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Sommario del 06/04/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Appello del Papa per Costa d'Avorio e Libia: violenza e odio sono sempre una sconfitta. Udienza generale dedicata a Teresa di Lisieux
  • Paul Bhatti incontra il Papa: amore e perdono vincono l'odio
  • Messaggio del Papa per gli 80 anni dell'Azione cattolica argentina: i laici trasformino il mondo col Vangelo
  • Nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Costa d’Avorio: bombe sul palazzo di Gbagbo. Il nunzio: pregate per la pace
  • Libia. Gli insorti: Nato poco incisiva. Foto di ribelli torturati. Mons. Martinelli: il Paese resti unito
  • Tragedia del mare a largo di Lampedusa: oltre 250 dispersi
  • Anniversario del terremoto in Abruzzo. Napolitano agli aquilani: il Paese non vi dimenticherà
  • I tagli mettono a rischio l'ospedale romano Santa Lucia, struttura di eccellenza nella riabilitazione neuromotoria
  • Chiesa e Società

  • Orissa: angherie sui dalit che si avvicinano alla fede cristiana
  • Tanzania. Appello dei vescovi: “Saggezza nel processo di revisione costituzionale”
  • L'Onu: migliaia di civili intrappolati nelle zone di guerra in Libia
  • L’Acnur all’Austria: riforma della legge sull’asilo dannosa per i minori
  • Il vescovo di Sendai: “Grazie al Papa e alle Chiese del mondo per gli aiuti”
  • Egitto. Omicidio di un sacerdote copto: primi arresti, il movente non è religioso
  • Il Patriarcato di Mosca: più coraggio nell'esposizione del crocifisso negli uffici pubblici
  • Thailandia: incontro tra il nuovo nunzio e il ministro degli Esteri
  • Vietnam. Messa per 300 catecumeni: saranno battezzati nella Veglia di Pasqua
  • L'arcivescovo di Mombasa: il cristianesimo cresce più nel sud che nel nord del mondo
  • Soddisfazione della Chiesa portoghese per l'adesione dei giovani alla Gmg di Madrid
  • Mons. Nichols: il contributo della Chiesa alla costruzione di una cultura della responsabilità sociale
  • Iraq. Il primo mensile cristiano festeggia 40 anni di vita
  • 24 Ore nel Mondo

  • Giappone: chiusa la falla al reattore 2 di Fukushima, restano altissimi i livelli di radioattività
  • Il Papa e la Santa Sede



    Appello del Papa per Costa d'Avorio e Libia: violenza e odio sono sempre una sconfitta. Udienza generale dedicata a Teresa di Lisieux

    ◊   Benedetto XVI è in “apprensione” per i drammi che in questi giorni stanno vivendo le popolazioni della Costa d’Avorio e della Libia, e chiede alle parti in causa di fare “opera di pacificazione e di dialogo”. L’appello ha concluso l’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro, tenuta davanti a circa 20 mila persone, durante la quale il Papa ha presentato la figura di Santa Teresa di Lisieux. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Chi fa parlare le armi per ottenere una vittoria ha già perso, perché la scelta della violenza “è sempre una sconfitta”. È stato perentorio Benedetto XVI nell’esortare alla pace chi in questo momento sta fomentando l’odio in Libia e in Costa d’Avorio:

    “Mi auguro, inoltre, che il cardinale Turkson, che avevo incaricato di recarsi in Costa d’Avorio per manifestare la mia solidarietà, possa presto entrare nel Paese. Prego per le vittime e sono vicino a tutti coloro che stanno soffrendo. La violenza e l’odio sono sempre una sconfitta! Per questo rivolgo un nuovo e accorato appello a tutte le parti in causa, affinché si avvii l’opera di pacificazione e di dialogo e si evitino ulteriori spargimenti di sangue”.

    La preoccupazione per la situazione dei due Stati africani era stata preceduta dalla passione che ha animato le parole del Pontefice nel parlare di una delle Sante più amate al mondo, Teresa di Lisieux. Anima innamorata senza misura di Cristo e di ogni persona, dai sacerdoti ai lontani, la Santa carmelitana ha “illuminato tutta la Chiesa con la sua profonda dottrina spirituale”, ha affermato Benedetto XVI. Come in altre occasioni, il Papa ha raccontato per sommi capi la vita della protagonista della sua riflessione. Ma in questo caso, descrivere la storia di una Santa diventata celebre per la sua autobiografica “Storia di un’anima” ha dato alla catechesi un sapore particolare. Prendendo spunto da queste pagine-capolavoro, il Papa ha subito esortato:

    “E’ un libro che ebbe subito un enorme successo, fu tradotto in molte lingue e diffuso in tutto il mondo. Vorrei invitarvi a riscoprire questo piccolo-grande tesoro, questo luminoso commento del Vangelo pienamente vissuto! La Storia di un'anima, infatti, è una meravigliosa storia d'Amore, raccontata con una tale autenticità, semplicità e freschezza che il lettore non può non rimanerne affascinato! Ma qual è questo Amore che ha riempito tutta la vita di Teresa, dall’infanzia fino alla morte? Cari amici, questo Amore ha un Volto, ha un Nome, è Gesù!”.

    Di grazia in grazia, Teresa arriva a scegliere il convento dopo aver scoperto la forza del suo amore per il Crocifisso, e la certezza che le sue preghiere non restano inascoltate, nemmeno quando implorano pietà per un criminale incallito, come le accade di fare a soli 14 anni. Ha osservato il Papa:

    “E' la sua prima e fondamentale esperienza di maternità spirituale: ‘Tanta fiducia avevo nella Misericordia Infinita di Gesù’, scrive. Con Maria Santissima, la giovane Teresa ama, crede e spera con ‘un cuore di madre’”.

    Adolescente e già madre spirituale. L’esperienza del chiostro comincia per lei a quindici anni, su dispensa di Leone XIII. Il giorno della professione religiosa, Teresa è una “sposa” di Cristo assolutamente raggiante:

    “Lo stesso giorno, la Santa scrive una preghiera che indica tutto l'orientamento della sua vita: chiede a Gesù il dono del suo Amore infinito, di essere la più piccola, e sopratutto chiede la salvezza di tutti gli uomini: ‘Che nessuna anima sia dannata oggi’”.

    Nel Carmelo di Lisieux, Teresa diventa una guida, una “scienziata” del dono di sé e Giovanni Paolo II a questo pensava quando la proclamò Dottore della Chiesa nel 1997. E qui, Benedetto XVI si è rivolto ai dottori di oggi, i teologi, invitandoli ad avere la grandezza dell’umiltà di Santa Teresa:

    “Con l'umiltà e la carità, la fede e la speranza, Teresa entra continuamente nel cuore della Sacra Scrittura che racchiude il Mistero di Cristo. E tale lettura della Bibbia, nutrita dalla scienza dell’amore, non si oppone alla scienza accademica. La scienza dei santi, infatti, di cui lei stessa parla nell'ultima pagina della Storia di un'anima, è la scienza più alta”.

    Un’anima di fuoco non può che bruciare le tappe che portano alla santità. In nove anni, Teresa traccia quella “piccola via” nella quale risplende la sua grandezza. La “dolorosissima prova della fede” e il declino della salute, che vive a partire dal 1896, l’anno prima della morte, non spengono – ha ricordato Benedetto XVI – la “sua carità amabile e sorridente”. “La mia gioia è amare Te”, scrive Teresa riferendosi a Gesù, e quello è il “segreto” della sua felicità, ha detto il Papa. Un amore infinito per Cristo unito a una esemplare fiducia nella sua misericordia:

    "Fiducia e Amore sono dunque il punto finale del racconto della sua vita, due parole che come fari hanno illuminato tutto il suo cammino di santità, per poter guidare gli altri sulla stessa sua ‘piccola via di fiducia e di amore’, dell’infanzia spirituale”.

    Tra i saluti indirizzati ai gruppi presenti all’udienza, Benedetto XVI ne ha rivolto uno, in lingua inglese, alla delegazione del Collegio di Difesa della Nato e un altro al folto gruppo di fedeli legati da una forte devozione al Santuario della Santissima Trinità di Vallepietra, non lontano da Subiaco. “Carissimi – ha detto loro il Papa – nel ringraziarvi per la vostra presenza, vi esorto a tenere viva la tradizione del pellegrinaggio a tale Santuario, tanto radicata nella vostra terra”.

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    Paul Bhatti incontra il Papa: amore e perdono vincono l'odio

    ◊   Al termine dell’udienza generale, il Papa ha salutato Paul Bhatti, il vescovo di Faisalabad, in Pakistan, mons. Joseph Coutts e Syed Muhammad Abudl Khabir Azad, Gran Imam della moschea Badshahi di Lahore. Paul Bhatti, fratello di Shahbaz, il ministro per le minoranze religiose pakistano ucciso poco più di un mese fa da estremisti islamici, è l’attuale rappresentante governativo per le minoranze religiose. Ieri, durante un incontro organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, ha detto di aver perdonato gli assassini del fratello. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

    R. – Nostro fratello Shahbaz aveva una fede cristiana e la fede cristiana dice di perdonare. In questo caso, noi, la nostra famiglia, abbiamo deciso di perdonarlo. Allo stesso tempo, però, vogliamo scoprire chi sono gli autori di questo delitto.

