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Sommario del 02/08/2011
Il Papa: i cristiani dell’Occidente ritrovino l’entusiasmo della loro fede
◊ “Perché i cristiani dell’Occidente, docili all’azione dello Spirito Santo, ritrovino la freschezza e l’entusiasmo della loro fede”: è questa l’intenzione missionaria di preghiera del Papa per il mese di agosto. Un tema, quello della nuova evangelizzazione dell’Occidente, particolarmente caro a Benedetto XVI che proprio per affrontare questa sfida dei nostri tempi ha voluto istituire un nuovo dicastero vaticano. Nel servizio di Alessandro Gisotti, proponiamo alcune riflessioni del Papa sull’importanza di una rinnovata evangelizzazione dell’Occidente:
In Occidente, c’è bisogno di nuovi evangelizzatori che diano rinnovato vigore all’annuncio del Vangelo: è l’esortazione più volte ripetuta in questi anni da Benedetto XVI, che fin da quando era cardinale ha messo l’accento sul pericolo dell’oscuramento di Dio dalle società di antica tradizione cristiana:
“La crisi che si sperimenta porta con sé i tratti dell’esclusione di Dio dalla vita delle persone, di una generalizzata indifferenza nei confronti della stessa fede cristiana, fino al tentativo di marginalizzarla dalla vita pubblica”. (Udienza al Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, 30 maggio 2011)
“Non è forse vero – ha avvertito il Papa – che l’Occidente, i Paesi centrali del cristianesimo sono stanchi della loro fede”, “non vogliono più conoscere la fede in Gesù Cristo”?:
“Abbiamo motivo di gridare in quest'ora a Dio: 'Non permettere che diventiamo un non-popolo! Fa' che ti riconosciamo di nuovo! Infatti, ci hai unti con il tuo amore, hai posto il tuo Spirito Santo su di noi. Fa' che la forza del tuo Spirito diventi nuovamente efficace in noi, affinché con gioia testimoniamo il tuo messaggio!'” (Messa crismale, 21 aprile 2011)
All’Università di Ratisbona, al Collège des Bernardins di Parigi, ancora a Westminster Hall a Londra, il Pontefice ha incoraggiato l’Europa e l’Occidente a non disperdere la ricchezza del suo patrimonio cristiano. Il Papa ripete con forza che, pur se i tempi sono cambiati radicalmente dagli albori del cristianesimo, la missione che fu degli Apostoli non è cambiata:
“La missione non è mutata, così come non devono mutare l’entusiasmo e il coraggio che mossero gli Apostoli e i primi discepoli. Lo Spirito Santo che li spinse ad aprire le porte del cenacolo, costituendoli evangelizzatori (cfr At 2,1-4), è lo stesso Spirito che muove oggi la Chiesa per un rinnovato annuncio di speranza agli uomini del nostro tempo”. (Udienza al Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, 30 maggio 2011)
Un appello che il Papa ha rinnovato, da ultimo, anche nel suo viaggio apostolico in Croazia, lo scorso giugno, quando alla società civile del Paese, prossimo all’ingresso nell’Unione europea, ha rammentato che, per sperare nel futuro, l’Europa non deve porre ai margini la fede e la coscienza morale, tra loro intrinsecamente legate:
“Se la coscienza, secondo il prevalente pensiero moderno, viene ridotta all’ambito del soggettivo, in cui si relegano la religione e la morale, la crisi dell’occidente non ha rimedio e l’Europa è destinata all’involuzione. Se invece la coscienza viene riscoperta quale luogo dell’ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità – che è la forza contro ogni dittatura – allora c’è speranza per il futuro”. (Discorso alla società civile croata, 5 giugno 2011).
◊ La Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato oggi un comunicato riguardo alle notizie riportate recentemente da alcune fonti di informazione in Croazia e in Italia, relative alla controversia tra la diocesi croata di Parenzo e Pola e il monastero benedettino di Praglia, in provincia di Padova, nell'Italia settentrionale. La nota sottolinea innanzitutto che la “questione è di natura propriamente ecclesiastica”. Di qui, il dispiacere che “sia stata strumentalizzata a fini che cercano di presentarla in chiave politica e demagogica, come se intendesse danneggiare la Croazia”. Invece, si legge nel comunicato, “la decisione della Santa Sede mira esclusivamente a ristabilire la giustizia dentro la Chiesa, peraltro con un risarcimento solo parziale”. Il provvedimento, spiega la Sala Stampa vaticana, “è stato adottato a conclusione di un confronto che la Santa Sede ha avviato fin dall’anno 2004 con la diocesi di Parenzo e Pola e il monastero benedettino di Praglia”. Il 21 novembre 2008, ricorda il comunicato, il Papa ha costituito un’apposita Commissione cardinalizia. Dopo la “scrupolosa ricerca di un accordo tra le due Parti”, si legge, “e di fronte ad alcune azioni unilaterali dell’autorità ecclesiastica di Parenzo e Pola, le conclusioni unanimemente raggiunte dalla Commissione sono state portate, nel dicembre 2010, alla conoscenza del Papa", che "le ha specificamente approvate”.
Con questa decisione, scrive la Sala Stampa vaticana, “si è disposto che le proprietà immobiliari interessate ancora in possesso della diocesi siano trasferite in capo all’ente croato Abbazia d.o.o. interamente partecipato dall’Abbazia di Praglia, ripristinando così, per quanto ad oggi possibile, la condizione determinata dalla volontà testamentaria del donatore originario che, a causa di vicissitudini storiche, per molti anni non è stata rispettata”. Inoltre, spiega il comunicato, “è stato richiesto alla diocesi di risarcire l’Abbazia di Praglia, a titolo di indennizzo per i beni che la diocesi ha previamente alienato o che comunque non sono restituibili”. La misura di tale indennizzo, specifica la Sala Stampa, “è da ritenersi meramente forfettaria, in quanto il valore dei beni già alienati dalla diocesi è di gran lunga superiore”.
Il vescovo di Parenzo e Pola, spiega ancora la nota, “dopo aver inizialmente accettato di negoziare con i benedettini al fine di giungere ad una soluzione intra-ecclesiale della controversia, purtroppo si è ritirato da tale posizione”. Essendosi “rifiutato di sottoscrivere la convenzione che avrebbe dovuto dare valore civile” alle disposizioni decise, il Papa è dovuto ricorrere alla nomina, il 6 luglio scorso, di mons. Santos Abril y Castelló come commissario “ad actum”, che per questa specifica questione sostituisse l’autorità ecclesiastica locale, “consentendo di raggiungere finalmente la soluzione della controversia anche attraverso un regolare atto notarile”. Le ragioni esposte dalla diocesi di Parenzo e Pola, evidenzia ancora il comunicato, “sono state sempre tenute in debita considerazione e recepite, secondo criteri di equità e di giustizia, nella decisione pontificia”. Per questo, conclude la nota, duole che “la decisione della Santa Sede venga contestata come se fosse di parte, o addirittura non avesse adeguato fondamento”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Un argine contro il baratro: in prima pagina, Ferdinando Cancelli sul vescovo Clemens August van Galen di fronte al massacro nazista dei malati di mente.
In rilievo, nell'informazione internazionale, il piano, che non convince, sul deficit statunitense.
