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Sommario del 05/11/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa ai vescovi brasiliani: le vocazioni sono in calo, ma la vita religiosa non potrà mai morire perché è stata voluta da Cristo
  • Santiago de Compostela e Barcellona aspettano Benedetto XVI. Mons. Barrio: una visita per risvegliare l'Europa
  • Il Papa, il popolo e la carità: editoriale di padre Lombardi sul viaggio apostolico in Spagna
  • Simposio della Penitenzieria. Mons. Girotti: in crisi il senso del peccato, coscienze saccheggiate
  • L'11 novembre la presentazione dell'Esortazione post-sinodale del Papa "Verbum Domini"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il presidente Usa Obama in Asia
  • Giornata per la Vita. I vescovi italiani: difendere chi non può difendersi
  • Aperto in Bulgaria l’Incontro dei vescovi delle Chiese cattoliche di rito orientale
  • "Bombe sul Vaticano": un libro racconta l'attacco del 5 novembre 1943 contro la città del Papa
  • Chiesa e Società

  • Nuova eruzione del vulcano Merapi in Indonesia:120 i morti, 75 mila gli sfollati
  • Pakistan: ancora un milione di sfollati nella provincia del Sindh per le alluvioni
  • Iraq: appelli del Cec all’Onu e dei vescovi iracheni alla Chiesa francese
  • Terra Santa: tre giorni di preghiera degli Ordinari cattolici per l'Iraq
  • L’Alto Commissario Onu per i diritti umani: più protezione per le comunità religiose dell’Iraq
  • India. Il cardinale Gracias: "con il presidente Obama sintonia e aiuto per la tutela dei diritti umani”
  • I cristiani dell’Orissa chiedono a Obama di affrontare il tema della libertà religiosa in India
  • Incontro cristiano-islamico a Ginevra: la religione non è causa di conflitti
  • Rapporto Undp sullo sviluppo umano: in Asia 844 milioni di poveri
  • Il nunzio ad Haiti: tra colera e uragano Tomas si aggrava l'emergenza nel Paese
  • I vescovi del Paraguay chiedono leggi per la vita e la famiglia
  • Venezuela: Campagna per il rispetto dei diritti dei bambini
  • Africa occidentale: per gli alluvionati servono soprattutto aiuti alimentari
  • Nigeria. Mons. Kaigama: a Jos solo il perdono è più forte della violenza
  • Kuwait: fondamentalisti islamici impediscono la costruzione di una chiesa
  • Azerbaigian: cristiani battisti in prigione per essersi riuniti a pregare
  • Una nuova università in Medio Oriente per assicurare la coesistenza pacifica
  • L'argentino Méndez, nuovo relatore speciale dell'Onu sulla tortura
  • Il Preposito generale della Compagnia di Gesù in America Latina
  • Studio europeo sulla religiosità dei giovani
  • Ungheria: consegnate le medaglie in ricordo di Mindszenty e della rivolta del 1956
  • Milano: Convegno per i 60 anni del mensile "Aggiornamenti sociali"
  • 24 Ore nel Mondo

  • Pakistan. Attentato contro una moschea sunnita: almeno 60 vittime
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa ai vescovi brasiliani: le vocazioni sono in calo, ma la vita religiosa non potrà mai morire perché è stata voluta da Cristo

    ◊   La vita consacrata “non potrà mai morire” nella Chiesa, perché è stato Cristo stesso a scegliere per sé questo modo di essere nel mondo: povero, casto e obbediente. Lo ha affermato Benedetto XVI nell’udienza concessa questa mattina al gruppo di presuli brasiliani della regione “Sud II”, ricevuti in visita ad Limina. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Quella del Papa è una rassicurazione che suona incontrovertibile: il calo delle vocazioni, l’invecchiamento degli Istituti non sono il segno di un declino che porterà prima o dopo all’estinzione della vita religiosa nella Chiesa. Semplicemente, essa non potrà scomparire perché “ha origine con il Signore stesso che ha scelto per sé questo modo di vivere casto, povero e obbediente:

    “A vida consagrada nunca poderá…
    La vita consacrata non potrà mai morire né mancare nella Chiesa: è stata voluta da Gesù stesso come parte inamovibile della sua Chiesa. Di qui l'appello a un generale impegno nella pastorale vocazionale: se la vita consacrata è un bene di tutta la Chiesa, che riguarda tutti, una pastorale volta a promuovere le vocazioni alla vita consacrata deve essere un impegno sentito da tutti i vescovi, i sacerdoti , religiosi e laici”.

    Se dunque non è a rischio l’esistenza degli Istituti religiosi, bisogna però riflettere su come la proposta di seguire Cristo lungo la via dei consigli evangelici debba essere curata al giorno d’oggi. Benedetto XVI si è soffermato sul “delicato rapporto” che intercorre, ha detto, “tra le necessità pastorali della Chiesa particolare e la specificità carismatica di una comunità religiosa”. E citando un passaggio di un documento specifico del 1994, intitolato “La vita fraterna in comunità”, ha ribadito:

    “Como a comunidade religiosa não…
    Come la comunità religiosa non può agire indipendentemente o in alternativa o meno ancora contro le direttive e la pastorale della Chiesa particolare, così la Chiesa particolare non può disporre a suo piacimento, secondo le sue necessità, della comunità religiosa o di alcuni suoi membri”.

    Chiarito l’equilibrio che deve regolare il rapporto tra Chiesa locale e un Istituto religioso – e riaffermato che ogni comunità di consacrati, di antica o recente tradizione, “arricchisce la Chiesa di cui è parte viva” – il Pontefice ha preso in considerazione il nodo del rinnovamento interno che investe ogni Congregazione. Rinnovamento, ha asserito, che “dipende principalmente dalla formazione dei membri”:

    “A capacidade formativa de um Istituto…
    La capacità formativa di un Istituto, sia nella sua fase iniziale che in quelle successive, è fondamentale per l’intero processo di rinnovamento. Se, infatti, la vita consacrata è in se stessa una progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo, sembra evidente che tale cammino non potrà che durare tutta l'esistenza, per coinvolgere tutta la persona”.

    Benedetto XVI ha concluso invitando i presuli brasiliani a portare alle comunità di consacrati delle loro diocesi “la profonda gratitudine del Papa, che tutte e tutti ricorda nelle sue preghiere”.

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    Santiago de Compostela e Barcellona aspettano Benedetto XVI. Mons. Barrio: una visita per risvegliare l'Europa

    ◊   Sono vive l’attesa e la gioia in Spagna, dove Benedetto XVI inizierà domani una visita di due giorni. Il Papa partirà alle 8.30 da Roma per giungere a Santiago de Compostela alle 11.30. Qui celebrerà nel pomeriggio la Messa in occasione dell’Anno giubilare compostelano. In serata il trasferimento aereo a Barcellona dove, domenica nel mattino presiederà la Messa di Dedicazione della Chiesa e dell’altare della Sagrada Familia, mentre nel pomeriggio visiterà un istituto per bambini disabili. Il servizio da Barcellona del nostro inviato, Paolo Ondarza:

    Nonostante gli oltre 880 km di distanza e le profonde differenze di cultura e tradizione Santiago de Compostela e Barcellona sono accomunate in queste ore dal fermento per l’arrivo, domani, di Benedetto XVI. Bandiere del Vaticano si alternano a quelle catalane, le senyeres, lungo il corso della Rambla, che conduce a Plaza Catalunya. Imponenti le misure di sicurezza e non mancano i chioschi di souvenir per l’arrivo del Santo Padre. Al di là di questi segni esteriori, tra la gente è palpabile il desiderio di incontrare il Successore di Pietro, che ancora una volta – come ricorda la conchiglia che campeggia nello stemma pontificio – si fa pellegrino per confermare la sua Chiesa nella fede e rimarcare l’importanza del cristianesimo per il Vecchio Continente. Ciò che entusiasma e inorgoglisce gli abitanti di Barcellona è il fatto che il Papa domenica parlerà, oltre che in castigliano, anche in catalano. Lo confermano due dei 1.800 giovani volontari:

    R. - Hanno detto che parlerà in catalano: è quello che aspetto di più, perché per noi catalani è importante che il Papa possa parlare nella tua lingua.

    R. - Ci fa molto piacere partecipare a questo evento … sappiamo che è un evento unico. Se possiamo dare una mano, questo ci fa un grande piacere.

    La dimensione particolare, regionale, si intreccia in questi giorni di visita con quella globale, sovranazionale: Santiago de Compostela è infatti da secoli faro spirituale per il Vecchio Continente: solo nel 2010 sono stati 258mila i pellegrini. La città della Galizia che custodisce la Tomba di Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo, e il "Camino" di Compostela inoltre sono stati dichiarati nel 1985 patrimonio dell’umanità. Discorso analogo può farsi per Barcellona: il tempio della Sagrada Familia, la cui prima pietra fu posta nel 1882 dal grande architetto catalano Antoni Gaudì, è ritenuto al’unanimità un capolavoro della storia dell’arte mondiale. La chiesa che domenica sarà dichiarata Basilica, immensa Bibbia in pietra, seppur ancora incompiuta, viene visirata ogni anno da oltre 2 milioni e mezzo di persone, in media settemila cinquecento al giorno. Grande anche l’attenzione dei media che, pur dedicando spazio ad isolate manifestazioni di protesta per la visita di Benedetto XVI, lo dipingono come un “innamorato della Spagna” e ne sottolineano la statura spirituale e intellettuale. A Santiago de Compostela, prima tappa del viaggio di Benedetto XVI sono attesi 200mila pellegrini: ieri sulla via intitolata a Giovanni Paolo II è stata collocata una statua in bronzo di Benedetto XVI realizzata dallo scultore Candido Pazos. E se le condizioni meteorologiche impensieriscono gli organizzatori, il presidente della giunta della Galizia, Alberto Nuñez Feijo, non ha dubbi: “Con o senza pioggia, il Papa per noi sarà una benedizione”. “Si sbaglia chi critica questo visita – ha detto Nuñez Feijo – il Papa è parte della nostra storia.

    Al microfono del nostro inviato in Spagna, Paolo Ondarza, l’arcivescovo di Santiago de Compostela, mons. Julian Barrio Barrio spiega con quali emozioni la sua diocesi stia attendendo la visita di Benedetto XVI:

    R. - Quando abbiamo saputo che il Papa sarebbe venuto a Santiago, sin dal primo momento, lo abbiamo accompagnato soprattutto con la nostra preghiera e gratitudine per la sua benevolenza e carità pastorale. Nonostante i suoi numerosi impegni ha trovato un giorno per venire a Santiago e di questo gli siamo particolarmente grati. Abbiamo preparato delle catechesi per i bambini, per i giovani e gli adulti in cui abbiamo cercato di rispondere a queste domande: chi è che viene? Perché viene? Come dobbiamo riceverlo? Ho chiesto a tutti i fedeli dell’arcidiocesi di pregare, perché questo pellegrinaggio dia molti frutti pastorali e spirituali e ho indetto per oggi una giornata di digiuno con questa intenzione, cercando con il frutto di questo digiuno di aiutare economicamente chi ha più bisogno, offrendo alla Caritas quanto si è risparmiato con questa rinuncia.

