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Sommario del 22/10/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa agli ambasciatori di Portogallo, Slovenia ed Ecuador: la Chiesa non è neutrale sui valori e le aspirazioni dell'essere umano
  • Altre udienze e nomine
  • Aperta a Roma la fase diocesana della Causa di beatificazione del cardinale Van Thuan, grande testimone della fede
  • Il patriarca Twal al Sinodo: la presenza dei pellegrini mostra che la Terra Santa non è abbandonata
  • Mons. Ravasi, tra i prossimi cardinali: la Chiesa rilancia il dialogo con i non credenti
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Crisi umanitaria ad Haiti: epidemia di colera colpisce gli sfollati
  • Veglia missionaria a Roma: il cardinale Vallini conferisce il mandato a 10 nuovi missionari
  • Un libro denuncia la tratta delle donne: intervista con le autrici Anna Pozzi e suor Eugenia Bonetti
  • Rapporto di "Antigone" sul sovraffollamento nelle carceri italiane: 25 mila i detenuti in esubero
  • Chiesa e Società

  • Ecuador: i vescovi chiedono la fine delle violenze e il ripristino del dialogo
  • Solenne celebrazione in Cile per ringraziare Dio per il salvataggio dei 33 minatori
  • Appello dei vescovi delle Filippine per l’applicazione della riforma agraria
  • Thailandia: l'arcivescovo di Bangkok invita la Chiesa locale all'unità
  • Indonesia: fondamentalisti contro una chiesa intitolata a Madre Teresa
  • Pace in Burundi: appello del vescovo Muyinga al dialogo e alla riconciliazione
  • Africa: al via domenica la riunione del Comitato permanente del Secam
  • Mons. Teissier: il film sui monaci di Tibhirine è un dono opportuno
  • Consegnate all’Onu 20 milioni di firme per il disarmo nucleare
  • I cattolici thailandesi in soccorso delle vittime delle alluvioni
  • La Chiesa in Cina si prepara a celebrare la Giornata Missionaria mondiale
  • Rodi: concluso in un clima di fraternità il Forum cattolico-ortodosso
  • A novembre la Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari
  • Spagna: oggi ad Oviedo la consegna dei Premi "Principe delle Asturie"
  • 24 Ore nel Mondo

  • In Francia si estende la protesta contro la riforma delle pensioni
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa agli ambasciatori di Portogallo, Slovenia ed Ecuador: la Chiesa non è neutrale sui valori e le aspirazioni dell'essere umano

    ◊   Il contributo della fede per lo sviluppo della società, la promozione della vita e della famiglia, l’importanza delle radici cristiane dell’Europa: sono i temi affrontati stamani da Benedetto XVI nelle udienze a 3 ambasciatori ricevuti per la presentazione delle Lettere Credenziali. Si tratta degli ambasciatori di Slovenia, Portogallo ed Ecuador. Il Papa ha sottolineato che la Chiesa non ha ambizioni politiche, ma è chiamata ad offrire il suo contributo per il bene comune. Il servizio di Alessandro Gisotti:


    Nel discorso all’ambasciatore dell’Ecuador, Luis Dositeo Latorre Tapia, il Papa ha ricordato che ha potuto visitare il Paese andino nel 1978. Ed ha messo l’accento sui benefici che la fede cattolica può portare alla promozione della persona e della società. La Chiesa, ha ribadito, “non cerca alcun privilegio”, ma chiede solo di dare il suo contributo per lo “sviluppo integrale delle persone”. Il bene comune, ha rilevato, deve prevalere “sugli interessi di partito e di classe” e “l’imperativo morale” deve essere il punto di riferimento obbligatorio di ogni cittadino. Ed ha aggiunto che “non può esserci bene comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone”. La storia, ha osservato, insegna che il disconoscimento della verità sull’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, porta spesso “alle ingiustizie e ai totalitarismi”. Quando invece lo Stato rispetta questa verità allora “si consolida la libertà e l’autentica partecipazione” sociale. Ecco allora, ha sottolineato, perché va difesa la vita in ogni suo stadio, la libertà religiosa, come anche la famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. I Pastori della Chiesa, ha poi soggiunto, “non devono entrare nel dibattito politico, proponendo soluzioni concrete”. E tuttavia “non devono rimanere neutrali di fronte ai grandi problemi e alle aspirazioni dell’essere umano, né essere indolenti al momento di lottare per la giustizia”. Il Papa, che ha elogiato il contributo della Chiesa nell’ambito dell’educazione dei giovani, ha infine esortato gli ecuadoregni a preservare le tante bellezze naturali del Paese.


    Al nuovo ambasciatore portoghese, Manuel Tomás Fernandes Pereira, il Papa – dopo aver rievocato con gioia la visita apostolica compiuta in Portogallo nel maggio scorso – ha ribadito l’impegno della Santa Sede “nel servire la causa della promozione integrale dell’uomo e dei popoli”. “Dovrebbe essere convinzione di tutti – ha avvertito – che gli ostacoli a tale promozione non sono solo di ordine economico, ma dipendono da atteggiamenti e valori più profondi: i valori morali e spirituali”. Così, quando la Chiesa “promuove la consapevolezza che questi stessi valori devono ispirare la vita pubblica e privata, non lo fa per ambizioni politiche, ma per essere fedele alla missione affidatale dal suo divino Fondatore”. Benedetto XVI, sulla scia del Concilio Vaticano II, ha sottolineato che “la Chiesa in forza della sua missione e della sua natura non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale”: e proprio “per questa sua universalità può costituire un legame strettissimo tra le diverse comunità umane e nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e le riconoscano di fatto una vera libertà per il compimento della sua missione” che è “di carattere morale e religioso”. La Chiesa – ha proseguito Benedetto XVI – non si confonde, dunque, con “modelli parziali e passeggeri di società, ma tende alla trasformazione dei cuori e delle menti, perché l’uomo possa scoprire e riconoscere se stesso nella verità piena della sua umanità”. E in questo contesto – ha concluso il Papa – “incoraggia i cristiani ad assumere pienamente le proprie responsabilità come cittadini perché contribuiscano efficacemente, uniti agli altri, al bene comune e alle grandi cause dell’uomo”.


    Con l’ambasciatrice di Slovenia, Maja Maria Lovrenčič Svetek, il Papa si è soffermato innanzitutto sull’integrazione della nazione slovena nell’Unione europea, che, ha sottolineato, “ha tra i suoi presupposti fondamentali le comuni radici cristiane del Vecchio Continente”. Ed ha osservato che proprio “l’ancoraggio della Slovenia ai valori evangelici” ha contribuito in modo importante “alla coesione del Paese”. Questo patrimonio, ha soggiunto, “ha costituito, anche nei momenti più difficili e dolorosi, un costante fermento di conforto e di speranza, ed ha sostenuto la Slovenia nel suo cammino verso l’indipendenza dopo la caduta del regime comunista”. Un periodo, ha rammentato il Pontefice, nel quale la Santa Sede “ha voluto essere particolarmente vicina alla nazione slovena”. Il Papa si è quindi compiaciuto per la legge recentemente approvata in Slovenia per sostenere quanti hanno perduto la casa e il lavoro. Ed ha ribadito l’impegno della Santa Sede “per promuovere la pace e la giustizia, per superare i disaccordi e per intensificare le relazioni costruttive”. Ricordando la figura del Beato Lojze Grodze, martirizzato in odio alla fede, ha infine esortato i cattolici del Paese ad impegnarsi per la “costruzione di una società più giusta e più solidale, nel rispetto delle convinzioni e delle pratiche religiose di ciascuno”.


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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina anche il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

    Benedetto XVI ha nominato vescovo di Arauca (Colombia) il rev. Jaime Muñoz Pedroza, del clero dell’arcidiocesi di Tunja, finora rettore del Seminario Maggiore. Il rev. Jaime Muñoz Pedroza è nato a Ciénaga, arcidiocesi di Tunja, il 30 settembre 1958. Ha compiuto gli studi sacerdotali nel Seminario Maggiore dell’arcidiocesi di Tunja. Ha ottenuto la Licenza in Teologia Morale presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, la specializzazione in Educazione Sessuale presso la Fondazione Universitaria "Juan de Castellanos" di Tunja e il dottorato in Teologia presso la Pontificia Università "Javeriana" di Bogotá. È stato ordinato sacerdote il 24 novembre 1984, per il clero dell'arcidiocesi di Tunja. Ha svolto successivamente i seguenti incarichi pastorali: vicario Parrocchiale di Toca (1985-1986), professore interno del Seminario Maggiore di Tunja (dal 1989), delegato arcidiocesano per la pastorale vocazionale (1990-1999), professore di Etica nella Fondazione Universitaria "Juan de Castellanos" di Tunja (1995-1998) e rettore del Seminario Maggiore di Tunja (dal 2003).

