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Sommario del 15/11/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • I cristiani siano testimoni di verità, amore e giustizia: così Benedetto XVI ai vescovi del Brasile
  • Il Papa sullo sport: insegni rispetto delle regole e valori morali. Il grazie all'Italia per l'accoglienza dei cattolici feriti a Baghdad
  • Altre udienze
  • Conferenza internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per la salute: equità e umanità nella cura dei pazienti
  • Al via la Plenaria che celebra il 50.mo del dicastero per l’Unità dei Cristiani
  • Nuova composizione del Collegio Cardinalizio
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La riflessione economica del Papa all'Angelus: il commento del prof. Dell'Aringa
  • Piano Usa per una moratoria degli insediamenti ebraici nei Territori palestinesi
  • Human Rights Watch: reclutamento di bambini soldato per la guerra in Somalia
  • Immigrati sulla gru a Brescia: la mediazione della diocesi insieme a Cgil e Cisl
  • Mons. Liberati sul sito archeologico di Pompei: necessario un uso intelligente dei fondi
  • Italia: cresce tra i giovanissimi la dipendenza dai social network
  • Chiesa e Società

  • Incontro dei vescovi africani ed europei ad Abidjan: passi avanti nella comunione
  • Mobilitazione per salvare Asia Bibi: migliaia di mail inondano gli uffici governativi pakistani
  • Messa a Roma per i cristiani iracheni uccisi il 31 ottobre a Baghdad
  • Fuga dal Medio Oriente dei cristiani perseguitati. Padre Samir: una grave perdita per tutti
  • Irlanda. Al via la visita apostolica del cardinale O'Malley
  • Haiti: sono 200mila le persone che manifestano sintomi di colera
  • Cuba: rilasciato il primo dissidente del “Gruppo dei 75” che rifiuta l’esilio
  • I vescovi dell’Uruguay ricordano il ruolo dei cattolici nell’indipendenza del Paese
  • La Chiesa salvadoregna: no alle miniere senza sicurezza. Cordoglio per la morte di 23 detenuti
  • Perù: si riaccende il dibattito sulla fecondazione in vitro
  • Argentina: celebrata la Giornata nazionale del malato
  • India: la Chiesa contraria alla pena di morte per l’assassino di un missionario australiano
  • Sri Lanka: i vescovi contro la legalizzazione del gioco d’azzardo
  • Australia: soddisfazione dei vescovi per la sentenza contro la detenzione dei richiedenti asilo
  • Austria: si apre oggi la plenaria dei vescovi
  • Giornata dei diritti del bambino: in Congo previste attività sull'educazione
  • Lavori in corso nel campo profughi di Shu’fat a Gerusalemme Est
  • Alla Gregoriana ricordati i 30 anni del Jesuit Refugee Service
  • I 25 anni della missione a Taiwan delle suore del Sacro Cuore
  • 24 Ore nel Mondo

  • I finiani ufficializzano l'uscita dal governo Berlusconi. Il Pdl: è tradimento
  • Il Papa e la Santa Sede



    I cristiani siano testimoni di verità, amore e giustizia: così Benedetto XVI ai vescovi del Brasile

    ◊   I cristiani siano testimoni del Vangelo e punto di riferimento nella società: è l’auspicio di Benedetto XVI, contenuto nel discorso di stamani nell’udienza ai vescovi brasiliani della Regione Centro-Ovest. Si tratta dell’ultimo gruppo di presuli del Brasile in visita ad Limina. Nel suo discorso, il Papa si è soffermato sul ruolo delle Conferenze episcopali ed ha sottolineato l’importanza della comunione tra i vescovi e il Pontefice, come tra i pastori e i fedeli. L’indirizzo d’omaggio al Pontefice è stato rivolto dall’arcivescovo di Brasilia, dom João Braz de Aviz. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Nell’attuale società secolarizzata, c’è bisogno di una rinnovata testimonianza evangelica da parte dei cristiani: è l’appello di Benedetto XVI, che nel giorno in cui si festeggia la proclamazione della Repubblica del Brasile, ha sottolineato “l’importanza dell’azione evangelizzatrice della Chiesa nella costruzione dell’identità brasiliana”:

    “Há quase 60 anos, a Conferência Nacional dos Bispos do Brasil…”
    Rivolgendosi ai vescovi brasiliani della Regione Centro-Ovest, il Papa ha messo l’accento sul ruolo della Conferenza episcopale del Paese, organismo che si appresta a celebrare i suoi 60 anni di fondazione e che, ha detto, rappresenta un punto di riferimento per la società brasiliana. Benedetto XVI ha affermato che la prima testimonianza che ci si aspetta da chi annuncia la Parola di Dio è l’amore reciproco. Le Conferenze episcopali, ha rilevato, nascono proprio come concreta applicazione della comunione d’amore dei vescovi con il Pontefice. E come “strumento di comunione effettiva ed affettiva tra i suoi membri”. D’altro canto, ha aggiunto, la Conferenza episcopale consente ai presuli di esercitare armoniosamente alcune funzioni pastorali per il bene dei fedeli e dei cittadini di un determinato territorio:

    “A Conferência Episcopal promove a união de esforços…”
    “La Conferenza episcopale – ha soggiunto – promuove una unione di sforzi e di intenzioni dei vescovi”, diventando uno strumento che può condividere i suo impegni. Tuttavia, non deve diventare una realtà parallela o sostitutiva del ministero di ogni vescovo. Ed ha ribadito che i vescovi devono innanzitutto trovare i mezzi più efficaci per far arrivare al popolo il Magistero universale. L’esercizio della funzione dottrinale, ha quindi constatato, è necessaria ad “affrontare le nuove questioni emergenti”. Spetta ai presuli, ha poi aggiunto, orientare “la coscienza degli uomini per incontrare una retta soluzione ai nuovi problemi suscitati dalle trasformazioni sociali e culturali”. Il Papa ha così indicato quali siano oggi i temi particolarmente sensibili:

    “A promoção e a tutela da fé e da moral …”
    “La promozione e la tutela della fede e della morale”, la cura delle vocazioni, l’impegno ecumenico, la difesa della vita umana, la santità delle famiglia, il diritto dei genitori ad educare i propri figli e, ancora, la libertà religiosa, la pace e la giustizia sociale. Il Papa ha così ribadito che le Conferenze episcopali esistono come “organo propulsore della sollecitudine pastorale dei vescovi, la cui preoccupazione primaria deve essere la salvezza delle anime”. Il Santo Padre ha concluso il suo discorso assicurando la propria affettuosa vicinanza al popolo del Brasile, affidato all’intercessione materna della Vergine Maria di Aparecida.

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    Il Papa sullo sport: insegni rispetto delle regole e valori morali. Il grazie all'Italia per l'accoglienza dei cattolici feriti a Baghdad

    ◊   “Praticato con passione e senso etico, lo sport” è scuola di “valori umani e cristiani”: è quanto ha affermato il Papa incontrando oggi in Vaticano una rappresentanza dei Maestri di sci italiani. Presente all’udienza anche il ministro degli Esteri Franco Frattini, che il Papa ha ringraziato per l’intervento del governo italiano a favore dei cattolici iracheni feriti durante l’attentato del 31 ottobre scorso a Baghdad. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Il Papa ringrazia l’Italia per l’ospitalità data agli iracheni feriti durante l’attacco contro la Cattedrale siro-cattolica di Baghdad, alla vigilia della Solennità di Tutti i Santi. L’attentato ha causato quasi 60 morti, tra cui 8 bambini, 10 donne e 2 sacerdoti. Numerosi feriti sono stati prontamente accolti nelle strutture italiane per l’assistenza sanitaria. Parlando ai Maestri di sci, Benedetto XVI ha poi ribadito che “l’attività sportiva rientra tra i mezzi che concorrono allo sviluppo armonico della persona ed al suo perfezionamento morale” contribuendo “a stimolare alcune capacità”…

    “ … ad esempio la costanza nel perseguire gli obiettivi, il rispetto delle regole, la tenacia nell’affrontare e superare le difficoltà. Praticato con passione e senso etico, lo sport, oltre che esercitare ad un sano agonismo, diventa scuola per apprendere e approfondire valori umani e cristiani”.

    “Mediante l’attività sportiva – ha proseguito il Papa - la persona comprende meglio che il suo corpo non può essere considerato un oggetto, ma che, attraverso la corporeità, esprime se stessa ed entra in relazione con gli altri”:

    “In tal modo, l’equilibrio tra la dimensione fisica e quella spirituale porta a non idolatrare il corpo, ma a rispettarlo, a non farne uno strumento da potenziare a tutti i costi, utilizzando magari anche mezzi non leciti”.

    Il Papa si è poi riferito al fatto che lo sci si pratica immersi nell’ambiente montano: “un ambiente – ha detto - che, in modo speciale, ci fa sentire piccoli”, rendendoci capaci “di interrogarci sul senso del creato, di guardare in alto, di aprirci al Creatore” e al nostro compito di essere custodi del mondo. Una responsabilità che “neppure il peccato dell’uomo ha eliminato” e che l’attività sportiva può aiutare a coltivare:

    “I progressi nell’ambito scientifico e tecnologico danno all’uomo la possibilità di intervenire e manipolare la natura, ma il rischio, sempre in agguato, è quello di volersi sostituire al Creatore e di ridurre il creato quasi a un prodotto da usare e consumare. Qual è invece l’atteggiamento giusto da assumere? Sicuramente è quello di un profondo sentimento di gratitudine e riconoscenza, ma anche di responsabilità nel conservare e coltivare l’opera di Dio”.

    Infine, Benedetto XVI invita quanti hanno responsabilità nella formazione sportiva ad agire d’intesa con le famiglie, specialmente quando gli allievi sono minori, e in collaborazione con la scuola e le altre realtà educative, ricordando anche di “dare la giusta centralità ai momenti fondamentali per la vita di fede, specialmente alla santificazione della domenica come giorno del Signore”.

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    Altre udienze

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina anche il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

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    Conferenza internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per la salute: equità e umanità nella cura dei pazienti

    ◊   "Per una cura della salute equa ed umana alla luce dell’Enciclica Caritas in Veritate ", il tema della XXV Conferenza Internazionale promossa dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, che avrà luogo il 18 novembre nell’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano e il 19 novembre presso l’Istituto Patristico Augustinianum. Stamane la presentazione dell’evento in Sala Stampa vaticana. Il servizio di Roberta Gisotti.

