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Sommario del 06/12/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Conferenza a Mosca sulle discriminazioni anticristiane, mons. Pezzi: cattolici e ortodossi uniti a difesa dei fratelli perseguitati
  • Messa del Papa per l'America Latina. Intervista con il prof. Carriquiry
  • Incontro tra cattolici e giainisti: rilanciare la collaborazione a partire da non violenza e carità
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Napolitano firma la manovra del governo Monti. Belletti: famiglie pesantemente penalizzate
  • A rischio la tripla "A" per Germania e Francia. Accordo Merkel-Sarkozy sulla revisione dei Trattati
  • Russia: leader dell’opposizione condannato a 15 giorni di carcere
  • Pubblicato il Rapporto dell’Osservatorio Romano delle Migrazioni
  • Un audiolibro racconta la vita del Beato Zeffirino Jiménez Malla, patrono dei Gitani, ucciso durante la guerra civile in Spagna
  • Chiesa e Società

  • Violenze in Iraq: bombe contro pellegrini sciiti e negozi cristiani
  • Iraq: per mons. Warduni il ritiro Usa è una "missione incompiuta"
  • Pakistan: a Lahore falsa accusa di blasfemia contro un cristiano. Si teme per la sua vita
  • Pakistan: a Faisalabad cristiani e musulmani invocano pari diritti e opportunità per i disabili
  • Algeria: per il ministro degli Affari religiosi, i cristiani sono liberi di costruire chiese
  • Sud Sudan: Msf chiede interventi urgenti per 13mila persone in fuga dal conflitto
  • Perù: torna la calma a Cajamarca, grazie all'intervento della Chiesa
  • Messico: la Chiesa chiede una tregua alla violenza, almeno per il tempo di Natale
  • Guatemala: il sostegno della Chiesa svizzera a mons. Ramazzini da anni al fianco degli indigeni
  • Myanmar: i vescovi chiedono un rinnovato impegno delle parrocchie contro l’Aids
  • Malaysia: la Chiesa con le altre minoranze contro la nuova legge anti-manifestazione
  • Australia: nuovo Centro studi della Compagnia di Gesù per gli aborigeni
  • Belgio: morta la veggente di Banneux: ad 11 anni le apparve la Madonna
  • Terra Santa-Usa: in collegamento internet per lanciare un messaggio di pace
  • Polonia: lo spirito missionario di Giovanni Paolo II e di Pauline Jaricot
  • A Genova esposta un’ampolla con il sangue di Giovanni Paolo II
  • Pellegrinaggio dell'urna di Don Bosco in Africa
  • 24 Ore nel Mondo

  • Giornata di sangue in Afghanistan: 60 morti in un attentato
  • Il Papa e la Santa Sede



    Conferenza a Mosca sulle discriminazioni anticristiane, mons. Pezzi: cattolici e ortodossi uniti a difesa dei fratelli perseguitati

    ◊   Unire gli sforzi per contrastare le discriminazioni anticristiane nel mondo: è il pressante appello levato, in questi giorni, da Mosca dove si è tenuta una Conferenza internazionale, promossa dal Patriarcato di Mosca proprio sulla discriminazione e la persecuzione dei cristiani. Nel suo intervento per l’occasione, l’arcivescovo Erwin Josef Ender, rappresentante della Santa Sede alla Conferenza, ha messo l’accento sulla correlazione tra la negazione della libertà religiosa e i crimini generati dall’odio contro le minoranze religiose. All’evento, è intervenuto anche l’arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, mons. Paolo Pezzi, che al microfono di Alessandro Gisotti si sofferma sull’impegno comune di cattolici e ortodossi contro ogni forma di intolleranza anticristiana:

    R. - Innanzitutto penso che occorra dire dell’importanza dell’evento: questa conferenza, promossa dal Patriarcato di Mosca, aveva come scopo porre l’attenzione sulla persecuzione dei cristiani in tutto il mondo e in particolare in quei luoghi dove questa persecuzione è cruenta. In secondo luogo, la Conferenza ha posto a tema qual è il contributo che le Chiese cristiane possono portare.

    D. - E’ significativo che sia stata fatta a Mosca, significativa anche la partecipazione di un rappresentante della Santa Sede. Quali sono le tappe che si possono pensare dopo questo evento?

    R. - La presenza della Chiesa cattolica, con l’arcivescovo Erwin Josef Ender, inviato dal Papa, la presenza del nunzio e anche la presenza della Chiesa cattolica locale ha permesso di dare un orizzonte universale alla preoccupazione relativa a questo problema. Nel suo intervento il prof. Massimo Introvigne ha ricordato che se non la si prende sul serio questa situazione, anche le nostre parole possono risultare abbastanza vuote. Che prospettive sono emerse dalla Conferenza? Anzitutto c’è stata una sottolineatura, che mi sembra importante, della possibilità di un costante monitoraggio di quello che avviene nel mondo: che ci sia cioè la possibilità e l’opportunità tra le Chiese di un’informazione. Questa informazione permette - da un lato - di comprendere l’importanza di pregare gli uni per gli altri e - in secondo luogo - permette di prendere coscienza che il fenomeno del martirio è legato alla necessità della testimonianza cristiana.

    D. - Questo rinnovato impegno può essere anche un elemento di maggior unità tra cattolici ed ortodossi?

    R. - Io penso senz’altro di sì! Nel mio breve intervento ho voluto sottolineare questo aspetto: non si tratta di mettere da parte le nostre differenze in vista di chissà quale altro scopo, ma la coscienza della persecuzione di nostri fratelli del mondo ci spinge veramente a guardare con più forza ciò che abbiamo già in comune e in forza di questo - cioè della fede in Cristo - portare assieme la nostra testimonianza, perché ci sia una difesa e una salvaguardia dei cristiani nel mondo. (mg)

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    Messa del Papa per l'America Latina. Intervista con il prof. Carriquiry

    ◊   Celebrare la festività della Vergine di Guadalupe e il bicentenario dell’indipendenza dei Paesi latinoamericani: con questi obiettivi, Benedetto XVI presiederà lunedì prossimo 12 dicembre, alle 17.30, in San Pietro, una Messa solenne. La celebrazione, organizzata dalla Pontificia Commissione per l’America Latina, vedrà la presenza di cardinali e vescovi provenienti da diversi Paesi latinoamericani, oltre a personalità politiche e rappresentanze diplomatiche di Spagna, Portogallo, Stati Uniti e Canada. Prima della Messa, alcuni giovani latinoamericani attraverseranno la navata della Basilica vaticana portando le bandiere nazionali, e renderanno omaggio all'immagine della Vergine di Guadalupe posta ai piedi dell'altare. La nostra emittente seguirà in diretta l’evento a partire dalle ore 16.50. Sull’importanza di questa Messa, padre Guillermo Ortiz ha intervistato il prof. Guzmán Carriquiry, segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina:

    R. – È un grande gesto di affetto del Papa verso l’America Latina, di sollecitudine pastorale verso le Chiese di quel continente. Certo, l’America Latina soffre per le piaghe della violenza, del narcotraffico, della disuguaglianza, degli attacchi alla famiglia, ma non solo: l’America Latina vive anche un momento propizio di una grande crescita economica, del superamento delle fasce di povertà, di un rinnovato protagonismo sulla scena internazionale. Io credo che siano grandissime le sfide che vive la Chiesa dell’America Latina, ma la sfida maggiore è sempre quella interna ad essa, la sfida maggiore è come accoglie, aderisce, celebra, vive e comunica il grande patrimonio di fede che la Provvidenza di Dio ha dato ai popoli dell’America Latina. In questo senso, la Messa del 12 dicembre, nella festività di Nostra Signora di Guadalupe - la “Pedagoga” della fede, dell’inculturazione della fede nel cuore dei nostri popoli, la Stella della nuova evangelizzazione - ci aiuterà certamente a realizzare nella vita della nostra gente ciò che confessiamo attraverso la fede, ma anche attraverso l’esperienza storica e personale dei latinoamericani, ovvero che a Cristo si arriva per mezzo di Maria. Credo che questa Messa del 12 dicembre sarà un richiamo per tutti i latinoamericani a rivivere, a riattualizzare la consapevolezza della verità, della dignità, della ragionevolezza, della bellezza dell’essere cristiano.

    D. – Durante la Messa del 12 dicembre verranno suonati anche alcuni brani creoli. Quale significato dare a questo aspetto liturgico?

    R.In accordo con il Maestro delle Celebrazioni Pontificie, il Kyrie, il Gloria, il Sanctus e l’Agnus Dei saranno presi dalle musiche di Ariel Ramirez, compositore argentino, e dalla sua “Messa creola – Misa criolla”. Si tratta di musica sacra, con una forte risonanza latinoamericana, anche perché è aiutata e sostenuta dall’uso di strumenti musicali dell’Argentina del nord e della zona andina. Se la Madonna di Guadalupe è stata la “Pedagoga” della fede in America in Latina, perché non realizzare una liturgia con tutta la dignità, la solennità e la bellezza voluta dal Santo Padre per ogni liturgia, ma allo stesso tempo, senza diminuire in niente questa dignità, solennità e bellezza, avere questa risonanza latinoamericana?

    D. – Si prevede una presenza forte non soltanto dei vescovi e dei cardinali che arriveranno dall’America Latina, ma anche dei latinoamericani residenti a Roma...

    R. – Sì, certamente: ci sarà il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede ed il Quirinale, religiosi e religiose latinoamericani con i loro superiori che sono a Roma, sacerdoti latinoamericani che studiano nelle Università Pontificie. Ma una cosa, diciamo simpatica, l’abbiamo pensata per la comunità di immigrati latinoamericani che risiedono a Roma. Sappiamo che spesso hanno lavori sacrificati, a lungo orario, e perciò io ho scritto una lettera che è stata ampiamente distribuita a Roma: è una lettera indirizzata ai datori di lavoro, chiedendo loro un gesto di benevolenza, di solidarietà, per permettere a tutti questi lavoratori latinoamericani - che conservano viva la tradizione di pietà, di fervore propria del popolo latinoamericano - di assentarsi dai luoghi di lavoro per la durata di questa celebrazione. Ciò favorirà la loro presenza alla Messa.