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    Aperta a Roma la fase diocesana della Causa di beatificazione del cardinale Van Thuan, grande testimone della fede

    ◊   La vita di uno dei grandi testimoni della fede del Novecento, il cardinale Xavier Nguyên Van Thuân, scomparso nel 2002, è da oggi al centro della fase diocesana della Causa di beatificazione che lo riguarda, aperta nel Palazzo Lateranense di Roma. A prendere la parola questa mattina sono stati il cardinale vicario, Agostino Vallini, e il cardinale Peter K. A. Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, carica che il cardinale Van Thuân ricoprì dal 1998 alla sua morte. Alla Lateranense, invece, si è tenuta la cerimonia di consegna del Premio Van Thuân 2010, attribuito a Juan Somavia, direttore generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. E molte altre sono le iniziative religiose e culturali che intendono ricordare il porporato, per 13 anni rinchiuso in carcere dal regime ateo vietnamita senza che questo riuscisse a spezzare la sua fedeltà a Cristo. Un profilo del cardinale Van Thuân in questo servizio di Alessandro De Carolis:

    (musica)

    Quando gli chiese un pezzo di filo elettrico, il carceriere – che pure aveva imparato a conoscerlo – si spaventò. Bastava anche quello per suicidarsi e il suicidio era per tanti prigionieri un’allettante via di fuga. Non per quel prigioniero, però. Quel prete era un uomo mite, attaccato alla vita, attaccato al suo Dio. Il carceriere fece di meglio, ritornò con una pinza e assieme forgiarono una catenella alla quale il prigioniero attaccò la rozza crocetta di legno che si era costruito in un altro carcere. Un episodio tra i tanti, che raccontano la storia di un’anima che ha commosso chiunque l’abbia ascoltata. Xavier Nguyên Van Thuan, sacerdote, vescovo e prigioniero. Tredici anni, nove in isolamento, da quando nel 1975 Paolo VI lo volle coadiutore a Saigon e la dittatura vietnamita dietro le sbarre, senza processo, perché la nomina di uomo di Chiesa non poteva essere altro che un “complotto tra il Vaticano e gli imperialisti”.

    Un uomo sepolto vivo, per essere un cristiano in meno, e diventato un’icona di Cristo grazie a una eccezionale saldezza umana e a una fede incrollabile e intraprendente – una mollica per fare l’ostia, tre gocce di vino in mano a mo’ di calice e di altare, carta di sigarette come tabernacolo – con la cella che gli aguzzini consideravano una tomba e invece era una chiesa. Cinque anni dopo la sua morte, avvenuta il 16 settembre 2002, Benedetto XVI gli dedicò questo pensiero:

    “Il cardinale Van Thuân era un uomo di speranza, viveva di speranza e la diffondeva tra tutti coloro che incontrava. Fu grazie a quest’energia spirituale che resistette a tutte le difficoltà fisiche e morali. La speranza lo sostenne come vescovo isolato per 13 anni dalla sua comunità diocesana; la speranza lo aiutò a intravedere nell’assurdità degli eventi capitatigli - non fu mai processato durante la sua lunga detenzione - un disegno provvidenziale di Dio”. (17 sett. 2007, discorso al Pontificio Consiglio Giustizia e pace)

    Nel 2000, l’anno prima di essere creato cardinale, Giovanni Paolo II lo invitò a predicare gli esercizi spirituali della Quaresima in Vaticano. Preso in contropiede sul tema da proporre, fu anticipato dal Papa stesso: “Ci porti la sua testimonianza”. Il calvario patito in quei 108 mesi fu raccontato da mons. Van Thuan con una delicatezza e un fuoco da togliere il fiato. Le parole bimillenarie della Scrittura, citate da lui, sembravano avere un altro peso, quasi fossero un tutt'uno con chi le pronunciava. La stessa impressione si ebbe anche ascoltandolo durante l’ultima meditazione dedicata ai discepoli di Emmaus, quando sentono il cuore riscaldato e felice dopo aver avuto per compagno di cammino Gesù:

    “Il cammino percorso con loro indica l’ineffabile certezza del suo essere con noi: come luce che illumina è fuoco che riscalda i cuori. Con questo ritorno (…) a Cristo, la nostra tristezza diventa gioia, una gioia grandissima che nessuno può dare, perché Gesù ci ha resuscitato. Quando siamo nel peccato siamo morti. Nessuno mai si prende cura dei morti, nessuno si prende cura dei cadaveri. E’ impossibile, ma Gesù l’ha fatto (...) Siamo felici e questa è la nostra gioia e la nostra speranza”. (18 marzo 2000 - meditazione conclusiva Esercizi spirituali della Quaresima)

    Commosso da questa fede adamantina e cristiana nel senso più vero – e cioè gioiosa – Giovanni Paolo II lo ringraziò con queste parole:

    “Testimone egli stesso della croce, nei lunghi anni di carcerazione in Vietnam, ci ha raccontato frequentemente fatti ed episodi della sua sofferta prigionia, rafforzandoci così nella consolante certezza che quando tutto crolla attorno a noi, e forse anche dentro di noi, Cristo resta l’indefettibile nostro sostegno”. (18 marzo 2000 – discorso a conclusione degli Esercizi spirituali della Quaresima)

    Un anno prima della morte, in veste di presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace, il cardinale Van Thuan preparava con il Papa il raduno di Assisi del gennaio 2002, convocato dopo le stragi dell’11 settembre. In quella occasione, il collega Fabio Colagrande lo avvicinò e gli chiese se quella speranza, diventata quasi un secondo nome per lui, fosse mai venuta meno negli anni bui della prigionia. Questa la risposta:

    “Io ho avuto momenti veramente difficili, la tentazione della vendetta, la tentazione della disperazione… ma nel momento più critico, nell’abisso della mia miseria, della mia debolezza umana, in quel momento il Signore mi ha teso la mano e la speranza è ritornata, come la luce dopo la pioggia”.
    (musica)

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    Il patriarca Twal al Sinodo: la presenza dei pellegrini mostra che la Terra Santa non è abbandonata

    ◊   Circoli minori a porte chiuse, stamani, al Sinodo per il Medio Oriente, in corso in Vaticano sul tema della “comunione e testimonianza”. In programma, lo studio degli emendamenti collettivi ai documenti conclusivi. Nel pomeriggio, invece, verrà presentato e messo ai voti il Messaggio finale dell’Assemblea. Intanto nel corso delle due settimane di lavori i vescovi hanno sottolineato, tra le altre priorità per la Chiesa in Medio Oriente, la necessità di sostenere la pastorale delle vocazioni e quella di incoraggiare la formazione dei seminaristi per le missioni. A tale proposito il vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, mons. Giorgio Bertin, parlando di comunione ecclesiale ha evidenziato l’importanza di una vera e propria “condivisione di beni” all’interno della Chiesa, proponendo la creazione di una “banca di sacerdoti senza frontiera”, pronti ad essere inviati in situazioni di emergenza. Ascoltiamo lo stesso mons. Bertin al microfono di Paolo Ondarza:

    R. - Ci sono delle situazioni improvvise e drammatiche a cui bisogna rispondere immediatamente e allora ci deve essere una certa disponibilità. Questo è l’aspetto che potremmo definire un po’ debole, perché si corre il rischio di avere sacerdoti che non hanno una grande preparazione.

    D. - Che cosa manca oggi - dal suo punto di vista - nella formazione dei sacerdoti?

    R. - Io ho raccontato la storia dei primi missionari in Somalia, che sono andati senza preparazione, e ho anche detto che la formazione si fa, ma che è importante spingere affinché ci sia spirito di generosità e di sacrificio. Queste sono per me due parole molto importanti.

    D. - Il suo auspicio per questo Sinodo?

    R. - Io direi che l’aspetto comunione deve diventare veramente più effettivo. Comunione e quindi anche comunione di beni: io ho fatto la proposta perché il Medio Oriente e così anche il resto della Chiesa, pensi a formare una banca di sacerdoti per diocesi, per situazioni particolarmente difficili. E’ un invito che ho fatto anche al Medio Oriente di contribuire e, quindi, di aprirsi di più allo spirito missionario: condividiamo di più, cerchiamo di vivere veramente meglio questa comunione che esiste fra di noi, questa fratellanza, ma viviamo con maggior concretezza.

    Visitare la Terra Santa per incoraggiare i cristiani a restare nei luoghi della predicazione del Vangelo, funestati da anni di violenze. Per contrastare la fuga di intere famiglie cristiane i Padri Sinodali ribadiscono l’importanza dei pellegrinaggi. La presenza dei pellegrini – ha detto il patriarca di Gerusalemme dei Latini Fouad Twal - è vitale per la Chiesa in Medio Oriente. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

    R. - Francamente la loro presenza significa che la mia e la vostra comunità cristiana che sta in Terra Santa non è abbandonata, non è dimenticata. La vostra presenza per noi significa molto.

    D. - Lei ha detto che va evitato che la Terra Santa diventi un “museo a cielo aperto”…

    R. - Non lo diventerà mai, mai. Anche se lo ho detto, non lo diventerà mai. C’è Qualcuno che ha detto: “Non abbiate paura, sono con voi”. Dobbiamo ritornare a prendere seriamente queste parole del Signore: se Lui è con noi, non dobbiamo avere paura e non dobbiamo avere nessun complesso. Quindi andiamo avanti, preghiamo, lavoriamo, accogliamo, amiamo e tutto senza paura, perché c’è Lui. La nostra fiducia non viene dalle circostanze geopolitiche che sono drammatiche, che sono purtroppo ancora peggio di prima. Noi siamo là: è una Chiesa del Calvario, ma - allo stesso tempo - è anche una Chiesa della speranza, della gioia di vivere, di lavorare, di accogliere. E’ una Chiesa della Resurrezione!

