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Sommario del 03/04/2011

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI all’Angelus ricorda Giovanni Paolo, “grande pontefice e testimone di Cristo”. Quindi l’invito a trovare la forza in Cristo per vincere il male e operare il bene
  • Il rapporto speciale che legava Karol Wojtyla ai giovani, nel ricordo di mons. Mauro Parmeggiani
  • Oggi in Primo Piano

  • Libia: possibili defezioni tra i fedeli di Gheddafi, mentre gli insorti perdono terreno a Brega e si contano i morti a Misurata
  • Lampedusa, emergenza immigrazione: resta acceso il dibattito politico, pronte tre navi per imbarcare i profughi verso altre destinazioni
  • Presidenziali in Kazakhstan: favorito il capo dello Stato Nazarbaiev
  • Domani, elezioni politiche in Nigeria: test cruciale per l’intera Africa sub-sahariana
  • Incontro dei vescovi latinoamericani sulla famiglia: bene tanto prezioso, sovente minacciato nel mondo di oggi
  • Chiesa e Società

  • Domani, Giornata internazionale contro le mine: appello del segretario generale dell’Onu
  • I vescovi d'Inghilterra e Galles indicono una Conferenza sulla responsabilità sociale
  • Egitto: un Paese al bivio della democrazia. L’opinione del patriarca dei Copti Naguib
  • Cina, il gruppo di formazione teologica di Shanghai celebra 15 anni di cammino
  • Indonesia, raccolta fondi dei cattolici per curare i bisognosi
  • 24 Ore nel Mondo

  • Costa d’Avorio: violenti scontri ad Abidjan. Il segretario di Stato Usa Clinton chiede il ritiro di Gbagbo
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI all’Angelus ricorda Giovanni Paolo, “grande pontefice e testimone di Cristo”. Quindi l’invito a trovare la forza in Cristo per vincere il male e operare il bene

    ◊   Benedetto XVI, all’Angelus, rende omaggio a Giovanni Paolo II, “grande Pontefice e Testimone di Cristo”. Quindi l’invito rivolto a tutti i fedeli raccolti, numerosissimi oggi in Piazza San Pietro, a sperimentare il dono della benevolenza di Dio nel tempo quaresimale. Nell’incontro con Cristo – ha ricordato il Papa - troviamo infatti “la forza per vincere il male e operare il bene” Il servizio di Roberta Gisotti:

    Il pensiero di Benedetto XVI è corso all’“amato predecessore”, all’indomani della ricorrenza del sesto anniversario della morte di Giovanni Paolo II, in vista della sua beatificazione il prossimo primo maggio. Per questo ha spiegato il Papa “non ho celebrato la tradizionale Messa di suffragio, ma l’ho ricordato con affetto nella preghiera, come penso tutti voi”.

    “Mentre, attraverso il cammino quaresimale, ci prepariamo alla festa di Pasqua, ci avviciniamo con gioia anche al giorno in cui potremo venerare come Beato questo grande Pontefice e Testimone di Cristo, e affidarci ancora di più alla sua intercessione”.

    Quindi l’invito del Papa a “sperimentare il dono della benevolenza del Signore nei nostri confronti” nel “particolare tempo” quaresimale “di grazia”. Richiamando il tema della gioia nel Vangelo odierno, nel quale Gesù guarisce un uomo cieco dalla nascita, Benedetto XVI ha evidenziato “come una persona semplice e sincera, in modo graduale, compie un cammino di fede: in un primo momento incontra Gesù come un ‘uomo’ tra gli altri, poi lo considera un ‘profeta’, infine i suoi occhi si aprono e lo proclama ‘Signore’. Al contrario i farisei non vogliono accettare il miracolo, mentre la folla resta distante e indifferente e gli stessi genitori del cieco sono vinti dalla paura del giudizio degli altri.
    “Anche noi a causa del peccato di Adamo siamo nati ‘ciechi’, ma nel fonte battesimale siamo stati illuminati dalla grazia di Cristo”.
    Se “il peccato aveva ferito l’umanità destinandola all’oscurità della morte”, “in Cristo risplende la novità della vita e la meta alla quale siamo chiamati”, ha sottolineato ancora il Papa. Dalla fede “riceviamo la forza per vincere il male e operare il bene”.

    “Infatti la vita cristiana è una continua conformazione a Cristo, immagine dell’uomo nuovo, per giungere alla piena comunione con Dio”.

    Gesù “‘luce del mondo’”, “che continua a rivelare nella complessa trama della storia quale sia il senso dell’esistenza umana”.

    “Quando la nostra vita si lascia illuminare dal mistero di Cristo, sperimenta la gioia di essere liberata da tutto ciò che ne minaccia la piena realizzazione”.

    Infine l’esortazione: “in questi giorni che ci preparano alla Pasqua ravviviamo in noi il dono ricevuto nel Battesimo”:

    “Quella fiamma che a volte rischia di essere soffocata, alimentiamola con la preghiera e la carità verso il prossimo”.

