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Sommario del 09/04/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il dolore del Papa per la strage nella scuola di Rio de Janeiro: dire "no" a violenza e vendetta, strade senza futuro
  • Il Papa vede un documentario su Giovanni Paolo II: "Pellegrino vestito di bianco"
  • Il cardinale Martini in udienza dal Papa. Istituita una nuova diocesi in Venezuela
  • Il Papa nomina il cardinale De Giorgi suo inviato speciale al Giubileo Paolino di Pozzuoli
  • Costa d'Avorio: Gbagbo resiste. Il cardinale Turkson: chi ha perso le elezioni si faccia da parte
  • Tragedie del mare. Dolore senza nome? L’editoriale di padre Lombardi
  • Riunione in Vaticano sulla Chiesa cattolica in Cina
  • Basilica Vaticana: traslazione del corpo del Beato Innocenzo XI
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Proteste in Siria: la polizia spara sui manifestanti, decine di morti
  • Nuovi sbarchi a Lampedusa. Maroni: l'Europa non mostra solidarietà
  • Elezioni in Nigeria tra forti tensioni sociali etniche ed economiche
  • Riapre al culto, dopo i lavori di restauro, la Tomba di San Francesco ad Assisi
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Chiesa e Società

  • Pakistan. Un altro cristiano in prigione: è accusato di blasfemia
  • I vescovi europei: la “primavera araba” è un segno di speranza
  • Il vescovo di Tunisi: giovani tunisini in fuga per disperazione, aiutateli in patria
  • L’arcivescovo di Jos: violenze per destabilizzare la democrazia in Nigeria
  • Emergenze ad Haiti e Pakistan nel rapporto di Msf sulle crisi dimenticate
  • Messaggio dei vescovi Usa su libertà religiosa e sicurezza in Afghanistan e Pakistan
  • Giappone: chiuse 7000 scuole, migliaia di bambini non potranno tornare sui banchi
  • In Perù il quarto Simposio di teologia per gli Indios
  • Polonia. “Dono del cuore”: inaugurata la casa famiglia voluta da Giovanni Paolo II
  • Sessione primaverile della Conferenza episcopale calabrese
  • Depressione: colpisce di più chi vive in città
  • 24 Ore nel Mondo

  • Libia: bombardata Ajdabiya, ribelli in fuga. Al via missione africana per il cessate-il-fuoco
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il dolore del Papa per la strage nella scuola di Rio de Janeiro: dire "no" a violenza e vendetta, strade senza futuro

    ◊   Benedetto XVI piange con il Brasile, ancora scosso per la folle strage di due giorni fa, quando un 24.enne è entrato in un scuola media di Rio de Janeiro armato di pistole uccidendo 12 alunni, tra cui nove ragazzine e tre ragazzini tra i 12 e i 14 anni. Il Papa ha inviato un telegramma di cordoglio alla Chiesa carioca, esortando a dire “no alla violenza” e a non cedere al sentimento della vendetta. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    “Bambini indifesi”, li chiama il Papa nel suo telegramma di cordoglio. E tali erano, di fronte al folle che li ha falciati come in un allucinante tiro a segno. Ragazzine e ragazzini di massimo 14 anni, seduti nei banchi di un’aula, pronti per una tranquilla lezione di portoghese alle otto del mattino, e poi, in pochi secondi, inchiodati dal terrore davanti a un ragazzo più grande che spiana contro di loro due pistole. Quanto è avvenuto giovedì corso in una scuola media di Rio de Janeiro ha profondamente addolorato Benedetto XVI, che in un telegramma inviato all’arcivescovo della metropoli brasiliana, Orani João Tempesta, si dice “profondamente costernato per il drammatico attentato compiuto contro bambini indifesi”. Assicuro, si legge nel testo a firma del cardinale segretario di Stato, la solidarietà e il conforto spirituale “alle famiglie che hanno perso i propri figli e a tutta la comunità scolastica con gli auguri di una rapida guarigione dei feriti”.

    Proprio uno dei 17 feriti dall’assalitore, un 13.enne, è spirato la notte successiva in seguito alle gravi lesioni riportate. L’episodio ha avuto per teatro la Scuola municipale Tasso da Silveira, nel quartiere di Realengo, nella quale con una scusa era riuscito a entrare Wellington Menezes de Oliveira, questo il nome dell’autore della strage, poco più che ventenne, dipinto come un asociale, che ha lasciato una confusa lettera di spiegazioni del suo gesto. Cento colpi esplosi con spietatezza agghiacciante, finché la reazione di un poliziotto, che lo ha ferito, ha indotto il killer a suicidarsi. I primi funerali delle vittime hanno visto una folla in lacrime e sotto shock; la stessa reazione avuta dalla presidente del Brasile, Dilma Rousseff, rimasta sconvolta alla notizia della peggiore tragedia scolastica del suo Paese. Tre i giorni di lutto nazionale proclamati dalla presidente, mentre la polizia indaga per scoprire ulteriori elementi su questa pagina di sangue, che richiama alla memoria altre vicende analoghe avvenute soprattutto in quei Paesi nei quali – come in Brasile – la vendita e il possesso delle armi è libero. L’ex presidente Lula da Silva aveva fatto approvare nel 2003 il cosiddetto “Statuto per il disarmo”, una legge che regolava in maniera più stringente il commercio di armi e munizioni, ma il successivo referendum del 23 ottobre 2005 ha bocciato il provvedimento con una maggioranza del 63%. Questo non ha spento a tutt’oggi la campagna di chi vorrebbe un maggiore controllo sul settore e la strage nella scuola di Rio ne ha riproposto in modo terribile l’urgenza.

    Proprio in rapporto a questa situazione che vive il Brasile, risuonano con ancor più incisività le parole con le quali Benedetto XVI conclude il suo telegramma. “Di fronte a questa tragedia”, dice, invito “tutti gli abitanti di Rio a dire 'no' alla violenza, che rappresenta una via senza futuro e a cercare di costruire una società fondata sulla giustizia e sul rispetto degli altri, soprattutto dei più deboli e indifesi”. L’ultimo appello del Papa è diretto ai cuori di chi oggi è sconvolto dal dolore: “Perché la speranza – scrive – non venga meno in quest’ora della prova e faccia prevalere il perdono e l'amore sull'odio e sulla vendetta”.

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    Il Papa vede un documentario su Giovanni Paolo II: "Pellegrino vestito di bianco"

    ◊   Dodici nazioni di quattro continenti visitati, 50 persone intervistate, quattro anni di lavoro. Sono i “numeri” del documentario dedicato a Giovanni Paolo II, alla cui proiezione Benedetto XVI assisterà oggi pomeriggio, alle 17.30, nell’Aula del Concistoro in Vaticano. L’opera si intitola “Pellegrino vestito di bianco” ed è stata realizzata dal giovane regista polacco, Jarosław Szmidt.

    Durante la presentazione ufficiale dello scorso dicembre, svoltasi alla Filmoteca Vaticana, il regista ha spiegato che l’opera è stata girata e montata come un vero film per il cinema. Successivamente, verrà editata anche in una versione di otto puntate per la televisione. Si tratta, è stato aggiunto, della più grande produzione documentaristica mai realizzata in Polonia.

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    Il cardinale Martini in udienza dal Papa. Istituita una nuova diocesi in Venezuela

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina, in successive udienze, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, e il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano.

    In Venezuela, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato apostolico di Machiques, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Ramiro Díaz Sánchez, dei Missionari Oblati di Maria Immacolata.

    Sempre in Venezuela, il Pontefice ha elevato al rango di diocesi il Vicariato apostolico di Machiques con la medesima denominazione e configurazione territoriale, rendendola suffraganea della Chiesa Metropolitana di Maracaibo. Come primo vescovo, il Papa ha nominato mons. Jesús Alfonso Guerrero Contreras, dei Francescani cappuccini, finora vicario apostolico di Caroní. Il presule, 60 anni, ha ottenuto la Licenza in Filosofia presso l'Università Centrale di Caracas e ha frequentato studi di specializzazione in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ordinato sacerdote, ha svolto tra gli altri gli incarichi di formatore presso il suo Istituto, docente, parroco e superiore della Parrocchia di Nuestra Señora de Belén a Mérida, direttore di Teologia presso l’Istituto di Teologia per i religiosi e professore dell’Università Cattolica Andrés Bello a Caracas. Nel 1995, è stato nominato vescovo titolare di Leptimino e Vicario Apostolico di Caroní. Ha ricevuto la consacrazione episcopale nel 1996.