    D. - E’ con questo stato d’animo che vivono che vivono i cristiani in Terra Santa oggi?

    R. - Magari tutti avessero questo sentimento! Questo è il mio discorso, il mio sentimento. Alcuni sono disperati e optano per emigrare, per lasciare questi posti. Questa è la nostra posizione e deve essere la nostra posizione quella di dare fiducia, di dare speranza, di dare gioia di vivere.

    D. - Il conflitto israelo-palestinese è tra le principali cause delle sofferenze dei cristiani in Terra Santa?

    R. - E' solamente il conflitto, nient’altro. E’ un conflitto, che non finisce più. Pare che la gente non abbia alcuna voglia di finirla con questo conflitto; pare che ci sia gente che ha più paura della pace che non della guerra e alimentano la paura. Da 60 anni non abbiamo più goduto di una vita normale. Non cerchiamo niente di speciale: solo svegliarci la mattina e andare al lavoro, come andare all’ospedale, andare all’Università o andare al Santo Sepolcro: non possono neanche arrivare fin là! Non è una vita normale!

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    Mons. Ravasi, tra i prossimi cardinali: la Chiesa rilancia il dialogo con i non credenti

    ◊   Tra i prossimi cardinali, come annunciato dal Papa mercoledì scorso al termine dell’udienza generale, ci sarà anche l’arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Elena Martetskaia, del Programma bielorusso della nostra emittente, lo ha intervistato:

    R. – Devo dire che questa nomina ha un significato particolare, nella stessa strategia generale del Pontificato di Benedetto XVI, perché entra nell’ambito della cultura: è in qualche modo dare un significato alto a questo orizzonte. Così come è stato, nell’interno di queste nomine, assegnando un orizzonte importante all’ecumenismo, al dialogo ecumenico. Direi che questi due aspetti si incrociano tra di loro, al di là delle nostre persone.

    D. – Eminenza, la sua nomina guarda anche al dialogo con i non credenti …

    R. – Certo, se la nomina del presidente del dicastero per l’unità, mons. Koch, a cardinale sottolinea l’importanza dell’ecumenismo, la mia nomina sottolinea l’importanza del dialogo con il mondo della cultura. Il dialogo con il mondo della cultura ha almeno tre volti diversi: il primo è quello – naturalmente – con le grandi arti, tutte le diverse forme delle discipline artistiche ed è per questo che ho organizzato, il 21 novembre 2009 nella Cappella Sistina, un incontro tra il Papa e 300 artisti provenienti da tutto il mondo. Dall’altra parte – in secondo luogo – c’è anche il recupero della grande tradizione artistica che sta alle nostre spalle ma, soprattutto, il terzo ambito è quello del mondo non credente. Abbiamo costituito il “Cortile dei Gentili”, cioè ricorrendo a questa immagine usata dal Papa che era propria del Tempio di Gerusalemme, dove anche i pagani potevano accedere al Tempio, ad uno spazio particolare, così da vedere che cosa si svolgeva al di là e viceversa, nella stessa maniera noi vogliamo ora far sì che si vada sulle frontiere, sui confini dove da un lato ci sono i credenti e dall’altro ci sono gli agnostici, gli atei, gli indifferenti cercando in qualche modo di dialogare sui grandi temi, nella convinzione che questo sia il modo per un incontro profondo a servizio dell’uomo.

    D. – Nella conferenza svoltasi recentemente a Mosca, alla quale lei ha partecipato, è stato trattato anche il tema del rapporto tra scienza e fede …

    R. – Uno degli ambiti, dei territori più interessanti, più vivaci per il dialogo con i non credenti è proprio quello del rapporto fede-scienza. Fino ad un po’ di tempo fa – soprattutto in molti Paesi dell’Est, quando c’erano regimi che erano, per loro natura, anti-cristiani o perlomeno lontani dalle visioni cristiane – si considerava la religione come una sorta di reperto del Paleolitico, del passato culturale, non aveva una dignità, mentre si riteneva invece la scienza l’unica espressione. Ora, invece, si parla sicuramente di due percorsi paralleli: l’itinerario della fede, della teologia, e l’itinerario della scienza. Il primo cerca di trovare il fondamento della realtà, il fondamento profondo, segreto, il senso della realtà; l’altro, invece, cerca di spiegare il fenomeno, la scena, l’evoluzione dei dati, delle realtà che sono nell’interno del mondo e dell’uomo stesso. Per questo motivo penso che il dialogo tra fede e scienza, come è accaduto a Mosca e come noi stiamo facendo in tanti altri Paesi, possa avere un risultato significativo proprio con il mondo della non credenza.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il Papa riceve gli ambasciatori di Ecuador, Slovenia e Portogallo.

    Nell’informazione internazionale, in primo piano la situazione in Vicino Oriente: riprendono le costruzioni degli insediamenti in Cisgiordania.

    In cultura, Antonio Paolucci e Timothy Verdon sul rapporto tra Caravaggio e le Chiese in occasione di un’iniziativa sul tema organizzata dalle diocesi di Roma.

    Amo Newman perché è un realista sofferente: Marius Reiser sulla conversione di Erik Peterson.

    L’idolatria degli oggetti paralizza il pensiero: Silvia Guidi su un intervento del filosofo Jean-Luc Marion alla Pontificia Università Gregoriana.

    Forma o contenuto? Questo è il problema: Conny Cossa sulla Sala delle udienze pontificie di Pier Luigi Nervi.

    Nell’informazione vaticana, i lavori del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente.

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    Oggi in Primo Piano



    Crisi umanitaria ad Haiti: epidemia di colera colpisce gli sfollati

    ◊   “Nove mesi dopo un terremoto che ha causato la morte di più di 200mila persone, Haiti sta ancora attraversando una profonda crisi umanitaria che tocca i diritti umani di chi è stato sfollato a causa dalla tragedia”. A sostenerlo è Walter Kaelin, rappresentante Onu del segretario generale dei diritti degli sfollati, che parla di un milione e 300mila persone coinvolte a vario titolo nella crisi, tra chi ha perso la casa durante il terremoto e chi è sfuggito all’estrema povertà accentuata dal sisma del 12 gennaio scorso. A questo allarme se ne aggiunge un altro, lanciato dalle autorità sanitarie locali che parlano di un’epidemia di colera che ha già ucciso 135 persone. Sulla situazione sanitaria ad Haiti, Salvatore Sabatino ha intervistato Federico Filidei, medico del Gruppo di chirurgia d'urgenza dell'azienda ospedaliera universitaria di Pisa, che si era recato ad Haiti nel post-terremoto:

    R. – La situazione al nostro arrivo era ovviamente disastrosa. La città era un brulicare di persone che stavano fuggendo, ovviamente soprattutto nella parte più vicina al centro gli edifici erano completamente crollati. Quindi, è una situazione molto, molto precaria.

    D. – Nonostante sia passato molto tempo, comunque la situazione purtroppo non è cambiata, nonostante gli appelli lanciati alla comunità internazionale. Si poteva immaginare un’epidemia di colera di questa entità?

    R. – Dal mio punto di vista, devo dire di sì. Secondo me, quando siamo arrivati la sensazione che ha avuto tutto il gruppo è quella di una catastrofe, letteralmente, di una situazione da cui fosse estremamente difficile risollevarsi, soprattutto per l’entità della distruzione del centro, che ha colpito i punti nevralgici della città, nonché per il fatto che Haiti di per sé non è un Paese con infrastrutture che potessero essere adeguate ad affrontare la situazione. Quindi sì, la risposta è che era prevedibile.

    D. – Come si fa a fermare, dal punto di vista medico, un’epidemia di colera?

    R. – Il principale punto chiave è l’acqua, sicuramente, e l’igiene. La situazione non prevedeva nessuna delle due cose. Il numero dei morti che ci sono stati, il fatto che ci sia molto fango e che siano pochissime le strade asfaltate e forti le piogge, sono tutti elementi che favoriscono l’inquinamento delle acque; e per il fatto che non abbiano acqua potabile, va da sé che l’epidemia esplode.

    D. – Il gruppo di chirurgia d’urgenza dell’azienda ospedaliera universitaria di Pisa ha già preso parte ad altre emergenze, come lo tsunami in Sri Lanka. Quella di Haiti, da medico, rispetto alle altre esperienze sul campo, è e resta più drammatica?

    R. – Sì, assolutamente. Io personalmente ho svolto missioni in Iran, in Cina, durante lo tsunami … quella di Haiti è stata in assoluto la cosa più tremenda, anche perché i tipi di trauma erano gravi, si sono anche protratti nel tempo e lì la situazione era di sbando. In altre realtà, anche quella dello Sri Lanka, le condizioni di organizzazione dello Stato e delle infrastrutture erano già più presenti. Questa di Haiti, per tanti versi, ha scosso la comunità internazionale non solo nel momento, ma poi per tutte le ripercussioni. Non è un caso, appunto, che si continui a parlare di questa situazione! Spero davvero che la comunità internazionale decida e abbia la possibilità di intervenire in maniera massiccia.

