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Sommario del 20/12/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • L'attesa del Natale nel pensiero del Papa: lasciamoci toccare dal raggio di luce che arriva da Betlemme
  • Il cardinale Bertone all'Ospedale Bambino Gesù di Roma per gli auguri natalizi
  • Ecumenismo. Il cardinale Koch: la preghiera può far cadere i muri anche fra le Chiese
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Filippine: salgono a mille le vittime del tifone Washi
  • Nord Corea: apprensione nel mondo per il dopo Kim Jong-il. La riflessione di padre Cervellera
  • Siria: inasprite le pene contro la rivolta, ma la protesta non si ferma
  • Betlemme si prepara a celebrare il Natale aspirando alla pace e alla giustizia
  • Italia: acceso dibattito sull'articolo 18, no dei sindacati alla riforma
  • Guida di Sant'Egidio per i senza fissa dimora: allarme "nuovi poveri" a Roma
  • Avvento. Mons. Sigalini: è il tempo adatto per cambiare il cuore e imparare a seguire Cristo
  • Mons. Mamberti e Giulio Terzi alla presentazione del libro sui cento editoriali dell'Osservatore Romano
  • Chiesa e Società

  • Peggiora la situazione di Asia Bibi: la donna chiede ai cristiani di pregare per lei
  • Corea del Nord. Le Ong chiedono libertà religiosa e rilascio di 50mila cristiani
  • La gioia dei nativi americani per la prossima canonizzazione di Caterina Tekakwitha, prima santa “pellerossa”
  • Il presidente dei vescovi brasiliani: riscoprire il senso autentico del Natale
  • Nepal. Il Natale tra i cristiani dell’Himalaya
  • Appello per l’immediato avvio dei lavori di restauro della Basilica della Natività a Betlemme
  • Mons. Warduni: in Iraq sarà un Natale tra paura e speranza
  • L'Assemblea dell’Onu denuncia l’Iran per il continuo ricorso a pratiche disumane e degradanti
  • Nuove esplosioni in Nigeria. I vescovi: “o si impara a vivere in pace o si perisce nella violenza”
  • Ricerca Acli-Cattolica: la crisi del ceto medio è la nuova questione sociale
  • Aumentano i minori stranieri non accompagnati accolti in Italia
  • Premio Onu per lo sviluppo sostenibile a tre eco-imprese in Gambia, Kenya e Nepal
  • Il presidente dell'Europarlamento Buzek in Uruguay per il Vertice dei Paesi del Mercosur
  • 24 Ore nel Mondo

  • Nuovi scontri al Cairo: tra le vittime un bambino di 12 anni
  • Il Papa e la Santa Sede



    L'attesa del Natale nel pensiero del Papa: lasciamoci toccare dal raggio di luce che arriva da Betlemme

    ◊   L’attesa del Natale rinnova nel cuore dei cristiani la “certezza della speranza” e la luce portata da Cristo Bambino sconfigge la paura che tanti nutrono per l’avvenire. Sono alcuni dei molti pensieri dedicati in questi anni da Benedetto XVI nell’imminenza del 25 dicembre. “Il cristiano – afferma fra l’altro il Papa – sa che la luce di Cristo è più forte e perciò vive in una speranza non vaga, in una speranza che dà certezza e dà coraggio per affrontare il futuro”. In questo servizio Alessandro De Carolis rievoca alcuni pensieri del Pontefice sulla fine dell’Avvento:

    (musica)

    I Magi avevano un’idea generica di cosa, o meglio chi, li avrebbe attesi una volta arrivati sul posto. I pastori neanche quella. Ma i sapienti intuirono leggendo il cielo, e ai semplici venne comunicato da un messaggero del cielo, che un’attesa era finita, che qualcosa stava cominciando, che un tempo nuovo era all’inizio. Duemila anni dopo verrebbe da dire che sorpresa e attesa non esistono più e la tentazione è di considerare quello indicato dalla stella uno stanco cammino verso una meta che non scalda più il cuore come la prima volta. Ma è una tentazione, appunto. Una trappola evitabile se – come ha ricordato qualche anno fa Benedetto XVI - il cristiano che pure sa cosa troverà a Betlemme vi si incammina con una sincera domanda nel cuore:

    “Ognuno di noi (...) in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme? Che cosa unisce le nostre aspirazioni, che cosa le accomuna?” (Angelus, 28 novembre 2010)

    Con queste domande si può sconfiggere la dubbio di pensare a un Natale nel quale non nasce nessuno per noi. “L’uomo – ha detto una volta il Papa – è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza”. Anzi “si potrebbe dire – ha soggiunto – che dalle sue attese l’uomo si riconosce”:

    “Mentre ci prepariamo al Natale, è importante che rientriamo in noi stessi e facciamo una verifica sincera sulla nostra vita. Lasciamoci illuminare da un raggio della luce che proviene da Betlemme, la luce di Colui che è ‘il più Grande’ e si è fatto piccolo, ‘il più Forte’ e si è fatto debole.” (Angelus 4 dicembre 2011)

    Un raggio della luce di Betlemme. Anche oggi il Natale accende una luce in chiunque crede che la Stella non si è spenta duemila anni fa, una volta che pastori e Magi hanno lasciato la stalla. La luce è rimasta accesa in quel Bambino attraverso il quale, ha affermato il Papa, Dio stesso…

    “…è entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo (...) oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte”. (Udienza generale, 3 dicembre 2008)

    Un fiume di luce, insiste Benedetto XVI, che regala ai cristiani una certezza spesso desiderata – invidiata quasi – da chi non ha il dono della fede, la “certezza della speranza”:

    “Come in Cristo il mondo futuro è già cominciato (…) Il futuro non è un buio nel quale nessuno si orienta. Non è così. Senza Cristo, anche oggi per il mondo il futuro è buio, c'è tanta paura del futuro. Il cristiano sa che la luce di Cristo è più forte e perciò vive in una speranza non vaga, in una speranza che dà certezza e dà coraggio per affrontare il futuro”. (Udienza generale, 12 novembre 2008)

    Coraggio del quale il mondo ha bisogno anche oggi. E allora, concluse qualche anno fa il Papa, e concluderebbe spontaneamente anche oggi:

    "Vieni Gesù; vieni, dà forza alla luce e al bene; vieni dove domina la menzogna, l'ignoranza di Dio, la violenza, l'ingiustizia; vieni, Signore Gesù, dà forza al bene nel mondo e aiutaci a essere portatori della tua luce, operatori della pace, testimoni della verità. Vieni Signore Gesù!". (Udienza generale, 3 dicembre 2008)

    (musica)

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    Il cardinale Bertone all'Ospedale Bambino Gesù di Roma per gli auguri natalizi

    ◊   Benedetto XVI segue con attenzione “i successi e l’impegno dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù”: è quanto ha detto il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, in visita stamani presso il nosocomio di Roma per portare gli auguri del Santo Natale. Nel suo saluto al presidente, ai medici ed al personale dell’Ospedale, il porporato ha ribadito l’importanza della speranza legata all’amore di Dio. Il servizio di Isabella Piro:

    Il Natale è la festa dei bambini e là dove c’è un bambino, il Cielo riversa tutta la bellezza e la bontà del mondo. Dice così il cardinale Bertone, in visita all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù. Certo, si tratta di un luogo in cui “a soffrire sono addirittura i bambini”, ma proprio questo deve invitare l’uomo a trovare “la via della speranza”, “l’approfondimento del senso della vita” che spesso, nella “corsa della quotidianità”, non si riesce a cogliere.

    E la speranza si trova in Dio: citando il Messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace, il cardinale Bertone ribadisce che “non sono le ideologie che salvano il mondo, ma il Dio vivente, il creatore e garante della libertà, di ciò che è buono e vero”. Per questo, continua il porporato, il punto culmine della vita è uno solo: l’amore.

    Di qui, il ringraziamento che il segretario di Stato fa a tutto l’Ospedale Bambino Gesù, ricordandone non solo “gli interventi di avanguardia”, ma anche quell’attività ordinaria così importante che si concretizza “nell’accoglienza, nel ricovero e nella cura solerte e amorevole per i piccoli degenti”. A loro, il personale ospedaliero offre “disponibilità, spirito di sacrificio, pazienza e amore disinteressato”, perché se in ogni bambino ricoverato “si riconosce il volto di Gesù”, ogni cosa “diventa meno difficile”.

    In quest’ottica, conclude il porporato, Benedetto XVI “segue con attenta benevolenza i successi e l’impegno dell’Ospedale”, da lui visitato il 30 settembre 2005. In quell’occasione, il Papa sottolineò che la struttura “rappresenta anche un avamposto dell’azione evangelizzatrice della comunità cristiana”. E quindi gli auguri per il Santo Natale espressi dal cardinale Bertone rivelano anche “sentimenti di gratitudine e di orgoglio per il buon lavoro” svolto dall’Ospedale Bambino Gesù.

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    Ecumenismo. Il cardinale Koch: la preghiera può far cadere i muri anche fra le Chiese

    ◊   Nei giorni scorsi il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha tenuto a Roma una conferenza sugli attuali sviluppi dell’ecumenismo. All’incontro era presente il collega Mario Galgano, della redazione del Programma tedesco della nostra emittente, che ha chiesto al porporato di fare il punto sulle sfide che riguardano il cammino verso l’unità:

    R. – Ich denke wir haben sehr verschiedene Veränderungen in den letzten Jahren, …
    Negli ultimi anni e decenni, ci sono stati diversi cambiamenti. In molte Chiese torna una riflessione sulla propria identità confessionale e questo può rappresentare un grande vantaggio, perché per condurre il dialogo bisogna avere consapevolezza di un’identità chiara. Una seconda sfida consiste nel fatto che abbiamo concetti diversi di “unità” e questo rende difficile il compito. Un’altra sfida è che c’è una forte crescita di movimenti pentecostali, che rappresentano una nuova realtà in tutto il mondo e costituiscono ormai il secondo movimento, in ordine di grandezza, dopo la Chiesa cattolica. Bisognerebbe quasi parlare di una “pentecostalizzazione” dell’ecumenismo… Un quarto cambiamento sta nel fatto che vi sono questioni etiche controverse tra le stesse Chiese, la cosiddetta questione antropologica: oggi ci troviamo di fronte alla sfida di dover sviluppare un’antropologia ecumenica, una nuova dottrina dell’uomo.