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    Incontro tra cattolici e giainisti: rilanciare la collaborazione a partire da non violenza e carità

    ◊   Oggi si è svolto a Roma un incontro fra una delegazione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, guidata dal cardinale presidente Jean-Louis Tauran, e una delegazione giainista, presieduta dal sig. Nemu Chandaria, vice-presidente del Consiglio direttivo dell'Istituto giainista. Si è trattato del secondo incontro dal 1995. Nel corso del colloquio, svoltosi in un’atmosfera di rispetto e amicizia reciproca – riferisce un comunicato - le due delegazioni hanno espresso soddisfazione per la collaborazione esistente fra la comunità cristiana e giainista nei Paesi dove vivono.

    Le delegazioni hanno auspicato l'ampliamento della collaborazione reciproca, e hanno concordato sulla necessità di rafforzare, a livello locale, tale collaborazione per meglio contribuire al bene comune di tutta la società. Hanno quindi messo l'accento sull'importanza dell'educazione dei giovani perché conoscano le proprie tradizioni e rispettino quelle altrui. Per rafforzare la collaborazione, sono stati presi in considerazione il principio giainista della 'non-violenza' e il principio cristiano della 'carità'. Nel corso del colloquio sono stati rintracciati elementi comuni che possono promuovere la collaborazione tra cattolici e giainisti, nella consapevolezza delle rispettive differenze. Le delegazioni hanno infine riconosciuto che tali elementi invitano, sul piano pratico, i fedeli delle due tradizioni a promuovere il rispetto reciproco, la verità, l'onestà, la libertà, la pace, l'armonia sociale, impegnandosi a eliminare ogni forma di violenza contro gli esseri umani, in particolare l'ingiustizia, la povertà e lo sfruttamento delle risorse naturali.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il punto d’equilibrio: in prima pagina, Luca M. Possati sull’intesa franco-tedesca e le incognite della crisi.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, le nuove, sanguinose violenze in Afghanistan.

    In cultura, un articolo di Sandro Barbagallo dal titolo “Quella piccola Pompei accanto all’autoparco vaticano”: dalla prossima primavera sarà aperta al pubblico la necropoli della “via Triumphalis”.

    Teologia con voce di donna: intervista di Giulia Galeotti a suor Mary Melone, nuova decano all’Antonianum.

    Leporello sindacalista: Marcello Filotei sul “Don Giovanni” alla Scala e la crisi economica.

    Anche la cetra dell’anima ha bisogno del suo plettro: Inos Biffi su musica e canto liturgico alla scuola di Sant’Ambrogio.

    Scocca l’ora delle iniziative virtuose: nell’informazione religiosa, il discorso alla città del cardinale arcivescovo di Milano per la festa di Sant’Ambrogio.

    Mi alleno da cittadino leggendo il giornale: premi dell’Osservatorio Giovani Editori.

    Risposta di unità al mondo: nell’informazione religiosa, il discorso del Patriarca di Costantinopoli, a Istanbul, alla delegazione della Santa Sede.

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    Oggi in Primo Piano



    Napolitano firma la manovra del governo Monti. Belletti: famiglie pesantemente penalizzate

    ◊   Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha firmato il decreto “Salva Italia”. Dopo l’avvio dell’iter parlamentare, la manovra, varata dal governo, dovrebbe poi ottenere il via libero definitivo del Parlamento prima di Natale. Non si esclude che il presidente del Consiglio, Mario Monti, dopo aver recepito alcune modifiche da parte dei partiti, decida di porre la fiducia, come suggerito anche dall’ex premier Silvio Berlusconi. Illustrando la manovra a Camera e Senato, il presidente del Consiglio Mario Monti ha ribadito, ieri, che “l’Italia non fallirà”. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il premier Mario Monti ha ribadito che non esiste un’alternativa alle misure anticrisi: “Al di fuori della casa dell’Unione Europea – ha detto ieri il primo ministro – ci sono il baratro e la povertà”. Il presidente del Consiglio, che ha anche annunciato la riforma del mercato del lavoro e dell’assistenza sociale, ha aggiunto che ogni deviazione dalla riduzione del debito pubblico “rischia di far sprofondare il Paese in un abisso”: “L’esempio della Grecia – ha ricordato – è vicino”. Diversi partiti politici hanno espresso il loro sostegno alle misure anticrisi varate dal governo. Il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, ha detto che su alcuni temi, come infrastrutture e imprese, la manovra “fa registrare una continuità con le linee tracciate dal governo Berlusconi”. Sostegno alla manovra anche dal capogruppo del Pd alla Camera, Dario Franceschini, che ha chiesto “un prelievo maggiore sullo scudo fiscale” da chi ha evaso ed esportato capitali all’estero. Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, ha detto che le misure sono necessarie perché l’euro “è sotto attacco” e l’Italia è “sull’orlo del baratro”. Sostegno “pieno e leale” al governo Monti anche da “Futuro e Libertà”: per il capogruppo alla Camera, Benedetto Della Vedova, la manovra è “il primo, ma importante passo affinché l’Italia possa rimettersi in carreggiata”. Il capogruppo di ‘Italia dei Valori”, Massimo Donadi, giudica invece “inaccettabile” la manovra ed invita il governo ad un “confronto parlamentare”. Contrarietà alle misure è stata espressa anche dal capogruppo della Lega, Marco Reguzzoni, secondo cui la manovra, giudicata “non equa”, “deprimerà ulteriormente il Paese”. Per la Confcommercio, secondo cui nel 2011 l’Italia è già in recessione, sarà un Natale sottotono, ma non disastroso per i consumi. In Italia, intanto, i sindacati Cisl, Uil e Cgil hanno già fissato uno sciopero, per ora separato, previsto per lunedì prossimo, il 12 dicembre, contro la manovra considerata iniqua. Dall’Unione Europea, infine, arrivano consensi e apprezzamenti. Il commissario Ue per gli Affari economici e monetari, Olli Rehn, ha definito le misure anticrisi un pacchetto “tempestivo e ambizioso, poiché dà il segnale che serviva di un nuovo approccio alla politica economica”.

    Diversi osservatori sottolineano che le misure anticrisi avranno pesanti effetti sul bilancio delle famiglie. Secondo l’Osservatorio nazionale “Federconsumatori”, le ricadute economiche sono quantificabili in 1173 euro annui per famiglia. Sulla manovra varata dal governo Monti ascoltiamo, al microfono di Amedeo Lomonaco, il commento del presidente del Forum delle Associazioni Familiari, Francesco Belletti:

    R. - Parlare di famiglia rispetto a questo provvedimento significa mettere in discussione l’equità, che non dipende da questa manovra: noi siamo in una situazione di ingiustizia verso le famiglie con carichi familiari ereditata da 20 anni di governi. Questa manovra conserva una grande iniquità e, soprattutto, non fa niente per sostenere le famiglie con carichi familiari, che sono già pesantemente penalizzate. Anzi, aggiunge alcuni interventi che genereranno ulteriori difficoltà alle famiglie.

    D. - A proposito di interventi, quello più consistente riguarda il sistema delle pensioni: come influiranno questi provvedimenti sulle famiglie?

    R. - E’ il tema più caldo e riguarda proprio il sistema economico complessivo. Noi sottolineiamo che anche in questa manovra si poteva inserire un’attenzione alla famiglia. Da qualche anno stiamo chiedendo di riconoscere alle donne, per esempio, due anni di contribuiti figurativi per ogni figlio perché, di fatto, lo svantaggio della donna sul mondo del lavoro è primariamente legato al fatto che le carriere vengono interrotte. Su questo non c’è nessun sostegno. Si poteva, quindi, ‘colorare’ di famiglia anche l’intervento sulle pensioni.

    D. - Ben 11 miliardi delle maggiori entrate previste dalla manovra di 30 miliardi di euro lordi, saranno garantiti dal complesso di misure sulla casa. Imposte, anche queste, che colpiranno le famiglie…

    R. - E’ incomprensibile come la politica non capisca che i beni hanno valore in funzione delle persone che li utilizzano. Cento metri quadri per due persone sono una dotazione di lusso per una casa; cento metri quadri per sei persone, forse, sono insufficienti. In generale si può dire che manca la ‘misura di famiglia’ in questa manovra.

    D. - E non è neanche ‘a misura di famiglia’ l’aumento - previsto a partire da settembre - dell’Iva di due punti percentuali…

    R. - Anche qui si spara nel mucchio, nel senso che l’aumento dell’Iva collegato ai consumi colpisce chi più consuma: una famiglia con cinque-sei persone consuma di più e viene ulteriormente penalizzata dall’aumento dell’Iva. Quindi chi ha più figli pagherà di più!

    D. - Sta per cominciare l’iter parlamentare della manovra. Quali sono le modifiche più urgenti che chiedete?

    R. - Io credo che sia ancora possibile sicuramente modulare la tassa sulla casa in funzione dei nuclei familiari: la franchigia non deve essere solo sul valore della casa, ma deve cambiare in funzione del numero di persone che abitano in quella casa. Stessa riflessione, probabilmente, anche sull’Iva: rivedere quali sono i prodotti che devono essere sottoposti a questo prelievo… Questo governo deve dare un segnale forte a favore della famiglia, altrimenti resterà una quota di iniquità molto forte nella manovra. (mg)

    Il capitolo sicuramente più consistente della manovra del governo Monti resta comunque quello relativo alla nuova previdenza. Tutti in pensione più tardi e con compensi più bassi ma più equi? Si possono riassumere così le nuove regole? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Vincenzo Ferrante ordinario di Diritto del lavoro e previdenza sociale alla Cattolica di Milano:

    R. - Si può dire tutti in pensione con più versamenti: certamente anche con una maggiore proporzione fra quanto si è versato e quando si otterrà.

    D. - Il ‘contributivo’ per tutti va nel senso dell’equità?

    R. - Il precedente sistema utilizzava per calcolare la pensione solo le ultime retribuzioni: non c’era commisurazione, non c’era proporzione tra quanto si versava in termini di contribuiti e quanto si riceveva. Col sistema del contributivo, invece, i contribuiti servono da base per la pensione: si applica un parametro che tiene conto dell’età del soggetto e quindi della speranza di vita e, quindi, degli anni in cui gli verrà pagata la pensione. Certamente questo sistema, che va - come dire - a ridurre i costi per lo Stato, riduce e anche di molto l’importo delle pensioni per i singoli.

