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Sommario del 04/12/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il pensiero del Papa per migranti e rifugiati: all’Angelus, con l’appello alla conversione in Avvento
  • Isaia e l’Avvento: in un libro, il cammino possibile di riflessione oggi
  • Oggi in Primo Piano

  • Si vota in Russia. Polemiche su attacchi a siti dell'opposizione
  • La Lega Araba concede ancora ore a Damasco per firmare accordo su pacificazione interna
  • Tensione in Congo: i risultati delle presidenziali attesi per martedì
  • La Somalia al centro degli interessi della regione perché priva di una vera idea di Stato
  • Domani Giornata Mondiale del Volontariato
  • In questo Natale, a Betlemme e Gerusalemme i presepi di Trento
  • Chiesa e Società

  • Al cardinale Bertone il premio "Giovanni Paolo II" per la pace
  • Padre Piero Gheddo vincitore del Premio Natale Ucsi 2011
  • Germania. Mons. Schick: i cristiani in Pakistan sono cittadini di serie B
  • Terra Santa: martedì la presentazione dei lavori del progetto "Gerusalemme, pietre della memoria"
  • Malaysia. La Federazione Cristiana: la concorrenza tra Chiese cristiane è contro il Vangelo
  • Sud Corea: “sì” del governo ad un albero di Natale nei pressi del confine con la Nord Corea
  • Cina: aumentano le donne contrabbandate, schiave del sesso o dei mariti
  • Malawi: nuovi progetti dell’Infanzia Missionaria per i bambini bisognosi
  • Afghanistan: un bambino su 10 muore prima di compiere cinque anni
  • Messaggio dell’arcivescovo di Canterbury per l’inizio dell’Avvento
  • Taiwan: mons. Hung celebra il 150° dei Padri di Scheut
  • 24 Ore nel Mondo

  • Belgrado e Pristina trovano un accordo sui confini del Nord del Kosovo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il pensiero del Papa per migranti e rifugiati: all’Angelus, con l’appello alla conversione in Avvento

    ◊   La sobrietà come stile di vita e la conversione del cuore: al centro delle parole del Papa che all’Angelus, partendo dall’odierna liturgia, ricorda la figura e l’esempio di Giovanni Battista nel particolare tempo di Avvento. Poi il appello forte di Benedetto XVI alla solidarietà con chi deve abbandonare il proprio Paese, ricordando che nei prossimi giorni si celebrano i 50 anni dall’istituzione dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni, il 60esimo della Convenzione sullo status di rifugiati, il 50esimo della Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidìa. Il servizio di Fausta Speranza:

    In tempo di Avvento è particolarmente significativa la figura ascetica di Giovanni Battista che richiama ai significati profondi della conversione. Benedetto XVI lo ricorda sottolineando che “Gesù stesso, una volta, lo contrappose a coloro che stanno nei palazzi dei re e che vestono con abiti di lusso”.

    “Lo stile di Giovanni Battista dovrebbe richiamare tutti i cristiani a scegliere la sobrietà come stile di vita, specialmente in preparazione alla festa del Natale, in cui il Signore – come direbbe san Paolo – da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”.

    Giovanni chiama alla conversione, che Benedetto XVI definisce così:

    “Il suo battesimo “è legato a un ardente invito a un nuovo modo di pensare e di agire, è legato soprattutto all’annuncio del giudizio di Dio” e della imminente comparsa del Messia, definito come “colui che è più forte di me” e che “battezzerà in Spirito Santo”.

    L’appello di Giovanni Battista – sottolinea il Papa - chiama ad un cambiamento interiore:

    “Mentre ci prepariamo al Natale, è importante che rientriamo in noi stessi e facciamo una verifica sincera sulla nostra vita. Lasciamoci illuminare da un raggio della luce che proviene da Betlemme, la luce di Colui che è “il più Grande” e si è fatto piccolo, “il più Forte” e si è fatto debole.”

    Il Papa ricorda che tutti e quattro gli Evangelisti descrivono la predicazione di Giovanni Battista facendo riferimento ad un passo del profeta Isaia: “Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio»”. Sono richiami alle Scritture dell’Antico Testamento – spiega – che “parlano dell’intervento salvifico di Dio, che esce dalla sua imperscrutabilità per giudicare e salvare; a Lui bisogna aprire la porta, preparare la strada”.

    Dopo la preghiera dell’Angelus, il Papa, volge lo sguardo alla realtà di chi deve abbandonare il proprio Paese e chiede solidarietà:

    “Affido al Signore quanti, spesso forzatamente, debbono lasciare il proprio Paese, o sono privi di nazionalità. Mentre incoraggio la solidarietà nei loro confronti, prego per tutti coloro che si prodigano per proteggere e assistere questi fratelli in situazioni di emergenza, esponendosi anche a gravi fatiche e pericoli".

    Poi, tra i saluti in varie lingue, l’invito a prepararsi a Dio che viene:

    “…n’ayons pas peur de vivre dans l’espérance. Dans notre monde traversé par l’incertitude et la violence, que ce temps de l’Avent…”

    In francese l’incoraggiamento a non avere paura di essere nella speranza vivendo il tempo di Avvento anche se non mancano le difficoltà in un mondo che il Papa riconosce essere “di incertezza e violenza”.

    “… God-with-us, may find us ready when he comes….”

    In inglese la raccomandazione ad essere pronti alla venuta di Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi.

    “Palabra de Dios ilumina las actitudes espirituales necesarias para acoger la venida del Señor…”.

    In spagnolo l’invito all’ascolto della Parola di Dio che getta luce sull’attitudine spirituale necessaria ad accogliere Dio.

    Poi un saluto ai pellegrini di lingua italiana:

    “…in particolare ai fedeli venuti da Foggia, Mozzagrogna, Cagliari, Carbonia, Agropoli e Chiusano di San Domenico, come pure alla Corale di Canale di Ceregnano.”

    A tutti l’augurio di Buona Domenica.

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    Isaia e l’Avvento: in un libro, il cammino possibile di riflessione oggi

    ◊   Attraverso il libro di Isaia, l’Avvento può diventare il tempo liturgico per porre lo sguardo sulla seconda venuta del Signore. Il primo dei Libri profetici, mentre fonda la speranza sulla realizzazione del progetto di Dio, ci costringe a riflettere sui nostri tempi segnati da ingiustizie e tradimenti di quel progetto. E’ la tesi del volume intitolato ‘Una speranza di giustizia e di pace - Ogni giorno di Avvento con Isaia’, scritto dalle teologhe Serena Noceti e Nadia Toschi e pubblicato dalle edizioni Messaggero di Sant’Antonio. Ma che spunti può dare la lettura di Isaia in questo tempo liturgico? Fabio Colagrande l’ha chiesto a Serena Noceti, vicepresidente dell’Associazione teologica italiana:

    R. – Soprattutto pensando al fatto che l’Avvento non è soltanto il momento nel quale facciamo memoria della prima venuta di Gesù nella carne, come di solito pensiamo; ma celebrare l’Avvento vuol dire porre lo sguardo sulla seconda venuta del Signore, quella che porterà a compimento la storia. Ed ecco, mi sembra che il libro di Isaia abbia proprio questa capacità: di porre il nostro sguardo sul compimento ultimo, e quindi rinviarci a quella dimensione escatologica della vita cristiana e della Chiesa. In questo senso, direi che è un libro di denuncia e di speranza proprio nella correlazione fra questi due aspetti, perché è un libro che più di ogni altro ci aiuta a comprendere dove il Signore sta portando la storia e, allo stesso tempo, a vivere la storia umana nella logica di un “frattempo” tra il “già” della prima venuta del Signore e – noi lo leggiamo oggi come cristiani – il compimento ultimo del Regno. Quindi, in questo senso direi che è proprio un testo che, nel momento in cui fonda la speranza sulla base della Parola della promessa di Dio, contemporaneamente ci aiuta a leggere con estrema lucidità questo “frattempo” storico che è segnato, invece, da ingiustizie, tradimenti di questo sogno di Dio, esperienze di conflitti, esperienza di alienazione che segna davvero la vita di milioni di persone, di popoli, di genti.