    D. – Lei ha detto che da fratello maggiore più di una volta aveva cercato di proteggerlo. E lei, oggi, riprende la sua stessa strada…

    R. – Quando lo consigliavo, vedevo mio fratello con amore fraterno. Non mi rendevo conto dell’azione reale che stava compiendo, della responsabilità che si era assunto. Adesso, vivendo la sua situazione, vedendo la gente che magari ha bisogno di una guida, osservando le persone emarginate, sento l’esigenza di continuare.

    D. – E i timori ci sono anche per lei, ora?

    R. – Penso che i timori ci siano, perché la gente, probabilmente, ragiona secondo una logica di odio, di terrorismo. Magari prova odio verso la nostra famiglia e quindi agiscono di conseguenza. Metto in conto che questo possa succedere.

    D. – Il punto nevralgico di questa legge sulla blasfemia è la possibilità di interpretarla?

    R. – Sì, credo sia la sua interpretazione. Questa legge è stata fatta dagli inglesi, quando erano ancora in India. Solo che, ultimamente, è stata usata o interpretata soggettivamente dalla gente, per fini personali: Asia Bibi – essendo una donna di un ceto socio-culturale molto basso, molto povera – non penserebbe minimamente di insultare Maometto. E’ evidente che è stata creata una certa situazione per fare in modo di punirla o magari per un rancore personale.

    D. – Quali sono le prime sfide che si troverà di fronte?

    R. – La prima è questa discriminazione religiosa, che sta crescendo giorno per giorno. Non perché i fedeli non possono convivere tra loro, ma perché c’è una campagna di odio creata da una base terroristica che continua ad usare la religione. Noi dobbiamo combattere quest'odio. Se non lo facciamo, queste vittime continueranno ad esserci. Non si tratta solo di mio fratello: in Pakistan ci sono tutti i giorni bombe che esplodono e persone che vengono uccise. Questa è, in qualche modo, la prima sfida.

    D. – Lei ha ringraziato la comunità internazionale e Benedetto XVI per il sostegno che avete ricevuto dopo la morte di suo fratello. Ma il sostegno del suo Paese, conta di averlo?

    R. – Sì, certo. Il sostegno dell’attuale governo c’è. Il fatto che mi abbiano proposto di continuare l’opera di mio fratello testimonia la loro disponibilità, perché questo posto, che ora occupo, era desiderato da molti altri. Il governo pachistano, però, affinchè si continuasse a lottare, ha dato a noi il compito ed inoltre ha dichiarato il suo pieno appoggio per qualsiasi cosa che faremo, perché queste cose non accadano più.

    D. – Un ricordo personale da fratello più grande?

    R. – Io ho un ottimo ricordo di lui, come fratello. Ma anche i nostri genitori lo hanno di lui, come figlio. Era una persona eccezionale. Non l’ho mai visto arrabbiato. Se per qualsiasi motivo si arrabbiabiava con qualcuno, era il primo che voleva poi fare pace. Fino ad ora, in casa, quando c’era lui, c’era serenità, una certa felicità. Questo adesso manca.

    Il vescovo di Faisalabad, mons. Joseph Coutts, ha celebrato il funerale di Shahbaz Bhatti. Lo conosceva molto bene, era della sua diocesi. Ed oggi, parlando del suo sacrificio, lo paragona a Mahatma Gandhi, a Martin Luther King, a mons. Romero:

    R. - Ricordo Shahbaz come un giovane molto sincero, non come un politico. E’ diventato ministro del governo federale ma è rimasto molto umile ed aveva questo senso di responsabilità. Ha sempre pensato: ‘Io cosa posso fare?’. In questo senso, era anche un uomo molto positivo, sincero.

    D. – La sua morte, secondo lei, ha ucciso le speranze dei cristiani in Pakistan?

    R. – Bhatti era un cattolico convinto, ma era anche ministro di tutte le minoranze religiose. La morte di Shahbaz ha colpito il Pakistan.

    D. – Le sfide che adesso si presentano nel suo Paese, parlando anche della legge sulla blasfemia, quali sono?

    R. – Ci sono tanti problemi. Il nostro governo è una coalizione, non c’è una forte opposizione e gli estremisti hanno approfittato di questa situazione, diventando molto forti. Sono ben armati, sanno fare terrorismo e non è facile per i nostri militari controllare tutta la situazione. (vv)

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    Messaggio del Papa per gli 80 anni dell'Azione cattolica argentina: i laici trasformino il mondo col Vangelo

    ◊   Nell’80.mo anniversario dell'Azione cattolica argentina Benedetto XVI ha inviato un Messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, in cui esprime la propria gratitudine al Signore “per questi anni di intenso e proficuo lavoro di evangelizzazione e di santificazione”. Nella missiva, indirizzata all’assistente generale dell’associazione, il vescovo di Concordia, Luis Armando Collazuol, il Papa ricorda il ruolo dei laici nella “santificazione della Chiesa e del mondo attraverso la trasformazione delle realtà temporali secondo i valori del regno di Dio”. Citando il Documento di Aparecida, il Pontefice sottolinea che per svolgere la propria missione in modo responsabile e fedele “i laici hanno bisogno di una solida formazione dottrinale, pastorale, spirituale e di un adeguato accompagnamento”. Benedetto XVI esorta quindi a intensificare l’impegno formativo, perché sull’esempio di Cristo, e in stretta collaborazione con i vescovi, gli aderenti all’Azione cattolica portino “il lievito del Vangelo a tutti i cuori e in tutti i settori della società, del mondo del lavoro, della politica, della cultura e nelle famiglie”. In occasione dell’anniversario, l’Azione cattolica argentina ha lanciato vari progetti, tra i quali spicca la campagna di lotta alla povertà intitolata “La povertà fa male. Costruiamo una nazione senza esclusi”.

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    Nomine

    ◊   Benedetto XVI ha nominato vescovo di Mar del Plata (Argentina) mons. Antonio Marino, finora vescovo titolare di Basti ed Ausiliare di La Plata. Mons. Antonio Marino è nato a Buenos Aires l’11 marzo 1942 e formato nel Seminario diocesano, ha ottenuto la Laurea in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Ordinato sacerdote il 27 settembre 1971, è stato eletto vescovo titolare di Basti ed Ausiliare di La Plata l’11 aprile 2003 e consacrato il 3 maggio successivo. In seno alla Conferenza Episcopale è membro delle Commissioni di Fede e Cultura e dei Ministeri. Come ausiliare di La Plata, oltre alle attività pastorali, ha la cura del Seminario dell’arcidiocesi.

    Il Papa ha nominato vescovo di Chittagong (Bangladesh) mons. Moses Costa, della Congregazione di Santa Croce, finora vescovo di Dinajpur.

    Il Santo Padre ha nominato vescovo di Alotau-Sideia (Papua Nuova Guinea) padre Rolando Santos, superiore provinciale dei Padri Lazzaristi nelle Filippine. Padre Rolando Santos è nato a Malabon, Rizal, nelle Filippine, il 21 marzo 1949. Dopo gli studi elementari è entrato al Seminario Minore St. Vincent dei Padri Lazzaristi in Valenzuela, Bulacan, nelle Filippine. Nel 1966 è entrato nella Congregazione delle Missioni e ha trascorso il noviziato di due anni in Vicentian Hills, Angono, Rizal. Ha compiuto i suoi studi filosofici e teologici al St. Mary Immaculate Seminary di Northampton, in Pennsylvania, Stati Uniti. Il 18 giugno 1971, ha pronunciato i voti perpetui nella Congregazione della Missione. È stato ordinato sacerdote il primo giugno 1974. Dal 2009 è superiore provinciale della Congregazione della Missione nelle Filippine e nelle missioni in Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone.

    Il Papa ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Cincinnati, negli Stati Uniti, mons. Joseph R. Binzer, del clero della medesima arcidiocesi, vicario generale, cancelliere e parroco della Saint Louis Parish, assegnandogli la sede titolare vescovile di Subbar. Mons. Joseph R. Binzer è nato il 26 aprile 1955 a Cincinnati. È stato ordinato sacerdote il 4 giugno 1994 per l’arcidiocesi di Cincinnati.

    Il Santo Padre ha nominato membro del Pontificio Consiglio per Testi Legislativi il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La violenza e l’odio sono sempre una sconfitta: all’udienza generale l’appello del Papa per la Costa d’Avorio e la Libia.

    Nell’informazione internazionale, Pierluigi Natalia su Haiti tra elezioni ed emergenza.

    “Tempo di Dio. Tempo della Chiesa. L’anno liturgico bizantino”: in cultura, la prefazione dell’arcivescovo Cyril Vasil’, segretario della Congregazione per le Chiese Orientali, e l’introduzione dell’autore, il monaco benedettino Manuel Nin, al libro che raccoglie gli articoli sulle festività del calendario liturgicio bizantino pubblicate tra il 2008 e il 2009 su “L’Osservatore Romano”.