    In Ungheria, Benedetto XVI ha nominato Vescovo della diocesi di Pécs mons. György Udvardy, finora ausiliare dell’arcidiocesi di Esztergom-Budapest, dov’è nato 50 anni fa. Ha frequentato la Scuola tecnica dell’industria degli strumenti di precisione, conseguendo il diploma di perito meccanico. Dopo il servizio militare, nel 1980 è entrato nel Seminario arcivescovile di Esztergom. Ordinato sacerdote, è stato parroco quindi ha proseguito gli studi a Roma presso la Pontificia Università Salesiana, dove ha ottenuto la Licenza in Teologia, con specializzazione in pastorale giovanile e catechetica. Rientrato in Ungheria, è stato, tra l’altro, direttore della Commissione catechetica nazionale e docente di Catechesi, Pedagogia e Metodologia al Seminario maggiore di Budapest ed all’Università cattolica "Péter Pázmány" di Budapest, dove ha conseguito la laurea in Teologia. Nel 1991 è stato nominato cappellano di Sua Santità. Nel 2004 è stato nominato ausiliare dell’arcidiocesi di Esztergom-Budapest. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 21 febbraio dello stesso anno.

    In India, Il Papa ha nominato arcivescovo coadiutore di Guwahati mons. John Moolachira, finora vescovo di Diphu.

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    Il Papa nomina il cardinale De Giorgi suo inviato speciale al Giubileo Paolino di Pozzuoli

    ◊   Il Pontefice ha nominato il cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo, suo inviato speciale alle celebrazioni che avranno luogo il 30 maggio 2011 a Pozzuoli (Italia), in occasione della chiusura dell’Anno Giubilare Paolino diocesano, nel 1950° anniversario dell’approdo e della predicazione dell’Apostolo San Paolo nella città partenopea.

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    Costa d'Avorio: Gbagbo resiste. Il cardinale Turkson: chi ha perso le elezioni si faccia da parte

    ◊   Calma carica di tensione oggi ad Abidjan, in Costa d’Avorio, dove prosegue l’assedio al palazzo presidenziale dov’è rinchiuso il presidente uscente Gbagbo. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Le forze di Gbagbo resistono all’assedio e rispondono con le armi pesanti. Hanno anche attaccato la residenza dell'ambasciatore francese con alcuni razzi. Pronta la rappresaglia dei soldati francesi della forza ''Licorne'', presenti nella città, che hanno distrutto un veicolo blindato delle forze pro-Gbagbo. Da parte sua, Human Rights Watch accusa sia le milizie del presidente uscente che quelle del presidente eletto, Ouattara, di aver compiuto massacri indiscriminati contro la popolazione civile: centinaia di persone, compresi donne e bambini, sarebbero stati uccisi, interi villaggi bruciati. Tutto questo mentre continua il dramma umanitario di centinaia di migliaia di sfollati in fuga dalle violenze: l’Onu ha lanciato un appello per l’apertura di corridoi umanitari. Ieri, intanto, è rientrato a Roma il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che il Papa aveva inviato in Costa d'Avorio per una missione di ''pace'' e ''riconciliazione'': purtroppo non è riuscito a raggiungere il Paese. Ascoltiamo la sua testimonianza:

    R. - Nessun aereo poteva entrare in Costa d’Avorio e il nunzio che doveva accogliermi non poteva uscire perché la sua residenza è molto vicina a quella presidenziale. Quindi, ho aspettato un po’ in Ghana, ad Accra, sperando che la situazione cambiasse un po’ ma non ho avuto buona fortuna. Ho anche cercato di avere assistenza dall’Onu perché l’Onu faceva voli speciali da Accra alla Costa d’Avorio ma, come ho potuto verificare, l’Onu non voleva correre questo rischio di portare una persona che non facesse parte del suo staff in situazioni molto delicate e pericolose come queste. C’era il coprifuoco e quindi non è stato possibile entrare in Costa d’Avorio perché l’aeroporto è stato chiuso. Ho parlato telefonicamente con il nunzio e con il presidente della Conferenza episcopale ivoriana e così ci siamo confrontati su quello che sta accadendo.

    D. - Quale messaggio voleva portare in Costa d’Avorio?

    R. - Volevo portare il messaggio del Papa alla Conferenza episcopale ivoriana ma non ho potuto consegnare il messaggio e il contenuto rimane riservato.

    D. - Gli scontri non sono finiti, ci sono centinaia di migliaia di sfollati e profughi. Che cosa può fare la comunità internazionale?

    R. - I profughi si dirigono soprattutto verso la Liberia e verso il Ghana. Non ci sono tanti profughi verso il nord, cioè verso il Burkina Faso. Per quanto riguarda i profughi in Ghana, credo che il governo ghanese si stia già prendendo cura di quelli che si trovano lì, secondo le proprie capacità. In Liberia, invece, credo che ci sia qualche problema perché la Liberia è appena uscita da una guerra e sta ricostruendo il Paese e non ha la stessa capacità del Ghana di accogliere tutti questi profughi. Forse lì la comunità internazionale avrà bisogno di concentrare la propria attenzione cercando di vedere quello che può fare.

    D. - Qual è l’impegno della Chiesa in Costa d’Avorio, qual è il suo ruolo in questo scontro?

    R. - Come in tutte le situazioni simili, la Conferenza episcopale diventa un punto di riferimento importante nel Paese e tra la popolazione anche se non sono tutti cattolici. L’impegno è quello di cercare di evitare che il conflitto si estenda, di promuovere il dialogo tra le parti, di incoraggiare la gente e di portare alla popolazione sollievo, assistenza e la solidarietà della Chiesa universale.

    D. - Le sue speranze per questa crisi?

    R. - La mia speranza è che questa crisi finisca il più presto possibile. Auspico che chi ha perso le elezioni riesca ad accettare la volontà che la popolazione ha espresso tramite il voto e se non è d’accordo aspetti democraticamente le prossime elezioni. Chi ha perso deve accettare il risultato, si deve mettere da parte e aspettare la prossima tornata elettorale per ottenere consensi sul proprio piano di sviluppo per il Paese. Non si può far morire la gente per divisioni etniche o tribali o addirittura per seguire sedicenti “profezie” pronunciate da alcuni pastori, che definiscono qualcuno come “unto del Signore” perché sia alla guida del Paese. La mia speranza è che cessi questo spargimento di sangue e che si possa tornare a dialogare e a discutere. Bisogna cercare di convincere chi ha perso le elezioni ad accettare il risultato. (fb)

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    Tragedie del mare. Dolore senza nome? L’editoriale di padre Lombardi

    ◊   Benedetto XVI continua a seguire con apprensione il dramma degli immigrati in fuga dal Nord Africa che, a rischio della vita, cercano di attraversare il Mediterraneo per approdare sulle coste europee. Ascioltiamo in proposito il nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    L’ennesima tragedia di naufragio in mare di un gran numero di migranti e fuggiaschi fra l’Africa e l’Europa ha suscitato giustamente una vasta e profonda emozione. Sono certamente molte centinaia gli sconosciuti scomparsi negli ultimi mesi, migliaia e migliaia negli anni recenti nel Mediterraneo, e tornano alla mente le decine di migliaia di boat people vietnamiti che persero la vita in mare nei primi mesi del 1979. Fuggire dalla fame, dalla povertà disumana, dall’oppressione, dalla violenza, dalla guerra…a rischio di morire fra i flutti senza lasciare traccia, neppure un ricordo del proprio nome. Molte volte, in questi giorni, si è parlato di dolore “senza nome”. La compassione ci obbliga a non dimenticare, a fare memoria, come di fronte ad altre indicibili tragedie dell’umanità, di una storia che è nostra, in solidarietà con i poveri della terra.

    Lo ha capito perfettamente il popolo ebreo innalzando il memoriale di Yad Vashem “il memoriale dei nomi”. Proprio là Benedetto XVI ha pronunciato una meditazione che ci è tornata alla mente in questi giorni di fronte alla morte di tante vittime innocenti e sconosciute. “Essi persero la propria vita, ma non perderanno mai i loro nomi: questi sono stabilmente incisi nei cuori dei loro cari, dei sopravvissuti e di quanti sono decisi a non permettere più che un simile orrore possa disonorare ancora l’umanità. I loro nomi, in particolare e soprattutto, sono incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente”. “Possano le loro sofferenze non essere mai negate, sminuite o dimenticate! E possa ogni persona di buona volontà rimanere vigilante per sradicare dal cuore dell’uomo qualsiasi cosa capace di portare a tragedie simili a questa!”. Sradicare l’odio assurdo che ha portato alla Shoah, ma impegnarci ora anche a sradicare le ingiustizie, l’indifferenza e l’egoismo che portano troppe persone a scomparire fra le acque alla ricerca di una vita più umana. Dio le ricorda, ricordiamole anche noi.

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    Riunione in Vaticano sulla Chiesa cattolica in Cina

    ◊   Dall'11 al 13 aprile prossimi si riunirà, in Vaticano, la Commissione che Benedetto XVI ha istituito nel 2007 per studiare le questioni dl maggiore importanza, relative alla vita della Chiesa cattolica in Cina. Lo rende noto un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede. Fanno parte di questa Commissione i superiori dei Dicasteri della Curia Romana, che sono competenti in materia, e alcuni rappresentanti dell'Episcopato cinese e di congregazioni religiose. La prima riunione plenaria, svoltasi nei giorni 10-12 marzo 2008, aveva avuto, come tema, la Lettera che il Papa aveva indirizzato ai cattolici cinesi il 27 maggio 2007. Nelle due riunioni successive (30 marzo-1° aprile 2009 e 22-24 marzo 2010) era stato preso in esame il tema della formazione umana, intellettuale, spirituale e pastorale dei seminaristi e delle persone consacrate, nonché quello della formazione permanente dei sacerdoti. Nella prossima riunione plenaria sarà presa in esame la situazione pastorale delle circoscrizioni ecclesiastiche in Cina, con particolare riferimento alle sfide che la Chiesa incontra nell'incarnare il Vangelo nelle attuali condizioni sociali e culturali.