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    Il rapporto speciale che legava Karol Wojtyla ai giovani, nel ricordo di mons. Mauro Parmeggiani

    ◊   Ieri tante celebrazioni si sono svolte in tutto il mondo, soprattutto in Polonia, per ricordare il sesto anniversario della morte di Giovanni Paolo II, nell’imminenza ormai della sua Beatificazione che avverrà il prossimo primo maggio. Molti i giovani che hanno partecipato agli eventi in memoria di Papa Wojtyla. Tra quanti lo ricordano con particolare affetto è mons. Mauro Parmeggiani, vescovo di Tivoli, che ha avuto modo di conoscere da vicino Giovanni Paolo II quando ricopriva l’incarico di responsabile della pastorale giovanile a Roma. Tiziana Campisi lo ha intervistato:

    R. - Ricordo di essere stato un giovane di 17 anni che pensava di entrare in seminario, studiavo da geometra e stavo facendo un piccolo progetto per il giorno dopo a scuola, i compiti e alla televisione uscì questo Karol Wojtyla e mi impressionò subito la sua immediatezza con le prime parole che disse al popolo in Piazza San Pietro. Diventai sacerdote, nell’85 arrivai a Roma come segretario di mons. Ruini, allora segretario generale della Cei, e incominciai a interessarmi alla Cei e anche delle Giornate della Gioventù. Nel ’91 mons. Ruini diventò cardinale vicario e io lo seguii in Vicariato, e lì l’incontro con Giovanni Paolo II. Durante la festa della Madonna della Fiducia, al Seminario Romano, il suo segretario, ora cardinale Dziwisz, mi disse: “Qui bisogna fare qualcosa per i giovani della diocesi di Roma!”, poi mi portò dal Papa e mi disse: ”lui ha attitudine!” e da allora cominciarono quelle che poi sono diventate le Giornate diocesane della Gioventù, tutti i giovedì prima della Domenica delle Palme e dove il Papa voleva che i giovani di Roma, della sua diocesi si incontrassero con lui.

    D. - Quali ricordi, in particolare, custodisce?

    R. - Una cosa che mi colpiva molto era che prima di ogni incontro il Papa insieme al cardinale vicario chiamava anche il sottoscritto, mons. Frisina, mons. Leuzzi, che preparavamo insieme questi incontri e ci domandava, ci domandava il programma, ci domandava su cosa doveva insistere, ci chiedeva consigli sul cosa dire e ci dava grandi suggerimenti. Ricordo sempre “i giovani devono evangelizzare i giovani”, questo era il suo ritornello.

    D. - Come ci può descrivere questo rapporto tra Giovanni Paolo II e i giovani?

    R. - Era un rapporto personale. Lui cercava di entrare in dialogo con loro, mentre parlava, voleva parlare al cuore di ciascuno di loro. Lui era anticonformista per questo, cioè il santo è sempre un ottimista, non crede che i giovani siano solo negativi, siano solo incapaci di percepire il bello, il giusto, il buono che vuol dire Dio, per lui nessuno era uno dei tanti, ma era uno al quale dare attenzione, dare una risposta anche piccola, semplice, immediata, ma con cui voleva entrare in relazione. Questo i giovani lo hanno percepito.

    D. - Da Papa dei giovani a Beato dei giovani ...

    R. - Prima lo sentivano - i giovani - un Papa vicino a loro, che li comprendeva, che gli dava sicurezza nelle scelte che dovevano fare, che dava loro il senso che Dio c’è. Ora che diventa Beato, credo che i giovani percepiscono che lui è ancora più vicino a loro e anche i giovani lontani che lo hanno visto, che ne hanno sentito parlare. Ricordo ancora la sera della sua morte, tornai a casa tardi logicamente quella notte e sotto casa mia trovai dei giovani che non erano dei nostri giri e mi chiesero vedendomi vestito da sacerdote se era vero che era morto il Papa e io gli dissi: “Si è vero, purtroppo” e si misero a piangere e mi chiesero: “ma lei lo ha conosciuto, lei sapeva chi era?”. Non sapevano loro chi ero e gli raccontai un po’, non mi lasciavano più. Io credo che i giovani sentendo parlare di questi testimoni dell’amore anche per loro, della fiducia verso di loro, anche oggi possono sentire Giovanni Paolo II vicino. (ma)

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    Oggi in Primo Piano



    Libia: possibili defezioni tra i fedeli di Gheddafi, mentre gli insorti perdono terreno a Brega e si contano i morti a Misurata

    ◊   Libia: gli insorti perdono terreno a Brega. Si combatte ancora a Misurata: qui secondo testimoni negli ultimi giorni ci sarebbero stati almeno 160 morti. Tripoli ha respinto l’ultima richiesta di un cessate il fuoco da parte dei ribelli, mentre fonti di stampa inglese confermano nuove defezioni tra le fila dei fedelissimi di Gheddafi. Cecilia Seppia:

    Non c’è tregua in Libia, dove ormai la guerra va avanti ad oltranza colpendo punti strategici e non. L’ ultimo attacco in ordine di tempo ha preso di mira la città di Yafran, a circa 100 Km da Tripoli. Qui le forze di Gheddafi hanno buttato bombe all’impazzata: il bilancio delle vittime resta incerto, ma la Tv Al Jazera ha già mostrato immagini di cadaveri e feriti. Sono ripresi i combattimenti anche a Brega, terminal petrolifero a sud di Bengasi. Solo ieri i ribelli avevano annunciato la conquista della città, oggi battono la ritirata respinti dall’artiglieria pesante delle truppe del rais e dalle imboscate dei cecchini. In particolare violenti scontri a fuoco si sono registrati nella zona dell’università alla periferia di Brega. Stesso copione anche a Zintan messa a ferro e fuoco dai soldati governativi. Perenne teatro di guerra resta Misurata ormai roccaforte dei soldati governativi. Altri bombardamenti, l’ultimo contro l’ospedale della città avrebbero portato a 160 il numero delle vittime degli ultimi giorni. Intanto arriva la conferma di nuove defezioni tra le fila dei fedeli di Gheddafi: dopo il ministro degli Esteri libico Moussa Koussa che oggi ha incontrato il ministro della Difesa inglese Hague a Londra, anche il figlio di Gheddafi Saif al Islam, secondo la stampa inglese, ha confermato di essere pronto a trattare con l’intelligence britannica e italiana.