    Anselmo di Canterbury e la lotta per le investiture: Giancarlo Andenna sulla “libertas Ecclesiae” nell’XI secolo.

    Un articolo di Alfredo Tradigo dal titolo “A ognuno i suoi angeli”: una singolare concomitanza di mostre in Italia offre l’occasione per un percorso iconografico che va dal Trecento al Cinquecento.

    Quarant’anni ben spesi: Egidio Picucci sull’Istituto francescano di spiritualità aperto a Roma nell’anno accademico 1970-1971.

    C’è movimento a Montecarlo: Marcello Filotei sul pubblico itinerante tra i concerti al Festival Printemps des Arts.

    Il Papa delle radici cristiane: nell’informazione religiosa, il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi, su Giovanni Paolo II e l’Europa.

    Dialogo e rispetto per vincere il fondamentalismo: nell’informazione vaticana, intervista di Nicola Gori al vescovo siro-malabarese Bosco Puthur in visita “ad limina”.

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    Oggi in Primo Piano



    Costa d’Avorio: bombe sul palazzo di Gbagbo. Il nunzio: pregate per la pace

    ◊   Si stanno vivendo ore decisive in Costa d’Avorio. Quella che potrebbe essere l’ultima battaglia si sta combattendo ad Abidjan, dove le milizie del presidente eletto, Alassane Ouattara, stanno assediando la residenza del presidente uscente, Laurent Gbagbo, irriducibile nel non voler lasciare il potere. Ieri si era diffusa la notizia della resa di Gbagbo. Poco dopo è arrivata la smentita da parte dello stesso capo di Stato uscente, che ha dichiarato di non riconoscere la vittoria del suo avversario e di voler resistere ad oltranza nel suo bunker. Ma che cosa sta lasciando questa guerra alla Costa d’Avorio? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Celestin Gnonzion, docente universitario, raggiunto telefonicamente ad Abidjan:

    R. – La guerra lascia tante vittime. Questi ultimi bombardamenti hanno ucciso tante persone, soprattutto civili. E questi quattro mesi della crisi elettorale hanno creato veramente una divisione nella popolazione. Quindi, la cosa urgente è quella di lavorare per il consolidamento del tessuto sociale e la creazione di condizioni per una vera pace tra gli ivoriani.

    D. – E la guerra ha provocato anche un grave problema umanitario: si parla di 500 mila persone che sono fuggite dalle violenze e che però hanno bisogno di beni di prima necessità...

    R. – Sì, tante persone sono scappate nei Paesi vicini. Anche noi, che ci troviamo ad Abidjan, da una settimana non abbiamo più da mangiare; ci sono quartieri dove non c’è più acqua, non c’è più corrente. Non sappiamo chi ci aiuterà, chi darà soluzioni concrete a questa crisi umanitaria.

    D. – Come immagina lei il prossimo futuro della Costa d’Avorio?

    R. – La prima cosa è che i prossimi cinque anni di governo siano un tempo per consolidare la pace, creare le condizioni per una serena convivenza in Costa d’Avorio. C’è una grande divisione oggi tra la popolazione e le etnie delle varie regioni. Quindi, la cosa urgente da fare è creare una commissione di riconciliazione, per dirsi la verità, per poterci guardare come fratelli e vivere insieme in pace. (ap)

    E dopo l’appello del Papa per la Costa d’Avorio, ascoltiamo il nunzio apostolico nel Paese, mons. Ambrose Madtha, raggiunto telefonicamente ad Abidjan da Hélène Destombes:

    R. - Nous demandons des prières…
    Noi chiediamo a tutti di pregare perché il Signore - ancora una volta - ci doni la pace, quella pace che desideriamo ormai da otto anni e particolarmente in questi ultimi quattro mesi. Tutti dobbiamo lavorare per la pace: solo il dialogo ci può aiutare a raggiungere la riconciliazione. Chiediamo a tutta la popolazione di riconciliarsi e di avere il coraggio del perdono reciproco. Ancora una volta ringraziamo il Papa per il grande gesto che ha compiuto rivolgendoci un appello così pressante e ringraziamo tutte le chiese per aver pregato per noi. (mg)

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    Libia. Gli insorti: Nato poco incisiva. Foto di ribelli torturati. Mons. Martinelli: il Paese resti unito

    ◊   In Libia gli insorti, che denunciano la lentezza delle operazioni militari della Nato, hanno nuovamente chiesto l’appoggio della coalizione internazionale a Misurata per far fronte ai bombardamenti delle forze di Muammar Gheddafi. Nel Paese, intanto, sono state scoperte drammatiche fotografie che testimoniano violenze e torture. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Le fotografie, trovate da un gruppo di giornalisti durante un tour organizzato dalle forze del rais per mostrare le conseguenze degli attacchi lanciati dai ribelli, ritraggono insorti torturati da militari appartenenti alle forze fedeli al colonnello. La Nato, intanto, ha reso noto che è stato distrutto il 30% delle forze militari libiche. Negli ultimi giorni, i raid aerei mirati contro obiettivi militari di Gheddafi - denuncia l'Alleanza Atlantica - sono diventati più “difficili”: le truppe governative usano veicoli non militari, nascondono i mezzi blindati e utilizzano i civili come scudi umani. Muammar Gheddafi ha inviato un messaggio al presidente statunitense Barack Obama, dopo l'annuncio americano del ritiro degli aerei da guerra dalla Libia. E nel Paese la situazione resta critica. L’Unicef, in particolare, esprime “preoccupazione per i ripetuti scontri e il loro impatto sui bambini”. Oltre 440 mila persone hanno lasciato le loro case dall'inizio delle operazioni militari. Si intravedono, comunque, spiragli di pace. Fonti locali riferiscono che Muammar Gheddafi sarebbe pronto al dialogo con i ribelli di Bengasi a patto che questi depongano le armi. La comunità cattolica, tra crescenti timori per i continui combattimenti e nuovi tentativi di negoziato, resta accanto alla popolazione e affida alla preghiera le proprie speranze per la pace. E’ quanto sottolinea il vicario apostolico a Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli:

    R. – Grazie a Dio la Chiesa è ancora attiva e presente. E’ una presenza orante e, attraverso la preghiera, cerchiamo di costruire anche la nostra speranza per questo Paese. Uno Stato che deve raggiungere, necessariamente, un modo di vivere la pace. Non abbiamo molta fiducia nelle bombe, ma abbiamo tanta fiducia proprio nella potenza di Dio, in modo che possa convertire i cuori, in particolare in questo periodo di Quaresima.

    D. – Un impegno, dunque, scandito dalla preghiera ed anche dalla volontà incontrovertibile di rimanere lì in Libia, nonostante tutto…

    R. – Certo. Non possiamo esimerci da questo impegno, da questo desiderio di essere con i nostri amici libici una sola cosa, soprattutto nel pregare e nel servirli, e vivere con loro questo momento di prova. Sappiamo bene quanto si stia facendo per ottenere la pace. Mi auguro che ci sia veramente il modo giusto per poter rispettare la realtà della Libia, la sua tradizione e anche l’impegno a non dividerlo questo Paese, ma a fare in modo che possa essere unito per continuare la sua storia. Una storia certamente impegnata nel Mediterraneo e che vede anche la Libia come ‘ponte’ tra l’Africa e l’Europa. (vv)

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    Tragedia del mare a largo di Lampedusa: oltre 250 dispersi

    ◊   Sono arrivati a Lampedusa i 47 migranti coinvolti nel tragico naufragio di questa notte a sud dell’isola; oltre 250 immigrati, secondo testimoni oculari, rimangono dispersi e circa 20 corpi sono stati avvistati in acque maltesi. La sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo ha osservato un minuto di silenzio. E mentre da Lampedusa proseguono i trasferimenti degli extracomunitari, Monsignor Bruno Schettino, vescovo di Capua e Presidente della Commissione migrazione della Cei auspica che “il reato di clandestinità venga tolto e che tutte le regioni partecipino nell’accoglienza”. Massimiliano Menichetti:

    47 persone con l’incubo negli occhi e la consapevolezza di essere ormai in salvo. L’immagine è del molo di Lampedusa che ha accolto i pochi superstiti del naufragio di questa notte a circa 39 miglia dall’isola, in acque maltesi. Uomini, donne e bambini partiti tre giorni fa dalla Libia di nazionalità somala ed eritrea, raccontano la tragedia. Sono oltre 300, stipati su una carretta del mare di 13 metri, le onde sono forza 4 ed in un momento la gioia della salvezza diventa tragedia, tutti finiscono sott’acqua proprio mentre sono agganciati dalla motovedetta della Guardia Costiera. Donne e bambini - dicono con gli occhi bagnati dalle lacrime - sono scomparsi tra le onde e molti sono morti per salvarli. Oltre 250 risultano tutt’ora dispersi, 20 corpi senza vita sono stati avvistati questa mattina nei pressi del naufragio. Le autorità maltesi hanno assunto formalmente l’incarico di recuperare le vittime. Nonostante le proibitive condizioni meteo, non si smette di cercare eventuali superstiti, ma con il passare delle ore le speranze si affievoliscono sempre di più. Intanto a Lampedusa proseguono i trasferimenti, nella notte sono arrivati altri 354 immigrati: tunisini, eritrei, somali ed etiopi. E mentre l’Ue auspica progetto operativo ''speciale'' tra Europa e Tunisia per affrontare l'emergenza immigrazione, ieri, Roma e Tunisi hanno raggiunto un accordo che prevede tra l’altro la collaborazione per il blocco delle partenze dalle coste africane ed il rimpatrio di chi è giunto sulle coste italiane senza permesso. Laura Boldrini portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati:

    R. – Questa è una giornata di lutto, perché sembrerebbe che siano morte oltre 200 persone, nel tentativo di scappare dalla Libia e trovare un posto sicuro dove stare. I sopravvissuti sono giunti a Lampedusa con il terrore in volto, in stato di shock. Tra loro c’è chi ha perso un figlio, c’è chi ha perso un fratello e, in base alle prime testimonianze, sembrerebbe che a bordo ci dovrebbero essere state 30 donne: sopravvissute ce ne sono solo due, di cui una incinta.