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    Veglia missionaria a Roma: il cardinale Vallini conferisce il mandato a 10 nuovi missionari

    ◊   “Condividere il pane non è solo un gesto materiale, ma va molto oltre. E’ il cuore dell’uomo che deve essere spezzato per far entrare in lui la Parola di Dio. Cristo ci ha donato il Pane di vita eterna, andate distribuite ed evangelizzate!”: con queste parole, ieri sera nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, il cardinale vicario Agostino Vallini, ha conferito il mandato a dieci nuovi missionari che partiranno nei prossimi giorni per l’Africa e l’Asia. Tema della veglia missionaria: “Spezzare il pane per tutti i popoli”. Ascoltiamo il cardinale Vallini al microfono di Marina Tomarro:

    “Spezzare il pane per tutti i popoli è un grande messaggio, non riducibile certamente ad un fatto puramente materiale, di natura politica. Innanzitutto, è spezzare il pane della luce, del Vangelo, spezzare il pane dell’amore di Cristo che è alla fonte, anche, per la risoluzione di tanti problemi sociali. Tutto viene dal cuore dell’uomo: se è pacificato, se riconosce un solo Padre e tutti gli altri uomini suoi fratelli, gli sarà facile anche spezzare il pane materiale e fare la giustizia sociale. E spezzare il pane per tutti i popoli vuol dire annunciare il Vangelo testimoniandolo e questo rinnoverà il mondo, così come ci dice continuamente il Santo Padre: che tutto parte da una vita rinnovata che testimonia e proclama che Gesù è il Salvatore di tutti”.

    Giovanni e Giuseppina sono tra coloro che hanno ricevuto il mandato missionario. Si sposeranno fra tre giorni e subito dopo partiranno per la Zambia. A Giovanni abbiamo chiesto cosa voglia dire per loro evangelizzare:

    R. - Per noi vuol dire anzitutto ricordarci chi siamo, dove andiamo e il perché di tutto questo. E poi con l’esempio e senza la parola - perché i primi momenti saranno difatti senza capacità di parlare e di comunicare, perché in effetti l’inglese è la lingua ufficiale, ma per imparare la lingua locale africana dovrà passare almeno un anno. Non avendo la padronanza di questa lingua, sicuramente il primo modo di evangelizzare sarà la testimonianza di chi siamo noi due, insieme.

    Alla veglia missionaria era presente anche mons. Ruggero Franceschini, arcivescovo metropolita di Smirne in Turchia. Ecco la sua testimonianza:

    “Forse si possono fare poche cose in Turchia, ma noi vogliamo, dobbiamo esserci, in mezzo a loro, per diventare amici e far vedere che non siamo persone che vogliono rovinare la loro cultura, la loro religione; può accadere che qualcuno chieda – e accade – di farsi cristiano e questo lo lasciamo fare al Signore. Noi siamo disponibili a vivere con loro e ad impegnarci con i poveri, insieme. Ma non è la solita frase: ci impegniamo proprio per i poveri, a tal punto che la nostra Caritas è oggetto di donazioni anche dai turchi – e questo è il massimo – ma donazioni grosse! Il che vuol dire che loro si sono accorti che non lavoriamo per noi o per i nostri, ma lavoriamo per chi ha bisogno. Certo facciamo un po’ fatica perché non abbiamo spazi per noi, i nostri giovani fanno fatica perché non hanno spazi per ritrovarsi insieme e sono obbligati ad andare insieme agli altri; insieme agli altri non sempre sono liberi di parlare o di incontrarsi come cristiani. Quindi, ci sono queste difficoltà. Però, noi ci stiamo bene”.

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    Un libro denuncia la tratta delle donne: intervista con le autrici Anna Pozzi e suor Eugenia Bonetti

    ◊   “Schiave. Trafficate, vendute, prostituite, usate. Donne” è il nuovo libro della San Paolo scritto a quattro mani da Anna Pozzi, giornalista della testata Mondo e Missione del Pime, e Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata. Il volume - che provoca l'indifferenza delle istituzioni, della società e della comunità cristiana - è stato pubblicato il 18 ottobre scorso in concomitanza con la “Giornata Europa di lotta contro la tratta di esseri umani”. Il servizio di Fabio Colagrande:

    Donne che non scelgono di prostituirsi ma sono costrette a farlo; con la forza, con l'inganno, con il ricatto che subiscono per il debito contratto con chi le porta in Italia o per l'assenza di documenti che le rende perseguibili legalmente. Sono le nuove schiave del duemila vittime della 'tratta'. Arrivano in Italia dai Paesi dell'Est e soprattutto dalla Nigeria. Due milioni e settecentomila le persone vittime del traffico di esseri umani secondo l’Onu, di cui l'80 per cento costituito da donne e minori, per un business mondiale di circa 32 miliardi di dollari. Ma dietro le cifre ci sono le persone, ragazze ridotte a "corpi-merce". Storie di povertà, maltrattamenti in famiglia, ricatti affettivi e riduzione in schiavitù, come spiega la giornalista Anna Pozzi:

    “La maggior parte delle ragazze che sono in strada o che sono in appartamenti, nei luoghi al chiuso, non sceglie di prostituirsi: è costretta a farlo. E’ costretta con l’inganno, spesso all’inizio. E' costretta dalle condizioni di vita veramente impossibili in cui queste ragazze nascono e crescono, ed è costretta dal ricatto. Per esempio, per quanto riguarda le nigeriane, ma anche le brasiliane, devono restituire un debito enorme che può andare dai 40-50 mila euro fino anche a 70 mila euro, il che significa anni e anni di strada e migliaia di prestazioni sessuali, ma anche di abusi, violenze e così via. Solo alla fine del pagamento di questo debito, le ragazze potranno essere libere, ma a quel punto davvero si portano sia sulla pelle, fisicamente, ma anche nell’anima, ferite pesantissime che rendono davvero molto difficoltosa qualsiasi iniziativa di recupero personale, o attraverso le case di accoglienza o tutte quelle istituzioni e servizi che cercano di dare una nuova chance di una vita dignitosa, che le faccia tornare donne”.

    Il libro racconta però che le catene si possono spezzare. Più di una ragazza ha abbandonato la strada grazie ad associazioni, congregazione religiose, Caritas, parrocchie e a molti ex-clienti. In Italia, in particolare, suor Eugenia Bonetti dirige da dieci anni l' dell'Unione superiore maggiori d'Italia (Usmi), organismo che coordina 250 suore appartenenti a 75 Congregazioni:

    “L’anno del Giubileo ha significato spezzare le catene degli schiavi, e noi ci trovavamo di fronte ad una nuova forma di schiavitù: la schiavitù moderna di queste donne e di queste minori. Allora, abbiamo iniziato a creare un collegamento, ad aiutare le Congregazioni a lavorare insieme. Ma non solo lavorare in rete tra noi, come suore italiane: abbiamo puntato immediatamente sui Paesi di origine, perché se non c’è contatto con i Paesi d’origine, non si possono dare risposte. Quindi, già nel 2000 noi abbiamo invitato tre suore nigeriane a venire in Italia, a rendersi conto di che cosa stesse capitando. E lì è iniziata la nostra collaborazione con la Chiesa nigeriana e anche con l’ambasciata nigeriana, perché i nostri conventi hanno incominciato ad aprire le loro porte per accogliere queste donne. Oggi, sono veramente migliaia le donne che hanno ricevuto accoglienza, che sono state recuperate da questo servizio che in silenzio, con gioia, le suore hanno offerto per restituire a queste donne la voglia di vivere”.

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    Rapporto di "Antigone" sul sovraffollamento nelle carceri italiane: 25 mila i detenuti in esubero

    ◊   I detenuti presenti nei 206 istituti di pena sono oltre 68 mila per 44 mila posti regolamentari. E’ questa la fotografia del sovraffollamento carcerario in Italia secondo l’associazione "Antigone" che ha presentato oggi a Roma il settimo rapporto sulle condizioni di detenzione. Dunque, situazione di pesante sovraffollamento, anche se negli ultimi mesi sono diminuiti gli ingressi di nuovi detenuti. Il servizio di Alessandro Guarasci:

    Scarse condizioni igieniche, poche cure sanitarie, cinque detenuti in una cella che al massimo potrebbe ospitarne due. Il pianeta carceri Italia è affetto da tanti mali. Basta dire che il 43,7% dei detenuti è composto da imputati, e quasi un carcerato su quattro è ancora in attesa del processo di primo grado. Più di un terzo invece è straniero. Per Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, servono misure alternative al carcere:

    “Alcune grandi questioni, come quella della droga e dell’immigrazione, devono essere trattate con strumenti diversificati. Bisogna anche costruire le carceri, anche se qualcuno dice di no. Bisogna farlo, anche sapendo che non è la risoluzione del problema: è una parziale risoluzione del problema!”

    Grida poi scandalo la presenza nei penitenziari di 57 bambini sotto i tre anni. Ancora Gonnella:

    “Quello che sorprende è che per 57 bimbi e 57 mamme non si riesca a trovare una soluzione facile per portarli fuori. Sono così pochi, che non sono un rischio per la sicurezza pubblica”.