    D. - Altro aspetto della nuova previdenza è sicuramente quello relativo alle regole più severe per andare a riposo prima dei 66 anni, anche penalità per chi lascia prima dei 62 e comunque uscire dal lavoro più anziani: questo come lo valuta?

    R. - Va letto bene. Ovviamente, questo significa che si lavora di più, si vive di più… E’ chiaro, però, che tutta una serie di misure, di cui noi non ci preoccupavamo, perché si andava in pensione tutto sommato molti giovani, adesso devono essere attivate. Ripeto che è difficile pensare che tutti i lavoratori - anche quelli manuali, anche quelli impegnati in attività faticose - possano effettivamente raggiungere quell’età in buone condizioni di salute.

    D. - Altro aspetto doloroso della manovra è il blocco dell’indicizzazione delle pensioni superiori ai 935 euro…

    R. - Qui quello che lascia veramente sbigottiti è - come dire - la correlazione che ha istituito il governo. Il governo ha istituito una tassa dell’1,5 per cento sui capitali che sono rientrati dall’estero: ci sono persone che hanno evaso il fisco, hanno portato i soldi all’estero, li hanno riportati e portano ora a casa un guadagno del 37 per cento. Sarebbe logico che il prelievo fiscale su questi capitali - se collegato alla garanzia del mantenimento del potere d’acquisto dei redditi più bassi - fosse assai più elevato. (mg)

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    A rischio la tripla "A" per Germania e Francia. Accordo Merkel-Sarkozy sulla revisione dei Trattati

    ◊   L'agenzia di rating "Standard & Poor's" ha comunicato a Germania e Francia che saranno messe sotto osservazione con "creditwatch negative". E’ quanto scrive il Financial Times, spiegando che l'agenzia di rating ufficializzerà la decisione nelle prossime ore. Berlino e Parigi rischiano dunque di perdere la tripla "A" se la revisione di S&P, che durerà 90 giorni, dovesse dare esito negativo. Con Germania e Francia, verranno messe sotto osservazione anche Olanda, Austria, Finlandia e Lussemburgo. Intanto, la Merkel ha ribadito che Germania e Francia andranno avanti sul percorso di riforme individuato. La cancelliera tedesca ha parlato, stamane, in una conferenza stampa a Berlino, dopo il bilaterale di ieri con il presidente francese Sarkozy. I due leader europei spiegano i contenuti dell’accordo raggiunto in una lettera che sarà presentata al presidente del Consiglio dell’Unione Europea, Van Rompuy, in vista del vertice Ue dell’8 e 9 dicembre. L’accordo in sostanza chiede la revisione dei Trattati per poter pretendere verifiche sul rispetto dei vincoli comunitari in materia di conti pubblici. Dunque: sanzioni automatiche e vincolo costituzionale dei singoli Paesi sul principio di pareggio di bilancio. Fausta Speranza ne ha parlato con il prof. Giandonato Caggiano, docente di diritto dell’Unione Europea all’Università Roma Tre:

    R. - Nella Gazzetta Ufficiale del 23 novembre, vi sono ben sei Atti Giuridici, che apportano già una riforma molto importante per la correzione degli squilibri macroeconomici, per l’accantonamento di quote a fronte di sanzioni automatiche, di quote infruttifere degli Stati: sono cinque regolamenti e una direttiva. Evidentemente non sappiamo - al di là delle notizie di stampa - esattamente come le proposte della Merkel e Sarkozy il giorno 8 si tradurranno in una proposta precisa e articolata. L’8 il Consiglio europeo avrà sul tavolo questa proposta franco-tedesca ed è una cosa, questa, tutto sommato anche abbastanza singolare, perché le proposte legislative devono sempre venire dalla Commissione e quindi potrà essere evidentemente soltanto un testo politico, ma un testo politico di grande autorevolezza proprio perché arriva dai due "primi della classe"… In ogni caso, la riforma deve avere procedure formali, ovvero la possibilità di firmare un nuovo Trattato - e eventualmente di sottoporlo a referendum in alcuni Stati membri ma la cosa non è auspicabile, perché tutto si bloccherebbe - o una revisione formale che dovrebbe apportare modifiche, ulteriori a quelle che, come abbiamo ricordato, sono state già previste e messe a punto.

    D. – Si chiede di inserire il principio del pareggio di bilancio nella Costituzione di ogni Paese: dal punto di vista del diritto che cosa significa?

    R. - E’ una richiesta di compromesso. Vuol dire che si rispetta la sovranità degli Stati rispetto a questa fattura dei bilanci, che non vi è ancora una gestione unitaria dei bilanci che, evidentemente sarebbe l’ipotesi più avanzata, ma si inducono gli Stati a prevedere nei loro ordinamenti nazionali questa clausola di parità. In sostanza per il futuro, ogni anno si dovrà spendere quello che si riceve dalle imposte, dal bilancio dello Stato. Dunque, con questa regola - gestita a livello nazionale, ma controllata a livello comune, a livello europeo - non ci potrà evidentemente più essere un incremento dei passivi, che gli Stati membri hanno accumulato in tutti questi anni. Questo esce dalla sfera intergovernativa per entrare in una sfera sovranazionale.

    D. - Quindi da un’unione monetaria stiamo passando faticosamente a una politica economica: ma potrà esserci politica economica, senza politica fiscale?

    R. - E’ realmente inammissibile che si assumano iniziative di corresponsabilità, di gestione comune della parte economica, che si riferisce ai bilanci e quindi al modo con il quale gli Stati si procurano le risorse, senza che si armonizzi anche la tassazione fiscale. Questa è la frontiera: un autentico tabù per moltissimi Stati, alcuni di questi - come l’Inghilterra - però non è nell’Euro. Da qui nasce la possibilità che l’unione fiscale sia collegata soltanto alla zona Euro e quindi l’ipotesi di un sistema a due velocità che unisca queste proposte che sono già emerse con una prima ipotesi di Europa fiscale. Non si può immaginare che ci sia una concorrenza sleale, creando ovviamente un “turismo delle imprese”, che vanno in quei Paesi che hanno un sistema fiscale particolarmente conveniente. (mg)

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    Russia: leader dell’opposizione condannato a 15 giorni di carcere

    ◊   Tensione in Russia dopo le elezioni parlamentari: uno dei leader dell’opposizione russa, Ilya Iashin, è stato oggi condannato da un tribunale di Mosca a 15 giorni di carcere con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Iashin era stato fermato ieri nella capitale russa, assieme ad altre 300 persone, durante una manifestazione di protesta contro il risultato delle legislative di domenica. Tra i fermati a Mosca anche Alexei Navalni, il più popolare blogger russo anticorruzione. Dal canto suo, il premier Vladimir Putin ha detto che sono necessari seri cambiamenti nel governo dopo le elezioni presidenziali di marzo. Sul valore di queste proteste e la forza dell'opposizione, Emanuela Campanile ha intervistato Fabrizio Dragosei, corrispondente da Mosca del “Corriere della Sera”:

    R. - Finché le cose in Russia andavano molto bene con una crescita economica sostenuta, la gente era anche disposta a non dire nulla sulla situazione politica, su quest'impasse - che alcuni paragonano alla stagnazione dell’epoca brezneviana - in cui nulla cambia, in cui Putin e Medvedev si scambiano i ruoli punto e basta. Ma siccome anche in Russia le cose non vanno così bene, la crisi si fa sentire, questa decisione di rimanere permanentemente al potere con un semplice cambio di ruoli ha riacceso gli animi ed è un po’ alle origini di queste proteste ovviamente scatenate dal fatto che queste elezioni non sono certamente un esempio di elezioni trasparenti come le intendiamo noi.

    D. – La notizia è che è stato condannato proprio oggi dal tribunale di Mosca a 15 giorni di prigione Ilya Yashin, uno dei leader di Solidarnost, che è stato fermato ieri insieme ad altre 300 persone…

    R. – In Russia l’opposizione democratica è frantumata e ottiene molto poco seguito, o un seguito relativamente limitato, nella popolazione russa. Alle elezioni questi gruppi, soprattutto alcuni, ad esempio il famoso Navalny - che è uno dei giovani più conosciuti sulla blogsfera - avevano invitato a votare per tutti meno che per il partito del potere, cioè Russia Unita. I voti sono andati poi ai comunisti, ai liberaldemocratici di Zhirinovsky, ma l’opposizione liberale e democratica - che in questo caso poteva essere rappresentata nelle urne da Yabloko - ha preso solamente il tre per cento. Il problema vero è anche che nell’opposizione manca una figura di spicco che possa coagulare un po’ tutti questi rivoli che finiscono poi per disperdersi. (bf)

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    Pubblicato il Rapporto dell’Osservatorio Romano delle Migrazioni

    ◊   Cresce nel Lazio ed in particolare a Roma il numero di immigrati residenti. In aumento soprattutto i nuovi nati, ma anche i matrimoni misti, e la percentuale di studenti stranieri regolarmente iscritti nelle scuole e nelle università della provincia romana. Sono i dati che emergono dall’ottavo rapporto dell’Osservatorio Romano delle Migrazioni, realizzato dalla Caritas diocesana, con la Provincia e la Camera di Commercio. Il significato dei numeri e le prospettive che ne derivano riassunte nello slogan “Insieme per le vie del futuro” sono state presentate ieri in conferenza stampa nella capitale. C’era per noi Cecilia Seppia:

    Di fronte ad un’emigrazione ancora sostanziosa e ad una popolazione sempre più anziana, la presenza di stranieri sul territorio italiano vanta un indubbio fattore di rinnovamento e dinamismo: 550 mila è il numero di quelli che hanno la residenza nella regione Lazio. L’81,6 per cento vive nella provincia di Roma, che così si conferma vera capitale dell’immigrazione, ma anche centro indiscusso di scambio culturale. Sono soprattutto romeni, poi polacchi, bangladesi, albanesi ed infine crescono le collettività di più recente arrivo, come cinesi e moldavi. Differentemente da quanto si pensa, sono per lo più cristiani cattolici, poi ortodossi, protestanti e solo il 16 per cento si dichiara musulmano. La maggior parte lavora nei servizi, poi nell’industria e nell’agricoltura, mentre addirittura spopolano nel settore delle costruzioni. Inoltre, dato positivo, sono 22 mila i cittadini stranieri titolari di impresa. L’inserimento sociale degli immigrati presenta però luci ed ombre, a cominciare da quel concentrato di diritti troppo spesso negati che è la cittadinanza. Mons. Enrico Feroci, direttore Caritas di Roma:

    “Credo sia necessario dare la cittadinanza. Non se ne può fare a meno, perché siamo arrivati ad un punto in cui coloro che sono nati sul nostro territorio devono sentirsi italiani, perché parlano italiano, frequentano le scuole, sono integrati con i loro compagni, vivono nei nostri contesti. Per questo si sentono italiani, e devono sentirsi tali anche attraverso i documenti”.