    D. – Da dove sono partiti?

    R. – Dicono di essere partiti dalla Libia, in un posto tra Duara e Tripoli, di nome Sabratha, tre giorni fa, ed essersi poi trovati con un mare molto forte, e di avere chiamato i soccorsi. Evidentemente, però, il mare era troppo grosso, perché queste persone potessero essere trasportate.

    D. – Oggi ci si domanda se era una tragedia evitabile. Coordinamento e aiuto sulle coste di partenza potrebbero essere delle vie?

    R. – Sarebbe la cosa migliore da fare: riuscire a fare in modo che queste persone possano essere trasferite altrove, senza dover rischiare la vita in mare. Per fare questo, però, ci deve essere la disponibilità di altri Stati di offrire a queste persone che si trovano intrappolate in Libia, la possibilità di mettersi in salvo legalmente. (ap)

    Italia e Tunisia, dunque, hanno raggiunto un protocollo d’intesa per fronteggiare l’emergenza immigrazione. Il ministro italiano Roberto Maroni ha annunciato l’intesa ieri al suo rientro da Tunisi. Oggi verrà inoltre firmato il decreto del presidente del Consiglio che prevede la concessione del permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi ai circa 20mila tunisini arrivati dall'inizio dell'anno in Italia. Con questo permesso potranno muoversi nell'area dei Paesi europei che hanno sottoscritto gli accordi di Schengen sulla libera circolazione. Un provvedimento che avrà esclusivamente valore per coloro che sono entrati prima della sua emanazione. Ad Alessandro Speciale, giornalista che si trova a Tunisi Stefano Leszczynski ha chiesto quale sia l’atmosfera nel Paese nordafricano.

    R. – La Tunisia adesso è un Paese tranquillo, dove la vita quotidiana è difficile, dove le scuole hanno ricominciato a funzionare, ma è anche un Paese in fermento. Le elezioni che eleggeranno l’assemblea costituente dopo la rivoluzione sono previste per il 24 luglio. C’è speranza, c’è attesa per questo grande movimento che finalmente si va a concretizzare e, allo stesso tempo, c’è anche preoccupazione che la rivoluzione possa essere rubata, che qualcosa possa andare storto e che le speranze democratiche possano essere tradite.

    D. – In questa situazione, quali sono i motivi principali che spingono, soprattutto i giovani, all’emigrazione?

    R. – E’ un problema che rimane un puzzle anche per gli stessi tunisini. Parlavo oggi con una giornalista di una radio di opposizione, che mi diceva: “Questi giovani sono stati manipolati, perché è difficile capire come in un momento come questo, dopo una rivoluzione, quando c’è più speranza per il futuro, la gente debba scappare così”. Molti, apparentemente, sono ex poliziotti e quindi sentono di non avere più possibilità in questa Tunisia. Allo stesso tempo, molte delle leggi repressive che c’erano sotto il regime precedente sono state tolte e quindi è come se fosse stato tolto un tappo e adesso molti se ne vanno. Ma allo stesso tempo le proporzioni del fenomeno rimangono comunque superiori, come se fosse stato organizzato precedentemente.

    D. – L’Italia ha cercato di stringere degli accordi con le nuove autorità tunisine per riprendere il controllo dei flussi migratori...

    R. – Le autorità tunisine sono rimaste un po’ scettiche della pressione italiana. La Tunisia ha affrontato una difficile crisi economica. Allo stesso tempo, le autorità tunisine dicono: “Noi abbiamo accolto e aiutato quasi 200 mila profughi, che venivano dalla Libia. Quindi, viene difficile metterci in questa posizione, adesso che la situazione per noi è già così difficile”. C’è, quindi, un certo scetticismo e si guarda con una certa difficoltà: si pensa che non bisognerebbe essere così duri e che il problema non sia così enorme con tutto quello che la Tunisia ha tra le mani in questo momento.(ap)

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    Anniversario del terremoto in Abruzzo. Napolitano agli aquilani: il Paese non vi dimenticherà

    ◊   Giornata di lutto oggi all’Aquila nel secondo anniversario del terribile terremoto, che nella notte tra il 5 ed il 6 aprile 2009 scosse l’Abruzzo uccidendo 309 persone e ferendone oltre 1600. Stamane l’arrivo del presidente della Repubblica Napolitano, che ha rassicurato gli aquilani che il Paese non li dimenticherà. Con il capo dello Stato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. Insieme hanno partecipato alla Messa di suffragio per le vittime nella Basilica di Collemaggio, celebrata dall’arcivescovo Giuseppe Molinari. Il servizio della nostra inviata Antonella Palermo:

    “I riflessi del sole di primavera filtrano attraverso la cupola absidale distrutta e ricoperta di ponteggi trasparenti. La luce vuole entrare, così come la speranza, nei cuori degli aquilani, a scansare la rassegnazione e lo scoramento che sembrano spesso avere il sopravvento. Se crediamo all’amore di Dio, che non ci abbandona mai, allora tutto diventa più certo – ha detto l’arcivescovo dell’Aquila, mons. Molinari, nell’omelia della Santa Messa di stamattina a Collamaggio. Il presule ha invitato a credere davvero alla risurrezione: “La vita è un mistero – ha ricordato – dietro cui si nasconde un mondo nuovo di luce, di pace e di bontà”. Non è mancata, tra le invocazioni dell’assemblea, quella per coloro che hanno responsabilità pubbliche affinché possano sempre più lavorare nell’unità alla ricostruzione. E poi, il ringraziamento al presidente Giorgio Napolitano, che ha portato all’Aquila la vicinanza dell’Italia intera:

    “Deve essere chiaro che per noi L'Aquila vale quanto la più grande delle città storiche del Paese. Abbiamo grandi città storiche: ne abbiamo di medie dimensioni ed anche piccole e tutte costituiscono un patrimonio prezioso, un tesoro del nostro Paese, riconosciuto internazionalmente. Anche con questo occhio guardiamo all'Aquila".

    I terribili momenti del terremoto sono stati rivissuti la scorsa notte dagli aquilani. In ventimila hanno sfilato nel centro storico della città ed atteso in piazza Duomo le 3.32: l’ora tragica che ha segnato la distruzione del capoluogo abruzzese e di altri 56 Comuni. Nel silenzio, i 309 rintocchi della campana della chiesa delle Anime Sante, accompagnati dalla lettura dei nomi delle vittime. Un passato da superare senza dimenticare. Ascoltiamo alcune voci di giovani raccolte dalla nostra inviata:

    “Bisogna comunque guardare avanti. Speriamo che si riaggiusti tutto … Magari, a volte vogliono far credere cose che non sono vere … Questa sera siamo qui, a maggior ragione, per poter ricordare: perché soprattutto non bisogna dimenticare!”.

    “Ho visto la morte in faccia. Abbiamo raggiunto la consapevolezza che quello che c’era prima non lo riavremo a breve, e quindi adesso viviamo nella speranza che torni tutto come prima. Ma siamo consapevoli del fatto che non sarà facile!”.

    Tra i sopravissuti una suora, tra molte altre, che non ha voluto lasciare la terra abruzzese:

    “La nostra casa è andata completamente distrutta; noi suore viviamo in una piccola casetta di legno. Sarebbe stato più facile, più semplice andare via. Siamo rimaste qui perché ci crediamo: dobbiamo starci, con tutti, con tutte le famiglie, con la gente che ci sta accanto. Ci stiamo battendo tantissimo per creare punti di aggregazione, specie per i ragazzi che sono forse i più svantaggiati, quelli che sicuramente ne risentiranno: anche se non adesso, sicuramente tra qualche anno. Se non riusciremo a ricostruire – oltre alla città – anche il tessuto sociale, potremo avere dei grossi problemi”.