    Un “tema centrale per la giustizia e la dignità umana”, ha sottolineato il direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, a suggellare il 25.mo di fondazione del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. 750 i partecipanti - studiosi, operatori sanitari, sacerdoti, religiosi e laici - in arrivo a Roma da 65 Paesi dei cinque continenti, molti dall’Asia e dall’Africa. Tra i relatori, i cardinali Bertone, Martini e Turkson, oltre agli arcivescovi Amato e Ravasi, che diventeranno cardinali il 20 novembre, il ministro italiano della Sanità Fazio, il presidente dello Ior Gotti Tedeschi e l’economista Zamagni. Ad illustrare gli obiettivi della Conferenza, è stato mons. Zygmunt Zimowski, presidente del dicastero promotore:

    “È nostra sincera speranza che questa Conferenza faccia luce sui modi di migliorare l’accesso alla tanto desiderata parità di assistenza sanitaria di base, e che sia allo stesso tempo rispettosa della dignità inalienabile dell’uomo”.

    Si tratta - ha spiegato il presule - di valutare “i sistemi economici e sociali attraverso la lente morale della carità e della verità”, al fine di promuovere lo sviluppo integrale della persona e il progresso di tutta l’umanità:

    “Alla luce di ciò, diventa difficile conciliare il progresso economico, scientifico e tecnico con la persistente disparità di accesso ai servizi sanitari, che è un diritto umano fondamentale”.

    Persistono infatti - ha denunciato mons. Zimowski - “continue ineguaglianze tra i sistemi sanitari” di Paesi poveri e ricchi, dove pure si hanno “ampie differenze nell’accesso alle cure sanitarie”:

    “Molti poveri ed emarginati non hanno accesso ai farmaci e ad altre tecnologie salvavita, a causa dei costi inaccessibili o delle scarse infrastrutture sanitarie esistenti nelle loro Nazioni”.

    Ha ricordato il presule l’impegno prezioso, sovente anche di supplenza, della Chiesa cattolica nel settore sanitario con 117 mila strutture nel mondo, specie nei Paesi più poveri:

    “L’obbligo morale che ci viene dai diritti umani è che dovremmo trattare ogni persona al pari nostro, con la stessa dignità e con le stesse opportunità di perseguire una vita sana. Non possiamo pertanto escludere nessuno dalla sanità o prestargli cure inferiori”.

    Un richiamo particolare è venuto da Domenico Arduini, direttore della Clinica di Ostetricia e Ginecologia dell’Università Tor Vergata di Roma. L’eccesso di tecnologia e specializzazione ha portato i medici a concentrarsi sui loro saperi particolari, trascurando l’individualità: allora – ha detto – riportiamo il paziente al centro del nostro interesse.

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    Al via la Plenaria che celebra il 50.mo del dicastero per l’Unità dei Cristiani

    ◊   “Verso una nuova tappa del dialogo ecumenico”: è il tema della Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, al via oggi pomeriggio, che celebra il 50.mo di attività. I lavori si apriranno con il saluto, l’introduzione e la prolusione del presidente, il futuro cardinale Kurt Koch. Dopo la Concelebrazione eucaristica nella Basilica Vaticana domani mattina, la riflessione proseguirà con la relazione sull’attività del dicastero a cura del segretario, il vescovo Brian Farrell. Seguiranno gli interventi del cardinale Leonardo Sandri sulle Chiese Orientali, del cardinale Lubomyr Husar, dedicato all’Ucraina, e di mons. Barthélémy Adoukonou sull’ecumenismo in Africa. Da parte sua mons. Paul Nabil el Sayah porterà la voce del recente Sinodo per il Medio Oriente riguardo all’impegno ecumenico nella regione, mentre il padre Norbert Hoffmann riferirà sul lavoro della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo. E’ inoltre previsto un ampio spazio di discussione sull’opera “Harvesting the Fruits” del presidente emerito del dicastero, il cardinale Walter Kasper, sui 40 anni di dialogo ecumenico con le Chiese Protestanti – luterane riformate, metodiste e Comunione anglicana – dialogo iniziato nel solco delle conclusioni del Concilio Vaticano II. Nel pomeriggio di mercoledì 17, una solenne cerimonia pubblica - nella Sala San Pio X - commemorerà il 50.mo di fondazione del dicastero, alla quale prenderanno parte anche l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, e il metropolita di Pergamo, Ioannis Zizioulas. I diversi ambiti della problematica ecumenica espressi nel corso della plenaria saranno ripresi e sintetizzati nella sessione conclusiva del 19 novembre, in cui non mancherà un accenno alle prospettive future del Pontificio Consiglio.

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    Nuova composizione del Collegio Cardinalizio

    ◊   Con gli 80 anni del cardinale lettone Pujats Jānis, compiuti ieri, il Collegio Cardinalizio è composto ora da 179 porporati di cui 101 Elettori e 78 non elettori. Sabato prossimo, Benedetto XVI terrà il Concistoro pubblico per la creazione di 24 nuovi cardinali (20 elettori e 4 ultraottantenni). In quella data, il Collegio dei cardinali sarà dunque formato da un totale di 203 porporati, di cui 121 elettori e 82 non-elettori.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Per superare la crisi economica: all’Angelus Benedetto XVI invita a non cercare alleanze vantaggiose tra Paesi ricchi a discapito di quelli poveri.

    Nell’informazione vaticana, il Papa ai presuli della regione centro-ovest del Brasile in visita “ad limina”.

    Le Confraternite al servizio della carità e della devozione popolare: la Messa del cardinale Tarcisio Bertone in Piazza San Pietro.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la critica situazione economica in Irlanda e i riflessi in Europa.

    L’ultimo fiore del Rinascimento: in cultura, l’introduzione di Antonio Paolucci al volume “La Casina di Pio IV in Vaticano”, presentato oggi pomeriggio all’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede.

    Vietato pregare (e anche lamentarsi): Vicente Carcel Orti sulla persecuzione anticattolica nella Spagna repubblicana.

    Razzisti travestiti da scienziati: Gaetano Valli sul libro di Giorgio Israel “Il fascismo e la razza. La scienza italiana e le politiche razziali del regime”, presentato oggi pomeriggio a Palazzo Giustiniani.

    Un sole nel cielo e un altro sulla terra: Beat Brenk curatore dell’opera “La Cappella Palatina a Palermo”.

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    Oggi in Primo Piano



    La riflessione economica del Papa all'Angelus: il commento del prof. Dell'Aringa

    ◊   L’attuale situazione economica mondiale è stata ieri al centro dell’Angelus di Benedetto XVI. La crisi economica in atto di cui si è parlato anche in questi giorni nella “cosiddetta riunione del G20” – ha detto il Papa – si è aggiunta ad altri ben più gravi sintomi, quali il perdurare dello squilibrio tra ricchezza e povertà, lo scandalo della fame, l’emergenza ecologica e il problema della disoccupazione. Per un commento sulle parole del Santo Padre, ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonaco il prof. Carlo Dell’Aringa, docente di Economia Politica all’Università Cattolica di Milano:

    R. - Doveroso e molto utile l’intervento del Papa, proprio perché avviene in un momento in cui tutti i Paesi più importanti della terra hanno dato un bruttissimo esempio nell’ultimo G20. Hanno dato segnali forti di una mancanza di cooperazione, di incapacità di assumere responsabilità e di lavorare insieme per il bene comune. Prevalgono interessi nazionali, che sono simili proprio a quegli interessi individualisti ed egoistici degli operatori economici che - in modo miope - hanno creato questa crisi. E’ chiaro, poi, che sono i più deboli a pagare il costo più alto!

    D - E, infatti, proprio un rischio denunciato dal Pontefice è la tentazione per le economie più dinamiche di ricorrere ad alleanze vantaggiose, che poi possono risultare gravose per gli Stati più poveri…

    R. - Sì, ma sono alleanze di breve respiro perché poi tutto può risolversi in guerre commerciali, in svalutazioni competitive. Naturalmente in queste condizioni manca quello spirito collaborativo, dal quale soltanto può derivare la capacità di rinunciare in parte ai propri interessi per aiutare i Paesi poveri. E’ chiaro che se ciascuno pensa solo a se stesso, ha paura di fare delle mosse che possono svantaggiarlo. Solo insieme, invece, i Paesi industrializzati possono pensare per il bene dei Paesi più poveri!

    D. - Il Santo Padre ha poi aggiunto che in questo scenario economico appare decisivo un rilancio strategico dell’agricoltura. Un richiamo, quello del Papa, a rivalutare l’agricoltura non in senso nostalgico, ma come risorsa indispensabile per il futuro…

    R. - Abbiamo bisogno di potenziare questo settore strategico, tanto più se si tiene conto che una larga proporzione della popolazione mondiale ancora soffre la fame. In tutti i Paesi sviluppati si lamenta la non disponibilità dei giovani a fare lavori manuali in settori fondamentali come l’agricoltura. Se anche nell’agricoltura si investisse nelle tecnologie ecocompatibili e più rispettose dell’ambiente, si potrebbero riqualificare gli stessi lavori ed attirare i giovani. E si darebbe, soprattutto, una motivazione in più a tutti quei giovani che sono sensibili a questo discorso di solidarietà e di fratellanza fra i popoli.

    D. - Auspicabile poi - come ha detto il Papa - un nuovo equilibrio tra agricoltura, industria e servizi, perché lo sviluppo sia effettivamente sostenibile…

    R. - Certamente. Noi purtroppo rientriamo ancora in quella logica di guardare solo al prossimo futuro, dimenticando invece le capacità di sviluppo integrale delle nostre economie a vantaggio anche delle future generazioni.

    D. - E’ fondamentale - ha detto infine il Santo Padre - diffondere una consapevolezza etica, educare ad un consumo più responsabile e incentivare stili di vita che non risultino dannosi né per l’ambiente né per i più poveri…

    R. - Questa è la parte più difficile e più importante: educare alla responsabilità, alla sobrietà, a non vedere solo nel consumo un mezzo d’identificazione, ma vedere nel lavoro, nel lavoro costruttivo - costruttivo del futuro per gli altri - la propria identificazione. Questo manca ai giovani e bisogna educarli! Ma per educarli, naturalmente, devono essere i governi per primi a dimostrare come nel contesto mondiale devono prevalere le logiche della collaborazione e della responsabilità. Possiamo insegnare ai giovani la solidarietà e la sussidiarietà, se le stesse classi dirigenti di questi Paesi si comportano in modo esattamente contrario? (mg)

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    Piano Usa per una moratoria degli insediamenti ebraici nei Territori palestinesi

    ◊   Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha presentato oggi al suo governo un piano formulato dagli Stati Uniti che prevede una nuova moratoria degli insediamenti ebraici solo in Cisgiordania per un periodo di tre mesi in cambio di un pacchetto di incentivi politici e militari americani a Israele. Il piano è stato presentato al premier israeliano la settimana scorsa a New York nel corso di un colloquio di ben sette ore col segretario di stato Usa, Hillary Clinton. Per un commento sul piano americano, Salvatore Sabatino ha intervistato Eric Salerno, esperto di Medio Oriente per quotidiano il Messaggero:

    R. – Il piano comprende una moratoria sugli insediamenti nei territori occupati, ma non a Gerusalemme Est, cosa che i palestinesi respingono subito. Dal punto di vista degli incentivi c’è un pacchetto di caccia-bombardieri dell’ultima generazione, che andrebbero a consolidare l’arsenale israeliano. Ci sono, inoltre, una serie di promesse e garanzie americane a livello politico: gli Stati Uniti accetterebbero di difendere Israele da ogni critica alle Nazioni Unite, di impedire all’Autorità nazionale palestinese di proclamare l’indipendenza unilateralmente della Palestina e cose di questo genere. Tutto un pacchetto, poi, riguarderebbe cosa l’America darebbe a Israele se quest’ultimo dovesse a un certo punto firmare un accordo di pace con i palestinesi: un pacchetto, cioè, della durata di 10 anni che dovrebbe partire soltanto dal momento di un accordo tra i due.