    Sul fronte militare e politico in Libia continua ad emergere una mancanza di strategia da parte dei rivoltosi ma anche dei fedeli di Gheddafi. Su questo punto abbiamo sentito Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana:

    R. – E’ chiaro da tempo ormai che agli anti-Gheddafi, ai rivoltosi, manca una strategia globale e manca anche, soprattutto, la potenza di fuoco per applicare una strategia purché sia; cioè, è chiaro che i ribelli non hanno la forza per puntare decisamente verso Tripoli e per scalsare Gheddafi. L’altra cosa - mi pare - è che che sia gli uni sia gli altri, cioè sia i fedeli a Gheddafi sia i ribelli, cerchino di risparmiare le attrezzature petrolifere, che sono l’unica, vera ricchezza della Libia.

    D. – Già ieri, fonti di stampa inglese hanno riferito di possibili defezioni tra i fedelissimi del raìs. Come interpretare questi segnali?

    R. – Io ho la sensazione che spesso questi segnali vengano interpretati con un “wishful thinking” cioè siano amplificati dalla speranza di veder finalmente finire questa guerra civile e di vedere Gheddafi prendere la strada dell’esilio, naturalmente. Infatti, i leali a Gheddafi sono – tutto sommato – abbastanza compatti, non c’è stato quello smottamento che forse sarebbe stato lecito aspettarsi, dal punto di vista dei consensi e delle fedeltà, nel momento in cui la comunità internazionale ha deciso l’intervento militare.

    D. – Ieri, l’accusa degli insorti alla Nato, che in un bombardamento aereo avrebbe ucciso 15 persone tra civili e ribelli; oggi è arrivata la smentita nonché le scuse di un portavoce del Consiglio transitorio libico all’Alleanza atlantica.

    R. – In tutte le operazioni di questo genere, la leggenda dei bombardamenti “chirurgici” è sempre stata soltanto appunto una leggenda: sempre ci sono vittime civili! In questo caso, poi, io credo che sia quasi impossibile, e mi stupisco che i casi di vittime di “fuoco amico” siano stati finora così poco frequenti. Proprio perché in Libia il fronte della guerra civile è in continuo movimento, è molto difficile distinguere gli insorti dai fedeli a Gheddafi, e quindi le vittime del “fuoco amico” sono purtroppo inevitabili e – credo – destinate ad aumentare. (gf)

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    Lampedusa, emergenza immigrazione: resta acceso il dibattito politico, pronte tre navi per imbarcare i profughi verso altre destinazioni

    ◊   E’ a Lampedusa la nave Excelsior con la quale verranno trasferiti 1.600 migranti e nei pressi del porto ci sono altre due navi che ne dovrebbero imbarcare 2800 per concludere entro oggi le operazioni di svuotamento dell’isola. Stanotte sono state trasferite circa 500 persone, ma sono arrivati altri 3 barconi. Sale anche il bilancio delle vittime dei naufragi secondo padre Joseph Cassar, responsabile del servizio dei Gesuiti per i rifugiati a Malta, sulle spiagge libiche sono stati recuperati una settantina di corpi. Dopo le tensioni di ieri è tranquilla stamani la situazione nella tendopoli di Manduria, mentre continua il dibattito politico sulla distribuzione dei migranti nelle Regioni. Domani il premier italiano Berlusconi sarà in Tunisia per discutere accordi con il governo.

    Intanto sono in molti tra le forze politiche a vedere nei rimpatri, forzati o dietro compenso, l’unica risposta alla situazione creatasi a Lampedusa. Per altri, come l’ex sottosegretario agli Esteri Mantovano, uscito dal governo proprio perché contrario a questa politica, una delle soluzioni sarebbe l’attuazione dell’articolo 20 della Bossi-Fini: ossia un permesso di soggiorno provvisorio di sei mesi. Francesca Sabatinelli ha intervistato Mara Tognetti, docente di politiche migratorie all’università di Milano Bicocca.

    R. – Le azioni che si possono e si debbono mettere in atto sono sia di tipo strategico ma anche immediate, e una delle prime soluzioni è quella – attraverso un provvedimento della Presidenza del Consiglio – di dare un permesso temporaneo a queste popolazioni. Consentirebbe non solo di dialogare con gli enti locali, ai livelli locali, quindi Regioni e Comuni; ma in particolare, consentirebbe di dialogare con l’Europa e in particolare con la Francia che è il partner che, oltre alla Tunisia, va assolutamente coinvolto nell’immediato. Infatti, esistono accordi bilaterali tra Francia ed Italia: un permesso temporaneo consentirebbe di bloccare tutti i respingimenti almeno per tre mesi, e consentirebbe anche una circolazione nel contesto europeo.

    D. – Ma questo permesso temporaneo, alla scadenza cosa comporterebbe?

    R. – Ovviamente, per alcuni potrebbe essere un re-ingresso nella clandestinità; per molti, invece, si tratterebbe di poter effettuare il ricongiungimento familiare e, cosa più importante, in questo lasso di tempo si possono mettere in atto iniziative a livello locale, che vanno nella linea di trovare strutture di accoglienza, ma che vanno anche nella direzione di sostenere con interventi specifici eventuali rientri.

    D. – La questione dei rimpatri sostenuti da un’elargizione economica a queste persone, secondo lei è una via percorribile?