    D. – Il cardinale Kasper ha detto che in questo momento possiamo fare solo passi piccoli, ma un giorno ci stupiremo quando i muri tra le Chiese cadranno come il Muro di Berlino. Lei cosa ne pensa?

    R. – Ich kann das nicht sagen, man kann es nur hoffen, denn niemand …
    Io non lo so dire; lo si può soltanto sperare. Del resto, nessuno aveva realmente previsto la caduta del Muro di Berlino: è semplicemente accaduto o – come onestamente bisognerebbe dire – è stato chiesto con la preghiera, si è pregato davvero tanto… In realtà, a Berlino c’è stata una “rivoluzione delle candele”. Credo che se approfondissimo l’ecumenismo spirituale, potrebbero accadere miracoli.

    D. – La crisi dell’euro quali riflessi può avere sull’ecumenismo? Pensa possano esserci riflessi negativi?

    R. – Das kann durchaus sein, denn gemeinsame Probleme können auch Probleme…
    Questo potrebbe assolutamente accadere, perché problemi comuni possono anche creare difficoltà comuni. Ma io la considero piuttosto una sfida a essere uniti e a cercare vie comuni anche in ambito etico e sociale, dove proprio con le Chiese ortodosse si registrano, in questo momento, spunti promettenti.

    D. – Il successo dell’ecumenismo può rappresentare anche un segno per gli atei, indicando cioè quanto forte possa essere la Chiesa quando è unita, alla luce della nuova evangelizzazione?

    R. – Die Neuevangelisierung hat notwendigerweise eine ökumenische Dimension…
    La nuova evangelizzazione ha necessariamente una dimensione ecumenica, e questo il Santo Padre l’ha espresso a chiare note in occasione della fondazione del nuovo dicastero. Io sono convinto del fatto che quanto più diamo testimonianza comune nella nostra società, tanto più possiamo stimolare la riflessione delle persone. (gf)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Non un dio generico ma Dio vivo e vero: in prima pagina, Francesco Ventorino sull'incontro del Papa con gli universitari.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'Egitto: ancora sangue a piazza Tahrir.

    Internazionale per vocazione: in cultura, ampi stralci degli interventi dell'arcivescovo Dominque Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, e del ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi di Sant'Agata, alla presentazione del libro - all'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede - "Uno sguardo cattolico. 100 editoriali dell'Osservatore Romano (2007-2011)", e la cronaca dell'avvenimento a firma di Giulia Galeotti.

    Un figlio rispetta chi lo ha preceduto: in occasione di uno storico "scambio di capolavori sacri" tra il Patriarcato di Mosca e l'arcidiocesi di Firenze, un articolo di Timothy Verdon su Giotto che, solitamente definito progenitore del rinascimento, deve molto alla tradizione italo-bizantina.

    Un articolo di Marcello Filotei dal titolo "La solita 'solfa'": nella storia della Cappella musicale pontificia l'Ottocento fu il secolo della svolta decisiva.

    Una missione irrinunciabile per l'Africa: nell'informazione religiosa, a un mese dalla visita del Papa in Benin, intervista di Gilbert Tsogli al vescovo togolese Barrigah-Bénissan.

    Nell'informazione vaticana, la consueta visita natalizia del cardinale segretario di Stato all'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.

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    Oggi in Primo Piano



    Filippine: salgono a mille le vittime del tifone Washi

    ◊   E’ salito ormai a quota mille il bilancio delle vittime causate dal passaggio del tifone Washi nelle Filippine. Il presidente Benigno Aquino ha proclamato lo stato di calamità nazionale nelle province della costa settentrionale dell'isola di Mindanao, maggiormente interessate dall’emergenza. Le località più colpite sono Cagayan de Oro e Iligan: la tempesta tropicale ha gonfiato improvvisamente i corsi d'acqua, provocando smottamenti e fiumi di fango che hanno travolto strade e abitazioni. L’arcivescovo di Cagayan de Oro, mons. Antonio J. Ledesma, ha lanciato un appello per raccogliere fondi a favore dei disastrati (Coordinate bancarie - Branch: BPI CDO. Account name: Roman Catholic Archbp of CDO Inc. Account: 9330-0014-42 TNX 4 D. Aid to flood victims). Sull’emergenza nelle Filippine, Giada Aquilino ha intervistato padre Sebastiano D’Ambra, missionario del PIME, fondatore del movimento per il dialogo interreligioso ‘Silsilah’, che si trova a Zamboanga, nella parte meridionale dell’isola di Mindanao:

    R. – E’ una cosa terribile. Credo che un disastro simile non sia mai avvenuto nella storia di quella zona, che comprende Iligan e Cagayan: sono due città piuttosto grandi che si stanno sviluppando. Purtroppo, la catastrofe ha assunto dimensioni così ampie perché è successo tutto di notte e la gente è stata colta di sorpresa; alcune persone probabilmente stavano dormendo, si sono ritrovate nel fango e così sono morte. Ora si sta cercando di ritrovare i corpi. Addirittura oggi ho letto sul giornale una polemica secondo cui, per fare in fretta, si devono seppellire i corpi nelle fosse comuni, perché c’è pericolo di epidemie. Alcuni invece dicono di dare almeno una degna sepoltura ai morti. Siamo in questa situazione d’emergenza. E’ veramente una cosa terribile, anche perché normalmente i tifoni non passano da Mindanao, che è una zona piuttosto protetta; i disastri maggiori avvengono nel Nord delle Filippine, a Luzon, dove passano i tifoni. Quello che è successo, e che fa riflettere molto, è che lo sviluppo selvaggio e la deforestazione hanno provocato tutto questo: le acque dei monti vicini hanno ingrossato i due fiumi che attraversano le città e in poche ore hanno distrutto tutto.

    D. – Cosa serve ora alla popolazione di Mindanao?

    R. – Di solito, quando succedono queste cose un po’ tutti aiutano nei primi momenti. C’è bisogno di cibo, di acqua potabile, di vestiti, di medicine…

    D. – Com’è impegnata la Chiesa locale?

    R. – Conosco l’arcivescovo di Cagayan de Oro, mons. Antonio J. Ledesma: è molto bravo e da sempre impegnato nel sociale. So che lui ha già lanciato degli appelli, dando notizie sui morti e sulla situazione in generale. Cagayan è un’arcidiocesi e Iligan è una diocesi. In particolare Cagayan si stava sviluppando bene in tutti i sensi: adesso si dovrà ricominciare tutto.

    D. – Lei da anni è impegnato nel dialogo interreligioso. Come il dialogo può essere anche una strada per ricominciare dopo questo disastro?

    R. – Nella sofferenza, le persone si uniscono. Quella è una zona a maggioranza cristiana, anche se c’è una forte presenza musulmana. Adesso sono sicuro che la gente – a prescindere dal fatto che sia musulmana o cristiana – sarà più unita. In questo momento stanno arrivando aiuti da diverse parti. Dopo le risposte immediate, comincerà il problema della ricostruzione delle case. Noi, poi, ci siamo impegnati ad aiutare alcuni orfani i cui genitori sono morti. Ma c’è tantissimo da fare: è il tempo di rimboccarsi le maniche. (gf)

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    Nord Corea: apprensione nel mondo per il dopo Kim Jong-il. La riflessione di padre Cervellera

    ◊   Attesa e preoccupazione: sono questi i sentimenti che prevalgono nella comunità internazionale dopo la morte del leader nordcoreano Kim Jong-il e la successione al potere del figlio 27enne Kim Jong-un. Tokyo e Washington hanno auspicato passi concreti per la denuclearizzazione del Paese, mentre l'Aiea ha chiesto che i propri ispettori possano tornare in Nord Corea, dalla quale erano stati espulsi nel 2009. Dal canto suo, il governo cinese ha dato il suo “placet” al nuovo leader. Oggi intanto, la televisione nord coreana ha mostrato le prime immagini della salma del dittatore esposta in una bara di vetro. Sulla situazione in Nord Corea, giudicato il Paese più isolato al mondo, Alessandro Gisotti ha intervistato il direttore di “AsiaNews”, padre Bernardo Cervellera:

    R. - La situazione è – per così dire – a due velocità: da una parte i membri del partito e i militari e tutte persone che vivono nella capitale Pyongyang, che di fatto hanno un livello di vita abbastanza buono ... poi, però, c’è la situazione delle persone nelle campagne che, invece, è molto difficile.

    D. – Un Paese dagli incredibili contrasti: possiede uno degli eserciti più potenti al mondo, la gente però muore di fame …

    R. – Si, è una cosa folle! Anche perché questa carestia è dovuta certamente a fenomeni naturali; però a tutto questo si è aggiunta una politica economica ed agricola disastrosa per cui i raccolti sono andati distrutti. Purtroppo però nonostante questa situazione, il governo ha continuato a mantenere alto il livello tecnico di alcune fabbriche per costruire i suoi missili e le sue bombe nucleari.

    D. – Quali notizie riescono a trapelare riguardo la difficilissima situazione dei cristiani in Corea del Nord?

    R. - Le notizie che trapelano sono da una parte che chi ha una Bibbia, o chi prega, rischia spesso anche la pena di morte; poi c’è un gruppo di "cristiani" e di "cattolici" che viene presentato quando ci sono delegazioni straniere. A Pyongyang c’è anche una chiesa dove ogni domenica si svolge un servizio liturgico: il problema è che non c’è il prete! La diocesi di Seoul ha chiesto tante volte al governo del Nord di poter mandare un sacerdote almeno la domenica per celebrare la Messa, ma il regime ha sempre rifiutato.