Nel luogo del riposo dell'apostolo Filippo: in cultura, Francesco D'Andria, responsabile degli scavi, illustra la scoperta della tomba a Hierapolis.
L'olandese che voleva trasformare piazza San Pietro in un'enorme meridiana: il saggio di Roberto Valeriani nel catalogo della mostra, a Roma, "Vanitas. Lotto, Caravaggio, Guercino nella collezione Doria Pamphilj".
Mai da soli: Anna Foa sulla raccolta di saggi di Tzvetan Todorov dal 1983 al 2008.
Un articolo di Emilio Ranzato dal titolo "E se al cinema tornassimo a vedere soltanto un bel film?": lo spettatore sempre più tirato dentro la finzione.
Due ruote di libertà: Maria Maggi ricorda che 150 anni fa, a Parigi, Pierre Michaux inventava il pedale e realizzava così la prima bicicletta della storia.
Nell'informazione religiosa, un articolo dal titolo "Una violazione della libertà di coscienza": i vescovi degli Stati Uniti sulla somministrazione gratuita di farmaci abortivi.
La nuova evangelizzazione tra l'essere e il fare: nell'informazione vaticana, il cardinale Stanislaw Rylko sull'importante contributo dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità.
Attentato contro una chiesa di Kirkuk, l’arcivescovo Sako: porre fine a questa spirale di violenza
◊ Nuovo attacco contro la comunità cristiana irachena: stamani, un’autobomba è esplosa nei pressi della chiesa siro-cattolica della “Sacra Famiglia” a Kirkuk, provocando almeno 20 feriti e ingenti danni materiali. Tra i feriti anche bambini e una suora. Altre due bombe sono state disinnescate dalla polizia. E’ la prima volta che questa chiesa della città nord irachena viene presa di mira dai terroristi. Per una testimonianza su quanto accaduto, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente in Iraq l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako:
R. – Si tratta di una chiesa siro-cattolica, che si trova in un quartiere popolare e veramente molto povero. Alle 5.30 di stamani è esplosa un’autobomba accanto al muro della chiesa. Fra la chiesa e le case non c’è molta distanza… Tante case sono state distrutte e molte macchine sono state bruciate. Ci sono feriti... Sono andato a vedere la chiesa e a visitare i feriti nell’ospedale: i feriti sono cristiani e musulmani. E’ una cosa bruttissima.
D. – E’ molto grave anche perché quest’attentato avviene mentre inizia il mese del Ramadan…
R. – Sì, il Ramadan è un mese sacro per i nostri fratelli musulmani. E’ peccato uccidere persone innocenti ancor più durante questo mese e allora perché lo fanno? Non si sa! Ci sono altre maniere: se hanno delle richieste o dei diritti da rivendicare, ci sono altri modi oltre alle bombe e alle esplosioni!
D. – Quali sono le sue speranze, dopo questo ennesimo attentato, questa ennesima violenza diretta contro la comunità cristiana e non solo…
R. – Domenica, ho portato tanti medicinali negli ospedali della città ed ho scritto una lettera, dicendo che questo è un mese di preghiera, un mese di digiuno, un mese di conversione… Speriamo che questo sia l’ultimo atto di violenza! (mg)
La Camera Usa approva il piano per l'innalzamento del debito, scongiurato il rischio default
◊ Il rischio default è stato scongiurato dopo che nella notte la Camera Usa ha approvato il compromesso sul debito che prevede un aumento del tetto di 2.100 miliardi di dollari, associati a tagli della spesa di pari valore. Oggi l’ultimo voto al Senato. Il piano è stato approvato - al termine di una seduta fiume durata 11 ore - con 269 voti contro 161, e una nutrita pattuglia di oppositori sia democratici che repubblicani che si sono dissociati dall'indicazione dei partiti di votare sì. Il servizio di Elena Molinari:
La legge inaugura un’era di austerity fatta di tagli pesanti alle spese in un momento in cui l’economia è ancora debole. La misura ordina tagli alle spese per più di 900 miliardi di dollari in 10 anni e crea un comitato che identifichi altri risparmi per 1500 miliardi. Gli aumenti alle tasse per i più ricchi che Obama aveva posto come condizione irrinunciabile sono invece scomparsi dal testo. Intanto, la capacità degli Stati Uniti di emettere nuovi buoni del Tesoro verrà aumentata abbastanza per coprire il fabbisogno del governo fino alla fine del 2012. Ma gli economisti concordano che la nuova legge renderà il compito difficile perché gli Stati Uniti avrebbero dovuto attendere che l’impresa si solidificasse prima di avviare la riduzione del deficit.
L’impasse politica che ha portato gli Stati Uniti sull’orlo di una crisi economica ancora più grave dell’attuale ha suscitato molti malumori nell’opinione pubblica americana. Ora che l’accordo è stato raggiunto quali saranno le ricadute pratiche sulla vita quotidiana dei cittadini statunitensi. Stefano Leszczynski ha raccolto il commento di Paolo Mastrolilli, inviato del quotidiano "La Stampa" ed esperto di questioni americane:
R. – Le ricadute pratiche immediate sono che evitando il default, evitando l’insolvenza, non ci sarà il rischio che non vengano pagati i conti dello Stato, che lo Stato non emetta gli assegni che servono per pagare gli stipendi dei militari o i sussidi alla disoccupazione. Ora si tratta di vedere naturalmente se per le agenzie di rating questo è sufficiente per evitare il "downgrade" degli Stati Uniti. Poi, l’altro dibattito in corso tra gli economisti è se tale questione del debito era fondamentale per aiutare a salvare l’economia americana dal rischio di una nuova recessione e, comunque, di una crescita molto lenta, oppure se era una cosa inutile perché in realtà i provvedimenti necessari per favorire la ripresa, per favorire l’occupazione, sono altri e facendo tagli alle spese, che sono stati decisi appunto per diminuire il debito, si diminuisce il denaro in circolazione; si diminuiscono gli stimoli economici ad un Paese che in realtà è già al limite della recessione.
D. – Alla fin fine, l’impasse era nata in ambito parlamentare; come mai anche Obama ha subito le conseguenze di questa situazione, che non è stata affatto apprezzata dall’opinione pubblica?
R. – Perché il presidente degli Stati Uniti è il leader del Paese e quindi è vero che il dibattito avveniva a livello parlamentare ma la richiesta di alzare il tetto del debito veniva dal governo. In realtà questa non è stata una crisi economica: gli Stati uniti non hanno un debito fuori controllo e sono nella condizione di rispettare gli impegni che hanno preso con i loro creditori. C’è stata una crisi politica. Il "Tea party", la parte più estrema del partito repubblicano, ha sfidato direttamente il presidente e il partito democratico sul tema del debito e sul tema dell’economia. Ora il problema è capire se gli americani gli daranno la responsabilità, la colpa di questa crisi, oppure se riconosceranno in lui lo statista equilibrato, moderato e centrista che ha favorito la risoluzione.