    R. – Le risorse finanziarie servono, ma servono per compiere azioni e prendere misure concrete. Le politiche di rimpatrio, adottate anche da Paesi come la Spagna e la stessa Francia, mostrano che sono politiche che in parte vanno a soddisfare esigenze di alcune persone; non sono generalizzabili, perché naturalmente le aspirazioni di queste persone sono molto articolate. C’è chi vorrebbe, appunto, ricongiungersi con i propri familiari, c’è chi vorrebbe restare in Italia per svolgere un’attività lavorativa normale, c’è qualche componente che ha utilizzato questa fase particolare nel proprio Paese per lasciarsi alle spalle azioni criminali o condanne … Ci sono anche giovani che, probabilmente, vorrebbero e potrebbero investire nel Paese di origine. Una misura unica credo che andrebbe a tutelare un numero limitato di persone. (gf)

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    Presidenziali in Kazakhstan: favorito il capo dello Stato Nazarbaiev

    ◊   Il Kazakhstan si reca oggi alle urne per eleggere il capo dello Stato. Pronostici scontati per Nursultan Nazarbaiev, presidente in carica. Al voto non parteciperà l’opposizione che critica i vertici del vastissimo Paese ex sovietico per aver gestito in maniera irregolare l’organizzazione delle consultazioni. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Stefano Vergine, esperto di questo Paese:

    R. – C’è una cosa certa: vincerà ancora Nursultan Nazarbaiev, diventato presidente del Kazakhstan dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica. E’ rimasto presidente per tutti questi anni. Non c’è una reale opposizione nel Paese e per di più gli unici partiti di opposizione che ci sono in Kazakhstan hanno deciso di boicottare le elezioni proprio per contestare il modo in cui sono state affrontate. Le elezioni dovevano tenersi nel 2012. In realtà, Nazarbaiev, a fine gennaio, mentre la rivoluzione popolare tunisina si espandeva all’Egitto, ha deciso di anticiparle di un anno lasciando, di fatto, un paio di mesi a questi partiti di opposizione per realizzare una campagna elettorale. A questo punto i partiti di opposizione hanno deciso di boicottare il voto e sono scesi in piazza nelle ultime settimane: è un evento piuttosto insolito in Kazakhstan. Il regime di Nazarbaiev ha risposto con degli arresti e aumentando la censura su internet. Ci sono notizie degli ultimi giorni piuttosto preoccupanti che arrivano dal Kazakhstan, alla vigilia di queste elezioni.

    D. – Siamo in un momento in cui assistiamo a numerosi rivolgimenti contro regimi che governano da tantissimo tempo. Come viene vista in Kazakhstan la figura di questo presidente, carica più alta dello Stato da tantissimi anni?

    R. – E’ difficile che qualcuno si azzardi a dire che Nazarbaiev per qualche motivo non va più bene. Di fatto, è un regime dittatoriale. Questo è quello che si respira nell’aria, parlando con le persone, girando per il Paese. E’ molto difficile che qualcosa come quello che è avvenuto e sta avvenendo nei Paesi arabi coinvolga il Kazakhstan. Si tratta di un Paese a maggioranza musulmana ma che vive su parametri molto diversi rispetto a quelli del mondo arabo. E’ una nazione molto ricca anch’essa di gas e petrolio, però molto disabitata. Quindi, di fatto, queste notizie arrivano solo nei grandi centri, nelle grandi città. In generale, è un Paese rurale, molto povero, molto poco scolarizzato e non molto giovane. Ci sono caratteristiche della popolazione decisamente diverse rispetto a quelle del mondo arabo.

    D. – Il Kazakhstan, oggi: i rapporti con Mosca e i rapporti con il resto della comunità internazionale …

    R. – Il Kazakhstan è un Paese estremamente ricco, detiene nel suo sottosuolo il 3 per cento delle riserve mondiale di petrolio, ha moltissimo gas, è il primo produttore al mondo di uranio e ha tantissime materie prime, soprattutto nella parte centro-nord del Paese. Nazarbaiev ha adottato una politica particolare rispetto a quella dei suoi colleghi dell’Asia centrale: cioè, non è solo esclusivamente dipendente da Mosca. Il Kazakhstan è molto legato alla Russia, essendo un ex-Paese dell’Unione Sovietica; fa molti affari con la Russia e buona parte del gas viene venduto a Gazprom ma al contempo fa affari con tutte le multinazionali occidentali e in questo modo è un personaggio con cui tutti gli Stati occidentali devono fare i conti e finora è stato molto affidabile. Nessuno si è mai espresso negativamente nei suoi confronti. (bf)

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    Domani, elezioni politiche in Nigeria: test cruciale per l’intera Africa sub-sahariana

    ◊   Appuntamento con le urne, domani, in Nigeria per le elezioni politiche che aprono una settimana di consultazioni che culmineranno nelle presidenziali di sabato prossimo. Si tratta di un test cruciale per il Paese, dove in passato l’appuntamento con il voto è stato accompagnato da denunce di brogli e violenze. Uomini armati, probabilmente appartenenti ad un gruppo estremista islamico, hanno assaltato un commissariato nel nord del Paese. Sulle elezioni in Nigeria ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco il direttore del mensile delle Pontificie Opere Missionarie “Popoli e Missione”, padre Giulio Albanese:

    R. – Sicuramente queste elezioni possono segnare la svolta, non fosse altro perché c’è tanta gente di buona volontà, soprattutto nel contesto della società civile, che vuole imprimere un cambiamento. In questi ultimi due, tre anni c’è stata una situazione di stallo. Sta di fatto che è importante ricreare la coesione nazionale. Il tessuto sociale ha bisogno, in una maniera o nell’altra, di essere ricomposto.