    D. – Di certo c’è che la Corea del Nord è uno dei Paesi in cui è maggiormente vessata la libertà religiosa, e non solo dei cristiani …

    R. – No, infatti, la libertà religiosa è proprio cancellata per tutti, perché l’unico culto permesso è quello al "padre della patria" Kim Il-sung, cui adesso si aggiungerà anche quello di Kim Jong-il. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica tutti i sacerdoti, i vescovi stranieri sono stati espulsi e i sacerdoti locali e le suore sono stati tutti uccisi.

    D. – Dai vescovi sud coreani è giunto l’auspicio che questa nuova fase porti ad un cammino di riunificazione: quale contributo può dare la Chiesa che è in Sud Corea al riguardo?

    R. – Devo dire che la Chiesa cattolica e anche i cristiani protestanti, stanno facendo un lavoro enorme per la riunificazione, per la riconciliazione. Teniamo presente che mentre Lee Myung-bak, il presidente sudcoreano, ha bloccato ormai gli aiuti economici, soprattutto gli aiuti alimentari, al Nord, e li riaprirà soltanto a condizione che il Nord blocchi il programma nucleare, la Chiesa invece ha continuato a mandare i suoi aiuti anche contro la politica del governo del Sud. (bi)

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    Siria: inasprite le pene contro la rivolta, ma la protesta non si ferma

    ◊   Il presidente siriano Bashar al Assad ha promulgato una legge che prevede la "pena di morte" per chi "fornisce armi" a chi commette "atti terroristici". Intanto secondo l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria e i Comitati di coordinamento locale degli attivisti anti-regime, sono oltre 100 le vittime, nelle ultime 24 ore, della violenta repressione governativa. Ieri Damasco ha comunque firmato il protocollo della Lega Araba che prevede l'ingresso, nel Paese, di osservatori internazionali; mentre l’Onu ha adottato una risoluzione di condanna per la violenta repressione delle manifestazioni pro-democrazia. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi Islamici all’Università di Cosenza.

    R. – L’accordo è sicuramente un passo importante, è un segnale che potrebbe avere dei risultati positivi nel medio periodo. Non credo che possa avere un effetto immediato: lo vediamo dal fatto che le manifestazioni continuano in maniera anche piuttosto sanguinosa, come del resto, parallelamente a quello che succede in Egitto, dove pure siamo arrivati addirittura ad elezioni, si profila un futuro diverso, il regime è già caduto da tempo, ma dove, di fatto, i rivoluzionari sono convinti che il regime non sia del tutto stato estirpato dal Paese e continuano la loro protesta. Non si può pensare che una piazza come quella siriana - come quella libica, quella tunisina e quella egiziana prima di essa – possa improvvisamente disinnescarsi semplicemente perché c’è questa idea di un protocollo.

    D. – Comunque la Lega Araba ha avuto una parte importante?

    R. – Certamente importante. Il segretario Nabil Elaraby ha descritto le procedure tecnicamente - come avverranno - di questo primo ingresso di osservatori. Quindi, si parla di un processo che già si sta avviando. E’ però piuttosto incerto nell’esito, proprio perché la piazza non ritiene che questo tipo di attenzione internazionale possa essere sufficiente. Non dimentichiamo che c’è stata anche una grossa sollevazione nella stessa Siria contro la Lega Araba, che si era messa contro il Paese, e quindi è stata vista come una sorta di tradimento. La Lega Araba non rappresenta affatto una garanzia di pacificazione, in questo momento, nella situazione siriana piuttosto effervescente e in ebollizione.

    D. – I primi osservatori internazionali arriveranno entro le prossime 72 ore. Saranno gruppi composti da dieci esperti. Che cosa ci si potrà aspettare proprio nei primi momenti di questa presenza?

    R. – Innanzitutto, una conoscenza più sul campo di quello che sta succedendo. In un secondo momento, credo che queste delegazioni dovranno osservare se effettivamente vengono violati, come pare ormai assodato, i diritti fondamentali di democrazia, e quindi sorvegliare, far capire che il Paese è sotto osservazione e che il governo siriano non può più procedere nella maniera in cui ha proceduto sinora, con una repressione piuttosto violenta e brutale. Più aumentano i morti – si parlava appunto di 100 morti nelle ultimissime ore – e più sarà difficile placare l’ira di questi rivoluzionari.

    D. - Proprio in questo scenario, l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato una risoluzione che condanna gli abusi contro i diritti umani commessi proprio in Siria...

    R. – Sappiamo che nelle Nazioni Unite la posizione non è unanime. Indubbiamente, la risoluzione è stata approvata, ma ci sono stati dei voti contrari. Di certo sappiamo, al di là dei tecnicismi dell’Onu, che esistono dei veti in qualche modo riguardanti la Siria. Alcuni Paesi non sono affatto d’accordo con questa condanna generalizzata. Io credo che, sempre di più, nel prossimo futuro, la posizione fondamentale sarà quella di Cina e Russia e della stessa Turchia: tutti Stati che hanno la pretesa di recitare un ruolo più o meno importante a livello regionale e che vedono chiaramente nella questione siriana un elemento di strategia assolutamente non trascurabile.

    D. – Da una parte gli attivisti dei diritti umani, in Siria, e la forte repressione; dall’altra Damasco, che continua a ribadire “esistono sacche di terrorismo presenti nel Paese”. In sostanza, come in Yemen, troviamo due fronti che si stanno scontrando: in piazza ci sono sostenitori di Assad e gli oppositori...

    R. – Sono due questioni diverse, naturalmente: il fatto di evocare il terrorismo è una sorta di riflesso condizionato ormai e l’abbiamo visto operato anche da Gheddafi ampiamente. Per spaventare in qualche misura la comunità internazionale si sostiene che questo tipo di rivoluzioni siano in parte animate dal terrorismo islamico. L’altro punto è quello dei favorevoli al regime. Qui bisogna valutare Paese per Paese. Sicuramente in Egitto, dove pure ci sono state manifestazioni favorevoli a Mubarak, nel momento in cui la rivoluzione stava scoppiando, si è trattato di elementi sostanzialmente prezzolati, che non rappresentavano certamente una volontà popolare. La Libia è un caso analogo: coloro che hanno difeso Gheddafi lo hanno fatto non certo per motivi ideologici, ma per altri generi di schieramenti e di alleanze. In Siria forse la situazione è un poco diversa, nel senso che potrebbe, effettivamente, esserci un nocciolo duro, per quanto io credo minoritario, a questo punto, che si vuole mantenere fedele al regime e credo che per valutarlo proprio la funzione degli osservatori potrebbe essere importante: valutare cioè effettivamente se il Paese è diviso o se non si tratta invece di una rivoluzione generalizzata, alla quale il governo, rimasto abbastanza solo, vuole opporsi con la violenza più assoluta. (ap)

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    Betlemme si prepara a celebrare il Natale aspirando alla pace e alla giustizia

    ◊   Ogni cristiano deve vedere rispettato il proprio diritto di recarsi a Betlemme per celebrare il Natale: lo ha affermato il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, durante una Messa celebrata a Gaza per la comunità cattolica locale. Quest’anno le autorità israeliane hanno rilasciato circa 500 permessi ai cristiani di Gaza, ma saranno esclusi quelli di età compresa tra i 16 e i 35 anni. Intanto Betlemme si sta preparando a festeggiare la Natività: in che modo? Ci risponde Charlie Abou Saada, giornalista arabo-cristiano, ideatore del sito , raggiunto telefonicamente da Emanuela Campanile proprio a Betlemme:

    R. – Stiamo cercando di vivere lo spirito natalizio: abbiamo avuto nei giorni scorsi diverse feste nelle varie città, nei villaggi e nelle varie parrocchie, come la cerimonia dell’illuminazione degli alberi di Natale alla quale hanno partecipato anche tanti musulmani e diversi politici palestinesi. Il messaggio di queste occasioni bellissime in questi giorni è uno ed è unico: pace, giustizia e Stato palestinese. Abbiamo il diritto di avere uno Stato palestinese libero e vogliamo buttare giù il "muro" per potere iniziare una nuova era di pace e di dialogo con i nostri vicini di casa, gli israeliani.

    D. – Quali sono i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla giustizia?

    R. – Sicuramente nella famiglia, perché tutt’oggi, in Medio Oriente, la famiglia ha un grande valore all’interno della società; e poi la scuola. Ed ecco perchè dobbiamo fare di più per le nostre scuole, soprattutto cristiane. Quindi dobbiamo riuscire a far maturare tutti questi valori all’interno della famiglia, nelle scuole e nelle chiese: magari anche nelle moschee e nelle sinagoghe; dobbiamo soprattutto comprendere come trasmettere tutti questi valori ai nostri vicini.

    D. – Lei fa spesso riferimento alle pressioni che quotidianamente il popolo palestinese subisce a causa degli insediamenti: ma che tipo di pressioni sono? Come vivete?

    R. – Vorrei ricordare che noi palestinesi, cristiani e musulmani, viviamo sotto occupazione militare, ma anche sotto occupazione economica israeliana. Noi viviamo nei nuovi ghetti, i ghetti del terzo millennio: io vivo a Betlemme e non posso muovermi; non posso andare da Betlemme a Gerusalemme senza il controllo dell’esercito israeliano. La vita economica è legata anche alla mentalità dell’occupante e quindi siamo costretti a comprare tutto da Israele: è molto difficile comprare merci dalla Giordania o da altri Paesi arabi. Finché ci sarà l’occupazione non ci sarà né pace né giustizia.

    D. – Alcuni Paesi nel mondo hanno riconosciuto e riconoscono lo Stato palestinese: di fronte a questa accettazione, Hamas ha anche stemperato i propri toni, i propri atteggiamenti?

