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Sommario del 04/04/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa: non cessare di portare Cristo a quanti ancora non lo conoscono
  • Udienze e nomine
  • Il cardinale Sandri: non la forza ma il dialogo risolve le crisi. Appello a sostenere i cristiani in Terra Santa
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Costa d'Avorio: offensiva finale contro Gbagbo. L'Onu: indagini sui massacri
  • Libia: diplomazia al lavoro per disinnescare la crisi
  • Emergenza immigrazione: Berlusconi a Tunisi per fermare l'esodo
  • Attentati kamikaze in Pakistan: nel mirino la minoranza sufi
  • Giappone: travasata acqua radioattiva in mare
  • Chiesa e Società

  • Elezioni rinviate in Nigeria. Il cardinale Okogie invita gli elettori alla calma ma deplora le autorità
  • Vescovi africani e tedeschi: globalizzazione della solidarietà per fermare l'emigrazione
  • Presidenziali in Perù. I vescovi ai candidati: “maggiore rispetto dei diritti umani”
  • India: la comunità cristiana chiede la revoca dell’espulsione di padre Jim Borst
  • Malaysia. Il governo: sì alle Bibbie in tutte le lingue, ma per i cristiani restano dei punti controversi
  • L'Aiea: dopo Fukushima, seria riflessione sulla sicurezza nucleare
  • Mali: per la prima volta una donna alla guida del governo
  • “La donna in Iran”: incontro promosso dall’Associazione culturale iraniana con Amnesty e Unicef
  • Taiwan: la comunità cattolica accoglie le reliquie di don Bosco
  • Convegno su giovani e identità nazionale nel 150.mo dell’Unità d’Italia
  • Convegno e Mostra a Roma per i 40 anni dell’Istituto Francescano di spiritualità
  • Ambiente: nasce una nuova riserva dell'Unesco, battezzata “Amazzonia d'Europa”
  • 24 Ore nel Mondo

  • Obama si ricandida alle presidenziali del 2012: l'annuncio attraverso i social network
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa: non cessare di portare Cristo a quanti ancora non lo conoscono

    ◊   “Perché i missionari, con la proclamazione del Vangelo e la testimonianza di vita sappiano portare Cristo a quanti ancora non lo conoscono”: è l’intenzione missionaria di preghiera di Benedetto XVI per il mese d’aprile. In molteplici occasioni, il Papa ha ricordato ai fedeli che tutti i Battezzati sono chiamati ad annunciare il Vangelo, specie in un mondo nel quale la maggioranza delle persone non ha ancora incontrato Cristo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “La missione riguarda tutti i cristiani”: Benedetto XVI non si stanca di ripeterlo ai fedeli, ricordando come la Chiesa sia “per sua natura” missionaria. A duemila anni dalla nascita di Cristo, ancora gran parte dell’umanità attende l’annuncio della Buona Novella. Dunque, è il suo monito, “resta ancora urgente e necessaria la missione di evangelizzare l’umanità”:

    “La missione è un dovere, cui bisogna rispondere: ‘Guai a me se non evangelizzo’ (1 Cor 9, 16). L’apostolo Paolo, a cui la Chiesa dedica uno speciale anno nel ricordo dei duemila anni dalla nascita, ha compreso sulla via di Damasco e poi sperimentato nel corso del successivo ministero che la redenzione e la missione sono atti d’amore”. (Discorso alle Pontificie Opere Missionarie, 17 maggio 2008)

    E ribadisce, richiamando l’Apostolo delle Genti, che Vangelo ed evangelizzatore si identificano. “Quello dell’apostolo – evidenzia – non è e non può essere un titolo onorifico. Esso impegna concretamente e anche drammaticamente tutta l’esistenza del soggetto interessato”. E ribadisce che il missionario deve essere chiamato dal Signore prima di annunciare il Suo Vangelo:

    “In definitiva, è il Signore che costituisce nell'apostolato, non la propria presunzione. L’apostolo non si fa da sé, ma tale è fatto dal Signore; quindi l’apostolo ha bisogno di rapportarsi costantemente al Signore. Non per nulla Paolo dice di essere ‘apostolo per vocazione’, cioè ‘non da parte di uomini né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre’”. (Udienza generale, 10 settembre 2008)

    Nell’80.mo di istituzione della Giornata Missionaria Mondiale, il Papa rammenta dunque che per essere un autentico annunciatore del Vangelo, bisogna lasciarsi guidare dall’amore di Dio:

    “In effetti, la missione, se non è animata dall’amore, si riduce ad attività filantropica e sociale. Per i cristiani, invece, valgono le parole dell’apostolo Paolo: “L’amore del Cristo ci spinge”. (…) Ogni battezzato, come tralcio unito alla vite, può così cooperare alla missione di Gesù, che si riassume in questo: recare ad ogni persona la buona notizia che 'Dio è amore' e, proprio per questo, vuole salvare il mondo. (Angelus, 22 ottobre 2006)

    Siamo tutti missionari, soggiunge il Papa, ricordando che “la missione parte sempre da un cuore trasformato dall’amore di Dio” ed è realizzabile in qualsiasi luogo o circostanza della vita:

    “La missione è dunque un cantiere nel quale c’è posto per tutti: per chi si impegna a realizzare nella propria famiglia il Regno di Dio; per chi vive con spirito cristiano il lavoro professionale; per chi si consacra totalmente al Signore; per chi segue Gesù Buon Pastore nel ministero ordinato al Popolo di Dio; per chi, in modo specifico, parte per annunciare Cristo a quanti ancora non lo conoscono”. (Angelus, 22 ottobre 2006)

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    Udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia; mons. Franz-Josef Overbeck, vescovo di Essen (Repubblica Federale di Germania); mons. Carlo Maria Viganò, arcivescovo tit. di Ulpiana, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Inoltre ha ricevuto alcuni presuli indiani siro-malabaresi in visita “ad Limina”.

    Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Maitland-Newcastle (Australia), presentata da mons. Michael John Malone, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede il rev. William Wright, del clero dell’arcidiocesi di Sydney, parroco della "All Saints’ Parish", Liverpool, Sydney. Il rev. William Wright è nato il 26 ottobre 1952 a Washington, DC (USA). È stato ordinato sacerdote il 20 agosto 1977 nella cattedrale di Sydney.

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    Il cardinale Sandri: non la forza ma il dialogo risolve le crisi. Appello a sostenere i cristiani in Terra Santa

    ◊   La Terra Santa “attende la fraternità della Chiesa universale e desidera ricambiarla nella condivisione dell’esperienza di grazia e di dolore che segna il suo cammino”: è quanto scrive il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nella Lettera per la Colletta del Venerdì Santo. Su questo messaggio ascoltiamo il porporato al microfono di Romilda Ferrauto:

    R. – E’ un messaggio innanzitutto di sensibilizzazione, perché tutti gli avvenimenti che stanno succedendo in Medio Oriente hanno anche un influsso decisivo o delle conseguenze per i nostri cristiani in Terra Santa. Noi pensiamo, in primo luogo, per la Terra Santa, a questi spazi dove Gesù ha vissuto, dove Gesù è passato e, quindi, la colletta è anche un sostegno per questi luoghi santi che, strettamente parlando, si trovano in Israele, Palestina e Giordania. Evidentemente, però, il Libano, l’Egitto, dove anche Gesù è stato, il Sinai, Abramo che lascia la Mesopotamia, tutto questo ambiente biblico dell’Antico Testamento e, soprattutto, ovviamente, di Gesù, del Nuovo Testamento, viene in questi giorni, con tutti questi avvenimenti, toccato in una maniera molto speciale e fa ancora vedere una situazione di insicurezza per i nostri cristiani, che sono le pietre vive. Noi difendiamo i luoghi santi, che sono luoghi fisici, dove Gesù è passato, dove è stata la sua persona - come Verbo incarnato ha vissuto tra di noi - e c’è però tutta la questione delle pietre vive, che sono i cristiani e che vivono lì. Vogliamo sensibilizzare i nostri fratelli cristiani, perché sostengano la Terra Santa, sostengano i luoghi santi e sostengano i nostri fratelli. Noi siamo tanto contenti nel sapere che sono aumentati i pellegrinaggi, che sono aumentate le presenze di cristiani, che vanno alla ricerca di Gesù, proprio nella sua terra, dove lui ha vissuto: crescono, e questi pellegrinaggi sono portatori di vita spirituale per quelli che li fanno, ma anche di sostegno per questi cristiani che vivono lì e per i luoghi santi che vengono da loro visitati. Vogliamo veramente che nella Chiesa non si spenga questo lume, che viene dalla terra di Gesù, e non vogliamo che sia soltanto un gesto, che speriamo generoso e concreto, di aiuto per la Terra Santa: vogliamo anche che cresca in noi cattolici occidentali, e in tutti i cristiani del mondo, una specie di spiritualità della Terra Santa, che è stata evocata anche dal Santo Padre. Noi come cristiani non possiamo vivere se non inseriti a Betlemme, a Nazareth, a Gerusalemme, a Betania, a Emmaus, cioè in tutti quei luoghi, dove non solo fisicamente, ma spiritualmente, la nostra spiritualità deve rispecchiare anche questa realtà di Gesù che cresce, che predica, che fa discepoli, che alla fine poi muore e risuscita a Gerusalemme.