    D. – Con 150 milioni di abitanti ed ingenti risorse naturali, la Nigeria avrebbe tutti i requisiti per beneficiare di un’economia prospera e ridurre la povertà. Quali sono gli attuali freni allo sviluppo della Nigeria?

    R. – Non dimentichiamolo: questo è un Paese che galleggia sul denaro, che potrebbe essere un vero e proprio “Eldorado”, ma dove l’un per cento della popolazione – le cosiddette classi dirigenti – detiene il 75 per cento della ricchezza nazionale. Il dramma della Nigeria è proprio questo: ha delle grandissime potenzialità ma gli appetiti stranieri, paradossalmente, rappresentano un fattore altamente destabilizzante. Non dimentichiamo poi un’altra questione: la corruzione. La logica, molte volte, è clientelare e questo, naturalmente, penalizza soprattutto i ceti meno abbienti, che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione.

    D. – Alla Nigeria, primo produttore di petrolio in Africa, sono affidate in parte anche le chiavi del motore del continente africano, lacerato oggi dagli scontri in Libia e dalla crisi ivoriana...

    R. – Il gigante nigeriano riveste un ruolo geo-strategico nel contesto più generale dell’Africa sub-sahariana. Il fatto che vi sia un governo forte ad Abuja è perciò importantissimo, non solo per le sorti e per il futuro di questa nazione ma anche – e soprattutto – per l’Africa subsahariana. Ad esempio, il fatto che in questi giorni si è riaperta, in maniera drammatica, la crisi ivoriana e che la Nigeria, da questo punto di vista, sia in una fase di transizione, in attesa di un prossimo presidente, certamente non ha giovato alle trattative negoziali tra Laurent Gbagbo, il presidente uscente ivoriano, e quello internazionalmente riconosciuto, Alassane Ouattara. C’è un’altra considerazione, a mio avviso, da fare: molte volte, quando si parla della Nigeria, si parla di questa nazione come se fosse una Repubblica islamica. Non dimentichiamo che è invece uno Stato federale. E’ vero che gli Stati del Nord hanno una tradizione fortemente islamica mentre quelli del Sud una tradizione animista e cristiana, però comunque lo Stato, in Nigeria, ha una sua laicità. Laicità che è sancita dalla Legge suprema dello Stato, dal dettato costituzionale. Questo cosa significa? Significa che anche i Paesi occidentali e le grandi potenze devono cercare, da questo punto di vista, di garantire l’equilibrio all’interno della nazione e di non rappresentare quella zizzania, quella gramigna che in questi anni molte volte ha invece sortito l’effetto opposto. (vv)

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    Incontro dei vescovi latinoamericani sulla famiglia: bene tanto prezioso, sovente minacciato nel mondo di oggi

    ◊   Si è svolto in questi giorni a Bogotà, in Colombia, l’incontro dei vescovi responsabili delle Commissioni episcopali della Famiglia e della Vita in America Latina e nei Caraibi. Per l’occasione, il Papa ha inviato un messaggio in cui ha sottolineato che di fronte agli attacchi che subisce oggi la famiglia, cellula fondamentale della società, “non possiamo rimanere indifferenti”. Sulla situazione familiare in America Latina, Alina Tufani ha intervistato mons. Carlo Simón Vázquez, sottosegretario del Pontificio Consiglio per la Famiglia:

    R. – Ci siamo accorti che in questo panorama del nostro mondo ci sono tantissime luci, in cui la famiglia ha assunto una dimensione veramente importante nella pastorale. Ci riempie di gioia vedere come la pastorale della famiglia sia diventata una priorità in America Latina. Tutti i programmi tendono innanzitutto alla formazione della famiglia, alla formazione delle coppie perché siano a loro volta esse stesse missionarie e apostoli in questo mondo: nelle parrocchie, nelle diverse comunità, nei movimenti … Stiamo vedendo una grande forza ed un grande ottimismo per l’evangelizzazione che il Papa ci ha spinto a fare in questo continente della speranza.

    D. – Sappiamo che l’Europa sta attraversando una crisi proprio nella difesa della famiglia e della vita. Si possono fare paragoni?

    R. – Ancora crediamo che ci sia un tessuto fortemente familiare nella società e nella cultura latinoamericane, ma certamente c’è il pericolo – a causa della globalizzazione – di fare progetti che tendano ad aggredire ed a ledere l’istituzione familiare. Pensiamo però che i pastori siano molto attenti a queste minacce che ci circondano e crediamo che proprio rafforzando l’identità cristiana, l’identità della famiglia essi riescano a proporre alle nuove generazioni la bellezza del progetto di Dio, la bellezza del matrimonio e la bellezza della famiglia che non hanno nessun paragone con altre forme di rapporti, con altre forme di convivenza. Infatti, la famiglia, il matrimonio non sono un’invenzione dell’uomo: sono un progetto di Dio. Crediamo quindi che Dio voglia innanzitutto il bene e la felicità degli uomini. Pertanto, riaffermare, proporre, annunciare, diffondere questa bella realtà, questa verità autentica che viene dal Signore penso che sia una sfida enorme e credo che qui, in America Latina, ci sia questo humus, questa radice profonda e che noi dobbiamo approfittare di questa grande fede che ancora c’è in questo vasto continente. (gf)

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    Chiesa e Società



    Domani, Giornata internazionale contro le mine: appello del segretario generale dell’Onu