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    Basilica Vaticana: traslazione del corpo del Beato Innocenzo XI

    ◊   Come già annunciato nei giorni scorsi, ieri sera alle 19.00, nella Basilica Vaticana, dopo la chiusura serale, ha avuto luogo la traslazione del corpo del Beato Papa Innocenzo XI dal vano sotto l’altare della Cappella di San Sebastiano a quello appositamente preparato sotto l’altare della Trasfigurazione, che si trova alla sinistra della navata centrale, al suo termine, nel retro del pilastro di Sant’Andrea. Il rito è stato presieduto dal cardinale Angelo Comastri, accompagnato da mons. Vittorio Lanzani e da mons. Giuseppe De Andrea, da altri membri del Capitolo e della Fabbrica di San Pietro. L’urna del Beato, dopo essere stata estratta dall’altare di San Sebastiano, è stata accompagnata processionalmente, al canto delle litanie – in particolare le litanie dei Santi Pontefici – all’altare della Trasfigurazione, dove il personale addetto la ha in breve tempo collocata nel nuovo vano, protetto dalla stessa grata che già la proteggeva precedentemente. Il rito si è concluso con l’orazione e la benedizione del celebrante e la lettura e la firma dell’Atto notarile sull’avvenuto trasferimento. Nella Cappella di San Sebastiano, dove sono stati ultimati i lavori di restauro e rinnovamento degli impianti di illuminazione e amplificazione, il vano sotto l’altare è ora predisposto per accogliere il corpo del Beato Giovanni Paolo II, dopo la Beatificazione.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In rilievo, nell'informazione internazionale, la protesta in Siria.

    Il prete scomodo che parlava poco: in cultura, Arturo Colombo su Camillo De Piaz voce libera e fedele.

    Ai confini primi e ultimi dell'universo: Piergiorgio Picozza sulla scienza come esperienza religiosa.

    Su società civile e Mediterraneo, un articolo di Michele Dau dal titolo "L'Europa e la sfida dell'emigrazione".

    Un articolo di Claudio Ceresa dal titolo "Renzo Tramaglino profugo nella Serenissima": i dogi ai tempi della fuga nella Repubblica di Venezia.

    E la pallina diede un senso alla sua libertà: Giulia Galeotti recensisce "Libertà", l'ultimo romanzo di Jonathan Franzen.

    Sì del Senato francese alla ricerca sull'embrione: nell'informazione religiosa, a proposito dell'iter parlamentare della legge sulla bioetica criticata dai vescovi.

    Nell'informazione vaticana, intervista di Mario Ponzi al direttore delle Ville Pontificie su Giovanni Paolo II.

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    Oggi in Primo Piano



    Proteste in Siria: la polizia spara sui manifestanti, decine di morti

    ◊   In Siria, dopo gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine di ieri che hanno provocato la morte di 37 persone, stamane le forze di sicurezza hanno disperso un sit-in di protesta a Latakia, porto a nord-ovest di Damasco, sparando sui manifestanti. Il presidente degli Stati Uniti, Obama, esprime la sua “più ferma condanna” per la repressione. Il servizio di Fausta Speranza:

    Ancora un venerdì di proteste, ancora una giornata di sanguinosa repressione da parte delle forze di sicurezza: gas lacrimogeni, arresti e spari anche su medici che soccorrevano i feriti. Questi i racconti almeno a Daraa, nel sud, a Homs, a nord di Damasco. Ma i primi a scendere in strada dopo la preghiera erano stati i curdi delle regioni del nord-est: mentre in mattinata il presidente Assad annunciava la naturalizzazione dei curdi, in serata gli agenti della polizia segreta terrorizzavano le famiglie di Hasake, capoluogo della regione nord-orientale, intimando loro di non scendere in strada, perchè in quel caso non avrebbero beneficiato del nuovo decreto. E’ quanto racconta Wissam Tarif, attivista siriano per i diritti umani. Molto diversa la versione della Tv di Stato: le vittime sarebbero uomini delle forze di sicurezza colpiti da non meglio precisati “gruppi armati”. Resta da dire che proteste sono segnalate anche in quartieri periferici di Damasco e nei porti di Tartus, Jabla e Latakia, capoluogo della regione alawita da cui proviene la famiglia presidenziale. E al presidente Assad si rivolge Obama: condanna quella che definisce “l'orrenda violenza commessa dal governo della Siria contro manifestanti pacifici” e chiede che siano fermati arresti arbitrari e torture di cui si ha dettagliata notizia.

    Per un’analisi delle particolarità della situazione in Siria, Fausta Speranza ha parlato con Antonio Ferrari, inviato del Corriere della Sera:

    R. - Almeno per ora, va rilevata la tenuta delle forze armate al fianco del regime, che controlla i servizi segreti; regime rappresentato dal presidente Bashar al-Assad, regime laico, regime che si regge sul potere di una minoranza: gli alawiti, una setta sciita accusata addirittura di eresia dalla grande Umma musulmana, ma che detiene il potere in Siria da decenni. Fino a quando il regime sarà in grado di controllare sia gli apparati dei servizi e soprattutto le forze armate, evitando che queste ultime scelgano la piazza, riuscirà ad andare avanti, ma non so davvero per quanto in assenza di vere riforme. D’altra parte c’è però da dire che in Siria è più difficile - nonostante i sanguinosi episodi - rispetto a quanto è successo in Egitto o in Tunisia, proprio perché si è entrati in una fase diversa, oltre che per le specificità della Siria. Si tratta di una fase di rivolte con un tempistica diversa da quelle che cominciavano e continuavano fino alla fine, com’è successo appunto in Tunisia e in Egitto.

    D. - Assad ha provato a parlare di riforme, ma ha parlato di riforme troppo secondarie o lo ha fatto senza prendere impegni precisi? Che cos’è che non convince la piazza?

    R. - Il giovane Bashar, figlio di Hafez al-Assad, parla di riforme da quando è diventato presidente, nel 2000, succeduto appunto a suo padre che era scomparso. Sono quindi 11 anni che parla di riforme. Forse, in effetti, qualche riforma è stata fatta, ma si tratta di riforme sempre marginali. Le ultime sono state riforme generose dal punto di vista economico: “veniamo incontro ai vostri bisogni immediati e poi parleremo del resto”. Assad ha sottostimato la richiesta di libertà e la fine della corruzione. E’ questo che vuole la gente ed è questo, credo, che marca la determinazione di una piazza che sa che tutte le volte che dimostra o manifesta, può essere colpita molto duramente, com’è successo anche ieri.

    D. - Che cosa potrà l’intervento di Obama, che ha condannato fortemente la violenza da parte delle forze dell’ordine contro i manifestanti pacifici, definendola “assurda”?

    R. - Obama ha fatto tanto, come ha fatto molto nelle situazioni precedenti degli altri Paesi. Obama, però, deve avere molta scaltrezza ed anche molta attenzione, perché ha detto chiaro e tondo che Gheddafi se ne deve andare; ha detto chiaro e tondo che Saleh, lo yemenita, se ne deve andare. L’amministrazione ha sì condannato queste violenze in Siria, ma non ha mai parlato del presidente Bashar al-Assad. Ecco perché il rischio, in una situazione davvero molto delicata, può essere quello di avere un doppio binario proprio nei confronti dei leader e, soprattutto - prendiamo il caso di Gheddafi e Saleh -, direi che nonostante la determinazione nel dire “andatevene”, loro non se ne vanno. (vv)

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    Nuovi sbarchi a Lampedusa. Maroni: l'Europa non mostra solidarietà

    ◊   Continuano gli sbarchi a Lampedusa e se ne prevedono altri nelle prossime ore. Due barconi carichi di migranti sono in arrivo nell’isola. Di ieri sera invece l’approdo di una vecchia nave, con a bordo circa 500 migranti, che saranno tutti trasferiti in giornata. In 200 hanno lasciato oggi l’isola a bordo di una nave militare, per altri 200 è previsto un ponte aereo. Il Viminale ha intanto fatto sapere che nel corso di questa settimana sono stati rimpatriati, con diversi voli aerei, 51 clandestini, soprattutto tunisini, marocchini e nigeriani. A Lampedusa si aspetta l’arrivo del premier Berlusconi. Mentre continua il braccio di ferro con l’Europa. Francesca Sabatinelli.