    Dunque, una situazione di forte malessere, e c’è anche questo alla base del fatto che 55 detenuti nei primi nove mesi dell’anno si sono suicidati. Sotto organico, poi, i magistrati di sorveglianza, gli agenti di polizia penitenziaria e gli assistenti sociali. Il problema delle risorse è fondamentale per il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani:

    Noi abbiamo un taglio delle risorse che impedisce di fare le cose fondamentali e che vanno fatte. Non si ha idea di quanto questo taglio delle risorse arrivi rapidamente nelle carceri e si traduca in un venir meno di cose essenziali, riguardanti la salute e la vita quotidiana delle persone”.

    Gli ingressi delle carceri sono drasticamente calati negli ultimi tre mesi. Un segnale, secondo Antigone, che il sistema non ce la fa più ad accettare nuovi arrivi.

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    Chiesa e Società



    Ecuador: i vescovi chiedono la fine delle violenze e il ripristino del dialogo

    ◊   Con una concelebrazione eucaristica nella cattedrale di Quito, oggi i vescovi dell’Ecuador hanno concluso i lavori della loro assemblea plenaria, dedicata in gran parte ad analizzare la delicata situazione del Paese, soprattutto in seguito ai recenti fatti di violenza che hanno fatto temere per la stabilità democratica. Con l’occasione, i presuli si stringeranno fraternamente sia a mons. Raúl Vela Chiriboga, arcivescovo emerito della capitale che sarà creato cardinale il 20 novembre prossimo da Benedetto XVI, sia a mons. Fausto Gabriel Trávez Trávez, nuovo arcivescovo di Quito. I vescovi ecuadoriani, nel corso dell’assemblea, sono tornati a riflettere sulla realtà nazionale e in una loro dichiarazione di queste ore hanno “condannano ancora una volta i disordini e le violenze che hanno avuto come conseguenze la perdita di vite umane, feriti e famiglie lacerate”. Riferendosi all’episodio avvenuto due settimane fa, quando un gruppo di poliziotti prese in ostaggio il Presidente del Paese, in ospedale a causa di un’intossicazione da gas lacrimogeno durante i tafferugli con alcuni manifestanti, i vescovi hanno affermato: “Si è trattato di uno scontro fra fratelli, di una frattura sociale che ha creato instabilità politica”. Nel condannare qualsiasi forma d’insubordinazione e mancanza di rispetto della Costituzione, i vescovi hanno invitato a “rispettare e promuovere la legalità democratica, le istituzioni, in particolare la vita e i diritti delle persone”. Per la Conferenza episcopale dell’Ecuador, ciò che oggi è più urgente, è la “capacità di agire con serenità e prudenza”, un’esigenza che coinvolge tutti gli attori del processo e della crisi, dalle massime autorità del Paese a ogni singolo cittadino. “Di fronte al futuro della nazione - scrivono i presuli - occorre riflettere su valori e atteggiamenti” e dunque chiedere aiuto al Signore. “Vogliamo impegnarci nella ricerca sincera della riconciliazione e della fratellanza, del dialogo aperto e costruttivo, per favorire una cultura della legalità, in conformità con le nostra tradizione cristiana. In questo momento – aggiungono - ci sembra fondamentale il rispetto delle istituzioni democratiche, dei poteri dello Stato e dei cittadini. La democrazia ha senso non solo nel veto, ma anche nella capacità di dialogo, partecipazione e concertazione fra i diversi agenti sociali”. (L.B.)

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    Solenne celebrazione in Cile per ringraziare Dio per il salvataggio dei 33 minatori

    ◊   Un solenne Te deum di ringraziamento si svolgerà lunedì prossimo nel Tempio nazionale votivo della Madonna del Carmine per celebrare il successo delle operazioni che hanno consentito di riportare in vita sani e salvi i 33 minatori cileni intrappolati 69 giorni in una miniera della regione di Atacama, nel nord del Paese. Alla celebrazione eucaristica saranno presenti i minatori con le loro famiglie, e le più importanti autorità del Paese, guidate dal Presidente della Repubblica, Sebastián Piñera. Mons. Alejandro Goic, vescovo di Rancagua, e presidente della Conferenza episcopale locale, ha esteso l’invito anche a esponenti di altre confessioni religiose, ricordando che il desiderio comune è quello “di ringraziare il Signore non solo per vite restituite ai parenti e a tutta la nazione, ma anche per lo sforzo e la generosità con le quali si sono prodigati i soccorritori”. Nel corso della Messa, sarà presentata una preghiera speciale per i 33 minatori e per tutte le persone che lavorano nell’ambito minerario in Cile. Qui l’attività mineraria non solo è molto ricca, fra le maggiori del mondo, ma è anche fondamentale per l’economia del Paese. Il Cile, infatti, è fra i primi Paesi al mondo a rifornire i mercati internazionali di rame e gran parte del suo introito nazionale si ricava proprio dalla vendita di questo minerale, al giorno d’oggi sempre più strategico. Proprio quest’intensa e diffusa attività mineraria, concentrata soprattutto nella regione desertica del nord, ha dato origine a un fenomeno di sfruttamento a volte selvaggio e illegale che oggi le autorità hanno deciso di sottoporre a nuove regolamentazioni e a ferreo controllo. Dopo il successo delle operazioni di salvataggio dei 33 minatori e dopo i festeggiamenti, nel Paese si sta discutendo molto di questa realtà: sia il governo, sia il Parlamento si preparano, infatti, a mettere in atto nuove disposizioni a protezione dei minatori, per favorire la regolamentazione dell’attività estrattiva. (A cura di Luis Badilla)

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    Appello dei vescovi delle Filippine per l’applicazione della riforma agraria

    ◊   Un’accorata richiesta di applicazione della riforma agraria varata lo scorso anno nelle Filippine, il Comprehensive Agrarian Reform Program (Carp), viene in questi giorni da alcuni presuli che, dopo le manifestazioni dei contadini a Quezon City, chiedono al Department of Agrarian reform (Dar) “di operare attivamente per l’insediamento di 31 famiglie contadine nei 62 ettari di terreno ceduti dalla famiglia Teves nella regione Negros Oriental”. I presuli in questione, precisa L’Osservatore Romano, sono l’arcivescovo di Cagayan de Oro, mons. Antonio Ledesma; il vescovo ausiliare di Manila, mons. Broderick Pabillo; il vescovo di Kallokan, mons. Deogracias Iňiguez e il vescovo di Legazpi, mons. Joel Baylon. La richiesta si concretizza nell’assegnare ai contadini parte delle terre della Hacienda Luisita, di cui è comproprietario il presidente Benigno Aquino: negli anni scorsi, infatti, è accaduto che i contadini e le loro famiglie fossero colpiti dalla violenza delle milizie private che operano al servizio dei latifondisti. I terreni appartenuti ai Teves, distribuiti nel Barangay Villareal e in quello di Caranoche, nel distretto di Santa Catalina, erano già stati resi disponibili dal Dar nel 1988 dopo la rinuncia spontanea alla loro proprietà da parte del senatore Lorenzo Teves. Tuttavia i responsabili del Dar avevano impiegato ben nove anni per redigere il Certificate of Land Ownership Award (Cloa) in favore degli agricoltori diretti per gli appezzamenti situati nei pressi del Barangay Caranoche. (R.B.)

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    Thailandia: l'arcivescovo di Bangkok invita la Chiesa locale all'unità

    ◊   L’arcivescovo di Bangkok, mons. Francis Xiavier Kriengsak Kovithavanij, ha lanciato un appello all’unità nella Chiesa in occasione della Giornata Missionaria mondiale il prossimo 24 ottobre. “L’unità è l’inizio, l’elemento fondante e la fonte dell’opera missionaria e la Santa Trinità è il miglior modello di unità”, ha affermato il presule, invitando tutti i membri della Chiesa thailandese a collaborare e a unirsi nella diffusione della Buona Novella. La divulgazione del Vangelo deve essere la missione quotidiana di ogni fedele, che dovrebbe vivere la propria esistenza all’insegna dell’amore e del servizio. Per realizzare l’obiettivo dell’unità nella missione, invece, riporta l’agenzia AsiaNews, mons. Kovithavanij ha indicato tre elementi principali: i fedeli devono vivere in armonia e testimoniare Cristo nella vita quotidiana; i parrocchiani, le organizzazioni legate alla Chiesa e le scuole cattoliche devono testimoniare l’identità di Cristo nel lavoro di ogni giorno e impegnarsi attivamente nel dialogo interreligioso. (M.O.)