    R. – Speriamo che un giorno lo faccia! Vorrei ricordarvi che, nell’87-’88, Arafat, come popolo palestinese, ha riconosciuto Israele come Stato. Il problema è che ci sono sempre più pressioni. Viviamo sotto occupazione: io non posso muovermi, non sono certo del futuro dei miei bambini e dei miei ragazzi… Quindi Israele non dà le possibilità ad Hamas di riconoscere lo Stato di Israele a causa delle pressioni quotidiane che viviamo. (mg)

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    Italia: acceso dibattito sull'articolo 18, no dei sindacati alla riforma

    ◊   Resta acceso il dibattito politico italiano sulla manovra e in particolare sulla possibile riforma dell’articolo 18 che affida alla discrezionalità del giudice la cause di licenziamento dei lavoratori. Per il ministro del welfare Elsa Fornero non ci devono essere tabù in una riforma complessiva del settore lavoro, ma i sindacati tengono la posizione e ne fanno una questione di coesione sociale. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Bruno Caruso, docente di Diritto del lavoro all’Università di Catania:

    R. – L’art. 18 sicuramente ha una valenza simbolica, perché quando fu inserito nello Statuto dei lavoratori era la risposta più significativa in termini di cambiamento rispetto ad una possibilità di licenziare più o meno arbitrariamente. Bisogna poi chiarire che l’art. 18 non è che introduca la causalità del licenziamento, la giusta causa: l’art. 18 si limita a predisporre una sanzione particolarmente significativa, nel caso in cui il licenziamento venisse dichiarato illegittimo. Quindi, anche l’art. 18 in fondo è una questione di quantum di risarcimento. Nella proposta tutto si basa su un calcolo economico del costo del licenziamento e quindi su una determinazione a priori di quanto costi il licenziamento. Quindi, non è che cambi moltissimo.

    D. – Riformare il settore del lavoro, include passare anche attraverso questo articolo?

    R. – L’art. 18 potrebbe essere modificato, concedendo al giudice la possibilità di valutare caso per caso. Il problema è che pensare che attraverso la riforma dell’art. 18 si risolvano i problemi del mercato del lavoro complessivamente è assolutamente falso. Il sistema degli ammortizzatori sociali italiani è il più arretrato d’Europa, perché non ci sono incentivi occupazionali funzionanti, non c’è una tutela effettiva nel periodo della transizione dalla perdita del posto di lavoro all’acquisizione, non funziona il sistema di riqualificazione e formazione, non esistono indennità per i giovani che si affacciano al mercato del lavoro, non funziona la legge sull’apprendistato, il sistema di apprendistato. Sono quelle le riforme vere, con cui si sdrammatizzerebbe il problema dell’art. 18 e credo che pure i sindacati alla fine potrebbero essere meno posizionati su questioni di principio. Non bisogna partire dall’art. 18 però, bisogna partire da altro e poi arrivare semmai all’art. 18. (ap)

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    Guida di Sant'Egidio per i senza fissa dimora: allarme "nuovi poveri" a Roma

    ◊   È stata presentata questa mattina a Roma la nuova edizione della guida della Comunità di Sant’Egidio per i senza fissa dimora: “Dove mangiare, dormire, lavarsi – Roma 2012”. Il volume, giunto alla 22.ma edizione, raccoglie oltre 500 indirizzi utili alle persone più bisognose, in aumento in questo periodo di crisi. Michele Raviart ne ha parlato con Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio.

    R. – Abbiamo purtroppo un aumento del disagio in Italia, ma è anche un aumento della solidarietà. Ci sono più centri di emergenza, più luoghi dove ci si può lavare … le parrocchie si stanno attrezzando per rispondere a questa povertà vecchia e nuova. Io credo che Roma sia una città che esprime un’immensa solidarietà, ma è anche il simbolo di una crisi che attraversa il Paese.

    D. – Quali sono le emergenze, quest’anno, a Roma?

    R. – Dobbiamo dire che la povertà ha una faccia antica, la povertà estrema. Questa povertà è quella di chi vive per strada, nelle baracche, nelle case di cellophane … Poi ci sono gli zingari, gli immigrati che all’inizio vivono in coabitazioni impossibili … Tre su quattro fanno parte di questa “vecchia povertà”. Uno su quattro è una persona – o un nucleo familiare – che ha una casa, e questo è un dato che fa molto pensare … Siamo tornati, ad esempio, a 5.358 nuovi arrivi, quest’anno, ai nostri centri; l’anno scorso erano 3.800: c’è un incremento del 50 per cento, anno su anno. Persone che decidono per la prima volta di fare un passo terribile, come andare a dire: “Io non ce la faccio più: mi aiutate?”.

    D. – Parallelamente a questo, c’è anche un aumento degli sfratti, e quindi di persone che perdono la casa …

    R. – La causa maggiore dell’ingresso nella povertà sembra essere proprio quello della casa. Aumenti degli affitti che continuano, nonostante la crisi: nel centro storico di Roma siamo a + 7%! E’ stato già più del 100% - Roma, Milano – in dieci anni … Siamo all’aumento di sfratti per morosità, che sono ormai una grandissima parte del totale, il che vuol dire che le persone non ce la fanno più a pagare. Noi abbiamo una proposta a livello nazionale, sul modello di ciò che si è fatto per i mutui; ad un certo punto le banche hanno detto: 'si sospende il pagamento, si crea una moratoria, si ricontrattano i mutui'; questo va fatto anche sugli affitti, perché questi stanno diventando una causa di nuova povertà strutturale.

    D. – Quali tendenze vi aspettate quindi per il 2012?

    R. – L’impressione è che non possa calare il numero delle persone in sofferenza, ma che si possano attuare interventi per creare fondi di garanzia per tutelare anche i proprietari per un periodo limitato, fino a quando le famiglie ce la faranno di nuovo ad affrontare la spesa regolare. Tra le altre tendenze, dobbiamo lavorare a servizi sul territorio per sostenere chi è solo, perché l’altra grande causa di povertà è la solitudine: riguarda, quindi, molti anziani che finirebbero in istituti, quindi con costi aggiuntivi per la collettività e con una qualità della vita bassissima! (gf)

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    Avvento. Mons. Sigalini: è il tempo adatto per cambiare il cuore e imparare a seguire Cristo

    ◊   In occasione dell’udienza di ieri ai ragazzi dell’Azione Cattolica, Benedetto XVI ha rivolto un saluto speciale a mons. Domenico Sigalini, assistente generale dell’organizzazione cattolica e vescovo di Palestrina. Il presule, nel settembre scorso, durante un’escursione era incorso in un grave incidente che lo ha costretto a un lungo ricovero. Fabio Colagrande lo ha intervistato per chiedergli innanzitutto una riflessione su questo Avvento 2011, caratterizzato in Italia dalla crisi economica e dagli scontri sociali:

    R. – Stiamo facendo tutti i sacrifici, tutti siamo tesi a venire fuori da queste speculazioni finanziarie, che purtroppo ci stiamo portando dietro da parecchi decenni e di cui siamo tutti responsabili. Questo affanno, però, deve essere mitigato da una speranza, secondo me: non sarà soltanto il mettere a posto i conti che ci darà un nuovo volto come società italiana: sarà anche un nuovo atteggiamento di collaborazione, di solidarietà, di sacrificio e non ho paura a dire questa parola, perché ne ho fatti un po’. La nostra vita vale per la coscienza che la sorregge: non soltanto per i grandi eventi o le grandi manifestazioni, ma perché c’è una coscienza che si converte. Noi a Natale vorremmo dire a tutti gli uomini di avere questa fiducia nel Signore, di farci cambiare il cuore, perché se cambiamo il cuore, cambia anche tutta una serie di atteggiamenti e di contrapposizioni che tante volte sono sole ideologici.

    D. – Il Natale, che è per tradizione la festa dell’abbondanza, può essere anche la festa della sobrietà?

    R. – Io penso proprio di sì, perché quando ero bambino io non c’era tutto questo splendore, però il Natale lo vivevamo bene: come bambini ci bastava poco e ci sembrava bello il clima della famiglia, in cui il papà e la mamma stavano di più con noi figli. Anche per noi, oggi il Natale può essere vissuto di più come un momento in cui prendiamo in mano la vita. In questi giorni, come tutti i presbiteri prego con la Liturgia delle ore che ci fa vedere tutta la trama che c’è dietro il Natale: un popolo che è incapace di seguire Dio, che continuamente si allontana e Dio che continua ad inseguirlo e lo insegue finalmente facendosi uomo. Noi siamo in buona compagnia e tutto questo mi pare essere il messaggio vero del Natale.

    D. – Mons. Sigalini, abbiamo ricordato il gravissimo incidente di cui è stato vittima il settembre scorso: questa esperienza di vita cosa le ha portato come uomo, ma anche come pastore?