    D. – Il mondo intero in questi giorni ha lo sguardo rivolto verso questa regione del mondo, dove succede di tutto in questo momento. Con la sua Congregazione, come guarda questi avvenimenti per i cristiani?

    R. – Con molta preoccupazione per i cristiani, perché già sappiamo cosa è successo in Iraq e come la guerra, come poi la crescita del terrorismo, la crescita di posizioni fanatiche, abbiano portato a episodi di violenza, che hanno insanguinato le famiglie, e che in alcuni casi hanno preso di mira i cristiani con questi atti ignobili. Pensiamo solo all'attentato contro la cattedrale di Baghdad dei siro-cattolici, dove sono stati uccisi decine di cristiani, tra cui due giovani sacerdoti. E poi pensiamo che la pace vera e propria, che ha portato Gesù e che tutti noi invochiamo, debba essere instaurata in questa terra non attraverso la violenza, ma attraverso la democrazia, attraverso la partecipazione di tutti - cristiani, musulmani, ebrei - come succede già in alcuni Paesi, alla vita pubblica, attraverso la dignità delle persone, la dignità della donna, l’educazione, il pane di ogni giorno: che tutti possano avere questa vita degna che tutti noi auguriamo e vogliamo per tutti, in Oriente e Occidente.

    D. – Vuole lanciare un appello dai microfoni della Radio Vaticana?

    R. – Noi facciamo un appello a tutti quelli che sono responsabili, responsabili religiosi o politici, a trovare la via dell’intesa, del dialogo, della comunione. Il futuro del mondo non si costruisce con la forza, ma si costruisce con la comprensione e con il dialogo, nel rispetto della giustizia e dei diritti di tutti: adesso, per esempio, c’è il contesto del Maghreb, dove stiamo assistendo a questa apocalisse biblica, all’esodo di tanta gente, che muore nel deserto. Io sono stato in Eritrea, questa nazione straordinariamente bella, che si trova a dover offrire come futuro ai suoi figli l’andarsene via e morire o nel deserto o sulle spiagge del Mediterraneo. Gente che merita tutta la nostra attenzione. Cosa facciamo per loro? Cosa possiamo fare se non essere vicini a loro, sì con la preghiera, ma anche con il nostro sostegno e dicendo: “Guardate che noi pensiamo a voi e vogliamo veramente che possiate stare nella vostra patria liberi, godendo dei vostri diritti, soprattutto ovviamente della libertà religiosa, ma di tutti gli altri diritti che fanno la dignità della persona umana”. Volevo che questa Settimana Santa che ci mette davanti alle sofferenze di Gesù, alla sua morte e resurrezione, sia anche per tutti noi un riflettere sulle sofferenze concrete di questa croce di Cristo, che continua ancora ad esistere nel mondo, in tutto il mondo, attraverso le sofferenze, le malattie, le povertà, le esclusioni e che si manifesta purtroppo col grande dolore di questi Paesi, dove tanta sofferenza dei nostri fratelli si offre alla conoscenza, all’informazione del mondo intero. (ap)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'ho ricordato con affetto: all'Angelus Benedetto XVI rivolge il suo pensiero a Giovanni Paolo II nel sesto anniversario della morte. Nell'informazione vaticana, l'intervento del cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, sul tema "Sensus fidei e beatificazioni. Il caso di Giovanni Paolo II".

    Un altro Cinquecento: in prima pagina, Lucetta Scaraffia su Lorenzo Lotto alle Scuderie del Quirinale.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, l'intensa attività diplomatica per uscire dalla crisi libica.

    Laicità nella città terrena: in cultura, anticipazione della relazione del vescovo Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, alla presentazione del volume - all'Università Cattolica del Sacro Cuore -"Plura sacra et mundi alia", che raccoglie gli studi classici e cristiani di Luigi Franco Pizzolato (nel suo settantesimo compleanno).

    In cammino verso la lunga notte luminosa: Fabrizio Bisconti sulla scuola del catecumenato nei primi secoli del cristianesimo.

    Alla ricerca del volto di Cristo: a proposito della notizia pubblicata, ieri, dal "Mail Online", del ritrovamento di quella che potrebbe essere la più antica raffigurazione di Gesù (in una lamina del primo secolo).

    Carlo Pedretti sul libro, a cura di Giampaolo Francesconi, "Lo statuto di Lamporecchio": vestigia e memorie della Toscana leonardesca tra medioevo e rinascimento.

    Cloni a termine: Gaetano Vallini recensisce il film di Mark Romanek "Non lasciarmi".

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    Oggi in Primo Piano



    Costa d'Avorio: offensiva finale contro Gbagbo. L'Onu: indagini sui massacri

    ◊   Resta convulsa la situazione in Costa d’Avorio. Le forze di Outtara stanno preparando l'offensiva finale ad Abidjan contro le truppe del presidente uscente Laurent Gbagbo. Intanto le Nazioni Unite hanno sollecitato un'indagine sul massacro avvenuto a Duekoue, con almeno 170 morti, mentre crescono le polemiche intorno alla presenza francese nel Paese. La missione di Parigi – secondo il portavoce del presidente Gbagbo – "si comporta come un esercito di occupazione". Salvatore Sabatino ne ha parlato con Massimo Nava, editorialista per il Corriere della Sera e profondo conoscitore della politica estera di Parigi:

    R. - Va assolutamente sottolineato che la Francia agisce sotto mandato Onu, quindi non è assolutamente una forza di occupazione: ha messo a diposizione i suoi soldati da un lato per proteggere i moltissimi civili francesi che operano da anni in Costa d’Avorio, che è uno dei principali partner commerciali della Francia, ma dall’altra, soprattutto, per dare legittimità ed esecuzione al processo democratico avvenuto con le elezioni del novembre scorso e la vittoria internazionalmente riconosciuta, sotto osservatori internazionali, di Ouattara, che a questo punto non possiamo più chiamare presidente. Ho letto da alcune dichiarazioni che i seguaci di Gbagbo accusano addirittura la Francia di essere all’origine di un possibile nuovo Rwanda: mi pare, francamente, che sia proprio il contrario.