    D. – Secondo diversi commentatori pare che il premier Netanyahu sia disposto ad accettare le proposte statunitensi, ma non è certo che riesca ad ottenere la maggioranza. Insomma, questo governo allargato, ancora una volta, pone dei problemi a Netanyahu?

    R. – Pone dei problemi, ma - tutto sommato - è quella garanzia che vuole Netanyahu, che dice: io ho delle grandi difficoltà a convincere - cosa che sembra riuscirà a fare - il governo ad andare avanti. Anche perché gli americani hanno promesso che se non ci sarà un accordo entro tre mesi, cioè entro questi 90 giorni di moratoria, gli Stati Uniti non chiederanno a Israele di proseguire la moratoria. Questo significa che se gli israeliani sono in difficoltà, troveranno una maniera di attribuire agli altri - come hanno fatto molte volte in passato, cioè ai palestinesi - la colpa del non progresso nel negoziato. Quello che gli americani vorrebbero raggiungere nel giro di tre mesi è una decisone sui confini del futuro Stato palestinese.

    D. – Su una cosa non ci sono dubbi, Obama ha bisogno di un successo in Medio Oriente. Ci riuscirà?

    R. – Obama vuole un successo. Certo se riuscisse ad arrivare ad un accordo di pace - e stiamo parlando di una cosa che lo stesso Obama sostiene che nel giro di un anno si potrebbe fare - sarebbe sicuramente un grande premio all’amministrazione e, anche, a lui che ha già avuto un Premio Nobel per la pace ancora prima di cominciare. Non bisogna dimenticare neanche questo! Quello che potrebbe essere utile a Obama è che una eventuale - chiamiamola così - vittoria, in questo senso un successo, gli darebbe l’aiuto sicuramente di una parte della comunità ebraica americana, che fino ad adesso è stata molto ostile a quello che sta facendo in Medio Oriente. (bf)

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    Human Rights Watch: reclutamento di bambini soldato per la guerra in Somalia

    ◊   Nel campo di profughi somali di Dadaab, in Kenya, vengono reclutati bambini soldato per la guerra in Somalia. E' quanto emerge dal Rapporto di Human Rights Watch. Negli ultimi 20 anni, infatti, il conflitto in Somalia ha costretto migliaia di persone a rifugiarsi nel vicino Kenya, specialmente nel campo di Dadaab che raccoglie quasi 300 mila persone, un terzo delle quali sono bambini. Debora Donnini ha sentito Marco Rotelli, direttore generale di Intersos, organizzazione umanitaria presente da anni in Somalia:

    R. – I campi di Dadaab sono i campi profughi più grandi del mondo. La recrudescenza del conflitto in Somalia ha portato all’aumento di combattenti: uno dei bacini più accessibili per gli insorti è proprio quello dei giovani che, per un terribile mix di condizioni venutesi a creare, sono paradossalmente interessati a questo tipo di vita e di attività. Anche i rifugiati somali che sono in Kenya, pur avendo assistenza umanitaria di standard piuttosto elevato, vedono il proprio futuro con scarsissima fiducia. Afflitti da una povertà ormai cronica, e in assenza di futuro, vedono le esperienze con i gruppi militanti come un possibile sbocco.

    D. – A reclutare questi bambini soldato somali sono gli Shabaab, cioè il gruppo integralista islamico che lotta contro il governo transitorio in Somalia o anche altri gruppi?

    R. – Gli Shabaab rappresentano il gruppo più potente e che, in qualche maniera, coordina l’attività di insorgenza contro il governo transitorio. All’interno di questa grande coalizione di insorgenza ci sono altri gruppi. E’ chiaro che, fuori dal coordinamento e dal controllo dello stesso Shabaab, viene fatto poco. Anni fa, quando ancora la situazione non era così estrema, quando organizzazioni come Intersos potevano lavorare con maggiore libertà all’interno del Paese, non è stato possibile - soprattutto per mancanza di finanziamenti e di una chiara strategia in questo senso - alimentare, per esempio, il livello di educazione. Molti di questi giovani hanno dovuto trovare scolarizzazione primaria in scuole particolarmente radicali e da qui il contatto tra giovani e gruppi armati è diventato un flusso che ormai è ben consolidato.

    D. – Il movimento degli Shabaab è legato ad al Qaeda?

    R. – Sono informazioni di intelligence che trapelano e che danno un’interpretazione del genere. Sicuramente è un gruppo particolarmente solido in questo momento, che riceve supporti fuori dai confini della Somalia. Ha dimostrato, in pratica, di controllare fisicamente il 90 per cento della Somalia centromeridionale.

    D. – Come mai questi gruppi riescono a penetrare in Kenya che, tra l’altro, sostiene il governo transitorio e non appoggia questi gruppi?

    R. – Il Kenya è stato uno dei leader del processo di supporto al governo transitorio. Le regioni dove si collocano le realtà di Dadaab sono piuttosto vicine ai confini somali. Sono aree molto desertich dove il controllo delle autorità keniote esiste, ma non può essere a tutti gli effetti efficace. Ci sono sicuramente delle infiltrazioni e ogni comunità - per quanto in stato di rifugio - rimane in qualche maniera in collegamento con il proprio Paese di origine. Questo vale per i campi di rifugiati, così come per le diaspore. Il Rapporto fa bene a sottolineare come ormai il problema somalo sia realtà concreta anche fuori dai confini della Somalia. Questa dovrebbe essere l’ennesima allerta per fare in modo che la Comunità internazionale prenda il dossier somalo con convinzione, anche di strategia politica, per risolvere un problema che ormai è diventato enorme e ventennale. (bf)

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    Immigrati sulla gru a Brescia: la mediazione della diocesi insieme a Cgil e Cisl

    ◊   La diocesi di Brescia, Cgil e Cisl, lanciano una proposta ai quattro migranti che da due settimane sono sulla gru del cantiere della metropolitana di via San Faustino. Alcuni avvocati saranno messi a disposizione degli extracomunitari per assisterli nei procedimenti di identificazione e per ottenere possibili benefici. In un comunicato, il vescovo della città, mons. Luciano Monari, afferma che “è necessario scongiurare esiti tragici e operare per il bene comune al di là delle strategie politiche e delle vittorie di parte”. Alessandro Guarasci ha sentito padre Mario Toffari che a nome della diocesi sta seguendo da vicino la vicenda:

    R. – Non ho mai pensato ad una cosa come in questi giorni: che cos’è la speranza cristiana! E’ una cosa che ti tiene in piedi e che non devi perdere mai. Quindi, sono fiducioso, perché spero che ci metta la mano Dio, altrimenti, se non ce la mette Lui, non so cosa succederà. Chiedo alla gente di pregare per noi, perché a questo punto, francamente, abbiamo già messo in campo tutte le risorse e tutte le fantasie umane.

    D. – Ci sono comunque dei segnali, che dicono che potrebbero scendere dalla gru?

    R. – I ragazzi dicono: “riferitevi alla piazza”. Noi dobbiamo andare in piazza e passare le nostre proposte ad una piazza esagitata. Chi comanda, nella piazza, è questo gruppo appartenente ai centri sociali: al loro sì i ragazzi agiscono. Sono loro a discutere con gli avvocati le garanzie da dare; garanzie che, se scenderanno, gli avvocati poi tratteranno con la Questura e con la Magistratura.

    D. – Possibile che la Diocesi, la Cgil e la Cisl, che in questo momento si sono fatti portavoce dei bisogni di questi immigrati, non riescono a trovare un accordo? Le posizioni sono davvero così lontane?

    R. – L’accordo è tra i centri sociali e lo Stato italiano. Per cui se i centri sociali chiedono la luna è chiaro che dall'altre parte non possono fare niente. Se lo Stato si irrigidisce è chiaro che ci veniamo a trovare tra due mali. Purtroppo, pare che le richieste siano molto elevate. Le ripeto che io sono andato sulla gru e 15 giorni fa avevamo raggiunto addirittura l'accordo sull’immunità: se fossero venuti giù, non sarebbero stati nemmeno identificati. Adesso le posizioni si sono irrigidite e non so se lo Stato possa non identificarli, anzi non può non identificarli. Quindi, ora si tratta di vedere la possibilità dell’immunità. D’altra parte, i centri sociali cosa vogliono? Che questi migranti scendano a tutti i costi o vogliono che scendano soltanto quando sarà tutto a posto?(ap)

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    Mons. Liberati sul sito archeologico di Pompei: necessario un uso intelligente dei fondi

    ◊   Trentamila sono stati i fedeli che hanno raggiunto il Santuario di Pompei per ricordare il 135.mo anniversario dell'arrivo dell'icona della Vergine del Rosario. Racconta la tradizione che fu il beato Bartolo Longo a far pervenire qui un'immagine raffigurante la Madonna del Rosario, donatagli da una suora del convento del Rosariello a Napoli. Luogo di numerosi miracoli, vi nacque il Santuario, meta, ogni anno, di quattro milioni di pellegrini da tutto il mondo. Quest’anno l’evento è coinciso con la bufera che si è scatenata con il crollo della Schola Armaturarum nel sito archeologico della città vesuviana. Tra una ventina di giorni – fanno sapere al Ministero per i Beni Culturali – saranno disponibili i risultati dell’ispezione in corso nell’area. Da Pompei, dove era in visita giovedì scorso, la Commissione Cultura della Camera ha chiamato in causa la necessità di maggiori fondi e sicurezza da garantire al sito in degrado. L’Ue fa sapere che è disposta a dare il suo sostegno per le operazioni di restauro. Il servizio di Antonella Palermo:

    Per accogliere nella maniera più adeguata le migliaia di pellegrini che giungono a Pompei, il Santuario, per iniziativa dell’arcivescovo della città campana, mons. Carlo Liberati, sta subendo da qualche mese una vasta opera di ristrutturazione. Ma l’apprensione si concentra in questi giorni su quanto accaduto negli scavi di Pompei. Ascoltiamo a questo proposito l’auspicio espresso dallo stesso mons. Carlo Liberati:

    “Forse è bene pensare ad un uso intelligente dei fondi: 25 milioni di euro all’anno. Dove finiscono? Finiscono tutti nelle casse dello Stato? Non bastano i periti storici o archeologici, ci vogliono dei tecnici, operatori dell’organizzazione museale, che curino anche la fruibilità e soprattutto il senso del bene comune. Pompei non può essere abbandonata a questa lentezza, come qualche volta invece avviene”.