    D. - Dunque, le iniziative sono state rivolte un po’ a tutti: dai bambini agli adulti, ma la risposta qual è stata?

    R. - È una grande gioia e una grande speranza per noi e per tutta l’arcidiocesi. Questo è veramente un grande evento e vedo, in tutti i fedeli, il grande desiderio di offrire al Santo Padre la migliore accoglienza possibile.

    D. - Papa Benedetto XVI torna per la seconda volta in Spagna. Che cosa vuol dire questo per gli spagnoli?

    R. - Per noi è un motivo di grande gratitudine. Il Papa ci aiuterà ad essere fedeli alla nostra identità cristiana. Conosce bene la nostra situazione e ci indicherà tutto quello che, in questo momento, dobbiamo fare per essere quei testimoni dei quali oggi ha tanto bisogno la nostra società.

    D. - Eccellenza, l’Anno Santo Compostelano ha attratto fino ad oggi 8 milioni di persone e 236 mila camminatori. Si può dire che questa moltitudine di pellegrini si riunisca oggi spiritualmente attorno al Papa?

    R. - Senz’altro. Me lo hanno manifestato proprio alcuni pellegrini che mi hanno detto: “Guardi, io sono venuto quest’anno anche perché so che il Santo Padre verrà a Santiago … può dire al Santo Padre che in questo giorno - il 6 di novembre - saremo spiritualmente con Sua Santità!”.

    D. - La visita a Santiago de Compostela è una visita sia alla Galizia, sia alla Spagna più in generale, ma potremmo allargare ancora l’orizzonte guardando all’Europa, al Vecchio Continente…

    R. - Sì, io penso di sì. Il Santo Padre conosce molto bene la realtà europea - non soltanto quella storica, ma anche quella attuale - e conosce molto bene il ruolo che senza dubbio ha avuto Santiago de Compostela nella civiltà europea. Penso che, seguendo un po’ quelle bellissime parole di Giovanni Paolo II nel 1982, rivolgerà un invito a questo Vecchio Continente a risvegliarsi.

    D. - Quindi una sola giornata, ma che si preannuncia ricca di avvenimenti e tanti, tantissimi sono i pellegrini che già si sono prenotati per partecipare a questo incontro con il Papa sulla Tomba di San Giacomo…

    R. - Sì, speriamo che sia così. Speriamo che anche la meteorologia sia buona, perché ormai in questo periodo a Santiago piove spesso …. Io Spero che domani non pioverà! Spero, inoltre, che questo evento sia per tutti un’occasione per ravvivare la fede e per vivere questa giornata di presenza e appartenenza alla Chiesa in unione con il Santo Padre. Vorrei, infine, invitare tutte quelle persone che non saranno presenti fisicamente a Santiago in questa giornata, di accompagnarci con la preghiera, perché i frutti pastorali e spirituali di questo pellegrinaggio del Santo Padre siano quelli che noi speriamo.

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    Il Papa, il popolo e la carità: editoriale di padre Lombardi sul viaggio apostolico in Spagna

    ◊   Sul viaggio apostolico del Papa a Santiago de Compostela e Barcellona ascoltiamo l’editoriale del nostro direttore, padre Federico Lombardi, per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    Vi sono infinite cose bellissime che si possono dire su questo viaggio del Papa in Spagna. Vorremmo ricordare due aspetti, perché non rimangano in ombra. Santiago è la meta di un popolo numeroso che si mette in cammino in umiltà e in ricerca. Innumerevoli itinerari di persone singole attraverso i secoli, che riflettono, pregano, faticano per ritrovare se stesse e incontrare Dio. Infinite vicende diverse di vita, con il loro segreto e il loro mistero profondo, confluiscono nel grande fiume del popolo in cammino. Il Papa oggi è pellegrino con i pellegrini, lui come persona, lui come pastore. Quante persone vagano senza trovare la direzione e la meta. Verso Santiago il cammino di moltissimi ha trovato una stella, una meta. Insieme al Papa affrontiamo con fiducia i nostri cammini.

    Anche la costruzione della Sagrada Familia è impresa di un popolo umile e numeroso. E’ questo popolo che la fa crescere lentamente con i sui piccoli contributi e la sua devozione, non i poteri di questo mondo. Gaudí rimane anima di questa impresa, ma essa va aldilà della sua opera, aldilà nel tempo e nelle espressioni artistiche, pur conservandone l’ispirazione potentissima di fede e di arte. Così cresce la casa dove il popolo credente ritrova se stesso nell’incontro con Cristo, con Dio. Ma sulle sue mura esterne ogni uomo, anche non credente, può leggere i significati più profondi della vicenda umana. Linguaggio universale di annuncio di salvezza. Qui il Papa ha voluto venire a pregare con il popolo. E poi l’incontro con i piccoli e i sofferenti nel pomeriggio di domenica. Non può mancare. Non esiste comunità credente senza amore fattivo, capace di trasformare, trasfigurare la sofferenza in speranza e in gioia. La carità vissuta è la stella del cammino, la lingua quotidiana che tutti possono capire. Di qui passa necessariamente la strada del Papa.

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    Simposio della Penitenzieria. Mons. Girotti: in crisi il senso del peccato, coscienze saccheggiate

    ◊   E’ in corso a Roma un Simposio internazionale promosso dalla Penitenzieria Apostolica sul tema “La Penitenza tra I e II Millennio”. Obiettivo dell’appuntamento è un’approfondita ricostruzione storica della prassi ecclesiale del Sacramento della Riconciliazione. Durante l’incontro è stato ribadito che oggi questo Sacramento continua ad essere in crisi tra i fedeli, come spiega mons. Gianfranco Girotti, reggente della Penitenzieria Apostolica, al microfono di Sergio Centofanti:

    R. – E’ sotto gli occhi di tutti che si sta appannando il senso della fede. C’è un predominio del relativismo. In modo particolare, soprattutto in questi ultimi decenni, si sta smarrendo il senso del peccato. Il Santo Padre ci ricorda che oggi si è perso il senso del peccato ma in compenso sono aumentati i complessi di colpa.

    R. - Quanto influiscono i modelli culturali, gli esempi, i modelli di vita pubblica?

    R. – Senz’altro questi modelli hanno un influsso molto, molto, rilevante. I modelli devono essere sempre degli ideali per tutti; non si possono mai disgiungere i comportamenti privati dai comportamenti pubblici.

    D. – Dice la Bibbia che non è perché uno si senta senza peccato è per questo così …

    R. – Evidentemente, a volte, esiste una coscienza soggettiva che non corrisponde poi ai parametri dei principi morali. La coscienza deve essere sempre conforme a quegli orientamenti e a quei principi che la Chiesa ci propone.

    D. – Quali sono i grandi peccati di oggi?

    R. – Non è che ci siano nuovi peccati, ma ci sono nuove forme di peccato. Noi lo abbiamo sottolineato più volte. Non è che la Chiesa abbia tipizzato nuovi peccati ma certamente ci sono nuove forme di peccato, che emergono in un contesto moderno. Per esempio, tutte le infrazioni, tutte le violazioni nel settore della bioetica, la manipolazione della vita, poi la droga e tanti altri aspetti moderni che vengono a saccheggiare la coscienza.

    D. – Come riscoprire il Sacramento della Riconciliazione oggi?

    R. – Naturalmente riappropriandosi di quel concetto autentico che è il dono della grazia, il dono della misericordia.

    D. – Secondo i Padri della Chiesa chi non fa esperienza di perdono, di essere perdonato, non ha fatto praticamente esperienza di cristianesimo...

    R. – Senza dubbio, perché il perdono, la riconciliazione, sono alla base della fede cristiana. (bf)

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    L'11 novembre la presentazione dell'Esortazione post-sinodale del Papa "Verbum Domini"

    ◊   Giovedì prossimo, 11 novembre, alle ore 12, nella Sala Stampa della Santa Sede, si terrà la conferenza stampa di presentazione dell’Esortazione Apostolica post-sinodale di Benedetto XVI "Verbum Domini". Il documento pontificio raccoglierà la multiforme ricchezza di riflessioni e proposte emerse durante il Sinodo dei Vescovi su "La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa", che si è svolto in Vaticano nell’ottobre 2008. Interverranno il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi; mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura; mons. Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei Vescovi; mons. Fortunato Frezza, sotto-segretario del Sinodo dei Vescovi.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Unità e pluralità della vita consacrata arricchiscono la Chiesa: il discorso del Papa ai vescovi della Conferenza episcopale regionale Sul 2 del Brasile.

    In prima pagina, Mario Ponzi alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI in Spagna.

    Nell'informazione internazionale, intervento della Santa Sede, all'Onu, su razzismo e xenofobia.

    Alla ricerca del segreto della luce: in cultura, Sandro Barbagallo su una mostra antologica, al Gran Palais di Parigi, dedicata a Claude Monet.

    L'arte di fare fiorire la pietra: Paolo Portoghesi sulla Sagrada Familia di Antoni Gaudì, una sfida al terzo millennio, e Simona Verrazzo sul cammino tra Roma, Santiago e Gerusalemme.

    Un articolo di Maria Maggi dal titolo "Viaggio nel mare dei numeri": dai modelli della Fisica al backgammon.

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    Oggi in Primo Piano



    Il presidente Usa Obama in Asia

    ◊   Dopo le elezioni di medio termine negli Stati Uniti, segnate soprattutto dall’affermazione dei repubblicani alla Camera, il presidente Obama parte oggi per un viaggio di 10 giorni in Asia. India, Indonesia, Sud Corea e Giappone saranno i Paesi visitati. Da domani sarà a Mumbai, dove il capo della Casa Bianca alloggerà al Taj Mahal Palace, l’albergo teatro dei sanguinosi attentati di due anni fa, con un bilancio di oltre 160 vittime. Rafforzate tutte le misure di sicurezza. Nella trasferta asiatica, poi, Obama parteciperà al G20 di Seul e al vertice Asia-Pacifico di Yokohama. Ma al centro della missione del presidente statunitense, che non prevede una tappa in Cina, ci sono anche i rapporti con Pechino. Ce ne parla Michelguglielmo Torri, docente di Storia dell’Asia all’Università di Torino e responsabile scientifico dell’Osservatorio Asia Maior, intervistato da Giada Aquilino:

    R. - La Cina sta svolgendo un ruolo sempre più importante non soltanto nell’andamento dell’economia asiatica, ma anche nel ‘mantenimento a galla’ dell’economia americana. La Cina è diventata il maggior creditore in bond del Tesero americano in Asia, superando anche il Giappone. Si è, quindi, determinata una sorta di rapporto simbiotico tra Stati Uniti e Cina, che - da un lato - vede la Cina che diviene un creditore molto importante nei confronti degli Stati Uniti e - dall’altro - ha, però, ulteriori aspetti, come quello della delocalizzazione di una serie di industrie americane in Cina. C’è poi un’altra questione: la possibile sostituzione del dollaro - come moneta di interscambio a livello mondiale - con una nuova moneta, in realtà una moneta non circolante, che sarà basata su un paniere di monete delle economie più importanti, compresa ovviamente quella cinese.