    D. – Alcuni osservatori dicono anche che l’Africa è l’argomento, l’area su cui si gioca la rielezione di Sarkozy…

    R. – Da un lato, come sempre avviene in queste cose, credo che l’elemento elettorale e l’elemento di opinione pubblica, rispetto alle ambizioni di un leader, siano nella logica delle cose. Da questo a pensare, però, che ci sia un intervento militare in Libia o un coinvolgimento diretto in Costa d’Avorio a soli fini elettorali, mi sembra francamente un po’ troppo. E’ chiaro che la Francia, con Sarkozy, ha rivisto da tempo, non da oggi, la propria politica estera nei confronti del continente africano, anche, ovviamente, con strategie e interessi di ordine economico e commerciale, ma anche incoraggiando processi di democratizzazione e processi di ricambio delle classi dirigenti. (bf)

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    Libia: diplomazia al lavoro per disinnescare la crisi

    ◊   Gli insorti libici fanno sapere di aver respinto le forze di Gheddafi fuori dalla città di Brega, il canale satellitare Al Jazira sostiene che forze fedeli a Gheddafi hanno bombardato il campo petrolifero di Misla, nell'est della Libia. La Nato fa sapere che durante la giornata di ieri sono stati 58 gli “attacchi” compiuti in Libia. Sul piano diplomatico, il ministro degli Esteri italiano Frattini ha incontrato il responsabile per le questioni estere del Comitato di transizione dei ribelli e Gheddafi chiede la collaborazione di Grecia, Malta e Turchia. Inoltre contatti sono stati stabiliti tra Tripoli e Bengasi. Il servizio di Fausta Speranza:

    L’Italia riconosce il gruppo di Bengasi come unico interlocutore e non esclude, seppure come “estrema ratio”, la possibilità di armare i ribelli libici. E’ quanto afferma Frattini e c’è da dire che il portavoce dell'Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza puntualizza che per Bruxelles la posizione resta quella espressa nelle conclusioni del Consiglio europeo dell'11 marzo scorso, secondo il quale il Cnt è ''un interlocutore''. Da parte sua, il rappresentante dei ribelli assicura che non ci sarà spazio per Al Qaeda, che qualunque azione che porti ad una divisione della Libia è inaccettabile così come è inaccettabile – aggiunge – qualsiasi iniziativa politica che non porti alla fine del regime di Gheddafi". Sappiamo che Bengasi ha anche respinto l'idea di una transizione condotta dal figlio del colonnello, Saif. Ma mentre l’inviato diceva a Roma che l’Italia è importante per la Libia, da Bengasi il capo dei ribelli in modo più esplicito ringraziava l’Italia per “il supporto alla rivoluzione”. E c’è poi il piano diplomatico internazionale: sempre nelle ultime ore l’emissario di Gheddafi è stato in Grecia e a Malta, potenziali mediatori con l'Unione europea, incassando nel primo caso una timida disponibilità, nel secondo caso la richiesta del cessate il fuoco come pre-condizione di ogni negoziato. Inoltre il rais punta molto al ruolo della Turchia, pedina importante nella Nato. Ankara attende tra poco l’inviato del rais ma fa sapere di aspettare anche l’inviato di Bengasi. Dunque possiamo pensare che dalle armi si passi alla mediazione e a negoziati? Ne abbiamo parlato con Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali e studi strategici all’Università di Firenze:

    R. – Non credo che siamo passati al piano diplomatico, anche perché il piano diplomatico e quello militare si intersecano e sono in sostanza le due facce di una medesima medaglia, che è la medaglia della guerra e della pace per così dire, ovvero della politica delle due forme, che la politica sempre assume e che non necessariamente sono antagoniste. È certo che ci sia un tentativo finalmente per sforzarsi di risolvere questa situazione che, a mio avviso, non è risolvibile sul piano militare, a meno di clamorose novità: ad esempio, l’eliminazione fisica di Gheddafi, che poi è quello che almeno alcuni partner nella coalizione, pur non dicendolo, hanno tentato di fare. Gheddafi gode dell’appoggio di una parte sostanziosa – l’abbiamo visto - della sua popolazione, della componente tribale, e quindi evidentemente non può essere eliminato con un semplice intervento mirato “dall’alto”, quindi con il potere aereo.

    D. – Quale può essere il ruolo di Paesi terzi?

    R. – Difficile dirlo. In questo momento, evidentemente, è benvenuto il ruolo di chiunque riesca a porre fine a questa che, a me francamente, fin dall’inizio, è sempre apparsa una rischiosissima, affrettata, mal congegnata e pasticciata avventura. Sarebbe importante il ruolo di organismi come la Lega Araba, la stessa Unione Europea. Devo dire che l’una mi sembra aver perseguito piuttosto astutamente i propri interessi e l’altra mi è sembrata drammaticamente assente. L’Organizzazione delle Nazioni Unite evidentemente è intervenuta con la risoluzione 1973, ma come sempre in questi casi quella risoluzione si presta ad interpretazioni e si è prestata ad interpretazioni diverse, estensive, persino improprie. La situazione non mi sembra semplice. I contatti sono molteplici anche in queste ore. Spero ne possa venir fuori qualche cosa. Mi pare evidente che, in questo momento, però, il negoziato sia indispensabile anche perché il proseguimento della guerra sarebbe disastroso, innanzitutto per la coalizione dei cosiddetti volenterosi, in termini di costi sia umani che economici.

    D. – Torniamo a Tripoli e Bengasi. Gli emissari tra Tripoli e Bengasi sono davvero frutto di un’intenzione di negoziato oppure potrebbero essere anche il modo per prendere tempo in strategie, arretramenti più o meno tattici da ambo le parti?

    R. – Credo che in questo momento, nel momento in cui Gheddafi di fatto non è destinato alla sconfitta militare, ma ha anzi delle buone prospettive di successo comunque di mantenere il controllo perlomeno della Tripolitania - per non parlare poi del problema del Fezan - in questo caso, penso che il negoziato avrebbe poche prospettive di successo. Come in ogni negoziato le parti dovrebbero cercare di trovare una linea intermedia, un punto d’accordo che possa soddisfare entrambe. Se questo punto d’accordo esiste davvero è da verificare sul campo, perché dall’altro lato Gheddafi potrebbe anche nutrire la speranza di riacquisire per buona parte del territorio il controllo e quindi di puntare anche lui sulla carta militare, ma naturalmente quest’uomo ha già dimostrato nella propria vita, a più riprese, di essere molto attento alle ragioni della forza, ahinoi, di essere disponibile anche a fare delle concessioni rilevanti, pur di non perdere il potere e naturalmente pur di salvare la propria vita.

    D. – Nei giorni scorsi abbiamo visto l’inviato Onu a Bengasi. Oggi, il rappresentante delle questioni estere del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi a Roma ha incontrato il ministro degli Esteri italiano, Frattini. Ma la comunità internazionale che ha da dire in questo momento ai ribelli?

    R. – Il problema è che qui si tratta di capire chi siano i ribelli davvero, che cosa vogliano, quali siano le componenti effettivamente rilevanti dentro quel Consiglio Transitorio. Che cosa questo possa portare davvero in termini negoziali, in termini di risultati, dipenderà evidentemente dall’esito del confronto delle forze, del confronto sul campo, del confronto militare e anche però del confronto diplomatico tra le parti in conflitto. In questo momento, la situazione mi sembra ambigua e molto confusa, quindi, in una parola, pericolosa. (ap)

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    Emergenza immigrazione: Berlusconi a Tunisi per fermare l'esodo

    ◊   Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, domani riferirà in aula alle ore 10, sulle misure adottate in relazione all'eccezionale flusso di immigrazione verso Lampedusa. Intanto il premier Berlusconi è a Tunisi per incontrare il presidente della Repubblica ad interim Fouad Mebazaa e poi il primo ministro Beji Kaid Essebsi. L’obiettivo è fermare la partenza di barconi proprio dalle coste della Tunisia. Sentiamo Alessandro Guarasci:

    Sono 1.200 al momento gli immigrati ospiti del centro di prima accoglienza a Lampedusa. Oggi partiranno altri 700 migranti a bordo della nave "Catania". Nella tendopoli di Manduria in Puglia però la situazione resta tesa. Un gruppo di immigrati ha cominciato da stamattina lo sciopero della fame. Loro obiettivo è avere il certificato di protezione internazionale che consente di muoversi liberamente sul territorio nazionale. Intanto l’Unhrc lancia un appello affinché siano cercati gli immigrati “dispersi" nelle acque del Mediterraneo. Sono infatti 70 i corpi recuperati al largo di Tripoli, ma il bilancio di questi viaggi della speranza potrebbe essere peggiore. Padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli:

    R. - Quelle persone sono sulla coscienza di tutti quanti noi. Non fa comodo che si sappia che le persone muoiono nelle traversate. Sulle nostre coscienze ci sono molti cadaveri di cui non abbiamo notizie. Una volta si ragionava in termini diversi, forse il livello culturale e umano era diverso, si salvavano prima le persone e poi si discuteva su come aiutarle o in quale categoria di protezione potessero rientrare. Oggi, nell’indifferenza totale le persone muoiono.