    Vero motore di un’Italia piegata dalla crisi, gli immigrati vengono ancora percepiti come una minaccia ma, ciò che è peggio, come “usurpatori di lavoro”. Franco Pittau, curatore dell’Osservatorio:

    Crisi si è abbattuta pesantemente sugli immigrati. Non è vero che gli immigrati non pagano: pagano molto più severamente di noi italiani, perché dopo sei mesi di disoccupazione, se non hanno trovato un nuovo posto di lavoro, perdono il diritto a restare in Italia. Come fa un immigrato, che magari si trovava qui da cinque, sei o dieci anni, che non ha ancora la carta di soggiorno perché questa sarebbe una garanzia, a trovare un posto di lavoro quando i posti di lavoro si perdono e non si creano? Questa è una contraddizione presente nel nostro Paese. A me piacerebbe dire ai radioascoltatori di vedere le cose non sotto l’aspetto della paura, ma anche di utilità in favore della nostra società. Abbiamo un immigrato che è venuto qui, ha imparato la lingua, conosce gli uffici pubblici, ha fatto venire la moglie, accompagna i figli a scuola, si è creato degli amici fra gli stessi immigrati, dopo tre anni magari ha ricevuto una qualifica per un lavoro che non faceva nel suo Paese, ma è diventato così bravo da ottenerla e noi che interesse possiamo avere a mandare via queste persone che sono già ‘doc’ e farne venire altri? Nel mentre, ovviamente, i flussi continuano. La vera politica migratoria, quindi, è una politica di stabilità”.

    Non solo per i numeri, dunque, Roma si conferma esempio di buone pratiche per favorire integrazione e convivenza. Claudio Cecchini, assessore alle Politiche sociali della capitale:

    “Noi operiamo soprattutto su due piani. Da una parte alcuni servizi concreti, perché gli immigrati vanno aiutati, accompagnati. L’altra prevede un’azione di carattere culturale, di informazione e sensibilizzazione della pubblica opinione per togliere pregiudizi, stereotipi ed incomprensioni. Gli incontri nelle scuole sono un esempio di quell’azione di informazione, sensibilizzazione ed educazione all’accoglienza”.(vv)

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    Un audiolibro racconta la vita del Beato Zeffirino Jiménez Malla, patrono dei Gitani, ucciso durante la guerra civile in Spagna

    ◊   “Non mi vedrete morire” è il titolo dell’audiolibro sulla figura del Beato Zeffirino Jiménez Malla, primo zingaro della storia ad essere beatificato. E' stato Giovanni Paolo II ad elevarlo all'onore degli altari nel 1997, proclamandolo patrono di tutti i Gitani. Il volume - edito dalla San Paolo ed arricchito da un Cd - è stato presentato stamane nella sede della nostra emittente da mons. Bruno Schettino, presidente della Fondazione Migrantes e da mons. Giuseppe Merisi, presidente della Caritas italiana. Il servizio di Roberta Gisotti:

    “Uno zingaro, un analfabeta. Un uomo nobile”, così Susanna Tamaro descrive nella prefazione dell’audiolibro il Beato Zeffirino, detto el Pelé, nato 1861 in Spagna, di etnia rom, cattolico, “uomo molto popolare ed influente” tra la sua gente ma sempre umile, allegro e gioviale con tutti, “amico dei poveri”, onesto “commerciante di cavalli”. Venne brutalmente fucilato durante la guerra civile per aver preso le difese di un sacerdote. Disse una volta "non mi vedrete morire": certo fu profeta. Una persona che parla ai nostri tempi pieni di paure e pregiudizi sui zingari. Mons. Bruno Schettino:

    R. - Sicuramente perché un Beato è sempre un esempio, un modello di vita e anche per tanti gitani può essere l’esempio di come, da una parte, integrarsi nel territorio, integrarsi nella vita della Chiesa e, allo stesso momento, anche accettare le regole della vita sociale. Per cui, da una parte, è necessario che i gitani - nostri fratelli rom e sinti - siano accolti e lavorino nel proprio ambiente, ma che abbiano anche - dall’altra - il riconoscimento di tante necessità scolastiche, ambientali, di lavoro e anche di abitazione. L’esemplarità della vita del Beato Zeffirino è quindi un incitamento a dare contenuti forti ed esperienza veramente appassionata per queste realtà umane, tante volte povere.

    D. - Si è scelta la formula dell’audiolibro, pensando forse soprattutto ai giovani?

    R. - Il testo è veramente molto bello, molto leggibile, intercalato anche da brani musicali e, alla fine, si conclude con Fabrizio De André che canta “Khorakhané”. Quindi anche un aiuto ai giovani, perché attraverso l’ascolto e attraverso l’esemplarità della vita del Beato possano trovare significato anche nel vivere con umiltà, ma anche con grande disponibilità interiore il rapporto con i rom e con i sinti.

    D. - Viviamo un tempo di crisi economica, ma - possiamo dire - anche di valori: lei, quale presidente di Fondazione Migrantes, teme delle ripercussioni anche sui rapporti tra Stato e comunità nomadi?

    R. - Io temo non soltanto per i rom e i sinti, ma temo anche per i tanti e tanti immigrati clandestini: non è l’immigrato in sé che crea difficoltà, ma crea difficoltà l’immigrato clandestino, perché non ha alcun diritto. In questa situazione, non potendo lavorare e non potendo essere riconosciuto per i suoi diritti, sicuramente avrà molta sofferenza proprio per quanto riguarda questo processo di nuova tassazione, ma anche di ristrettezza economica. (mg)

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    Chiesa e Società



    Violenze in Iraq: bombe contro pellegrini sciiti e negozi cristiani

    ◊   È di 30 morti il bilancio di una serie di attacchi avvenuto ieri in Iraq. L’attentato più sanguinoso è avvenuto nell’area di al-Nil, a nord della città di Hilla: un’autobomba è esplosa mentre transitava una processione, provocando la morte di 16 persone fra cui donne e bambini. A seguire, un doppio attacco, in due zone diverse della capitale Baghdad, ha provocato almeno 11 vittime. Le violenze contro la comunità sciita irakena nel mese sacro di Muharram-ul-Haram, che culminerà oggi nella festa dell’Ashura – il “lutto” per il martirio dell’imam Husayn nel VII secolo – seguono di pochi giorni gli attacchi contro negozi e attività di cristiani nel nord. Da anni, la festa dell’Ashura in Iraq è occasione di violenze interconfessionali fra la maggioranza sciita e la minoranza musulmana sunnita, al potere ai tempi di Saddam Hussein. La tensione si è acuita con l’invasione statunitense nel 2003 e la seguente caduta del regime. Da due anni, il controllo della sicurezza è affidato alle sole forze irakene, in previsione del ritiro completo delle truppe americane dal Paese, circa 10mila uomini, che partiranno entro fine anno. Testimoni oculari dell’attentato ad Hilla raccontano che la bomba ha colpito quanti si trovavano in fondo alla processione: “Si è trattato – riferisce un testimone – di un’esplosione terribile, si sentivano le urla di donne, e a terra vedevo i corpi riversi di donne e bambini”. Il 2 dicembre, gli estremisti islamici hanno preso di mira negozi e attività dei cristiani nella regione del Kurdistan irakeno: a Zakho, 470 km da Baghdad, nei pressi del confine con la Turchia, un gruppo fondamentalista aizzato dal sermone dell’imam locale ha devastato decine di negozi di liquori, un albergo e centri massaggi, causando il ferimento di almeno 30 persone. Gli attacchi sono continuati anche nei giorni successivi a Dohok, dove sono stati bruciati tre negozi e un circolo appartenente ai cristiani caldei. Gli attacchi - riferiscono fonti locali all'agenzia AsiaNews - sono il frutto “di una campagna” che prende di mira “tutto ciò che è contrario alla shariah” promosso da islamisti che intendono radicalizzare tutto il Paese. Purtroppo, aggiunge la fonte, manca “un movimento moderato” capace di contenere la deriva fondamentalista. “Gli attacchi contro i cristiani nel nord – avverte la personalità cristiana – sono ben preparati e hanno uno scopo ben preciso: intimare ai curdi di non sostenere la resistenza siriana”. Anche questa volta la comunità cristiana, un “facile obiettivo”, è vittima di interessi superiori e “giochi per la conquista del potere”. (A.L.)

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    Iraq: per mons. Warduni il ritiro Usa è una "missione incompiuta"

    ◊   “Gli Usa avrebbero dovuto pacificare il Paese e solo dopo lasciare l’Iraq”. È il commento rilasciato all'agenzia Sir dal vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, sul ritiro definitivo dei soldati Usa dall’Iraq entro la fine dell’anno. Mons. Warduni si dice preoccupato per la sicurezza nel Paese e per le recenti violenze anticristiane a Zakho, in Kurdistan, regione ritenuta fino ad oggi tranquilla per i cristiani: “Il governo afferma che, dopo il ritiro, è pronto a prendere in mano la situazione e sinceramente non so come ciò sarà possibile – aggiunge il presule – se non finiranno gli attentati con kamikaze e autobombe. Come avere fiducia quando solo pochissimi giorni fa è stata fatta scoppiare un’autobomba al Parlamento, e a Zakho, venerdì scorso, sono stati distrutti locali e abitazioni dei cristiani? Fatti del genere danneggiano tutta la nazione”. “Il governo non è in grado di proteggere il suo popolo – denuncia il vescovo – la gente perde fiducia ed emigra. Serve allora un grande sforzo da parte del mondo politico per lavorare disinteressatamente a favore del bene comune, sacrificandosi con amore per questo. Quell’amore che sembra essere stato smarrito anche da molti cristiani e non solo in Iraq. Senza fede in Dio non si va da nessuna parte”. (R.P.)