    Tra Italia ed Europa la frattura si chiama immigrazione. Oggi all’unisono critiche sono arrivate dal premier Berlusconi, dal presidente del Senato Schifani, dal ministro dell’Interno Maroni, il più tagliente: “L'Europa si fa vanto di grandi principi, ma quando deve dimostrare che c’è solidarietà questo non avviene'', ha detto alla protezione civile di Bergamo. Per Schifani la chiusura delle frontiere indica l’assenza di fratellanza europea, più morbido il premier per il quale gli altri Paesi europei devono condividere con gli italiani l’accoglienza degli immigrati. Su di tutte si è levata nuovamente la voce del Capo dello Stato. Napolitano, che ieri sera aveva sollecitato scelte più coese, oggi è tornato a chiedere che l’Europa parli con una voce, che accolga dignitosamente gli immigrati, ma soprattutto un chiarimento su Schengen. Al governo italiano però arrivano le accuse delle opposizioni e il duro giudizio del leader dell’UDC Casini che parla di governo italiano assente e confuso sul tema di immigrazione. Ieri sera sulla gazzetta ufficiale sono state pubblicate le condizioni per le quali l’Italia concederà ai migranti un permesso di soggiorno temporaneo. Il provvedimento riguarderà solo i nordafricani, escluderà quindi chiunque altro arriverà da Paesi diversi. Gli interessati dovranno essere giunti fra il primo gennaio e la mezzanotte del 5 aprile e chiedere il permesso entro il 16 aprile. Per gli arrivi successivi al 5 si prevede il respingimento o l’espulsione. Il documento consentirà agli interessati la libera circolazione nei Paesi dell’Unione. Ciò che rifiutano fortemente Francia e Germania. E se Parigi con l’accordo siglato ieri sera tra i ministri Maroni e Gueant ha ammorbidito la sua posizione, così non è per Berlino che si è schierata contro i permessi temporanei decisi dall’Italia e che ha deciso di rafforzare i controlli alla frontiera con l’Austria. A Ventimiglia intanto gli immigrati anche oggi si sono messi in fila al commissariato per le richieste di permesso di soggiorno temporaneo che permetterà loro di andare in Francia. Mentre dall’altra parte del confine, a pochi chilometri, a Mentone si manifesta contro i respingimenti e contro la dura politica del governo di Sarkozy e per ricordare ciò che la Cei aveva dichiarato solo poco più di una settimana fa e che oggi ha ripetuto anche mons. Nosiglia, arcivescovo di Torino: “Di fronte all’immigrazione è indispensabile l’appoggio di altri Paesi che finora sono rimasti un po’ sordi". “E' in gioco, ha detto mons. Nosiglia, la stessa sopravvivenza della Comunità Europea”.

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    Elezioni in Nigeria tra forti tensioni sociali etniche ed economiche

    ◊   Si vota da oggi in Nigeria per le elezioni politiche. Sabato prossimo le presidenziali. L’appuntamento si svolge in un clima di forte tensione. Alla vigilia del voto, almeno 12 persone sono rimaste uccise in due distinti episodi nei pressi di un seggio alla periferia della capitale Abuja e nella parte orientale del Paese. Ma in Nigeria, lo Stato più popoloso dell’Africa, si vivono anche tensioni legate allo sfruttamento delle risorse, soprattutto quelle petrolifere, e al confronto tra le varie etnie. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Enrico Casale, esperto di Africa della rivista dei gesuiti “Popoli”:

    R. – La Nigeria è un Paese che, come i Paesi della sua stessa fascia – Sudan, Ciad – sono Paesi divisi in due parti, con un Nord culturalmente arabo e di religione fondamentalmente musulmana, e un Sud africano e di religione fondamentalmente cristiana animista. Queste due culture si scontrano e a questo scontro si aggiungono anche altre ragioni, legate soprattutto alla gestione delle risorse: penso ai pascoli, penso all’acqua e penso – nel caso della Nigeria – anche al petrolio.

    D. – Proprio il petrolio è un argomento che ha causato anche situazioni drammatiche …

    R. – Sì: il petrolio è una grandissima risorsa per la Nigeria, però è stato anche – negli anni – fonte di corruzione, di tensione, di inquinamento e, soprattutto, le risorse del petrolio non sono mai state ridistribuite tra la popolazione: né tra la popolazione del Sud, dove ci sono i maggiori giacimenti, né tra le popolazioni del Nord. Questo ha creato tensioni tra Nord e Sud e tensioni tra il Sud e il governo centrale. Ricordiamo, per esempio, tutti gli attentati compiuti dai ribelli del movimento del Mend, nel delta del Niger, che lottava per una ridistribuzione più equa delle risorse e una gestione più rispettosa dell’ambiente di queste risorse petrolifere. Certamente c’è uno sfruttamento da parte delle grandi compagnie petrolifere occidentali; a questo si aggiunge una classe politica che sia in passato con le dittature, sia con l’avvento della democrazia, non è mai riuscita a gestire in modo equilibrato queste risorse a favore del bene comune, ma ha alimentato una grande corruzione e forti scontri e tensioni sociali all’interno dello stesso Paese. Probabilmente, una migliore distribuzione della ricchezza potrebbe permettere al Paese di crescere maggiormente sia dal punto di vista puramente economico, sia dal punto di vista sociale ma anche dal punto di vista politico, come Paese di peso che può avere una grande influenza su tutto il resto del continente.

    D. – E’ uno dei tanti Paesi di missione: qual è il ruolo del missionari, ma anche della Chiesa locale?

    R. – Il ruolo è molto importante. I missionari svolgono un preziosissimo lavoro di dialogo con le componenti musulmane, cercando di stemperare le tensioni molto forti che caratterizzano queste regioni; tensioni che – nella stragrande maggioranza dei casi – non riguardano la religione: la religione viene presa come una scusa per nascondere tensioni tra i gruppi etnici diversi, gruppi più legati all’allevamento degli animali e gruppi etnici invece più legati all’agricoltura. Lo scontro non è motivato da questioni religiose, quanto piuttosto da questioni economiche. (gf)

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    Riapre al culto, dopo i lavori di restauro, la Tomba di San Francesco ad Assisi

    ◊   Dopo un breve periodo di chiusura per lavori di restauro, riapre oggi alla devozione dei fedeli la Tomba di San Francesco, meta ogni anno, ad Assisi, di migliaia di pellegrini. La tomba era stata chiusa lo scorso 25 febbraio per consentire ai restauratori di riportare la cripta, con le spoglie mortali del Santo Patrono di’Italia, allo splendore originale. I lavori di restauro sono stati illustrati questa mattina, in conferenza stampa, dal ministro generale dei Frati minori conventuali, padre Marco Tasca, e dal capo restauratore della Basilica di San Francesco, il maestro Sergio Fusetti. All’incontro ha partecipato anche il custode del Sacro Convento, padre Giuseppe Piemontese, intervistato da Amedeo Lomonaco:


    R. - Questi lavori li abbiamo decisi anche in vista della visita del Papa, prevista per il 27 ottobre di quest’anno e in 40 giorni, una equipe di restauratori ha lavorato giorno e notte per riportare le pareti allo splendore originario.

    D. - Quali sono gli eventi principali nella storia della Tomba di San Francesco?

    R. - Dobbiamo risalire a Papa Gregorio IX e a frate Elia. Dopo la canonizzazione di San Francesco fu deciso di costruire una Chiesa tombale che ne raccogliesse le spoglie. Spoglie che furono trasferite dalla Chiesa di San Giorgio all’attuale Basilica inferiore, collocata tre metri sotto l’altare maggiore. San Francesco riposa lì dal 1230. Le sue spoglie sono rimaste lì fino al 1818, quando i frati, per 59 notti, scavarono per raggiungere la Tomba di San Francesco e, una volta ritrovata, ci fu la prima ricognizione. Lì fu costruita una prima cripta. Infine, la cripta è stata ampliata nel 1932 e portata poi allo stile attuale.

    D. - Quali sono stati, in particolare, gli interventi in questo lavoro di restauro?

    R. - Ovviamente le pareti dalla cripta si erano annerite per lo smog, il fumo, la polvere, il fumo delle candele votive e delle lampade ad olio. C’era perciò bisogno di un restauro per riportare la tomba allo splendore originale e dare ai fedeli la possibilità di una presenza orante più calda e più viva.

    D. - Come si presenta oggi, dopo i lavori di restauro, la Tomba di San Francesco?

    R. - Non c’è stato alcun intervento sull’urna di pietra sigillata con le inferriate originali, poste da frate Elia che sono ancora lì con i sigilli papali. L’intervento è stato fatto soprattutto sulle pareti della cripta. Le pareti e la volta della cripta sono formate dalla pietra rosea e luminosa di Assisi, quasi a chiudere Francesco in un abbraccio infuocato dell’amore di Dio, i suoi compagni e tutti coloro che si recano nella tomba per pregare, per incontrare Francesco, per chiedere pace e speranza per la loro vita.