    ◊   Un appello alla comunità internazionale per favorire lo sminamento perchè questa azione "salva vite umane e costituisce una fonte di occupazione, trasformando zone pericolose in terreni produttivi”. A lanciarlo il segretario generale dell'Onu, Ban-Ki-Moon, nel messaggio per la “Giornata internazionale per la sensibilizzazione sulle mine e l’assistenza nell’azione contro le mine”, che si terrà domani in tutto il mondo. “Lo sminamento”, ha ricordato Ban-Ki-Moon, “impedisce ad un’arma indiscriminata come la mina di causare danni anche molto tempo dopo la fine dei conflitti” e colloca la società “lungo un cammino di sicurezza duratura”. Il segretario generale traccia poi un bilancio delle attività delle Nazioni Unite in questo settore. “Centinaia di migliaia di persone hanno ricevuto un’educazione sui rischi legati alle mine” e, solamente in Afghanistan, “14.400 persone sono state impegnate nella distruzione di oltre un milione di residui bellici esplosivi”. Al fine di raggiungere gli “Obiettivi di sviluppo del Millennio”, ha affermato Ban-Ki-Moon, “le agenzie di sviluppo dell’Onu stanno cercando di collegare l’azione contro le mine con piani più ampi di sviluppo, in modo da promuovere le produzioni agricole, rafforzare le infrastrutture, migliorare l’approvvigionamento idrico e fornire una migliore istruzione e migliori servizi sanitari”. Il finanziamento dell’azione resta tuttavia insufficiente: “il complesso dei progetti per il 2011 si è assicurato solamente un quarto delle risorse necessarie, lasciando un divario di 367 milioni di dollari”. Una somma di certo significativa, ha aggiunto Ban-Ki-Moon, il cui costo è però di gran lunga superato dai benefici dovuti all’eliminazione del rischio esplosioni, alla creazione di una sensibilità condivisa e all’assistenza dei superstiti. In conclusione il segretario generale dell'Onu ha poi ringraziato i Paesi che hanno contribuito all’azione internazionale contro le mine e si è congratulato in particolare con “i 156 Stati che fanno parte della Convenzione per la proibizione dell’uso e dello stoccaggio di mine, con i 55 che hanno ratificato la Convenzione sulle bombe a grappolo, e con i 99 Stati che hanno ratificato la Convenzione per i diritti delle persone con disabilità”, auspicando l’adesione universale a questi importanti trattati. (M.R.)

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    I vescovi d'Inghilterra e Galles indicono una Conferenza sulla responsabilità sociale

    ◊   Riflettere sul contributo dei cattolici nell’ambito del sociale, alla luce degli attuali cambiamenti economici. Questo l’obiettivo della Conferenza indetta dai vescovi di Inghilterra e Galles sul tema “Costruire una nuova cultura della responsabilità sociale”. L’incontro è in programma per mercoledì prossimo, 6 aprile, a Londra e prevede gli interventi, tra gli altri, di mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, di mons. Peter Smith, arcivescovo di Southwark, di Helen O’Brien, direttore del Caritas Social Action Network, e di Christoph Petrik-Scweifer, segretario generale di Caritas Austria. La Conferenza è comunque aperta a tutti: “Sono invitati – informa una nota – i parlamentari di tutti i partiti politici, i rappresentati del governo locale, gli intellettuali, gli accademici, le agenzie cattoliche, i vescovi e gli esponenti di altre Chiese e di altre fedi”. Ciò che si vuole ottenere dalla Conferenza - spiega la nota - è “identificare le sfide e le opportunità per i cattolici di agire in ambito sociale, di fronte alle trasformazioni economiche attuali; esplorare nuovi modelli per l’impegno della Chiesa in questo settore ed identificare i modi più efficaci di collaborazione con il governo e con le altre religioni”. In quest’ottica, l’incontro del 6 aprile si presenta come “una risposta alla visita di Benedetto XVI nel Regno Unito”: lo scorso 17 settembre, infatti, parlando alla Westminster Hall, il Papa sottolineò come vi siano “molti campi in cui la Chiesa e le pubbliche autorità possono lavorare insieme per il bene dei cittadini (…) Affinché questa cooperazione sia possibile, le istituzioni religiose (…) devono essere libere di agire in accordo con i propri principi e le proprie specifiche convinzioni”. Concetti ribaditi dagli stessi vescovi inglesi in una nota del novembre 2010, in cui si scriveva che “la Chiesa non esiste a scopo personale, ma per la salvezza e la promozione dell’umanità” e in cui si ribadiva la necessità di cooperare con gli altri cristiani, le altre religioni e gli esponenti governativi “per aiutare lo sviluppo di una società più solidale, più corretta e più giusta”. (I.P.)

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    Egitto: un Paese al bivio della democrazia. L’opinione del patriarca dei Copti Naguib

