, e la trasformazione del Paese in una vera “monarchia costituzionale”.

    Yemen
    La tensione resta altissima anche nello Yemen. Nella capitale Sanaa, al termine della tradizionale preghiera islamica del venerdì, manifestanti anti-regime si sono diretti verso il raduno all'esterno dell'Università della capitale, mentre un doppio cordone di poliziotti in tenuta antisommossa era schierato a dividere i giovani studenti dai sostenitori del presidente, Ali Abdallah Saleh, al potere da 32 anni. Fino ad oggi, si contano in tutto 17 morti negli ultimi nove giorni di disordini. Il presidente Saleh, che ieri aveva chiesto esplicitamente alle forze di sicurezza di “proteggere i manifestanti”, ha invitato i dimostranti a “limitarsi a manifestazioni pacifiche”, ordinando al contempo la formazione di un comitato, diretto dal premier Ali Mujawar, per il dialogo con i rappresentanti dei manifestanti.

    Algeria-Obama
    Il presidente statunitense, Barack Obama, si felicita con l’Algeria per aver posto fine allo stato d’emergenza durato 19 anni. “E’ un segno positivo” – ha dichiarato Obama – che il governo si adoperi per rispondere alle aspirazioni del popolo. Contiamo – ha aggiunto – su ulteriori passi da parte del governo che possano garantire al popolo algerino di poter esercitare pienamente i suoi diritti universali”.

    Iran
    Prosegue il pugno di ferro del regime iraniano nei confronti degli esponenti del fronte riformista. I giovani del movimento dell'Onda Verde hanno annunciato intanto che torneranno in piazza mercoledì prossimo, se le autorità non libereranno i leader dell'opposizione, Mir Hossein Mousav e Mehdi Karroubi, agli arresti domiciliari.

    Al Qaeda minaccia l'Occidente
    Nuove minacce di Al Qaida contro l’Occidente. In un video, al Zawahiri, il numero due del gruppo terroristico legato a Osama Bin Laden, ha parlato ai suoi uomini incitandoli a sabotare i sistemi economici e industriali per indebolire la potenza occidentale. Lo ha reso noto l'organizzazione statunitense Site, specializzata nel monitoraggio dei siti islamici.

    Irlanda: elezioni legislative
    Gli irlandesi sono chiamati oggi alle urne per il rinnovo anticipato del parlamento. Il voto arriva dopo il salvataggio finanziario di fine novembre e i tagli alla spesa pubblica, che hanno segnato la caduta del governo uscente del premier, Brian Cowen, la prima "vittima" della crisi economica in Europa. Il servizio è di Enzo Farinella:

    Cinquecentosessantasei candidati – un numero record – si contenderanno i 165 seggi del parlamento della Repubblica Irlandese: ben 233 di questi si presentano da indipendenti, quasi a sottolineare l’insofferenza verso istituzioni politiche, ritenute responsabili del collasso economico e di quella che fino a due anni fa veniva denominata “la tigre celtica”. Secondo sondaggi di opinione, il partito Fianna Fail, al governo negli ultimi 13 anni, dovrebbe subire una notevole flessione: a rimpiazzarlo potrebbe esserci una coalizione tra Fine Gael, alleato del Partito popolare europeo (Ppe), e i laburisti. Anche se i due schieramenti hanno mostrato varie incrinature durante la campagna elettorale. Il Partito Sinn Fein, del nazionalista Gerry Adams, potrebbe raddoppiare la sua presenza in parlamento con 12 o addirittura 15 deputati, mentre gli indipendenti potrebbero determinare la maggioranza del nuovo governo della Repubblica di Irlanda. Si vota dalle 7.00 alle 22.00, ora locale, e lo spoglio dei voti avrà inizio domani.

    Italia, terrorismo: arrestati a Brescia sei militanti di un gruppo islamico
    Sei cittadini marocchini appartenenti al movimento fondamentalista islamico Adl Wal Ihsane (Giustizia e Carità) sono stati arrestati a Brescia dalla polizia. Gli stranieri, tutti residenti nell'hinterland della città lombarda, sono accusati di aver costituito un gruppo che aveva tra i propri obiettivi l'incitamento alla discriminazione e all'odio razziale e religioso, alla violenza e al jihad nei confronti dei cristiani e degli ebrei. In un documento sequestrato dalla polizia, erano annotati gli argomenti trattati nelle riunioni riservate agli esponenti di rilievo del gruppo.

    Italia, decreto mille proroghe: 309 "sì", la Camera vota la fiducia
    Con 309 voti a favore e 287 contrari, la Camera ha votato la fiducia al governo sul decreto mille proroghe. Domani toccherà al Senato, dove la fiducia si preannuncia scontata. I termini più importanti del provvedimento riguardano i media, gli interessi applicati dalle banche, gli insegnanti precari, il personale Consob, le demolizioni in Campania, Roma capitale e i biglietti del cinema. Per il presidente dei deputati del Carroccio, Marco Reguzzoni, il decreto mille proroghe “non riguarda soltanto gli interessi del Nord ma serve a tutto il Paese”. “Noi votiamo no convintamente, perchè è un provvedimento profondamente iniquo”, è stato invece il commento del vicesegretario del Partito democratico, Enrico Letta.

    Terremoto in Nuova Zelanda: sale il bilancio dei morti
    È salito a 113 morti e 228 dispersi il bilancio, ancora provvisorio, del terremoto di magnitudo 6.3 avvenuto martedì scorso nella città di Christchurch, in Nuova Zelanda. Più di 2500 sono i feriti, di cui oltre 160 in modo grave. Il sindaco della città, Bob Parker, ha assicurato che i soccorritori non perdono la speranza di trovare sopravvissuti. Il comandante della polizia, Dave Cliff, ha ammesso, invece, che non vi è alcuna possibilità di recuperare persone ancora in vita dal palazzo della Canterbury Tv, edificio nel cuore della città, che ospitava anche una scuola d’inglese per stranieri, dove si trovavano fino a 120 persone, fra cui 11 studenti giapponesi. Altri corpi, fra 16 e 22, si ritengono sepolti fra le macerie della storica cattedrale anglicana nella piazza centrale della città. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 56

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.