D. - Si può dire che Obama ha salvato le riforme sociali che finora è riuscito a introdurre?
R. – In parte, perché i tagli che sono stati decisi non riguardano la sua riforma sanitaria e toccano solamente parzialmente i programmi sociali più cari ai democratici come il "Medicare" e la "Social security". Però all’interno del suo partito sta ricevendo critiche molto forti perché la sinistra del partito democratico - i liberal - lo critica: lo accusano di aver ceduto ai repubblicani, di aver dato ai repubblicani tutto quello che chiedevano senza ottenere nulla in cambio, cioè in sostanza l’aumento delle tasse, perché, secondo loro, era necessario che i ceti più ricchi del Paese contribuissero a risolvere questa crisi. (bf)
Don Vittorio Nozza: Caritas italiana in prima linea per aiutare le popolazioni del Corno d'Africa
◊ Si continua a lottare contro il tempo in tutto il Corno d’Africa, scosso dalla peggiore crisi umanitaria degli ultimi sessanta anni. Si stima che siano oltre 12 milioni le persone ad aver bisogno di aiuti urgenti. La Chiesa è in prima linea nell’affrontare questa emergenza umanitaria con il costante impegno di molteplici realtà missionarie e caritative. Verso quali ambiti, in particolare, sono orientati gli sforzi della rete Caritas? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a don Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana:
R. – Ci si è mossi in termini di primi interventi, che si cerca di concretizzare avendo già noi dei buoni legami con le Caritas nazionali diocesane dei territori interessati. Questo ha permesso già, in questa prima fase, di mettere le operatività in loco nella condizione di dare le prime risposte.
R. – Per affrontare la crisi nel Corno d’Africa è anche essenziale che gli aiuti siano mirati. C’è, in questo senso, un buon coordinamento tra tutte le realtà, compresa la Chiesa, impegnate proprio nell’assistere le popolazioni nel Corno d’Africa?
R. – Qui la difficoltà è veramente grande perché sono territori, purtroppo, segnati da violenza, da tutta una serie di situazioni che non facilitano, non danno velocità ai numerosi interventi che si dovrebbero mettere in atto. Nonostante questo, però, la rete che compone l’agire delle Caritas nel mondo fa sì che il legame costante permetta comunque di non disattendere i bisogni di queste persone, seppure in mezzo a questo tipo di difficoltà.
D. – Per rispondere all’accorato appello del Papa all’Angelus, “è vietato restare indifferenti davanti alla tragedia degli affamati e degli assetati”, bisogna poi aggiungere a questi sforzi della rete Caritas e della Chiesa anche quelli della comunità internazionale...
R. – Questa sussidiarietà, da parte della Chiesa, raggiunge il suo obiettivo nella misura in cui altre scelte, molto più incidenti sul tessuto di vita di queste persone, devono essere prese. Quindi, la solidarietà internazionale deve andare di pari passo poi con la sussidiarietà che le Chiese, le Caritas sanno mettere in atto in ogni contesto, soprattutto nelle grandi emergenze.
D. – Ma per quanto riguarda la comunità internazionale, quella del Corno d’Africa sembra ancora purtroppo una tragedia silenziosa, dimenticata anche da gran parte delle società occidentali, che sembrano più attente invece alla crisi economica, agli affari delle borse...
R. – L’indifferenza più che decennale manifestata nei confronti di queste nazioni, delle conflittualità che ormai quasi in maniera costante si perpetuano all’interno di questi territori, fanno sì che in questo contesto attuale la gravità della crisi finanziaria porti l’attenzione altrove. Di conseguenza, queste popolazioni rischiano di essere doppiamente vittime, perché i grandi del mondo, le nazioni che hanno in atto questa crisi economico-finanziaria, dimenticano che c’è qualcuno che sta in condizioni veramente disumane.
D. – Non restano invece indifferenti la Chiesa e la Caritas. La Conferenza episcopale italiana, che a metà luglio ha stanziato un milione di euro di fondi, ha indetto una colletta nazionale per domenica 18 settembre...
R. – L’aggancio al 18 settembre con questa colletta in tutte le Chiese diocesane in Italia, in tutte le parrocchie, deve diventare un momento veramente di grande solidarietà, anche perché saremo il 18 settembre ad una settimana dalla chiusura del Congresso eucaristico di Ancona-Osimo, Congresso eucaristico che ha come tema proprio ‘”L’Eucaristia, pane per la vita quotidiana”. E sarebbe un ottimo modo di tradurre nella concretezza il cibo che riceviamo come gratuità di Dio, tradurlo in questo gesto di grande solidarietà. (ap)
◊ Si è festeggiato ieri il primo anniversario della Convenzione sulle munizioni cluster, cosiddette ‘bombe a grappolo’, in vigore dal primo agosto 2010. Nell’occasione, la Campagna italiana contro le mine ha sollecitato gli Stati che non hanno aderito al Trattato di farlo quanto prima. Roberta Gisotti ha intervistato il direttore dell’Ong, Giuseppe Schiavello:
R. – Questa seconda Convenzione sulle armi con effetti indiscriminati – la prima, ricordo, è stata quella delle mine antipersona - rinnova ciò che era stato già avallato: le armi indiscriminate vanno messe al bando. Parliamo di quelle armi che colpiscono soprattutto popolazione inerte, che subisce oltre alla guerra anche, e successivamente alla fine del conflitto, il problema degli ordigni inesplosi, che causano spesso morti e mutilazioni tra i civili.
D. – Quanti Paesi hanno finora aderito alla Convenzione?
R. – Sono 109 che l’hanno sottoscritta, di cui 59 sono già Stati parte, nel senso che hanno ratificato questa Convenzione con una legge nazionale, depositando poi questo strumento al Segretariato delle Nazioni Unite.
D. – Dottor Schiavello, quali risultati ad oggi?
R. – Sicuramente fermare quella che era un’emergenza umanitaria annunciata: erano più di 20 i Paesi già afflitti dal problema delle ‘cluster bomb’ inesplose, che rimanevano in grandissima percentuale sul terreno.
D. – Ma si ha prova che queste bombe a grappolo sono tuttora prodotte, vendute ed utilizzate…
R. – Ci sono ovviamente una serie di Paesi che le hanno nei propri arsenali ed alcuni di questi non hanno aderito e quindi di conseguenza potrebbero riservarsi il diritto di utilizzarle. E’ avvenuto in Georgia, è avvenuto in Libia da parte di Gheddafi, che ha utilizzato le bombe a grappolo su Misurata. Come è già accaduto per le mine antipersona, però, anche gli Stati che non aderiscono andranno incontro ad una stigmatizzazione internazionale, per cui ci sarà una condanna morale dell’uso di queste armi tale da bloccarne comunque l’utilizzo e il commercio. E’ stato così anche per le mine antipersona. Ricordo che dei grandi Stati non avevano aderito e molti dei detrattori di queste Convenzioni internazionali sul disarmo umanitario dicevano: “Se non aderiscono questi Paesi non si riuscirà ad impedire l’uso e la produzione di questi ordigni”. Invece si è dimostrato esattamente il contrario, perché anche gli Stati che non avevano sottoscritto e ratificato si sentivano e si sentono sotto la lente di ingrandimento del giudizio diplomatico internazionale ed anche della società civile interna al proprio Paese, che non vuole essere comunque corresponsabile di stragi di civili.
D. – L’Italia, sappiamo, ha ratificato lo scorso mese la Convenzione, ma si aspettano altri passi importanti da un Disegno di Legge in attesa di essere discusso. Di cosa si tratta?