    D. - Lei ha citato il Giappone, che sarà l’ultima tappa del viaggio di Obama. Tokyo teme che la recente sconfitta elettorale dei democratici possa far concentrare l’amministrazione Obama sul fronte interno, mentre le autorità giapponesi chiedono solidarietà sui contenziosi con la Russia, riguardo alle Isole Curili, e con la Cina, riguardo alle Isole Senkaku …

    R. - E’ meglio distrarre l’opinione pubblica parlando di rivendicazioni su isole presenti nel mare intorno al Giappone, piuttosto che soffermarsi sui problemi complessi dell’economia giapponese e sui problemi derivanti dai rapporti fra l’economia giapponese e quella americana da un lato e l’economia giapponese e quella cinese dall’altro. Ciò detto, io non credo che l’amministrazione americana si occuperà solo delle questioni interne e questo per la semplice ragione che le questioni dei rapporti economici con il Giappone, con la Cina, con i Paesi del sud-est asiatico rappresentano un problema che ha un diretto impatto sul benessere del cittadino medio americano e sull’andamento dell’economia Usa.

    D. - Un’altra tappa è l’Indonesia, dove Obama ha vissuto da bambino: vuole essere una mano tesa alla più grande nazione musulmana?

    R. - Il viaggio di Obama in Indonesia si può leggere da questo punto di vista. E’ vero, l’Indonesia è la più grande nazione musulmana del mondo: ci sono delle correnti estremiste - ed intendo estremiste islamiche - presenti in Indonesia e che negli ultimi anni hanno preso sempre più forza, ma la verità è che la grande maggioranza della popolazione non si riconosce in tali correnti estremiste. Ci sono, poi, aspetti di carattere economico che sono forse ancora più sostanziosi: l’Indonesia è parte dell’Asean; l’Asean sta diventando una zona di libero scambio di enorme importanza e gli americani, semplicemente, non possono permettersi di non cercare di rafforzare i loro contatti economici con l’Asean e - se possibile - di rafforzare anche il loro ascendente politico nei confronti dello stesso organismo.

    D. - E la lotta al terrorismo che posto ha in questa trasferta?

    R. - Indubbiamente si parlerà di lotta al terrorismo e si coordineranno meglio le azioni dei rispettivi servizi segreti. Anche se gli obiettivi veri del presidente statunitense consistono nello stabilire ponti che permettano all’America di inserirsi in questa zona di libero scambio, che sta diventando sempre più importante. (mg)

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    Giornata per la Vita. I vescovi italiani: difendere chi non può difendersi

    ◊   “Educare alla pienezza della vita” è il titolo del Messaggio - reso noto ieri - del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana per la 33.ma Giornata per la Vita che si terrà il prossimo 6 febbraio. Al centro l’urgenza di un’educazione alla vita e la necessità di una svolta culturale. Al microfono di Debora Donnini sentiamo don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della Cei:

    R. – Nel pensiero dei vescovi c’è l’esigenza di sollecitare sia le comunità cristiane che i credenti, ma anche gli uomini di buona volontà, a mostrare il grande ‘sì’ di Dio all’uomo, come dice Benedetto XVI. Se dovessimo descrivere il cristianesimo è soprattutto un’esperienza di un “di più” di vita, ma che va educato, proprio nel senso letterale del termine, cioè va estratto, va accompagnato. Oggi rischiamo di avere delle giovani generazioni che magari sono molto pratiche nel mondo del web, ma talvolta sono in difficoltà nelle relazioni con le persone che hanno accanto. Quando uno scopre che la vita si realizza nel donarsi agli altri, allora la sua vita acquista un senso, un orizzonte diverso, molto più luminoso.

    D. – Nel messaggio si parla di una sorta di assuefazione ad episodi di violenza. Che cosa provoca, poi, questa assuefazione?

    R. – Ci si abitua a cose che tutti i giorni vengono, soprattutto dai mass media, fotografate e magari evidenziate; ci si abitua, non tanto agli alberi che crescono silenziosamente, ma piuttosto all’albero che cade giù: le persone che sono trattate con violenza, gli incidenti e poi soprattutto la mancanza di attenzione alla vita fragile, cioè alla vita nascente, agli ultimi stadi di vita, agli anziani abbandonati. I vescovi allora invitano a non assuefarsi a tutto questo: occorre stare in ascolto di quel grido muto – direi così – di chi non può difendersi.

    D. – Oltre all’educazione alla vita, voi sottolineate l’importanza di interventi sociali e legislativi mirati. Ci può fare qualche esempio?

    R. – Una società civile deve promuovere il bene comune e questo vuol dire anche tutta una serie di interventi legislativi che difendano la vita. Forse, l’assuefazione più grande è proprio a delle leggi che non interpretano più il vero mistero della vita. E’ necessario che sia riconosciuta la persona al centro della società: la difesa della famiglia fondata sul matrimonio, ma vuol dire anche la difesa di chi non può difendersi. Una civiltà nasce quando la vita è custodita, è difesa. Una civiltà inizia il suo declino quando la vita, soprattutto nella parte più fragile, non è più custodita. (ap)

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    Aperto in Bulgaria l’Incontro dei vescovi delle Chiese cattoliche di rito orientale

    ◊   Si è aperto ieri a Sofia, in Bulgaria, il 13.mo Incontro dei vescovi delle Chiese cattoliche di rito orientale. Al centro dell’appuntamento, patrocinato dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), “I criteri di ecclesialità delle Chiese orientali oggi”. Tra i numerosi partecipanti, il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Ccee. Marta Vertse lo ha intervistato:

    R. – Qui a Sofia assistiamo ad un incontro dei vescovi cattolici orientali di tutta l’Europa. Questi incontri sono ormai quasi una tradizione e da alcuni anni si svolgono sotto l’egida del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, che comprende anche i vescovi orientali cattolici. Questa volta trattiamo dei criteri di ecclesialità, perché il Concilio Vaticano II usa l’espressione “Chiesa” o “Chiesa particolare” in diversi sensi. Nei documenti che si occupano delle Chiese orientali, “Chiesa particolare” significa molto spesso un insieme di diverse diocesi, caratterizzate da una propria tradizione liturgica, spirituale, teologica e anche disciplinare, che possono essere Chiese patriarcali, Chiese metropolitane o Chiese “sui iuris” composte da una sola diocesi. La nozione “Chiesa ‘sui iuris’” è poi una novità post-conciliare, introdotta dal Codice dei Canoni delle Chiese orientali promulgato nel 1990. Quindi, in base a tutte queste esperienze, noi vediamo che l’essere “Chiesa ‘sui iuris’” significa diverse cose, a seconda dell’estensione e dell’organizzazione gerarchica di ciascuna di queste Chiese. Una Chiesa orientale patriarcale cattolica ha un’autonomia molto ampia; una Chiesa metropolitana un po’ meno. Per una Chiesa composta da una sola diocesi, naturalmente, anche la posizione giuridica è diversa. Eppure, tutte queste comunità hanno uguale dignità: questo vuol dire che tutte conservano l’eredità apostolica della nostra fede e rappresentano una tradizione autentica; naturalmente anche la Chiesa latina, ma non diciamo che un rito è più nobile dell’altro perché, per quanto riguarda l’autenticità di questa testimonianza sulla tradizione, sono uguali. Eppure, a livello pastorale si presentano diversi problemi dei quali trattiamo proprio in questi giorni. Ma l’incontro ha anche un aspetto celebrativo, perché la Chiesa cattolica di rito bizantino-slavo di Bulgaria è nata 150 anni fa; è nata per una iniziativa venuta dal basso, dal clero bulgaro e pensiamo che questa occasione sia un vero motivo per celebrare la Chiesa bulgara, oggi: è una Chiesa vivace, rispettata nella società, anche se i cattolici non rappresentano più dell’un per cento dell’intera popolazione di questo Paese. (gf)

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    "Bombe sul Vaticano": un libro racconta l'attacco del 5 novembre 1943 contro la città del Papa

    ◊   Oggi pomeriggio a Roma viene presentato il libro intitolato “1943. Bombe sul Vaticano”: il volume, curato da Augusto Ferrara (Coedizione Lev – Augusto Ferrara Editore) raccoglie documenti e immagini su un drammatico evento, sconosciuto ai più, verificatosi la sera del 5 novembre del 1943. Partecipano all’incontro anche il cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, e l’on. Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Sulla genesi di quest’opera Amedeo Lomonaco ha intervistato l’autore, Augusto Ferrara:

    R. – Tutto è iniziato quando su una bancarella ho trovato una busta con circa 30 fotografie fatte il giorno dopo lo sgancio delle bombe, con una nota personale del fotografo ufficiale che indicava l’ora in cui era avvenuto.

    D. – Torniamo proprio all’ora del bombardamento: erano le 20.10 del 5 novembre 1943. Cinque bombe venivano sganciate sul territorio del Vaticano. Non ci furono vittime, ma solo danni materiali …

    R. – Una bomba inesplosa, quattro esplose sul corridoio dietro la Basilica di San Pietro. Sono state frantumate diverse vetrate della Basilica di San Pietro, nella parte posteriore. Danni ha riportato il corridoio che sale e va verso la stazione ferroviaria. Le quattro bombe sono state lanciate su questo corridoio. Sulla facciata della stazione ferroviaria si vedono ancora le schegge delle bombe. Lo stesso Governatorato, nella facciata laterale, ha ancora le schegge di queste bombe. E’ stata questa busta con circa 30 fotografie che mi ha portato, giornalisticamente, a volerne sapere di più e a scrivere questo libro di 160 pagine.

    D. – Lei ha consegnato il suo libro al Papa: qual è stata la reazione del Santo Padre, vedendo le foto del bombardamento contenute nel libro?

    R. – La prima cosa che ha detto, vedendo la fotografia, è stata: chi è stato?

    D. – E, infatti, è questa la domanda chiave: di chi è la responsabilità di quel bombardamento?

    R. – Ci sono tre-quattro pagine che specificano questo: c’è una telefonata fatta da un sacerdote da Viterbo, una conversazione telefonica riportata tale e quale: “Eh, ma questi americani l’hanno fatta veramente grossa!”. La risposta è stata: “Ma quali americani?! L’aereo è partito da Viterbo, io sto venendo da Viterbo: sono stati i fascisti a fare queste cose!”. Questa è una telefonata registrata che viene riportata per intero.

    D. – Un’altra questione chiave, un’altra questione storica è questa. Perché sono state sganciate le bombe in Vaticano?

    R. – Farinacci, che è stato l’animatore del fascismo, specialmente nell’ultimo periodo, voleva colpire la Radio Vaticana. Questo aereo, infatti, ha sorvolato il Vaticano … ma nessuno sapeva di chi fosse il velivolo.