    D. - Dunque, un ambiente mistico dove continua a risplendere il messaggio del “poverello di Assisi”…

    R. - La tomba è veramente un ambiente mistico, dove si può sperimentare e toccare con mano la sintesi della presenza di Francesco e del suo messaggio francescano al mondo intero. La cripta rappresenta il messaggio di Francesco: al centro abbiamo la sua presenza con il suo messaggio evangelico di Santità. Attorno a lui, nel 1932, sono stati collocati quattro dei suoi primi compagni: frate Leone, frate Masseo, frate Rufino e frate Angelo, a rappresentare un messaggio di fraternità. Nella tomba è collocata anche la lampada votiva, che viene alimentata con l’olio che ogni anno una regione d’Italia, a nome di tutti i comuni italiani, offre al Santo patrono d’Italia. San Francesco, come abbiamo avuto modo di dire ultimamente, è uno dei patri fondatori dell’Italia. (vv)

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   In questa quinta Domenica di Quaresima, la liturgia ci propone il Vangelo della risurrezione di Lazzaro. Marta e Maria piangono il fratello morto. Quando arriva Gesù, Maria si getta ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le risponde:

    “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà”.

    Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    “Signore, ecco, colui che tu ami è malato”. Rispondendo a questo appello angosciato delle sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, Gesù non solo dimostra la sua amicizia, ma anche sa di andare incontro ad un rischio mortale. Va a mettersi proprio in mano a coloro che lo volevano eliminare, e aspettavano che tornasse a Gerusalemme. Le due vicende si sovrappongono in questo episodio: la morte di Lazzaro e la morte di Gesù. E in tutte e due c’è un senso di mistero: se Gesù amava tanto Lazzaro e le sue sorelle, perché ha tardato a farsi presente? È la domanda che si fanno anche i giudei; ma che ci facciamo anche noi tante volte di fronte alla sofferenza che ci scortica la vita. Perché, Signore, non ti sei fatto vivo? Una domanda radicale, e ingigantita, che Gesù stesso farà al Padre dalla Croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Nel pianto e nell’urlo davanti al sepolcro di Lazzaro – “Lazzaro, vieni fuori!” – e in quell’urlo finale sulla Croce, c’è tutta la fatica e la solidarietà del Figlio di Dio con le nostre tenebre. Ma non è un urlo che rimbomba a vuoto: il Padre lo ascolterà e la vita trionferà. Lazzaro, morto e sepolto esce dalla tomba ancora avvolto in bende. E con la sua risurrezione profetizza la risurrezione definitiva di Gesù, la vittoria su ogni morte, grazie al suo amore per la vita. Sì, la vita trionfa!

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    Chiesa e Società



    Pakistan. Un altro cristiano in prigione: è accusato di blasfemia

    ◊   Nuove accuse di blasfemia contro un cristiano in Pakistan. Ad essere stato arrestato dalla polizia di Faisalabad il 5 aprile scorso è un cristiano di nome Arif Masih, 40 anni. A comunicarlo all’Agenzia Fides è stata la Commissione “Giustizia e Pace” della diocesi locale, che ha espresso la sua “grave preoccupazione per un nuovo caso basato su false accuse”. Arif sarebbe accusato di aver strappato pagine del Corano e di aver scritto lettere minatorie ad alcuni musulmani, per convertirli al cristianesimo. L’articolo della legge sulla blasfemia citato dall’accusa è il 295 comma C, che punisce l’insulto o la profanazione del Corano. Arif Masih si trova oggi in prigione, mentre la polizia è schierata per impedire che vi siano manifestazioni di protesta. I cristiani, ma anche diversi musulmani che conoscono direttamente Arif, sono sicuri che si tratti di false accuse e forse di una vendetta: la famiglia di Arif, infatti, aveva di recente vinto una controversia per la proprietà di un terreno e l’accusatore di Arif è membro della famiglia musulmana che ha perso la disputa. Padre Nisar Barkat, Direttore della Commissione “Giustizia e Pace” ha chiesto immediatamente il rilascio dell'uomo, mentre le forze dell’ordine hanno fatto sapere che sono ancora in corso le indagini. La “Masihi Foundation”, che si occupa di Asia Bibi, la donna cristiana in carcere per blasfemia, sta seguendo da vicino la situazione ed è pronta ad offrire assistenza legale e protezione alla famiglia di Arif. (L.G.)

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    I vescovi europei: la “primavera araba” è un segno di speranza

    ◊   I vescovi della Comece (Commissione episcopati comunità europea) accolgono la “primavera araba” come “un segno di speranza”, rivolgono raccomandazioni all’Unione Europea e propongono azioni a livello ecclesiale. È quanto si legge nel comunicato finale della plenaria di primavera, "Chiese cristiane in Maghreb e Mashriq", conclusasi ieri a Bruxelles. “Dopo decenni di stallo diplomatico e conflitti in Medio Oriente e Nord Africa” afferma il documento, “le rivolte popolari in Tunisia, Egitto, Libia e altri Paesi arabi rappresentano una legittima rivendicazione della libertà e della dignità umana per milioni di persone”. I vescovi della Comece – riferisce il Sir - incoraggiano “i cittadini a continuare il loro impegno verso l'istituzione dei diritti fondamentali e della democrazia” e desiderano rendere “uno speciale omaggio alle giovani generazioni” che “hanno svolto un ruolo di primo piano nel lancio e nell'organizzazione di questa rivolta in modo coraggioso, pacifico ed ecumenico”. I presuli credono che “i cristiani di questi Paesi condividano una comune cittadinanza con i loro concittadini di altre religioni e che ogni religione costituisca parte integrante delle loro società”. Pertanto “li invitano a contribuire, sulla base della loro fede per il cambiamento democratico nel proprio Paese come concittadini”. I vescovi rivolgono quindi all’Ue alcune raccomandazioni. “Sono urgenti e necessarie maggiori informazioni e solidarietà concreta” tra gli Stati Ue per aiutarli ad affrontare “l'afflusso di migranti e rifugiati provenienti da Nord Africa e Medio Oriente (come previsto nella direttiva 2001/55/CE sulla protezione temporanea)”, ed è necessario “contribuire a migliorare la deplorevole situazione in questi Paesi” promuovendone “la modernizzazione e la democratizzazione”. Indispensabile inoltre “sottolineare l'importanza di garantire uguali diritti a tutti i cittadini di quei Paesi”, indipendentemente da etnia o religione. Da parte loro i vescovi pensano a “scambi regolari con le Conferenze episcopali di Nord Africa e Medio Oriente”, a promuovere la riflessione su "Democrazia e religione" insieme a cristiani e musulmani di quelle aree, e l'educazione sociale e politica dei giovani provenienti da Nord Africa e Medio Oriente. In una lettera ai confratelli di quelle aree i vescovi della Comece esprimono “solidarietà e comunione condivisa nella preghiera” e definiscono intollerabili “l'insicurezza e le minacce che le minoranze cristiane devono fronteggiare sempre più nel mondo arabo”. Esprimendo altresì preoccupazione per “il modo in cui le minoranze religiose vengono a volte trattate in Europa”, invitano tutti i cittadini, specialmente i cristiani, e i leader politici Ue “ad assumersi le proprie responsabilità per promuovere il dialogo tra culture e civiltà in Europa e nel resto del mondo”.

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    Il vescovo di Tunisi: giovani tunisini in fuga per disperazione, aiutateli in patria

    ◊   “Riuscire a non far arrivare i tunisini in Europa è un sogno. Farne partire di meno, forse è possibile”. “La soluzione migliore è convincerli a restare in patria”. Sono alcune delle dichiarazioni rilasciate da mons. Maroun Elias Lahham, vescovo di Tunisi, commentando l’accordo tra Italia e Francia sui pattugliamenti congiunti per bloccare le partenze dalla Tunisia. Mons. Lahham ha quindi ricordato la situazione nel Paese: “Dopo la rivoluzione dei gelsomini – ha detto - il turismo è crollato e 700 mila giovani, anche laureati, sono disoccupati. Almeno la metà delle famiglie nel Paese è in difficoltà e quando si è disperati si parte”, ha sottolineato all’agenzia Sir, spiegando però che dopo l’accordo tra l’Italia e la Tunisia le cose vanno un po’ meglio. “Speriamo che i permessi di soggiorno temporanei possano aiutare i tunisini in Italia a vivere meglio, ha spiegato, ricordando che per convincere i tunisini a restare in patria, la soluzione a suo parere più auspicabile, è “necessario l’aiuto economico dei Paesi europei”. Secondo quanto risulta al vescovo di Tunisi, l’Italia avrebbe promesso alla Tunisia circa 180 milioni di euro, da investire nella creazione di posti di lavoro. “Nel frattempo – ha proseguito – è giusto prendersi cura di chi è già arrivato. Ai tunisini che vogliono partire, continua mons. Lahham, “ricordo che l’Europa non è l’Eldorado, ma senza lavoro non si può vivere, e la fame è brutta. Dopo la rivoluzione 3 mila aziende turistiche hanno chiuso, 400 mila giovani hanno perso il posto di lavoro, è ovvio che cerchino di partire. In questo modo riescono a mantenere almeno 2 famiglie”. Il vescovo di Tunisi ha poi espresso la sua contrarietà alla guerra in Libia. “La guerra non risolve nulla – ha detto – è stato fatto un grande sbaglio iniziale: i ribelli non dovevano armarsi. Avrebbero dovuto continuare a manifestare pacificamente e senza armi, come accaduto in Tunisia e in Egitto”. (L.G.)