R. – Si tratta di un Disegno di Legge che riguarda il finanziamento da parte di banche, di società di intermediazione, di fondi pensioni, ecc. verso aziende che anche all’estero producono ordigni messi al bando dai Trattati internazionali. Le banche italiane in questo momento non sono coinvolte e quindi di fatto non hanno motivo di ritenersi colpite da un Disegno di Legge che soprattutto sancisce una questione di principio. E’ però un fatto importante, perché è una prima legge che affronta la tematica del finanziamento e del supporto ad aziende – anche straniere – che in qualche modo non si attengono a dettami internazionali, che magari il proprio Paese non ha ratificato.
D. – Dottor Schiavelllo, dunque è importante avere queste Convenzioni così come mobilitare l’opinione pubblica per supportarle?
R. – Assolutamente. Queste Convenzioni sono state raggiunte grazie alla mobilitazione dell’opinione pubblica e anche alla sensibilità di diversi parlamentari – devo dire – in senso trasversale, che hanno voluto recepire quelle che erano le istanze della società civile. (mg)
◊ "Lo Spirito Santo apra il cuore e la mente di ognuno di noi all’incontro con la misericordia di Dio, come ha chiesto San Francesco". Con questa esortazione si è aperta questa mattina, nella Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli, la celebrazione del Perdono di Assisi, che vede la presenza dei vescovi provenienti dalle diocesi dell’Umbria, come segno di comunione con la Chiesa universale. Il servizio da Assisi di Alessandra De Gaetano:
Nell’omelia, mons. Domenico Cancian, vescovo di Città di Castello, ha sottolineato che “il Perdono di Assisi è un dono della sapienza divina, frutto benedetto del Verbo di Dio e dello Spirito del Signore”. Dopo aver invitato i fedeli ad accogliere questo dono con gratitudine, mons. Cancian ha poi richiamato il passo del Vangelo in cui l’annuncio dell’Angelo a Maria è esperienza di straordinaria ed unica grazia, esempio ottimale di accoglienza piena della stessa grazia. Come Maria – ha esortato il presule - siamo chiamati a fare esperienza dell’amore ineffabile del Padre. Dio ha mandato suo Figlio, nato da donna perché anche gli uomini potessero diventare figli suoi, accolti nel suo grembo. L’incarnazione del Verbo in Maria si incarna in ogni uomo che si rende disponibile ad accogliere la grazia di Dio. Anche Francesco – ha ricordato il presule – è, come Maria, mediatore di misericordia per tutti, una misericordia globale, superiore a tutte le miserie umane capace di rinnovare i nostri cuori e ridare speranza certa al mondo, ancora contraddittorio a causa del peccato che abita in ciascuno di noi. Ed è qui, nella Porziuncola, porta sempre aperta, simbolo della porta del cielo, che oggi risuona ancora il grido di Francesco, il suo auspicio che tutti noi pellegrini saliamo in Paradiso. Mons. Cancian, richiamando lo spirito di Assisi e la Solennità del Perdono, ha esortato a cambiare il nostro cuore e a diventare, come San Francesco, mediatori di misericordia.
Nel primo pomeriggio giungeranno, nella Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli, i partecipanti alla XXXI Marcia Francescana intitolata “Le vie del cuore”. Su questa iniziativa, che si concluderà il prossimo 4 agosto, il servizio di Alessandra De Gaetano:
Un viaggio a tappe, fisico e spirituale, alla ricerca del cuore come dono di Dio. Un passo ritmato che percorre le salite e le discese del cammino, dove la fatica e le difficoltà si fanno veicolo della Parola di Dio, capace di trasformare il cuore di pietra in cuore di carne. Ma quali sono le finalità di questa iniziativa? Ascoltiamo padre Francesco Piloni, responsabile della pastorale giovanile e vocazionale della provincia dei Frati Minori dell’Umbria:
“E’ un’iniziativa dei Frati Minori d’Italia e si è deciso di proporla in modo forte e deciso ai giovani di oggi, ai giovani dei nostri tempi. E’ un’iniziativa che trova sempre largo consenso nei giovani che hanno il desiderio di camminare, di cercare ancora sulla strada il senso, il significato dell’essere essenziali nella vita, il desiderio di cercare nei passi, nel cammino, anche l’interiorità. La marcia diventa allora non solo un camminare fisico ma anche un viaggio interiore nella scoperta della posizione del proprio cuore, della propria vita, delle proprie scelte, dei propri desideri”.
Ma che significa vivere questa esperienza? Ascoltiamo le testimonianze di alcuni marciatori:
“Sicuramente l’inizio di un’operazione che dovrebbe trasformare il mio cuore da un cuore di pietra in un cuore di carne e avere la consapevolezza di un Dio che è Padre e che non permette che i miei errori abbiano l’ultima parola sulla mia vita, che non permette che i miei sbagli mi segnino così tanto da non farmi rialzare. Questo l’ho sperimentato nelle salite, sotto il sole, quando l’acqua mancava. Questa è una marcia in cui la fede la senti in tutto il corpo. Tornare sarà anche un po’ un trasmettere questo, l’aver scoperto questo: che devo cominciare a testimoniarlo con la mia vita”.
“La marcia è faticosa, è un cammino di sali e scendi e la fatica non è solo fisica ma anche spirituale, cioè quella di scoprire un cuore che è un cuore turbolento, che è un cuore che ha desideri grandi ma che, nello stesso tempo, fa grandi fatiche e ha grandi dolori e grandi ferite. Torno a casa felice. Torno a casa da un incontro con il Padre. Finalmente mi scopro figlia, finalmente posso trovare un padre che mi segue nella mia vita, che pensa bene di me e che mi dona tanto. Torno con un grande dono dello spirito e con la consapevolezza che avrò una vita nuova e un desiderio grande che si avvera, quello di un cuore nuovo, trasformato".
Per chi ha già ha fatto in anni passati la marcia, una nuova occasione di crescita è quella di dedicarsi al servizio come ha fatto Gianluca:
“Fare questo tipo di servizio è bellissimo perché vedi negli occhi dei marciatori, all’arrivo, tutta la loro fatica ma anche la loro voglia di andare avanti, di scoprire questo Gesù che esiste, che è vivo, che è in mezzo a noi”. (bf)
A Rimini, il Convegno dell'associazione Ai.Bi. impegnata nella lotta all'abbandono dei minori
◊ Al via, a Monte Colombo in provincia di Rimini, la XX Settimana delle Famiglie dell’associazione Ai.Bi., Amici dei Bambini, associazione che da 25 anni lotta contro l’emergenza dell’abbandono minorile. Il convegno rappresenta l’occasione per fare il punto della situazione sull’accoglienza con particolare riguardo alle adozioni internazionali. Camilla Spinelli ha intervistato Marco Griffini, presidente dell’Ai.Bi.