    Tante le attese della popolazione insoddisfatta per una ricostruzione materiale ma anche sociale che tarda a ripartire. Ma i tempi saranno lunghi, dichiara Gianni Chiodi, presidente della Regione Abruzzo, Commissario straordinario per la ricostruzione, ancora al microfono di Antonella Palermo:

    “Sappiamo che la ricostruzione è partita con la fase di messa in sicurezza di tutti i fabbricati; la seconda fase è rappresentata da una normativa che adesso c’è. Manca il piano di ricostruzione, ma devono farlo i Comuni, quel piano di ricostruzione dei centri storici: questo è previsto dalla legge. E prima avviene, e meglio è, altrimenti il centro storico non parte mai. Poi c’è tutta una fase di progettazione: qui i privati si sono costituiti in consorzi ed hanno fatto progetti che devono arrivare a livello di esecutività, e dopo partono i cantieri. Consideri che, da quando sono commissario io, cioè dal primo febbraio, la popolazione che è rientrata nelle case sfiora le 20 mila unità. Sono persone che hanno rimesso a posto i loro immobili, classificati b e c, quindi quelli meno danneggiati. Per quanto riguarda invece gli immobili più danneggiati, sappiamo bene che ricostruire tutti gli immobili che, soprattutto nel centro storico hanno una grande valenza sia in termini di pregio, sia addirittura di vincoli da parte della Sovrintendenza, ci vorranno – se saremo bravi, se la comunità sarà brava, se saranno bravi anche i soggetti attuatori che non sono il governo: sono i comuni, sono i privati, sono il Provveditorato alle opere pubbliche, sono la Provincia dell’Aquila - se tutti questi soggetti saranno bravi, ci vorranno almeno dieci anni!”.

    Ma intanto il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, si dice molto preoccupato per i suoi concittadini:

    “E’ chiaro che vanno date delle risposte. Guardi, io non voglio fare polemica. C’è stata una prima fase, gestita sostanzialmente – a mio avviso – bene: si è fatto quello che si poteva fare. E’ partita e abbiamo completato la ricostruzione leggera. Non è partita la ricostruzione pesante e non si è fatto nulla per il rilancio economico-produttivo. Sono molto preoccupato: stanno emergendo alcuni segnali, sta subentrando un po’ di scoramento con un po’ di rassegnazione. Questa è la cosa più pericolosa che ci possa capitare”. (gf)

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    I tagli mettono a rischio l'ospedale romano Santa Lucia, struttura di eccellenza nella riabilitazione neuromotoria

    ◊   Pazienti, medici e studenti hanno preso parte, nei giorni scorsi, a diverse proteste contro i tagli previsti per l’ospedale romano Santa Lucia, fiore all'occhiello nell'ambito della riabilitazione neuromotoria. Nelle varie attività della Fondazione sono impegnati fisioterapisti, medici, infermieri e tecnici. Si passa da pazienti con ictus, trauma cranico e malattie come Parkinson e varie forme di demenze, ai bambini nati con gravi deficit neurologici e motori, fino ai casi di persone uscite da coma che cercano di riacquisire l'autosufficienza. Sulla situazione dell’ospedale Santa Lucia, Eliana Astorri ha intervistato il dottor Luigi Amadio, direttore generale del nosocomio:

    R. – La Fondazione Santa Lucia è un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, e in quanto tale un ospedale di rilievo nazionale e di alta specializzazione per la riabilitazione neuromotoria. Svolge un’intensa attività di ricovero per la riabilitazione neuromotoria in senso lato, effettuando più di 2.000 ricoveri l’anno; poi, svolge anche un’attività di prestazioni specialistiche in poliambulatorio. Il Santa Lucia, tra i 43 istituti di ricovero e cura a carattere scientifico italiani è il sesto in assoluto come produttività scientifica, e il primo nel settore delle neuroscienze.

    D. – Cosa è successo ultimamente, da mettere in criticità il proseguimento di questa attività?

    R. – Da alcuni anni, le tariffe ospedaliere previste per la riabilitazione sono insufficienti e l’anno scorso il Consiglio di Stato le ha annullate, in quanto queste tariffe sono basate sulla rilevazione dei costi del 1994. Quindi, ci sono grossi problemi! Il personale e i malati hanno protestato perché in queste condizioni, con l’aggiunta dei recenti tagli, la situazione è diventata impossibile.

    D. – Quindi, tagli vuol dire meno personale per assistere queste persone che hanno bisogno di terapie continuative…

    R. – Certamente. Ma soprattutto, significa snaturare il Santa Lucia che è costruito come ospedale su autorizzazione della Regione Lazio per fare l’alta specialità. Nel momento in cui si toglie l’alta specialità, si riduce il personale e via dicendo, si riduce il castello che a quel punto viene a non avere più ragione di esistere! Noi svolgiamo un’attività molto qualificata da oltre 50 anni, siamo molto conosciuti sia in Italia sia all’estero per quello che facciamo; addirittura, un’associazione di scienziati italiani all’estero ci ha classificati tra le prime 50 istituzioni di ricerca italiane, dove siamo al 34.mo posto subito dopo l’Istituto superiore di sanità… (gf)

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    Chiesa e Società



    Orissa: angherie sui dalit che si avvicinano alla fede cristiana

    ◊   Le famiglie di tribali dalit (i “fuoricasta”) dell’Orissa sono sottoposte a continue angherie e oppressioni, compiute unicamente sulla base della discriminazione castale. Questi dalit, privati di terre, di proprietà e di ogni diritto, spesso sono aiutati da gruppi cristiani e dalla Chiesa cattolica che offrono loro non solo assistenza ma anche il riconoscimento della dignità. Per questo tali popolazioni chiedono poi di conoscere e abbracciare la fede cristiana. Questa dinamica, spiegano fonti cattoliche dell’Agenzia Fides, è alla base delle violenze perpetrate dai gruppi radicali indù verso i cristiani, come i terribili massacri che interessarono l’Orissa nel 2008. I cristiani sono accusati di fare proselitismo e di voler convertire i dalit indù, ma “i cristiani non fanno altro che mettere in pratica il comandamento dell’amore al prossimo, facendosi vicini, in tutti i modi, ai reietti della società, ai poveri, agli ultimi, agli oppressi”, promuovendone lo sviluppo socio-economico ma anche i loro diritti a livello istituzionale. A conferma di tale andamento, un recente episodio: la polizia dell’Orissa ha arrestato il 29 marzo scorso 14 cristiani con l’accusa di aver operato “conversioni forzate” nel distretto di Mayurbhanj. Ma in Orissa, riferiscono fonti locali di Fides, continuano a verificarsi casi di patenti violazioni dei diritti dei dalit: nei mesi scorsi 83 famiglie dalit del villaggio di Ranapada (distretto di Puri) sono state brutalmente attaccate e scacciate dagli abitanti (non dalit) di 54 villaggi vicini. Motivo del gesto: la violazione di un tempio indù da parte di tre donne dalit, che avrebbero osato entrare nell’edificio, fatto loro vietato perché considerate impure (i dalit sono chiamati infatti “intoccabili”). L’episodio risale all’agosto 2010 e alle famiglie incriminate è stata comminata una multa che esse si sono rifiutate di pagare. Per questo è scattata la “spedizione punitiva”: le famiglie sono state private delle case, delle terre, dei loro beni e oggi non sanno come sopravvivere. La vicinanza della Chiesa cattolica agli ultimi e ai dalit è stata ribadita di recente da mons. John Barwa, insediatosi come nuovo arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, in una celebrazione tenutasi a Cuttack il 2 aprile, alla presenza di 21 vescovi, del nunzio apostolico, mons. Salvatore Pennacchio, e del cardinale Oswald Gracias, presidente della Conferenza Episcopale dell’India. L’arcivescovo, anch’egli un tribale, ha rimarcato il desiderio di “unità nella diversità e di riconciliazione in Orissa”, spiegando che il suo motto episcopale “Venga il Tuo Regno”, esprime il bisogno di annunciare e manifestare il Regno di Dio nel territorio.

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    Tanzania. Appello dei vescovi: “Saggezza nel processo di revisione costituzionale”

    ◊   “Tristezza e angoscia del nostro popolo per il disegno di legge di revisione costituzionale”: si intitola così la lettera che la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale della Tanzania ha inviato al Ministero per la Giustizia e gli affari costituzionali. Nella missiva, a firma di mons. Paul Ruzoka, presidente della Commissione, si mettono in luce alcuni punti critici del disegno di legge, reso noto alcuni giorni fa. “Leggendo questo documento – scrivono i vescovi – siamo rimasti stupefatti, perché l’intero processo costituzionale inizia e finisce con il presidente. Anche il principale strumento per gestire l’iter di riforma sarà una Commissione costituita sempre dal presidente, che è anche il capo del partito”. I presuli si dicono, poi, consapevoli del fatto che “l’appello per una nuova Costituzione è scaturito da un desiderio e anche da una certa rabbia della società del Paese, in cerca di un cambiamento”. Tuttavia, prosegue la missiva, “temiamo che il contenuto con cui il disegno di legge di revisione costituzionale viene presentato in Parlamento non risponda davvero a questa forte esigenza della popolazione. E ciò, di fatto, può aumentare quella rabbia che si è già manifestata nella nostra società”. Quindi, la Commissione Giustizia e Pace si appella al governo affinché intraprenda il processo di revisione costituzionale “con grande saggezza, guidando la riflessione e la formazione necessarie per rendere questo processo un dialogo veramente nazionale, così da garantire la pace, la comprensione e l’accettazione reciproca. Ne abbiamo bisogno in questo momento storico del nostro Paese”. Infine, i vescovi chiedono di “lasciare il tempo anche ai necessari strumenti indipendenti per costruire il consenso necessario, in modo da creare una solida base sui cui posare il futuro della nostra nazione”. (I.P.)