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    L’arcivescovo di Jos: violenze per destabilizzare la democrazia in Nigeria

    ◊   “Gli attentanti e le violenze sono compiuti da persone che cercano di frustrare la democrazia alla quale aspirano i nigeriani. I nigeriani sono stanchi della violenza e del malgoverno. Le elezioni sono l’unico modo per ottenere il buongoverno”. E’ quanto dichiara all’Agenzia Fides mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, in Nigeria, dove oggi si sono aperte le urne per le elezioni legislative. Alla vigilia del voto almeno 15 persone sono rimaste uccise nel corso di due attacchi separati. “Vi è un’esigua minoranza di nigeriani che cerca di trarre profitto dal caos e dall’anarchia”. “Ma la maggioranza dei nigeriani – sottolinea il presule - vuole elezioni credibili, corrette e senza violenze, che possano far progredire il Paese”. L’Arcivescovo di Jos si sofferma poi sugli attentati nel Paese africano: “Anche quando alcune persone sono arrestate in relazione a questi fatti, non sempre è possibile sapere chi siano i veri mandanti. Penso che le nostre agenzie di sicurezza debbano lavorare duramente per svelare l’identità di questi mandanti”. Si tratta di persone “che intendono destabilizzare il Paese”. Sono oltre 73 milioni gli elettori chiamati ad eleggere 360 Deputati dell'Assemblea nazionale e 109 Senatori. La consultazione elettorale è stata rinviata due volte. Per motivi di sicurezza le autorità hanno chiuso le frontiere ed hanno imposto il blocco della circolazione delle automobili. Gli elettori devono quindi recarsi alle urne a piedi. “È triste – conclude mons. Kaigama - perché la popolazione vuole muoversi liberamente. Spero che le forze di sicurezza ci aiutino a mettere fine a questa situazione”. (A.L.)

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    Emergenze ad Haiti e Pakistan nel rapporto di Msf sulle crisi dimenticate

    ◊   I dati sulla copertura dei telegiornali italiani in merito alle due grandi emergenze del 2010, il terremoto a Haiti e le alluvioni in Pakistan, sono al centro del settimo rapporto sulle “Crisi dimenticate”, a cura dell’Osservatorio di Pavia, che verrà presentato da Medici Senza Frontiere martedì prossimo a Roma (ore 11.30, Sala stampa estera, Via dell’Umiltà 83/c). Per la prima volta – informano gli organizzatori – il dossier include anche il confronto con i telegiornali di alcuni Paesi europei. Nell’anno del suo quarantesimo anniversario (1971-2011), Medici Senza Frontiere - ricorda il Sir - farà il punto sulle attuali emergenze umanitarie che hanno aperto il 2011, con un “focus” sulle attività dell’organizzazione in Libia, Bahrain e Costa d'Avorio. A questo proposito, Msf farà appello ai media “perché accendano un riflettore sulla Costa d’Avorio, emergenza umanitaria dimenticata, dove è prioritario che venga garantito l'accesso dei feriti a cure mediche salvavita”. All’incontro del 12 aprile interverranno Kostas Moschochoritis, direttore generale Msf Italia, Stefano Zannini, Capomissione Msf Haiti, e Mirella Marchese, dell’Osservatorio di Pavia. Medici Senza Frontiere nel 1999 è stata insignita del Premio Nobel per la Pace. Opera in oltre 60 Paesi portando assistenza alle vittime di guerre, catastrofi ed epidemie. (A.L.)

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    Messaggio dei vescovi Usa su libertà religiosa e sicurezza in Afghanistan e Pakistan

    ◊   L’importanza di una transizione responsabile in Afghanistan, ma anche le preoccupazioni dei vescovi Usa riguardo al rispetto del diritto alla libertà religiosa in Pakistan. Questi i temi al centro del messaggio che mons. Howard James Hubbard, vescovo di Albany, ha inviato ieri a Thomas Donilon, consigliere della sicurezza nazionale a Washington. Il presule, che ha inviato il messaggio in qualità di presidente del Committee on International Justice and Peace della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), ha sottolineato che “in Afghanistan, una transizione responsabile richiederà un maggiore impegno da parte del governo americano e della comunità internazionale”. Impegno, questo, da indirizzare verso una “partecipazione all’amministrazione da parte dei cittadini afghani, per incrementare le capacità della loro società civile, promuovere il concetto di bene comune e rendere efficaci le strutture delle amministrazioni locali”. Sul rispetto del diritto di libertà religiosa in Pakistan, mons. Hubbard ha manifestato la preoccupazione di tutti i membri della Conferenza episcopale degli Stati Uniti per l’intolleranza mostrata verso le minoranze religiose dai gruppi che propagandano l’estremismo islamico. Il presule ha ricordato l’assassinio del ministro per la Difesa delle minoranze religiose, Shahbaz Bhatti, solo esponente cristiano nel Governo del Pakistan, porgendo le sue congratulazioni per la nomina del nuovo consigliere speciale per le minoranze religiose, il fratello della vittima, Paul Bhatti. (L.G.)

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    Giappone: chiuse 7000 scuole, migliaia di bambini non potranno tornare sui banchi

    ◊   In Giappone sono oltre 7 mila le scuole danneggiate dal devastante sisma e dallo tsunami dell'11 marzo scorso e migliaia di bambini non potranno tornare in aula. È l’allarme lanciato in questi giorni dall’associazione Save the Children, seriamente preoccupata per i tantissimi bambini giapponesi che non torneranno sui banchi visto anche l’alto numero di edifici scolastici, oltre 280, convertiti in centri d’evacuazione e adibiti all’accoglienza di quasi 160 mila sfollati. L’organizzazione si impegna a mettere in campo gli sforzi necessari per garantire ai più piccoli il diritto all’educazione. In occasione del nuovo trimestre, Save the Children distribuirà matite, righelli, libri per gli esercizi, cartelle, e tutti i materiali di scuola di cui i bambini sono rimasti privi, perché scomparsi nel mare di fango dello tsunami per assicurare il diritto all’educazione di migliaia di bambini delle comunità colpite dal disastro. Il ritorno alla vita scolastica – sostiene l’organizzazione – significa restituire un senso di normalità ai minori traumatizzati da questa tragedia, ma è anche una leva per le famiglie, che potranno così ricostruire le loro vite sapendo che i figli sono in un ambiente protetto. “Riportare i bambini a scuola è un passo decisivo - dichiara Stephen McDonald, Responsabile Emergenze di Save the Children in Giappone – quelli che ho incontrato personalmente non fanno altro che chiedere quando potranno tornare tra i banchi a giocare insieme ai loro compagni, perché è quella la loro vita, la loro quotidianità.” (L.G.)

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    In Perù il quarto Simposio di teologia per gli Indios

    ◊   La Chiesa deve essere una comunità inserita nella realtà, nella storia e nella cultura dei popoli. Questa comunità è articolata con altre realtà ecclesiali nella Chiesa universale ed è arricchita dalla tradizione apostolica e dall’esperienza delle popolazioni indigene. Questo, in sintesi, il messaggio rivolto ai delegati che hanno preso parte al quarto Simposio di teologia per gli Indios organizzato dal Dipartimento per la cultura e l’istruzione del Consiglio episcopale latinoamericano e dei Caraibi (Celam). L’incontro, dal titolo “La teologia della creazione nella fede cattolica, nei miti, riti e simboli dei popoli originari cristiani in America latina”, si è svolto a Lima, in Perù, e ha visto la partecipazione di vescovi, sacerdoti, laici ed esperti di teologia. I delegati, dopo aver osservato che “la Chiesa d’Occidente fino al Concilio Vaticano II, ha agito a partire da un cristianesimo con una prospettiva eurocentrica”, hanno spiegato che adesso si apre alla valorizzazione delle diversità. “Il ritorno alle fonti e l’apertura alle esperienze storiche dei popoli ci rinnovano. Per evangelizzare ed essere evangelizzati — hanno aggiunto — la Chiesa entra in dialogo alla ricerca di nuovi orizzonti di vita a partire dai valori e dalla visione del mondo dei popoli indigeni”. I delegati hanno spiegato che “il contributo dei popoli indigeni è stato quello di porre l’umanità come parte della natura e di porre Dio presente e vicino che veglia sulla vita e su sorella madre terra”. (L.G.)