    D. – In queste meditazioni sembra che l’Avvento diventi un tempo per riflettere sulla dimensione sociale e politica della fede cristiana: in che modo?

    R. – In fondo, Isaia è uno dei profeti che più ci educa al senso del “noi”, del bene comune, del riconoscerci parte del popolo, del popolo di Dio, responsabili in pieno di questo soggetto che appunto è il popolo di Dio, e partecipi in pieno della vita dell’umanità che il Libro di Isaia porta con sé. E direi che ci porta a considerare l’esperienza di fede in una profonda interazione tra la dimensione personale e la dimensione sociale. Quindi, in questo senso se è vero che spesso pensiamo il tempo d’Avvento come un tempo forte nel quale orientare i nostri passi verso una conversione – c’è un cambiamento di mentalità e quindi un cambiamento di scelte – non dobbiamo dimenticare che la conversione cui Isaia ci porta non è solo una conversione che attiene alla dimensione individuale, interiore; ma è necessariamente una conversione, un cambiamento di mentalità che guarda alla rete delle relazioni sociali di cui siamo parte, e quindi ci spinge ad un cambiamento di comportamenti che non può non relazionarsi alla giustizia e alla pace in un senso più ampio e più profondo, e anche più concreto. (gf)

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    Oggi in Primo Piano



    Si vota in Russia. Polemiche su attacchi a siti dell'opposizione

    ◊   Russia al voto. Sette i partiti in lizza e circa 100 milioni gli elettori, ma al momento si registra una scarsa affluenza. E se nelle regioni orientali il voto si è già chiuso senza incidenti di rilievo, si ha notizia di tensioni nella capitale: la polizia ha chiuso strade e piazze nei pressi della Piazza Rossa e fermato almeno una dozzina di persone, mentre continuano le polemiche sulle pressioni subite da voci dell'opposizione: 5 siti di informazione stamattina sono stati attaccati da hacker e resi inaccessibili. Le Ong denunciano pressioni di massa in tutto il territorio russo sugli osservatori indipendenti e dei partiti chiamati a vigilare sulla correttezza delle procedure di voto. Da Mosca, il servizio di Giuseppe D'Amato:

    Da ore la Russia sta votando per scegliere la composizione della prossima Duma, la Camera bassa del Parlamento. Nell’Estremo oriente dell’immenso gigante slavo i seggi sono stati già chiusi da tempo, mentre nella zona europea le operazione di voto si concluderanno alle 18 ora italiana. Quindi verranno resi noti gli exit polls, mentre per i risultati ufficiali bisognerà aspettare fino a domani mattina. I 110 milioni di aventi diritto scelgono tra sette partiti. Ma solo quattro, stando a quanto affermano gli analisti, hanno la possibilità di superare la barriera del 7% per avere una rappresentanza parlamentare. La compagine da battere è “Russia Unita”, il cui capolista è il capo dello Stato uscente, Dmitrij Medvedev. Il Cremlino ha posto l’asticella al 50-60% delle preferenze per considerarsi soddisfatto e lanciare con successo la candidatura di Vladimir Putin alla presidenza in marzo. Scandali vari e casi di corruzione hanno causato al partito un calo di popolarità. Secondo sondaggi indipendenti, “Russia Unita” dovrebbe perdere la maggioranza costituzionale di 315 seggi ed ottenere intorno a 250 mandati sui totali 450 della Duma. I comunisti di Zjuganov hanno la simpatia soprattutto delle fasce di popolazione più anziane e degli scontenti del mondo post sovietico. Dovrebbero arrivare al 20%. Gli ultranazionalisti di Zhirinovskij sono dati al 12%. “Russia Giusta” al 9%. Gli altri sono staccati. A Mosca la Piazza rossa è stata chiusa alle visite. In centro è notevole la presenza di polizia ed unità anti-sommossa. Si temono incidenti. Da giorni circola la voce di brogli di massa, alcuni dei quali già denunciati dai comunisti. Diversi popolarissimi siti Internet, critici con il potere, sono stati attaccati dagli hacker e non sono visibili.

    E’ evidente il ruolo della coppia politica Putin-Medvedev. Di questo e delle prospettive della Russia a 20 anni dalla caduta dell’Urss, Fausta Speranza ha parlato con Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:

    R. - Naturalmente la situazione politica in Russia è molto bloccata e non credo, da questo punto di vista, che abbiano francamente moltissima importanza le previsioni che danno “Russia Unita” - il partito di Putin e Medvedev
    - in calo di consenso e quindi in eventuale calo di seggi poi alla Duma. Io penso che “Russia Unita” continuerà a controllare il Parlamento, magari con qualche alleanza di comodo, che sicuramente si troverà. Però le difficoltà dell’economia russa e quindi le difficoltà di Putin nel riproporsi al Cremlino - cosa che avverrà il 4 marzo, quando sarà sicuramente rieletto presidente - sono abbastanza significative.

    D. - Dunque una Russia che si presenta a questo voto, di fronte alla Comunità internazionale, senza nessun cambiamento anche nella prossima politica estera?

    R. - La politica estera della Russia è piuttosto obbligata, perché è una strana congiunzione di politica interna e politica estera: ovvero difendere la proprietà statale delle risorse energetiche che sono quelle che poi in politica estera permettono alla Russia di far la voce grossa in qualche caso e comunque di mantenere la propria stabilità economica. Tutto ruota intorno a quello. Diciamo: per fortuna della Russia ma anche purtroppo perché - come abbiamo visto proprio in questa crisi - le risorse energetiche sono naturalmente una leva ottima a patto che l’economia dei Paesi acquirenti - per esempio dei Paesi europei - tiri, sia forte, cresca. Quando l’economia dei Paesi acquirenti non cresce e addirittura cala, come nel caso dell’Europa, allora la Russia patisce molto più degli altri.

    D. - Torniamo sul piano interno: è vero che c’è un calo, comunque, della fiducia nei confronti di Putin e Medvedev? E’ significativo questo calo davvero?

    R. - Credo che sia significativo soprattutto perché se noi andiamo a vedere in relazione alla situazione economica, le sfide cui deve rispondere Putin e il suo partito “Russia Unita” sono oggi sostanzialmente quelle grosso modo di 10 anni fa e ovvero: come inserire la Russia nel circuito dell’economia globale? La Russia, purtroppo, al di fuori di gas, petrolio e materie prime - come, per esempio, il nichel - non ha una posizione da leader praticamente in nessun campo. Quindi subisce fortemente l’offensiva delle merci altrui e di fatto anche in questi anni di crisi, le importazioni della Russia sono cresciute: senza poter, quando c’è la crisi economica, riuscire a vendere il petrolio e il gas come prima, ai prezzi di prima e quindi a guadagnare. Questa sfida era così 10 anni fa e sostanzialmente è inalterata anche oggi. Naturalmente con la crisi i russi hanno cominciato a vivere un pochino peggio di qualche anno prima e questo non può non riflettersi sul rating e sul gradimento del partito di potere e dello stesso Putin.

    D. - Vent’anni fa il crollo dell’Unione Sovietica; adesso Mosca favoleggia una Unione euroasiatica: una prospettiva concreta?