    D. - Padre La Manna, ma per chi è arrivato in Italia la soluzione qual è? Grandi tendopoli o piccoli centri di accoglienza?

    R. - E’ una situazione ridicola, perché se anche fossero 20 mila, 30 mila persone, non è possibile reagire così come si è reagito. Sicuramente siamo contrari alla tendopoli e in favore di piccoli centri che consentono di lavorare progettualmente e di accogliere dignitosamente le persone. Le tendopoli sarei curioso di sapere quanto ci stanno costando, e quanto sta costando la non accoglienza di queste persone che poi dai centri dalle tendopoli scappano.

    D. - C’è chi dice che i tunisini non possono essere in qualche modo considerati dei rifugiati, perché là non c’è una guerra, lei è d’accordo?

    R. - Non c’è da perdere di vista che chiunque rimane persona e va riconosciuta nella sua dignità di persona: occorre riconosce a queste persone il diritto di avere la possibilità di vivere in libertà. La questione non è in quale categoria di persone possiamo far rientrare i tunisini, ma la prima preoccupazione è innanzitutto salvare le vite, secondo trattarle dignitosamente, cosa che non è stata fatta a Lampedusa. Quando si offende la persona nella sua dignità, poi, non ci si può meravigliare delle reazioni anche violente di queste persone o di reazioni che portano a scappare dai centri. (ma)

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    Attentati kamikaze in Pakistan: nel mirino la minoranza sufi

    ◊   In Pakistan almeno 7 persone sono morte in seguito ad un attacco suicida nel nord ovest del Paese. L’azione terroristica, non ancora rivendicata, è stata compiuta vicino ad una fermata degli autobus. E’ stato invece rivendicato dai talebani il duplice attentato avvenuto ieri davanti ad un tempio sufi e costato la vita a 50 persone. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Al momento dell’attacco, molti pellegrini si erano appena radunati davanti alla tomba di Ahmed Sultan, un santo sufi del 13.mo secolo, noto con il nome di Sakhi Sarwar. Il duplice attentato è stato rivendicato dai talebani, che considerano i sufi dei musulmani eretici. L’attacco è avvenuto nel distretto centro-orientale di Dera Ghazi Khan, non lontano dal confine con l’Afghanistan, dove sono attivi diversi gruppi di talebani. Nell’arco di tre anni e mezzo sono stati compiuti in tutto il Pakistan 450 attentati kamikaze costati la vita ad almeno 4.200 persone. Tra gli obiettivi di queste azioni perpetrate da gruppi fondamentalisti di matrice islamica ci sono soprattutto fedeli e rappresentanti di minoranze religiose. Anche il ministro per le minoranze religiose, il cattolico Shahbaz Bhatti, è stato vittima dell’estremismo islamico. Prima di essere ucciso, lo scorso 3 marzo, aveva più volte chiesto la modifica della legge sulla blasfemia che prevede l’ergastolo in caso di dissacrazione del Corano e la pena di morte per offese a Maometto. Ad un mese dal brutale omicidio del ministro cattolico, è stata letta ieri, in tutte le parrocchie del Paese, la lettera pastorale dei vescovi pakistani. Nonostante crescenti timori, incertezza e insicurezza, i cristiani del Pakistan vivono la Quaresima nella fede e nella preghiera. La festa della Risurrezione – si legge nella lettera – dà la forza per “una coraggiosa testimonianza cristiana”.

    Sul duplice attentato davanti al tempio sufi si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco il direttore di AsiaNews, padre Bernardo Cervellera:

    R. - L’attentato è stato rivendicato praticamente dai talebani dicendo che i sufi sono una forma degradata dell’islam e quindi vanno eliminati. I sufi sono una corrente mistica all’interno dell’Islam, loro cercano il contatto mistico con il divino e questa cosa è “orripilante” per un musulmano sunnita. Ci sono stati già altri attacchi contro santuari sufi in passato, e ci sono anche attacchi contro diverse altre forme dell’Islam, per esempio gli Ahmadi o gli sciiti. In più i talebani stanno cercando di creare una situazione di guerra santa in tutto il Pakistan e quindi se la prendono con questi sufi e con tutti coloro che considerano eretici.

    D. - Gli estremisti islamici se la prendono contro le minoranze religiose. Ieri, ad un mese dall’omicidio del Ministro cattolico per le minoranze, Shahbaz Bhatti, è stata letta proprio una lettera dei vescovi del Pakistan. Risuona questo messaggio di Bhatti in difesa delle minoranze anche in tempo di Quaresima…

    R. - Certo, questa uccisione di tanta gente innocente che si è recata al santuario nel Punjab a pregare, nel santuario sufi, mostra la lungimiranza dei vescovi cattolici e della comunità cattolica in Pakistan. Ricordano che questo islam fondamentalista e questo lasciare spazio al fondamentalismo attraverso la legge sulla blasfemia o altre leggi, va contro non soltanto i cattolici o i cristiani, ma distrugge tutta la società.

    D. - Il ministro Bhatti si era proprio battuto per una modifica della legge sulla blasfemia. Oggi a che punto è questo percorso?

    R. - Purtroppo tutte le proposte di emendamento alla legge sulla blasfemia sono state tolte perché il governo, che pure è salito al potere promettendo che avrebbe cambiato o eliminato la legge, davanti alla pressione dei talebani e dei fondamentalisti ha invece preferito cancellare tutte le proposte di emendamento. Quindi, attualmente, siamo effettivamente in una situazione in cui il governo e la popolazione pakistana è in ostaggio dei talebani. (ma)

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    Giappone: travasata acqua radioattiva in mare

    ◊   Dopo il disastro di Fukushima, l'industria atomica non potrà più comportarsi "come se nulla fosse accaduto". E' il monito del direttore dell'Agenzia Internazionale per l'Energia atomica, Yukiya Amano. In Giappone, intanto, stanno fallendo i tentativi di chiudere la falla di uno dei reattori della centrale nucleare, dalla quale esce acqua radioattiva. La Tepco, che gestisce l’impianto, ha cominciato a riversare in mare acqua che - sostengono - sia poco contaminata, per fare spazio nei depositi ad acqua ancora più radioattiva. Si stima che saranno riversate circa 11.500 tonnellate in tutto, ma la società dice che questo non comprometterà l’ecosistema marino. Sul fronte delle radiazioni, emissioni superiori alla norma sono state rilevate appena fuori dal raggio di 30 km dalla centrale nucleare. E permane la situazione di sofferenza degli sfollati. Cosa sta facendo la Chiesa per loro? Debora Donnini lo ha chiesto al nunzio apostolico in Giappone, l’arcivescovo Alberto Bottari de Castello.

    R. – La Chiesa fa un’opera collaterale perché i giapponesi sono molto precisi. Sono il governo e la municipalità che fanno il lavoro maggiore. Comunque, sia a Sendai sia a Saitama, la Chiesa ha organizzato centri di raccolta dove le persone possono trovare assistenza. Conosco un po’ di più la situazione qui, a Tokyo, dove sono arrivati circa 250 filippini che avevano perso lavoro, casa, tutto e avrebbero desiderato rientrare con le loro famiglie nelle Filippine; sono stati accolti nel centro internazionale cattolico e distribuiti in 16 posti della diocesi, tra cui quattro parrocchie, due istituti religiosi, salesiani, gesuiti, suore, per dare loro assistenza immediata e cercare intanto di trovare il modo per pagare il biglietto. Più di 200 sono potuti tornare a casa. C’è ancora qualcuno che sta aspettando. Cerchiamo di aiutare queste persone.