    D. – Perché si voleva colpire la Radio Vaticana?

    R. – Per il semplice motivo che volevano bombardare la Radio Vaticana che trasmetteva da lì i messaggi che venivano ascoltati dagli americani. Però hanno distrutto il Museo delle Ceramiche, che poi è stato spostato nella posizione attuale, dove si trova la Fabbrica di San Pietro. L’originalità di questo volume è che io non racconto la mia minima impressione: non faccio altro che riportare la documentazione di quello che è avvenuto. (gf)


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    Chiesa e Società



    Nuova eruzione del vulcano Merapi in Indonesia:120 i morti, 75 mila gli sfollati

    ◊   Non c'è pace per l'Indonesia, funestata appena una settimana fa da un violento tzunami, al largo di Sumatra, che ha ucciso 431 persone. A mietere vittime questa notte una nuova eruzione del vulcano Merapi, sull'isola di Giava: almeno 70 i morti, un centinaio il numero di coloro che hanno riportato gravi ustioni mentre tentavano la fuga. Tra le vittime secondo quanto riferito da fonti ospedaliere, ci sarebbero anche sette neonati. Dalla prima eruzione del 26 ottobre scorso, il bilancio sale così in modo drammatico a oltre 120 morti. Tra le località più colpite, il villaggio di Argomulyo, 18 chilometri a sud dal cratere: qui, nonostante l’ordine di evacuazione la gente è stata sorpresa nel sonno. Prima una nube di cenere e lapilli alta 4 chilometri, poi la colata di fango che ha avvolto le case in un catrame incandescente. Molte abitazioni sono crollate e così alberi e infrastrutture, sommerse dalla lava le strade, le auto. In tilt il trasporto aereo: in mattinata è stato chiuso l’aereoporto di Yogyacarta, con i voli dirottati sul vicino scalo di Solo. Disagi anche per il trasporto pubblico. A preoccupare le autorità anche il numero degli sfollati, saliti a 75 mila. In prima linea nell’aiuto ai senza tetto ci sono i religiosi e i laici dell’arcidiocesi di Samarang che oltre ad aprire le porte di chiese istituti e scuole, per dare un rifugio temporaneo hanno anche provveduto a realizzare un ambulatorio e una mensa nelle aree colpite. “Insieme a decine di volontari siamo impegnati a fornire cibo e un rifugio temporaneo ai rifugiati. Stare con questa gente è la chiamata di Dio a proclamare il Suo amore”, ha detto suor Teresa Wiji Kartini, delle Figlie di Gesù Cristo, che ha raccontato come la decisione di restare sul posto è stata presa dopo l’evacuazione di un orfanotrofio dell’ordine posto a soli 8 km dal vulcano. La necessità di portare aiuto ai bambini e alle religiose ha spinto anche alcuni laici cattolici a creare un altro ambulatorio a Srumbung, ai piedi del monte Merapi, per soccorrere anche gli altri residenti bisognosi. (A cura di Cecilia Seppia)

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    Pakistan: ancora un milione di sfollati nella provincia del Sindh per le alluvioni

    ◊   A oltre tre mesi dalle devastanti alluvioni che hanno colpito il Pakistan, è la provincia del Sindh quella che tuttora desta forti preoccupazioni per l’alto numero di sfollati e per le ampie zone ancora isolate o sommerse dall’acqua. E’ il dato che emerge dall’ultimo bollettino diffuso dall’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha). In base ai dati raccolti dall’organismo delle Nazioni Unite, sono oltre un milione gli sfollati del Sindh, attualmente rifugiati in 4700 differenti siti. Si tratta soprattutto di minori (58%) e donne oltre che di anziani (5%) e persone con disabilità (12%). Secondo un sondaggio condotto di recente ci sono inoltre 65 mila persone sprovviste di qualunque riparo. Nettamente migliore è la situazione nelle altre due province più pesantemente colpite dalle inondazioni di luglio: in Baluchistan dove gli sfollati ancora ospiti di strutture temporanee sono 61.500 e nel Punjab dove i senzatetto ammontano a 7 mila. Sul fronte della sicurezza alimentare la popolazione continua ad avere bisogno di aiuti di vario tipo, oltre a generi di prima necessità anche semi e fertilizzanti per provare a far ripartire l’agricoltura pesantemente devastata. L’altro punto critico su cui si stanno concentrando gli sforzi di numerose organizzazioni non governative e del governo è quello dell’istruzione con la creazione di centri temporanei di insegnamento concentrati negli accampamenti dove vivono gli sfollati o, come nel caso del Sindh, nei campi di accoglienza. (C.S.)

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    Iraq: appelli del Cec all’Onu e dei vescovi iracheni alla Chiesa francese

    ◊   “I responsabili religiosi ed esperti cristiani e musulmani esortano le Nazioni Unite e il loro Consiglio di sicurezza, tutte le organizzazioni che promuovono la pace e, in particolare, il governo iracheno, ad intervenire per porre fine agli attacchi terroristici mirati ad avvilire gli iracheni, qualunque sia la loro appartenenza religiosa, e a profanare luoghi sacri del cristianesimo e dell’islam”. E’ l’appello contenuto nella dichiarazione dei partecipanti alla conferenza internazionale organizzata in questi giorni a Ginevra, in Svizzera, dal Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec). Durante l’incontro, incentrato sul tema “Trasformare le comunità: cristiani e musulmani costruiscono un avvenire comune”, è stato inoltre fermamente condannato l’attentato condotto domenica scorsa nella cattedrale siro cattolica di Nostra Signora a Baghdad e costato la vita a 58 persone tra cui donne, bambini e anche tre sacerdoti. E’ un atto disumano – si legge nel documento ripreso dall’agenzia Misna - “che contraddice tutti gli insegnamenti religiosi e culturali del Medio Oriente”. In Iraq, intanto, i presuli iracheni hanno inviato una lettera ai vescovi francesi per chiedere il loro sostegno attraverso la preghiera. Il documento, reso noto durante l’assemblea plenaria di Lourdes della Conferenza episcopale francese, sarà letto domenica prossima in tutte le chiese e parrocchie francesi. Nella lettera i vescovi iracheni sottolineano che il massacro nella cattedrale a Baghdad può far perdere “la pazienza ma non la fede e la speranza. Questo fatto così grande accaduto poco dopo il Sinodo – scrivono - ci sciocca ancora di più. Ciò di cui abbiamo bisogno – aggiungono rivolgendosi ai presuli francesi - è la vostra preghiera, il vostro sostegno fraterno. La vostra amicizia – si legge poi nella lettera - ci incoraggia a restare nella nostra terra, a perseverare e a sperare”. “Abbiamo bisogno – concludono i vescovi iracheni - della vostra compassione per tutto ciò che ha colpito la vita di innocenti, cristiani e musulmani”. (A.L.)

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    Terra Santa: tre giorni di preghiera degli Ordinari cattolici per l'Iraq

    ◊   “Le parole di dolore e di condanna non sono più sufficienti di fronte all'orrore che si sta verificando ripetutamente in questi ultimi anni in Iraq, specialmente contro i cristiani, e che ha raggiunto l’apice della follia con il selvaggio massacro di domenica scorsa nella chiesa siro-cattolica di Baghdad”. Lo scrivono gli Ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts) in una nota di condanna diffusa ieri a Gerusalemme e ripresa dall'agenzia Sir. “Ci inchiniamo davanti ai corpi dei martiri eroici, ai feriti, alle loro famiglie – scrivono i presuli – facciamo appello alla coscienza di tutti e di coloro che hanno l’autorità, innanzitutto il Governo iracheno, affinché vigilino e proteggano tutti i cittadini, specialmente coloro i quali non hanno protezione, non possiedono armi e milizie, la cui unica colpa è quella di continuare a professare la fede dei loro padri e dei loro avi nella terra d’origine”. “Questa terra – rimarca l’Aocts – è la loro terra da sempre, per la quale si sono sacrificati contribuendo al suo sviluppo e difendendola. È giunto il momento, per chi ha la responsabilità politica, di resistere a coloro che hanno perso ogni senso di umanità, di frenare la loro sete insaziabile di sangue e di punire chiunque pianifichi o compia tali atti criminali”. Gli Ordinari cattolici chiedono alla Lega Araba, all'Organizzazione della Conferenza Islamica, alle Nazioni Unite e al Consiglio di Sicurezza, “prima che sia troppo tardi, di tenere presente il pericolo che giunge da coloro che sfruttano la religione per provocare scontri tra civiltà e tra nazioni”. Per dare un concreto segno di vicinanza gli Ordinari cattolici hanno promosso per oggi, domani e domenica, tre giorni di solidarietà e di preghiera “per i martiri iracheni” da svolgersi in tutte le parrocchie, monasteri e conventi della Terra Santa. “La nostra missione, come è stato detto anche nel Sinodo per il Medio Oriente, è vivere la comunione e la testimonianza, lavorare insieme, cristiani e musulmani, per risvegliare i nostri Paesi e i nostri popoli, investendo sulla pace, la stabilità e la fiducia reciproca”. (R.P.)

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    L’Alto Commissario Onu per i diritti umani: più protezione per le comunità religiose dell’Iraq

    ◊   L’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha duramente condannato i recenti attacchi alle comunità religiose in Iraq ed ha richiamato il governo iracheno ad incrementare il proprio impegno a favore della protezione dei civili, per prevenire una recrudescenza fatale delle violenze settarie. Non è stato ancora comunicato il numero esatto degli attacchi sferrati, né delle persone che sono rimaste uccise o ferite”, ha affermato Pillay. “Tuttavia, le esplosioni erano specificatamente dirette ai luoghi di ritrovo di civili, come mercati e banche, e avevano una natura settaria”, ha aggiunto l’Alto Commissario. Pillay ha notato che processare i responsabili delle violenze è un atto dovuto, ma non facile, in un Paese ancora in ripresa dopo anni di conflitti e violenze. Pillay ha anche richiesto al governo di adottare misure concrete per migliorare la protezione dei gruppi vulnerabili e delle minoranze. “Consentire una recrudescenza delle violenze settarie in Iraq, potrebbe essere fatale”, ha dichiarato l’Alto Commissario. “Mi rendo conto che avere a che fare con i gruppi terroristici non è un compito facile. Tuttavia, credo che si possa fare molto di più, per proteggere i gruppi più vulnerabili agli attacchi. Deve essere chiaro a tutti, in Iraq, che gli attacchi settari nei confronti di questi gruppi sono accettabili e che saranno puniti severamente dalla legge, indipendentemente da chi li compie. Ė fondamentale che il governo iracheno intervenga in modo decisivo ed imparziale per fermare i primi segni di incitamento all’ostilità ed alla violenza, contro ogni gruppo o minoranza religiosa”, ha detto Pillay. “Le autorità devono assicurare che i luoghi di culto e gli altri obiettivi sensibili siano adeguatamente protetti, dimostrando così che la sicurezza delle comunità costituisce una primaria preoccupazione per il governo. Inoltre, quando un attacco terroristico viene compiuto, le autorità devono mobilitarsi per investigare sui crimini, svolgere processi e risarcire le vittime, ma devono anche agire per prevenire futuri attacchi. (R.P.)