    ◊   La mancata distinzione tra la sfera politica e quella religiosa rischia di far naufragare le speranze di rinnovamento dei fatti di piazza Tahrir ed aprire le porte al fondamentalismo in Egitto. E’ l’opinione del cardinale Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei Copti che, in un’intervista riportata da L’Osservatore Romano, si sofferma sul bivio di fronte al quale si trova l’Egitto dopo il referendum costituzionale del 19 marzo scorso: imboccare con decisione la strada della democrazia, civile e moderna oppure scivolare nella scarpata del fondamentalismo islamico. Una preoccupazione, sottolinea il porporato in una conversazione con Alan Holdren del Catholic News Agency, ben presente tra i padri sinodali che nell’ottobre scorso si riunirono in Vaticano per riflettere sulla presenza e sul futuro della Chiesa in Medio Oriente. Uno dei temi ricorrenti dell’incontro è stato infatti il riconoscimento della fondamentale importanza di un corretto rapporto tra religioni ed istituzioni civili, che consenta la protezione e l’esercizio delle libertà religiose e personali. Fu una “visione e una voce profetica”, poiché gli obiettivi originari del movimento che ha portato all’uscita di scena del regime trentennale del presidente Mubarak sono stati quelli della “democrazia, dello Stato civile, dell’uguaglianza, di uno Stato e di un ordine basati sulla parità dei diritti e dei doveri per tutti, sulla reale partecipazione di tutti, sul rinnovamento di governanti e autorità. Tutti elementi di un moderno Stato civile”.“Eppure tutto questo”, è l’allarme di Naguib, “ rischia di essere compromesso”, poiché l’Egitto si trova a dover scegliere se davvero intende essere una nazione nella quale prevalgano la libertà, gli eguali diritti e la democrazia. Tuttavia i segnali incoraggianti non mancano, come per esempio il 22% dei votanti al referendum che hanno sostenuto la completa revisione della Costituzione e la significativa partecipazione al voto di oltre il 40% della popolazione. Una partecipazione di massa senza precedenti per gli standard egiziani, che non sarebbe mai stata possibile nel precedente regime. Tuttavia, rileva il patriarca, il referendum “purtroppo è stato presentato in una luce religiosa”. E così “invece di parlare di scelte politiche e sociali”, una certa “corrente” ha letto la consultazione come una scelta a favore o contro l’islam. E questo, “per me e per molti ha falsificato l’orientamento del movimento per il cambiamento” dell’Egitto. Per questo, ha concluso il porporato, quelli che sperano in uno Stato democratico guardano al futuro con un “po’ di apprensione”. (M.R.)

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    Cina, il gruppo di formazione teologica di Shanghai celebra 15 anni di cammino

    ◊   Quindici anni di cammino e di formazione sono stati celebrati la settimana scorsa dal “Gruppo di studio teologico dei laici della diocesi di Shanghai”, in Cina. Presente all’incontro il vescovo della popolosa metropoli, Alloysius Jin Luxian, che, riporta l’agenzia Fides, ha firmato la copertina della raccolta dei testi che i laici del gruppo hanno pubblicato lungo i 15 anni di formazione teologica, intitolata “Parola di Dio, fonte della vita dei laici”. Il “Gruppo di studio" di Shanghai” è nato per iniziativa di una decina di fedeli, che hanno iniziato ad incontrarsi ogni mese per aggiornare e migliorare la propria formazione teologica. Il gruppo è composto da una trentina di persone che hanno acquisito così una formazione qualificata, grazie all’impegno e all’assistenza di vescovi, sacerdoti e teologi provenienti dall’estero. Molti anche i giovani. (M.R.)

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    Indonesia, raccolta fondi dei cattolici per curare i bisognosi

    ◊   Difficili interventi chirurgici sono stati possibili in questi giorni in Indonesia grazie all’impegno dei cattolici. Riferisce AsiaNews che nell’isola di Nias, nella provincia di Nord Sumatra, la suora francescana Klara Duha ha promosso e seguito di persona una raccolta fondi attraverso Facebook per reperire i soldi necessari all’operazione di Yarni Helawa, una donna affetta da “fistola retto-vaginale”. L’intervento è stato eseguito con successo, grazie anche alla solidarietà della dottoressa Linda Nurtjahja Wijasa, attivista per i diritti umani a Jakarta. “Come medico”, commenta, “sono personalmente chiamata a praticare amore e carità verso gli altri. Vorrei condividere amore e speranza, come siamo moralmente obbligati a fare in quanto cattolici”. La dottoressa ricorda il sostegno ricevuto dai colleghi degli ospedali cattolici Atma Jaya e Carolus e aggiunge: “mi ha toccato moltissimo l’interesse manifestato da dozzine di persone alla storia di Yarni Helawa. Il lavoro a favore dei più poveri di suor Klara Duha, invece, è iniziato nel 2002, quando ha saputo aiutare un padre musulmano “disperato” perché il figlio aveva bisogno di un intervento chirurgico urgente a Medan. Per trovare i soldi la religiosa avviò una campagna di raccolta fondi, sottolineando che l’opera di carità “non aveva nulla a che fare con il credo religioso” in un’ottica di proselitismo. Un secondo progetto umanitario riguarda invece Threes Rita, laica cattolica della parrocchia di San Giacomo a Kelapa Gadin, a nord della capitale, sostenuto con forza da padre Madya Utama, sacerdote gesuita e teologo, insieme a numerosi attivisti della città. Il loro impegno ha consentito di operare una donna affetta da tumore al seno in un ospedale cattolico di Surakarta, nello Java centrale. All’iniziativa hanno aderito diverse personalità cattoliche indonesiane, fra cui l’attivista Mieke, la dottoressa Irene Setiadi e il vescovo di Palangkaraya mons. Sutrisnaatmaka. Questi sono solo alcuni esempi dell’impegno del mondo cattolico indonesiano a favore delle persone indigenti e un segno di speranza per quanti non hanno accesso al sistema sanitario. E senza distinguere fra cristiani e musulmani, esso abbraccia fedeli di tutte le religioni (M.R.)

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    24 Ore nel Mondo



    Costa d’Avorio: violenti scontri ad Abidjan. Il segretario di Stato Usa Clinton chiede il ritiro di Gbagbo

    ◊   Continuano le tensioni in Costa d’Avorio, dove si combatte per la città di Abidjan. La capitale economica del Paese è uno degli ultimi bastioni dei sostenitori di Laurent Gbagbo, presidente uscente, che si rifiuta di lasciare il potere ad Alassane Ouattara, eletto a novembre e sostenuto dalla comunità internazionale. E mentre si moltiplicano gli appelli al ritiro di Gbagbo, la Francia aumenta il numero di truppe coinvolte. Il servizio di Michele Raviart.