R. – Quest’estate, in modo particolare, il tema è dedicato alla figura di Mosè. Per noi, Mosè, è l’uomo che conduce la battaglia contro l’ingiustizia per salvare un popolo di schiavi. E il popolo degli schiavi sono i milioni e milioni di bambini abbandonati in giro per il mondo. Qui si inserisce il Convegno internazionale, dove abbiamo invitato tutti coloro che sono stati toccati dall’abbandono: i minori adottati, i ragazzi presi in affido e i “care leaver”, cioè quei ragazzi che non sono stati mai purtroppo in una famiglia e che hanno vissuto anni ed anni in istituto e poi lo hanno lasciato. Per la prima volta, in questo Convegno, noi vogliamo che siano i figli, che siano i ragazzi ad interrogarsi su questa prospettiva dell’abbandono, perché se un figlio adottato comincia ad adottare a sua volta, se un ragazzo che è stato preso in affido, una volta diventato adulto prende in affido a sua volta, se un ragazzo che ha conosciuto dieci anni di istituto incomincia a lottare contro l’abbandono, noi crediamo si inneschi questa "reazione atomica" della giustizia che, come ogni reazione atomica, è destinata a non fermarsi mai.
D. – I minori fuori famiglia in tutto il mondo sono passati dai 145 milioni del 2004 ai 163 milioni di quest’anno...
R. – Sì, è un dato impressionante! Ma quello che impressiona non sono tanto i 160 milioni, ma la progressione, l’aumento. Questi milioni di minori abbandonati sono distribuiti in tutti i Paesi del mondo, perché questa è una delle caratteristiche di questa piaga, di questa emergenza umanitaria, che a differenza delle altre emergenze, tipo la fame, la guerra, la malattia, non colpisce i Paesi poveri, ma colpisce tutti i Paesi.
D. – L’adozione è un percorso difficile, in cui bisogna investire tempo, denaro, e che prevede anche ostacoli di carattere burocratico...
R. – Riprenderemo la battaglia per la totale gratuità di questo atto di accoglienza. Purtroppo c'è una cultura che è contraria all’adozione internazionale e viene intesa, non tanto come un diritto del minore, ma come una possibilità di una coppia che non ha figli di accogliere figli. Allora qui occorre promuovere un altro tipo di cultura, anche perché l’adozione internazionale è forse il più grande atto di giustizia che una famiglia possa mai compiere nella propria vita. (ap)
Filippine: oltre 70 morti per il passaggio di un tifone
◊ Porta il nome di un bel fiore originario del Laos, ma la sua è una forza di morte: Nock-ten è il decimo tifone tropicale che quest’anno ha colpito le Filippine, causando smottamenti e inondazioni, oltre a 70 vittime accertate, almeno fino ad ora. Il bilancio è stato rivisto verso l’alto dopo il ritrovamento dei corpi di due bambini sepolti da una slavina nell’isola centrale di Bohol e di altri 14 morti. Le operazioni di soccorso, in atto soprattutto nella capitale Manila, sono ostacolate dal traffico intenso in uscita dalla città, ma complessivamente sono state tratte in salvo 178 persone a bordo di un’imbarcazione al largo di Iloilo, regione del Visayas occidentale, mentre 17 sarebbero ancora i dispersi. Il governo, riferisce AsiaNews, ha disposto la chiusura di scuole ed edifici pubblici anche in previsione di una nuova tempesta tropicale, denominata Muifa, che sarebbe in arrivo e che per ora è localizzata al largo della costa occidentale di Luzon. (R.B.)
A Varsavia concluso l’incontro tra la presidenza polacca dell’Ue e la Comece
◊ Convivenza tra i popoli, cambiamenti demografici e carestia in Africa: sono stati questi i temi trattati nell’incontro del 28 luglio scorso a Varsavia tra la Comece, Commissione degli episcopati della Comunità europea, e le autorità della Polonia, presidente di turno dell’Unione europea. Il primo argomento, affrontato con il ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorsi, è stato il partenariato con i Paesi orientali, obiettivo da raggiungere anche intensificando l’integrazione politica ed economica, e che ricade nell’ambito del tema più vasto della riconciliazione tra i popoli, alla luce anche delle persecuzioni che i cristiani subiscono in molti Paesi del mondo. A questo proposito la Conferenza episcopale polacca sta preparando una dichiarazione di riconciliazione con la Chiesa ortodossa russa e la Comece è stata invitata ufficialmente a partecipare in qualità di osservatore al secondo Summit sul partenariato orientale che si terrà a settembre a Varsavia. Quanto ai cambiamenti demografici, la presidenza polacca si è impegnata a migliorare le politiche familiari nel continente e in particolare si è discusso del riposo domenicale, a proposito del quale è stata lanciata l’iniziativa dell’Alleanza europea per la Domenica, finalizzata a tutelare il giorno del riposo dei lavoratori, con un’attenzione particolare alla loro salute e all’equilibrio familiare. L’Ue, infine, ha aderito all’Anno europeo del Volontariato e in merito alla carestia nel Corno d’Africa ha presentato il progetto “Domenica della solidarietà” da organizzare in Polonia in collaborazione con la Caritas. (R.B.)
La denuncia del vescovo sudanese di El Obeid: in atto pulizia etnica sui Monti Nuba
◊ “Sui Monti Nuba è in atto una vera e propria pulizia etnica”. A denunciarlo all’agenzia Cisa è mons. Macram Max Gassis, vescovo di El Obeid nel Sudan nord-orientale. Durante una Messa a Nairobi in ricordo di mons. Cesare Mazzolari, il compianto vescovo di Rumbek scomparso lo scorso 16 luglio, il presule ha invitato a pregare per le popolazioni Nuba e ha esortato i media a dare più spazio a quanto sta accadendo nella regione. Nell’area di frontiera ancora contesa tra Nord e Sud Sudan proseguono, infatti, gli attacchi delle truppe governative nord sudanesi. Le vere vittime dei bombardamenti sono le popolazioni civili locali che continuano a fuggire dall’area. “Dicono di combattere contro l’esercito di liberazione del popolo sudanese protagonista della passata guerra civile in Sudan (Spla), ma non c’è nessuno Spla: sono i civili che vengono uccisi e tra loro persone vulnerabili come i bambini, le donne e gli anziati”, ha denunciato mons. Gassis. Secondo il presule, dopo l’indipendenza del Sud Sudan, Khartoum non è disposta a rinunciare ai Monti Nuba, Abyei, al Darfur e alla regione del Nilo Blu, ricche di materie prime preziose a cominciare dal petrolio. Di pulizia etnica parla anche John Ashworth, consulente del Sudan Ecumenical Forum secondo il quale l’unica soluzione è un radicale cambiamento della dirigenza politica nel Nord Sudan. Ashworth ha anche confermato che dopo l’indipendenza del Sud la situazione dei sud sudanesi residenti nel Nord è sempre più precaria e che anche la presenza della Chiesa è in pericolo, dal momento che la maggioranza dei leader religiosi cristiani sono originari del Sud. (L.Z.)