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    Pakistan: a Lahore falsa accusa di blasfemia contro un cristiano. Si teme per la sua vita

    ◊   Un cristiano di 25 anni è stato accusato ieri di blasfemia a Lahore, nel quartiere di Qazi, Shahdra. Khurram Masih, sposato da due mesi, muratore, stava lavorando nella residenza di Abdul Majeed. Dopo aver completato l’installazione di alcune piastrelle di marmo - riferisce l'agenzia AsiaNews - stava raccogliendo pezzi di carta, giornali e tavolette di legno per bruciarle. Abdul Majeed ha visto quegli avanzi che bruciavano e ha cominciato a urlare che Khurram Masih aveva strappato e dato alle fiamme pezzi di Corano. Gli altri lavoratori si sono radunati, hanno aggredito Masih e lo hanno portato alla stazione di polizia. Abdul Majeed ha avanzato la richiesta di sporgere denuncia contro Khurram Masih per blasfemia. Leader religiosi, insieme con attivisti per i diritti umani si sono radunati alla stazione di polizia e hanno cercato di risolvere la questione, ma gli agenti e i residenti locali non volevano lasciare andare via Masih, e continuavano a insistere perché la denuncia fosse accolta. E questa mattina è stato registrato a nome di Khurram Masih un Fir (First Information Report) per blasfemia in base al codice penale pakistano. Gli attivisti per i diritti umani, fra cui Khalid Shahzad e Khalid Gill, erano presenti alla stazione di polizia; hanno chiesto protezione per l’accusato e hanno protestato perché l’accusa era falsa. I gruppi estremisti hanno annunciato con gli altoparlanti che un cristiano aveva dissacrato il Corano e doveva essere punito. Gli attivisti dei diritti umani sono preoccupati per la sicurezza di Khurram Masih, che non è al sicuro nella stazione di polizia di Shahdra. Padre Francis Xavier, della diocesi di Lahore, ha dichiarato ad AsiaNews: “E’ un incidente molto triste, il giovane uomo è stato accusato falsamente di blasfemia. La persona che ha avanzato la denuncia è legata a gruppi religiosi, ed è noto per il suo odio verso i non musulmani. Sono stati fatti annunci nella zona con incitamento all’odio verso i cristiani. Abbiamo paura per la vita di Khurram Masih, bisogna che gli sia assicurata protezione da chi vuole ucciderlo”. L’introduzione delle famigerate leggi sulla blasfemia nel 1986, durante la dittatura del generale pakistano Zia ul-Haq, hanno determinato una crescita esponenziale nelle denunce per “profanazione del Corano” o “diffamazione del profeta Maometto”. Tra il 1927 e il 1986, anno in cui è stata approvata la “legge nera”, si sono registrati solo sette casi accertati di blasfemia. Invece, dal 1986 ad oggi le vittime sono salite a oltre 4mila e il dato è in continuo aumento: basti pensare che dal 1988 al 2005, le autorità pakistane hanno incriminato 647 persone per reati connessi alla blasfemia, mentre negli ultimi anni sono migliaia i casi di cristiani, musulmani, ahmadi e fedeli di altre religioni accusati sulla parola, senza il minimo indizio di colpevolezza. (R.P.)


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    Pakistan: a Faisalabad cristiani e musulmani invocano pari diritti e opportunità per i disabili

    ◊   Approfondire le conoscenze sui problemi che ruotano attorno alla disabilità, sottolineare il valore della dignità della persona, promuoverne i diritti e il benessere, favorirne l’integrazione sul piano politico, sociale, economico e culturale. Con questo spirito - riporta l'agenzia AsiaNews - cristiani e musulmani in Pakistan hanno celebrato, lo scorso 3 dicembre, la Giornata internazionale delle persone con disabilità. All’insegna del tema “Insieme per un mondo migliore per tutti: anche per le persone con disabilità nello sviluppo”, in tutto il Paese si sono tenute mostre, seminari, conferenze e marce, che hanno cercato di coinvolgere il maggior numero di persone. Fra i molti obiettivi della campagna di sensibilizzazione, che ha unito persone di fede diversa, far conoscere le potenzialità dei portatori di handicap, che possono svolgere un ruolo attivo insieme ai normodotati, anche se permangono resistenze e ostacoli in vista di un pieno inserimento sociale. Per ricordare la Giornata internazionale, a Fasialabad (nel Punjab) si sono dati appuntamento persone di diversa estrazione sociale, scolastica, religiosa, insieme a persone affette da disabilità, funzionari di governo e rappresentanti della società civile. Il gruppo attivista cristiano Association of Women for Awarness and Motivation (Awam) ha promosso una manifestazione di piazza per condannare discriminazioni e maltrattamenti di cui sono vittime i portatori di handicap in Pakistan. Al termine della marcia i partecipanti si sono riuniti in un locale compreso all’interno della locale cattedrale cattolica, per animare un seminario intitolato “Ambiente accessibile per tutti”. Molti gli interventi di personalità cristiane e musulmane, in cui è emersa la preoccupazione per la condizione dei disabili, in particolar modo se si tratta di donne e bambini. Shazia George sottolinea che “la disabilità esiste nelle infrastrutture, in seno alla società nei modi di pensare e nei comportamenti, non nella persona che ha impedimenti”. La donna chiede che il governo lavori per eliminare le barriere architettoniche e adegui lo standard dei servizi e trasporti pubblici anche per i portatori di handicap. Le fa eco suor Josephine Emmanuel, secondo cui “le persone con disabilità hanno bisogno di attenzioni adeguate”, che permettono loro di contribuire allo sviluppo sociale. La religiosa chiede un censimento esatto delle persone affette da disabilità e che venga riservata loro “una quota nel settore dell’istruzione e del pubblico impiego”. I disabili non sono soggetti solo a odio, discriminazione, violenza – spiega Naseem Anthony – ma anche della malagiustizia, per l’inerzia delle autorità e la mancata applicazione di norme e politiche adeguate per la loro tutela. Il Pakistan ha sottoscritto, aggiunge, la convenzione per i diritti delle persone disabili (Crpd) e deve lavorare per “creare un ambiente accessibile e rimuovere gli ostacoli sociali, economici, politici e legali”. Servirebbe un “istituto indipendente”, suggerisce Nazia Sardar, e un “sistema di monitoraggio” per assicurare la piena applicazione del Crpd. (R.P.)

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    Algeria: per il ministro degli Affari religiosi, i cristiani sono liberi di costruire chiese

    ◊   “I cristiani sono liberi di associarsi per raccogliere fondi e costruire chiese”. Lo ha dichiarato nei giorni scorsi il Ministro degli Affari religiosi algerino Bouabdallah Ghulamallah a margine del question time al parlamento di Algeri. Il ministro – citato dal quotidiano locale “Liberté” - ha voluto così rispondere alle voci che lamentano la mancanza di luoghi di culto per i cristiani nel Paese. Tra queste quella dell’arcivescovo della capitale mons. Ghaleb Moussa Abdallah Bader, che in una recente intervista a un settimanale televisivo e radiofonico prodotto dal Catholic Radio and Television Network, in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), aveva evidenziato le difficoltà create dalla Legge sui culti che punisce con il carcere chi viene accusato di compiere atti di proselitismo e limita le pratiche religiose, l’attività o il culto soltanto all’interno delle chiese. Un problema, aveva detto il presule, che si pone soprattutto per gli evangelici e protestanti che non hanno luoghi di culto, ma anche per i cattolici, quando vogliono organizzare attività religiose all’esterno. Ai giornalisti il Ministro Ghulamallah ha smentito l’esistenza di particolari restrizioni nei confronti dei cristiani in Algeria, sottolineando che essi esercitano il culto “in un quadro regolamentato” e che “tutti gli individui sono uguali davanti alla legge”. Ghulamallah ha anche ricordato che l’ordinamento algerino prevede sanzioni “contro qualsiasi attacco ai culti”. Promulgata nel 2006, la Legge sui culti ha creato non poche frizioni in questi anni con la minoranza cristiana in Algeria, una comunità che, secondo le stime ufficiali, conta oggi poco più di 10 mila persone su 35 milioni di abitanti. All’origine del provvedimento vi sarebbe la volontà delle autorità algerine di controllare il proselitismo di alcuni gruppi cristiani evangelici attivi da alcuni anni nel Paese. (L.Z.)

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    Sud Sudan: Msf chiede interventi urgenti per 13mila persone in fuga dal conflitto

    ◊   Sono già 13 mila – tra uomini, donne e bambini – i rifugiati che nelle ultime settimane hanno attraversato il confine del Sudan fuggiti dai combattimenti nello Stato del Nilo Azzurro e sono entrati nel nuovo Stato indipendente del Sud Sudan. A darne notizia è Medici Senza Frontiere (Msf) che ha appena avviato un intervento medico d’emergenza nel villaggio di Doro, dove è stato allestito un punto di raccolta. “Non è ancora un campo rifugiati”, osserva Jean-Marc Jacobs, vice capomissione in Sud Sudan, “ma la coda dei nuovi arrivi per la registrazione è sempre più lunga” e il numero delle persone “supera la capienza della clinica locale”. Durante il fine settimana - riferisce l'agenzia Sir - Msf è riuscita a ottenere le prime forniture di farmaci e attrezzature mediche e ieri un’equipe di tre medici ha cominciato a fornire assistenza ai rifugiati. Per ora quelli “più critici”, spiega Asaad Kadhum, coordinatore del team che fino alla scorsa settimana ha trattato 118 pazienti. “Gravi casi di malaria, diarrea e malattie respiratorie le priorità”. Msf si aspetta di assistere circa 120 pazienti al giorno ma ha bisogno di cliniche mobili “per raggiungere tutti coloro che hanno bisogno di cure mediche”. Sta per partire, informa, “un programma terapeutico nutrizionale per il trattamento dei bambini sotto i cinque anni affetti da malnutrizione grave”; occorrono “vaccinazioni per prevenire la diffusione di malattie trasmissibili”, acqua potabile e servizi igienici. (R.P.)