    “Gbagbo deve ritirarsi immediatamente perché la sua resistenza sta portando il Paese all’anarchia”. E’ questa la richiesta del Segretario di Stato americano Hilary Clinton che si aggiunge alle proteste internazionali sulla situazione di stallo in Costa d’Avorio, dove l’ex presidente Laurent Gbagbo si rifiuta di lasciare il potere al nuovo presidente Alassane Ouattara. Un braccio di ferro che da tre giorni ha raggiunto Abdijan, capitale economica del Paese e ultima roccaforte dei seguaci di Gbagbo. L’ex-presidente, ormai isolato politicamente e militarmente, è apparso ieri sorridente alla Tv di Stato, che ha continuato a trasmettere appelli per formare uno “scudo umano” di civili attorno al palazzo presidenziale, presunto rifugio di Gbagbo. Intanto questa mattina truppe francesi hanno assunto il controllo dell’aeroporto di Abidjan mentre Parigi ha inviato altri trecento soldati di rinforzo alla sua missione di pace. I francesi opereranno in coordinamento con i caschi blu dell’Onuci a protezione degli oltre millecinquecento stranieri, perlopiù cittadini francesi, raggruppati nel campo militare di Port-Bouet a riparo dalle violenze.

    Yemen: polizia spara sui manifestanti, un morto a Taiz
    Ancora tensione nello Yemen, dove proseguono le manifestazioni antiregime. Almeno un morto e 100 feriti si registrano a Taiz, nel sud del Paese: qui la polizia ha sparato, caricato e lanciato gas lacrimogeni per disperdere una protesta contro il presidente Saleh. Decine di feriti anche nella capitale Sanaa, dove gli agenti hanno attaccato i manifestanti e 10 di loro hanno riportato ferite da arma da fuoco. Poco prima il leader yemenita aveva lanciato un appello ad interrompere le proteste.

    Siria: Assad incarica ex ministro agricoltura per nuovo governo
    Il presidente siriano, Bashar al Assad, ha dato incarico all'ex ministro dell'Agricoltura Adel Safar di formare un nuovo governo. Secondo l’agenzia di stampa locale Sana, il nuovo gabinetto di governo dovrebbe vedere la luce entro martedì.

    Scontri in Afghanistan: Obama condanna rogo Corano
    Centinaia di persone manifestano anche oggi in Afghanistan contro il rogo del Corano organizzato da un pastore integralista in Florida. Proteste e cortei sono in corso a Kandahar, nel sud, dove già si contano 1 morto e 16 feriti. Centinaia di studenti in piazza anche a Jalalabad, 150 km a Est di Kabul. Da venerdì scorso sono morte 18 persone, fra cui 7 dipendenti Onu a Mazar-i-Sharif, nel Nord del Paese. Il presidente Usa, Obama, ha condannato il rogo del Corano definendolo un gesto di “estrema intolleranza e settarismo”, tuttavia - ha ribadito il capo della Casa Bianca - “attaccare e uccidere persone innocenti come risposta è un atto scellerato e nessuna religione può tollerarlo”.

    Giappone: Fukushima, trovati i corpi dei due operai dispersi
    E’ ancora corsa contro il tempo in Giappone per fronteggiare l’allarme nucleare. Risulta essere fallito il tentativo di bloccare la falla dell’impianto danneggiato della centrale di Fukushima che sta riversando acqua contaminata nel mare. Qui è stata registrata una presenza di iodio radioattivo due volte superiore ai limiti consentiti anche a distanze di 40 chilometri dalla centrale. Oggi intanto sono stati trovati i corpi dei due operai di Fukushima dichiarati dispersi dopo l’incidente provocato dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo. Lo rende noto la Tepco, società che gestisce l’impianto.

    Iran: quattro guardie uccise in un attacco al confine con il Kurdistan
    Quattro guardie iraniane sono rimaste uccise ed altre cinque ferite da una granata lanciata contro la loro postazione nei pressi della città di Marivan, nella regione del Kurdistan al confine con l’Iraq. Lo ha reso noto la Tv pubblica iraniana specificando che sono stati almeno tre gli ordigni esplosi presso la postazione in cui gli agenti si trovavano. Nel Kurdistan iraniano operano i guerriglieri del Pjak, un gruppo secessionista affiliato al Pkk turco, gruppo in lotta contro Ankara per l’autonomia delle regioni sud-orientali della Turchia.

    Obama si ricandida, domani l’annuncio
    La prossima settimana Barack Obama dovrebbe sciogliere ogni riserva ed annunciare ufficialmente l’intenzione di ricandidarsi alla presidenza Usa nelle elezioni del prossimo anno. Lo hanno anticipato fonti del Partito democratico, stando alle quali già domani il capo della Casa Bianca potrebbe decidere di depositare la documentazione necessaria presso la Commissione elettorale federale e raccogliere fondi per avviare la campagna elettorale.

    Irlanda
    Un giovane poliziotto cattolico è rimasto ucciso ieri sera in Irlanda del Nord, in seguito all’esplosione di un ordigno piazzato sotto la sua vettura. L’attentato è avvenuto nell’area di Highfield Close ad Omagh. La città è stata teatro di scontri tra cattolici e protestanti nei tre decenni di violenza a cui hanno posto fine gli accordi del 1998. Nessun gruppo ha rivendicato finora l’attentato. Il premier britannico Cameron assicura: “gli autori di questo crimine malvagio e codardo non riusciranno a riportare l’Ulster indietro, ad un passato oscuro e sanguinoso”. (Panoramica internazionale a cura di Cecilia Seppia)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 93

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    Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Vera Viselli e Miriam Ayele.