    R. – Devo dire che la fragilità umana mi ha proprio colpito in pieno: i piani che ho fatto, li so solo io, in tante notti insonni... Poi ho deciso che questa prova che il Signore mi ha dato – causata da me, anche se non capita niente che il Signore non permetta – sia stata una prova anche di amore, perché la Croce per il cristiano è un distintivo assolutamente ineliminabile. Io ho sempre avuto paura della sofferenza, tanto che – in maniera un po’ banale, come so fare io con le mi battute – dico sempre a Gesù: “Io penso a vivere costantemente la confessione, Tu fammi morire improvvisamente...”. Quasi mi stava prendendo in parola… Ho paura della sofferenza e invece la sofferenza è una risorsa: è una risorsa che ti permette di cambiare la vita, di scoprire solidarietà. Io ringrazio tutti quelli che hanno pregato per me. Sto guardando tutte le e-mail che mi sono arrivate e devo dire che sono meravigliato di quanta gente abbia pensato e abbia pregato perché potessi tornare ad una pienezza di vita. Il Papa ieri mi ha detto: “Si vede che Dio ha bisogno di te”… Con questo tipo di pensieri sono riuscito a superare anche queste difficoltà umane, delle quali non mi vergogno perché quando c’è il dolore, il pianto lo solleva un poco, anche se non è l’ultima parola: l’ultima parola è abbandonarsi a Dio. (mg)

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    Mons. Mamberti e Giulio Terzi alla presentazione del libro sui cento editoriali dell'Osservatore Romano

    ◊   Cento editoriali dell'Osservatore Romano raccolti in un libro per testimoniare la linea assunta dal quotidiano della Santa Sede negli ultimi 4 anni. Il lavoro dal titolo “Uno sguardo cattolico”, è stato presentato ieri a Roma all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. Con gli interventi del neo ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi e il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, Dominique Mamberti, la presentazione è stata occasione anche per affrontare le principali problematiche di politica internazionale degli ultimi tempi, dalla Primavera araba alla libertà di religione. Il servizio di Irene Pugliese:

    Nel 1961 Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, scelse due superlativi per definirlo: difficilissimo e singolarissimo. Due aggettivi che riflettono la fisionomia particolare del giornale della Santa Sede: una testata tra le più note e influenti al mondo. Nel suo centocinquantesimo anniversario, L’Osservatore Romano ha voluto festeggiare con un libro che contiene i l00 editoriali pubblicati negli ultimi quattro anni - da quando cioè, ha avuto inizio l'attuale rinnovamento del quotidiano. Ma questo libro è un’occasione anche per ricordare come la testata abbia sempre dato larghissimo spazio agli esteri e ai fatti internazionali. Come ha confermato mons. Dominique Mamberti, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati:

    “Le pagine di questo libro confermano che il rinnovamento dell’Osservatore si è mosso in questi ultimi tempi sempre in coerenza con la sua tradizione, puntando soprattutto ad allargare considerevolmente proprio la sua dimensione internazionale”.

    Un’occasione questa quindi anche per affrontare le importanti tematiche internazionali di questo periodo. Prima della presentazione infatti, il neo ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi e il segretario vaticano si sono incontrati per la prima volta. Ancora mons. Mamberti:

    "Abbiamo fatto semplicemente un giro d'orizzonte sulla situazione internazionale e sono stati effettivamente illustrati i grandi temi della politica internazionale dell'Italia, con particolare attenzione a quei temi che sono di interesse per la Santa Sede".

    Tra gli argomenti affrontati, quelli relativi alla promozione dei diritti umani, la difesa della libertà religiosa e delle minoranze, come ha sottolineato il neo ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi:

    "La promozione dei diritti umani intende continuare ad essere la nostra stella polare nell’azione di politica estera, così come alcuni aspetti che vi si collegano direttamente: la liberazione dalla pena di morte, i diritti delle minoranze ... Attribuiamo un'importanza prioritaria alla tutela della libertà religiosa".

    Il ministro italiano ha aggiunto come la collaborazione con la Santa Sede sia fondamentale nell’azione diplomatica a difesa dei diritti della persona:

    “La collaborazione con la Santa Sede è fondamentale nell’azione a difesa dei diritti della persona, dagli attacchi di quelli che si possono certamente definire i nuovi barbari, cioè coloro che rinnegano l’uomo invocando ampiamente Dio e disprezzando il dialogo per oltraggiare la convivenza pacifica”.

    Ad un anno di distanza dall’inizio della Primavera araba l'auspicio, ha ricordato Terzi, è che i partiti maggioritari di ispirazione islamica vincano la sfida di conciliare i valori della cultura islamica con quelli della democrazia e del pluralismo per evitare il rischio che l'euforia per la caduta dei regimi lasci il campo alle forze oscurantiste e al sotterraneo lavoro del fondamentalismo. (bi)

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    Chiesa e Società



    Peggiora la situazione di Asia Bibi: la donna chiede ai cristiani di pregare per lei

    ◊   Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte ingiustamente per blasfemia, in carcere dal 9 giugno 2010, rischia la malattia mentale: le sue condizioni psicofisiche sono in continuo degrado e “urge per lei un check-up medico completo”. Ma il suo morale, nei rari momenti di lucidità, resta alto e Asia ha detto di aver “perdonato i suoi aguzzini”: è quanto afferma all’Agenzia Fides Haroon Barkat Masih, direttore internazionale della “Masihi Foundation” (MF), Ong che tutela i diritti dei cristiani in Pakistan e che si occupa dell’assistenza legale e materiale della donna. Una delegazione internazionale della “Masihi Foundation” ha incontrato Asia Bibi ieri nel carcere distrettuale di Sheikpura, dove si trova da oltre un anno, per verificare le sue condizioni, portarle una parola di speranza e gli auguri di Natale, mentre il processo di appello, dopo la condanna in primo grado, è ancora pendente presso l’Alta Corte di Lahore. In un comunicato diffuso dalla “Masihi Foundation” dopo la visita al carcere, si afferma che “a causa del suo confino solitario, Asia Bibi, 46 anni, appare notevolmente invecchiata, ha un colorito pallido, sembra molto fragile, perfino incapace di stare da sola”. Asia era scortata da due donne del personale di guardia. “Al momento dell’incontro, il suo sguardo vagava nel vuoto, non riusciva a capire cosa stesse accadendo, era completamente confusa e stupita. Per tutto il tempo della conversazione – oltre 2 ore e 20 minuti – i suoi pensieri erano alla deriva” nota con preoccupazione la Masihi Foundation. “Ha reagito agli stimoli con emozioni contrastanti, ridendo, piangendo e restando in silenzio per lunghi periodi di tempo”. “Per i primi 10 minuti – prosegue il testo - Asia non è stata in grado di reagire e non riusciva a capire se eravamo amici o nemici. Ha detto che nessuno si stava seriamente occupando di lei, aveva paura e sembrava molto fredda e nervosa. Non riusciva a tenere gli occhi fissi in un punto o verso un interlocutore. Le abbiamo offerto acqua e sembrava perfino spaventata dall’acqua”. Le sue condizioni di igiene personale erano terribili: Asia non fa un bagno da oltre due mesi. La delegazione della Masihi Foundation le ha assicurato di provvedere per lei un’assistenza legale di alto livello. Asia, con tono di voce basso e dimesso, ha ripetuto ai membri della MF che “desidera solo tornare dalla sua famiglia” e che continua a pregare e digiunare. La donna chiede ai cristiani nel mondo “di continuare a pregare per lei”. Alla domanda su come passa il tempo, Asia ha risposto: “Ho perso il senso del tempo. Non ho l’idea di un’ora, un mese, una stagione. L’unico giorno che ricordo è il 9 giugno, il giorno più buio della mia vita, quando sono stata arrestata. E’ l’inizio di un incubo per me e la mia famiglia”. Interpellata sul perdono, Asia ha spiegato: “In primo luogo vivevo frustrazione, rabbia, aggressività Poi, grazie alla fede cristiana, dopo aver digiunato e pregato, le cose sono cambiate in me: ho già perdonato chi mi ha accusato di blasfemia. Questo è un capitolo della mia vita che voglio dimenticare”, rimarcando anche che “tanti altri fratelli cristiani sono accusati ingiustamente come me”. Mentre la delegazione era sul punto di partire, spaventata, Asia ha gridato fra le lacrime “Quando sarò rilasciata?”. Come informano fonti locali di Fides, il ministro federale per l’Armonia Akram Gill si sta mobilitando per Asia Bibi: “abbiamo preso nota delle condizioni di Asia Bibi – ha detto - aiutarla è ora una questione umanitaria. Scriverò una lettera al responsabile del carcere e al ministro degli Interni, perché sia organizzata subito la visita di un team di medici e psicologi, per tutelare la salute fisica e mentale di Asia e darle cure appropriate”. Anche Paul Bhatti, consigliere speciale del ministro per le Minoranze religiose, in un colloquio con Fides, assicura il suo impegno: “Ci mobiliteremo immediatamente, a livello istituzionale, per fornire assistenza medica ad Asia Bibi”.

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    Corea del Nord. Le Ong chiedono libertà religiosa e rilascio di 50mila cristiani

    ◊   Stop ai crimini contro l’umanità, pieno rispetto dei diritti umani, tutela della libertà religiosa: è l’appello rivolto dalle Organizzazioni non governative di ispirazione cristiana come “Christian Solidarity Worldwide” (CSW) e “Open Doors”, al nuovo leader della Corea del Nord, Kim Jong-un. Le due Ong operano per la difesa della libertà religiosa nel mondo e promuovono progetti di assistenza per le comunità cristiane che soffrono. “Open Doors”, con sede negli Usa, pubblica ogni anno una classifica dei Paesi basata sul rispetto della libertà religiosa, dove la Nord Corea è “maglia nera”. Oggi, come rivela una nota inviata a Fides, l’Ong ha organizzato un tam-tam sul web, attraverso social media e blog, per riportare l’attenzione internazionale sul tema della libertà religiosa in Nord Corea, Paese in cui oltre 50mila cristiani sono detenuti in campi di concentramento. “Open Doors” invita il nuovo leader “a porre fine al ciclo del disumano regime dittatoriale” e auspica che “ci sia un aumento delle opportunità di annunciare Gesù, senza paura di ritorsioni, a quanti sono tristi e si sentono incerti del futuro”. Nell’invito alla piena libertà religiosa, Open Doors spera che “i cristiani coreani guadagnino nuova audacia e saggezza” perché “il giorno di Natale la luce di Cristo penetri in ogni casa e in ogni cuore in Corea del Nord” per ridare speranza ad una nazione oggi oppressa e affamata. Attualmente, nota la “Korean Church Coalition for North Korea Freedom” vi sono in Nord Corea numerose “comunità cristiane sotterranee” e “missionari clandestini” che, se scoperti, vanno incontro a una pubblica esecuzione. In un rapporto inviato a Fides, CSW esorta il regime nordcoreano “a chiudere i campi di prigionia, a fermare le esecuzioni sommarie, a rispettare la libertà religiosa e a rilasciare tutti i prigionieri di coscienza”, invita poi la comunità internazionale “a fare pressioni per promuovere questi cambiamenti”. CSW ricorda che “oltre 200.000 persone sono nei lager, sottoposte alle peggiori forme di tortura, dove i cristiani sono imprigionati solo per il loro credo”. CSW ha contribuito a istituire la “Coalizione internazionale per fermare i crimini contro l'umanità in Corea del Nord” (ICNK), che include 40 Ong internazionali.