    D. – C’è preoccupazione fra i giapponesi? Quali sono i sentimenti della gente?

    R. – I giapponesi manifestano poco la loro preoccupazione: cercano di essere gentili e di non scaricare il loro sentimento sugli altri; però, sotto sotto, si sente. E sarà così almeno finché la centrale non sarà completamente fermata. Tutto questo avrà delle ripercussioni anche in campo economico: avendo perso tutta l’energia elettrica che viene dal nucleare, le prospettive economiche sono incerte. Quindi, una certa preoccupazione persiste. Nello stesso tempo si percepisce il desiderio di lottare, di andare avanti, di non abbattersi. Questo è quello che viviamo. (bf)

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    Chiesa e Società



    Elezioni rinviate in Nigeria. Il cardinale Okogie invita gli elettori alla calma ma deplora le autorità

    ◊   Le autorità nigeriane hanno rinviato le elezioni parlamentari, presidenziali e dei 36 governatori rispettivamente al 9, al 16 e al 26 aprile. Le elezioni legislative (per il Senato e la Camera dei Rappresentanti), erano inizialmente previste per il 2 aprile ed erano state rinviate ad oggi, 4 aprile, mentre le elezioni presidenziali erano previste il 9 aprile e quelle locali il 16 aprile. Subito dopo il rinvio delle elezioni legislative del 2 aprile, il cardinale Anthony Okogie, arcivescovo di Lagos, in un comunicato citato dalla Fides, ha invitato i nigeriani a non sentirsi delusi per la decisione della Independent National Electoral Commission (INEC), motivata da problemi logistici. Nel comunicato, pubblicato dall'Arcidiocesi di Lagos, il cardinale Okogie ha rivolto un appello al presidente dell’INEC, il professor Attahiru Jega, perché non metta a repentaglio la credibilità e la fiducia che si è guadagnato nel tempo da parte dei nigeriani. Il porporato ha comunque deplorato l’enorme perdita di tempo, di risorse e di buona volontà provocata dal rinvio, ma ha esortato i nigeriani ad essere pazienti. Il cardinale ha affermato che coloro che hanno posto le mani sull’aratro per creare una nuova Nigeria, non possono ora voltarsi indietro. L’arcivescovo di Lagos ha apprezzato la maturità del presidente dell’INEC nell’assumersi le responsabilità per l'inadeguatezza della macchina elettorale, ma ha avvertito che il suo gesto potrà avere risvolti positivi solo se vi sarà una gestione trasparente e soddisfacente delle elezioni, oltre a fare del suo meglio per prevenire il ripetersi di incidenti di questo tipo, che potrebbero avere gravi conseguenze.

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    Vescovi africani e tedeschi: globalizzazione della solidarietà per fermare l'emigrazione

    ◊   “I rifugiati sono tra i membri più deboli e vulnerabili della famiglia umana. La loro tutela è un dovere giuridico e morale che incombe a tutti gli Stati”. E’ un passo del comunicato stilato al termine del VII Incontro dell’Episcopato tedesco-africano, svoltosi dal 28 marzo al 2 aprile a Monaco (Repubblica Federale Tedesca), sul tema “L’emigrazione africana verso l’Europa”. “Siamo profondamente preoccupati – prosegue il comunicato citato dalla Fides - nel constatare che, in pratica, la protezione delle frontiere esterne dell'Unione Europea ponga notevoli problemi in materia di diritti umani. Esigiamo che le domande di asilo siano accolte ed esaminate in modo appropriato. Allo stesso modo il respingimento di coloro che, a causa delle leggi in vigore non hanno diritto a rimanere in Europa, deve essere conforme alle norme umanitarie”. “Gli uomini che ardiscono prendere la strada per l'Europa in cerca di un futuro migliore per se stessi e le loro famiglie, non dovrebbero essere generalmente accusati e diffamati – prosegue il testo -. Gli europei dovrebbero ricordare prima di tutto tanti loro antenati che hanno lasciato il loro continente nel corso dei secoli per emigrare verso paesi di tutto il mondo”. Il comunicato sottolinea che le ragioni della forte emigrazione di africani verso l'Europa in questi ultimi anni sono molteplici, e “le conseguenze del colonialismo come le grandi differenze nelle condizioni di vita, giocano un ruolo chiave. I partecipanti africani al nostro incontro hanno chiaramente sottolineato il fallimento delle élite locali riguardo allo sviluppo dei loro paesi”. “Non si può dimenticare che la migrazione rappresenta un fenomeno che è sempre esistito nella storia dell'umanità. La migrazione costituisce un elemento essenziale di sviluppo sociale, culturale e religioso. Troppo spesso si perdono di vista i contributi positivi e preziosi che gli immigrati possono portare non solo alle società d'accoglienza, ma anche al loro paese d'origine (ad esempio attraverso le rimesse).” L’obiettivo dovrebbe essere quello di evitare la migrazione involontaria imposta dalla miseria o dalla mancanza di prospettive, il che richiede una forma di globalizzazione che tenga conto della solidarietà e “faccia passare le possibilità di sviluppo degli esseri umani e dei popoli davanti agli interessi delle multinazionali o dei privati”. Per quanto riguarda la Chiesa, è scritto nel testo, in futuro essa dovrà dare maggiore importanza alla situazione dei migranti nel contesto della sua attività pastorale. “Nella sua attenzione ai migranti, la Chiesa non fa distinzione tra immigrazione regolare e irregolare, anche se è cosciente dei problemi legati a quest’ultima. Tutti e ognuno hanno diritto ad un accompagnamento pastorale. Per questo la Chiesa si aspetta dallo Stato che le venga consentito un accesso illimitato ad una assistenza spirituale anche agli immigrati irregolari”. Nella parte conclusiva, i Vescovi dicono di comprendere “le preoccupazioni e le paure delle persone che non sono ancora abituate a vivere con degli stranieri”, tuttavia “i problemi dovrebbero essere discussi apertamente, senza approfittare delle reticenze per andare alla deriva populistica. In questo contesto, occorre dare prova di saggezza e delicatezza. Noi, i Vescovi di Africa e Germania, riaffermiamo la nostra volontà di opporci fermamente al razzismo e alla xenofobia nel mondo intero. E' l'unico modo per assicurare un futuro prospero per tutti.”

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    Presidenziali in Perù. I vescovi ai candidati: “maggiore rispetto dei diritti umani”

    ◊   Ad una settimana dalle elezioni presidenziali in Perù, che si terranno il prossimo 10 aprile, i vescovi del Paese invitano i candidati “a promuovere lo sviluppo umano integrale e il rispetto della dignità umana, il matrimonio e la famiglia”. Come riferisce l’agenzia Fides, il messaggio invita i candidati a considerare che lo sviluppo sociale "dovrebbe essere basato sul rispetto e la promozione dei diritti umani, sull'accesso ai servizi sanitari di base, in particolare per i più poveri". I presuli hanno anche rilevato che l'esercizio della democrazia "deve rispettare i principi etici e morali connessi alla promozione del bene comune". Un altro punto evidenziato è il fenomeno della corruzione, perché questa piaga "continua a minare lo sviluppo sociale e politico del nostro popolo". I vescovi sottolineano la mancanza di una forte coscienza etica e morale: “il processo elettorale è l'occasione per richiedere la presentazione di programmi che si oppongano in modo coraggioso alle varie forme di corruzione, sia tra i membri del governo come nei settori di attività pubblica e privata". Secondo la stampa locale, dopo diversi anni ci saranno più di due candidati a contendersi la presidenza, al termine di una campagna elettorale molto ricca di presentazioni e dibattiti. (G.P.)