    “Che la Vergine illumini gli amministratori chiamati a proteggere e gestire gli scavi di Pompei, il tesoro più grande per tutta la regione”, ha pregato il sindaco Claudio D’Alessio. Mentre notizie di ulteriori crolli si diffondono in maniera talvolta incontrollata, il progettista del restauro del complesso adiacente all’armeria dei Gladiatori chiarisce che “la parete venuta giù, perché schiacciata dal crollo del solaio della Schola, faceva parte della Casa del Moralista”. Antonio De Simone, docente di Archeologia all’università, Suor Orsola Benincasa di Napoli, pone sotto accusa proprio certe tecniche di restauro, che fin dagli anni trenta, hanno fatto uso del cemento, per di più di cattiva qualità, materiale non permeabile, poco durevole e pesante:

    R. - Io per la verità non mi scandalizzo tanto per il crollo.

    D. – E di cosa?

    R. – Noi abbiamo avuto, negli ultimi 35 anni, l’alterazione complessiva e progressiva di un equilibrio abbastanza delicato, che riusciva a garantire una conservazione non ottimale, ma certamente migliore di quella attuale. Anche la migliore delle manutenzioni non potrebbe in toto scongiurare il rischio di qualche pericolo del genere, pur dovendo ammettere che, secondo me, ci sono delle carenze e delle lacune notevoli in una manutenzione ordinaria, che è la forma più soddisfacente e più corretta di restauro. E’ questo che in tanta parte ha determinato il crollo, secondo me.

    D. – Le soluzioni?

    R. – Le soluzioni non sono né immediate né in tempi brevi. Bisognerebbe avere la possibilità di elaborare un piano unico, all’interno del quale si sappia quello che è stato fatto e quello che resta da fare. Quello che resta da fare lo vai a pianificare come fattibile entro un certo periodo e, contemporaneamente, laddove si è operato, si comincia già con delle manutenzioni ordinarie. Tutto questo obbliga ad un’ispezione continua.(ap)

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    Italia: cresce tra i giovanissimi la dipendenza dai social network

    ◊   La dipendenza da “amici condivisi”, come su Facebook, può diventare una prigione e cresce sempre di più tra i giovanissimi. E’ necessario che i genitori accorcino il divario con i propri figli. Così in sintesi il dott. Federico Tonioni, direttore del Centro di cura per psicopatologie derivate da Internet, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. La struttura attiva da poco più di un anno ha in cura circa 150 pazienti. L’80 per cento è dipendente da social network e gioco d’azzardo ed ha un’età compresa tra i 12 e i 21 anni. Massimiliano Menichetti ha intervistato lo stesso dott. Tonioni.

    R. – Ci sono due fasce di pazienti: quelli cosiddetti più grandi dai 33-35 anni in su, dediti soprattutto alla pornografia on-line e al gioco d’azzardo on-line, che hanno consapevolezza di aver sviluppato una dipendenza. Poi c’è un gruppo molto più vasto – circa l’80 per cento – che sono adolescenti o pre-adolescenti, hanno un’età che va dagli 11 anni fino ai 21 anni e sono dediti soprattutto ai social network e ai giochi d’azzardo on-line.

    D. – In questa seconda fascia c’è la consapevolezza di aver sviluppato dipendenza?

    R. – Non hanno, a differenza dei primi, una consapevolezza perché non hanno mai conosciuto un “prima” del computer, essendo nati in piena digitalizzazione.

    D. – Cosa succede, ad esempio, in un ragazzo che comincia a diventare schiavo del social network, dell’incontro virtuale?

    R. – Soprattutto un aumento dell’ideazione paranoidea, ovvero della tendenza a controllare l’altro. Quando questo si verifica è, francamente, patologico.

    D. – Come si sviluppa la dipendenza da “amici condivisi” su Internet, su Facebook e come si cura?

    R. – La dipendenza da amici condivisi può diventare una prigione perché, soprattutto negli adolescenti, per il fatto di poter vivere un’amicizia senza presentare il proprio corpo, fisicamente inteso - e questo è uno dei problemi degli adolescenti in toto, perché il corpo cambia e molto spesso, in certi casi, è molto poco accettato - può subentrare una forma di accettazione, un accontentarsi di vivere delle relazioni in maniera parziale: parlandosi ma senza la possibilità di toccarsi e di viversi fisicamente. Questo noi lo curiamo con la psicoterapia, quindi incontri individuali e poi di gruppo.

    D. – Quali sono le differenze tra l’incontro reale e l’incontro virtuale, per la persona?

    R. – La differenza è tanta, perché quando i corpi fisicamente intesi e non rappresentati con una foto nel social network, sono vicini, anche a livello di distanza fisica, si attiva quella che viene definita la comunicazione non verbale. Un rossore dice molto di più di una frase. I nostri corpi comunicano in continuazione al di fuori del nostro controllo cosciente, per cui la comunicazione non verbale non è un’alternativa alla comunicazione verbale ma è l’essenza della comunicazione stessa. Questo, nei social network, non si attiva.

    D. – Poi la comunicazione diventa anche frammentaria, si può anche mentire, essere altro…

    R. – Assolutamente sì e soprattutto quasi mai è intima, perché il comunicare non è introspettivo ma è rappresentativo, ovvero si esplica soprattutto nel “fuori” e molto meno nel “dentro”.

    D. – Non bisogna demonizzare Internet ed i social network: ma quando è uno strumento utile e quando invece diventa uno strumento negativo?

    R. – Quando si accompagna anche ad una vita “dal vivo” è sicuramente funzionale alla vita reale stessa. Quando invece tende a sostituirla, ovviamente non è così. Per cui quando si nota una sorta di estraniamento dalla realtà, mancanza di piacere nelle attività fatte extra-web e, in ogni caso, una sorta di distacco progressivo, di disinvestimento dalla realtà autenticamente vissuta, siamo in presenza di un caso preoccupante.

    D. – Lei ribadisce: “l’80 per cento dei nostri utenti sono anche bambini”. Quale consiglio si può dare ai genitori per cercare di non innescare queste patologie?

    R. – Essere presenti, vicini ai figli, senza controllarli a loro insaputa. Provare con loro a re-innescare una relazione d’intimità di prossimità, perché ricordiamoci che una delle manifestazioni di questo fenomeno è proprio l’evidenza di una distanza aumentata rispetto a quanto di solito ci aspettavamo. (vv)

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    Chiesa e Società



    Incontro dei vescovi africani ed europei ad Abidjan: passi avanti nella comunione

    ◊   Si è concluso ieri il terzo seminario congiunto tra Secam, il Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar, e Ccee, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, che si è svolto ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Nel corso della quattro giorni, dedicata al tema “Nuove situazioni della missione Ad Gentes: scambio di sacerdoti e agenti pastorali-formazioni e vocazioni”, i vescovi hanno riflettuto sulle nuove sfide della formazione sacerdotale e dell’evangelizzazione nel mondo moderno, sempre più globalizzato e secolarizzato, evidenziando la necessità di una maggiore comunione, collaborazione e solidarietà pastorale tra i presuli dei due continenti. Su questo tema, nel messaggio finale i vescovi hanno tenuto a sottolineare la natura missionaria della Chiesa: tutti i suoi membri, con il Battesimo, infatti, sono chiamati a essere missionari perché “evangelizzare è la missione stessa del cristiano, che sia in Africa, in Europa o da qualsiasi altra parte”. Inoltre hanno ricordato l’appello per una nuova evangelizzazione lanciato a suo tempo da Giovanni Paolo II e la creazione del Pontificio Consiglio per la Nuova evangelizzazione, voluto da Papa Benedetto XVI nel giugno scorso. Al tempo stesso si è evidenziata la necessità di una migliore preparazione dei sacerdoti e dei religiosi, sia in campo spirituale sia nei campi intellettuale, pastorale e psicologico: tutte competenze indispensabili per portare avanti la nuova evangelizzazione, perché “ci sono ancora milioni di uomini nel mondo in attesa della Buona Notizia di Gesù Cristo”. I vescovi hanno poi pregato molto per la pace, soprattutto in alcuni Paesi africani come il Sudan o la Repubblica Democratica del Congo e durante la riunione hanno inviato una lettera al presidente francese Nicholas Sarkozy, che ha assunto la presidenza dell’ultimo vertice del G20 in Corea. Per suo tramite, i vescovi esortano i leader mondiali ad avere “il coraggio di assumersi le responsabilità per costruire un autentico sviluppo dell’uomo in tutta la Terra – sono alcuni stralci riportati dal Sir - e di non limitarsi a salvare le valute e le risorse finanziarie dei loro Paesi, ma di prendere impegni precisi per sostenere gli uomini e i popoli che non hanno accesso alle economie in crescita”. Il prossimo incontro tra Secam e Ccee è previsto a Roma nel febbraio 2012. (A cura di Roberta Barbi)

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    Mobilitazione per salvare Asia Bibi: migliaia di mail inondano gli uffici governativi pakistani

    ◊   Grande mobilitazione internazionale e manifestazioni di solidarietà per Asia Bibi, la donna di fede cristiana condannata a morte per blasfemia in Pakistan. Grazie all’impegno concreto di associazioni cristiane, gruppi che difendono i diritti umani e semplici cittadini, gli uffici governativi pakistani sono stati inondati da oltre 40mila mail che chiedono il rilascio della donna. Intanto, in Pakistan la Chiesa locale ha rilanciato una petizione per l’abolizione della legge sulla blasfemia (che prevede il carcere e in alcuni casi la pena capitale per chi insulta o dissacra il nome di Maometto e del Corano) intrapresa un anno fa dalla Commissione Giustizia e Pace dell’episcopato: finora sono state raccolte circa 75mila firme. Secondo alcune fonti di Fides, il ministro federale per le Minoranze religiose, Shahbaz Batti, promuoverebbe la revisione della legge; la Conferenza degli Jamiat Ulema, invece, una rappresentanza di oltre 30 partiti religiosi, la riterrebbe “intoccabile”. Gli estremisti, addirittura, vorrebbero estendere la definizione di “blasfemo” a chiunque promuova l’abolizione della legge stessa. La raccolta di firme, intanto, ha superato i confini nazionale e grazie all’impegno di “Aiuto alla Chiesa che soffre” (Acs), in Francia ne sono state raccolte e consegnate al governo 10.600, mentre il segretario italiano di Acs ha ottenuto 1400 adesioni e presenterà la petizione insieme con il rapporto 2010 sulla liberta religiosa che si terrà a Roma il 24 novembre prossimo. (R.B.)