    R. - Secondo me è abbastanza concreta, perché in questo Putin è stato piuttosto abile in tutta la sua parabola politica: Putin ha lavorato moltissimo per blindare il sistema energetico russo e in particolare gas e petrolio. Se noi guardiamo quello che è riuscito a fare, mettendo di nuovo sotto tutela l’Ucraina, mettendo praticamente sottotutela la Bielorussia e quindi garantendo tutti i gasdotti che dalla Russia vanno verso Occidente; se vediamo l’accordo che ha fatto con la Germania per il gasdotto che passa sotto il Mar Baltico, tagliando così fuori i Paesi Baltici; se guardiamo la partecipazione strategica della Russia nel gasdotto South Stream, insieme con l’Italia; se guardiamo al progetto di unione doganale che sta varando insieme con Bielorussia e Kazakhstan - altro grande Paese produttore, estrattore ed esportare di gas - possiamo vedere come da questo punto di vista Putin ha ottenuto risultati piuttosto notevoli. Di fatto la Russia oggi è l’anello decisivo nella catena che porta le risorse energetiche da Est verso Ovest, dai Paesi produttori verso i Paesi consumatori. (mg)

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    La Lega Araba concede ancora ore a Damasco per firmare accordo su pacificazione interna

    ◊   La Lega Araba concede al regime siriano altre ore di tempo per firmare l'accordo di pacificazione interna e consentire l'accesso nel Paese di osservatori internazionali. Il Consiglio per i diritti umani si è appellato agli organismi delle Nazioni Unite affinché vengano adottate misure appropriate contro la Siria, accusata ormai apertamente di crimini contro l’umanità. Sarebbero almeno 4mila i morti provocati dalla violenta repressione contro gli oppositori del governo del presidente Basher al Assad. Da parte sua stamane Damasco definisce i pronunciamenti dell'Onu incoraggiamenti al terrorismo. A Giandonato Caggiano, esperto di diritto internazionale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, Stefano Leszczynski ha chiesto se le ripetute violazioni dei diritti umani potranno portare a nuove risoluzioni contro il regime siriano:

    R. – Siamo ancora in una fase politica molto significativa, rispetto all’individuazione di crimini contro l’umanità commessi nella repressione delle manifestazioni nei confronti degli oppositori, che si sta svolgendo in Siria. E’ difficile prevedere se questo porterà ad una Risoluzione del Consiglio di sicurezza, ma accorre tener presente che la Cina e soprattutto la Russia hanno manifestato in queste due occasioni una loro opposizione. E’ evidente, però, che la situazione sta evolvendo perché i fatti addebitati sono gravissimi e soprattutto continuano da un grande periodo di tempo e con sempre maggiore gravità.

    D. – Vede il pericolo di una evoluzione simile a quello della Libia in ambito internazionale per quanto riguarda il caso siriano?

    R. – Assolutamente sì, perché nella Risoluzione del consiglio dei ministri degli affari esteri dell’Unione, adottata il 1° dicembre 2001, si parla di questa possibile evoluzione. Quindi sono le stesse ragioni per cui la Russia – in senso opposto – vorrebbe bloccare l’evoluzione delle condanne sul piano più limitato del comitato dei diritti umani dell’Assemblea.

    D. – Quindi, se estrapoliamo il discorso dal contesto politico, gli ingredienti per un’azione di forza nei confronti della Siria ci sono tutti?

    R. – Ci sono tutti e non c’è dubbio, ma si stanno preparando le aperture del dibattito: se questa cosa andasse avanti per altri due mesi con situazioni sempre più gravi, sarebbe molto difficile anche per la Russia bloccare questo passaggio al Consiglio di sicurezza.

    D. – Quindi questo è uno dei motivi per cui si incrementano anche i contatti con l’opposizione siriana?

    R. – Assolutamente sì. Questa è la pressione che si svolge in una triangolazione tra opposizione all’estero, Lega Araba e Unione Europea. Io rivedo lo stesso schema della Libia: anche lì ci fu un primo contatto con gli oppositori, cercando di capire se ci fosse un altro referente possibile, strutturato o strutturabile. L’Unione Europea, sul piano – diciamo – non operativo, prepara certamente il terreno politico: perché avere 27 Paesi importanti, 500 milioni di persone che la pensano – per bocca dei loro rappresentanti – in una certa maniera contro quello che sta accadendo in Siria, diventa veramente un consenso che poi può maturare ed essere irreversibile. (mg)

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    Tensione in Congo: i risultati delle presidenziali attesi per martedì

    ◊   Nella Repubblica Democratica del Congo cresce la tensione in vista dei risultati delle presidenziali del 28 novembre scorso attesi per martedì prossimo. Nei giorni scorsi almeno 15 persone hanno perso la vita negli scontri con le forze di sicurezza. Secondo i primi dati relativi al 15% delle schede, il presidente uscente Kabila e lo storico leader dell’opposizione Tshisekedi hanno staccato di netto tutti gli altri nove candidati, raccogliendo rispettivamente il 51,6 e 33,9 per cento dei consensi. Per conoscere la situazione sul terreno Marco Guerra ha intervistato Giampaolo Musumeci, giornalista freelance raggiunto telefonicamente a Kinshasa:

    R. - La tensione a Kinshasa è altissima: il livello di allerta è massimo, tanto che tutte le organizzazioni hanno già pronti da tempo piani di evacuazione; molti espatriati italiani - ma non solo - hanno già abbandonato la capitale; ci sono state violenze, ci sono state manifestazioni alla Place de la Victoire, che è quella che i congolesi chiamano la loro Piazza Tahrir. Questo non lascia presagire nulla di buono: la polizia ha sparato in aria per disperdere i manifestanti, che erano tutti pro-Tshisekedi, chiaramente già irritati dal fatto che il loro leader sta rincorrendo Kabila. Allo stesso tempo, però, ho incontrato Tshisekedi, con il quale ho fatto una lunga intervista, nella quale si dice fiducioso della vittoria e dice anche che ci sarà calma assoluta. Non resta che aspettare la proclamazione dei risultati, perchè il tempo di Joseph Kabila qui in Congo è scaduto.

    D. - Gli osservatori internazionali hanno riferito di numerose irregolarità e di difficoltà di poter votare. Confermi queste denunce?

    R. - Per ciò che riguarda le irregolarità, posso dire che ce ne sono state parecchie. E’ stato un voto piuttosto caotico in molti seggi, non in tutti, perché in alcuni tutto è andato estremamente bene. Il problema più grave, che è stato riscontrato, è che molti elettori non trovavano il proprio nome nella lista elettorale affissa all’esterno del seggio e quindi non capivano dove e come avrebbero potuto votare. Le perplessità più forti - devo dire - le ho avuto guardando il centro di compilazione, dove affluivano tutte le schede elettorali marcate e dove le condizioni di sicurezza erano veramente - a dir poco - inquietanti.

    D. - Che prospettive si aprono per il Congo dopo queste elezioni?

    R. - Tratteggiare lo scenario futuro è difficilissimo in questo momento. I disegni più oscuri vedono il Paese sull’orlo della guerra civile. In questo momento e in queste ore i contatti diplomatici nascosti sono frenetici: sia con Tshisekedi, sia con Kabila. Rappresentanti dell’Unione Europea e dei vari Paesi, appunto, dell’Europa stanno freneticamente tenendo meeting con le varie dirigenze per cercare di tenere bassi i toni, per cercare di evitare - appunto - che si sprofondi in ennesime violenze. Questo spettro della guerra di piazza è vicino ed è per questo che tutte le diplomazie si stanno muovendo freneticamente, per cercare di scongiurarlo. Quello che è certo, dal punto di vista della popolazione, è che c’è una certa stanchezza ed un’altissima frustrazione; c’è molta voglia di rinnovamento: Tshisekedi, in questo senso, è l’uomo duro e puro; è l’uomo dell’opposizione fin dai tempi di Mobutu. Questo è un Congo che dovrebbe svilupparsi, che dovrebbe diventare un Paese emergente, che dovrebbe affidarsi molto all’agricoltura più che alle ricchezze minerarie, in cui si scatenano gli appetiti delle potenze straniere. (mg)

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    La Somalia al centro degli interessi della regione perché priva di una vera idea di Stato

    ◊   Alcune organizzazioni non governative tornano a lanciare l’allarme per i diritti dell’uomo in Somalia, dove il conflitto ormai coinvolge i principali Stati dell’area. La situazione umanitaria è influenzata anche dalla presenza di autorità in grado di essere riconosciute sul territorio. Lo ha spiegato, al microfono di Davide Maggiore, Matteo Guglielmo, autore del libro “Somalia, le ragioni storiche del conflitto” e dottore di ricerca all’Università “L’Orientale” di Napoli:

    R. – Ci troviamo di fronte a delle istituzioni centrali assolutamente deboli e a delle istituzioni locali, che sono deboli ma che però in qualche modo vivono grazie anche alla mancanza di uno Stato centralizzato. Il problema oggi è ricercare un quadro istituzionale che possa contenere queste realtà locali, senza contraddizioni.