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    India: la comunità cristiana chiede la revoca dell’espulsione di padre Jim Borst

    ◊   Alcune organizzazioni cristiane in India, guidate dalla ong “Catholic Secular Forum” (Csf), si sono mobilitate in difesa di padre Jim Borst, un missionario olandese che alcuni giorni fa ha ricevuto l’ordine di lasciare l’India entro il 7 aprile. Come riferito all’agenzia Fides, i cristiani indiani hanno chiesto alle autorità civili, nel Kashmir e a livello federale, di bloccare l’espulsione del sacerdote. La ong Csf nota che solo tre mesi fa il governo del Kashmir aveva comunicato al missionario che il suo visto di residenza era stato esteso fino al 2014. Dal 1997 padre Borst dirige due scuole in Kashmir, intitolate entrambe al “Buon Pastore”. In queste scuole, il personale e gli allievi sono in maggioranza musulmani, e apprezzano molto l’operato di padre Borst. E’ stato formato in una scuola gestita dal missionario anche Omar Abdullah, attuale Primo Ministro in Kashmir. A lui le organizzazioni cristiane si sono rivolte con una lettera per scongiurare l’espulsione del missionario. “Nelle scuole di padre Borst - si legge nel testo - hanno potuto ricevere istruzione i ragazzi di molte famiglie povere, che diversamente sarebbero rimasti analfabeti, e tale opera sociale è da elogiare”. La lettera esprime anche il timore che si voglia creare uno Stato islamico in Kashmir, riducendo gli spazi della presenza cristiana. Per questo i cristiani chiedono la revoca dell’ordinanza, che costituisce “una flagrante violazione dei diritti umani e della libertà religiosa”. (G.P.)

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    Malaysia. Il governo: sì alle Bibbie in tutte le lingue, ma per i cristiani restano dei punti controversi

    ◊   Con un memorandum in 10 punti, il governo malaysiano ha cercato di mettere la parola “fine” alla vertenza che riguarda l’importazione e la circolazione delle Bibbie in Malaysia, ma i negoziati con i leader cristiani proseguiranno, soprattutto per la risoluzione di alcuni punti controversi. Le autorità malaysiane hanno annunciato, in un documento in 10 punti, che sbloccheranno la diffusione di oltre 30mila Bibbie fermate alla dogana; che consentiranno la circolazione delle Bibbie in tutte le lingue in Malaysia, inclusa la lingua locale bahasha, nella sua versione malaysiana o indonesiana; che sarà permessa nel paese anche la stampa delle Bibbie in bahasha (sia nella Malaysia peninsulare, sia a Sabah e Sarawak, le province malaysiane sull’isola del Borneo), nonché in lingue indigene come iban, kadazandusun e lun bawang. Inoltre il governo, tramite un suo rappresentante cristiano, Idris Jala, si è detto pronto a incontrare i leader cristiani per affrontare e risolvere le questioni relative ai loro diritti. La comunità cristiana ha espresso, in linea generale, soddisfazione per l’annuncio, che rappresenta un reale passo avanti rispetto alle posizione assunte in passato dall’esecutivo. Ma, riferiscono fonti cattoliche di Fides in Malaysia, i negoziati con il governo andranno avanti, in quanto i cristiani notano ancora dei punti controversi: il documento “divide in due il paese, ponendo delle regole per la Malaysia peninsulare e altre per il Borneo malaysiano: qui le Bibbie potranno circolare senza alcuna dicitura; nella penisola, invece, dovrebbero riportare una stampigliatura del tipo ‘per la cristianità’. Inoltre va chiarita la validità di tali misure, che non possono essere temporanee, ma devono essere espressamente definitive, in quanto toccano l’importante questione, di natura Costituzionale, della libertà religiosa nel paese”. In una nota inviata all’Agenzia Fides, la “Bible Society of Malaysia” (BSM) ha espresso apprezzamento per la nuova posizione del governo che dovrebbe “aiutare ad evitare spiacevoli incidenti come quello recentemente verificatosi”. I cristiani – prosegue la nota – intendono lavorare a fianco del governo per evitare conflitti fra credenti di diverse fedi e per migliorare l’armonia sociale e religiosa nel paese. Fonti di Fides in Malaysia notano che la proposta del governo giunge proprio a ridosso delle elezioni locali, che si terranno il 16 aprile a Sarawak, dove i cristiani sono oltre il 40% della popolazione, e che quindi il governo malaysiano cerchi, in tal modo, di non perdere consenso politico. In Malaysia su 28 milioni di abitanti, il 60% sono musulmani, il 10% cristiani, il resto sono comunità induiste, buddiste, animiste o di culti cinesi tradizionali.

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    L'Aiea: dopo Fukushima, seria riflessione sulla sicurezza nucleare

    ◊   Dopo il disastro di Fukushima il mondo e l'industria atomica non potranno comportarsi "come se nulla fosse accaduto". Il duro monito di Yukiya Amano, direttore dell'Agenzia internazionale per l'Energia atomica (Aiea), lanciato durante la quinta Conferenza di revisione della Convenzione sulla sicurezza nucleare a Vienna. "Le preoccupazioni di milioni di persone in tutto il mondo sulla sicurezza dell'energia nucleare devono essere prese sul serio", ha sollecitato il responsabile dell’Aiea, evidenziando che non è più ammissibile un approccio di ‘ordinaria amministrazione’. "L'adesione rigorosa agli standard più elevati di sicurezza e piena trasparenza sono vitali - ha detto - per recuperare la fiducia dell'opinione pubblica nel nucleare". "La situazione a Fukushima rimane molto seria", ha aggiunto Amano, precisando che l'immediata priorità è ora "superare la crisi e stabilizzare i reattori". Tuttavia, ha osservato, "dobbiamo anche cominciare un processo di riflessione e considerazione". L'Aiea ha già mandato due esperti a Fukushima per assumere "informazioni di prima mano" e non appena sarà possibile, una missione internazionale andrà sul posto per condurre una valutazione del disastro. I fattori che hanno determinato la spinta al nucleare - la crescita della domanda globale, le preoccupazioni relative ai cambiamenti climatici nonché i prezzi dei carburanti fossili - "rimangono gli stessi anche dopo Fukushima", ha osservato il direttore dell'Aiea. Tuttavia, dal disastro giapponese occorre trarre un’importante lezione nella direzione di "un sostanziale miglioramento" della sicurezza degli impianti. Proprio su questo tema l'Aiea terrà, dal 20 al 24 giugno, una Conferenza ministeriale nella stessa capitale austriaca. Al centro del dibattito sarà la crisi nella centrale giapponese dal punto di vista tecnico ma anche sul piano dell'impatto sociale. "Questo è il motivo per cui vorrei avere la presenza di leader politici", ha spiegato Amano annunciando di aver invitato a Vienna i primi ministri e i ministri degli Esteri di tutti i 151 Stati membri dell'organizzazione dell’Onu. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Mali: per la prima volta una donna alla guida del governo

    ◊   Per la prima volta un premier donna nella storia del Mali. Il presidente della Repubblica, Amadou Toumani Touré, ha infatti nominato capo dell’esecutivo Cissé Mariam Khaidama Sidibé, dopo le dimissioni di Modibo Sidibé e di tutta l'équipe governativa dello Stato africano. Con una lunga esperienza di amministratore locale, Khaidama Sidibé è stata più volte ministro del suo Paese negli anni Novanta. Dal 2000 ha occupato la carica di segretario esecutivo del Comitato permanente interstatale per la lotta alla siccità nel Sahel, un organismo con sede a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. (R.G.)

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    “La donna in Iran”: incontro promosso dall’Associazione culturale iraniana con Amnesty e Unicef

    ◊   “La donna in Iran”: questo il titolo della serata organizzata a Saronno, in Lombardia, sabato prossimo 9 aprile, dall’Associazione culturale iraniana e dalle sezioni locali di Amnesty International e del Comitato Unicef, con il patrocinio del Comune. Ad aprire l’incontro sarà Antonio Scordia del Coordinamento Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International, che parlerà delle violazioni dei diritti umani in Iran, in particolare nei confronti delle donne, e su quali sono le disparità legali e quali indicazioni arrivano dalla "Campagna per l'uguaglianza" che mira ad abolirle. A seguire, Rosanna Moneta, responsabile dell’Unicef-Saronno, affronterà il tema dell’istruzione, quale mezzo migliore per promuovere l'uguaglianza fra i sessi e garantire le pari opportunità. Saranno quindi delineate le principali sfide che attendono i diritti dell’infanzia nei prossimi vent’anni, ed i rischi e le opportunità provenienti dall’ambiente esterno. Un gruppo di studenti iraniani di Milano offrirà un intermezzo musicale eseguendo pezzi di musica popolare del loro Paese. Atteso in particolare l’intervento di Maral Shams, membro dell’Associazione culturale iraniana di Saronno, che illustrerà il ruolo della donna nella storia del suo Paese partendo dalla rivoluzione costituzionale iraniana del 1906, che portò alla prima Costituzione scritta dell’Iran, basata sui modelli francese e belga, passando dalla monarchia Pahlavi per arrivare alla rivoluzione islamica e all’ascesa dell’Ayatollah Khomeini e giungere all’attuale presidente della Repubblica, Khatami, per affacciarsi sull’odierna realtà iraniana. Due brevi filmati sull’Iran oggi, saranno proiettati prima del dibattito aperto al pubblico, cui parteciperà anche Parviz Shams, membro dell’Associazione culturale iraniana di Bollate. (R.G.)