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    Messa a Roma per i cristiani iracheni uccisi il 31 ottobre a Baghdad

    ◊   “Per le comunità cristiane che vivono in Iraq questo è un momento orribile, perché sono vittime di attacchi sempre più atroci da parte degli estremisti islamici. L’Occidente non può continuare a far finta di nulla!”. Con un accorato appello è cominciata ieri sera l’omelia di mons. Al Jamil, procuratore a Roma del patriarcato di Antiochia dei Siri, che ha presieduto nella chiesa romana di sant’Ippolito, una celebrazione eucaristica per le vittime del tragico attentato del 31 ottobre scorso nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad. Nella giornata di ieri, inoltre, si è pregato in tutte le chiese della diocesi di Roma per i cristiani vittime di persecuzioni religiose in Medio Oriente. “Le nostre comunità cattoliche – ha spiegato il prelato ai presenti - sono molto importanti in Iraq. Con i fratelli musulmani abbiamo sempre avuto rapporti di amicizia, ma adesso le cose sono diventate più difficili; loro dovrebbero aiutarci maggiormente contro gli attacchi di questi fanatici religiosi. Viviamo in costante pericolo nonostante non facciamo parte di nessuna delle fazioni in lotta nel Paese, anzi cerchiamo di dare il nostro contributo di pace”. A illustrare maggiormente la situazione drammatica che vivono quotidianamente i cristiani a Baghdad, a termine della celebrazione eucaristica è intervenuto padre Aysar Saaed che tra pochi giorni partirà per la capitale irachena per sostituire uno dei sacerdoti morti nell’attentato: “Gli attacchi contro i cristiani ormai sono continui, pochi giorni fa sono state assaltate 13 case in quartieri diversi della città, abitate da famiglie cristiane. Questi terroristi - ha detto - dicono di farlo in nome di Dio, ma nessun Dio accetta l’uccisione di vittime innocenti! Noi, al contrario di loro, non abbiamo armi, ma possediamo la nostra fede e per questo vi chiediamo di pregare per le nostre comunità, perché il Signore ci dia la forza e il coraggio di andare avanti nel suo nome”. (A cura di Marina Tomarro)

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    Fuga dal Medio Oriente dei cristiani perseguitati. Padre Samir: una grave perdita per tutti

    ◊   “La fuga dei cristiani rappresenta una grave perdita per i musulmani e per il Medio Oriente”. E’ quanto dichiara, in un’intervista all'agenzia Sir, l’islamologo gesuita, padre Samir Khalil Samir, commentando gli ultimi fatti di violenza contro i cristiani in Iraq e che li sta costringendo ad emigrare all’estero. Per il gesuita, “la loro fuga priverebbe il Medio Oriente di un contributo importante a due livelli: sul piano della competenza e della capacità. I cristiani, infatti, sono persone che hanno un livello culturale piuttosto elevato, essi rappresentano principi diversi, insistono sui diritti umani, sull’uguaglianza fra tutti intendendo per tutti, credenti e non credenti. Essi hanno il seme della laicità, nel senso della libertà di coscienza, che si trova nel Vangelo”. Anzi, aggiunge padre Samir, sarebbe “una doppia perdita: prima per il cristianesimo – senza il cristianesimo orientale la Chiesa universale perderebbe una tradizione essenziale alla sua vita, ma soprattutto per il mondo musulmano”. I cristiani, infatti, “rappresentano un elemento di diversità ed il mondo islamico ne ha bisogno, soprattutto in questo momento in cui tende a ripiegarsi su se stesso e ad opporsi a tutto ciò che è diverso, l’Occidente in primis. Tocca alle istituzioni difendere la comunità cristiana – ribadisce padre Samir riferendosi alle violenze in Iraq - come richiesto più volte dai suoi stessi esponenti. Attaccare l’Occidente attraverso i cristiani, che reputano legati ad esso a causa della fede, è un atteggiamento vile in quanto i cristiani iracheni non hanno nessun legame particolare con l’Occidente, ancor meno con la politica occidentale. Essi, infatti, sono più orientali (e anche arabi) dei musulmani, in quanto abitano questa terra prima dei musulmani. I cristiani orientali non sono legati all’Occidente, né politicamente né militarmente”. Spiega il gesuita: “i musulmani compiono un doppio errore di principio: considerano il mondo arabo musulmano e quello occidentale cristiano. L’Occidente, è vero, nasce da una tradizione cristiana, ma oggigiorno non accade che l’Occidente, da tempo secolarizzato, si rifaccia al Vangelo per emanare delle leggi. Il cristiano d’Oriente, a causa della propria fede, può comprendere meglio l’Occidente che ha una radice cristiana. Il cristiano serve da mediatore, tra il mondo islamico (al quale appartiene per storia, lingua e cultura) e il mondo occidentale (al quale aderisce per via del Vangelo e della fede cristiana). Aggredire chi fa da mediatore – conclude - è un suicidio vero e proprio, ed è ciò che stanno facendo”. (R.P.)

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    Irlanda. Al via la visita apostolica del cardinale O'Malley

    ◊   “Sono venuto in questa bella e storica cattedrale, la prima volta, nel 1963, in coincidenza con la visita del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, e sono felice di ritrovarmi adesso qui, quale Visitatore apostolico, in rappresentanza del nostro Santo Padre, Benedetto XVI”. Così ha esordito il cardinale Sean O’Malley, parlando durante la celebrazione eucaristica in onore di san Lorenzo O’Toole, patrono dell’arcidiocesi di Dublino, che ha aperto la sua missione in Irlanda. E il cardinale di Boston ha continuato: “Sono venuto ad ascoltare le vostre sofferenze, la vostra rabbia, ma anche le vostre speranze. Sono qui per assistere la Chiesa sul cammino del rinnovamento”. Il Papa nella sua Lettera alla Chiesa d’Irlanda, dello scorso marzo, aveva espresso il suo profondo dolore e rincrescimento per gli abusi sessuali sui minori da parte di preti e religiosi e anche per il modo inadeguato in cui, in passato, spesso si era risposto a tali casi. Da qui, lo scopo di questa visita pastorale. A Dublino si è già lavorato tanto per risolvere simili casi, ma il Vaticano vuole vedere il tutto con occhi nuovi, incontrando anche le vittime, per verificare l’efficacia dei processi in corso, intesi a debellare per sempre tali abusi. L’arcivescovo di Dublino e Primate di Irlanda, Diarmuid Martin, dando il benvenuto al cardinale O’Malley, ha dichiarato: “Oggi la Chieda di Dublino è sul sentiero di un difficile momento della sua storia. Lorenzo O’Toole, patrono della diocesi, non ha mai avuto paura di camminare con coraggio su strade rischiose per preservare la pace e rinnovare la vita della sua Chiesa. Non c’è rinnovamento senza penitenza e conversione. Per questo - ha detto mons. Martin - ci rivolgiamo al Signore per riconoscere il nostro bisogno di perdono, di guarigione e di forza affinché, rinnovati nei nostri cuori, possiamo portare la buona novella alla Dublino di oggi”. (Da Dublino, Enzo Farinella)

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    Haiti: sono 200mila le persone che manifestano sintomi di colera

    ◊   Dopo quasi 11 mesi dalla tragedia più grande che ha subito l'isola e che secondo la stima ufficiale ha provocato 230.000 morti, adesso l'epidemia di colera minaccia circa 200mila abitanti, secondo le Nazioni Uniti: una situazione molto critica che sta passando quasi inosservata alla vista della sensibilità internazionale. Per questo motivo - riferisce l'agenzia Fides - Benedetto XVI ha lanciato un appello, ieri all’Angelus, facendo appello alla Comunità internazionale “affinché aiuti generosamente quelle popolazioni”. Anche le Nazioni Uniti avevano fatto una richiesta di aiuto alla comunità internazionale, chiedendo di raccogliere 163 milioni di dollari per combattere il colera ad Haiti. La portavoce dell'Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu (Ocha), Elisabeth Byrs, ha detto durante una conferenza stampa a Ginevra: "abbiamo assolutamente bisogno di questo denaro il più presto possibile per evitare di essere travolti da questa epidemia". L'Onu ha segnalato che cinque dei dieci dipartimenti di Haiti sono colpiti dall'epidemia, questo significa che almeno "200 mila persone manifestano sintomi di colera, con diarrea e disidratazione", si legge in una dichiarazione pubblicata venerdì scorso. (R.P.)

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    Cuba: rilasciato il primo dissidente del “Gruppo dei 75” che rifiuta l’esilio

    ◊   Grande felicità a Cuba per la scarcerazione, avvenuta sabato scorso, del primo dei dissidenti del cosiddetto “Gruppo dei 75” che rifiutano l’esilio. Si tratta del 68enne Arnaldo Ramos, condannato nel 2003 a 18 anni e che ha già manifestato l’intenzione di proseguire a Cuba la “lotta per la democrazia”. Ramos era uno dei 13 che il governo aveva tenuto in carcere anche dopo la scadenza del termine, avvenuta il 7 novembre scorso, e la sua liberazione è avvenuta 24 ore dopo la conferma arrivata dal cardinale dell’Avana, Jaime Ortega, alle Damas de Blanco, l’associazione di mogli e familiari dei detenuti politici, che il governo avrebbe proseguito nelle scarcerazioni. Gli appartenenti al “Gruppo dei 75” vennero arrestati nel 2003 e da allora la Chiesa cattolica si è molto adoperata per instaurare un dialogo con il regime che conducesse alla loro scarcerazione. Di questi, 39, negli ultimi quattro mesi, sono stati rilasciati perché hanno accettato di emigrare in Spagna. “Un passo positivo, un po’ in ritardo, ma che fa ben sperare”: è il commento raccolto dall'agenzia Misna di Oscar Espinosa, appartenente al Gruppo e rilasciato nel 2004 per motivi di salute. (R.B.)