    D. – Anche l’egemonia di determinati gruppi, come le corti islamiche prima e Al-Shabaab poi, può essere spiegata come la necessità per la popolazione di ricevere una qualche forma di protezione?

    R. – Le corti islamiche erano certamente delle espressioni di alcuni interessi precisi, come quello dei commercianti, dei businessmen, che poi in realtà rimanevano abbastanza divisi sull’istituire o meno uno Stato centralizzato. Al-Shabaab è un discorso diverso: nasce prettamente da un punto di vista militare. Al-Shabaab ha effettivamente assicurato, per un certo periodo di tempo, un po’ di sicurezza, a caro prezzo certo per la popolazione locale.

    D. – In Somalia, attualmente, sono impegnati direttamente il Kenya e l’Etiopia, e l’Eritrea è accusata di sostenere appunto Al-Shabaab. La Somalia è diventata l’arena dove si scontrano tutte le potenze regionali?

    R. – Possiamo dire che la Somalia è il luogo dove c’è la resa dei conti tra alcuni Stati regionali come Eritrea ed Etiopia, ma dove in qualche modo si giocano anche quelli che sono i nuovi equilibri di potere regionale. L’Uganda, partecipando con il maggior numero di caschi verdi alla missione di Amisom, tenta di ergersi in qualche modo a potenza regionale.

    D. – Quale ruolo giocano in questo contesto le forze internazionali dell’Unione Africana, che con la missione Amisom sono appunto presenti nel Paese?

    R. – Amisom ha sempre avuto, quale attore preferenziale, giustamente, le istituzioni federali di transizione. Se la loro legittimità si assottiglia sempre di più, ecco che Amisom viene associata per forza a delle istituzioni deboli, fragili e quindi il loro potere di incidere, in qualche modo, nel processo di pace è abbastanza scarso.

    D. – In Somalia è ancora presente l’idea di un’autorità statale o comunque un sentimento di un’identità unitaria?

    R. – Oggi manca non un Paese, ma un’idea di Paese, una strategia per rifarsi Stato. Le uniche idee con cui identificarsi vengono quando c’è qualcuno da combattere. (ap)

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    Domani Giornata Mondiale del Volontariato

    ◊   In vista della Giornata Mondiale del Volontariato di domani, si è svolta ieri mattina a Roma la cerimonia di assegnazione del Premio del volontariato internazionale FOCSIV 2011. Presente anche il cardinale Peter Turkson presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Come spiega Sergio Marelli, Segretario Generale FOCSIV “in coincidenza con la chiusura dell’anno europeo del volontariato e con l’apertura del quarantesimo anniversario della nascita della Federazione, l’edizione 2011 del premio rappresenta un’occasione particolare per trovare risposte alle sfide di oggi del volontariato internazionale”. Il volontario premiato quest’anno è Riccardo Giavarini, impegnato con la Focsiv nel Progetto Mondo-Mlal, nella città di La Paz in Bolivia. Cinquantaseienne bergamasco è da 35 anni in America Latina, dove ha promosso tra l'altro un Centro rieducativo per minori. Gabriella Ceraso gli ha chiesto cosa lo ha spinto a iniziare l’avventura del volontariato:

    R. – La famiglia, il seminario e la comunità Nazareth – un gruppo di amici che hanno sul serio fatto comunità nell’accogliere gruppi di persone con difficoltà - mi hanno spinto alla scelta di partire. C’è poi un contesto un po’ più ampio – ossia il Concilio Vaticano II – che mi ha motivato a fare delle scelte radicali a livello di impegno nel mondo, soprattutto per quanto riguarda i poveri. Un impegno che non può essere solo assistenzialismo ma deve tradursi in politiche, in gesti che vadano a scalfire le strutture non funzionanti.

    D. – E per te quest’impegno sociale è sempre stato un impegno a difesa dei diritti umani. Quali sono i contesti nei quali hai operato da quando sei in America Latina?

    R. – Quando sono arrivato in Bolivia i tempi erano quelli della dittatura. Cerchiamo di far maturare il senso del diritto, della giustizia e della pace, che si traduce poi in gesti di solidarietà verso chi soffre le conseguenze della dittatura. In Perù l’esperienza è stata quella di un recupero di terre, di impegno per i gruppi di contadini: per i loro diritti economici, di partecipazione e di organizzazione. Si vede come la persona venga continuamente messa al margine e a prevalere siano gli interessi economici e politici o anche di gruppi.

    D. – Dal 2005 ti occupi invece del reintegro di ragazzi giovani ed adolescenti che delinquono e che spesso sono in carcere insieme agli adulti. Perché, in Bolivia, tanti minori si trovano in carcere?

    R. – Sono loro ad essere del tutto responsabili di questa delinquenza, ma è comunque tutto il sistema a non funzionare. Non è un sistema organizzato per la protezione e la difesa dei diritti di questi gruppi così vulnerabili. La società non permette di accedere ai servizi di base, come ad esempio vivere in una casa. Se poi aggiungiamo il fatto che i genitori sono separati, non ci sono i riferimenti genitoriali, che per poter sopravvivere si è obbligati a lasciare la scuola e ad andare a cercare qualsiasi tipo di lavoro, è evidente che c’è tutta una serie di cause che inducono questi giovani ed adolescenti a sopravvivere con i propri mezzi.

    D. – Ma voi, come Progetto Mondo Mlal, quanto riuscite a fare e cosa cambia nella vita di questi ragazzi che aiutate?

    R. – Da dieci anni abbiamo assunto questa sfida di accompagnare questi ragazzi secondo tre linee. La prima è quella di essere presenti nelle carceri, la seconda è lavorare in rete con altre istituzioni pubbliche e private. Infine, in questo Centro di Qalauma abbiamo messo in piedi un modello educativo affinché attraverso lo studio, il lavoro ed il trattar bene queste persone che hanno avuto un passato così pieno di conflitti, si possa costruire un progetto educativo individuale. L’equipe di educatori ed educatrici che abbiamo pone al centro la persona - al di là del delitto commesso o di qualsiasi sia il suo passato - per poter tornare sui binari di una convivenza pacifica e giusta.

    D. – Abbiamo parlato della tua opera. Questo contesto, che è poi il contesto del Paese boliviano, in che cosa può cambiare?

    R. – Direi piuttosto che cos’é che sta cambiando. Nel senso che certamente ci sono segnali che preparano un contesto migliore rispetto al passato. La partecipazione della gente, l’esercizio della democrazia a partire dal basso, l’inclusione di gruppi sociali molte volte esclusi e dimenticati. Adesso, invece, sono maggiormente protagonisti presi in considerazione ed appoggiati. Questo, lo ripeto, non vuol dire che i problemi siano risolti, anzi: sono ancora molto presenti e ci vorranno ancora processi da costruire e da appoggiare poco e poco. (vv)

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    In questo Natale, a Betlemme e Gerusalemme i presepi di Trento

    ◊   Il cammino spirituale del Trentino, attraverso la sua tradizione presepistica approda per il Natale 2011 a Betlemme e a Gerusalemme. Dal 18 dicembre nella Basilica di Santa Caterina a Betlemme sarà allestito il presepe in grandezza naturale, mentre nella sede del Patriarcato Latino e nella Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, due esposizioni metteranno in mostra le Natività più antiche e significative. L’iniziativa è organizzata dalla Provincia autonoma di Trento, con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme, la Custodia di Terra Santa, e il Patriarcato Latino di Gerusalemme con la collaborazione dell’Associazione Amici del Presepio di Tesero, della Regione e dell’Arcidiocesi di Trento. Al microfono di Andrea Gabriel Burla, l’arcivescovo, mons. Luigi Bressan:

    R. – Noi vediamo una crescita dei presepi anche per via, cioè portati nelle strade. Normalmente nelle famiglie si costruisce e anche nelle chiese e nelle piazze c’è una grande diffusione, perché è un messaggio certamente unico. E’ bello potere costruire il presepio in famiglia.