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    La gioia dei nativi americani per la prossima canonizzazione di Caterina Tekakwitha, prima santa “pellerossa”

    ◊   “Un momento a lungo atteso dalla comunità nativa americana”. Così mons. Paul A. Lenz, vice-postulatore della causa di canonizzazione di Caterina Tekakwitha, ha commentato la firma, ieri, da parte del Santo Padre del Decreto che porterà agli onori degli altari la prima santa “pellerossa”. Un’attesa vissuta con gioia anche da mons. Charles J. Chaput, arcivescovo di Philadelphia e attualmente unico presule cattolico nativo della Chiesa statunitense. “Siamo tutti molto orgogliosi di lei, perché incarna l’idea che aveva Giovanni Paolo II dell’inculturazione, per cui i santi sono i veri membri inculturati di un dato gruppo etnico, perché incarnano allo stesso tempo il Vangelo e la cultura da cui provengono”, ha detto l’arcivescovo all’agenzia Cns qualche giorno prima della promulgazione dei Decreti, anticipando che la notizia della sua canonizzazione “porterà grande gioia alla comunità nativa”. Secondo mons. Chaput saranno numerosi i fedeli indiani americani a venire a Roma per la Messa di canonizzazione. Appartenente alla Nazione Mohawk (Lega Irochese), nata nel territorio dell’attuale Stato di New York nel 1656, Caterina Tekakwitha (“Colei che ha la sua strada nelle sue mani”, in lingua mohawk) si convertì al cristianesimo a vent'anni ricevendo il battesimo nel 1676 vicino a Montreal, dove morì ad appena 24 anni nel 1680. Le sue ultime parole furono «Jesos Konoronkwa» (Gesù ti amo). Venne beatificata da Giovanni Paolo II nel 1980. Le reliquie sono conservate presso la Missione San Francesco Saverio di Kahnawake, vicino a Montreal. La sua festa viene celebrata il 14 luglio ed è patrona dell'ecologia insieme a San Francesco d'Assisi. Santa giovane, è stata protagonista alla GMG di Toronto nel 2002. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Il presidente dei vescovi brasiliani: riscoprire il senso autentico del Natale

    ◊   Riscoprire lo spirito autentico del Natale come occasione per celebrare la nascita del Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza. Questo l’invito rivolto dal cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida e presidente della Conferenza episcopale brasiliana (Cnnb) nel suo tradizionale messaggio natalizio. “La Chiesa –scrive il porporato - si prende cura di preparare ognuno di noi a vivere la pienezza del Mistero dell'Incarnazione del Verbo e della venuta salvifica di Gesù. Nessun'altra attività dovrebbe distoglierci da questo nostro incontro con Gesù. E tuttavia – rileva il messaggio - siamo costantemente stimolati ad un consumo smodato. La pubblicità, le vetrine, i negozi, le luci, Babbo Natale: tutto ci viene presentato come se la felicità fosse determinata solo dal possesso. Non vi è nulla di male nel dare e ricevere doni: è un modo per mostrare affetto e gratitudine alle persone a noi care”. Il pericolo però – ammonisce il cardinale Damasceno Assis - è che il Natale venga ridotto a una mera “festa commerciale”, facendoci cosi dimenticare il suo vero significato che “dovrebbe essere il ricordo vivo che il Figlio di Dio ha assunto la condizione umana ed è venuto ad abitare in mezzo a noi per portare la salvezza a tutti. Solo in Gesù – sottolinea il messaggio - troviamo la vera gioia e sperimentiamo l'amore infinito di Dio per noi. Il Natale – conclude - dovrebbe essere quindi l'occasione per convertirci a una nuova vita, il tempo per praticare più solidarietà e amore verso il prossimo”. (L.Z.)

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    Nepal. Il Natale tra i cristiani dell’Himalaya

    ◊   “Per il Nepal questo Natale significa riconciliare le diverse parti della società, per portare pace e prosperità”. Lo afferma ad AsiaNews padre Lawrence Maniyar, superiore gesuita che da 35 anni lavora con le piccole comunità cristiane dell’Himalaya. “La riconciliazione – aggiunge – tra partiti politici, gruppi religiosi ed etnici è un dovere per il Paese. Perciò, noi offriamo le nostre preghiere per la pacificazione nazionale”. Secondo il gesuita, solo alcune persone rappresentano una minaccia per l’armonia del Paese. Tra queste, il Nepal Defense Army (Nda), il braccio armato non ufficiale dei gruppi estremisti indù, che cerca di impaurire i cristiani e le altre minoranze. “Io non do la colpa all’induismo in sé – spiega padre Lawrence –, ma solo a quei gruppi fondamentalisti presenti in molte società. Questi devono essere puniti, per portare una riconciliazione tra indù e non indù. Dovremmo agire insieme, uniti per lo sviluppo del Paese e la prosperità economica”. Intanto “noi – aggiunge – continueremo a servire la società, senza paura”. Nonostante la minaccia di atti violenti del Nda, tutto il Paese si sta preparando al Natale. Gli alberghi hanno allestito alberi colorati e luminarie. I negozi si fanno sempre più affollati, e le persone – cristiani e non – hanno già iniziato a scambiarsi gli auguri. Raju Shrestha, proprietario indù di un negozio nell’area Jawalakhel (circa 600 metri vicino alla cattedrale dell’Assunzione), racconta: “In questo periodo, più della metà dei miei clienti sono non cristiani, che vengono per fare regali ai loro amici cristiani”. Nello stesso negozio Binaya Thakuri, studente universitario cristiano, ha comprato 50 cartoline di Natale “per fare gli auguri a tutta la mia famiglia”.

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    Appello per l’immediato avvio dei lavori di restauro della Basilica della Natività a Betlemme

    ◊   “L’Unione europea si mobiliti con urgenza per l’immediato restauro della Basilica della natività di Betlemme, luogo simbolo della cristianità ed inestimabile patrimonio” storico ed artistico, “già dichiarato dall’Unesco tra i cento gioielli dell’umanità a rischio”. Il richiamo giunge dagli eurodeputati Gianni Pittella e Mario Mauro, copresidenti di Meseuro, Centro fondazioni per l’Europa del Mediterraneo, ad un anno dalla visita compiuta in Terrasanta. “Ci appelliamo – scrivono Pittella e Mauro - al senso di responsabilità dei vertici istituzionali dell’Europa affinché ci si prenda carico di almeno una parte delle spese per il restauro in modo da permettere di iniziare i lavori immediatamente”. “Si tratta di una grande occasione che abbiamo di collaborare ad un comune obiettivo con l’Autorità palestinese”, affermano i due eurodeputati, spiegando che il “contributo di mediazione deve essere messo in campo anche per superare le diatribe, concernenti la spartizione, tra le tre Chiese cristiane che hanno in gestione la Basilica, che rischiano di bloccare i lavori di restauro”. (R.G.)

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    Mons. Warduni: in Iraq sarà un Natale tra paura e speranza

    ◊   Sarà un Natale “tra paura e speranza” quello che si apprestano a vivere i cristiani iracheni, minoranza vittima di violenze, abusi e intimidazioni, come testimoniano il recente omicidio di una coppia cristiana a Mosul, gli attacchi a negozi e proprietà cristiane a Zakho, ultimi episodi di una catena di soprusi che prosegue da diversi anni. Ed ora con il ritiro dell’esercito americano dal Paese la situazione rischia di degenerare, come testimonia al SIR il vicario patriarcale di Baghdad, mons. Shlemon Warduni. “Il nostro problema si chiama sicurezza – spiega il presule caldeo – per questo dovremo avere prudenza e giudizio nel celebrare le imminenti feste di Natale. Noi vorremmo dare al Natale il giusto risalto ma non è possibile per motivi di sicurezza. Non possiamo esporre i nostri fedeli al pericolo. Perciò le Messe di Mezzanotte, del 24, saranno anticipate al pomeriggio, quelle del 25 verranno celebrate al mattino presto. Io spero di poter celebrare nella chiesa dei santi Pietro e Paolo nel quartiere di Dora dove abbiamo anche un Seminario, chiuso”. I riti natalizi verranno celebrati, aggiunge mons. Warduni, “tra misure di sicurezza rafforzate come ci hanno detto le Autorità. Non solo a Baghdad. Sono stato a Zakho, dopo le violenze dei giorni scorsi, ed anche lì le istituzioni mi hanno garantito che si sta pensando a misure di sicurezza per prevenire ogni problema”. Ci sono, tuttavia, piccoli segni di speranza: “ho appena terminato un incontro sul Natale per il canale televisivo Al Arabiya. Ho notizia, poi, che alcuni importanti leader musulmani, tra cui Sayed Ammar Al-Hakim, hanno chiesto di presenziare alla Messa”. Al di là di ogni rassicurazione, prosegue il vescovo “stiamo cercando di far vivere, almeno ai nostri bambini, un clima di festa, organizzando recite e feste con Babbo Natale che offre regali. È chiaro, però, che la situazione non è tranquilla. Da una parte non manca la speranza in Dio ma dall’altra, come uomini avvertiamo paura e insicurezza. Le nostre preghiere per il Natale che viene - conclude mons. Warduni - sono rivolte proprio a chiedere pace, sicurezza e stabilità, non solo per l’Iraq ma per tutto il Medio Oriente”. (R.G.)