Usa: i fedeli difendono la "Croce di Ground Zero" dalle critiche di un gruppo di atei
◊ “La croce è simbolo di consolazione e di conforto per coloro che hanno perso i propri cari, ma è stata anche speranza e sostegno per i sopravvissuti e specialmente per coloro che sono stati impegnati nei soccorsi, per i vigili del fuoco, per i poliziotti e per gli operai addetti alla ricostruzione e per molti altri”. Così, padre Brian Jordan, religioso francescano, risponde alla denuncia portata avanti dall’associazione che promuove la difesa dei diritti degli atei degli Stati Uniti, l’American Atheist, contro la World Trade Center Cross, la croce alta sei metri che la comunità cristiana di New York ha voluto trasferire presso il National September 11 Memorial and Museum a partire dal prossimo anno. La croce “promuove il cristianesimo al di sopra delle altre religioni”, mentre “l’11 settembre non ha nulla a che fare con la cristianità”, questa la motivazione della denuncia, secondo il presidente degli atei, Dave Silverman. Intanto, però, riferisce L'Osservatore Romano, migliaia di persone si fermano davanti alla croce per un momento di preghiera o di raccoglimento e in sua difesa si è mossa anche l’organizzazione cristiana American Center for Law and Justice, attiva in favore della libertà religiosa nel mondo, secondo la quale la questione, da un punto di vista legale, “è profondamente viziata e priva di merito”. Il presidente del Museo, Joe Daniels, è intervenuto dicendo che la croce “rappresenterà una parte importante dell’impegno nel raccontare la storia dell’11 settembre come nient’altro potrebbe fare”. La norma che secondo gli atei sarebbe in questo modo violata sarebbe contenuta in una legge sui diritti civili in vigore a New York e rappresenterebbe anche una violazione alla Costituzione degli Usa: essendo il museo realizzato con fondi pubblici, non può ospitare il simbolo di una sola religione. (R.B.)
L’etica al centro del confronto del Segretariato attività ecumeniche
◊ Per un’intera settimana si sono riuniti a Chianciano Terme e hanno analizzato le differenze nel campo dell’etica esistenti tra le diverse confessioni, i rappresentanti di diverse denominazioni cristiane, gli esponenti del mondo ebraico e di quello musulmano che hanno dato vita alla 48.ma sessione di formazione estiva del Segretariato attività ecumeniche. Il frutto fondamentale dell’incontro, secondo quanto riportato dall’Osservatore Romano, è stato evidenziato da Simone Morandini del Comitato esecutivo del Segretariato e docente presso l’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia e consiste nel cambiare la visione delle differenze in materia di etica, passando dal considerarle problemi a viverle come stimoli al confronto. Il sacerdote ortodosso russo Vladimir Zelinsky, ad esempio, ha individuato nei temi specifici della morale sessuale la principale differenza con le comunità ecclesiali occidentali: “In Occidente c’è uno sguardo più attento alla centralità del soggetto umano – ha detto – mentre l’ortodossia privilegia una visione dell’uomo spirituale”. Il pastore valdese Letizia Tomassone ha, invece, posto l’accento sull’attenzione alla dimensione comunitaria, al discernimento morale e al radicamento biblico dell’etica protestante; il francescano Giuseppe Quaranta della facoltà teologica del Triveneto, infine, ha sottolineato come la teologia cattolica stia vivendo un periodo, quello del rinnovamento postconciliare, ancora incompiuto. (R.B.)
Romania: la città di Bucarest dedica un busto al Beato Giovanni Paolo II
◊ A tre mesi esatti dalla sua Beatificazione, e nell’anno in cui ricorre il decennale della sua storica visita in Romania (nel maggio 1999, su invito del Patriarca Teoctist), la città di Bucarest ha dedicato un busto a Giovanni Paolo II, che è stato scoperto ieri. Il busto si trova in piazza Costantino Stahi, nei pressi della Nunziatura apostolica che ha promosso l’iniziativa assieme al sindaco, Sorin Oprescu. A guidare la cerimonia di inaugurazione, l’arcivescovo metropolita di Bucarest, mons. Ioan Robu, che ha invocato la benedizione del Signore su questo monumento che la Romania, il “giardino della Madre di Dio”, come la definì Papa Wojtyla, ha dedicato al Beato, che era “buon amico della Romania, di questa nazione antica, ricca di storia e di cultura”, come ha sottolineato il nunzio apostolico, l’arcivescovo Francisco Javier Lozano, intervenuto alla cerimonia, alla quale erano presenti anche il vescovo ausiliare di Bucarest, Cornel Damian e il vescovo greco-cattolico vicario della città, Mihai Frătilă. (R.B.)
Costa Rica: festa di Nuestra Seňora de Los Ángeles e chiusura dell’Anno giubilare mariano
◊ Entrano nel vivo oggi a Cartago, in Costa Rica, le celebrazioni per il 375.mo anniversario del ritrovamento dell’immagine di Nuestra Seňora de Los Ángeles, Patrona del Paese. Ogni anno circa due milioni di costaricani, più o meno la metà della popolazione, si reca in pellegrinaggio nella Basilica, eretta nel 1912 su una cappella precedente, dedicata alla Vergine degli Angeli, nella quale entrano in ginocchio, per chiedere di essere aiutati nel lavoro o nella malattia o semplicemente per rendere grazie. Se il clou delle celebrazioni è il 2 agosto, però, il pellegrinaggio, affrontato a piedi oppure da qualcuno anche a cavallo o in bicicletta, inizia molto prima per raggiungere in tempo “La Negrita”, come i fedeli chiamano affettuosamente l’immagine mariana con il Bambino che l’indigena Juana Pereira trovò nel 1635 a Puebla de Los Pardos, nei pressi di Cartago, città a 20 miglia a Est della capitale San José, eretta diocesi nel 2005 da Benedetto XVI e da allora guidata da mons. José Francisco Ulloa Rojas. Ieri, tra i pellegrini giunti sul posto, anche il presidente del Paese, Laura Chinchilla, mentre è prevista per oggi la solenne celebrazione presieduta dall’arcivescovo di Monterrey, cardinale Francisco Robles Ortega, inviato speciale del Santo Padre. Quest’anno, inoltre, c’è un’occasione in più per andare a venerare la Madonna degli Angeli: la chiusura dell’Anno Santo giubilare mariano avviato il 18 luglio del 2010 con l’apertura della Porta Santa. Nel corso di tutto l’anno, all’insegna del motto scelto “Sempre sotto la tua protezione”, si sono svolti momenti di preghiera, novene, liturgie e pellegrinaggi: un tempo di grazia e rinnovamento per tutto il popolo di Dio residente in Costa Rica. (A cura di Roberta Barbi)
Bangladesh: la Chiesa in prima linea nella difesa delle donne dalla violenza domestica
◊ Riconciliare le coppie sposate, contribuire a rafforzare la vita familiare, combattere i casi di divorzio e di violenza domestica: sono stati questi gli obiettivi del seminario svoltosi a Dhaka, in Bangladesh, nei giorni scorsi. L’evento è stato voluto dalla Chiesa bengalese, specificamente dalla Commissione episcopale per la Vita familiare, ed è stato rivolto a tutti gli operatori del settore. All’origine del convegno, la drammatica realtà di un Paese in cui l’istituzione del matrimonio sembra essere sempre più in crisi, soprattutto a causa di omicidi o suicidi perpetrati tra le mura domestiche. Più di 70 consiglieri familiari hanno partecipato al seminario. “Almeno il 25% delle tragedie familiari – ha detto Sandhya Persi, tra i presenti – è dovuto a crisi di gelosia e tossicodipendenza”. “Per affrontare al meglio questi problemi – ha ribadito padre David Gomes, segretario della Commissione episcopale – abbiamo esortato i consiglieri familiari a diventare innanzitutto buoni ascoltatori delle coppie in crisi, offrendo, poi, soluzioni concrete. L’attenzione e l’efficienza, in questo ambito, sono fondamentali”. Secondo gli ultimi dati resi noti nel marzo scorso dall'organizzazione umanitaria “Odhikar”, in occasione della Giornata internazionale delle Donne, almeno 1257 donne sono state uccise in Bangladesh negli ultimi sei anni per il mancato pagamento della dote matrimoniale. Inoltre, fra il gennaio 2005 e il dicembre 2010, altre 243 donne si sono suicidate non potendo sopportare i maltrattamenti cui venivano sottoposte fra le mura domestiche, mentre 348 sono decedute proprio a causa di tali violenze. Sempre nei sei anni presi in considerazione, Odhikar ha riscontrato 526 donne sfigurate con l’acido e oltre 3400 violentate. (I.P.)