    D. – Come nasce la tradizione di costruire i presepi nella Val di Fiemme?

    R. – La lavorazione del legno è molto antica. Pensiamo anche ai lunghi inverni. Certamente il presepio ispira l’artista, ispira la fede e la fede, congiunta all’arte di queste popolazioni della Val di Fiemme, della Val di Fassa, della Val Gardena, porta al presepio.

    D. – Un percorso particolare quello del Trentino, che partendo dalla tradizione del fare il presepe vuole anche portare un messaggio di amore e pace nel mondo...

    R. – Sì, lo abbiamo potuto portare già in altre terre come la Polonia, compresa Roma e il Vaticano, passando anche da Paesi che hanno dovuto soffrire tanto, come l’Aquila – provata dal terremoto – e accanto a questo abbiamo svolto tutta un’azione di solidarietà, di aiuto di ricostruzione della città de L’Aquila. E’ certamente un gran bel messaggio che può arrivare in Terra Santa: è un segno che il dialogo può svilupparsi. D’altra parte noi ci rapportiamo con le autorità sia d’Israele, sia del popolo palestinese, perché a noi quello che interessa è la popolazione locale e il messaggio al mondo intero. (ap)

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    Chiesa e Società



    Al cardinale Bertone il premio "Giovanni Paolo II" per la pace

    ◊   “E’ portatore di pace chi la possiede in se stesso” e la testimonia nel proprio comportamento, “vivendo in accordo con Dio e facendo la sua volontà”. Così il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ricevendo ieri a Reggio Calabria il premio “Giovanni Paolo II” per la pace, conferitogli dall’associazione Anassilaos. Nel suo discorso il porporato ha ricordato che, nell’enciclica Redemptor hominis, Giovanni Paolo II individuò “nel rispetto dei diritti umani la via maestra per assicurare la pace tra i popoli”, e che nel solco del suo insegnamento, anche Papa Benedetto XVI, ponendo “attenzione ai valori universali che accomunano le religioni, le culture e i diversi sistemi di pensiero”, abbia “individuato in un valore assoluto, la verità, il fondamento della pace”. E’ per questo – ha aggiunto – che l’attuale Pontefice non si stanca “di richiamare i cristiani alla centralità di Gesù che, abbattendo ogni muro di separazione, mostra la possibilità reale (…) di un impegno per la pace universale”. In occasione della cerimonia di premiazione, il cardinale Bertone ha incontrato l’arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, mons. Vittorio Mondello, il clero diocesano e i fedeli. Stamani, infine, il porporato ha celebrato la Santa Messa nella basilica cattedrale della città calabrese. (C.D.L.)

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    Padre Piero Gheddo vincitore del Premio Natale Ucsi 2011

    ◊   Un “autentico patriarca della stampa missionaria, che ha visitato i quattro angoli del mondo per raccontare, con penna arguta e autorevole, la solidarietà di tanti uomini e donne di buona volontà, dediti all’altro in nome di Dio o della semplice e comune umanità”. E’ il ritratto che la giuria dell’Ucsi fa di Padre Piero Gheddo, giornalista missionario di fama internazionale, a cui l’Unione dei giornalisti cattolici italiani ha conferito il premio “Giornalisti & Società” - la professione giornalistica a servizio dell'uomo. Un riconoscimento prestigioso che valorizza l’impegno di una vita intera: Padre Gheddo, 82 anni, è direttore dell'Ufficio storico del Pontificio Istituto Missioni Estere a Roma, tra i fondatori di Emi (Editrice Missionaria Italiana), dell’Ong Mani Tese e dell’agenzia di informazione AsiaNews, da quasi 60 anni in viaggio nelle missioni di ogni continente con all'attivo più di 90 volumi pubblicati e 35 anni da direttore del mensile del Pime “Mondo e Missione”. Durante la cerimonia di premiazione, che si terrà sabato 17 dicembre alle ore 11.00 nella Sala Arazzi del municipio di Verona, saranno conferiti altri cinque premi giornalistici. I vincitori: Roberta Bassan, inviata in Tanzania per “Il Giornale di Vicenza”; Marco Clementi, del Tg1, con un servizio sulla guerra in Libia; Chiara Bertoglio, giovane giornalista vincitrice della targa Athesis dedicata agli under 30; Paola Bergamini, che ha conquistato il premio speciale “Il genio della Donna” con un servizio pubblicato su “Tracce”; Alberto Friso, con il servizio “Volontariato in giacca e cravatta” pubblicato sulla rivista “Il Messaggero di Sant'Antonio”. (C.D.L.)

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    Germania. Mons. Schick: i cristiani in Pakistan sono cittadini di serie B

    ◊   I cristiani in Pakistan sono “cittadini di serie B”: lo ha detto giovedì a Berlino mons. Ludwig Schick, presidente della Commissione per la Chiesa universale della Conferenza episcopale tedesca (Dbk). "I cristiani in quel Paese sono vittime di molteplici discriminazioni e penalizzazioni. Si sentono a ragione cittadini di serie B, poiché molti degli svantaggi che subiscono sono sanciti dalle leggi della Repubblica Islamica del Pakistan", ha affermato il vescovo, citato dall’agenzia Sir, durante la presentazione di una nuova brochure informativa edita dalla Dbk, intitolata “Solidarietà con i cristiani perseguitati e oppressi dei nostri tempi – Pakistan”. Non solo i cristiani sono svantaggiati: “Gli indù, i buddisti e altre minoranze religiose - ha aggiunto - sono colpite dall’intolleranza religiosa e dalle violenze”. Klaus Krämer, presidente dell'opera missionaria cattolica Missio di Aquisgrana, ha sottolineato che l'attuale legge sulla blasfemia, vigente in Pakistan, rappresenta "il problema più grande per i cristiani", in quanto può comportare l'ergastolo o anche la morte. Mons. Schick e Krämer, insieme con il vescovo di Lahore, mons. Sebastian Francis Shaw, hanno incontrato a Berlino anche diversi rappresentanti del governo e del Bundestag per informarli sulla situazione in Pakistan. (L.Z.)

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    Terra Santa: martedì la presentazione dei lavori del progetto "Gerusalemme, pietre della memoria"

    ◊   Saranno presentati martedì a Saha Square, quartiere cristiano della Città Vecchia di Gerusalemme, in Terra Santa, i lavori eseguiti dalla Custodia di Terra Santa nell’ambito del progetto “Gerusalemme, pietre della memoria” promosso da in partenariato con il Centro del Patrimonio Mondiale dell’Unesco e grazie al contributo della Cooperazione Italiana. Ne dà notizia il portale della Custodia di Terra Santa www.custodia.org. Il progetto, che ha come obiettivo principale quello di proteggere e salvaguardare l’eredità culturale della Città Vecchia di Gerusalemme affrontando l’emergenza abitativa, è seguito dall’Ufficio Tecnico Custodiale e viene portato avanti grazie alla generosità di donatori privati e pubblici. I fondi, messi a disposizione dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco) sono serviti, in particolare, per rinnovare le facciate nel complesso “Al Saha”, dando lavoro a otto operai disoccupati, provenienti da Gerusalemme Est e dalla West Bank. L’intervento, svolto nel quadro dell’“Action Plan for the Safeguarding of the Cultural Heritage of the Old City of Jerusalem” lanciato dalla Conferenza Generale dell’Unesco nel 2003, ha invece consentito di restaurare una piazzetta pubblica, mentre il contributo erogato dall’Ufficio della Cooperazione Italiana, ha permesso di affrontare gli sprechi d’acqua promuovendo l’educazione del suo uso razionale. Durante la realizzazione del progetto “Emergenza abitativa e sociale nella Città Vecchia di Gerusalemme”, l’Ufficio Tecnico Custodiale ha eseguito interventi di miglioria sugli impianti idraulici più vecchi e danneggiati delle case della Città Vecchia di Gerusalemme, limitando inutili perdite d’acqua ed evitando di danneggiare gli appartamenti sottostanti o adiacenti. Altri fondi di donatori italiani consentiranno interventi in circa 60 appartamenti. (T.C.)