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    L'Assemblea dell’Onu denuncia l’Iran per il continuo ricorso a pratiche disumane e degradanti

    ◊   "Profonda preoccupazione” ha espresso ieri l'Assemblea generale dell’Onu per il continuo ricorso da parte dell'Iran a pratiche "crudeli, disumane e degradanti". La risoluzione è stata approvata con 89 voti a favore, 30 contrari e 64 astensioni. Le violazioni dei diritti umani - afferma l'Assemblea - includono la fustigazione, le amputazioni ed il ricorso alla pena capitale per crimini che non vengono chiaramente definiti, oltre ad esecuzioni, anche di gruppo, che restano segrete per le stesse famiglie degli imputati. La risoluzione denuncia la mancanza di regole di tutela internazionalmente riconosciute a salvaguardia di coloro che vengono accusati. (R.G.)

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    Nuove esplosioni in Nigeria. I vescovi: “o si impara a vivere in pace o si perisce nella violenza”

    ◊   Ancora esplosioni nel nord della Nigeria attribuite alla setta Boko Haram. Il 18 dicembre a Malikali, alla periferia di Kaduna, capitale dell’omonimo Stato, almeno una persona è morta e diverse altre sono rimaste ferite nell’esplosione di una fabbrica clandestina di ordigni esplosivi appartenente alla setta. Oltre all’edificio nel quale era nascosto il laboratorio illegale, diverse altre costruzioni circostanti sono state distrutte. Nello stesso giorno, la polizia ha scoperto un’altra struttura nascosta per la produzione di bombe nella città di Kano, capitale dell’omonimo Stato, dove, secondo i servizi di sicurezza nigeriani, la setta Boko Haram ha trasferito il suo quartiere generale, fino ad ora situato a Maiduguri, capitale dello Stato di Borno. Proprio qui il 17 dicembre tre membri della setta sono morti nell’esplosione accidentale dell’ordigno che maneggiavano. Di fronte alla continua ondata di attentati, i vescovi nigeriani hanno lanciato un appello chiedendo alla popolazione di vivere nella pace e nell’armonia perché, in caso contrario, si rischia “di perire a causa della violenza e della distruzione reciproca”. L’appello è contenuto nel comunicato del Consiglio Amministrativo della Conferenza Episcopale della Nigeria, che si è riunito il 9 dicembre nella capitale federale, Abuja. “Non possiamo non riconoscere l’urgente necessità della riconciliazione, della giustizia e della pace di fronte alle drammatiche sfide alla sicurezza nel nostro Paese. Come è stato ripetuto spesso – concludono i presuli - i nigeriani devono imparare a vivere insieme in pace, o periranno a causa della violenza e della distruzione reciproca”.

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    Ricerca Acli-Cattolica: la crisi del ceto medio è la nuova questione sociale

    ◊   “Ridefinizione delle aliquote fiscali, degli importi deducibili e detraibili sono il vero banco di prova di una riforma fiscale che voglia essere equa e giusta e intenda sostenere i soggetti e le famiglie più vulnerabili”. È la proposta che le Acli provinciali di Milano, Monza e Brianza rivolgono al governo, alla luce di un’indagine condotta con il Dipartimento di sociologia dell’Università Cattolica sui dati delle dichiarazioni dei redditi presentate negli ultimi quattro anni ai Caf Acli nelle provincie di Milano e di Monza-Brianza. L’indagine, contenuta nel volume “Ceto medio: la nuova questione politica e sociale”, è stata resa nota questa mattina a Milano, riferisce il Sir. “I risultati della ricerca – rilevano le Acli milanesi – sembrano indicare che siamo ancora in tempo a invertire la rotta per fermare la regressione sociale in atto, a condizione che la nuova questione sociale rappresentata dai ceti medi venga assunta come una priorità sul piano politico”. “Questa – sottolineano – costituisce senz’altro la priorità per le Acli. Infatti non vi può essere sviluppo sociale, nuova cittadinanza, e nemmeno i presupposti per l’uscita dalla crisi, se non si agisce per cancellare le cause che negli ultimi decenni hanno prodotto gli attuali squilibri economici e sociali”. Dall’indagine emerge un quadro preoccupante per il ceto medio. “Tra i giovani fino ai 29 anni, ma anche tra i 30 e i 39 anni – si legge nella ricerca – non solo sono calati i redditi reali (rispettivamente -6,02% e -5,39%) ma anche quelli nominali (-0,74% e -0,07%). Ancora più significativo il calo registrato tra i giovani dipendenti”. “Altrettanto critica peraltro è la situazione dei dipendenti con età compresa tra i 50 e i 59 anni (-5,07%)”. A determinare tale situazione, secondo le Acli lombarde, è la diffusione del lavoro atipico tra gli under 40, mentre tra gli ultracinquantenni “si può forse ritenere che abbia influito la diffusione della cassa integrazione che ha assicurato la continuità del lavoro, ma necessariamente eroso i redditi quando prolungata”. Inoltre, dallo studio emerge che “le coppie coniugate monoreddito (-4,82%) hanno risentito della crisi più delle altre tipologie familiari. Seguono i divorziati/e (-4,48%), i coniugi bireddito (-3,14%), i separati (-2,82%), i celibi/nubili (-1,69%) e infine i vedovi/e (-0,89%)”. In sintesi, i principali fattori che hanno colpito il ceto medio in questi anni, secondo l’indagine Acli-Cattolica, sono stati da una parte “l’aumento del costo della vita”, dall’altra “il variare delle detrazioni e delle deduzioni, che a fronte di redditi stagnanti può determinare una differenza sostanziale”.

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    Aumentano i minori stranieri non accompagnati accolti in Italia

    ◊   Sono in forte aumento i minori stranieri non accompagnati accolti in Italia: si è passati dai 5879 presi in carico nel 2009 ai 4588 nel 2010 fino ad arrivare ai circa 7500 minori censiti a novembre 2011 dal Comitato minori stranieri: è quanto emerge dal IV Rapporto 2011 Anci-Cittalia sui minori stranieri non accompagnati in Italia, presentato oggi a Roma e ripreso dal Sir. Sono sempre di più i maschi (91,4%, in aumento di due punti rispetto al 2008), sempre più avanti negli anni (il 55% ha 17 anni), provengono in maggioranza da Afghanistan (16,8%), Bangladesh (11%), Albania (10%), Paesi del Nord Africa e vengono accolti con maggiore frequenza nelle grandi città. Da una indagine che ha coinvolto 5951 comuni (il 73,5% dei comuni italiani), risulta che 845 comuni nel corso del 2010 hanno accolto minori stranieri non accompagnati. Soprattutto le città con oltre 100mila abitanti vedono aumentare il trend degli accolti (che crescono fino al 67,8% del totale). I comuni di Lazio (19,4%), Emilia Romagna (17%), Lombardia (9,8%) e Puglia (9%) hanno registrato nel 2010 il più alto numero di minori presi in carico. Per quanto riguarda gli allontanamenti volontari durante il periodo di prima accoglienza, nel 2010 si è reso irreperibile il 31,3% dei minori accolti, registrando un progressivo miglioramento rispetto all’ultima indagine, nella quale risultavano fuggiti 4 minori su 10 accolti. Secondo l’indagine i comuni migliorano la loro capacità di assicurare un’effettiva protezione ai minori accolti: sono aumentati dal 42% del 2008 al 74% del 2010 il totale dei minori che dispongono di permesso di soggiorno tra i minori accolti in seconda accoglienza e dal 36% (2008) al 65% (2010) i minori ai quali è stata attribuita la tutela. Ruolo decisivo in tal senso è stato svolto dal Programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati, finanziato dal Ministero del lavoro e realizzato dall’Anci, attivo dal 2008 coinvolgendo una rete di 32 Comuni che ha accolto più di 2600 minori per un totale di più di 150mila giornate di accoglienza fruite in comunità o in famiglia: oltre 140 minori sono stati affidati a famiglie sia straniere che italiane in seguito alla sperimentazione di questa modalità qualificata di accoglienza e integrazione. “I comuni sono responsabili dell’accoglienza e della tutela dei minori – ha affermato il sindaco di Padova e delegato Anci all’immigrazione Flavio Zanonato -. E’ quindi necessario investire con risorse dedicate e professionalità specifiche nella pronta accoglienza, per realizzare servizi di qualità che limitino il numero degli allontanamenti dei minori stranieri”.

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    Premio Onu per lo sviluppo sostenibile a tre eco-imprese in Gambia, Kenya e Nepal

    ◊   Un'azienda che trasforma i gusci di arachidi in materiale combustibile in Gambia ed un’impresa in Kenya che crea prodotti di cura per la pelle a base di aloe: sono due dei vincitori dell'edizione 2011 del Premio Onu a sostegno degli imprenditori per l'ambiente e lo sviluppo (Seed). Il riconoscimento mette in luce nuove imprese locali che hanno trovato idee creative per lo sviluppo sostenibile. ''I vincitori dei Premi Seed - spiega il segretario del Programma Onu per l'Ambiente, Achim Steiner - perseguono un modello di business che non è solo di successo ma rende profitti che rispondono ad imperativi di carattere ambientale e sociali delle comunità e dei Paesi in tutto il mondo''. Novità di quest'anno è un premio speciale dedicato alla parità di genere, assegnato ad un progetto in Nepal, che riduce i rifiuti che vanno in discarica attraverso il riciclo e l'uso dell'organico per alimentare impianti di biogas. L'attività coinvolge circa mille famiglie ed attività commerciali ed è gestito da comitati di donne, sostenuti dal comune. Tutti i vincitori del premio Seed riceveranno un pacchetto di aiuti 'su misura' per il proprio business, l'accesso ad una expertise ed assistenza tecnica, con contatti a livello nazionale e internazionale. (R.G.)