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    Polonia. “Dono del cuore”: inaugurata la casa famiglia voluta da Giovanni Paolo II

    ◊   Ha aperto le sue porte in Polonia la casa famiglia "Dono del Cuore", voluta da Giovanni Paolo II. La struttura, avviata nel territorio di Skawina, ha già accolto 8 bambini e adolescenti dai 4 ai 17 anni affidati ai Guanelliani dal tribunale di Cracovia. L'istituto sorge nel Centrum Don Guanella che da 15 mesi lavora testimoniando il carisma guanelliano nel territorio. “L’idea è stata di Giovanni Paolo II, che ci ha esortati ad andare in Polonia per condividere con i poveri il carisma di don Luigi. Poi la Provvidenza ha fatto il resto", si legge in una nota dell’animatore spirituale, don Wieslaw Baniak, diffusa dai Guanelliani riportata dall’Agenzia Fides. "Oggi la nostra cappellina - aggiunge - accoglie centinaia di persone per la preghiera e le Messe festive. Intorno stanno sorgendo nuove case, per gli abitanti siamo un punto di riferimento per la preghiera e la carità”. Il Centro nei mesi estivi accoglie congregazioni, gruppi di preghiera, associazioni della zona, ma anche diverse iniziative per i giovani. (L.G.)

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    Sessione primaverile della Conferenza episcopale calabrese

    ◊   Un’occasione per esaminare diversi aspetti della realtà cattolica regionale e per esprimere ''la speranza che l'Italia possa presto ricompattarsi per affrontare i gravi problemi che l'attendono, tra cui l'improrogabile legge sul fine vita e le questioni attinenti la famiglia''. E' questa una delle finalità della sessione primaverile della Conferenza dei vescovi calabresi tenutasi nei giorni scorsi a Lorica, in provincia di Cosenza, presieduta da mons. Vittorio Mondello, arcivescovo di Reggio Calabria-Bova. Sono stati esaminati diversi temi, tra cui ''il Protocollo d'Intesa con la Regione Calabria per la tutela e la valorizzazione dei Beni culturali religiosi e quello per la Pastorale Sanitaria, la situazione della Fondazione Facite, il prossimo Convegno Catechistico Regionale del 2 giugno. Si è palrato anche del “Convegno regionale dei Giovani”, che si terrà a Drapia dal 30 settembre al 2 ottobre prossimi. Nel corso dei lavori è stato anche presentato il progetto per un Quotidiano cattolico regionale on-line della Conferenza episcopale calabrese. Ma il consistente impegno finanziario richiesto, “al momento non sostenibile”, ha fatto optare per un miglioramento e potenziamento dell'attuale settimanale “Calabria Ecclesia magazine”, sollecitando “la fattiva e più continua collaborazione delle diocesi nel trasmettere le notizie”. (A.L.)

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    Depressione: colpisce di più chi vive in città

    ◊   Per tutti resta sempre il “male oscuro”. Qualcosa che viene da dentro e per questo fa più paura. Ma conta anche dove e come vivi. La depressione colpisce di più chi risiede nelle grandi città. Si ammala il 4 per cento degli uomini e il 9 per cento delle donne. A rischio chi abita nei quartieri periferici, in case degradate, tra le cause il senso di insicurezza, la criminalità, la povertà. Su questo tema si è chiuso ieri nell’auditorium della Casa dell’Energia in Piazza Po a Milano, il Congresso internazionale sulla depressione nelle grandi città. E’ la prima volta che in Italia si sono riuniti i più grandi esperti di salute mentale per discutere del rapporto tra l’ambiente, le condizioni sociali e la depressione “Si è assodato che l'ambiente ha enormi responsabilità in termini di disturbi mentali”, spiega Mariano Bassi, primario di Psichiatria all'Ospedale Niguarda di Milano e organizzatore del convegno. “In alcuni miei studi ho ravvisato un diverso tono dell'umore tra gli abitanti di una quartiere e un altro”. Da un recente studio dell’equipe del professor Bassi – Milano è stata suddivisa in 88 zone – è emerso un aumento del rischio di disturbi mentali nei quartieri più poveri e deprivati della città. La ricerca è stata confortata anche da altri studi, realizzati nelle città degli Stati Uniti, che hanno confermato la correlazione tra il fatto di risiedere in un quartiere svantaggiato e una maggiore prevalenza di disturbi depressivi, indipendentemente dalla presenza di variabili individuali nei cittadini. Altre ricerche ancora hanno preso in considerazione la relazione tra caratteristiche urbanistiche dei quartieri e l’incidenza dei disturbi mentali. (A.L.)

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    24 Ore nel Mondo



    Libia: bombardata Ajdabiya, ribelli in fuga. Al via missione africana per il cessate-il-fuoco

    ◊   In Libia, le forze lealiste hanno bombardato la città di Ajdabiya, costringendo alla fuga i ribelli. Sul fronte diplomatico, l’Unione Europea si è detta pronta ad una missione umanitaria in appoggio dell’Onu, mentre la Nato sta cercando di definire la nuova strategia. Intanto oggi, a Tripoli, è partita ufficialmente la missione dell’Unione Africana nel tentativo di mediare un cessate-il-fuoco tra le parti. La cronaca nel servizio di Eugenio Bonanata:

    Un incontro oggi a tripoli con Gheddafi, poi, tra domani e lunedì, colloqui con i vertici del Consiglio nazionale transitorio a Bengasi. La delegazione dell’Unione Africana – composta tra gli altri dal presidente sudafricano Zuma e da quelli di Congo, Mali, Mauritania e Uganda – punta ad avviare il confronto politico tra le due parti avendo già chiarito in questi giorni che non gradisce affatto l’intervento militare straniero. La Nato – finita al centro di polemiche per le vittime civili nei raid aerei di questi giorni – ha escluso la possibilità di un impiego di truppe di terra in vista della transizione libica. L’Unione Europea, invece – in una lettera inviata oggi dall'Alto rappresentante della politica estera della Ue, Catherine Ashton, al numero uno delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon – ha chiarito di essere pronta a una missione nel Paese nel caso in cui l’Onu chieda appoggio militare per organizzare gli aiuti umanitari. L’operazione, per la quale i 27 hanno messo finora a disposizione 7,9 milioni di euro, sarà discussa dai ministri degli Esteri dell’Ue martedì prossimo a Lussemburgo. Nell’occasione, ci sarà anche un rappresentante dei ribelli libici per un colloquio a carattere ancora informale, viste le resistenze di alcuni Stati membri, indecisi sul riconoscimento ufficiale della struttura di Bengasi. Sempre martedì, il presidente del Consiglio nazionale transitorio sarà a Roma per incontri con i vertici italiani, i quali nella stessa giornata saranno a colloquio con i colleghi di Francia e Gran Bretagna per decidere la condotta da tenere sul campo. In cima alle preoccupazioni umanitarie resta Misurata, con i suoi 300 mila abitanti, sotto assedio da decine di giorni. Nel porto della città, ancora in mano ai ribelli, oggi è arrivata una nave della Croce Rossa con forniture mediche a sostegno dell’ospedale cittadino. L’organizzazione internazionale ha ribadito che il suo obbiettivo è portare soccorso anche nelle zone controllate dal regime di Gheddafi. Regime che con le sue forze armate ha bombardato la zona occidentale di Ajdabiya, provocando – secondo testimoni – la fuga dei ribelli. Il presidente del Consiglio nazionale transitorio martedì sarà a Roma per incontri con i vertici italiani i quali nella stessa giornata saranno a colloquio con i colleghi di Francia e Gran Bretagna per decidere la condotta da tenere sul campo.

    Egitto
    Tornano le manifestazioni e le violenze nella capitale egiziana de Il Cairo, a due mesi dalla fine del regime di Mubarak: era l'11 febbraio infatti quando l’ex rais lasciava il potere. Per le forze armate, gli scontri sono stati incitati da esponenti del Partito nazionale democratico di Mubarak, verso i quali è stato spiccato ordine di arresto. Il servizio di Giada Aquilino:

    Piazza Tahrir al Cairo, luogo simbolo della rivoluzione anti-Mubarak, torna ad essere teatro della protesta degli egiziani e della battaglia tra manifestanti ed esercito. Un autobus per il trasporto di truppe è stato dato alle fiamme stamani nella piazza, dopo una notte di scontri. Ambulanze sono arrivate nella zona, completamente sigillata dalle forze armate. Secondo i militari, che hanno anche usato lacrimogeni per disperdere la folla riunita da ieri, la situazione è sotto controllo, ma fonti mediche parlano di almeno due morti e 18 feriti. Tutto è cominciato nel venerdì di preghiera islamica: a due mesi dalla fine del regime trentennale dell’ex rais, centinaia di migliaia di persone hanno chiesto a gran voce che Mubarak, la sua famiglia e il suo entourage vengano processati. Per vari siti internet, sarebbe stata superata la quota fatidica di un milione di partecipanti, obiettivo degli organizzatori, ai quali si sono uniti ufficialmente anche i Fratelli musulmani. Sugli ultimi episodi di violenza, scattati ieri, Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente Marco Masulli, studente italiano al Cairo:

    R. - In questi giorni, a dire la verità fino a ieri, la vita stava riprendendo a scorrere normalmente, anche perché è stato tolto il coprifuoco, durato per quasi due mesi. Quello che ho sentito è che c’è stata questa grande manifestazione di un milione di persone, dopo di che, verso sera, alcuni manifestanti hanno provato a rimanere in piazza per un sit-in, per dormire lì, addirittura con alcuni ufficiali dell’esercito tra loro. Questo sit-in, però, è stato stroncato in modo violento dall’arrivo dell’esercito.