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    L'Onu: migliaia di civili intrappolati nelle zone di guerra in Libia

    ◊   Si è appena conclusa la missione di due giorni in Egitto dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, António Guterres, finalizzata a monitorare la situazione dei profughi provenienti dalla Libia. Il ritmo degli esodi da questo Paese in direzione dell’Egitto, attraverso il confine di Sallum, sta rallentando, nonostante gli ultimi arrivi di famiglie di Brega e Bengasi in fuga dai combattimenti: dall’inizio di febbraio a oggi, tuttavia, sono passate di lì 161mila persone, tra cui 83mila egiziani e 32mila libici e Guterres ha pubblicamente ringraziato il governo egiziano per non avere mai chiuso la frontiera. L’Acnur, nel frattempo, denuncia la critica situazione umanitaria all’interno della Libia, in cui si stima che migliaia di persone siano rimaste intrappolate nelle aree dei combattimenti e auspica che presto si possa avere accesso alla popolazione. Il Commissario si è poi trasferito in Kenya per osservare da vicino la situazione dei profughi provenienti dalla Somalia. A giorni sarà nel campo di Dadaab, nella parte nordorientale del Paese, che ospita attualmente 320mila rifugiati e che è quasi al collasso a causa della recente escalation di violenza in Somalia, tanto che nel campo di Ifo si è reso addirittura necessario un ampliamento per il trasferimento di 40mila rifugiati, poi bloccato per motivi di sicurezza. (R.B.)

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    L’Acnur all’Austria: riforma della legge sull’asilo dannosa per i minori

    ◊   L’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati (Acnur) ha manifestato la propria preoccupazione per le modifiche in discussione nel Parlamento austriaco della legge in materia di asilo politico: secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, infatti, questo nuovo pacchetto di modifiche, il quarto dall’entrata in vigore della legge nel 2006, conterrebbe restringimenti ai diritti dei richiedenti asilo, rivelandosi particolarmente dannosa per i minori. Secondo le nuove norme, infatti, i richiedenti asilo potrebbero restare nei centri di accoglienza fino a sette giorni, con la possibilità della detenzione in caso di violazioni, e le famiglie, così, potrebbero rimanere separate anche per una settimana, dal momento che potrebbero essere sottoposti a questa legge anche i ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Secondo l’Acnur, quindi, si tratterebbe di un’ingiustificata violazione della libertà di movimento e un ostacolo alla possibilità di ricevere consulenza legale o assistenza. L’agenzia, infine, chiede di mettere al primo posto l’interesse del minore, in conformità con la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e con la Carta dell’Unione europea dei diritti fondamentali. (R.B.)

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    Il vescovo di Sendai: “Grazie al Papa e alle Chiese del mondo per gli aiuti”

    ◊   “Accetteremo con gioia questo grande dono”. Mons. Martin Tetsuo Hiraga, vescovo di Sendai, la diocesi più colpita dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo scorso, ha ringraziato il Papa e la Santa Sede che ha annunciato di devolvere alla popolazione giapponese le offerte che verranno raccolte in occasione della celebrazione della Messa "in coena domini" del Giovedì Santo. L’iniziativa, precisa l’agenzia Fides, viene dal Pontificio Consiglio Cor Unum, dal quale sono stati già raccolti 150mila dollari giunti in Giappone e che saranno utilizzati per le persone in difficoltà, per riparare le chiese e ricostruire le case, ed è stata stabilita per suscitare l’esempio in altre Chiese del mondo. Cresce, comunque, la solidarietà delle Chiese che si sono messe in contatto direttamente con Caritas Giappone: “Il Signore non ci abbandona in questa difficoltà e in questa terribile sofferenza", afferma il presule. "Questi aiuti ci serviranno a rialzarci: abbiamo bisogno di gesti concreti di incoraggiamento”. Intanto a Sendai il Centro di solidarietà della Caritas locale lavora attraverso 80 volontari sparsi sul territorio, che sono accanto agli anziani che hanno avuto le case devastate dallo tsunami: le ripuliranno per farle tornare a essere abitabili, e poi si impegneranno in favore dei senzatetto. (R.B.)

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    Egitto. Omicidio di un sacerdote copto: primi arresti, il movente non è religioso

    ◊   Sarebbero la donna di servizio e tre complici gli autori dell’omicidio di padre Dawood Boutros Boulos, il parroco della chiesa di Abu Seifen, nel governatorato egiziano di Assiut, ucciso nella notte tra il 22 e il 23 febbraio scorsi. Lo riferisce l’agenzia Misna che precisa come il movente, a questo punto, sarebbe di natura economica e non religiosa: i quattro, tre dei quali sono già stati arrestati mentre uno è ancora ricercato, avrebbero agito per impossessarsi dei risparmi del prete. La polizia, inoltre, ha ricostruito la dinamica: dopo il delitto i quattro avrebbero gettato le armi nelle acque del Nilo. Intanto nel Paese, all’indomani della rivoluzione del 25 gennaio che ha rovesciato Mubarak, si moltiplicano gli sforzi per proseguire nella direzione del dialogo tra musulmani e cristiani con incontri e conferenze dappertutto, come l’ultima in ordine cronologico che ha avuto luogo a Kom Ombo e alla quale hanno partecipato tremila persone. (R.B.)

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    Il Patriarcato di Mosca: più coraggio nell'esposizione del crocifisso negli uffici pubblici

    ◊   Continua in Russia la polemica tra la Chiesa ortodossa e le organizzazioni sui diritti umani in merito all’esposizione del crocifisso negli uffici e nei luoghi pubblici. Forte della decisione della Corte europea per i Diritti dell’uomo che recentemente ha sentenziato di non riconoscere alcuna violazione dei diritti umani nell’appendere il crocifisso nelle aule scolastiche, il capo del Dipartimento del Patriarcato di Mosca per le relazioni tra Chiesa e società, Vsevolod Chapli, ha lanciato un appello alla comunità di fedeli affinché siano più coraggiosi nel mostrare la propria fede in un periodo in cui la Russia si sta ancora riprendendo da 70 anni di ateismo di Stato. Gli si oppongono alcuni attivisti, specifica AsiaNews, tra i quali spicca Lev Ponomarev, leader del movimento per i diritti umani, che ha attaccato l’ingerenza del Patriarcato nella società civile e ricorda come in Russia Chiesa e Stato siano separati. Ponomarev, nonostante abbia dovuto ammettere che nessuno può impedire a chi si professa ortodosso di appendere una croce, sostiene però che la discussione contribuirà soltanto a dividere ulteriormente la società. (R.B.)

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    Thailandia: incontro tra il nuovo nunzio e il ministro degli Esteri

    ◊   Le attuali sfide sociali, culturali e religiose che il Paese si trova ad affrontare sono state le tematiche al centro dell’incontro avvenuto, secondo l’Ucan, la settimana scorsa tra il ministro degli Esteri thailandese Kasit Piromya e il nuovo nunzio apostolico inviato nel Paese asiatico, mons. Giovanni d’Aniello. Il presule ha ricordato la Giornata di dialogo e di preghiera di Assisi decisa dal Papa per il prossimo 27 ottobre nel solco del rispetto reciproco fra le religioni e ha espresso l’apprezzamento della Santa Sede per gli sforzi fatti dal governo thailandese in favore del dialogo interreligioso. In Thailandia, infatti, la Chiesa è una realtà piccolissima e la comunità di fedeli ricopre appena lo 0,5 per cento della popolazione a maggioranza buddista Theravada, ma è molto apprezzata e rispettata per le numerose opere caritative. Mons. d’Aniello ha inoltre accennato all’eventuale disponibilità della Santa Sede a sponsorizzare gli studi a Roma di un gruppo di thailandesi e al possibile contributo per gli aiuti ai profughi del Myanmar rifugiati nei campi in Thailandia. Il ministro Kasit, per parte sua, ha rinnovato l’impegno verso il dialogo, la convivenza, l’amore e il rispetto reciproco. (R.B.)