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    Perù: torna la calma a Cajamarca, grazie all'intervento della Chiesa

    ◊   La città di Cajamarca sta tornando alla sua normale attività senza alcun tipo di problema pubblico, ha detto ieri il ministro degli interni, Oscar Valdes Dancuart, parlando ad una radio nazionale. I mercati sono aperti e gli studenti tornano a scuola, dopo la dichiarazione di stato d’emergenza in quattro province di Cajamarca a seguito della protesta regionale contro il progetto minerario Conga. L'esercito collabora con la polizia per garantire la sicurezza pubblica malgrado non sia necessario, ha sottolineato il ministro, ricordando che il governo continua a presentare la sua proposta di dialogo per arrivare ad un accordo definitivo. Il presidente della Conferenza episcopale peruviana, mons. Miguel Cabrejos, arcivescovo di Trujillo, ha partecipato alla riunione che domenica scorsa, ha visto riuniti il Capo di gabinetto, Salomón Lerner Ghitis, e altri Ministri, con le autorità regionali e le organizzazioni sociali di Cajamarca, per trovare una soluzione definitiva al problema. L’arcivescovo ha lanciato un appello: “con il dialogo tutti guadagniamo, con la violenza tutti perdiamo, si spera che davvero non ci sia più violenza e che tutto questo venga alla fine risolto” ha detto, lamentando tuttavia che, dopo diverse ore di incontri e quando sembrava che tutto finisse bene, alla fine non è stato firmato l'accordo fra le parti. Per questo mons. Cabrejos ha invitato a riflettere i leader di Cajamarca che vogliono continuare la protesta regionale contro il progetto minerario, per evitare qualsiasi atto di violenza o spargimento di sangue, ed ha sottolineato la volontà di dialogo da parte del governo, che ha chiesto la sospensione dei lavori minerari a Yanacocha nel progetto minerario Conga. Anche mons. José Carmelo Martínez Lázaro, vescovo della diocesi di Cajamarca, aveva pubblicato un comunicato lo scorso 30 novembre dove chiedeva il dialogo delle parti interessate e il rispetto per l'ambiente naturale, fonte di risorse per la comunità. Dalle informazioni raccolte dall’agenzia Fides si apprende che, secondo il Consiglio regionale di Cajamarca, che rappresenta la comunità locale, il progetto non verrà avviato ed è stato approvato un ordine di fermo per queste attività, mentre il governo centrale ancora non si è pronunciato ufficialmente. (R.P.)

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    Messico: la Chiesa chiede una tregua alla violenza, almeno per il tempo di Natale

    ◊   Il vescovo di Cuernavaca (a Morelos) in Messico, mons. Alfonso Cortés Contreras, si è unito alla richiesta di tregua per il Natale proposta ai cartelli della droga dal poeta e giornalista Javier Sicilia, ma ha anche chiesto il loro pentimento per il dolore che hanno causato alla società. Mons. Cortés ha detto: "Voglio lanciare loro un appello fraterno e a nome di Dio: pensate che questa non è la strada giusta, che non è la via della pace, che non è il modo di vivere come fratelli e come esseri umani". In questi giorni vicini al Natale e alla rinascita di Cristo, ha detto il vescovo, i cattolici vi invitano a riflettere sui Comandamenti e a non andare contro le leggi di Dio, come stabilisce il quinto comandamento: non prendere la vita degli altri. Nella nota inviata all’agenzia Fides, si legge che il vescovo ha ribadito: "Questa situazione provoca molto dolore, molti danni e disagio a questa vita che viviamo; dobbiamo essere messaggeri di pace, che Dio nostro Signore li benedica e riesca a toccare il loro cuore". Il presule ha anche notato che molte delle persone coinvolte in queste organizzazioni criminali agiscono "più per ignoranza che per cattiveria, anche se il male esiste e si trova nel cuore dell'uomo, e l'uomo sceglie il male". La violenza in Messico è diventata il problema maggiore del Paese. (R.P.)

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    Guatemala: il sostegno della Chiesa svizzera a mons. Ramazzini da anni al fianco degli indigeni

    ◊   Da anni si batte per i diritti degli abitanti di San Miguel Ixtahuacán e di Sipacapa, nei cui territori si trova la “Mina Marlin”, considerata la miniera d’oro più grande dell’America Centrale, responsabile di gravi problemi sociali e ambientali legati all’attività estrattiva. Dal 26 novembre scorso – riferisce L’Osservatore Romano - mons. Alvaro Leonel Ramazzini Imeri, vescovo di San Marcos, in Guatemala, può contare anche sulla solidarietà della Chiesa svizzera, più precisamente della Commissione nazionale di Giustizia e Pace e di Sacrificio Quaresimale, organizzazione di cooperazione allo sviluppo gestita dai cattolici elvetici e attiva in sedici Paesi. I due organismi hanno firmato una dichiarazione congiunta nella quale appoggiano l’operato del presule: “Condividiamo le preoccupazioni delle Chiese locali guatemalteche — si legge nel testo — che si mettono dalla parte dei poveri e degli sfruttati e che si impegnano a favore della giustizia sociale e della difesa dei diritti umani”. Giustizia e Pace e Sacrificio Quaresimale invitano inoltre ad avere uno stile di vita responsabile “anche da noi in Svizzera”. La dichiarazione si ricollega alla campagna “Diritto senza frontiere” lanciata all’inizio del mese di novembre da una coalizione di Ong che sollecita regole chiare a tutela dei diritti umani per le imprese elvetiche che fanno affari nel mondo. La dichiarazione, firmata nell’abbazia di Einsiedeln alla presenza dell’abate Martin Werlen, porta anche la firma del segretario della Commissione nazionale Giustizia e Pace Wolfgang Bürgstein e di un altro responsabile dell’organismo dei vescovi elvetici, Markus Brun. Per mons. Ramazzini Imeri è stata l’occasione per incontrare i rappresentanti della Chiesa svizzera e spiegare loro i problemi provocati dall’attività estrattiva di un’impresa canadese, che minaccia l’esistenza stessa delle popolazioni indigene. Come riporta un comunicato della Conferenza episcopale elvetica, la sua posizione critica nei confronti di quelle industrie estrattive che non rispettano i diritti delle persone gli è valsa il riconoscimento internazionale. Ramazzini Imeri si adopera in particolar modo affinché le ditte straniere che investono nel settore minerario siano tenute a rispettare i diritti umani nei Paesi del sud del mondo e a pagare tasse e imposte congrue. L’anno scorso il presule, assieme al Premio Nobel per la Pace Rigoberta Menchú Tum aveva inviato una nota al Presidente guatemalteco Álvaro Colom Caballeros per chiedere la chiusura della “Mina Marlin”, in accordo con il decreto della Commissione interamericana dei diritti umani che sottolineava i pericoli per la popolazione e per le risorse naturali. La miniera è attiva dall’ottobre 2005 e ha avuto un pesante impatto sociale e ambientale. (L.Z.)

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    Myanmar: i vescovi chiedono un rinnovato impegno delle parrocchie contro l’Aids

    ◊   I vescovi del Myanmar chiedono un rinnovato impegno delle parrocchie nella prevenzione dell’Aids, oltre che nell’assistenza alle persone contagiate. In una lettera pastorale diffusa la settimana scorsa in occasione della Giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, i presuli richiamano a una maggiore attenzione verso la pandemia nel Paese che, secondo i dati dell’Unaids, è quello con il più alto tasso di incidenza dell’infezione nel Sud-Est asiatico. Scopo della lettera – ha spiegato all’agenzia Ucan uno dei suoi firmatari, mons. Stephen Tjephe presidente della rete cattolica del Myanmar per l’Hiv/Aids – è appunto di ricordare ai cattolici la gravità del problema e la necessità di lavorare insieme per combatterlo. “Se le nostre parrocchie – si legge nel documento - diventassero un luogo di accoglienza per le persone siero-positive, dove potere avere il parere di un medico, ottenere indicazioni su dove fare i test dell’Hiv e ricevere aiuto, con centri informativi in grado di offrire sostegno morale e spirituale, potremmo contribuire molto a fermare la diffusione del contagio”. I suoi principali fattori sono infatti l’ignoranza e la discriminazione subita dalle persone contagiate: “La nostra gente non sa quando fare i test, molti temono che qualcuno possa venirlo a sapere e quindi decidono di non farlo. Con il risultato - sottolineano i presuli – che non ricevono l’aiuto di cui hanno bisogno e accelerano la diffusione del virus”. I dati ufficiali del governo di Yangon indicano che tra il 2008 e il 2010 in Myanmar sono morte mediamente 68 persone al giorno per malattie connesse all’Aids, mentre i soggetti più esposti sono i giovani tra i 16 e i 30 anni. Secondo quanto riferito all’Ucan dalla suora Maryknoll Mary Grenough, coordinatrice della rete cattolica del Myanmar contro l’Aids, diverse diocesi nel Paese hanno già avviato programmi educativi di prevenzione, mentre altre hanno approntato servizi di assistenza a domicilio ai malati. (L.Z.)