    D. - Sono ultime rappresaglie di una situazione che va verso la stabilità?

    R. - La situazione potrebbe ancora cambiare da un momento all’altro, per come si stanno mettendo le cose: c’è del malcontento, soprattutto per quanto riguarda le condizioni economiche in cui versa la maggior parte della popolazione. Il fatto principale è che si nota un esaurimento della spinta rivoluzionaria delle scorse settimane, e tuttavia una parte della popolazione che ancora continua a protestare. Sono proprio queste persone a essere state colpite ieri sera. (vv)

    Yemen
    Nuove manifestazioni nello Yemen. In migliaia oggi sono scesi in piazza, a Taiz, a sud della capitale Sanaa, per protestare contro la morte di quattro persone avvenuta ieri, sempre nella stessa città, quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro i dimostranti antigovernativi. Ribadito il rifiuto di qualsiasi mediazione che non includa l’uscita di scena del presidente Saleh, al potere da 32 anni. Nelle stesse ore, la città meridionale di Aden è rimasta paralizzata per uno sciopero generale indetto in segno di protesta contro il regime.

    Medio Oriente
    Continua a restare alta la tensione in Medio Oriente. In mattinata, ci sono stati nuovi raid aerei israeliani nella Striscia di Gaza che hanno provocato altri quattro morti. Sale così a 17 il numero dei palestinesi uccisi da giovedì scorso, in risposta al razzo che ha centrato uno scuolabus nel sud dello Stato ebraico ferendo un ragazzo. Ripreso anche il lancio di ordigni dalla Striscia con i fondamentalisti di Hamas, al potere nella regione, che hanno proclamato lo stato d’emergenza per i servizi di sicurezza, invocando una “terza intifada” in Cisgiordania.

    Afghanistan
    Talebani in azione in Afghanistan. Hanno ucciso il capo della polizia distrettuale della provincia di Sar-i-Pul, in un’imboscata avvenuta ieri nella zona di Gosfandi, dove erano in contro scontri fra le forze di sicurezza e gli insorti. Nel rivendicare l’azione i ribelli hanno precisato di aver ucciso in tutto sei soldati tra due comandanti.

    Iraq
    In Iraq, minacce contro le forze statunitensi da parte del leader radicale sciita, Moqtada Sadr. Attraverso il suo portavoce ha fatto sapere che l’esercito del Mahdi riprenderà la lotta armata se le truppe Usa non lasceranno il Paese nei tempi previsti, e cioè entro la fine dell’anno. Ieri, il segretario alla Difesa americano, Gates, aveva detto che la missione in Iraq potrebbe essere prolungata solo dietro richiesta delle autorità di Baghdad.

    Usa-Finanziaria
    “Scelte dolorose ma necessarie”. Così si è espresso il presidente statunitense, Barck Obama, intervenendo in televisione subito dopo l’accordo raggiunto la scorsa notte, in extremis, sulla finanziaria 2011. In questo modo, si evita la paralisi degli uffici governativi. I particolari, nel servizio da Washington di Francesca Baronio:

    A poco più di un’ora dalla scadenza di mezzanotte di ieri, è arrivata l’intesa che evita la paralisi del governo americano. Repubblicani e democratici hanno trovato la quadratura per approvare il bilancio statale dell’anno in corso, con un accordo-ponte che lascia tempo sino alla prossima settimana per definire i dettagli. Scongiurata, dunque, la temuta chiusura del governo che avrebbe lasciato a casa 800 mila dipendenti, congelato stipendi e pensioni statali, chiuso musei e monumenti. I repubblicani portano a casa tagli aggiuntivi alla spesa pubblica per 39 miliardi, ossia ben sei in più di quelli sinora ottenuti, mentre i democratici non cedono sul programma della pianificazione familiare, che contiene i controversi fondi per l’aborto. “Ce l’abbiamo fatta”, ha annunciato raggiante Obama, sottolineando come l’America delle tante differenze sia riuscita, ancora una volta, a parlare con una voce sola. Se da un lato i tagli faranno male soprattutto all’elettorato di Obama, dall’altro l’accordo lo rafforza come presidente e mediatore, capace di assumere il ruolo di leader. Fortificata dallo scontro anche l’ala più conservatrice dei repubblicani – quella dei “tea party” – che hanno messo più volte in difficoltà la leadership dello speaker della Camera, John Boehner. Ma questo non è che l’inizio di un negoziato ancora più duro, che si consumerà a breve sulla struttura del bilancio dei prossimi 10 anni.

    Giappone
    Proseguono in Giappone i lavori per la messa in sicurezza degli impianti nella centrale nucleare di Fukushima. La Tepco – la società che gestisce la struttura – ha fatto sapere che domani terminerà lo scarico volontario in mare di acqua a bassa radioattività proveniente dal reattore numero 2. L’operazione consentirà di utilizzare le ampie vasche di contenimento per immagazzinare acqua altamente radioattiva. Parallelamente, sono stati avviati i lavori di recinzione con acciaio e sacchi di sabbia per evitare che altro liquido contaminato raggiunga il mare.

    Iran - nucleare
    L’Iran ha fatto sapere che potrebbe “risolvere facilmente” i problemi nella centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, dopo il terremoto e lo tsunami dell’11 marzo. Un responsabile del programma nucleare di Teheran ha affermato che il suo Paese ha “fatto grandi progressi in campo nucleare, specie negli ultimi 6-7 anni” e che per questo forse oggi si trova ad un livello superiore rispetto al Giappone.

    Perù
    Perù domani al voto per le presidenziali. Si dovrà scegliere il successore dell’attuale capo di Stato, Alan Garcia. Secondo i sondaggi, nessuno dei candidati in lizza riuscirà ad ottenere il 50 per cento dei voti. Il servizio è di Francesca Ambrogetti:

    Si vota domani in Perú, il Paese del miracolo economico latinoamericano. Saranno le elezioni più contese della storia, con tanti scenari aperti e un’unica certezza: si andrà al ballottaggio. Per vincere al primo turno ci vuole il 50 per cento dei voti, un traguardo dal quale sono ben lontani tutti i candidati. In testa, secondo i sondaggi, l’ex militare nazionalista di sinistra, Ollanta Humala, sconfitto per pochi punti nel 2006 dall’attuale presidente, Alan Garcìa, che spera questa volta di farcela. L’intenzione di voto del 25 per cento dovrebbe garantirgli il passaggio al secondo turno. Tra i tre candidati che potrebbero contendergli la presidenza, la differenza è minima. A a Keiko Fujimori, figlio dell’ex presidente, in carcere per violazione dei diritti umani, i sondaggi attribuiscono il 20 per cento: solo due punti al di sopra di Alexandro Toledo, ex presidente centrista. Quindi, Pablo Kucinski, l’unico imprenditore ed ex ministro dell’economia. Due rivali, questi ultimi, accusati da Humala di promettere ora ciò che non hanno fatto quando erano al governo. Gli sguardi sono puntati sul programma economico dei candidati: con diverse sfumature, tutti sostengono che manterranno e miglioreranno il modello che ha portato il Perù, con una crescita sostenuta, al miglior momento della sua storia, ma anche con un forte debito sociale, il 35 per cento della popolazione è ancora sommerso nella povertà.

    Precari manifestazioni Italia
    “Il nostro tempo è adesso. La vita non aspetta”. Questo lo slogan della manifestazione contro il precariato che si svolgerà oggi in diverse città italiane. L’appuntamento principale a Roma, dove è previsto un corteo da Piazza della Repubblica al Colosseo. Ieri, l’appello in difesa dei posti di lavoro da parte del presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco. “Il precariato lavorativo sia solo una fase transitoria”, ha detto il porporato, ricordando che lo “scopo della politica è la giustizia.

    Crisi Germania-Spagna
    Il ministro delle Finanze tedesco, Schauble, ha escluso che si possa arrivare a un salvataggio anche per la Spagna, mentre ha spiegato che i prestiti al Portogallo dovranno essere condizionati da un'azione severa di risanamento dei conti. Da Madrid, il ministro dell’Economia spagnolo, Salgado, ha garantito che gli stress test condotti dall’Europa sulle banche coinvolgeranno il 100% del sistema creditizio spagnolo, perché – ha precisato “per noi la trasparenza è fondamentale”.

    Daghestan
    Assassinato in Daghestan l’imam moderato, Saiputdinov, figura di spicco nella turbolenta Repubblica autonoma russa del Caucaso settentrionale. Ignoti aggressori hanno sparato attraverso una finestra mentre l’uomo si trovava nella sua casa, nei pressi di Kizil-Yurt, al confine con la Cecenia. Si tratta del sesto leader religioso eliminato in Daghestan nel corso dell’ultimo anno. (Panoramica Internazionale a cura di Eugenio Bonanata)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 99

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