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    Malaysia. La Federazione Cristiana: la concorrenza tra Chiese cristiane è contro il Vangelo

    ◊   Le Chiese cristiane in Malaysia non devono farsi concorrenza per ottenere più proseliti. È il monito contenuto nel messaggio natalizio diffuso in questi giorni dalla Federazione Cristiana della Malaysia (Cfm), un organismo a cui aderiscono la Chiesa cattolica, il Consiglio delle Chiese della Malaysia e le Chiese evangeliche del “National Evangelical Christian Fellowship”. “Non è ammissibile - si legge nel documento firmato dal presidente del Cfm, il vescovo anglicano Ng Moon Hing - che una Chiesa faccia proselitismo attivo tra i fedeli di altre comunità cristiane per ingrandirsi” a loro discapito. “Qualsiasi tentativo di ottenere convertiti da un’altra denominazione cristiana danneggia il nostro comune impegno per la missione e il Vangelo di Cristo”. Il documento precisa che non è peraltro in discussione “il diritto e la libertà dei singoli di scegliere la comunità a cui aderire”. Il messaggio, spiega il vescovo Ng citato dall’agenzia Ucan, “vuole affermare che noi cristiani siamo nello stesso campo, nonostante le nostre diverse espressioni e differenze teologiche”. I cristiani in Malaysia rappresentano circa il 9% della popolazione, per i due terzi musulmana sunnita (religione ufficiale del Paese), mentre il 19% pratica il buddismo; e il 6% induismo. Come in altri Paesi del continente, le Chiese cristiane tradizionali sono insidiate dal proselitismo aggressivo delle sette pentecostali. (L.Z.)

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    Sud Corea: “sì” del governo ad un albero di Natale nei pressi del confine con la Nord Corea

    ◊   Dopo sette anni di divieto, il governo di Seul, nella Corea del Sud, in vista del Natale, concede ad un gruppo di cristiani il permesso di accendere l’albero con sopra la croce sul Picco di Aegibong, in una zona collinare a meno di 3 chilometri dal confine con la Corea del Nord. L’albero di Natale ornato da una croce – riferisce l'agenzia AsiaNews - sarà illuminato dal 18 al 31 dicembre e visibile da buona parte della popolazione locale nordcoreana. Una fonte governativa spiega che il ministero della Difesa nazionale ha accettato la richiesta perché l’albero “rappresenta bene lo spirito delle feste”. Dura la risposta di Pyongyang che definisce il provvedimento “propaganda del regime”. Critico anche il "Rodono Shinmun", quotidiano del Partito dei lavoratori nordcoreani. (C.D.L.)

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    Cina: aumentano le donne contrabbandate, schiave del sesso o dei mariti

    ◊   Un numero sempre maggiore di ragazze e donne originarie del Sud-est asiatico entra clandestinamente in Cina, per essere avviate alla prostituzione oppure vendute a uomini che le obbligano a matrimoni forzati. È quanto riferisce il quotidiano ufficiale China Daily - ripreso dall'agenzia AsiaNews - che riporta uno studio elaborato dal Dipartimento contro la tratta di esseri umani, del ministero della Pubblica sicurezza. Il documento non pubblica le cifre dell’emergenza, che restano segrete; tuttavia, sono state proprio le politiche sulle nascite promosse da Pechino – fra cui la famigerata legge sul figlio unico – che hanno portato all’enorme squilibrio fra i sessi della Cina odierna. Chen Shiqu, direttore del Dipartimento contro il traffico di vite umane, riferisce che “il numero di donne straniere che entrano da clandestine in Cina è in continua crescita”. La maggior parte di loro proviene dalle campagne povere di Vietnam, Myanmar e Laos ed è vittima del racket internazionale di gruppi criminali, che le attira con la promessa di allettanti posti di lavoro o di matrimoni con facoltosi uomini cinesi. Entrate nel Paese, le donne sono vendute in mogli agli abitanti dei villaggi oppure costrette a prostituirsi nei bordelli della costa o nelle province del Guangdong e Yunnan. Il prezzo della vendita varia tra i 20mila yuan (poco più di 3mila dollari) fino ai 50mila yuan, a seconda della nazionalità e dell’area di provenienza. Molte fra le donne originarie del Sud-est asiatico vengono trasportate fino alla provincia settentrionale dell’Hebei, per poi venire indirizzare verso la capitale Pechino. Fonti della sicurezza pubblica riferiscono che dal 2009 sono state liberate 206 donne, cadute nella rete dei trafficanti di vite umane. La politica del figlio unico promossa da Pechino ha causato la soppressione di feti femminili e l’uccisione di bambine appena nate; questo massacro silenzioso, avallato dalle autorità, ha determinato un profondo disequilibrio di genere in Cina, tanto che sempre più uomini vanno in Corea del Nord a cercare moglie oppure “comprano” donne coinvolte nel racket della criminalità internazionale. Secondo le stime delle Nazioni Unite, oggi nel Paese del Dragone vi sono 118,1 maschi ogni 100 femmine; la media mondiale, invece, si attesta sui 105 ragazzi ogni 100 ragazze. (R.P.)

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    Malawi: nuovi progetti dell’Infanzia Missionaria per i bambini bisognosi

    ◊   L’obiettivo è quello di portare sostegno ai bambini affetti da Aids, rimasti orfani dei genitori a loro volta vittime del virus, a quelli abbandonati che vivono soli per la strada, ai piccoli malati che non accesso alle cure, a coloro che sono denutriti, soli, analfabeti, emarginati. In Malawi – riporta l'agenzia Fides - la Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria promuove 42 progetti che hanno il loro cuore, e la loro forza propulsiva, nell’attività instancabile delle suore e dei sacerdoti locali. Iniziative che vedono la realizzazione di case di accoglienza e istituti di formazione, e che non di rado hanno luogo nelle strutture parrocchiali, anche con il contributo di laici volontari. Si tratta ad esempio del centro di accoglienza di Chikwawa, città capoluogo di una delle otto diocesi cattoliche del Paese, che sorge proprio all’interno della Cattedrale, o delle strutture collocate nella Parrocchia di Santa Maddalena di Canossa a Mangochi, o in quella di Sant’Ignazio di Loyola al confine con il Mozambico. E poi le scuole elementari delle religiose a Tikondane, Osiyana o Mpira, che costituiscono la prima linea dell’impegno in favore dell’infanzia nel Paese. Inoltre, nella zona di Mzuzu, sono stati avviati programmi di assistenza sanitaria, come quello delle suore del Santo Rosario che raggiungono le famiglie bisognose grazie ad alcune unità mobili. (C.D.L.)