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    India. Il cardinale Gracias: "con il presidente Obama sintonia e aiuto per la tutela dei diritti umani”

    ◊   I cristiani dell’India si trovano in sintonia con il presidente Usa Barak Obama su temi quali la tutela dei diritti umani, la pace, la giustizia, il dialogo: è quanto dice in un colloquio con l’agenzia Fides il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente della Conferenza episcopale dell’India, alla vigilia dell’arrivo di Obama che, nella prima tappa del suo viaggio asiatico, si fermerà in India da domani all’8 novembre. Il cardinale Gracias ha detto a Fides: “Sarà una visita all’insegna dell’amicizia e della cooperazione fra i due Paesi: la cooperazione fra India e Stati Uniti, le più grandi democrazie del mondo, potrà giovare al mondo intero. Uno dei capitoli che saranno affrontati è la lotta al terrorismo: il presidente si fermerà, simbolicamente, nel Taj Mahal Hotel, l’albergo di Bombay colpito dalla violenza terrorista nel 2008. Il messaggio che vogliamo lanciare al mondo, come indiani e come cristiani, è che il terrorismo è un male ed è frutto dell’odio: noi crediamo che sia l’amore la forza che muove l’universo e che può creare pace, giustizia, gioia. I cristiani dell’India – prosegue l’arcivescovo di Bombay – si attendono dal presidente Obama parole di sostegno nella difesa dei diritti umani, del pluralismo, del dialogo e della tolleranza”. Domenica prossima Obama – informa il cardinale – farà tappa nella scuola cattolica del Santo Nome a Bombay per celebrare il Diwali, la festa indù della luce: “Anche questa è una scelta di alto valore simbolico. Siamo onorati della sua presenza. Vorrei sottolineare che quell’istituto, come molte altre scuole cattoliche in India, ha solo il 5% di studenti cristiani, mentre il 60% è indù e il 35% musulmani. Qui Obama potrà incontrare ragazzi di diverse culture, religioni e tradizioni, che esprimono l’identità vasta e plurale dell’India. Sarà l’occasione per lanciare un messaggio di amicizia e di dialogo fra cristiani e indù ma anche per ribadire la necessità di tutelare il pluralismo e la protezione delle minoranze religiose in India”, continua. “La visita a una scuola cattolica – spiega a Fides il cardinale – rappresenta anche un chiaro riconoscimento, sotto gli occhi dell’intero Paese, alla preziosa opera educativa, di altissimo livello, e all’ottimo servizio offerto alla nazione dalle scuole cristiane”. La visita di Obama – è l’auspicio conclusivo espresso dal porporato – “potrà servire a ribadire alla nazione che i cristiani, pur essendo una minoranza, non sono stranieri, come affermano alcuni gruppi estremisti indù, ma sono completamente indiani: condividono le sorti della nazione e sono felicemente e attivamente impegnati nell’opera di sviluppo, di progresso, e di pacificazione del Paese”. (R.P.)

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    I cristiani dell’Orissa chiedono a Obama di affrontare il tema della libertà religiosa in India

    ◊   I cristiani dell’Orissa chiedono al presidente Usa Barak Obama, di condannare apertamente, negli incontri con le alte cariche dello Stato indiano, l’intolleranza religiosa, le violenze dei gruppi estremisti indù, le discriminazioni che ancora subiscono i dalit (gli intoccabili) indiani. La visita di Obama in India “rappresenta un’opportunità per ribadire che lo Stato deve fermare il fanatismo dei gruppi radicali indù, e che l’India deve seguire i principi di armonia e tolleranza, rispettando i diritti sanciti nella Costituzione”, dice in un colloquio con l’agenzia Fides mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, nello Stato dell’Orissa. Proprio in Orissa, in questi giorni l’attenzione pubblica è fissata sul processo a carico degli autori dei massacri che colpirono le comunità cristiane nel 2008. “I cristiani dell’India desiderano che il presidente Obama parli dell’intolleranza religiosa e degli attacchi condotti dagli integralisti indù contro i cristiani, in Orissa e in altri Stati, nonchè contro altre minoranze religiose”, nota l’arcivescovo. “Se il fanatismo persiste, migliaia di fedeli cristiani soffriranno ancora. Ogni cittadino indiano deve avere la libertà di scegliere e professare la propria fede. I gruppi radicali indù non devono poter imporre la loro ideologia e causare disordini sociali”, afferma mons. Cheenath. Per questo i cristiani chiedono che il Presidente Obama difenda il supremo valore della libertà religiosa negli incontri con il Primo Ministro Manmohon Singh, con il Presidente Patil e nel discorso che terrà davanti al Parlamento indiano. Un altro “tasto dolente”, che andrebbe posto all’attenzione delle autorità e del Paese, è, secondo il presule, “la condizione di emarginazione subita dai dalit (i cosiddetti fuori casta) e dai tribali indiani”, che costituiscono circa il 25% della popolazione complessiva. Inoltre, “esistono privilegi concessi ai dalit di fede indù, che non sono accordati a quelli di fede cristiana e musulmana, in violazione dei diritti costituzionali”, ricorda l’arcivescovo. Gruppi cristiani e associazioni auspicano un intervento di Obama per combattere il sistema delle discriminazioni castali, formalmente abolito, ma ancora in voga nella prassi sociale: in una lettera aperta a Obama l’ All India Christian Council (Aicc), ha chiesto al Presidente Usa – che nel suo viaggio si fermerà al monumento del mahatma Gandhi – di includere una tappa per rendere omaggio a Bhimrao Ramji Ambedkar (1891-1956), giurista indiano, fra gli estensori materiali della Costituzione indiana, definito “l’eroe degli intoccabili”. Infine, i cristiani chiedono a Obama di segnalare che “in tempi di boom economico del Paese, urge prendere adeguati provvedimenti per la giustizia sociale, perché larghe fasce di poveri non siano escluse dalla crescita e dello sviluppo del Paese”. (R.P.)

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    Incontro cristiano-islamico a Ginevra: la religione non è causa di conflitti

    ◊   “La religione è spesso invocata in caso di conflitto, anche quando altri fattori, come la iniqua distribuzione delle risorse, l'oppressione, l'occupazione e l'ingiustizia, sono le vere radici del conflitto. Dobbiamo trovare il modo di togliere la religione da simili ruoli e rilanciarla invece per la risoluzione dei conflitti e per la giustizia compassionevole”. E’ uno dei passaggi più forti del lungo comunicato finale che è stato presentato ieri alla stampa a Ginevra, al termine della consultazione internazionale cristiano-islamica promossa dal Consiglio Ecumenico delle Chiese alla quale hanno partecipato 64 cristiani e musulmani, quest’ultimi legati alla “World Islamic Call Society” (Wics), al “Royal Aal al Bayt Institute” e al consorzio “A Common Word”. Tra le decisioni operative emerse in questi giorni di discussione, musulmani e cristiani suggeriscono “la formazione di un gruppo di lavoro congiunto che può essere mobilitato nel caso in cui sorge una crisi di conflitto nella quale sono coinvolti cristiani e musulmani”. Il comunicato elenca, nella parte finale, una serie di raccomandazioni, presentate da un preambolo. “La base delle nostre fedi, espressa nella chiamata a conoscerci reciprocamente e nei due comandamenti dell’amore a Dio e al prossimo, dà un fondamento solido alla nostra comune responsabilità ad agire ed affrontare insieme i problemi”. (R.P.)

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    Rapporto Undp sullo sviluppo umano: in Asia 844 milioni di poveri

    ◊   Metà delle persone povere del pianeta (circa 844 milioni) vivono nell’Asia meridionale ma è l’Africa sub-sahariana (con 458 milioni di persone) ad avere maggiori povertà di diverso tipo. Sono i dati allarmanti che emergono nel Rapporto dell’ Undp- Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo - pubblicato ieri, che introduce quest’anno tre nuove misurazioni: disuguaglianza complessiva, disuguaglianza di sesso e povertà multidimensionale, per integrare il tradizione Indice di sviluppo umano (Isu), una misura nazionale di salute, istruzione e reddito per 169 Paesi. Stando ai numeri i Paesi con il più basso indice di sviluppo umano nel mondo sono il Niger, la Repubblica Democratica del Congo e lo Zimbabwe, dove a fare da contraltare allo sviluppo, sono le costanti violazioni dei diritti umani subiti dalla popolazione civile. Ai primi posti nella classifica dell’Onu invece ancora la Norvegia, l’Australia e Nuova Zelanda. Negli ultimi 40 anni – si legge nel rapporto - la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo ha realizzato “progressi impressionanti”, anche se “sottostimati” nei campi della sanità, dell’istruzione e degli standard di vita fondamentali. I miglioramenti più marcati sono avvenuti in Oman, Cina, Nepal, Indonesia, Arabia Saudita, Laos, Tunisia, Sud Corea, Algeria e Marocco. Tra le prime 10 nazioni per l’Isu 2010 vi sono: Stati Uniti, Irlanda, Liechtenstein, Paesi Bassi, Canada, Svezia e Germania. In fondo alla graduatoria sono invece: Mali, Burkina Faso, Liberia, Ciad, Guinea-Bissau, Mozambico Burundi. Dal Rapporto emergono però “ampie disuguaglianze all’interno e fra le nazioni”, “profonde disparità tra donne e uomini”, e la prevalenza di una “povertà multidimensionale estrema” in Asia meridionale e Africa sub-sahariana. In particolare le 10 nazioni con la minore uguaglianza tra i sessi in ordine discendente, sono Camerun, Costa d’Avorio, Liberia, Repubblica Centrafricana, Papua Nuova Guinea, Afghanistan, Mali, Niger, la Repubblica Democratica del Congo e lo Yemen. Le società che presentano, invece, un rapporto più equilibrato fra i sessi sono nei Paesi Bassi, in Danimarca e Svezia. “Il rapporto mostra che complessivamente, le persone oggi sono più sane, ricche, e istruite che in passato - nota Helen Clark, amministratore dell’Undp -. I Paesi possono fare molto per migliorare le vite delle persone anche in condizioni avverse. Ciò richiede delle coraggiose leadership locali, come pure l’impegno continuativo della comunità internazionale”. Negli ultimi 40 anni, ad esempio, l’aspettativa di vita è balzata dai 59 anni del 1970 ai 70 del 2010; le iscrizioni scolastiche sono aumentate dal 55% per tutti i bambini in età di scuola primaria e secondaria al 70%; e il Pil pro capite è raddoppiato a più di 10mila dollari Usa. La regione che negli ultimi 40 anni, ha registrato il più rapido progresso in termini di sviluppo, è stata l’Asia orientale, guidata da Cina e Indonesia. Anche i Paesi arabi hanno segnato importanti progressi. Numerose nazioni dell’Africa sub-sahariana e dell’ex Unione Sovietica sono invece rimaste indietro, a causa dell’impatto dell’Aids, dei conflitti, degli sconvolgimenti economici. Nel corso degli ultimi 40 anni l’aspettativa di vita è diminuita in Bielorussia, Ucraina e federazione Russa e in sei Paesi dell’Africa sub-sahariana: Repubblica Democratica del Congo, Lesotho, Sud Africa, Swaziland, Zambia e Zimbabwe. Le disuguaglianze di reddito più elevate al mondo sono in America Latina, soprattutto in Argentina, Venezuela e Haiti. Migliorano, invece, in Brasile e Cile. Nonostante le continue avversità anche molte nazioni africane hanno compiuto progressi: tra queste, Etiopia, Botswana, Benin e Burkina Faso. (C.S.)