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    Malaysia: la Chiesa con le altre minoranze contro la nuova legge anti-manifestazione

    ◊   Le minoranze religiose in Malaysia hanno espresso la loro ferma contrarietà a un disegno di legge che regola in senso restrittivo l’esercizio del diritto di riunione e manifestazione nel Paese. Il “Peaceful Assembly Bill”, questo il nome del provvedimento già approvato in prima lettura il 27 novembre dalla camera bassa del Parlamento di Kuala Lumpur, attribuisce più poteri di controllo preventivo all’Esecutivo e alle autorità di polizia e ha scatenato un’ondata di proteste in Malaysia. In una dichiarazione diffusa nei giorni scorsi, il Malaysian Consultative Council of Buddhism, Christianity, Hinduism, Sikhism and Taoism, un organismo consultivo che riunisce le principali minoranze religiose del Paese, comprese le Chiese cristiane, parla di una legge “repressiva contro la libertà di riunione e quella religiosa”. A preoccupare la coalizione interreligiosa - riferisce l’agenzia Ucan – è in particolare il fatto che il provvedimento specifica espressamente i luoghi dove non potranno tenersi assembramenti e riguarda anche i luoghi di culto. La legge, denuncia la nota, attribuisce alla polizia il “potere di imporre restrizioni e porre condizioni per lo svolgimento di riunioni, comprese la loro durata e la condotta a cui dovranno attenersi i loro partecipanti. Le autorità potranno inoltre negare l’autorizzazione a una manifestazione anche per motivi di sensibilità culturale e religiosa”. “Mentre i governi di tutto il mondo stanno aprendosi alla democrazia, noi sembriamo andare indietro” rileva l’associazione interconfessionale, citando le recenti aperture del regime militare in Myanmar. Essa invita quindi tutti i leader religiosi del Paese a pregare ogni venerdì perché il governo ritiri la legge. In Malaysia quasi i due terzi della popolazione sono musulmani sunniti (religione ufficiale del Paese); circa il 19% pratica il buddismo; il 9% sono cristiani e il 6% induisti. La parte rimanente è divisa fra religioni cinesi e filosofie e credenze tradizionali. (L.Z.)

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    Australia: nuovo Centro studi della Compagnia di Gesù per gli aborigeni

    ◊   Si chiama Yennibeu, e significa "unirsi per diventare uno, rispetto e cura uno per l'altro, unione di spirito". È il nome del nuovo centro di studi per gli aborigeni con il quale il collegio “Sant’Ignazio” della Compagnia di Gesù a Riverview, in Australia, intende rafforzare il suo impegno nell'educazione dei giovani indigeni e nella promozione della loro cultura. Il nuovo Istituto funzionerà come centro di ricerca e formazione per gli studenti aborigeni tra gli 11 e i 12 anni. Quest'anno, secondo quanto riferito da Kurt Bartelme, insegnante del St. Ignatius College e responsabile del centro, con ben 18 alunni iscritti, l'Istituto è risultato quello con il maggior numero di studenti indigeni degli ultimi dieci anni. Sia il nome che la posizione del centro rivestono grande significato, spiega ancora Kurt Bartelme: il nome, infatti, ”indica la necessità di comprendere la complessità della lingua e della cultura indigena e il nostro impegno verso i fratelli aborigeni. Riguardo alla posizione, il centro si trova nel piano più alto dell'edificio, e ciò indica simbolicamente l'importanza che gli si attribuisce. La sua apertura, infatti, conferma l'attenzione che il St. Ignatius College dedica agli studenti indigeni". D’altronde, l’impegno dei Gesuiti verso questa parte della popolazione australiana risale a diversi anni fa: già nel 1990, nacque la prima cattedra di studi aborigeni, supportata da un programma di borse di studio. Oggi gli studenti indigeni sono l’1,8% della popolazione studentesca totale del collegio pari alla stessa percentuale di popolazione indigena che si registra nella società australiana. (I.P.)

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    Belgio: morta la veggente di Banneux: ad 11 anni le apparve la Madonna

    ◊   È morta a novant’anni, nella casa di riposo intitolata alla Vergine dei poveri, Mariette Beco, la veggente delle apparizioni mariane di Banneux, in Belgio. Si è spenta, lo scorso 2 dicembre, nel piccolo villaggio delle Ardenne dove nell’inverno del 1933 avvenne questo evento prodigioso. Era una bambina di 11 anni, Mariette, figlia di un minatore e primogenita di una famiglia umile. Il 15 gennaio di quell’anno - secondo quanto la Chiesa ha ufficialmente riconosciuto nel 1949 - la Madonna scelse proprio questa ragazzina di un villaggio a 25 chilometri da Liegi per portare un messaggio di conforto a tutti i poveri e i sofferenti. Indicando alla giovane veggente anche un segno: una sorgente divenuta presto meta di pellegrinaggi da parte di migliaia di ammalati “da tutte le nazioni”. La Madonna apparve a Mariette Beco per otto volte nell’arco di poche settimane. Fino a quando, il 2 marzo 1933, si congedò dalla piccola veggente con le parole: “Io sono la Madre del Salvatore, la Madre di Dio. Prega molto”. E proprio per raccogliere questo invito, già nel 1934 a Banneux, nacque l’Unione internazionale di preghiere, sodalizio spirituale che vede persone di tanti Paesi del mondo unirsi ogni sera per la recita del Rosario alla Vergine dei poveri. A differenza di altri bambini protagonisti delle apparizioni mariane, Mariette Beco dopo quella esperienza straordinaria non scelse la vita religiosa. Si sposò, ebbe tre figli, conobbe anche parecchie difficoltà, tra cui qualcuna persino sul piano spirituale. In anni recenti – ricorda il quotidiano ‘Avvenire’ - ha vissuto lei stessa il dolore per la morte di due sue figlie. Sofferenze che anche lei - tra tutti gli altri pellegrini - andava a mettere nelle mani della Vergine dei poveri recandosi a pregare alla sorgente o alla cappella delle apparizioni nel Santuario. “Sono stata solo un postino - diceva - incaricato di portare un messaggio. Una volta che il messaggio è arrivato, il postino non ha più alcuna importanza”. Giovanni Paolo II, andò pellegrino nel 1985 a Banneux, dove incontrò Mariette Beco. “Sono più di cinquant’anni – disse Papa Giovanni Paolo II il 21 maggio 1985 – che non solo gli ammalati, ma l’immenso popolo dei poveri si sente a casa propria a Banneux. Vengono a cercare qui conforto, coraggio, speranza, l’unione con Dio nella loro prova. Vengono a lodare e a invocare qui la Vergine Maria, sotto l’appellativo particolare e bellissimo di nostra Signora dei poveri. Sono a ragione convinti che una tale devozione corrisponda al Vangelo e alla fede della Chiesa: se Cristo ha definito la sua missione come l’annuncio della buona novella ai poveri, come potrebbe sua Madre non essere accogliente verso i poveri?”. È il messaggio di speranza che la “postina” Mariette, al termine della sua lunga vita, ci lascia ancora in eredità. (A.L.)

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    Terra Santa-Usa: in collegamento internet per lanciare un messaggio di pace

    ◊   Un messaggio di pace e di speranza al mondo: hanno voluto inviarlo la basilica della Natività di Betlemme, in Terra Santa, e il Centro Giovanni Paolo II di Washington, negli Stati Uniti, che sabato scorso, come riferisce il portale del patriarcato latino di Gerusalemme www.lpj.org, si sono collegati via internet. “Malgrado la notevole distanza tra noi, siamo come una grande famiglia – ha detto mons. William Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme –. Ciò che ci unisce, oltre la tecnologia della diffusione simultanea, è la nostra fede che il bambinello di Betlemme è l’unico Salvatore del mondo ... Il suo insegnamento è lampada e luce per i nostri passi. Non è per caso – ha aggiunto – che gli angeli hanno cantato nel giorno della sua nascita ‘Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che lo amano’. La gloria di Dio è legata alla pace degli uomini e la pace degli uomini è legata alla gloria di Dio; in effetti, ha proseguito il presule – glorifichiamo Dio se siamo artigiani di pace e se lottiamo per la riconciliazione e il perdono tra i popoli di questa regione”. A Washington ha rivolto il suo saluto a quanti si sono riuniti nella basilica della Natività, il vescovo ausiliare mons. Barry Knestout; con lui, tra gli altri, alcuni rappresentati della Holy Land Christian ecumenical Foundation. (T.C.)

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    Polonia: lo spirito missionario di Giovanni Paolo II e di Pauline Jaricot

    ◊   Come ogni anno, il 3 ed il 4 dicembre scorsi si è svolta a Jasna Góra una sessione missiologica ed una veglia di preghiera dei membri della Pontificia Unione Missionaria (Pum). Come informa l’agenzia Fides don Tomasz Atlas, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) in Polonia, oltre 260 persone – tra sacerdoti, seminaristi (di cui 2 della Lituania e 2 della Bielorussia), religiose e animatori laici – hanno partecipato alla sessione che ha avuto per tema “Ringraziamo per lo spirito missionario di Giovanni Paolo II”. In occasione poi del 150mo anniversario della nascita al cielo della venerabile Pauline M. Jaricot (1799-1862), fondatrice della Pontificia Opera della Propagazione della Fede e del movimento del Rosario vivente, nel programma ha trovato spazio anche il tema del suo impegno missionario. La sessione ha avuto inizio con l’Eucaristia presieduta da don Tomasz Atlas, cui è seguito uno spettacolo preparato dai giovani che ha illustrato la vita e l’impegno per le missioni di Pauline Jaricot. I partecipanti hanno poi ascoltato la relazione di mons. Roman Sadowski, sulla spiritualità missionaria e l’esempio di vita del Beato Giovanni Paolo II, cui è seguito il contributo di padre Bogdan Michalski, sull’impegno missionario di Pauline Jaricot, infine padre Kazimierz Szymczycha, si è soffermato sul concetto del dialogo interreligioso di Giovanni Paolo II nel contesto africano. La veglia notturna è iniziata con l’appello di Jasna Góra e la recita del Rosario. I partecipanti hanno potuto riflettere ancora una volta sull’insegnamento missionario di Giovanni Paolo II, presentato dai seminaristi di Tarnow. A mezzanotte mons. Adam Szal, in rappresentanza della Commissione episcopale per le Missioni, ha presieduto l’Eucaristia concelebrata da 40 sacerdoti. Durante la veglia sono state presentate alcune testimonianze di missionari del Togo, della Repubblica Centrafricana, del Paraguay e dell’ex Jugoslavia. L’atto di affidamento alla Madre di Dio dei membri della Pum ha concluso la preghiera proseguita fino al mattino del giorno seguente. (R.P.)