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    Taiwan: la comunità cattolica accoglie le reliquie di don Bosco

    ◊   La Chiesa cattolica di Taiwan si prepara ad accogliere le reliquie di San Giovanni Bosco che arriveranno a Taipei il 7 aprile. Come riferisce Asia News, Taiwan è una tappa del pellegrinaggio mondiale in preparazione al 200° anniversario della nascita del Santo. L’urna con le reliquie sarà esposta al pubblico dall'8 al 10 aprile presso la parrocchia di don Bosco, nel centro della capitale. Per l’occasione i cattolici hanno organizzato veglie di preghiera e Messe per ricordare il carisma di don Bosco e il suo operato fra i giovani. Nei giorni scorsi il Catholic Weekly, settimanale dell’arcidiocesi di Taipei, ha pubblicato due articoli speciali per far conoscere alla popolazione la storia del Santo e l’opera dei Salesiani in Asia. Prima di morire, don Bosco aveva predetto ai suoi confratelli la futura missione nel Paese asiatico, iniziata nel 1905 con l’arrivo del primo gruppo di Salesiani a Pechino e con l’apertura delle missioni di Shangai e Hong Kong. A tutt’oggi i missionari di don Bosco sono attivi a Taiwan, Macao e Hong Kong, dove le reliquie sono state esposte lo scorso 26 e 27 marzo. Il viaggio delle reliquie attraverso 130 nazioni è iniziato il 31 gennaio 2009, 150° anniversario della fondazione della Congregazione salesiana e terminerà nel 2015 in occasione dei 200 anni della nascita del Santo. (G.P.)

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    Convegno su giovani e identità nazionale nel 150.mo dell’Unità d’Italia

    ◊   “I giovani e l’identità nazionale nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia”: è il tema di un Convegno organizzato a Roma dal Distretto Rotaract di Lazio e Sardegna, in collaborazione con l’Istituto Internazionale Jacques Maritain. Appuntamento sabato 9 aprile a Palazzo Valentini sede della Provincia di Roma. L’iniziativa di studio intende riflettere sul valore dell’identità nazionale partendo dagli ideali proposti dagli architetti dell’unificazione per arrivare ad un’analisi della realtà attuale e delle prospettive future. Tra il dissolversi delle singole comunità nazionali nel magma indistinto della globalizzazione ed il rinchiudersi nella strenua difesa dei propri confini e identità, il Convegno intende focalizzare l’attenzione su due elementi unificanti: società e Stato. Tra i relatori, la pronipote di Giuseppe Garibaldi, Anita, il prof. Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali all’Università di Torino, il prof. Philippe Chenaux, docente di storia della Chiesa moderna e contemporanea alla Pontificia Università Lateranense, il prof. Khaled Fouad Allam, docente di Storia e Istituzioni dei Paesi islamici nelle Università di Trieste e Urbino, e il sen. Lucio D’Ubaldo. (G. P.)

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    Convegno e Mostra a Roma per i 40 anni dell’Istituto Francescano di spiritualità

    ◊   Una giornata di studi ed una mostra fotografica celebrano oggi i quarant'anni di attività dell'Istituto Francescano di spiritualità presso la Pontificia Università Antonianum di Roma. Sul tema “Identità e compito della teologia spirituale oggi” sono stati chiamati ad interrogarsi teologi e docenti dell’Istituto. Ad introdurre i lavori stamane - presieduti da padre Vincenzo Battaglia, decano della Facoltà di Teologia – è stato padre Johannes Freyer, rettore dell’Ateneo. Nel pomeriggio, la celebrazione dell’anniversario, presieduta da suor Mary Melone, docente all’Antonianum; quindi l’intervento di padre Paolo Martinelli, preside dell’Istituto su “Tracce di storia dell’Istituto francescano di spiritualità; a seguire il confronto tra il ministro generale dell’Ordine dei Frati minori e gran cancelliere dell’ateneo, padre José Rodríguez Carballo, con il ministro generale dei Cappuccini, padre Mauro Jöhri, sul tema “Quale missione per l’Istituto francescano di spiritualità?”. Per l’occasione - riferisce l'agenzia Sir - è stata anche allestita una mostra fotografica, visibile fino a domani, intitolata “Il passo di Francesco”. Ideata da fra Marco Finco, cappuccino milanese, la rassegna illustra per immagini il Testamento di San Francesco di Assisi. (R.G.)

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    Ambiente: nasce una nuova riserva dell'Unesco, battezzata “Amazzonia d'Europa”

    ◊   Avrà un’estensione di 800 mila ettari la più grande area protetta fluviale d'Europa, a cavallo fra cinque Paesi: Austria, Croazia, Ungheria, Serbia e Slovenia. Battezzata "l'Amazzonia d'Europa", la nuova Riserva della biosfera - sotto la protezione dell'Unesco - è stata concordata dagli Stati interessati, nell'ultima riunione dei ministri dell'Ambiente dell'Unione Europea, per difendere il patrimonio naturale dei fiumi Danubio, Mura e Drava. "Questo accordo storico transfrontaliero - afferma Jim Leape, direttore del Wwf - è una dimostrazione potente di una visione verde condivisa che rafforza la cooperazione regionale e l'unità in Europa". "Il Wwf - aggiunge Andreas Beckmann, direttore del programma Danubio-Carpazi del Wwf - spera che la dichiarazione acceleri gli sforzi dei Paesi per creare quest'area protetta transfrontaliera nei prossimi due anni, allo scopo di proteggere questa cintura verde nel cuore dell'Europa". Nel 2009 Croazia e Ungheria avevano già firmato un accordo per tutelare l'area chiave per la biodiversità dei fiumi Mura, Drava e Danubio e questa intesa è stata la base per la nuova dichiarazione estesa ai cinque Paesi. Con il suo panorama unico, quest'area rappresenta la 'casa' per coppie di aquile di mare e specie minacciate come piccole sterne, cicogne nere, lontre, castori e storioni. E' anche un’importante 'tappa di passaggio' per oltre 250 mila uccelli acquatici migratori, ogni anno. L'ecosistema fluviale è la maggiore fonte di acqua potabile, protezione dalle inondazioni, silvicoltura sostenibile, agricoltura e pesca della zona transfrontaliera. La nuova riserva servirà anche a promuovere l'eco-turismo e l'educazione ambientale dell’intera regione. "Abbiamo fiducia - afferma Arno Mohl, coordinatore del progetto della riserva per il Wwf Austria - che questo accordo porrà fine ad una regolazione insostenibile dei fiumi, ma anche ai progetti di prelievo di ghiaia e sabbia che ancora minacciano questo ecosistema unico”. (R.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Obama si ricandida alle presidenziali del 2012: l'annuncio attraverso i social network

    ◊   Il presidente statunitense Barack Obama si ricandida per un secondo mandato alle elezioni del 2012. La notizia è stata resa nota via sms, con un video web ed una e-mail ai supporter del capo della Casa Bianca. “It begins with us” - “Tutto comincia da noi”, è il titolo del video di poco più di 2 minuti pubblicato sul sito barackobama.com. A parlare sono i sostenitori democratici da Colorado, Nevada, North Carolina, New York, Michigan. Sulla ricandidatura di Obama, ascoltiamo Dennis Redmont, incaricato della comunicazione del Consiglio Italia-Stati Uniti e già direttore dell'Associated Press, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – Nel mondo dell’informazione attuale chi fa prima monopolizza l’agenda. Perciò Obama - anche se è molto presto e anche se i soldi necessari sono tanti - ha scelto l’inizio della primavera per lanciare la sua candidatura, ma non personalmente, bensì facendola lanciare ai suoi sostenitori. Tutto ciò poi farà da traino alla sua entrata formale in campo.