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    Il nunzio ad Haiti: tra colera e uragano Tomas si aggrava l'emergenza nel Paese

    ◊   Già alle prese con una epidemia di colera, la popolazione di Haiti – 1 milione e 300 mila persone vivono a Port-au-Prince nelle tendopoli, dopo il terremoto del 12 gennaio - sta affrontando in queste ore la tempesta tropicale Tomas, che rischia di trasformarsi in uragano e mietere altre vittime. “Il cielo è buio e ha già cominciato a piovere – racconta all'agenzia Sir mons. Bernardito Auza, nunzio apostolico ad Haiti -. Siamo pronti all’emergenza”. A proposito del colera il nunzio fornisce le ultime cifre aggiornate - 452 morti e 4.450 persone contagiate – ma dice che, finora, “nessun caso è stato segnalato nei campi di sfollati della capitale”. Mons. Auza racconta che “le autorità sono preoccupate per la festa di san Carlo, patrono della città di Les Gonaives, vicina al focolaio dell’epidemia: potrebbe essere un'occasione per la diffusione del virus, perché è tradizione tornare a casa per festeggiare e partecipare ai pellegrinaggi”. E riferisce una notizia poco diffusa a livello “ufficiale”: “Il tipo di virus di questo colera si chiama ‘Souche sud asiatique’, simile a quello dell’Asia meridionale. Tutti i test sono stati eseguiti dal Center for Disease Control degli Usa. Quindi, è possibile che il virus sia stato portato ad Haiti da uno o più militari nepalesi della missione dell’Onu Minustah, che ha la base vicino a Mirebalais, non lontano dal fiume contaminato Artibonite”. (R.P.)

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    I vescovi del Paraguay chiedono leggi per la vita e la famiglia

    ◊   A conclusione della loro assemblea plenaria i vescovi del Paraguay hanno pubblicato un’esortazione pastorale in cui chiedono che le leggi riguardanti la vita e la famiglia abbiano sempre un solido e coerente fondamento etico. “Quest’opera legislativa – scrivono i presuli- deve cercare anzitutto di favorire lo sviluppo integrale e sostenibile del nostro popolo nel rispetto e nella difesa della vita umana dal suo concepimento fino alla morte naturale così come si afferma nella nostra Magna carta”. Per i presuli paraguaiani la possibilità di una “vera convivenza pacifica e di una vita dignitosa” si basa proprio nella difesa “della vita come principio fondamentale e sostegno di tutti gli altri valori. Le leggi, rilevano i vescovi, devono favorire sempre la vita e rendere possibili condizioni per lo sviluppo pieno dell’essere umano.” Il documento episcopale lamenta inoltre l’esistenza di proposte, al vaglio del Parlamento, che cercano di ignorare o prescindere da queste verità evitando “di riconoscere in modo esplicito i valori trascendenti umani e cristiani” che appartengono storicamente alla cultura nazionale, con il rischio di “ridurre la visione e il concetto dell’essere umano a semplice costruzione culturale”, cosa che, tra l’altro, rende facile “la sottomissione e la manipolazione” dei cittadini. Per i presuli sono proprio queste considerazioni quelle che rendono necessario, da parte del legislatore, la massima attenzione “verso la famiglia” la cui difesa e protezione “sono doveri principali dello Stato. La famiglia, spiegano i vescovi, attraverso il matrimonio è chiamata a svolgere una funzione specifica nella società”. La Conferenza episcopale del Paraguay s’impegna ancora un volta ad accompagnare le famiglie in particolare in un’ora in cui deve far fronte a non poche difficoltà economiche e culturali. “Infine, scrivono i presuli, nelle leggi che fanno riferimento alla famiglia e all’educazione, i legislatori devono collaborare con i genitori, aiutandoli ad assumere pienamente la loro responsabilità paterna e materna”, in particolare “nel loro dovere di educare i propri figli”. “Nessuna istituzione dovrebbe sostituirsi mai nel ruolo fondamentale che la famiglia ha nell’educazione” poiché “senza la famiglia non esiste una piena educazione”. In conclusione, e in merito alle elezioni municipali di domenica, i vescovi del Paraguay ricordano il dovere del voto non solo come espressione di educazione civica, ma anche come espressione di convivenza democratica. “La democrazia, aggiungono, si costruisce e si rinforza con la partecipazione attiva di tutti i suoi attori”, a maggior ragione se il Paese, dopo molti anni di regimi autoritari, consolida gradualmente e faticosamente un regime democratico autentico. Agli elettori i vescovi chiedono conoscenza dei candidati, analisi delle proposte, valutazioni serene, rifiutando qualsiasi comportamento che tolga trasparenza al processo elettorale. Ai candidati invece i presuli ricordano un’esortazione del Concilio vaticano II: “Coloro che sono o possono diventare idonei per l'esercizio dell'arte politica, così difficile, ma insieme così nobile, si preparino e si preoccupino di esercitarla senza badare al proprio interesse e a vantaggi materiali. Agiscano con integrità e saggezza contro l'ingiustizia e l'oppressione, l'assolutismo e l'intolleranza d'un solo uomo e d'un solo partito politico; si prodighino con sincerità ed equità al servizio di tutti”( Gaudium et Spes nº 75). (A cura di Luis Badilla)

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    Venezuela: Campagna per il rispetto dei diritti dei bambini

    ◊   Il Bureau International Catholique de l'Enfance (Bice) e l'organizzazione venezuelana Cecodap, che si occupa di solidarietà, hanno appena lanciato il progetto “Promotores del Buen Trato" per la prevenzione della violenza nei centri educativi, nelle famiglie e nelle comunità in Venezuela. Iniziato ad ottobre, il progetto è rivolto ai giovani di Gran Caracas tra i 10 e i 17 anni di età, malati, disabili, o che vivono in situazioni difficili. L'obiettivo principale - riporta l'agenzia Fides - è la formazione e la sensibilizzazione dei giovani emarginati di fronte alla violenza, affinchè imparino a proteggersi. Oltre agli adolescenti, anche a docenti, genitori, familiari e giornalisti verrà offerta una formazione sul trattamento da riservare ai bambini, alle bambine e agli adolescenti per sensibilizzare la comunità. Il progetto vuole contribuire allo sviluppo di una società impegnata contro la violenza e il rispetto dei diritti dei bambini nell'ambiente educativo, familiare e comunitario. Hanno preso parte al progetto anche 15 scuole pubbliche delle zone popolari di Gran Caracas, la Red de Fe y Alegría, la Associazione Venezuelana di Educazione Cattolica e la Red Andi América Latina. L'obiettivo è accelerare il progresso nelle aree strategiche per combattere la violenza contro i bambini e le bambine. (R.P.)

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    Africa occidentale: per gli alluvionati servono soprattutto aiuti alimentari

    ◊   Dopo le intense piogge delle ultime settimane, il maltempo concede una tregua in Benin, Togo e Ciad dove il livello dei fiumi si sta lentamente abbassando: a riferirlo sono fonti umanitarie contattate dall'agenzia Misna nei tre Paesi dell’Africa occidentale dove le autorità competenti stanno diffondendo bilanci più completi. Ovunque servono aiuti alimentari dopo l'allagamento di decine di migliaia di ettari di coltivazioni e la distruzione di ingenti quantità di cereali conservati nei granai o nelle abitazioni. "Su 680.000 persone colpite dalle alluvioni, più di 105.000 versano in condizioni di grande difficoltà: la necessità di cibo è enorme ma servono anche tende e coperte" riferisce suor Léonie Dochamou, responsabile della Caritas Benin, aggiungendo che "urge anche trattare le acque inquinate per evitare il propagarsi di malattie come colera e malaria, per ora tenute sotto controllo dal ministero della Sanità". L'altra grande sfida, prima di pensare alla ricostruzione a lungo termine, è quella di dare un riparo più sicuro ai 200.000 sfollati che hanno perso la propria casa: "Molti di loro sono accampati lungo le strade in condizioni davvero precarie: dobbiamo fornire loro tende, coperte e utensili domestici" dice ancora suor Leonie. L'Ufficio di coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha) e diverse agenzie Onu hanno lanciato un appello alla comunità internazionale: servono 46,8 milioni di dollari per aiutare il Benin a fronteggiare le più gravi inondazioni degli ultimi 50 anni. Nel confinante Togo, a finire sotto l'acqua sono stati decine di villaggi del sud-est, a causa di piogge insolitamente intense e dello straripamento del fiume Mono, in Benin. "Abbiamo registrato 21 morti, 85 feriti e più di 82.000 disastrati. Quattromila abitazioni sono state allagate, altre 7000 sono crollate e più di 7000 ettari di cereali sono stati allagati": è il bilancio ufficiale comunicato dal comandante Messan Akobi, della protezione civile togolese. Anche i quartieri a nord-est della capitale, Lomé, e le zone settentrionali del Paese sono stati seriamente colpiti dalle intemperie: "Servono soprattutto sacchi di cereali, materiale agricolo per riparare i danni e acqua potabile" prosegue il nostro interlocutore, mentre 3000 sfollati ricevono assistenza in tre centri appositamente allestiti. Sembra invece rientrata l'emergenza sanitaria, dopo il manifestarsi del colera che a fine ottobre aveva fatto 135 vittime su più di 4000 contagi. In Ciad, la capitale N'Djamena è stata allagata dopo lo straripamento del fiume Chari, in particolare i quartieri meridionali come quello di Walia: il bilancio è di nove morti, 17.500 disastrati e 4500 senza tetto. In tutto 19 delle 22 regioni hanno subito le conseguenze del maltempo, con più 150.000 persone colpite e 60.000 ettari di coltivazioni distrutti, come a Hajer Lamis e Bongor, una situazione aggravata dal diffondersi di un'epidemia di colera che ha causato almeno 111 vittime e più di 2500 contagi. "Purtroppo le alluvioni colpiscono un Paese già in difficoltà dopo la crisi alimentare provocata dalla penuria degli ultimi raccolti e la perdita di numerosi capi di bestiame" riferisce la Croce Rossa ciadiana. (R.P.)

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    Nigeria. Mons. Kaigama: a Jos solo il perdono è più forte della violenza

    ◊   “È stato incredibile vedere quello che la crisi del 17 gennaio 2010 ha provocato negli abitanti di Jos e dintorni. La pazzia, che è stata lasciata libera di agire, ha provocato la distruzione di chiese e moschee, con diverse persone costrette a sfollare perché le loro abitazioni e i loro esercizi commerciali sono stati distrutti”. Così scrive Mons. Ignatius A. Kaigama, arcivescovo di Jos, capoluogo dello Stato nigeriano di Pleteau, dove periodicamente esplodono violenti scontri intercomunitari, con conseguenze molto pesanti per la popolazione locale. Mons. Kaigama, in un articolo pubblicato localmente e inviato a Fides, ricorda che le persone hanno visto i risparmi di una vita andare in fiamme e i propri cari mutilati o uccisi. La natura comunitaria della vita familiare è stata turbata quando le famiglie divise dalla crisi sono state costrette a vivere a distanza di chilometri, senza potersi incontrare. “Ma non è sempre stato così, racconta ancora Mons. Kaigama, “senza dubbio – dice il presule - la città di Jos è stata una delle città più tranquille della Nigeria, favorita da un clima sereno e dalle bellezze naturali. Il calore e la generosità della sua gente hanno conquistato molti. Negli ultimi decenni a causa dello sfruttamento minerario dello stagno, si è creato un mix di attività locali, nazionali ed internazionali, che ha fatto sì che cittadini di diversi Paesi si siano installati a Jos. Non stupisce, che lo Stato stesso avesse adottato il nome di “Casa della pace e del turismo”. Purtroppo, la crisi del 2001 ha creato una diffidenza e un’animosità senza precedenti tra la minoranza costituita dalla comunità di coloni musulmani Hausa/Fulani e la maggior parte degli indigeni cristiani. Prima della crisi, entrambe le comunità condividevano in qualche misura le festività, sociali, religiose e politiche, con poco o nessun pregiudizio o discriminazione. La Chiesa cattolica insieme agli uomini di buona volontà di altre fedi cerca di porre fine a questa situazione e di aiutare le vittime delle violenze - afferma mons. Kaigama. Oltre alla Chiesa locale, anche la comunità cattolica universale è impegnata ad aiutare gli abitanti dello Stato di Plateau a ritrovare la pace, come testimoniato dalla recente visita a Jos del cardinale Peter Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace. Mons. Kaigama conclude descrivendo la sua visita nel villaggio di Mazah, che era stato attaccato il 17 luglio. “Sono rimasto colpito dagli striscioni con la scritta: 'la più grande arma contro la violenza è il perdono'. Cosa c’è di più vero? Il bene può veramente sconfiggere il male, se c’è la volontà”. (C.S.)