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    A Genova esposta un’ampolla con il sangue di Giovanni Paolo II

    ◊   Migliaia di fedeli in fila per entrare nella chiesa di Santa Maria del Prato, a Genova, e per venerare un’ampolla con il sangue del Beato Papa Giovanni Paolo II. “La gente – spiega suor Rosangela Sala, madre superiora delle suore dell'Immacolata - esce di qui serena, viene a pregare e a confessarsi”. “In questa città martoriata dall’alluvione, dalla crisi economica, ce n’era bisogno”. “Il sangue - spiega Claudio, genovese di 57 anni - è una cosa viva, reale. E lui è il nostro Papa, è il Papa dei giovani”. I fedeli potranno recarsi in chiesa tutti i giorni dalle 7.30 alle 20.00, fino al prossimo 12 dicembre, per venerare la reliquia. Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Genova, presiederà nella chiesa di Santa Maria del Prato la Santa Messa il prossimo 8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine. Il 9 dicembre, alle ore 21.00, il porporato presiederà anche una veglia di preghiera nella Cattedrale di San Lorenzo, dove per l'occasione verrà trasferita la reliquia. (A.L.)

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    Pellegrinaggio dell'urna di Don Bosco in Africa

    ◊   Con l’arrivo all’aeroporto Jammu Kenyatta di Nairobi, nella serata del primo dicembre, si è ufficialmente aperta la peregrinazione della reliquia di Don Bosco in Africa. L’aereo che trasportava l’urna, proveniente dallo Sri Lanka, è atterrato alle 20:30 locali, dopo circa 8 ore di volo. La reliquia è stata subito trasferita alla sede dell’Ispettoria Africa Est nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Don Gianni Rolandi, don Simon Asira Lipuku, e gli altri salesiani presenti l’hanno accolta con un breve momento di preghiera. Alle prime ore del giorno successivo, il 2 dicembre, l’urna è stata trasportata nella missione salesiana ad Embu. Nella cappella della scuola, bambini e ragazzi dell’istituto hanno potuto venerare la reliquia del Santo. Successivamente mons. Paul Kariuki Njiru, vescovo di Embu, ha presieduto una Messa di ringraziamento, nel corso della quale 16 ragazzi hanno ricevuto il sacramento della Confermazione. Nel pomeriggio, l’urna ha quindi raggiunto l’opera di Makuyu, dove l’attendeva una folla di bambini, giovani e religiosi. Mons. James Wainania Kungu, vescovo di Muranga, ha celebrato la Santa Messa. Nella serata, è stata organizzata una veglia di preghiera. Nella mattinata di sabato, molti fedeli hanno poi raggiunto l’opera per venerare la reliquia. A metà mattina don Rolandi ha presieduto l’Eucaristia. Al termine della celebrazione, l’urna è stata portata nei vari settori dell’opera di Makuyu. Dopo un breve momento di condivisione e intrattenimento, alla presenza dell’urna, i salesiani hanno rinnovato i loro voti. Nel pomeriggio di sabato l’urna è stata infine portata nella Casa Ispettoriale delle Figlie di Maria Ausiliatrice. (A.L.)

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    24 Ore nel Mondo



    Giornata di sangue in Afghanistan: 60 morti in un attentato

    ◊   Quasi 60 morti e oltre 100 feriti costituiscono il drammatico bilancio dell’attentato che stamani a Kabul ha colpito una processione sciita durante la festività islamica dell’Ashura. Proprio ieri, la conferenza tenutasi a Bonn aveva evidenziato la necessità che il supporto internazionale al Paese asiatico continui almeno per altri dieci anni. Il servizio di Giancarlo La Vella:

    Un attacco micidiale che aveva come obiettivo quello di provocare una strage di persone inermi, che partecipavano a una cerimonia religiosa. E strage è stata, con un tragico bilancio di vittime che aumenta di ora in ora. L’attacco è stato rivendicato in giornata da un’organizzazione terroristica islamica del Pakistan. Il gruppo si è distinto in passato per attacchi mirati a personalità iraniane e fedeli sciiti in Pakistan. Ma questo di Kabul non è il solo episodio di sangue avvenuto oggi. Quattro persone sono rimaste uccise in un altro attentato a Mazar I Sharif, nel nord del Paese, mentre numerosi feriti si contano a Kandahar, vittime dell’esplosione di una moto-bomba. “Mai prima d’ora, in un giorno sacro come l'Ashura si erano verificati episodi di tale portata”: questo il commento del presidente afghano, Hamid Karzai, da Berlino dove, all'indomani della Conferenza internazionale di Bonn, ha incontrato la cancelliera Angela Merkel. Il capo del governo tedesco, alla luce della situazione, ha sottolineato che per raggiungere la pace in Afghanistan è necessaria unicamente una soluzione politica. La comunità internazionale – aveva detto ancora la Merkel – non abbandonerà comunque Kabul nel difficile processo di pacificazione. Da qui, il rinnovato impegno decennale in supporto del processo di stabilizzazione afghano. Dalla sua, l’opposizione talebana – che ha espresso ferma condanna per i fatti di sangue odierni, giudicandoli anti-islamici – ha invece liquidato l'evento della Conferenza di Bonn, alla quale hanno partecipato rappresentanti di un centinaio di Paesi e di 15 organizzazioni internazionali, definendola “un'altra futile riunione”.

    Scontri tra esercito e talebani in Pakistan, 12 morti
    Almeno 12 militanti estremisti islamici sono stati uccisi in scontri con l'esercito pakistano nel distretto tribale di Kurram, alla frontiera con l'Afghanistan. Nella città portuale di Karachi, due persone sono state ferite nell'esplosione di una bomba avvenuta durante le processioni religiose per l'Ashura, la più importante ricorrenza per gli sciiti. Il governo pakistano ha deciso oggi di convocare i suoi ambasciatori per una consultazione sulla politica estera da seguire dopo l'attacco della Nato del 26 novembre, costato la vita a 25 soldati di Islamabad.

    Ultimatum Lega araba, la Siria chiede di annullare le sanzioni
    Continua il braccio di ferro tra il governo di Assad e la Lega Araba sul protocollo relativo alla missione degli osservatori. Dopo il nuovo ultimatum, il ministro degli Esteri siriano, Walid al Wallim, ha fatto sapere che Damasco accetterà la missione se l’organizzazione panaraba annullerà le sanzioni economiche. Intanto, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, incontrerà sette rappresentanti dell'opposizione siriana a Ginevra, dove si recherà al termine della riunione ministeriale dell'Osce a Vilnius, in programma per oggi.

    Il Comitato Onu per i diritti umani condanna la repressione nello Yemen
    L'Alto commissariato Onu per i diritti umani ha condannato oggi a Ginevra gli attacchi contri i civili e l'uso sproporzionato della forza nello Yemen, in particolare a Taiz, dove da giovedì scorso oltre 20 persone sono state uccise dalle sparatorie ed i bombardamenti. Tra le vittime anche tre bambini, ha precisato la portavoce dell'Alto commissariato, Ravina Shamdasani. “Le uccisioni devono cessare immediatamente e chiediamo a tutte le parti di porre fine all'uso della forza violenta”, ha aggiunto. L'Alto commissariato ha inoltre chiesto alle autorità yemenite di collaborare con l'Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani e di concedere un accesso nel Paese per poter valutare la situazione dei diritti umani sul terreno.

    Dopo 540 giorni senza governo, accordo in Belgio per il nuovo esecutivo
    Dopo 540 giorni senza governo, il socialista Elio di Rupo è ufficialmente il nuovo premier del Belgio. Lui e il suo esecutivo giureranno oggi davanti al re Alberto II. Si chiude così una crisi di governo da record mondiale. L'accordo è stato raggiunto dopo una riunione di 20 ore tra i rappresentanti dei sei partiti che compongono la coalizione di governo. L'italo-belga Di Rupo ha già messo nero su bianco il programma di lavoro che lo aspetta, tra cui il piano di risanamento dei conti pubblici già presentato all’Ue.

    Cinquanta ordinanze di arresto contro il clan dei casalesi nel napoletano
    Nella provincia di Napoli, è stato condotto un blitz delle forze dell’ordine nei confronti di esponenti e affiliati del clan dei Casalesi. L'operazione ha portato all'esecuzione di oltre 50 ordinanze di custodia cautelare già notificate a boss, politici e imprenditori. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione camorristica, riciclaggio, corruzione e falso. Tra i destinatari dei provvedimenti figura il deputato del Pdl, Nicola Cosentino, per il quale è stata chiesta alla Camera dei deputati l'autorizzazione all'arresto. Nei capi di imputazione formulati dai pm è definito “referente politico nazionale dei Casalesi”. Indagato anche il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro.

    Manifestanti in Ucraina chiedono cure per la Timoshenko in carcere
    Hanno occupato la zona del parlamento riservata ai membri del governo e hanno poi rivolto al presidente, Viktor Ianukovich, uno striscione con la scritta "Non uccidere Iulia". È così che stamattina i deputati dell'opposizione ucraina hanno protestato contro la presunta inadeguatezza delle cure prestate in carcere alla loro leader, Iulia Timoshenko, costretta a letto da settimane da forti dolori alla colonna vertebrale. La ex premier accusa fitte alla zona lombare che non le consentono di muoversi e, secondo i suoi avvocati, nel carcere di Kiev dove è rinchiusa non viene curata come dovrebbe. Inoltre, sul corpo dell'eroina della Rivoluzione arancione sarebbero ricomparsi i discussi lividi già denunciati quattro mesi fa, alcuni giorni dopo l'arresto. Timoshenko si trova in carcere dal 5 agosto scorso e a ottobre è stata condannata a sette anni di reclusione per abuso di potere per aver siglato nel 2009 un contratto con Mosca per le forniture di gas senza il consenso del governo da lei guidato e a un prezzo che Kiev ritiene troppo oneroso. La Timoshenko si è sempre dichiarata innocente e sostiene che il processo a suo carico sia stato orchestrato dalla fazione del presidente Ianukovich per sbarazzarsi di lei a livello politico.

    Il Consiglio di sicurezza dell’Onu inasprisce le sanzioni contro l’Eritrea
    Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato ieri una risoluzione che inasprisce le sanzioni contro l'Eritrea. Il Paese africano ha violato le disposizioni stabilite dai quindici nelle risoluzioni del 2008 e del 2009: in particolare, aver fornito supporto ai gruppi di opposizione armata, tra cui quello di Al-Shabaab, impegnati nel minare la pace in Somalia e in tutta la regione. La risoluzione è stata adottata con tredici voti a favore, astenuti Russia e Cina. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Giovanni Cossu)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 340

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.