A Palermo, fiaccolata dell’arcidiocesi a sostegno di operai e disoccupati
◊ Il lavoro e nient’altro: questa la richiesta dei lavoratori che ieri sera hanno dato vita a un corteo che, dal centro di Palermo, ha raggiunto i cancelli della Fincantieri. Una fiaccolata in segno di solidarietà alle tante famiglie dei dipendenti della Fincantieri, delle tute blu della Fiat di Termini Imerese, di coloro che rischiano di perdere l’occupazione, e ancora per i tanti lavoratori già in cassa integrazione, per i negozianti che rischiano di chiudere e per tutte le povertà originate dalla mancanza di lavoro. In centinaia, ieri sera, hanno preso parte al silenzioso corteo organizzato dall’arcidiocesi palermitana e dalle parrocchie dei quartieri Montepellegrino, Arenella e Vergine Maria, con l’adesione delle parrocchie di Borgo Vecchio e Piazza Croci. Padre Giuseppe Turco, della chiesa Nostra Signora della Consolazione in via dei Cantieri, spiega che nell’ultimo anno “sono raddoppiate le famiglie che si trovano al di sotto della soglia di povertà: l’anno scorso – ha detto - si rivolgevano alla mia parrocchia 90 famiglie, adesso sono 195”. A sfilare al fianco delle tute blu anche mogli e bambini, madri di famiglia che raccontano di non riuscire più a pagare le rate del mutuo: c’è chi ha rinunciato all’auto perché non riesce a pagare l’assicurazione; chi non riesce a comprare un paio di scarpe nuove per il figlio; chi non riesce a comprare neppure il pane. “L’arcivescovo – ha aggiunto padre Turco, portando il saluto del cardinale Paolo Romeo – mi ha detto che condivide questa iniziativa delle parrocchie e si muoverà perché venga assicurata serenità a queste famiglie. Le invita, altresì, a non lasciarsi prendere dalla disperazione”. (A cura di Alessandra Zaffiro)
Siria: l'Italia richiama l'ambasciatore, prosegue la riunione del Consiglio di Sicurezza
◊ L'Italia ha richiamato l'ambasciatore in Siria “di fronte all'orribile repressione contro la popolazione civile”. Il ministro degli Esteri Frattini ha proposto anche il richiamo degli ambasciatori di tutti i Paesi dell'Unione europea a Damasco. Oggi riprenderà la riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu dedicata alla Siria. E da oggi, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione, vanno in vigore le nuove sanzioni della Ue contro la Siria. Si allarga il numero delle personalità alle quali vengono congelati beni e visti. Tra questi anche il generale Ali Habib Mahmoud, nominato ministro della Difesa il 3 giugno 2009. È ritenuto responsabile delle operazioni delle Forze armate siriane coinvolte nella repressione e negli atti violenti contro la popolazione civile. Dopo il massacro di domenica, ieri ventiquattro persone sono state uccise dalle Forze di sicurezza in diverse città della Siria, di cui 10 al termine della preghiera della sera nel primo giorno di Ramadan. È quanto riferisce Rami Abdel Rahmane, capo dell'Osservatorio siriano dei diritti dell'Uomo.
Domani il processo a Mubarak e ai vertici politici e economici del suo governo
Domani inizia al Cairo il processo ai vertici politici ed economici dell'Egitto di Hosni Mubarak. Accanto all’ex presidente ottantatrenne, che oggi ha firmato, su sollecitazione dell'avvocato, il mandato di comparizione, ci saranno i due figli, Alaa e Gamal e l'ex ministro dell'Interno Habib el Adly, accusato con l'ex rais di avere ordinato la violenta repressione dei manifestanti. In vista del processo che per la prima volta nella storia dell’Egitto vedrà imputato un ex presidente, sale la tensione. Ieri nel primo giorno del Ramadan, esercito e polizia in assetto antisommossa sono entrati in forze a piazza Tahrir per sgombrare i manifestanti che, in dissenso con i grandi movimenti rivoluzionari, avevano deciso di proseguire il sit in avviato l'8 luglio. Il processo segna un momento particolare della difficile transizione dell’Egitto verso un nuovo assetto politico. A questo proposito, in Egitto come in altri Paesi in cui è esplosa la cosiddetta 'primavera araba', si affaccia il rischio di una deriva fondamentalista. Luca Collodi ne ha parlato con Renzo Guolo, docente di Sociologia delle Religioni all’Università di Padova:
R. – È prevedibile che in una prima fase di approccio alla libertà politica – parliamo di libertà politica più che di democrazia, perché è una cosa più complessa e presuppone la distinzione e la separazione tra poteri e tutto il resto – ci sia inevitabilmente previsto il successo di forze che sono strutturalmente più radicate e che anche nel tempo dell’opposizione hanno saputo – perché le società del mondo arabo hanno dovuto fare dei compromessi - fare attività politica senza farla formalmente. Questo il caso delle forze dei “Fratelli musulmani” in Egitto, che si sono occupate di welfare religioso, assistenza ed educazione. Evidentemente, però, sono diventati egemoni anche facendo questo: non erano presenti in Parlamento, ma politicamente costruivano il loro successo attraverso la società. Le forze democratiche laiche sono ancora deboli rispetto a questa questione. Una grossa responsabilità, comunque, ce l’ha anche l’Occidente che ha temporeggiato: avrebbe potuto – in anni molto meno problematici – premere molto su questi Paesi, perché facessero delle vere aperture democratiche e che non fossero vittime delle circostanze e delle emergenze di quelle che potrebbero essere invece nei prossimi mesi gli sviluppi nell’area.
D. – Prof. Guolo, possiamo parlare di una svolta islamica della “Primavera araba”?
R. – Diciamo che le forze islamiche sono candidate a beneficiare di processi rivoluzionari che non hanno causato, che non hanno scatenato. Anzi, sono state paradossalmente legate – ovviamente in termini antagonistici – al regime, nel bene e nel male: non hanno guidato le rivolte, ma potrebbero beneficiarle se appunto la Comunità internazionale non cercherà in qualche modo di favorire ed aiutare, tutelando le minoranze religiose, condizionando gli aiuti internazionali ad un certo assetto politico, ovviamente nel pieno rispetto delle regole che ci saranno… Insomma ha capacità di incidere, cercando di strutturare un campo democratico che potrà magari rafforzarsi nei prossimi anni, se non sarà troppo tardi!(mg)
Combattimenti in Libia anche nel Ramadan
In Libia si continua a combattere nonostante l’inizio del Ramadan. I ribelli avanzano a est verso il porto petrolifero di Brega, dopo essersi attestati ad Ajdabiya. Sempre secondo le fonti di Bengasi scontri si sono verificati nei pressi della città tra i ribelli e un gruppo di combattenti pro-Gheddafi. Prosegue intanto l’aiuto militare della coalizione Nato che prosegue nei bombardamenti contro le postazioni lealiste, mentre Parigi ha annunciato ieri di avere sbloccato in favore del Consiglio Nazionale di Transizione quasi 300milioni di Euro.