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    Vietnam. Messa per 300 catecumeni: saranno battezzati nella Veglia di Pasqua

    ◊   Continuare a scoprire nella vita quotidiana Gesù, che è “Via, Verità e Vita”, e impegnarsi nell’opera dell’evangelizzazione così da “portare altri verso Cristo affinché abbraccino il cattolicesimo”. Con queste parole, secondo quanto riferito da UcaNews, l’arcivescovo di Ho Chi Minh City, cardinale Jean-Baptiste Pham Minh Man si è rivolto ai 300 catecumeni accolti nella cattedrale di Notre Dame sabato scorso durante la celebrazione officiata con il vescovo ausiliare Peter Nguyên Van Kham e altri sacerdoti. Alla messa erano presenti molti fedeli e le famiglie dei catecumeni che riceveranno i sacramenti del Battesimo e della Confermazione durante la Veglia pasquale del prossimo Sabato Santo. (R.B.)

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    L'arcivescovo di Mombasa: il cristianesimo cresce più nel sud che nel nord del mondo

    ◊   La Chiesa cattolica in Africa può contribuire alla nuova evangelizzazione dell’Europa: è quanto ha affermato mons. Boniface Lele, arcivescovo di Mombasa, in Kenya. Nei giorni scorsi, il presule è intervenuto al Simposio organizzato dalla Società di Maryknoll, un’organizzazione cattolica sacerdotale del Kenya, che ha celebrato il suo centenario di attività. Nel suo discorso, mons. Lele ha sottolineato come il cristianesimo stia crescendo a ritmo elevato nel sud del mondo, rispetto al nord. “A differenza del passato – ha detto il presule – la crescita del cristianesimo non si registra più nell’emisfero settentrionale: ciò testimonia un vero cambiamento”. Allo stesso tempo, secondo l’arcivescovo, le vocazioni religiose sono “in declino” nell’emisfero settentrionale, mentre sono in crescita in quello meridionale, inclusa l’Africa: di qui la possibilità reale che il continente africano offra i propri missionari al servizio della nuova evangelizzazione dell’Europa. Dal canto suo, il nunzio apostolico in Kenya, l’arcivescovo Alain Paul Lebeaupin, ha reso omaggio ai primi missionari e al loro coraggioso operato prima nel Paese e poi in tutta l’Africa. “A differenza del mondo contemporaneo – ha detto – in cui dominano le tecnologie moderne, i primi missionari partivano da zero verso nuove scoperte. Non esisteva nulla di paragonabile a Internet che li guidasse nel loro cammino, ma tutto dipendeva dalla loro fede e dal loro credo”. Tra i vari interventi, anche quello del sacerdote e studioso padre Laurent Maggesa, che ha messo in luce come “l’inculturazione sia un nuovo modo di pensare nella fede cattolica” e come sia necessario ogni sforzo per renderla pienamente inserita nella dottrina della Chiesa. “C’è bisogno della Chiesa locale in Africa per focalizzarsi su questo concetto, in modo da approfondire il significato del messaggio cristiano tra la popolazione locale”, ha aggiunto padre Paul Masson, assistente generale della Società di Maryknoll a New York. Il religioso ha poi concluso con un ringraziamento “al cuore aperto del popolo africano” che rende possibile il lavoro missionario. (I.P.)

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    Soddisfazione della Chiesa portoghese per l'adesione dei giovani alla Gmg di Madrid

    ◊   La Chiesa portoghese è soddisfatta dell’adesione ricevuta finora da parte dei propri giovani alla partecipazione alla Giornata Mondiale della Gioventù in programma a Madrid, in Spagna, dal 16 al 21 agosto. Il direttore del Dipartimento nazionale della Pastorale giovanile, padre Pablo Lima, ha detto al Sir che gli iscritti sono già ottomila, ma con molta probabilità si supererà la quota prevista di 15mila. Secondo il vescovo di Viseu, Ilídio Leandro, l’entusiasmo che c’è nell’aria si deve ricondurre anche alle numerose iniziative intraprese in favore del catechismo e agli incontri di formazione e preparazione promossi: “I nostri giovani sono fervidi, gioviali e molto espansivi nel manifestare la loro allegria", ha dichiarato; "sono fiducioso che la presenza di oltre un milione di giovani in tutto il mondo possa costituire una ventata di freschezza e un segnale positivo per l’affermazione della gioventù cristiana”. (R.B.)

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    Mons. Nichols: il contributo della Chiesa alla costruzione di una cultura della responsabilità sociale

    ◊   La Chiesa può dare un grande contributo alla costruzione di una nuova cultura della responsabilità sociale. Lo ha ribadito mons. Vincent Nichols, presidente della Conferenza dell’Inghilterra e del Galles, in una riflessione svolta nei giorni scorsi ad Oscott College. Nella sua relazione, l’arcivescovo di Westminster ha anticipato i temi al centro dell'incontro promosso oggi a Londra dalla Conferenza episcopale sul contributo dell’azione sociale cattolica ai cambiamenti socio-economici in atto con il titolo: “Costruire una nuova cultura della responsabilità sociale”. La conferenza, a cui sono invitati anche parlamentari, rappresentanti del governo, accademici ed esponenti di altre Chiese e di altre fedi, costituisce un’ulteriore tappa della riflessione avviata dai vescovi lo scorso novembre con la dichiarazione pastorale “Un appello ad un più profondo impegno sociale” sul solco della visita di Benedetto XVI nel Regno Unito. E proprio dai pregnanti discorsi del Santo Padre, in particolare quelli alla società civile nella Westminster Hall a Londra e alla Conferenza episcopale ad Oscott College, è partita l'analisi di mons. Nichols. Il presule si è soffermato in particolare su alcuni concetti chiave nella dottrina sociale cattolica per costruire una nuova cultura della responsabilità sociale, a cominciare dalla visione della persona umana, non riducibile, come vuole la cultura oggi dominante, a mero “homo oeconomicus”, né tanto meno ad un io isolato che vive solo per sé senza alcuna responsabilità verso gli altri. Secondo la visione cristiana – ha sottolineato Nichols – la persona umana è molto di più: per sua natura è un essere relazionale e teso a trascendere se stesso. Alla luce di tutto ciò - ha detto - il bene comune non può essere visto come semplice somma di tanti beni individuali, ma piuttosto come “una moltiplicazione, in cui la presenza di un solo zero dà come risultato zero: se anche una sola persona è esclusa dal bene prodotto dalla società, il bene comune non viene realizzato”. Nella sua relazione, mons. Nichols ha richiamato altre due nozioni chiave della dottrina sociale cattolica: quella della sussidiarietà, che chiama in causa la nozione di partecipazione e quindi il ruolo dei corpi intermedi della società come antidoto al centralismo dello Stato, e quella della solidarietà a cui si oppongono le strutture del peccato, quale è l’egoismo sociale. L’arcivescovo di Westminster si è quindi soffermato sull’importanza della dimensione del dono e della gratuità nei rapporti sociali, due concetti centrali nell’enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas est”. Questa capacità di donarsi - ha sottolineato – interpella ogni giorno ognuno di noi e nella visione cristiana ha il suo fondamento nel dono per eccellenza che è l’Eucaristia. In conclusione, mons. Nichols ha rilevato come gli sforzi per costruire una nuova cultura della responsabilità sociale siano anche un’opera “profondamente spirituale”. Citando le parole del Santo Padre nell’omelia nella cattedrale di Westminster, egli ha ricordato che tutti i cattolici devono essere consapevoli della loro dignità di “popolo sacerdotale”, chiamato a consacrare il mondo a Dio mediante una vita di fede e di santità. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Iraq. Il primo mensile cristiano festeggia 40 anni di vita

    ◊   "Al-Fikr al-masihi" (Pensiero cristiano), il primo e più autorevole periodico cristiano dell’Iraq, festeggia i suoi 40 anni di pubblicazioni. La rivista, affidata oggi ai Padri Domenicani, è stata a lungo l’unica voce cristiana nel panorama mediatico del Paese. La sua storia ha avuto inizio nel 1964 quando un gruppo di giovani sacerdoti usciti dal seminario di San Giovanni a Mossul diede vita ad una brochure diventata poi nel 1971 un mensile di informazione e cultura. Per quattro decenni "Al-Fikr al-masihi", la cui sede è stata trasferita successivamente a Baghdad, ha fornito notizie e analisi autorevoli sui più diversi argomenti di attualità ecclesiale, con un occhio anche alla Chiesa universale, diventando un punto di riferimento per la Chiesa irachena e di tutta la regione. Nel corso degli anni si è arricchita di nuove rubriche e speciali, tenendo vivo l’interesse dei lettori. Tra i suoi ex collaboratori annovera mons. Georges Casmoussa, che prima di essere nominato arcivescovo siro-cattolico di Mossul nel 1999 ne è stato capo redattore aggiunto. Quando la rivista passò ai Padri Domenicani, mons. Casmoussa aveva esortato i confratelli a non perdere di vista gli obiettivi qualificanti che avevano ispirato i fondatori: essere un modello per i media cristiani della regione, essere motore di rinnovamento per la Chiesa in Iraq e una scuola di pensiero per i suoi lettori. (L.Z.)