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    I vescovi dell’Uruguay ricordano il ruolo dei cattolici nell’indipendenza del Paese

    ◊   In località la Florida, nelle vicinanze della capitale dell’Uruguay, Montevideo, ieri si è svolto l’annuale pellegrinaggio al santuario della Madonna “de los 33”, Patrona della nazione, in concomitanza con il termine dell’assemblea plenaria dei vescovi che hanno pubblicato una dichiarazione sulle celebrazioni del Bicentenario dell’indipendenza nazionale. Con lo sguardo rivolto al futuro, i vescovi hanno ricordato che le celebrazioni in programma per il 2011 sono momenti utili “per assumere la memoria del passato” e “far crescere oggi l’unità e l’affetto sociale del nostro popolo, assumendoci anche le responsabilità del nostro cammino verso il futuro”. Dopo un breve cenno all’origine della nazione uruguaiana, i presuli scrivono: “Come credenti riconosciamo negli avvenimenti vissuti la Provvidenza divina, il Signore della storia”. “Cogliamo l’occasione - si legge nel documento - per ringraziare il Signore per questi due secoli e per chiedere il suo aiuto” per riconoscere gli errori, saper chiedere perdono e, soprattutto, per cercare i sentieri del futuro”. “Le donne e gli uomini che hanno preso parte a questo processo di emancipazione erano, nella maggioranza dei casi, cattolici. La visione che avevano dell’uomo e della sua esistenza, dei popoli e dei loro diritti, della vita e della morte, era tutta permeata dalla fede e dalla cultura cattolica, nonostante le ottiche diverse e i differenti contributi ideologici”. I presuli, inoltre, ricordano che la stessa Chiesa cattolica, la gerarchia dei sacerdoti e i fedeli, “sono stati parte attiva di questo processo, all’interno del quale si è forgiato il popolo dell’Uruguay”. E come ieri anche oggi, sottolinea il documento “la Chiesa e tutti i suoi membri partecipano attivamente alla costruzione della patria”. Per i vescovi dell’Uruguay, quindi, “lo sguardo verso il passato” deve servire in particolare a “rinforzare l’identità nazionale, apprezzare il patrimonio costruito in questi duecento anni, riscattare i valori più autentici e individuare insieme, come andare avanti per costruire una patria edificata sulla verità, la giustizia, la libertà e l’amore”. Affidando il futuro del Paese alla Madonna “de los 33”, i vescovi si congedano con le parole di Giovanni Paolo II che il primo aprile 1987, durante la sua visita pastorale al Paese disse: “Cari uruguaiani: la vostra patria è nata cattolica. I suoi padri si avvalsero del consiglio di illustri sacerdoti che incoraggiarono i primi passi della nazione uruguaiana con l’insegnamento di Cristo e della sua Chiesa e l’affidarono alla protezione della Madonna che, con il nome di Vergine dei Trentatrè, è oggi in questa celebrazione accanto alla croce. L’Uruguay contemporaneo troverà le strade della vera riconciliazione e dello sviluppo integrale cui tanto anela se non allontanerà il suo sguardo da Cristo, principe della pace e re dell’universo”. (A cura di Luis Badilla)

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    La Chiesa salvadoregna: no alle miniere senza sicurezza. Cordoglio per la morte di 23 detenuti

    ◊   Ieri, nella sua abituale conferenza stampa dopo la Messa domenicale, mons. Luis Escobar Alas, arcivescovo di San Salvador, ha letto un breve comunicato della Conferenza episcopale con il quale, si ribadisce ancora una volta, si rifiuta l’istallazione nel territorio nazionale di qualsiasi industria mineraria senza che esistano leggi e regolamenti severi per la protezione della vita e dell’ambiente. In concreto, i presuli chiedono al Parlamento di non approvare leggi che consentano lo sfruttamento di minerali che utilizzano cianuro nei loro processi di lavorazione. “La nostra - dicono i vescovi - non è una posizione politica o partitica, bensì rigorosamente pastorale” e ricordano nuovamente che “il cianuro, utilizzato spesso per separare l’argento dall’oro e da altri minerali è una sostanza altamente tossica e danneggia gravemente la salute dei salvadoregni. Perciò chiediamo un corpo legale che protegga la vita e l’ambiente”. Mons. Escobar Alas ha rilevato, poi, che “nessuna quantità di denaro vale il danno che provoca all’ambiente un’industria mineraria così concepita. “Occorre, al riguardo - ha precisato il presule - seguire l’esempio di altri Paesi che hanno adottato le misure adeguate per proteggersi”. Inoltre l’arcivescovo di San Salvador ha rinnovato il dolore e la preoccupazione della Chiesa locale per l’incendio che mercoledì scorso ha ucciso, in un carcere per giovani, 23 reclusi. “Una vera catastrofe – ha detto - il minimo che possiamo chiedere è fare il possibile affinché tragedie di questo tipo non si ripetano”. Manifestando vicinanza e solidarietà, e rinnovando anche le condoglianze ai parenti delle vittime, mons. Escobar Alas ha richiamato l’attenzione sulla situazione carceraria e ha chiesto alle massime autorità del Paese misure per sorvegliare quanto accade e soprattutto di introdurre il più presto miglioramenti. “Non sappiamo cosa è accaduto realmente e perché. Non abbiamo informazioni per parlare di negligenza o di dolo. Attendiamo che sia la giustizia a far chiarezza e a comunicare al Paese la verità sull’incendio”, che oltre alle vittime ha causato il ferimento di altri 15 detenuti, alcuni dei quali in fin di vita a causa delle ustioni. (L.B.)

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    Perù: si riaccende il dibattito sulla fecondazione in vitro

    ◊   “Un chiaro esempio della logica terribile che introduce la riproduzione assistita: il figlio diventa una merce”: così Carlos Polo, direttore per l’America Latina del Population Research Institute, ha commentato la vicenda avvenuta in Perù, in cui una coppia di genitori, che, ricorsi alla fecondazione in vitro, hanno avuto una bambina affetta da sindrome di Down, hanno chiesto un risarcimento alla struttura sanitaria cui si erano rivolti. “Il legittimo e meraviglioso desiderio di genitorialità – riferisce L’Osservatore Romano – sta divenendo, con la procreazione in vitro, un mero processo commerciale, in cui il bambino, una persona latrice di diritti inviolabili, è ridotto a cosa manipolabile, a oggetto in vendita”. Il direttore insiste sul tema, sostenendo che queste pratiche “aprono alla logica dell’aborto”. “Per produrre un embrione sano – dice – se ne sopprimono molti altri che diventano materiale di scarto”. Il numero di embrioni sacrificato nelle tecniche di fecondazione in vitro, infatti, si aggira intorno all’80% e l’embrione umano “ha fin dall’inizio la dignità propria della persona”. “La Chiesa condanna con forza le tecniche di controllo delle nascite che agiscono dopo la fecondazione, quando l’embrione è già costituito e in particolare ritiene moralmente illecita l’eliminazione volontaria degli embrioni – ha ricordato Gloria Adaniya, presidente del Center for family - nel campo della procreazione, considera, invece, lecite tutte le tecniche che rispettano il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano, così pure gli interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla fertilità naturale”. (R.B.)

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    Argentina: celebrata la Giornata nazionale del malato

    ◊   “La strada verso un Bicentenario dell’Argentina che sia nel segno della giustizia e della solidarietà, non deve però distoglierci dal grande obiettivo: aiutare a sradicare la povertà e l’esclusione nel nostro Paese”. Così i vescovi argentini nel loro messaggio inviato ieri in occasione delle celebrazioni della Giornata nazionale del malato, il cui tema scelto per il 2010 era “Bambini sani, speranza della Patria”. “Una delle cause della povertà è un vero crimine, cioè l’abbandono dei bambini – ha spiegato all’Osservatore Romano il presidente della Commissione episcopale per la Pastorale della Salute e vescovo di Quilmes, mons. Luis Teodorico Stöckler – sappiamo che la mancanza di cibo e di cure mediche durante la gravidanza e durante i primi tre anni di vita possono provocare danni irreparabili”. Il vescovo ha poi elencato altri fattori devastanti, quali l’abbandono scolastico, l’analfabetismo, la mancanza d’inserimento nel mondo del lavoro, la formazione precoce di coppie senza la necessaria preparazione. “La povertà – ha concluso – fa ammalare e la malattia fa impoverire. La malnutrizione e la scarsa assistenza medica in una comunità ne sono l’indicatore dell’ingiustizia sociale che vi regna. La chiave per superare la povertà è l’educazione”. La Giornata del malato in Argentina ricorre ogni seconda domenica di novembre e si pone l’obiettivo di risvegliare un forte senso di solidarietà all’interno della comunità nazionale e di riscoprire il significato del mistero della sofferenza. (R.B.)

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    India: la Chiesa contraria alla pena di morte per l’assassino di un missionario australiano

    ◊   Diversi esponenti della Chiesa in India si sono detti contrari alla pena di morte per l’assassino di Graham Stuart Staines, il missionario protestante australiano trucidato insieme ai suoi due figlioletti il 22 gennaio 1999 nello Stato dell’Orissa da un gruppo di fanatici indù. L’Ufficio Centrale d’Investigazione (CBI) ha chiesto infatti alla Corte Suprema indiana la punizione estrema per Ravindra Pal Singh, indicato come il principale responsabile del linciaggio. “Non vogliamo la pena capitale per nessuno”, ha dichiarato all’agenzia Ucan mons. Sarat Chandra Nayak, vescovo di Berhampur che ha affermato di essere invece favorevole all’ergastolo, per la pericolosità sociale di Singh. Analogo il giudizio John Dayal, segretario dell’All India Christian Council (Aicc): “Siamo contrari alla pena di morte per motivi morali ed etici”, anche se l’assassinio di Staines “è stato efferato e senza alcuna attenuante, per la premeditazione, il movente e la brutalità della sua esecuzione”, ha dichiarato l’attivista cattolico, ricordando che la moglie del missionario australiano si è opposta sin dall’inizio alla condanna a morte degli assassini. Secondo padre Charles Irudayam, segretario della Commissione per la giustizia e la pace e lo sviluppo della Conferenza episcopale indiana (CBCI) la punizione di Singh è comunque una “buona lezione” per tutti coloro che cercano di condizionare i tribunali con denaro o pressioni politiche dopo avere commesso un crimine. Staines – lo ricordiamo - era stato arso vivo insieme ai suoi due bambini nel cortile di una chiesa del villaggio di Manoharpur perché sospettato di convertire con la forza al cristianesimo gli abitanti del luogo. Per l’omicidio Singh era stato già condannato a morte dal tribunale di prima istanza, pena poi ridotta in appello all’ergastolo. Insieme a lui sono state condannate alla prigione a vita altre 12 persone. (L.Z.)