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    Indonesia: fondamentalisti contro una chiesa intitolata a Madre Teresa

    ◊   Nuovi fenomeni di intolleranza anticristiana in Indonesia; e in particolare cresce l'opposizione di gruppi fondamentalisti islamici a permettere la costruzione di chiese nelle zone in cui operano. La lentezza del governo nel limitare queste manifestazioni si rivela spesso un elemento efficace nell’alimentare un’intolleranza crescente da parte di questi gruppi. E la parrocchia di Santa Madre Teresa a Cikarang, circa 60 km a est di Jakarta, è diventata il bersaglio più recente, e l’esempio, di questi fenomeni preoccupanti; tanto più - riferisce l'agenzia AsiaNews - in quanto le autorità indonesiane non hanno finora mostrato molta volontà di prendere posizione sull’argomento, a dispetto delle severe critiche espresse dai gruppi interreligiosi o dai gruppi per i diritti umani. Negli ultimi giorni sono apparsi striscioni provocatori, che chiedevano l’abbandono del progetto di costruire una chiesa a Cikarang. “Il gruppo islamico Ukuwah Islamiyah si oppone a ogni piano di costruire una chiesa a Bunda Teresa Cikarang”, è scritto su uno striscione di fronte alla moschea situata a Taman Sentosa Cikarang. Uno striscione simile, a Cinere, ripete questo messaggio, riferendosi però a un altro edificio religioso cristiano di cui è progettata la costruzione, a soli 200 metri da un posto di polizia. In entrambi i casi appare chiaro che l’assenza delle autorità nel porre un freno a queste proteste, per assicurare lo spirito di armonia fra le varie religioni, alimenta un clima di intolleranza. A Cikarang la protesta contro la chiesa dedicata a Madre Teresa è nata nel settembre scorso; e la ragione principale è il timore di una “cristianizzazione” della regione di Bekasi, a maggioranza musulmana. A settembre si è sparsa la voce che sarebbe stata costruita una chiesa e altri edifici; un centro cristiano che, si diceva, sarebbe stato il più grande dell’Asia. Gli oppositori temevano che sarebbe diventato un centro di proselitismo, mettendo così in pericolo l’egemonia islamica nella regione. La parrocchia di Santa Teresa raduna circa seimila fedeli, ed è stata fondata nel 2004. Non dispone di una chiesa, e celebra la messa nella palestra di una scuola cattolica. La regione di Bekasi ha conosciuto nel recente passato numerosi episodi di intolleranza verso i cristiani di diverse confessioni. Almeno sei chiese sono state attaccate dal 2009, e alcuni pastori protestanti aggrediti. (R.P.)

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    Pace in Burundi: appello del vescovo Muyinga al dialogo e alla riconciliazione

    ◊   Dopo le violenze delle scorse settimane, torna la calma in Burundi, ma continua il rischio di instabilità. A denunciare la situazione, riporta l’agenzia Misna, è il vescovo della diocesi di Muyinga, nel nordest del Paese, mons. Joachim Ntahondereye che, in occasione della conferenza dell’episcopato cattolico della regione dei Grandi Laghi, ha lanciato un appello alla calma e alla collaborazione. “Per la pace e il bene del Paese è importante ritornare a un processo politico che si basi sul dialogo tra governo e opposizione”, sono state le parole del presule, che si è poi soffermato sulle recenti elezioni politiche che hanno visto scontri armati tra i gruppi di maggioranza e i gruppi d’opposizione. Mons. Ntahondereye ha criticato il boicottaggio delle elezioni da parte dell’Alleanza democratica per il cambiamento, Cndd-Fdd, ricordando che solo attraverso l’unità politica e la collaborazione si potrà arrivare alla pace della regione. Un ruolo importante nel processo di pacificazione è affidato ai media, che, tuttavia, a volte diffondono notizie non veritiere. L’Unione Europea ha invece manifestato preoccupazioni per diversi casi di esecuzioni extragiudiziarie. Il rappresentante dell’Ue nella regione dei Grandi Laghi, Roland Van de Geer, ha chiesto che venga ufficialmente chiarita la vicenda nelle sedi opportune. La rappresentanza delle Nazioni Unite, avrebbe, infatti, stilato una lista di nove persone uccise dalla polizia e dai servizi segreti in situazioni poco chiare e che potrebbe essere alla base di un futuro procedimento giudiziario. L’associazione per la protezione dei detenuti e dei diritti umani aveva, invece, denunciato 22 esecuzioni sommarie, smentite dal governo di Bujumbura. (M.O.)

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    Africa: al via domenica la riunione del Comitato permanente del Secam

    ◊   La sviluppo della Chiesa in Africa sarà il tema principale trattato dalla prossima riunione del Comitato permanente del Secam, il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar, che si svolgerà ad Accra, in Ghana, dal 24 al 27 ottobre. A precedere la riunione, sarà una celebrazione eucaristica nella Chiesa del Cristo Re della città, così da permettere ai membri del Comitato di interagire anche con i fedeli laici. Durante i lavori, si discuterà sull’istituzione di un seminario congiunto del Secam e del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d ‘Europa) sul tema “Nuova strategie per la missio ad gentes. Scambio di personale e formazione. Le vocazioni”. Il corso, della durata di quattro giorni, è previsto tra il 10 ed il 14 novembre ad Abidjan, in Costa d’Avorio. In calendario, anche la programmazione di un incontro tra il Secam e la Conferenza episcopale tedesca, previsto per il marzo 2011. L'Assemblea sarà presieduta dal cardinale Polycarp Pengo, presidente del Secam e arcivescovo di Dar-Es-Salaam, in Tanzania, assistito dai due vice-presidenti, il cardinale Théodore Adrien Sarr del Senegal, e mons. Gabriele Mbilingi dell'Angola. Saranno presenti anche alcuni membri della Caritas Africa. (I.P.)

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    Mons. Teissier: il film sui monaci di Tibhirine è un dono opportuno

    ◊   “C’è un pubblico oggi capace d’accogliere il messaggio di una comunità monastica quando essa si pone drammatiche domande di coscienza, come quella se accettare, per fedeltà alla propria vocazione umana e religiosa, di rischiare la propria vita”. Così mons. Henri Teissier, arcivescovo di Algeri al tempo del rapimento e poi dell’uccisione dei monaci di Tibhirine, commenta sul numero in uscita della rivista “Il Regno” il film “Uomini di Dio”, vincitore del premio speciale della giuria al festival di Cannes e che uscirà oggi nelle sale italiane. Mons. Teissier - riferisce l'agenzia Sir - si dice meravigliato del fatto che la “genesi laica” della pellicola sia stata capace di dare ragione dell’ispirazione profonda che animava i monaci. “Una scelta – precisa – nata da professionisti del cinema, senza committenza da parte della Chiesa o di un’istituzione cristiana. Mai la vocazione della nostra Chiesa a vivere un incontro umano e spirituale con fratelli e sorelle algerini e musulmani” è stata “così apertamente manifestata”, aggiunge l’arcivescovo, esprimendo “riconoscenza” per quanti hanno realizzato il film. “È un dono di Dio (e degli autori e degli attori) che capita opportunamente – conclude – proprio nel momento in cui alcuni vogliono far credere che non è possibile un futuro comune tra credenti di diverse religioni”. (R.P.)

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    Consegnate all’Onu 20 milioni di firme per il disarmo nucleare

    ◊   “Il disarmo e la non proliferazione sono fondamentali non solo per la pace e la sicurezza internazionali, ma per tutta l’agenda internazionale”. Così il segretario generale delle Nazioni Unite ha commentato la consegna, avvenuta il 4 ottobre scorso, di 20 milioni di firme raccolte per promuovere il disarmo nucleare. L’agenzia Zenit riferisce di una riunione di giovani leader appartenenti a diverse confessioni religiose, che si sono ritrovati a New York per consegnare il materiale all’Alto rappresentante del Segretario dell’Onu per il Disarmo, Sergio de Queiros Duarte. La petizione è stata firmata in 140 Paesi del mondo grazie al sostegno di 400 organizzazioni partner a livello internazionale, con l’obiettivo di chiedere ai governi una riduzione di almeno il 10% del budget militari, riconvertendo i fondi risparmiati allo sviluppo o alla disponibilità energetica. “Non vogliamo che si ripeta un disastro come Hiroshima o Nagasaki e il rischio esiste finché esisteranno armi nucleari – ha detto Ela Gandhi, fondatrice del Gandhi development trust e presidente onorario di Religions for peace – dobbiamo costruire una cultura della non violenza”. La campagna ha ottenuto il sostegno di personalità influenti: oltre a diversi capi di Stato, sindaci di oltre tremila città, 200 parlamentari, anche esponenti di spicco di varie religioni, come il Grande sceicco di Al-Azhar, Papa Shenouda III, il rabbino Rosen di Israele e il Patriarca supremo del Buddismo Tendai. (R.B.)

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    I cattolici thailandesi in soccorso delle vittime delle alluvioni

    ◊   I cattolici thailandesi accorrono in soccorso delle vittime delle alluvioni nel nord-est del Paese. Dopo le Filippine e il Vietnam, ora da più giorni anche la Thailandia è duramente colpita da alluvioni che hanno provocato almeno 17 vittime e coinvolto circa 1 milione di persone, danneggiando almeno un quarto del territorio nazionale. La Chiesa cattolica thailandese ha dato riparo a un migliaio di senzatetto, mentre altre organizzazioni caritative continuano a distribuire i primi aiuti. “E’ la peggiore alluvione degli ultimi 20 anni – afferma mons. Chusak Sirisuk, vescovo di Nakhon Ratchasima all’agenzia cattolica asiatica Ucanews -. Molte nostre diocesi sono state colpite. In un seminario l’acqua ha raggiunto i 2 metri e mezzo di altezza”. Il vescovo di Ubon Ratchathani mons. Banchong Chaiyara, presidente della Commissione episcopale per i servizi sociali, ha invitato tutti i cattolici alla preghiera e ad offrire donazioni e sostegno. “La gente è disperata – racconta padre Somchai Phongsiriphat -. Le inondazioni hanno sommerso le case e distrutto le loro vite. Abbiamo utilizzato i camion dell’esercito per dare riparo ad almeno 1.000 persone, con distribuzione di acqua, cibo e visite mediche”. I membri della locale Società San Vincenzo de Paoli stanno assistendo gli sfollati in un rifugio temporaneo allestito in una scuola cattolica, nella provincia di Nakhon Ratchasima. (R.P.)