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    Kuwait: fondamentalisti islamici impediscono la costruzione di una chiesa

    ◊   Un gruppo di cristiani si lamenta perché il Consiglio municipale di Kuwait City impedisce di ottenere del terreno per costruire una chiesa. “Il Consiglio municipale è il problema maggiore che incontriamo per ottenere la terra; ma non l’intero Consiglio, solo i fondamentalisti islamici”, ha detto l’archimandrita Bourto Gharid della chiesa greco-cattolica, leader della chiesa nella zona. Di recente - riferisce l'agenzia AsiaNews - il Consiglio ha bloccato un tentativo della chiesa di acquistare della terra a Mahboula, un’area della zona sud di Kuwait City. Secondo padre Gharib sia il governo che l’emiro Sabah al-Ahmad al-Sabah hanno dato la loro approvazione al progetto della chiesa. Ma il Consiglio ha respinto la richiesta. “Non ci hanno dato nessuna spiegazione”. Gharib ha detto che la richiesta è stata presentata vari anni fa, e che la costruzione della chiesa tendeva a eliminare il super affollamento presente in una villa che attualmente è usata per le cerimonie religiose. Padre Gharib ha detto che non è la prima volta, che il Consiglio respinge la richiesta di costruzione di una chiesa. Andrew Thompson, il cappellano anglicano in Kuwait nota che “i livelli di governo superiori dicono di sì, e quelli più bassi dicono di no”, e ha confermato che il Consiglio è condizionato dai fondamentalisti islamici. La Chiesa ha detto che il governo aveva proposto un’area di 7.500 metri quadrati che includevano terreno sia per le costruzioni che per il parcheggio. Elian Farah, membro del comitato della Chiesa greco-cattolica, ha detto che il governo aveva suggerito ai parrocchiani di usare i parcheggi di due scuole che erano in costruzione nell’area, durante i week end, oltre a quello della futura chiesa. L’unico successo che la comunità cristiana ha avuto in 40 anni fu quando la Chiesa copta si è assicurata del terreno per una nuova chiesa, ma hanno avuto grosse difficoltà per i permessi di costruzione. Ci sono circa 650 famiglie della comunità greco-cattolica in Kuwait, e non sono l’unico gruppo cristiano che si batte per trovare spazio nel Paese. Circa 460 mila cristiani si dividono quattro chiese ufficiali: due cattoliche, una evangelica e un’anglicana, mentre una copta è in via di costruzione. (R.P.)

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    Azerbaigian: cristiani battisti in prigione per essersi riuniti a pregare

    ◊   La polizia irrompe in una casa privata e arresta 4 cristiani battisti “colpevoli” di pregare insieme, nella settentrionale Qusar.Il proprietario della casa e altri tre cristiani, arrestati dalla polizia domenica scorsa sono stati subito portati avanti al tribunale, che li ha condannati a 5 giorni di prigione, in una rapida udienza tenuta a porte chiuse, senza dare nemmeno termini a difesa. L’agenzia "Forum 18" - ripresa da AsiaNews - denuncia che il 1° novembre un altro cristiano, andato dalla polizia per chiedere notizie dei 4 arrestati la sera prima, ha saputo che c’era già stato il processo. Non è chiaro il reato contestato, mentre fedeli riferiscono che la polizia li ha minacciati di pene molto più gravi. Nella casa erano riuniti circa 80 battisti per celebrare la festa. Prima di andare via, la polizia ha anche tolto gas ed elettricità all’appartamento, per impedire di preparare il pranzo festivo. Ha pure preso i nomi di tutti i presenti, che ha fotografato e filmato. La polizia dice che si è trattato di una “normale” operazione contro riunioni illegali. Nel Paese i gruppi religiosi devono registrarsi e chiedere l'autorizzazione per qualsiasi attività, anche per riunirsi per pregare. Molti gruppi delle Chiese battiste rifiutano di chiedere la registrazione, per evitare ingerenze dello Stato. Altri tuttavia dicono che hanno chiesto il riconoscimento ma le loro domande sono state bloccate per ragioni burocratiche. Ilya Zenchenko, capo della comunità battista azera, ha spiegato a Radio Free Europe che la polizia di Qusar con frequenza arresta e denuncia membri di gruppi religiosi, dicendo che deve combattere “l’estremismo”. Nel Paese sono frequenti le condanne contro i cristiani battisti. Nel maggio 2008 il pastore Zauer Balaev è stato condannato a due anni di carcere per un reato fondato su prove denunciate come false. E’ stato rilasciato nel marzo 2008 a seguito di proteste formali delle organizzazioni battiste mondiali e dell’ex presidente Usa Jimmy Carter. (R.P.)

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    Una nuova università in Medio Oriente per assicurare la coesistenza pacifica

    ◊   La prima università arabo-cristiana pienamente accreditata in Israele, il Nazareth Academic Institute (Nai), ha aperto le sue porte questo lunedì, offrendo, come riporta l’agenzia Zenit, un nuovo modello di educazione di livello superiore nel Paese, fornendo un’istruzione in pari opportunità e studi di pace. Il “Nai crede che la pace sia possibile e che possa iniziare in aula” - si legge in una nota dell’università - “perché ciò accada, prosegue il comunicato, gli studenti devono imparare come agire nella società, non solo sul posto di lavoro e quindi l’università costruisce la loro istruzione intorno a un curriculum di studi e di pace”. E’ da rilevare che solo nel marzo 2009, dopo anni di lavoro per adattarsi al sistema accademico israeliano, il consiglio per l’Istruzione Superiore e il Governo di Israele hanno riconosciuto e accettato la scuola come università privata israeliana, ed è stato Benedetto XVI, a benedire la prima pietra dell’istituto, dopo aver celebrato la Messa di inaugurazione con arabi-cristiani, appena due mesi dopo. Oltre ai nuovi progetti dei Dipartimenti di Studi ambientali, Scienze dell’alimentazione e della nutrizione, Turismo e Teologia si sta rivalutando anche il Dipartimento di Informatica e quello di Terapia occupazionale. Gli studenti inoltre dovranno realizzare un corso del programma di studi di pace e leadership, centrato su questioni specifiche per promuovere e assicurare la cooperazione in una società multietnica e multireligiosa come il Medio Oriente. Il vicepresidente della giunta internazionale dei consiglieri del Nai e ambasciatore d’Austria in Israele, Kurth Hengl, ha espresso apprezzamento per il lavoro di padre Elias, fondatore del Nai e arcivescovo melchita cattolico. Anche le strutture create dal sacerdote sono ormai conosciute come le Mar Elias Educational Institutions (Meei). Queste istituzioni sono importantissime soprattutto per aiutare gli arabi israeliani ad integrarsi meglio nella società e nell’economia. Anche il Presidente israeliano e premio nobel per la pace Shimon Peres vede la realizzazione dell’università a Nazareth come “un importante contributo alla coesistenza pacifica di ebrei e arabi in Israele”. A sostenere il progetto anche l’Unione Europea e l’Amministrazione degli Stati Uniti, così come esponenti di spicco della Chiesa Cattolica, tra cui l’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schonborn. Hengl a tal proposito ha riconosciuto le grandi sfide che l’università deve affrontare in termini di finanziamento : saranno necessari enormi sforzi per mettere in pratica l’idea di mons. Chacour di un’istituzione accademica di ispirazione cristiana per la gioventù della Galilea, cristiani e musulmani, ebrei e drusi. (C.P)

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    L'argentino Méndez, nuovo relatore speciale dell'Onu sulla tortura

    ◊   Il difensore dei diritti umani argentino Juan E. Méndez è il nuovo relatore speciale sulla tortura incaricato dal Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu di riferire sull'uso della tortura e di altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti nel mondo. “Sono sopravvissuto io stesso alla tortura, per questo il mio approccio al mandato sarà certamente incentrato sulle vittime. Con un approccio del diritto internazionale che vieti in modo assoluto la tortura e ogni trattamento o punizione crudeli, disumani e degradanti, spero di contribuire concretamente all'applicazione e al progressivo sviluppo delle norme internazionali in tale settore" ha affermato Mendez il quale ha dedicato la propria lunga carriera legale alla difesa dei diritti umani. Per il suo operato, rappresentando i prigionieri politici, è stato sottoposto a tortura durante i diciotto mesi di detenzione amministrativa da parte della dittatura militare argentina. Nel corso di tale periodo, Amnesty International lo ha adottato come "Prigioniero di coscienza". Nel 1977, fu espulso dall’Argentina e andò a vivere negli Stati Uniti, dove ha svolto varie funzioni, tra cui consulente legale per lo Human Rights Watch. Méndez insegna attualmente Legge all'American University a Washington, è consigliere sulla prevenzione del crimine del pubblico ministero presso il Tribunale penale internazionale ed è copresidente dell'Istituto dei Diritti Umani dell'International Bar Association. È stato insignito di vari riconoscimenti per il suo impegno in materia di diritti umani. Egli succede all’austriaco Manfred Novak, in carica negli ultimi sei anni. (R.P.)

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    Il Preposito generale della Compagnia di Gesù in America Latina

    ◊   Il piano apostolico comune per il periodo 2010-2020 e la discussione di un protocollo per affrontare situazioni di emergenza come quelle ad Haiti e in Cile sono al centro ad Asunción, in Paraguay, della XXI assemblea della Conferenza dei provinciali dei Gesuiti dell'America Latina. Al convegno, che si concluderà domani, partecipa anche padre Adolfo Nicolás, Preposito generale della Compagnia di Gesù. Di notevole importanza sarà in particolare l'incontro, previsto domani, con i vescovi Gesuiti dell'America Latina, invitati personalmente da padre Nicolás. L'idea, ha scritto il Preposito generale della Compagnia di Gesù, è di “rafforzare i legami di fraternità tra noi e ricevere suggerimenti da voi che siete stati chiamati a un servizio nella Chiesa che vi permette di vedere la Compagnia da una prospettiva privilegiata”. In America Latina padre Adolfo Nicolás ha incontrato, finora, i Gesuiti delle Province di Paraguay, Argentina-Uruguay e Cile. Durante le visite nei singoli Paesi - si legge nel comunicato del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs) - padre Nicolás si sofferma sulla situazione della Compagnia, ascolta i problemi delle singole province e risponde alle domande dei presenti. (A.L.)