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    Afghanistan: un bambino su 10 muore prima di compiere cinque anni

    ◊   In Afghanistan si registra uno dei tassi di mortalità infantile più alti del mondo. Secondo il primo Studio nazionale del governo, effettuato su un campione di 22.351 famiglie e diffuso dall’agenzia Pajhwok, un bambino su 10 muore prima di aver compiuto 5 anni. Il tasso di mortalità infantile, ad eccezione del sud del paese, è di 77 morti ogni 1000 nati vivi, quello tra i minori di 5 anni è di 97 ogni 1.000 nati vivi. Per quasi la metà dei casi, la morte è dovuta a infezioni respiratorie o malattie parassitarie, mentre un altro 30% è dovuto a problemi congeniti. Lo studio - ripreso dall'agenzia Fides - riporta anche che la metà dei decessi delle donne tra 15 e 59 anni sono provocati da malattie non infettive, soprattutto da problemi cardiovascolari e cancro. Una donna su 5 in questa fascia di età muore per cause legate al parto. Per gli uomini afghani tra i 15 e i 59 anni di età, causa principale di morte sono le ferite riportate in seguito ad incidenti, cadute, o come conseguenza della guerra. Un altro dato importante emerso nello studio evidenzia che nel 2010 il 60% delle donne ha ricevuto assistenza medica prenatale da parte di medici, infermieri e ostetriche durante la loro ultima gravidanza. Mentre nel 2003 solo il 14% dei parti sono stati assistiti da personale medico specializzato, nel 2010 sono stati il 34%. L’indice di mortalità materna è di 327 ogni 100 mila nati vivi, cifra che dimostra un miglioramento attribuibile all’assistenza prenatale, alla cura da parte di personale medico specializzato durante il parto e al fatto che negli ultimi anni è notevolmente cresciuto il numero di donne che partoriscono nei centri sanitari. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2008, l’indice era di 1400 morti ogni 100 mila nati vivi. Nel Paese l’emorragia è la causa principale delle morti materne. Circa il 40% si verificano durante la gravidanza, un altro 40% durante il parto, e il restante 20% nei due mesi successivi al parto. L’unica nota positiva di questa ricerca è data dall’aumento della speranza di vita della popolazione afghana, fino a 62 anni per gli uomini e 64 per le donne, rispetto ai dati del 2009 in cui la prospettiva era di 44 anni. (R.P.)

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    Messaggio dell’arcivescovo di Canterbury per l’inizio dell’Avvento

    ◊   «La Comunione anglicana è un dono, non un problema»: è il messaggio cardine contenuto nel tradizionale messaggio per l’inizio del tempo d’Avvento che Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, ha rivolto a tutti i fedeli anglicani del mondo in qualità di primate dell’Anglican Communion. Nel testo ripreso da L'Osservatore Romano - il primate affronta sia i temi di attualità per le comunità anglicane nel mondo sia le problematiche legate alla coerenza teologica delle diverse espressioni dell’anglicanesimo. Ricordando la recente visita compiuta ai vescovi e ai fedeli della provincia anglicana dell’Africa centrale, Rowan Williams ha sottolineato che «questa esperienza ha reso evidente il bisogno di rafforzare il valore della fratellanza specie con le comunità di fedeli che si sentono isolate ed esposte a pericoli come quella dello Zimbabwe». «Tuttavia — ha proseguito — proprio in questo Paese ho avvertito il vero valore del nostro spirito d’unità. L’ho avvertito in particolare quando, rivolgendosi alla folla di fedeli raccolti in preghiera nello stadio di Harare, il reverendo Thabo Cecil Makgoba, arcivescovo di Cape Town, ha affermato: “Ciò che colpisce voi colpisce anche noi”». Per l’arcivescovo di Canterbury è un dovere dell’Anglican Communion assumere un ruolo protagonista nei confronti dei problemi che interessano le diverse comunità di fedeli che la costituiscono. Tra questi, Rowan Williams ha citato il fatto che a Gerusalemme è stato negato il permesso di residenza a un vescovo; che in Nigeria i fedeli anglicani sono alle prese con il crescere della violenza da parte di credenti di diverse fedi; che nelle isole del Pacifico le comunità si stanno adoperando per fronteggiare le sempre più frequenti inondazioni provocate dai cambiamenti del clima; che nella Bretagna le comunità si preoccupano su come affrontare il crescere del disordine sociale in conseguenza della povertà e dell’aumento della disoccupazione. Affrontando nel messaggio i temi che riguardano il funzionamento interno della Comunione anglicana, l’arcivescovo di Canterbury non ha nascosto le «numerose tensioni» all’interno della struttura ma ha ammonito i suoi membri a evitare la tentazione di dichiarare «non ho bisogno di te» nel corso del dialogo con quanti si pongono al servizio di Gesù Cristo. Per Rowan Williams è necessario che la discussione sui temi controversi avvenga in modo «più attento e scevro dalle passioni» specialmente sugli argomenti che riguardano quanto viene discusso nel corso delle riunioni tra i primati delle provincie. Per il primate della Anglican Communion è evidente il bisogno «di maggiore volontà da parte dei rappresentanti di tutte le provincie di comprendere i diversi modi con cui le diverse componenti della Comunione anglicana organizzano la loro vita interna». Tuttavia, per l’arcivescovo di Canterbury la diversità fra le varie componenti non deve essere presa come un pretesto per non dare l’adesione all’Anglican Communion Covenant, il documento che definisce una serie di regole comuni a cui devono attenersi i fedeli e i religiosi di tutte le provincie. Per Rowan Williams, l’Anglican Communion Covenant deve essere sostenuta in modo ancora più convinto sia perché non mina le strutture della Comunione sia perché «non conferisce alcuna sorta di potere assoluto di scomunica a organismi con caratteristiche non democratiche e non rappresentative». (L.Z.)

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    Taiwan: mons. Hung celebra il 150° dei Padri di Scheut

    ◊   “Rendiamo omaggio e ringraziamo questi missionari che, con spirito profetico, amano veramente con tutto il cuore Taiwan e la Chiesa intera, e guardano ai veri bisogni di Taiwan”: così mons. John Hung Shan Chuan, arcivescovo di Tai Pei e presidente della Conferenza episcopale regionale di Taiwan, ha espresso la sua gratitudine a nome della Chiesa di Taiwan, ai missionari della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria (Cicm), noti come missionari di Scheut, che hanno festeggiato i 150 anni di fondazione il 25 novembre. Il cardinale Paul Shan, vescovo emerito di Kaohsiung, e i vescovi taiwanesi, insieme ad oltre mille fedeli, hanno celebrato insieme il giorno dell’anniversario, insieme a una decina di missionari di Scheut della comunità di Tai Pei, ripercorrendo il loro servizio a Taiwan di oltre mezzo secolo. Durante la celebrazione - riferisce l'agenzia Fides - si è svolto il rinnovo dei voti dei missionari, sotto la guida di padre Frans De Ridder, Superiore provinciale Cicm della provincia Cina-Mongolia. Con la solenne processione in cui sono state portate la Croce, la Sacra Scrittura, il mappamondo, fiori e candele, i missionari hanno voluto ribadire l’impegno a continuare la loro missione di portare l’Amore di Dio nel mondo. La Congregazione del Cuore Immacolato di Maria (Cicm) è stata fondata nel 1862 a Scheut, nella periferia di Bruxelles, dal sacerdote belga padre Theofiel Verbist (1823-1868), animato da una spiritualità essenzialmente mariana. I religiosi vengono chiamati spesso Missionari di Scheut. Nell'agosto 1865 il Fondatore, insieme ad altri tre religiosi, si recò a Siwantze (oggi è il distretto di Chong Li, nella provincia dell’He Bei) in Mongolia. Il clima rigido, la popolazione dispersa su immensi territori e le innumerevoli difficoltà misero a prova durissima la fede del missionario e dei suoi collaboratori. Il 23 febbraio 1868, durante il viaggio in una missione, padre Verbist si ammalò e morì. Secondo le statistiche della comunità di Taiwan, nel 2010 risultavano esserci 938 membri della Congregazione sparsi in 28 Paesi del mondo. Sono molto attivi anche a Taiwan, Hong Kong, in Mongolia, Singapore, Indonesia. A Taiwan i missionari di Scheut sono presenti dal 1955 nell’ambito dell’evangelizzazione, dell’educazione, dell’assistenza sanitaria, del servizio sociale e della vita pastorale. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Belgrado e Pristina trovano un accordo sui confini del Nord del Kosovo