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    Il presidente dell'Europarlamento Buzek in Uruguay per il Vertice dei Paesi del Mercosur

    ◊   Visita in Uruguay in occasione di un vertice del Mercosur del presidente dell'Europarlamento, Jerzy Buzek, il quale è stato ricevuto a Montevideo dal capo dello Stato del Paese sudamericano, José Mujica. ''Siamo due gruppi di paesi importanti su entrambe le sponde dell'Atlantico, abbiamo complessivamente 750 milioni di abitanti'', ha sottolineato Buzek, rilevando l'importanza per l'Unione Europea di rafforzare la cooperazione bilaterale sia con l'Uruguay sia con il blocco del Mercosur, del quale fanno parte oltre a Montevideo anche Argentina, Brasile e Paraguay. ''Se ci uniamo, saremo più potenti a scala mondiale, con importanti vantaggi reciproci'', ha precisato il presidente dell'Europarlamento, rilevando che l'Ue, la cui popolazione è pari a circa 500 milioni di abitanti, ''può essere un socio molto importante per il resto del mondo''. Buzek parteciperà entro qualche ora ad un vertice a Montevideo tra i leader dei Paesi del Mercosur, al quale assisteranno, oltre a Mujica, anche i presidenti dell'Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, e del Brasile, Dilma Rousseff. (R.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Nuovi scontri al Cairo: tra le vittime un bambino di 12 anni

    ◊   Secondo fonti mediche, è di tre morti il bilancio dei violentissimi scontri avvenuti nella nottata tra manifestanti e forze dell'ordine a piazza Tahrir, al Cairo. Tra le vittime, anche un ragazzino di 12 anni. Da parte sua, il ministro della Sanità egiziano ha parlato solo di 39 feriti. Durante la mattinata, la piazza è parsa essere sotto il controllo dei manifestanti. Il servizio di Fausta Speranza:

    Il candidato alla presidenza egiziana, Mohamed el Baradei, chiede alle Forze armate di limitarsi alla protezione degli edifici pubblici. L'appello arriva in giorni in cui è tornata altissima la tensione ed emergono denunce di violenze contro i manifestanti, in particolare contro i reporter che cercano di raccontare quanto accade e contro le donne. In contrasto con le speranze di una maggiore libertà di informazione e la possibilità di operare più liberamente dei giornalisti in Egitto, il sindacato nazionale dei giornalisti denuncia aggressioni e arresti di operatori dell'informazione e di blogger. Ci sono poi le violenze contro le donne: il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, afferma che “le donne sono particolarmente prese di mira dalle Forze dell'ordine e dagli estremisti”. E sottolinea che tali violenze “disonorano lo Stato”. Per tutta risposta, con tono molto deciso un generale del Consiglio supremo delle Forze armate, Emad Emara, viceministro della Difesa, ha negato oggi che i suoi soldati abbiano usato forza eccessiva nei confronti dei manifestanti. Anche se per i casi dei reporter assicura che si indagherà. Però, subito dopo, il ministro dell'Interno egiziano, Mohamed Ibrahim, ha sollecitato la sicurezza centrale ad agire con la massima moderazione nei confronti dei manifestanti.

    Karzai chiede lo stop immediato dei raid notturni Nato in Afghanistan
    Il presidente afghano, Hamid Karzai, pretende uno “stop immediato” ai raid notturni della Nato sull'Afghanistan. Lo ha annunciato il suo portavoce Aimal Faizi.

    Iraq, ordine di arresto per il vicepresidente. Talabani lancia appello alla calma
    Il presidente iracheno, Jalal Talabani, ha rivolto un appello alla calma e al dialogo tra le parti politiche e confessionali per uscire dalla situazione di tensione creatasi dopo che, ieri, la magistratura ha spiccato un ordine di arresto con l'accusa di atti di terrorismo contro il vicepresidente sunnita, Tareq al Hashemi, attestao su posizioni contrapposte al primo ministro sciita, Nuri al Maliki. Occorre “concordare i modi per uscire da questa situazione in modo da salvaguardare la legge e la correttezza delle indagini e allo stesso tempo la stabilità politica del Paese, necessaria ora più che mai”, si legge in una dichiarazione diffusa da Talabani. Non è chiaro se Hashemi potrà effettivamente essere arrestato, perchè dalla scorsa domenica sera si trova nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, che ha proprie forze di sicurezza. E curdo è anche il presidente Talabani. La crisi, scoppiata in coincidenza con il ritiro degli ultimi soldati americani dall'Iraq, è stata alimentata anche dalla richiesta del premier Maliki al parlamento di ritirare la fiducia a un vice primo ministro sunnita, Salih al Mutlaq, che aveva definito lo stesso Maliki “un dittatore peggiore di Saddam Hussein”.

    Proseguono i colloqui per un governo palestinese di esperti
    Dovrà slittare almeno fino alla fine del gennaio 2012 la composizione di un governo palestinese di esperti, sostenuto da tutte le forze politiche dei Territori palestinesi. Lo ha affermato, all'emittente Voce della Palestina, Bassam al-Salhi, leader del Partito del popolo, mentre al Cairo proseguono i colloqui fra le varie fazioni palestinesi. Domani, precisa il quotidiano al-Quds, al Cairo torneranno ad incontrarsi il presidente dell'Anp, Abu Mazen (al-Fatah) ,e il leader di Hamas, Khaled Meshaal. Secondo al-Salhi, l'atmosfera dei colloqui in corso al Cairo è buona ma ancora non è stato possibile trovare un'intesa sulla composizione del futuro governo di esperti, che dovrebbe coordinare i preparativi per le nuove elezioni presidenziali e politiche, da tenersi nei Territori nel maggio 2012. Di conseguenza, gli esecutivi di Salam Fayad (a Ramallah) e di Ismail Haniyeh (a Gaza) proseguiranno le proprie attività fino a nuovo ordine.

    Kabila confermato presidente in Congo
    Joseph Kabila è stato investito per il secondo mandato presidenziale, dopo le contestate elezioni di due settimane fa. Il governo ha spiegato i carri armati nella capitale Kinshasa nel timore di nuovi scontri. Kabila, 40 anni, ha giurato di "salvaguardare l'interesse nazionale, di farsi guidare esclusivamente dall'interesse generale e dal rispetto dai diritti dell'uomo". L'unico capo di Stato presente alla cerimonia di investitura era il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe. Gli altri Stati africani invitati erano rappresentati da premier e ministri oltre agli ambasciatori di qualche Paese occidentale. Il candidato sconfitto da Kabila nelle elezioni dello scorso 28 novembre, Etienne Tshisekedi, ha subito respinto il risultato del voto autoproclamandosi "presidente eletto" e annunciando di voler prestare giuramento venerdì "davanti al popolo" nello stadio dei Martiri di Kinshasa. Davanti alla struttura, stazionano schierati quattro carri armati della Guardia repubblicana.

    Somalia, ogni sei minuti muore un bambino
    La carestia nella regione somala del Medio Shabelle, tra gli sfollati della città di Afgoye e nella capitale Mogadiscio rischia di uccidere almeno 250 mila persone entro alla fine dell'anno. Lo sostengono in un rapporto gli analisti dell'agenzia americana "Famine Early Warning Systems Network" (Fews), secondo la quale la tragedia della Somalia rappresenta la peggiore crisi umanitaria nel mondo, dove un bambino muore ogni sei minuti per la mancanza di cibo. A ciò si aggiungono le precarie condizioni di sicurezza, che impediscono alle organizzazioni umanitarie internazionali di fornire assistenza a migliaia di sfollati. Secondo il rapporto del Fews, oltre 4 milioni di somali, quasi la metà della popolazione del Paese, necessitano di assistenza umanitaria, tra cui cibo, acqua, vaccinazioni e cure e tre milioni di persone si trovano nelle zone di conflitto difficili da raggiungere.

    Spagna. Il governo Rajoy ottiene la fiducia del parlamento
    Il Congresso dei deputati di Madrid ha votato con 187 voti a favore, 149 contrari e 14 astensioni l'investitura a nuovo capo del governo di Mariano Rajoy, vincitore delle politiche anticipate del 20 novembres corso. Rajoy domani giurerà davanti a re Juan Carlos di Borbone e assumerà l'incarico, in sostituzione del socialista José Luis Zapatero. La formazione del nuovo governo spagnolo è prevista per giovedì prossimo. Il giorno dopo, ci sarà la prima riunione del nuovo Consiglio dei ministri.

    Corte Strasburgo: inadeguato il blitz russo contro i terroristi a Mosca nel 2002
    L'operazione effettuata il 26 ottobre del 2002 dalle Forze di sicurezza russe per liberare gli ostaggi tenuti da un gruppo di terroristi ceceni nel teatro moscovita Dubrovka è stata “pianificata e condotta in modo inadeguato”. A stabilirlo è la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, con una sentenza in cui si afferma anche che le autorità russe non hanno condotto un'inchiesta “efficace” sulle modalità dell'operazione. Secondo i giudici di Strasburgo, tuttavia, le autorità russe non hanno violato alcun diritto dei ricorrenti, decidendo di risolvere la crisi attraverso l'uso della forza e del gas per rendere inoffensivi i terroristi. In 64 hanno presentato ricorso: tra loro alcuni ostaggi sopravvissuti e soprattutto familiari di persone decedute durante o dopo l'assalto delle forze dell'ordine. La Corte di Strasburgo ha ritenuto che le autorità russe abbiano fallito solo nell'ottemperare a un “obbligo positivo”, che presuppone sia una corretta esecuzione di un'operazione che un'inchiesta in grado di fare piena luce sui fatti. Pertanto, i giudici non hanno riconosciuto ai ricorrenti gli indennizzi morali che chiedevano, tra i 120 mila e gli 840 mila euro, ma solo cifre che variano tra gli 8.800 euro e i 66mila euro. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 354

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.