    D. - E’ un momento in cui l’economia ricomincia a dare timidi segnali di ripresa e la disoccupazione è scesa, con 216 mila posti di lavoro in più…

    R. – Il momento è proficuo, anche se non si sa quanto duri questo nuovo leggero picco nell’economia: è possibile che si alzi un po’ verso l’estate ma subito dopo ci siano nuovi problemi. Ad ogni modo la strada fino al 2012 è lunga e per convincere le persone che, grazie ad Obama e incentivi del governo hanno avuto un nuovo impiego, è un momento molto propizio.

    D. – Una campagna elettorale che si affida ancora una volta ai social network e si annuncia con il più alto budget di sempre: l’obiettivo è un miliardo di dollari?

    R. – Ci sono regole molto ferree sulle campagne elettorali e sui fondi che si possono utilizzare: dalle aziende che pagano i repubblicani e i democratici o dai singoli individui. Ma poi la Suprema Corte ha lasciato un po’ più di spazio per questa flessibilità di contributi, perciò ci saranno molti soldi da spendere.

    D. – “It begins with us”, dice lo slogan del video di Obama. Il quartier generale è a Chicago. Quindi è la prima campagna elettorale che un presidente in carica non conduce da Washington ma dal suo collegio?

    R. – Chicago non è solo il suo collegio, ma è il collegio dove c’è un sindaco che è suo amico, è l’ex capo di gabinetto, Rahm Emanuel ed è appena stato eletto. In secondo luogo, si tratta certamente di una zona che Obama vuole coltivare come democratica. Non è una campagna Washington-centrica perché Obama sa che è nell'America profonda - soprattutto quella del Midwest, dove ci sono stati problemi con l’economia, come ad esempio per le aziende automobilistiche di Detroit, non lontano da Chicago - che ci si può giocare le elezioni.

    D. – Obama si ricandida, dunque. Ma intanto, il fronte repubblicano è ancora in cerca di un candidato forte. Perché manca l’intesa?

    R. – La risposta a questo è: “Who dares take him on?”, cioè: chi se la sente di lanciare la sfida a Obama? In ordine sparso, in questo momento sono pochi a poter aspirare: c’è l’ex governatore e uomo d’affari Mitt Romney; c’è l’ex governatore Tim Pawlenty; c’è il governatore dell’Indiana Mitch Daniels; c’è Sarah Palin, ex governatrice dell’Alaska che è stata candidata alla vice presidenza; c’è Mike Huckabee, anche lui ex governatore; e c’è pure Newt Gringrich, l’ex speaker, cioè l’ex leader della minoranza che si era confrontato con Clinton ed aveva realizzato il Manifesto per l’America, il cosiddetto “contract with America”: è possibile che lui provi un ritorno in campo, ma le sue chances sono molto basse.

    D. – Che possibilità ci sono per Obama, allora?

    R. – In questo momento sono buone, ma sono sempre stati i fattori esterni che hanno condizionato i risultati. Che siano l’Iran, l’Iraq, l’Afghanistan, ora la Libia, tutti questi fattori esterni come anche l’economia internazionale rappresentano una grande incognita fino a novembre 2012. (bf)

    Yemen, 15 morti a Taiz durante scontri tra manifestanti e forze di polizia
    Nuovi scontri nello Yemen: a Taiz, a sud della capitale, la polizia ha aperto il fuoco sui manifestanti antigovernativi. Secondo fonti locali, sono morte almeno 15 persone. Decine di migliaia di manifestanti stavano marciando verso la sede del governatorato quando i militari hanno cominciato a sparare da più parti. La polizia ha inoltre disperso con cariche e lanci di lacrimogeni un corteo di manifestanti diretto verso il palazzo presidenziale nella città di Hudaida. Fonti mediche hanno riferito che 409 persone sono rimaste ferite.

    Bangladesh, sciopero generale per chiedere l'introduzione della sharia
    Almeno 100 persone sono state arrestate oggi durante uno sciopero generale indetto da un gruppo islamico fondamentalista che chiede l’introduzione nel Paese della legge islamica. Lo sciopero è stato indetto l'8 marzo, all’indomani dell'approvazione da parte del Parlamento di un pacchetto di leggi a sostegno della parità tra i sessi. Il provvedimento era stato definito “anti-islamico”.

    Kazakistan, Nazarbayev vince le elezioni con il 95% dei voti
    In Kazakistan è stato rieletto presidente con il 95% dei voti Nursulan Nazarbayev. E’ quanto emerge dai primi sondaggi sulle presidenziali, tenutesi ieri. Alle elezioni ha partecipato circa il 90% degli oltre 9 milioni aventi diritto, con un aumento del 76% rispetto alle precedenti consultazioni. Dopo aver votato, il presidente Nazarbayev ha affermato che “il benessere viene prima della democrazia”. Il servizio è di Gabriele Papini:

    La scadenza dell’attuale mandato era prevista per il 2012, ma il presidente ha indetto elezioni anticipate per dissolvere dubbi di incostituzionalità sul voto. Analisti internazionali sottolineano che la percentuale registrata testimonia la debolezza delle opposizioni, che non riescono a proporre un candidato capace di contrastare il potere di Nazarbayev. Dal canto suo, il capo di Stato ha sottolineato che “l’obiettivo di modernizzare lo Stato e la società è ancora enorme”. Gli investitori esteri, intanto, salutano con favore la riconferma di Nazarbayev, quale garanzia di continuità dell’attuale politica economica. La rielezione conferma il progetto dell’attuale presidente, in carica dall’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991, di restare al potere: con una modifica alla Costituzione attuata nel 2007, Nazarbayev ha eliminato il limite di mandato, assicurandosi una rielezione a vita. L’opposizione sostiene di non aver avuto tempo sufficiente per preparare le elezioni, decise meno di due mesi fa dal capo dello Stato. “Queste elezioni dimostrano che purtroppo le istituzioni democratiche in Kazakistan non sono sviluppate ancora come quelle economiche”, ha detto in una conferenza stampa il capo della missione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), Daan Everts. “Resta ancora molto da fare – ha concluso - dal punto di viste delle riforme democratiche”.

    Epidemia di dengue in Paraguay
    Sono salite a 20 le vittime dell’epidemia di febbre ‘dengue’ scoppiata all’inizio dell’anno con 17.467 casi sospetti. Si tratta dell’epidemia più grave degli ultimi 4 anni, secondo il ministero della Sanità.

    Ecuador, stato di emergenza in 24 province
    E’ stato dichiarato lo stato di emergenza in sei delle 24 province del Paese a causa della siccità che sta duramente colpendo il settore agricolo: nelle regioni di Los Ríos, Manabí, Santa Elena, Guayas e El Oro, e in quella andina di Loja, al confine col Perù, 180 mila ettari di coltivazioni di riso e mais sono già andati perduti e altri 210 mila risultano parzialmente pregiudicati. Il governo ha stanziato 46 milioni di dollari per fare fronte all’emergenza.

    Venezuela, nuovi accordi con Ecuador, Perù e Colombia
    A pochi giorni dalla sua uscita definitiva dalla Comunità andina delle nazioni (Can), il governo di Caracas si prepara alla firma di diversi accordi bilaterali con Ecuador, Perù e Colombia. “Il 22 aprile - ha detto il ministro degli Esteri, Nicolás Maduro - avremo rapporti diversi con i Paesi dell’America Latina: con la Bolivia abbiamo già sottoscritto l’intesa che rimpiazzerà quella della Can”. La decisione di uscire dalla Comunità andina delle nazioni risale al 2006 come segno di protesta per la firma di accordi di libero commercio tra Perù, Colombia e Stati Uniti. (A cura di Amedeo Lomonaco e Gabriele Papini)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 94

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    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.