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    24 Ore nel Mondo



    Giappone: chiusa la falla al reattore 2 di Fukushima, restano altissimi i livelli di radioattività

    ◊   In Giappone, alla centrale nucleare di Fukushima i tecnici della Tepco, la società che gestisce l’impianto, sono riusciti a chiudere la falla del reattore 2 dalla quale fuoriusciva in mare acqua radioattiva. Tuttavia, i livelli di contaminazione nella zona rimangono altissimi: almeno cinque milioni di volte superiori al limite legale. Per il punto della situazione, sentiamo Marco Guerra:

    Dopo il fallimento di diversi tentativi, nella notte è stata finalmente chiusa con un mix di agenti chimici la falla al pozzo di scarico del reattore n.2 di Fukushima, che per diversi giorni ha provocato la fuoriuscita in mare di acqua radioattiva. Ora i tecnici della Tepco, il gestore della centrale nucleare di Fukushima, tenteranno di iniettare azoto nel reattore n.1, il più danneggiato tra i sei della struttura, per neutralizzare possibili esplosioni a causa dell'accumulo di idrogeno. Fino a ieri, però, si è continuato a scaricare volontariamente acqua a basso tasso di radioattività nel Pacifico, suscitando i timori e il disappunto dei Paesi vicini, in particolare della Corea del Sud, che hanno chiesto lumi sulla inusuale procedura della Tepco: essa aveva lo scopo di accelerare i lavori di messa in sicurezza con il riavvio degli impianti di raffreddamento. A questo punto, l'Agenzia giapponese per la sicurezza nucleare (Nisa) si è scusata con Seul, assicurando che Tokyo intende spiegar ''pienamente'' la situazione a tutti i Paesi interessati anche indirettamente dalla vicenda. Farsi perdonare dalle famiglie evacuate è invece l’obiettivo della Tepco, che verserà a titolo di indennizzo iniziale un milione di yen (circa 8.300 euro) a ogni nucleo sgomberato nei dintorni dell’impianto. La misura è rivolta a circa 80 mila persone costrette ad abbandonare le proprie case nel raggio di 20 km dalla centrale.

    Yemen, crisi politica
    Non si arrestano le proteste antigovernative nello Yemen. Un manifestante è stato ucciso e circa 30 sono rimasti feriti in uno scontro a fuoco con la polizia avvenuto ieri sera a Taez, a sud di Sanaa. Nella stessa località, questa mattina decine di migliaia di persone sono scese in piazza per dirigersi verso la sede del governo. Intanto, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in un colloquio telefonico con il presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, ha espresso forte preoccupazione'' per la repressione delle rivolte. Gli Stati Uniti hanno rinnovato l’invito a Saleh, al potere da 32 anni, a risolvere l'impasse politico con l'opposizione avviando il processo di transizione “più velocemente possibile”.

    Siria, proseguono proteste antigovernative
    Anche in Siria proseguono le manifestazioni di protesta iniziate ormai da tre settimane. Ieri, due poliziotti sono stati uccisi nella periferia di Damasco. Intanto, le autorità siriane hanno rilasciato almeno otto attivisti dell'opposizione arrestati il mese scorso, fra cui due curdi che avevano preso parte a un sit-in indetto per protestare contro la condizione della comunità curda in Siria e reclamare più diritti. Le rivolte di queste ultime settimane sono al centro dei colloqui in programma oggi a Damasco tra il presidente siriano, Bashar al-Assad, e il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, il quale nei giorni scorsi ha assicurato di sostenere le richieste di maggiore democrazia avanzate dagli attivisti.

    Egitto: boom di nuovi partiti in vista delle elezioni di settembre
    Un clima di fervore e impegno caratterizza la scena politica egiziana: nell’ultima settimana numerosi movimenti e associazioni hanno annunciato la creazione di nuovi partiti politici che parteciperanno alle elezioni parlamentari di settembre. Sul fronte laico e liberale, l’attenzione è concentrata sul partito degli "Egiziani liberi" dell’imprenditore Naguib Sawiris, che ha precisato che non guiderà personalmente il movimento le cui parole d’ordine sono “giustizia sociale, rispetto della legge, libera economia e ricostruzione del paese”. Smentendo il timore che il partito rifletta i principi cristiani del fondatore, Sawiris ha precisato che esso non fa alcuna differenza tra musulmani e copti e che la maggior parte dei suoi iscritti sono musulmani. Il partito inoltre non metterà in discussione l’articolo 2 della Costituzione che stabilisce che l’Islam è religione di stato. In base alla nuova legge sui partiti, un movimento deve ottenere almeno cinquemila iscrizioni prima di poter presentare una domanda di riconoscimento.

    Darfur: uomini armati uccidono funzionario dell’Unamid
    Una milizia di uomini armati ha ucciso un funzionario dell'Unamid (missione africana delle Nazioni Unite) nella regione sudanese del Darfur: è accaduto a seguito di un agguato teso ad un convoglio delle Nazioni Unite. Nel corso dell'attacco – spiegano fonti Onu – c’è stato un conflitto tra gli attentatori e il convoglio, durante il quale uno dei ribelli è rimasto ucciso. I miliziani hanno poi sequestrato un veicolo dell'Unamid e rapito tre funzionari della missione delle Nazioni Unite. Due di loro sono stati successivamente rilasciati, ma il terzo è stato ritrovato morto nei pressi di Kutum, nel Nord Darfur.

    Afghanistan, violenze
    Almeno sette insorti sono morti nell’attacco all'aeroporto di Jalalabad, capoluogo della provincia orientale afghana di Nangahar. Fra le forze di sicurezza afghane non ci sono state perdite ne feriti. L'attacco è stato rivendicato da Zabihullah Mujahid, portavoce dei talebani, che ha ammesso la perdita di tre uomini, anche se ha assicurato che lo scontro ha causato ''pesanti perdite'' alle forze straniere.

    Pakistan: esplode un ordigno, muoiono 4 bambini
    Ancora violenza in Pakistan. Un ordigno esplosivo ha ucciso quattro bambini tra i 7 e i 9 anni, e ha ferito altre tre persone: è accaduto alla periferia di Kohat, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa. Inoltre, nel sudovest del Paese, miliziani a bordo di motociclette hanno attaccato due autocisterne piene di carburante destinato alle truppe della Nato in Afghanistan. Gran parte delle forniture per il contingente multinazionale che opera oltre frontiera passa proprio dal Pakistan, anche se i continui attacchi stanno inducendo i governi coinvolti a seguire percorsi alternativi, soprattutto attraverso le Repubbliche ex sovietiche dall'Asia centrale. La provincia meridionale del Pakistan non è peraltro esente da rischi, piagata com’è dalle lotte fra estremisti sciti e sunniti e dalla sollevazione dei ribelli in cerca di autonomia politica ed economica.

    Ecuador: governo espelle ambasciatore statunitense
    Il governo del presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ha dichiarato “persona non gradita” l’ambasciatrice statunitense, Heather Hodges, esortandola a lasciare il paese “nel minor tempo possibile”. Il provvedimento è stato preso in seguito alla diffusione di alcuni cablo di "Wikileaks" in cui l’ambasciatrice Hodges invia a Washington rapporti in cui si avanza il sospetto che il presidente Correa fosse a conoscenza di casi di corruzione nei vertici della polizia ecuadoriana. La Casa Bianca, si legge in una nota, “esaminerà le sue opzioni per rispondere a questa misura”. L’Ecuador diventa così il terzo Paese latinoamericano ad aver espulso l’ambasciatore statunitense. La Bolivia lo fece alla fine del 2008 e per il Venezuela l’incarico è vacante dal luglio 2010, quando Caracas ha bocciato il candidato proposto da Washington.

    Ciad: opposizione boicotta prossime elezioni presidenziali
    I candidati alle prossime elezioni presidenziali del Ciad, previste per il 25 aprile, hanno inaugurato la campagna elettorale promettendo un’era di cambiamento e sviluppo per il Paese. Tre leader di opposizione hanno lanciato un appello invitando gli elettori a disertare le urne in quanto “da esse non uscirà l’alternativa e il cambiamento”. Ad alimentare critiche e perplessità, nei confronti del processo elettorale nel Paese, sono i risultati delle ultime elezioni legislative di febbraio, vinte dal "Movimento patriottico di salvezza" (Mps), più forte politicamente rispetto ai concorrenti e dotato di ingenti risorse. Anche le precedenti elezioni presidenziali, nel 2006, erano state boicottate dall’opposizione.

    Uganda
    La gestione delle acque del Nilo è il tema centrale della visita di una delegazione di politici egiziani, giunta in Uganda per incontrare il presidente, Yoweri Museveni. Un trattato firmato a febbraio da sei Paesi africani mette in discussione la tradizionale egemonia de Il Cairo nell’utilizzo delle acque del fiume.

    Zimbabwe
    L’alto livello di spese correnti, legate soprattutto al pagamento degli stipendi dei dipendenti pubblici, rischia di compromettere programmi sociali e investimenti nelle infrastrutture: lo hanno sostenuto gli esperti del Fondo monetario internazionale (Fmi), dopo alcuni incontri con i dirigenti politici di Harare. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Gabriele Papini)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 96

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