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    La Chiesa in Cina si prepara a celebrare la Giornata Missionaria mondiale

    ◊   La comunità cattolica continentale cinese si prepara alla Giornata Missionaria mondiale attraverso una lunga serie di iniziative. A riportare la notizia è l’agenzia AsiaNews, sottolineando, tra le varie iniziative, quella della parrocchia di Wei Nan che conta più di 2500 fedeli e che distribuirà, domenica 24 ottobre, una serie di sussidi missionari e sulla fede cristiana. Il parroco, Lu An Ni, ha poi organizzato una processione, la terza dell’anno, come attività di evangelizzazione. La parrocchia di Bou Tou, nella diocesi di Cang Zhou, attende la visita di mons. Giuseppe Li Lian Gui, che consegnerà il mandato missionario. La diocesi di Nan Chong, ha, invece, puntato sulla comunicazione per dare massimo risalto all’evangelizzazione, redigendo e distribuendo gratuitamente il bollettino parrocchiale, che conterrà la traduzione del messaggio della Giornata Missionaria. (M.O.)

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    Rodi: concluso in un clima di fraternità il Forum cattolico-ortodosso

    ◊   Una conferma della “reciproca stima e volontà della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse in Europa di lavorare in comune per testimoniare insieme il Vangelo di Cristo e i valori che l’adesione a esso comporta in un’Europa segnata dalla secolarizzazione e in cerca della sua identità”. Così un comunicato diffuso dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e riportato in stralcio dal Sir, ha celebrato il “clima di fraternità e ascolto” in cui si è svolto il secondo Forum cattolico-ortodosso che si è concluso, dopo cinque giorni di attività, oggi nell’isola di Rodi, in Grecia, dove ha riunito 17 delegati del Ccee e 17 rappresentanti delle Chiese ortodosse europee. Il Forum, il cui tema centrale era la relazione Chiesa-Stato, si è chiuso con l’adozione di un testo comune tra i partecipanti, attraverso il quale s’intende offrire un contributo e una voce univoca sul tema della presenza delle Chiese nella società europea. “Ci sembra importante ribadire – scrivono i vescovi – che i nostri Paesi d’Europa non possono recidere le loro radici cristiane senza distruggersi e che le sfide etiche sono determinanti per il nostro futuro in un mondo globalizzato”. Il documento, in particolare, si concentra su temi legati alla protezione della vita del nascituro, dell’accompagnamento della persona nel fine vita, delle famiglie fondate sul matrimonio tradizionale, degli emarginati, dell’accoglienza riservata ai migranti e della protezione dell’identità linguistica e culturale delle nazioni. “Valori insiti nell’essere umano stesso, precedenti al diritto e allo Stato”, scrivono ancora. Su questi temi, e in particolare sull’obiezione di coscienza del personale medico a praticare aborti o eutanasie, sulla quale i vescovi insistono molto, i vescovi ricordano che “le Chiese hanno il dovere di risvegliare le coscienze su tutti questi punti e di difendere la dignità della persona umana creata a immagine di Dio”. Il prossimo anno, la terza edizione del Forum cattolico-ortodosso si svolgerà a Lisbona. (R.B.)

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    A novembre la Conferenza internazionale del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari

    ◊   Il presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, arcivescovo Zygmunt Zimowski, nei giorni scorsi ha ufficialmente presentato a Papa Benedetto XVI il programma della 25.ma Conferenza internazionale del dicastero che presiede, e che si svolgerà in Vaticano dal 18 al 20 novembre sul tema: “Per una cura della Salute equa e umana alla luce della Caritas in veritate”. Contemporaneamente è stata resa nota anche la lista delle illustri personalità del mondo ecclesiastico, della ricerca scientifica, della diplomazia, della sanità e dell’economia invitate a partecipare. Tra questi il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone; i cardinali Raffaele Martino e Peter Kodwo Appiah Turkson, rispettivamente presidente emerito e presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Hanno, inoltre, già confermato la propria partecipazione mons. Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi; mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; mons. Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra; mons. Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht e membro del Consiglio direttivo della Pontificia Accademia per la Vita; padre Renato Salvatori, superiore generale dei Camilliani. Alla conferenza, che quest’anno celebra il “Giubileo d’argento” del dicastero vaticano, ci saranno anche gli interventi del ministro italiano della Salute, Ferruccio Fazio; del direttore per l’Africa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Luis Gomes Sambo, dall’Angola; del presidente del Consiglio di sovrintendenza dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior), Ettore Gotti Tedeschi, e di Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica all’Università di Bologna. (R.B.)

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    Spagna: oggi ad Oviedo la consegna dei Premi "Principe delle Asturie"

    ◊   La città spagnola di Oviedo ospita oggi l’annuale cerimonia di consegna dei Premi "Principe delle Asturie", un’iniziativa che intende promuovere i valori scientifici, culturali e umanistici considerati come patrimonio comune dell’umanità. A ricevere il riconoscimento dalle mani dell'erede al trono di Spagna saranno: per la comunicazione e le scienze umane, gli intellettuali Alain Touraine, francese e Zygmunt Bauman, polacco naturalizzato britannico, due tra i massimi esponenti del pensiero europeo attuale, per i loro studi sulle trasformazioni delle strutture sociali contemporanee e per l’elaborazione di concetti chiave per la comprensione del nostro tempo; per le scienze sociali, il gruppo di archeologi del sito di Xian in Cina, il complesso funerario con 8.000 statue di terracotta, la cui scoperta, nel 1974, costituisce una fonte di straordinaria ricchezza per la conoscenza della civiltà cinese; per le arti, lo scultore statunitense Richard Serra, per la capacità innovativa di integrare gli spazi urbani nelle sue creazioni che invitano alla riflessione e allo stupore; per le lettere, lo scrittore libanese Amin Maalouf, autore di riflessioni profonde e originali sulla cultura mediterranea, rappresentata come spazio simbolico di convivenza e di tolleranza; per la ricerca scientifica e tecnica, il biochimico statunitense David Julius, il biochimico e genetista israeliano Baruch Minke e la biochimica e fisiologa statunitense Linda Watkins, referenti mondiali della Neurobiologia sensoriale, autori di studi fondamentali sulle cause e sui meccanismi di produzione e percezione del dolore; per la cooperazione internazionale, la Transplantation Society, con sede a Montreal (Canada) e l’Organizzazione Nazionale Spagnola per i Trapianti, istituzioni distintesi per l’impegno nello stabilire i principi medici ed etici alla base dei processi clinici e della ricerca scientifica relazionata con i trapianti; per lo sport, la Nazionale spagnola di calcio, vincitrice della Coppa del mondo, per il suo modo di intendere l’agonismo calcistico, per il gioco leale e lo spirito di gruppo; per la concordia, la Ong internazionale Mani Tese, cui si deve una rilevante opera umanitaria e sociale nella lotta alla fame e al sottosviluppo e ai fini dell’inclusione nei sistemi scolastici e sanitari di milioni di persone. (A cura di Marina Vitalini)

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    24 Ore nel Mondo



    In Francia si estende la protesta contro la riforma delle pensioni

    ◊   Il presidente della Banca Centrale Europea, Trichet, ha espresso dubbi sulle nuove misure definite in questi giorni dai ministri delle Finanze dell’Ue e contenute nella bozza del Patto di stabilità e crescita europeo. Intanto, in Francia il progetto di riforma delle pensioni continua ad alimentare la protesta. Il voto in Senato è slittato a stasera o domani, ma i sindacati hanno annunciato due nuovi giorni di scioperi il 28 ottobre e il 6 novembre. Il servizio di Marco Guerra:

    Tiene duro il governo. Tiene duro la piazza. Il primo vuole chiudere il passaggio al senato della riforma, che innalza l’età pensionabile a 62 anni, entro questo fine settimana. Per farlo il ministro del Lavoro ha chiesto una corsia preferenziale, prevista dall'articolo 44 della Costituzione, che consente un voto unico sul testo ed evita l’esame degli oltre 250 emendamenti presentati dall’aula. Dal canto loro, le parti sociali continuano ed estendono la mobilitazione anche per la prossima settimana. Ieri, hanno fissato due nuovi giorni di sciopero generale: giovedì 28 ottobre e sabato 6 novembre. Le date scelte dovrebbero causare grandi disagi per gli spostamenti in apertura e chiusura del consueto periodo di vacanze per le festività per i Santi. Intanto i sindacati restano sul piede di guerra, forti dell’appoggio di due terzi della popolazione. Il leader della più forte organizzazione sindacale, la Cgt, ha affermato che “non ci sono ragioni per interrompere la protesta”. Proseguono quindi i blocchi al settore energetico. Stamane la polizia ha liberato l’accesso alla raffineria di Grandpuits, una delle 12 del Paese. Forzato anche il blocco al deposito di carburanti di Tolosa. Oltre 200 persone sono state disperse con i lacrimogeni.