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    Sri Lanka: i vescovi contro la legalizzazione del gioco d’azzardo

    ◊   Sta suscitando vive critiche in Sri Lanha l’approvazione in Parlamento di una legge che vuole legalizzare il gioco d’azzardo autorizzando l’apertura regolamentata di casinò nel Paese. Il Gaming Special Provinsions Bill è stato approvato con una maggioranza di 81 voti favorevoli, nonostante l’opposizione di diversi esponenti religiosi e della società civile. Secco il commento del presidente della Conferenza episcopale srilankese, il cardinale designato Malcolm Ranjith: “Il gioco d’azzardo è contrario ai principi religiosi”, ha detto l’arcivescovo di Colombo. “Dovremo assicuraci che questa misura non vada contro questi valori fondamentali che sono molto importanti in questo Paese”. Dello stesso tenore il giudizio espresso da diversi esponenti buddisti. Un monaco buddista citato dall’agenzia Ucan ha detto che si tratta di una legge con diversi punti oscuri. Il governo srilankese, da parte sua, difende il provvedimento adducendo il fatto che il gioco d’azzardo esiste comunque e che nessuno è mai riuscito a sradicarlo, neanche nei Paesi dove esistono regole particolarmente rigide in materia. (L.Z.)

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    Australia: soddisfazione dei vescovi per la sentenza contro la detenzione dei richiedenti asilo

    ◊   I vescovi australiani plaudono la sentenza con cui, l’11 novembre, l’Alta Corte d'Australia ha accolto il ricorso contro la normativa della cosiddetta “Pacific Solution” che regola la valutazione delle domande degli immigrati clandestini prevedendo la detenzione dei richiedenti asilo in isole australiane, ma fuori dalla “zona di immigrazione”. Il ricorso era stato presentato da due cittadini srilankesi detenuti nella remota Christmas Island, le cui domande di asilo erano state respinte dalle autorità. Trovandosi fuori della “migration zone” e non potendo quindi accedere al sistema giurisdizionale australiano, non avevano potuto presentare appello contro la decisione. La suprema Corte australiana, venendo incontro anche alle obiezioni della Chiesa e delle organizzazioni per i diritti umani, ha invece giudicato illegale questa disparità di trattamento fra i richiedenti asilo che arrivano via mare e vengono intercettati prima di raggiungere la 'zona di migrazione' e quelli che giungono direttamente sul continente in aereo. Commentando il verdetto, il responsabile per i migranti e i rifugiati della Conferenza episcopale australiana, mons Joseph Grech, ha invitato il governo a trarne le conseguenze, prendendo al più presto le misure necessarie “per garantire ai richiedenti asilo attualmente detenuti la tutela legale prevista dalla legge sull’immigrazione”. Per il vescovo, riferisce dall’agenzia Cns, la decisione conferma l’urgenza di rivedere le attuali procedure d’ingresso degli immigrati: “Mere considerazioni di convenienza politica non giustificano la detenzione di queste persone in luoghi così lontani”, ha detto il presule. In Australia dal 2001 sono arrivati più di 14.mila boat people, la metà dei quali ha ottenuto asilo. Secondo le ultime statistiche delle Nazioni Unite il numero dei richiedenti asilo in Australia nel 2009 avrebbe subito un balzo del 30%. (L.Z.)

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    Austria: si apre oggi la plenaria dei vescovi

    ◊   Si apre oggi l’assemblea plenaria dei vescovi dell’Austria, che si ritroveranno per la prima volta nell’Abbazia di Heiligenkreuz per discutere di temi di politica sociale, degli abusi e delle persecuzioni dei cristiani in Medio Oriente, sull’onda degli ultimi avvenimenti di cronaca e dei lavori del Sinodo speciale per l’area, che si è svolto il mese scorso in Vaticano. L’agenzia Sir riporta il programma di questa prima giornata di lavori, che si concluderanno giovedì 18 novembre: alle 15 apertura con i Vespri pontificali guidati dal cardinale Christoph Schönborn; alle 18 Messa per i fedeli presieduta dal porporato nella chiesa romanica dell’abbazia. Domani, invece, previsto un incontro tra i presuli e il Presidente della Repubblica, Heinz Fischer, nel Palazzo reale di Hofburg. (R.B.)

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    Giornata dei diritti del bambino: in Congo previste attività sull'educazione

    ◊   In occasione della ricorrenza, il 20 novembre prossimo, della Giornata internazionale per i diritti del bambino, i volontari del Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo) hanno lanciato nella Repubblica Democratica del Congo una campagna per l'educazione ai diritti dei più piccoli e per sensibilizzare le scuole e i centri che si occupano di minori in situazioni problematiche. Questo progetto, al quale stanno collaborando diverse Ong locali e internazionali, prevede tre fasi, come ricorda il Sir: un’attività nelle scuole di Goma, un concorso di musica e un concerto. Le attività continueranno fino al 21. Fino ad ora i volontari sono riusciti a coinvolgere circa 300 scuole, 15 centri d’accoglienza per ragazzi, 19 spazi per bambini. È stato lanciato, inoltre, un concorso musicale aperto a tutti i minori della città di Goma: il 20 novembre ci sarà la finale con la consegna dei premi, che sono inerenti al tema della giornata, quindi diritto alla scuola, pagamento delle tasse scolastiche o kit ricreativi. Il 21 novembre, infine, si chiuderà la campagna con un concerto, in cui si esibiranno due gruppi, uno locale e uno della capitale, assieme ai ragazzi della Maison Marguerite e Gahinja. L'obiettivo, vista l'affluenza di un pubblico più adulto, è sensibilizzare al tema anche le comunità locali. (C.P.)

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    Lavori in corso nel campo profughi di Shu’fat a Gerusalemme Est

    ◊   Si chiama “Play and work to avoid isolation” il progetto triennale in palestina cui Uisp e Peace Games hanno deciso di dedicare i proventi che raccoglieranno nel 2011 con l’“Agenda sportpertutti”. L’agenzia Sir ricorda che il progetto è realizzato in collaborazione con la Oriental House di Gerusalemme, in collaborazione con il partner locale Ydd e cofinanziato dall’Unione europea e dalla Regione Emilia Romagna, con il contributo di Terre d’Acqua e della Provincia di Bologna. Il progetto si svolge nel campo profughi di Gerusalemme Est, Shu’fat, all’interno del centro educativo polivalente “Al Zuhur”, che comprende un asilo attrezzato per i bambini più piccoli e operatori formati che guideranno i più grandi nello sport e nelle attività motorie in programma. A breve vi sarà avviato anche il progetto “Play and work”, un laboratorio di ricami artigianali realizzati dalle donne. (R.B.)

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    Alla Gregoriana ricordati i 30 anni del Jesuit Refugee Service

    ◊   Il Jesuit Refugee Service(Jrs) celebra 30 anni di attività al fianco dei rifugiati. L’organismo cattolico - che si occupa della difesa dei rifugiati e degli sfollati - è nato il 14 novembre del 1980 grazie all’allora padre generale della Compagnia di Gesù, lo spagnolo Pedro Arrupe. “La missione del Jesuit Refugee Service è ascoltare chi non ha scelta”, ha detto all’agenzia Misna padre Mark Raper, al termine di un incontro presso l’università Gregoriana di Roma per celebrare i 30 anni di vita di “uno strumento straordinario”. Padre Mark ora è presidente della Conferenza dei gesuiti dell’Asia e del Pacifico, ma ricorda bene gli anni da direttore del Jrs e soprattutto quei primi incontri. È significativo quanto ha fatto emergere nel suo intervento: “Il Jrs è nato dal basso, imparando dalla vita dei rifugiati e prendendo forza dal contributo dei volontari di ogni provenienza, religiosi o laici, africani, asiatici o europei”. Oggi il Jrs è un’organizzazione efficiente e articolata, presente in 51 Paesi del mondo, dal Sudest asiatico all’America Latina. Centrale, sempre, l’idea che la “struttura” è solo “uno strumento per un servizio”. Padre Mark lo ha ricordato agli studenti della Gregoriana, raccontando la vicenda di un sudanese fuggito dalla guerra civile scoppiata nel cuore dell’Africa. E di drammi come questo, il Jrs ne ha conosciuti molti. (C.P.)

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    I 25 anni della missione a Taiwan delle suore del Sacro Cuore

    ◊   Le suore del Sacro Cuore di Gesù (Society Devoted to the Sacred Heart, SDSH) celebrano i 25 anni di missione nell’isola di Taiwan. Durante la solenne celebrazione giubilare, le suore, insieme alla comunità locale, hanno ripercorso il loro cammino missionario di questi 25 anni, costituito soprattutto dall’impegno pastorale, dal servizio sanitario e dalla formazione dei catechisti. Suor Mary Ann Lou, una delle prime tre missionarie della Congregazione (che è anche di origine cinese), ha festeggiato i suoi 50 anni di vita religiosa nella stessa ricorrenza, attualmente è la direttrice dell’ospedale cattolico più importante dell’isola. In 25 anni di attività, la congregazione ha formato oltre mille catechisti qualificati nelle 7 diocesi di Taiwan. Le suore del Sacro Cuore di Gesù - riferisce l'agenzia Fides - sono state fondate da suor Ida Peterfy a Cassas, in Ungheria, nel 1940. Nel 1950 la loro missione a Toronto, in Canada, ha visto il coinvolgimento delle studentesse cinesi. Nel 1985, su invito di Mons. Jia, allora arcivescovo di Tai Pei, tre suore sono sbarcate sull’isola per lavorare nell’ambito della catechesi e dell’apostolato nel mondo sanitario. Oggi la loro sede di Tai Pei è la base ed il centro di coordinamento della congregazione per la missione ad Hong Kong, nelle Filippine, a Singapore e nella Malaysia. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    I finiani ufficializzano l'uscita dal governo Berlusconi. Il Pdl: è tradimento

    ◊   In Italia sono state presentate in fine mattinata le annunciate dimissioni di 4 esponenti del governo legati al presidente della Camera Fini, dimissioni che hanno di fatto aperto la crisi di governo. E si parla di elezioni. Berlusconi, in caso di sfiducia, intende far votare solo per la Camera. Da parte sua Fini parla di classe dirigente senza dignità. Il Partito democratico (Pd) chiede che la mozione di sfiducia alla Camera sia votata prima della mozione di fiducia al Senato. Il servizio di Fausta Speranza:

    Il vice-ministro Adolfo Urso, coordinatore di Futuro e libertà (Fli); il ministro Andrea Ronchi e i sottosegretari Menia e Buonfiglio. Questi i 4 esponenti politici legati al presidente della Camera, Fini, che presentando le loro lettere di dimissioni aprono alla crisi. Si palesa la possibilità di un ritorno alle urne ma c’è l’ipotesi fatta ieri dal presidente del Consiglio Berlusconi di votare solo alla Camera in caso di sfiducia a Montecitorio. Critici Pdl ed esecutivo nei confronti dei finiani. “Con il ritiro della delegazione dal governo si sta consumando il tradimento”, ha detto ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, mentre Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, ha parlato di “grave errore politico” di Fli. Il presidente della Camera Fini ha partecipato stamane alla presentazione del rapporto “L'Italia che c'è”, dell'associazione 'Italia decide' presieduta da Luciano Violante, di fronte al Capo dello Stato Giorgio Napolitano ed al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. In questa occasione pubblica Fini ha detto che “tra le responsabilità della classe dirigente c'è anche quella di aver smarrito quel senso della dignità, della responsabilità e del dovere che dovrebbero essere proprie di chi è chiamato a ricoprire cariche pubbliche”. Ha parlato anche il sottosegretario Letta: “Il Paese – ha detto - ritrovi maggiore consapevolezza di sé e dei propri problemi, uscendo dagli schemi di divisioni e dalle contrapposizioni esasperate”. In questo contesto politico resta da dire che si palesa l’alleanza già intravista per il Terzo polo: tra Futuro e Libertà per l’Italia di Fini, Unione di Centro di Casini (Udc) e l'Alleanza per l’Italia di Rutelli (Api).

    Crisi-Irlanda
    “È chiaro che ci sono tensioni sui mercati e che la situazione è seria”, ma per il momento “non c'è nessuna richiesta di assistenza finanziaria da parte dell'Irlanda, nessuna necessità imminente. E parlare di negoziati in corso è un'esagerazione”: lo ha detto il portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn. Secondo quanto riferisce Bloomberg, un eventuale salvataggio dell'Irlanda potrebbe costare tra i 60 e gli 80 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Intanto Dublino continua a ribadire che “non ha bisogno” di soldi e che “non ha obblighi di rimborso” fino all'estate prossima. Secondo quanto scrive l'Irish Independent, Dublino potrebbe rivolgersi all'Unione europea per ottenere risorse dal fondo di emergenza per sostenere le proprie banche ed evitare così il salvataggio del Paese da parte della comunità internazionale. Secondo il quotidiano irlandese, il ministro delle Finanze, Brian Lenihan, chiederà ai colleghi europei domani a Bruxelles di poter accedere ai fondi Ue solo per salvare le banche irlandesi.

    In Francia nuovo governo di Fillon
    Si sposta a destra il nuovo governo voluto dal presidente francese Sarkozy, ancora una volta guidato da Fillon. Nel rimpasto nessun cambio per i ministri di Finanze e Interno, mentre il titolare degli Esteri ex socialista Kouchner è stato sostituito dalla gollista Michelle Alliot-Marie. L'ex premier Juppè ha assunto il dicastero della Difesa; al Lavoro Bertrand prende il posto di Woerth, coinvolto nello scandalo Bettencourt.

    In Grecia nel secondo turno delle amministrative vincono i socialisti
    Importante affermazione dei socialisti del premier greco Papandreou nel secondo turno delle elezioni amministrative, caratterizzato però da una forte astensione. La maggior parte delle regioni sono state strappate al centro-destra compresa la capitale Atene. Papandreou, escludendo quindi il voto anticipato, ha esortato tutti a collaborare per “salvare e cambiare la Grecia”.

    In Afghanistan scontri tra forze di sicurezza e talebani: 17 morti
    Un commando di talebani ha attaccato un ripetitore della telefonia mobile nell'Afghanistan settentrionale, ingaggiando con le forze di sicurezza afghane una battaglia che ha causato 17 morti. L’attacco è avvenuto nella provincia di Kunduz e le vittime sono nove soldati, un agente di polizia e sette militanti. Il servizio di Barbara Schiavulli:

    Nel mirino un’antenna di telefonia mobile: i talebani, decisi a distruggerla, hanno ingaggiato uno scontro a fuoco con i militari afghani a Kunduz, provincia settentrionale dell’Afghanistan, sotto il controllo delle truppe tedesche. Le antenne telefoniche sono diventate un obiettivo dei talebani da quando hanno bandito l’uso dei cellulari di notte nelle aree che controllano, per non essere rintracciati dalle forze di sicurezza internazionali. Sul terreno, morti almeno nove soldati, un poliziotto e sette militanti. Una guerra che non conosce tregua: solo ieri un ordigno aveva ucciso altri tre poliziotti nella provincia centrale dell’Uruzgan; e i due soldati americani nell’Est portano a sette i militari stranieri rimasti uccisi nelle ultime 24 ore. Scontri anche tra le autorità. Deluso e stupito il generale Petraeus, comandante delle forze Nato e americane: “Karzai minaccia gli sforzi e il successo di questa guerra” ha ribattuto, commentando la richiesta del presidente afghano di ridurre le operazioni militari, perché interferiscono nella vita degli afghani.

    In Pakistan ennesimo attacco ai comitati antitalebani
    Un ordigno esplosivo è stato attivato a Peshawar, nel nord-ovest del Pakistan, vicino alla casa di Abdul Malik, ex presidente del locale Comitato per la pace, ucciso lo scorso anno in un attentato. Molti i feriti. Nelle ultime due settimane si sono moltiplicati gli attacchi a membri del Comitato, ostile all'attività dei talebani. Intanto il Pakistan ha chiesto alla comunità internazionale di annullare il suo debito di 50 miliardi di dollari per poter in questo modo concentrare le risorse del Paese nella lotta al terrorismo e ad altre priorità sociali. Lo riferiscono oggi i media ad Islamabad. Durante l'inaugurazione del Pakistan Development Forum, il ministro dell'Interno, Rehman Malik ha ricordato che “l'inserimento del Pakistan nel 2001 nella guerra al terrore" ha avuto per loro "costi altissimi”. Dopo aver assicurato che ogni giorno circa 50 mila persone attraversano la frontiera in provenienza dall'Afghanistan, Malik ha detto che la cancellazione del debito permetterebbe di usare risorse finanziarie per combattere il terrorismo che viene in Pakistan da oltre frontiera”. La Banca mondiale e la Banca asiatica per lo sviluppo hanno stimato in 10,5 miliardi di dollari i danni sofferti dal Pakistan a causa dell'ondata di maltempo e che per la ricostruzione sarebbero necessari 6,7 miliardi di dollari.

    Non violenza e dialogo: Aung San Suu Kyi parla della via per la democrazia
    Intraprendere la strada verso la democrazia, attraverso la non violenza e il dialogo con il regime del Myanmar. Dopo il termine degli arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi riprende l’attività politica, parlando ai suoi sostenitori, per una svolta concreta nel Paese. La leader della disciolta Lega per la Democrazia, in queste prime ore di libertà cerca di ricompattare attorno al suo movimento il fronte delle opposizioni, ritenendo che sia necessario un cammino comune. Su questi aspetti ascoltiamo il commento del collega Stefano Vecchia, esperto di Estremo Oriente, intervistato da Salvatore Sabatino:

    R. – La lotta prosegue e proseguirà, però sempre in modo non violento. Anche per questo, per evitare questi contrasti, che possono poi portare a reazioni contro il regime ed anche a manifestazioni importanti e quindi ad una reazione anche violenta, ha chiesto l’unità di tutte le opposizioni. La Lega nazionale per la democrazia si pone comunque al centro, però esiste tutta una serie di altri movimenti di opposizione che vanno riconosciuti e con i quali occorre collaborare in un’ottica di riconciliazione nazionale.

    D. – Aung San Suu Kyi è la leader di una Lega che, di fatto, non esiste perché sciolta dalle autorità. Che tipo di valore può avere, oggi?

    R. – Non esiste più dal punto di vista legale ma è un movimento che ancora esiste, con una propria sede. E proprio questa mattina San Suu Kyi si è recata nella sede del partito per incontrare il team di legali e vedere come agire sulla risoluzione voluta dal regime. Una risoluzione che non è del tutto legale neppure in base alla Costituzione che il regime stesso si è dato due anni fa. Ci sono quindi possibilità di manovra per cui questa decisione di cancellazione del partito venga cancellata e su questo Aung San Suu Kyi si sta muovendo, cosciente che la Lega nazionale per la democrazia resta ancora il riferimento principale del movimento democratico.

    D. – Da segnalare che le autorità, in questo momento, sono in silenzio. Perché?

    R. – La ragione principale è che probabilmente aspettano le mosse di Aung San Suu Kyi. Quindi è importante tener presente anche quale effetto avrà, proprio in concreto, sulle opposizioni. Evidentemente c’è chi paventa una reazione violenta del regime che potrebbe capitare nel momento in cui lei iniziasse veramente a viaggiare per il Paese - come ha promesso di fare - e parlare con la sua gente.

    Marocco e Fronte Polisario danno bilanci diversi degli incidenti di una settimana fa
    È guerra mediatica tra Marocco e Fronte Polisario, che dopo le violenze di lunedì scorso degli incidenti continuano a diffondere bilanci sempre più gravi quanto distanti. L'attacco dell'esercito marocchino contro un accampamento saharaoui nei pressi di Laayoune, avrebbe fatto, secondo l'ultimo comunicato diffuso dagli indipendentisti saharaoui, “decine di morti, più di 4.500 feriti e 2.000 prigionieri”. “Le violenze continuano”, ha spiegato all'Ansa il ministro degli Esteri della Rasd (Repubblica araba saharaoui), Mohamed Ould Salek. “La città è in stato di assedio e le forze di repressione marocchine continuano a dare la caccia ai saharaoui”. Dodici gli agenti rimasti uccisi negli scontri per Rabat, che parla di 96 persone arrestate per le violenze compiute contro la polizia. Intanto, diventa sempre più difficile avere informazioni sull'attuale situazione nella zona. Le autorità marocchine hanno blindato la città e impediscono l'accesso a giornalisti e osservatori internazionali. Numerosi giornalisti, tra cui due italiani, sono stati espulsi negli ultimi giorni da Laayoune. Cosi anche i reporter spagnoli vengono espulsi dal Paese a seguito delle polemiche esplose con Madrid per la pubblicazione da parte di alcuni media spagnoli, tra cui l'agenzia Efe ed El Pais, di foto di bambini feriti a Gaza fatti passare per vittime delle violenze nel Sahara occidentale. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 319

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