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    Studio europeo sulla religiosità dei giovani

    ◊   Sempre più giovani sono distanti dalla religione: lo rileva lo studio europeo sui valori 2008-2010 (European Values Study, Evs) presentato ieri a Vienna in un simposio dedicato appunto all’incidenza dei “Valori in Austria ed Europa”. La teologa pastorale e sociologa delle religioni Regina Polak ha illustrato in primis la situazione austriaca, in cui i giovani che si dichiarano religiosi (ossia praticanti) sono meno della metà, ossia il 45%; non va meglio nei Paesi vicini come l’Ungheria, dove la stima scende al 40%. Subito dopo la Svizzera, dove i ragazzi che credono sono il 39%, poi la Germania con il 37% e in ultimo la Cechia, ferma al 23%. Secondo le prime stime, i giovani più religiosi sono polacchi, greci e rumeni. La situazione diventa critica nell’area dell’ex Ddr, che la sociologa Polak ha definito un “deserto religioso”: qui solo il 13% dei giovani al di sotto dei 30 anni si ritiene religioso. Gli atei dichiarati sono una minoranza in Europa, in Austria sono il 4% della popolazione e il 7% dei giovani. Un’eccezione è rappresentata, ancora una volta, dall'ex Germania est, dalla Francia (circa il 25% dei giovani) e dalla Cechia. Tra le tendenze più significative registrate dallo studio, Polak ha sottolineato la “fine dell’era costantiniana”: “oggi - ha osservato la studiosa - si rileva sia un declino delle strutture ecclesiastiche tradizionali, sia il fenomeno diffuso in tutta l‘Europa, di un'alta percentuale di persone legate ad una confessione che si definiscono non religiose”. (C.S.)

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    Ungheria: consegnate le medaglie in ricordo di Mindszenty e della rivolta del 1956

    ◊   Le medaglie Mindszenty sono state assegnate quest’anno a mons. László Kiss-Rigó, vescovo di Szeged-Csanád, a Gábor Koltay, regista del recente film-documentario “Il bianco martire” sulla vita del cardinale Mindszenty, e a László Nagy, studente dell’Università cattolica di Budapest e autore di una ricerca sull’opera svolta dal primate della Chiesa ungherese tra il 1941 e il 1945. La cerimonia di consegna - riferisce l'agenzia Sir - è avvenuta ieri nella sede del Parlamento di Budapest, nel quadro delle numerose manifestazioni commemorative della rivolta del 1956. Il 4 novembre è giornata di lutto nazionale per l’Ungheria nel ricordo dell’entrata a Budapest delle truppe sovietiche e della violenta repressione che ne seguì. La medaglia Mindszenty, preziosa coniatura che riproduce l’effige del cardinale, è un riconoscimento in memoria del porporato martire del regime comunista, assegnato ogni anno a personalità che hanno contribuito a illustrarne la figura. Mons. László Kiss-Rigó, prima dell’attuale incarico, è stato vescovo ausiliare di Esztergom-Budapest, sede primaziale della Chiesa ungherese alla cui guida Pio XII chiamò nel 1945 József Mindszenty. Fu Papa Pacelli, il 5 novembre 1956, con l’enciclica “Datis nuperrime” a intervenire, per la seconda volta in pochi giorni, sulla drammatica situazione in Ungheria e a denunciare al mondo i luttuosi eventi. (R.P.)

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    Milano: Convegno per i 60 anni del mensile "Aggiornamenti sociali"

    ◊   “La crisi e i diritti umani” è il tema del convegno organizzato in occasione del 60° anniversario del mensile di ricerca e d’intervento sociale “Aggiornamenti sociali”. L’incontro, - riporta l'agenzia Sir - promosso dalla Fondazione culturale San Fedele e dall’Istituto internazionale Jacques Maritain, si terrà domani a Milano (via Hoepli 3b, ore 9.30). “La crisi che stiamo vivendo, le cui cause sono state ampiamente dibattute, sta ridisegnando velocemente sotto i nostri occhi tutto il sistema politico-economico globale – spiegano i responsabili dell’iniziativa -, con ripercussioni pesanti sui diritti politici, sociali, culturali e ambientali dell’uomo. Si rendono urgenti una riflessione e un confronto per valutare gli effetti della crisi sui diritti umani e le eventuali conseguenze a lungo termine, con la partecipazione non solo di economisti, ma anche di giuristi, filosofi e politologi”. Tra i relatori: il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace; padre Giacomo Costa, direttore responsabile di “Aggiornamenti Sociali”; Stefano Zamagni, Università di Bologna; Roberto Papini, Istituto Maritain; Valerio Onida, Università di Milano. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Pakistan. Attentato contro una moschea sunnita: almeno 60 vittime

    ◊   Nuovo gravissimo attentato nel nordovest del Pakistan. Ad essere presa di mira ancora una volta una moschea sunnita, con un bilancio di almeno 60 morti e un centinaio di feriti. Il servizio di Marco Guerra:

    Di nuovo un attentatore suicida, di nuovo una moschea sunnita, di nuovo durante la preghiera del venerdì. L’attacco alla moschea a Darra Adam Khel, a 40 chilometri da Peshawar, è solo l’ultimo di una serie condotti contro luoghi di culto e santuari in Pakistan. Il bilancio, ancora provvisorio, questa volta è pesantissimo almeno 60 morti e oltre 100 feriti. Il tetto dell’edificio ha ceduto dopo l’esplosione, intrappolando decine di persone sotto le macerie. Le squadre di soccorso sono ancora a lavoro e si teme che numero delle vittime possa salire. Secondo le prime indiscrezioni, fra gli obiettivi dell’attacco ci sarebbe un membro del senato pakistano, noto per le sue posizioni contro i miliziani integralisti, il quale spesso risiedeva in un appartamento adiacente alla moschea. L’attentato arriva mentre in Pakistan sono in corso più offensive contro le roccaforti dei talebani, tra cui le aree tribali del nordovest che confinano con l'Afghanistan. Gli Stati Uniti hanno appoggiato le offensive, nella speranza che si possano interrompere gli attacchi ai convogli diretti alle truppe Nato in Afghnistan. Tuttavia, le operazioni dell’esercito di Islamabad non sembrano aver fiaccato l’attività terroristica che in questi ultime settimane ha dimostrato di poter colpire in tutto il territorio nazionale.

    Afghanistan
    Ancora violenza in Afghanistan. Almeno 10 persone sono morte in seguito a un attentato suicida in un mercato nella città di Maimana, nella provincia di Farya. Obiettivo dell’attacco, il presidente del Consiglio provinciale che, secondo fonti locali, è rimasto gravemente ferito. Vittime anche tra le truppe Nato: nelle ultime 48 ore, sei soldati della coalizione, di cui ancora non è stata resa nota la nazionalità, sono stati uccisi nel corso dei combattimenti con i talebani o per l'esplosione di ordigni artigianali. E sempre per lo scoppio di un ordigno, due militari italiani sono rimasti lievemente feriti nella provincia di Herat.

    Iraq, rivendicazioni di al Qaeda
    Al Qaeda ha rivendicato oggi gli attacchi contro la comunità sciita di inizio settimana a Baghdad, in Iraq, che hanno provocato oltre 60 vittime. A pubblicare un messaggio su Internet, il gruppo estremista dello Stato islamico d’Iraq-ISI, che ha annunciato ulteriori azioni. L’organizzazione è la stessa che domenica scorsa ha sferrato il sanguinoso attacco alla cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza, sempre a Baghdad, provocando più di 50 morti.

    Medio Oriente: colloqui di pace
    L'Autorità nazionale palestinese (Anp) ha posto agli Stati Uniti un ultimatum di altre due settimane per tentare di rilanciare i colloqui diretti con gli israeliani. Lo rivela il capo dei negoziatori palestinesi, Saeb Erekat, al termine di un incontro con l'inviato americano per il Medio Oriente, George Mitchell, a Washington. L’esponente dell’Anp ha precisato però che non è cambiata la richiesta di interruzione della costruzione di nuovi insediamenti come condizione essenziale per il dialogo.

    Georgia: arrestate 13 presunte spie russe
    Torna alta la tensione tra Russia e Georgia. I Servizi segreti di Tbilisi hanno smantellato una presunta rete di spie russe, arrestando 13 sospetti accusati di fornire informazioni militari riservate all'intelligence di Mosca. Tra le persone fermate, ci sono anche quattro cittadini russi. Lo ha precisato oggi il Ministero degli interni georgiano, fornendo i primi dettagli ufficiali sulla vicenda. Immediata la reazione del Cremlino, che si è detto “indignato”. Il portavoce del ministro degli Esteri russo ha affermato che si tratta di una “una provocazione che denota un peggioramento della psicosi anti-russa della leadership di Tbilisi”, che mira a mettere Mosca in cattiva luce in vista del vertice Nato del 19 e 20 novembre a Lisbona.

    Sciagure aeree in Pakistan e Cuba
    Due tragedie dell’aria nelle ultime 24 ore, nelle quali hanno perso la vita circa 90 persone. La prima è avvenuta in Pakistan, dove a precipitare è stato un volo charter, diretto al giacimento di gas di Bhit, che trasportava 21 passeggeri, fra quali 15 lavoratori della colosso energetico italiani Eni. Il secondo incedente è avvenuto a Cuba: morte tutte le 68 persone presenti sul volo della compagnia Aero Caribbean. In entrambi le sciagure, non si segnalano sopravvissuti. Solo ieri era avvenuto l’atterraggio d’emergenza a Singapore per un Airbus della Qantas, illesi passeggeri e equipaggio. L’avaria al motore, hanno dichiarato i vertici della compagnia, potrebbe essere attribuita a un difetto di progettazione. Gli Airbus A380 sono muniti di motori della britannica Rolls Royce, che ha raccomandato controlli su tutti i propulsori di questo tipo.

    Cina minaccia conseguenze su assegnazione Nobel
    L'ambasciatore cinese in Norvegia ha scritto alle missioni diplomatiche occidentali riguardo alla cerimonia di consegna del Premio Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo, che si terrà in dicembre ad Oslo. Nella missiva, il diplomatico ha avvertito i Paesi esteri che ci saranno "conseguenze e dovranno assumersene la responsabilità'' se continueranno a supportare il dissidente.

    Sudan
    Tre piloti di elicotteri lettoni che lavorano per il Programma alimentare mondiale dell’Onu sono stati rapiti in queste ore in Darfur, provincia occidentale del Sudan. I tre seguivano operazioni di aiuto alle popolazioni povere della regione. Non è chiaro al momento se sia stato chiesto un riscatto dai sequestratori.

    Ue - Pacchi bomba
    Il trasporto aereo resta un obiettivo del terrorismo e per questo serve una risposta “adeguata”, ma le misure devono essere “proporzionate”, ovvero non eccessivamente pesanti in modo da compromettere la loro stessa applicazione. E' quanto ha affermato il commissario Ue ai Trasporti, Siim Kallas, a margine della riunione, tenutasi stamani a Bruxelles, degli esperti della sicurezza aerea Ue coadiuvati da quelli americani. I tecnici sono stati chiamati ad esaminare i problemi del controllo delle merci sugli aerei, dopo l'allarme provocato dai pacchi bomba provenienti da Grecia e Yemen. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 309

    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

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