    Belgio - crisi politica
    Ancora senza soluzione la crisi politica in Belgio. Il re Alberto II ha incaricato il senatore socialista fiammingo Johan Vande Lanotte di avviare un nuovo negoziato per la formazione del governo. Si tratta dell’ennesimo tentativo dopo il fallimento – il quarto – della trattativa avviata dal separatista fiammingo de Wever.

    Olanda - scontro fra imbarcazioni
    Almeno un disperso dopo lo scontro stamattina in un canale di Amsterdam tra una nave da carico e un piccolo traghetto che trasportava pendolari. A mancare all'appello è il capitano del traghetto. Ma si continua a lavorare freneticamente per verificare se tra i passeggeri finiti in acqua vi siano altri dispersi.

    Italia - il Governo va avanti con il piano per le discariche
    Andare avanti senza esitazioni con il piano rifiuti. Così il premier italiano, Silvio Berlusconi, a margine del vertice di questa mattina a palazzo Chigi sull’emergenza rifiuti in Campania. Secondo Berlusconi, entro 10 giorni la situazione tornerà nella norma. Intanto la gestione della discarica di Terzigno sarà assunta dalla protezione civile e il governo predisporrà 14 milioni di opere di compensazione per la località campana. A Terzigno, però, la popolazione continua a manifestare. La notte scorsa ci sono stati scontri con le forze dell’ordine che hanno portato all’arresto di una persona. In mattinata, circa 20 autocompattatori sono entrati nella discarica scortati da un imponente dispiegamento di forze dell'ordine. Sulla questione interviene anche l’Ue che si dice preoccupata e non esclude possibili infrazioni verso l’Italia. Ma ascoltiamo la testimonianza di don Michele, parroco di Terzigno, al microfono di Luca Collodi:

    R. - E’ una cosa veramente inaspettata. Ci umilia, ci offende e ci addolora profondamente e in modo particolare proprio a noi sacerdoti, che sentiamo di più questa sofferenza perché si tratta di un territorio sano, pulito, meraviglioso che la nostra gente ha curato con tutte le forze, non sperando in nessuna altra cosa, se non la valorizzazione del proprio territorio. E’ una zona fertile, è una zona meravigliosa tanto che lo Stato ha pensato di realizzare il Parco Vesuvio Nazionale. Quello che umilia la nostra gente in questo momento è il non essere ascoltati, il non vedere il dolore e la sofferenza acuta e con un futuro del tutto oscuro. Noi sacerdoti siamo vicini alla gente per addolcire e per abbracciare questa Croce e vedere come è possibile andare avanti, con la preghiera e con la speranza in Dio, perché una seconda discarica sarebbe veramente una "bomba atomica" lanciata nel cuore dell’Italia. Abbiate la pazienza di ascoltarci e di prendere le decisioni più opportune. Siamo gente semplice, laboriosa, nessun camorrista è in mezzo a noi. Siamo tutti umili e aspettiamo la decisione intelligente, laboriosa e responsabile delle autorità.

    Afghanistan
    La Nato ieri ha smentito una sua partecipazione al tavolo dei colloqui di pace in Afghanistan. Colloqui che sarebbero in corso tra le autorità di Kabul e leader talebani per mettere fine al conflitto. Il processo di riconciliazione – precisa l’Alleanza Atlantica – è un processo esclusivamente afghano. Dal canto suo, il Consiglio di pace afghano, l’organismo voluto dal presidente Karzai, ha reso noto che è pronto a offrire concessioni ai ribelli che rinunceranno alla violenza e si metteranno al tavolo negoziale. Intanto, sul terreno non si fermano le violenze: il governatore del distretto di Dur Baba, nell'Afghanistan orientale, è stato ucciso dall'esplosione di un ordigno artigianale posto sul ciglio di una strada.

    Somalia a rischio di una nuova crisi di governo
    Continua la crisi di governo in Somalia, dove la nomina del primo Ministro Mohamed Abdullahi, rischia di riaprire le fratture tra i clan tribali che appoggiano il presidente Sharif. Nuovi scontri nella notte quando, truppe della Missione Umanitaria Amisom, hanno bombardato basi del movimento Shaab, alla periferia di Mogadiscio e nel Sud del Paese, provocando oltre 16 morti e diversi feriti. Intanto, l’Unione africana si è rivolta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, chiedendo il blocco aereo e navale di tutto il Paese per impedire il traffico di armi e di aumentare il contributo militare di 20 mila uomini. Marco Onali ha intervistato Gian Paolo Calchi Novati, docente di storia dell’Africa all’Università di Pavia e responsabile del programma per l’Africa dell’Istituto per gli studi di Politica Internazionale:

    R. – Va ricordato che questo governo ha un controllo limitatissimo del territorio e che è un interlocutore della comunità internazionale, più che dello stesso popolo somalo. I motivi veri riguardano le responsabilità nel controllare la sicurezza dove il governo ha giurisdizione. Il problema è l’affidabilità e la capacità del governo attuale, che è trincerato nel quartiere del presidente, circondato dai "signori della guerra".

    D. – La scorsa settimana è stato nominato il nuovo premier...

    R. – La scelta è stata sicuramente determinata da motivi di ripartizione di potere fra i due principali gruppi islamici. E questo dà un’idea di un equilibrio che tiene conto di fattori che con l’efficienza del governo hanno poco a che fare.

    D. – L’Unione Africana ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di bloccare lo spazio aereo e navale in tutto il territorio somalo...

    R. – L’interferenza di forze straniere è all’ordine del giorno in Somalia, per cui forse è tardi per interrompere questi flussi. Un aspetto interessante di questa eventuale misura riguarda il rapporto con la Somalia e lo Yemen. La Somalia è stata sempre considerata una specie di Afghanistan africana. C’è un punto diverso: in Somalia non ci sono le montagne, mentre lo Yemen ha le montagne, per cui finora c’è stata una specie di joint venture, in questa funzione di copertura delle varie squadre che gestiscono il terrorismo. Lo stesso movimento Shabaab, che sta tenendo in scacco il governo della Somalia, sembra che abbia duemila combattenti, per cui queste grandi misure sono poco adatte, fermo restando che il problema non è militare ma politico.

    Stati Uniti - questione valute
    Gli Stati Uniti tornano a far pressioni sui Paesi a forte esportazione come la Cina affinché rivedano la politica dei tassi di cambio delle valute. Il segretario al tesoro Timothy Geithner ha inviato una lettera ai colleghi dei Paesi del G20 in occasione del vertice che si tiene in Corea del Sud nella quale sottolinea che i Paesi con larghi surplus commerciali, in particolare le economie emergenti, devono modificare il regime valutario mirando all'apprezzamento della propria moneta per non pregiudicare la crescita globale. “I Paesi del G20 – ha precisato segretario al tesoro Usa - non devono praticare politiche sui cambi tali da garantirsi vantaggi competitivi”.

    Cuba - rilascio detenuti
    Il governo cubano ha autorizzato la liberazione di altri cinque prigionieri politici. Lo ha annunciato ieri sera la Chiesa cattolica dell'isola, nel giorno dell'assegnazione del premio Sakharov al dissidente Guillermo Farinas. Il servizio è di Salvatore Sabatino:

    I cinque fanno parte di un gruppo di 52 prigionieri arrestati nel 2003. Secondo l’arcivescovo dell’Avana, il cardinale Jaime Ortega, avrebbero dato il loro assenso alla scarcerazione e all’immediato trasferimento in Spagna, così come era già successo nei mesi scorsi con altri dissidenti. Il governo cubano, infatti, grazie alla mediazione della Chiesa locale, aveva accettato di liberare 52 prigionieri nell’arco di 4 mesi. 39 sono già stati portati a Madrid, 13, invece, rifiutano il trasferimento, considerandolo un esilio. La notizia della liberazione di questi ultimi 5 dissidenti giunge nel giorno dell'attribuzione del premio Sakharov a Guillermo Farinas, 48enne giornalista e oppositore di Castro, conosciuto soprattutto per i suoi ripetuti scioperi della fame, 23 in tutto, che gli hanno fatto rischiare la vita e gli sono valsi 11 anni di prigione. E’ la terza volta che il Premio Sakharov va a un dissidente cubano. Il presidente dell'Europarlamento, Buzek annunciando il vincitore in sessione plenaria, si è augurato di potergli consegnare personalmente il riconoscimento, il 15 dicembre.

    Brasile - presidenziali
    In vista del ballottaggio per le presidenziali in Brasile, previsto per il 31 ottobre, Dilma Rousseff, la "delfina" del capo dello Stato Lula, cala nei sondaggi. In crescita il rivale Josè Serra, colpito alla testa da un oggetto – forse un rotolo di adesivo – nel corso di scontri alla periferia di Rio de Janeiro tra suoi sostenitori e quelli della Rousseff. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 295

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