Ancora scontri a Karachi mentre l’Ue elabora piani di cooperazione bilaterale
Almeno undici persone sono rimaste uccise a Karachi, la principale città portuale del Pakistan, in nuovi scontri interetnici che dall'inizio di luglio hanno fatto oltre 200 vittime. Secondo quanto hanno annunciato le autorità locali, il bilancio del fine settimana è di oltre 30 morti. I disordini sono attribuiti a rivalità tra clan, bande di malavitosi e formazioni politiche. Varie sparatorie sono state segnalate in alcuni quartieri periferici poveri, dove operano gang della malavita locale. La scorsa settimana le autorità hanno lanciato una campagna di pacificazione, affiggendo manifesti e facendo distribuire volantini alla popolazione in cui si chiede la fine dello spargimento di sangue. Intanto l'Unione europea (Ue) e il Pakistan avvieranno entro la fine dell'anno, o al massimo nei primi mesi del 2012, il Dialogo strategico previsto dal piano quinquennale di cooperazione bilaterale, che porterà alla realizzazione del terzo Vertice Ue-Pakistan. L'annuncio è contenuto in un comunicato congiunto diffuso ieri a Islamabad al termine di un incontro fra il ministro degli Esteri pachistano Hina Rabbani Khar e il collega polacco Radoslaw Sikorski, che ha visitato il Pakistan come rappresentante della responsabile della Politica estera comunitaria, Catherine Ashton.
Attentato kamikaze a Kunduz, nel nord dell’Afghanistan
I talebani afghani hanno rivendicato oggi l'attentato realizzato prima dell'alba contro una guest house a Kunduz City, capoluogo della omonima provincia settentrionale, in cui sono stati uccisi quattro agenti di una agenzia privata che offre sicurezza al contingente tedesco della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato). In una breve notizia nel loro sito Internet gli insorti riferiscono che un militante di nome Ashiqullah si è fatto esplodere davanti all'edificio, permettendo a due suoi compagni (Sharafdin e Nazifullah) di “entrare nel compound combattendo per ore con bombe a mano, razzi mitragliatrici”. I talebani forniscono un bilancio di 35 “invasori tedeschi e loro collaboratori” uccisi che non trova però conferma nelle fonti ufficiali che parlano di quattro morti e dieci feriti, fra cui alcuni civili.
Alta tensione nel centro d'accoglienza di Crotone, nel sud Italia
“Una tragedia di questo tipo non si era mai vista”: così, Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati, sulla morte dei 25 immigrati rimasti soffocati durante la traversata dalla Libia verso l’isola siciliana di Lampedusa. 271 le persone che erano a bordo dell’imbarcazione dove ci sarebbero stati episodi di violenza. Mentre si cercano gli scafisti, in queste ore sono cominciate le operazioni di trasbordo di 19 salme che saranno sepolte nei cimiteri di alcuni comuni della provincia di Agrigento, 6 rimarranno a Lampedusa. Intanto è ancora alta la tensione nei centri d'accoglienza di Bari e Crotone dove ieri si sono verificati scontri con le Forze dell'ordine. Nell’intervista di Massimiliano Menichetti la stessa Laura Boldrini:
R. – Questa ennesima tragedia ci porta di fronte a qualcosa che non avevamo mai vissuto prima. Non era mai accaduto che 25 persone morissero perché stipate dentro una stiva e perché sopra, sul ponte, non c’era spazio fisico per loro. A bordo è chiaro che c’è stata una lotta per la sopravvivenza: le persone hanno lottato fisicamente e ci sono i segni di tutto questo. È veramente di una crudeltà spaventosa! E dire che chi organizza questi viaggi fa subire non solo il rischio del mare a queste persone, ma anche la guerra per la sopravvivenza.
D. – Da una parte, la responsabilità di chi organizza questi viaggi, ma, dall’altra, anche la responsabilità di chi dovrebbe accogliere e quindi non innescare situazioni come questa...
R. – Un milione e trecentomila persone sono fuggite dalla Libia verso i Paesi confinanti. In Italia, via mare, sono arrivate 23 mila persone, quindi un numero assolutamente esiguo. Certo, sarebbe auspicabile che queste persone non dovessero rischiare la vita in mare. Una soluzione migliore sarebbe quella di consentire un trasferimento legale attraverso delle quote di reinsediamento: i Paesi e la comunità internazionale decidono di farsi carico e di prendere ognuno una quota di queste persone che fuggono dal conflitto, prima che debbano rischiare la vita in mare. Ma per fare questo ci vuole la volontà politica degli Stati e questa volontà politica non sembra esserci.
D. – Ci spostiamo su un altro fronte, quello delle contestazioni nei centri di accoglienza di Bari e Crotone, contestazioni sfociate, di fatto, in veri e propri atti di violenza da parte dei migranti, che chiedono in realtà tempi certi per quanto riguarda il loro futuro...
R. – Condanniamo ogni forma di protesta violenta. È chiaro che si può non essere d’accordo, si può avere malcontento: le proteste sono legittime fintanto che non diventano violente. Detto questo – e ci sono dei tempi di attesa per la domanda di asilo – va anche detto che le persone che provengono dalla Libia fanno tutte domanda d’asilo, ma molte di queste persone stavano in Libia per lavorare, non hanno persecuzione nel Paese di origine. Quindi, la Commissione sta anche dando dei dinieghi e rischiano di diventare irregolari. Noi tra le possibilità stiamo suggerendo quella di fare un rimpatrio volontario assistito, cioè offrire a queste persone la possibilità di ritornare a casa, attraverso un volo e attraverso degli incentivi. Si dirà che questo costa, ma sempre meno che offrire un’assistenza per mesi in Italia. (ap)
Più forza Nato in Kosovo dopo le violenze dei giorni scorsi
La forza Nato in Kosovo (Kfor) ha chiesto l'invio di truppe supplementari dopo l'escalation di violenza della scorsa settimana. Intanto, con un incontro a porte chiuse con la parte serba a Raska, in territorio serbo, il mediatore dell'Unione europea per il Kosovo, Robert Cooper, ha iniziato una 'staffetta' diplomatica che lo vedrà spostarsi di frequente fra Serbia e Kosovo per tentare di risolvere la crisi delle frontiere fra i due Paesi, che negli ultimi giorni ha creato un sussulto di violenza. La decisione dei giorni scorsi di Pristina di inviare ai valichi con la Serbia di Jarinie e Brnjak le forze speciali per imporre con la forza il blocco sulle merci serbe, importate dalla minoranza serbo-kosovara che vive nella zona di Mitrovica, è stata presa in risposta all'embargo della Serbia sui prodotti 'made in Kosovo', la cui legittimità non è riconosciuta da Belgrado. Nei violenti scontri con gli estremisti serbi che ne sono seguiti ai valichi è morta una guardia di frontiera kosovara. Giovedì c’è stato l'intervento delle truppe internazionali Nato della Kfor. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 214