    ◊   Sembra allentarsi la tensione nel Kosovo. Belgrado e Pristina hanno raggiunto un accordo per una gestione "integrata" dei confini nelle regioni kosovare settentrionali. L'accordo arriva dopo settimane di scontri e blocchi dei valichi di frontiera da parte dei serbi che hanno eretto delle barricate. L’intesa riapre l’ipotesi di una candidatura della Serbia per l’ingresso nell’Unione Europa. A Bruxelles se ne parlerà nei prossimi giorni. Ma nella questione s’intrecciano anche motivazioni economiche e nazionalistiche. La Serbia, infatti, non riconosce l’indipendenza del Kosovo. Ma chi sono i protagonisti dei blocchi dei valichi? Emanuela Campanile lo ha chiesto a don Davide Djudjaj, responsabile del Programma albanese della Radio Vaticana:

    R. - Non è la popolazione serba estesa, i civili, ma sono gruppi ben organizzati: qualcuno diceva sono paramilitari vestiti in borghese, gente che è preparata - diciamo - per questo tipo di disordini o di attacchi. Comunque chi va in avamposto non è la gente civile che protesta davanti alle sedi delle autorità nazionali ed internazionali e che ha tutti i diritti di poter protestare se lo ritiene opportuno. Qui stiamo parlando di gruppi che mettono veramente in pericolo e che possono vanificare tutte le iniziative diplomatiche, perché sembra essere gente fuori controllo. E questo sarebbe veramente pericoloso. Se Tadic riuscisse a tenerli sotto controllo, sarebbe una grande cosa. Per la Serbia certamente la strada per l’Europa è importante, ma lo è anche per il Kosovo, che vorrebbe imboccare la stessa strada: gli obiettivi, quindi, non sono certo divergenti e la questione rimane aperta. Secondo me la popolazione serba non la pensa come quei gruppi che sono lì, che spostano continuamente le barricate da un posto all’altro a seconda di come si schiera l’esercito internazionale… Dietro c’è tutto un guadagno di merci. Io spero che la Comunità europea premi il presidente Tadic che, in qualche modo, ha compiuto dei passi. Chiaramente la questione del Nord del Kosovo è la miniera di Trepca, che è collegata con il territorio serbo…

    D. - Quindi ci sono interessi anche economici?

    R. - Come no, certo che ci sono: altrimenti non ci sarebbe tutto questo scontro. In altre enclavi che sono interne i serbi non sono così e sono in attesa di vedere cosa fa la “terra madre” e cioè Belgrado. (mg)

    Italia
    Il presidente del Consiglio italiano Monti, che ieri ha incontrato i partiti, stamane ha illustrato le misure alle parti sociali. Il premier conferma il pareggio di bilancio nel 2013, ribadisce le linee guida dell'azione del suo governo sottolineando: rigore, equità e sviluppo. Annuncia provvedimenti strutturali su previdenza, infrastrutture, evasione fiscale, sottolineando che il suo governo cerca di "alleviare il cuneo fiscale su lavoro e impresa".

    Egitto
    Le liste dei partiti islamici, fra cui i Fratelli musulmani, hanno ottenuto più del 65% dei voti al primo turno delle legislative in Egitto. Sono i dati ufficiali diffusi oggi dalla commissione elettorale. Il primo turno ha coinvolto un terzo dei governatorati, fra cui le due principali città del Paese, Il Cairo ed Alessandria. Il secondo turno inizierà domani, mentre è previsto per mercoledì l’annuncio del nuovo governo che decreta la fine dell'era Mubarak.

    Croazia
    Urne aperte in Croazia dove fino alle 19 si vota per il rinnovo del parlamento, con i socialdemocratici favoriti sull'Unione democratica croata della premier uscente, la conservatrice Jadranka Kosor. Il governo paga la crisi con una disoccupazione al 17% e gli scandali che hanno coinvolto il partito di maggioranza. Secondo i sondaggi la coalizione di centrosinistra dovrebbe conquistare il 40% dei consensi e insediare il leader del Partito socialdemocratico, Zoran Milanovic, alla guida del governo. Gli aventi diritto al voto sono 4,5 milioni, i risultati ufficiali saranno resi noti in serata. Appena cinque giorni dopo le elezioni, il 9 dicembre, al Consiglio europeo di fine anno a Bruxelles, la Croazia firmerà il trattato di adesione all'Unione europea: entrerà a far parte del blocco comunitario dal primo luglio 2013.

    Slovenia
    Sono in corso anche in Slovenia, dalle 7 di questa mattina, le operazioni di voto per le elezioni legislative anticipate. Le previsioni vedono la vittoria del centro-destra guidato da Janez Jansa, già primo ministro dal 2004 al 2008. Gli sventi diritto al voto sono 1,7 milioni: alle 12.00 aveva votato il 18,7 per cento, contro il 19 per cento di tre anni fa.

    Yemen
    In Yemen, nuove violenze minano la tenuta dell’accordo per la formazione di un governo di unità nazionale, siglato la settimana scorsa dal presidente Saleh dopo 10 mesi di contestazione. Altre due persone sono state uccise oggi nella città di Taiz, nel sud del Paese, in scontri armati fra lealisti e forze di opposizione. Lo riferiscono fonti mediche locali.

    Iran
    Iran. Alcune fra le più autorevoli guide religiose della Repubblica Islamica criticano l'attacco di martedì all'ambasciata britannica. L'ayatollah Shirazi ha affermato che l’attacco non ha avuto il consenso della guida suprema Khamenei ed ha ammesso: “Non c'è dubbio che la Gran Bretagna è uno dei nostri più antichi nemici, ma i giovani rivoluzionari non devono trasgredire la legge”. Sulla stessa linea l’intervento dell’ayatollah Khatami che ha definito l’aggressione “illegale” e “contraria agli interessi del Paese”. Intanto sono rientrati a Teheran i diplomatici iraniani espulsi ieri dal Regno Unito, accolti come eroi all’aeroporto con una manifestazione antibritannica. Sul fronte diplomatico, dura replica del governo di Teheran all’ipotesi di nuove sanzioni al Paese. Il ministero degli Esteri iraniano minaccia di portare il prezzo del greggio a 250 dollari al barile, se la comunità internazionale decreterà misure restrittive su gas e petrolio, e ammonisce: “dovrebbero pensarci due volte. La situazione mondiale, specialmente in Occidente, non è tale da permettere loro di entrare in questa discussione”.

    Afghanistan
    Si apre domani a Bonn, in Germania, la seconda Conferenza internazionale sull’Afghanistan. L’evento, a cui partecipano 103 delegazioni provenienti da 86 Paesi, e 17 organizzazioni internazionali, fisserà modi e tempi della transizione nello Stato afghano. Per l’Italia sarà presente il ministro degli Esteri, Giulio Terzi. Secondo la Farnesina l’obiettivo della Conferenza – che segue la prima, dieci anni fa, alla caduta del governo talebano - è quello di far emergere il messaggio di un duplice impegno per la riconciliazione, lo sviluppo e la sicurezza nel Paese: quello della comunità internazionale, sul piano civile ed economico, e quello da parte afghana, in favore della governance, la trasparenza, i diritti umani. Il buon esito del vertice, tuttavia, sarebbe insidiato dal boicottaggio del governo Pakistano: è l’accusa lanciata oggi dal presidente afghano Hamid Karzai che, in una intervista al settimanale tedesco Der Spiegel alla vigilia della conferenza, ha accusato il Pakistan di sabotare il dialogo con i talebani e di ostacolare gli sforzi per l'avvio dei negoziati. (Panoramica Internazionale a cura di Claudia Di Lorenzi)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 338

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli.