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Sommario del 02/11/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa sull'eccidio di Baghdad: cristiani oggetto di efferati attacchi che minano fiducia e convivenza civile
  • Strage di cristiani in Iraq. Mons. Casmoussa: intervenga l'Onu, è una catastrofe umana e religiosa!
  • La Santa Sede all’Onu: porre fine a discriminazioni e violenze contro i cristiani
  • La Chiesa commemora i fedeli defunti. La preghiera di Benedetto XVI sulle tombe dei Papi
  • I nostri defunti, più vicini a noi perché più vicini a Dio: la riflessione di mons. Pierangelo Sequeri
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La denuncia di una Ong: domani l'esecuzione capitale di Sakineh
  • Appello del Fmi: priorità mondiale, creare lavoro
  • Don Benzi: a tre anni dalla morte la Comunità Papa Giovanni XXIII lo ricorda pregando per i bambini abortiti
  • Chiesa e Società

  • Il Consiglio ecumenico delle Chiese: l’attacco anticristiano in Iraq è un criminale atto di terrore
  • Malawi: Messaggio dei vescovi alla Nazione: “Lavoriamo insieme per il bene comune”
  • Canada: dialogo interreligioso e nuova evangelizzazione al centro della Plenaria dei vescovi
  • Assemblea dei vescovi del Paraguay: attesa per la Lettera pastorale sulla situazione del Paese
  • Vandalismi in Turchia sulle tombe del cimitero cristiano nell'isola di Imvros
  • Il cardinale Bagnasco: il mondo ha ancora bisogno di santità
  • Milano: aperte le celebrazioni per il quarto centenario della canonizzazione di San Carlo Borromeo
  • Convegno a Roma per i 60 anni della Convenzione europea sui diritti umani
  • Viaggio nell'Amazzonia: dal 5 novembre a Roma, Mostra del Vis per difendere la biodiversità
  • 24 Ore nel Mondo

  • Allarme terrorismo: vasta operazione militare e di intelligence nello Yemen
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa sull'eccidio di Baghdad: cristiani oggetto di efferati attacchi che minano fiducia e convivenza civile

    ◊   In occasione delle odierne esequie di padre Tha’ir Saad e di padre Boutros Wasim, rimasti uccisi domenica scorsa in Iraq durante l’attacco costato la vita anche a decine di altre persone, tra cui donne e bambini, Benedetto XVI ha inviato il proprio telegramma di cordoglio all’arcivescovo siro-cattolico di Baghdad, mons. Athanase Matti Shaba Matoka. “Profondamente commosso per la violenta morte di tanti fedeli – scrive il Santo Padre – desidero farmi spiritualmente partecipe, mentre prego che questi fratelli e sorelle siano accolti dalla misericordia di Cristo nella Casa del Padre”. “Da anni questo amato Paese – aggiunge il Papa – soffre indicibili pene e anche i cristiani sono divenuti oggetto di efferati attacchi che, in totale disprezzo della vita, inviolabile dono di Dio, vogliono minare la fiducia e la civile convivenza”. Il Pontefice rinnova poi il proprio appello “affinché il sacrificio di questi nostri fratelli e sorelle possa essere seme di pace e di vera rinascita e perché quanti hanno a cuore la riconciliazione, la fraterna e solidale convivenza, trovino motivo e forza per operare il bene”. “A tutti voi, cari fratelli e figli - conclude Benedetto XVI nel messaggio – giunga la mia confortatrice benedizione apostolica, che volentieri estendo ai feriti e alle vostre famiglie così duramente provate”. Anche ieri il Papa, durante all’Angelus, aveva ricordato il “gravissimo attentato nella cattedrale siro-cattolica di Bagdad: “Prego per le vittime di questa assurda violenza, tanto più feroce in quanto ha colpito persone inermi, raccolte nella casa di Dio, che è casa di amore e di riconciliazione”. Il Papa aveva infine espresso la sua "affettuosa vicinanza alla comunità cristiana, nuovamente colpita", incoraggiando "pastori e fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza”.

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    Strage di cristiani in Iraq. Mons. Casmoussa: intervenga l'Onu, è una catastrofe umana e religiosa!

    ◊   In Iraq sono giorni di dolore e sgomento dopo l’attentato compiuto domenica scorsa e costato la vita a 58 persone, tra cui otto bambini, dieci donne e due sacerdoti. A Baghdad oggi si sono tenute le esequie di padre Tha’ir Saad e di padre Wasim Boutros. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    I funerali dei due sacerdoti si sono tenuti nella chiesa caldea di San Giuseppe, non lontano da quella siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza, teatro del brutale attentato di domenica. Un attacco che poteva essere evitato. A renderlo noto sono oggi le autorità irachene. Nei giorni scorsi, infatti, fonti di intelligence avevano rivelato che Al Qaeda stava pianificando di attaccare delle chiese cristiane nel Paese arabo. Dall'Egitto arriva, poi, la smentita di quanto asserito dai terroristi nelle loro rivendicazioni. La Chiesa copta nega che donne convertite all'islam siano tenute prigioniere in monasteri egiziani. ‘El Watani’, storico settimanale dei copti d'Egitto, precisa che le donne menzionate nella rivendicazione “avevano lasciato le loro case per disaccordi familiari”. “Non vi è stata da parte loro alcuna conversione all’islam" - hanno sostenuto le massime autorità religiose musulmane. Le autorità irachene hanno inoltre chiuso gli uffici di Baghdad e di Bassora della tivù Al-Baghdadia, contattata telefonicamente dai terroristi durante il sequestro degli ostaggi. Il direttore e un altro dipendente sono stati accusati di complicità con i terroristi per aver trasmesso le loro richieste. La Chiesa irachena teme infine che l’attacco terroristico possa provocare un nuovo esodo di cristiani dall’Iraq. Secondo stime fornite da diversi vescovi del Paese arabo, la popolazione cristiana irachena oggi si attesta sulle 400 mila unità contro il milione e mezzo del 2003. Su 65 monasteri e chiese presenti a Baghdad si calcola che circa 40 abbiano subito attentati.

    A presiedere la cerimonia funebre dei due sacerdoti assassinati domenica scorsa sono stati l’arcivescovo metropolita siro-cattolico di Baghdad, mons. Athanase Mati Shaba Matoka e l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, mons. Basile Georges Casmoussa, che ha più volte denunciato la mancanza di un’adeguata protezione da parte delle autorità irachene. Ascoltiamo proprio mons. Casmoussa, raggiunto telefonicamente in Iraq da Charles-François Brejon:

    R. – Pour notre communauté chrétienne, c’est vraiment une catastrophe: humaine …
    Per la nostra comunità cristiana è una vera catastrofe, umana e religiosa! Questo porterà il panico! Noi continuiamo a tendere la mano per il dialogo, per lavorare insieme, per dimenticare il passato, per superare tutti i nostri dolori… Ma poi quando vediamo che, soprattutto da parte delle autorità, non c’è un’adeguata risposta, ci sentiamo senza alcuna protezione. Allora è necessario che le Nazioni Unite entrino in gioco: oramai è indispensabile per salvaguardare questa piccola comunità!

    D. – Secondo lei, le autorità stanno facendo quanto possibile per difendere i cristiani?

    R. – Je crois qu’elles ne font pas tout ce qu’elle peuvent parce que si elles font …
    Credo che non facciano tutto il possibile, perché se facessero il possibile dovrebbero innanzitutto instaurare una politica di pace; è necessario poi che cambino le regole affinché ai cristiani siano riconosciuti gli stessi diritti riconosciuti agli altri cittadini. E’ inoltre necessario anche creare un progetto nazionale per costruire il Paese in quanto Nazione e non per riconoscere un certo numero di seggi ad un’etnia, ad una religione, ad un partito politico. Si preoccupano soltanto delle loro questioni politiche e il popolo rimane abbandonato a se stesso!

    D. – Di cosa hanno bisogno le autorità irachene per proteggere i cristiani?

    R. – Ils ont besoin de s’unir pour former un gouvernement national, tout d’abord. …
    Prima di tutto, devono unirsi per formare un governo di unità nazionale. Devono rendere sicure le chiese, le comunità cristiane con leggi e con la presenza della polizia affinché i cristiani possano ritrovare fiducia nel loro Paese e nel loro futuro. Le belle parole e i bei discorsi non sono sufficienti! Sono sicuro che nei prossimi giorni riceveremo una pioggia di dichiarazioni e di parole consolatrici … (g.f.)

    L’attentato compiuto domenica scorsa nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad è stato fermamente condannato dalla comunità internazionale. Il Consiglio mondiale delle Chiese parla di “atto criminale di terrorismo”. Parole a cui fanno eco anche quelle del procuratore caldeo a Roma, mons. Philip Najim, intervistato da Amedeo Lomonaco:

    R. – Questo è un attentato barbaro, diverso dagli altri attentati. Questa volta gli estremisti sono entrati in una chiesa dove la gente stava pregando. Sono innocenti attaccati da persone che non conoscono il significato della preghiera, il significato di Dio Creatore. Perciò nessuno può dire che questo sia stato compiuto in nome di una religione, di una fede o di un Dio. Questo è un attentato contro l’umanità, contro la Chiesa, contro la religione, contro la fede, contro la dignità dell’essere umano.

    D. – Un attentato feroce e duramente condannato da tutta la comunità irachena...

    R. – Condannato da tutta la comunità irachena perché è un attentato veramente disumano! Non è una questione di fede! Certamente, l’intenzione è quella di creare il caos. Ci sono forze oscure che sono entrate nel Paese soltanto per creare questa divisione e per impedire il processo di pacificazione dell'Iraq. Io ho sentito ieri che c’erano tantissimi musulmani che erano andati a donare il sangue per le vittime che sono state ferite proprio nella chiesa. Gli estremisti sono stati condannati dagli islamici stessi: da quell’Islam che conosce Dio, che conosce la fede, che conosce l’amore, che conosce la carità!

    D. – Come la comunità cristiana irachena potrà trovare la forza di continuare a professare la fede, di continuare a professare la verità?

    R. – La comunità cristiana trova la forza soprattutto dopo che i nostri vescovi sono tornati dall’ultimo Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, convocato da Benedetto XVI; hanno parlato tantissimo, in particolare, della sofferenza della Chiesa irachena in genere. Perciò continuano a dare la loro testimonianza, sicuramente con fatica, con grande sofferenza ma, nonostante tutto, i sacerdoti rimarranno vicini ai cristiani: la Chiesa sarà veramente presente nella loro vita! Ho sentito anche le testimonianze di tantissimi fedeli che si trovavano per strada, davanti alla chiesa, e hanno detto: “Non abbiamo altro che la nostra Chiesa, non abbiamo altro che i nostri sacerdoti!”. I due sacerdoti vittime di questo attentato, con il loro sangue, danno ancora forza a questa terra, che è la Terra di Abramo, la terra della pace, la terra dell’amore. Continuano a dare la loro testimonianza! (g.f.)

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    La Santa Sede all’Onu: porre fine a discriminazioni e violenze contro i cristiani

    ◊   Sulla scia del brutale attacco contro una Chiesa cattolica a Baghdad, l’arcivescovo Francis Chullikatt, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, si è rivolto al terzo comitato dell’Assemblea generale sul tema della discriminazione razziale e dell’intolleranza religiosa. L’arcivescovo ha espresso il suo dolore per la tragedia soprattutto in quanto, essendo stato nunzio apostolico in Iraq e in Giordania dal 2006 fino a poco tempo fa, conosceva personalmente alcune delle vittime dell’attacco. Nell’intervento della Santa Sede, che era già stato programmato per la giornata di ieri, si è lamentato che “a molti nel mondo è negata perfino la libertà di pregare nell’ambito di una comunità … Si tratta di uomini, donne e bambini la cui ricerca di Dio è considerata un’attività proibita e molti di loro affrontano serie conseguenze fisiche e legali nel perseguire tale fondamentale necessità umana”.

    Ricordando che nessuna cultura e nessun Paese è immune dalla xenofobia e dall’odio di fede, nonostante gli sforzi compiuti per combatterli, la delegazione della Santa Sede ha espresso disappunto per il fatto che nel rapporto del Relatore speciale delle Nazioni Unite sull’argomento si è mancato di “rilevare il destino di tutti quei cristiani nel mondo che sono stati cacciati via dalle loro case, torturati, imprigionati, assassinati o costretti a convertirsi o a rinnegare la loro fede”. L’arcivescovo Chillukatt ha chiesto alla comunità internazionale di non ignorare la situazione che “richiede l’attenzione urgente di leader internazionali e nazionali al fine di tutelare il diritto alla libertà religiosa di quegli individui e di quelle comunità. La speranza nel progresso dell’umanità, che è al centro dell’attenzione di questa preminente organizzazione internazionale, non potrà concretizzarsi fino a quando non avranno fine questi abusi. Devono finire e devono finire ora!”.

    Mons. Chullikatt ha detto anche che la soluzione del problema non può risiedere nella condanna per “diffamazione della religione”, ed ha sollecitato un approccio diverso al problema. “Mentre la mia delegazione – ha rilevato - sostiene ogni sforzo volto a proteggere i fedeli da ingiusti discorsi di odio e di incitamento alla violenza, siamo tuttavia preoccupati perché vediamo che il concetto di ‘diffamazione della religione’, usato per raggiungere tali scopi, è risultato controproducente e invece di proteggere i fedeli, è stato utilizzato come un mezzo di cui lo Stato si fa garante, per l’oppressione dei credenti stessi”. L’arcivescovo ha ribadito il sostegno della Santa Sede a quelle iniziative che intendano smorzare le manifestazioni di discriminazione e di violenza senza violare la libertà d’espressione religiosa. Mons. Chullikatt ha parlato anche del pericolo di sovra-identificare la razza con la religione ed ha richiamato l’attenzione su quei migranti che sono oggetto di ingiusta discriminazione. Riprendendo infine le parole del Papa all’Angelus di ieri, il presule fa appello a tutti gli uomini di buona volontà affinché rinnovino gli sforzi per costruire un mondo di comprensione e rispetto reciproci. (gf)

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    La Chiesa commemora i fedeli defunti. La preghiera di Benedetto XVI sulle tombe dei Papi

    ◊   Il giorno in cui la Chiesa universale commemora solennemente i defunti vedrà, come da tradizione, il Papa rendere omaggio ai suoi predecessori. Alle 18, Benedetto XVI scenderà nelle Grotte Vaticane per un momento di preghiera in privato sulle tombe dei Pontefici defunti. In questi anni, l’avvicinarsi di questo momento liturgico ha permesso al Papa di riflettere sulla visione cristiana della morte e della Risurrezione. Alessandro De Carolis ne ricorda alcuni passaggi signficativi:

    Due abissi, la morte e la fede in Cristo: la prima che scava nella mente umana alla difficile ricerca di una logica che consoli, la seconda che scava nel cuore con la promessa della Risurrezione. Di fronte a questa biforcazione interiore, accostarsi alla tomba di un proprio caro può rinnovare uno sconfortante senso di perdita, o schiudere alla speranza della vita che esiste oltre la vita. Benedetto XVI ha fermato ieri l’attenzione dei credenti su questo mistero:

    “La liturgia del 2 novembre e il pio esercizio di visitare i cimiteri ci ricordano che la morte cristiana fa parte del cammino di assimilazione a Dio e scomparirà quando Dio sarà tutto in tutti. La separazione dagli affetti terreni è certo dolorosa, ma non dobbiamo temerla, perché essa, accompagnata dalla preghiera di suffragio della Chiesa, non può spezzare il legame profondo che ci unisce in Cristo”. (Angelus 1 novembre 2010)

    Ma che senso ha questo legame con Cristo quando si pensa alla morte, se a Cristo non si pensa mai o quasi durante la vita e se la promessa di Dio dell’immortalità dell’anima e del corpo per tanti vale più o meno come una bella e inconsistente “favola”?

    “L’uomo moderno l’aspetta ancora questa vita eterna, o ritiene che essa appartenga a una mitologia ormai superata? In questo nostro tempo, più che nel passato, si è talmente assorbiti dalle cose terrene, che talora riesce difficile pensare a Dio come protagonista della storia e della nostra stessa vita”. (Udienza generale del 2 novembre 2005)

    Dunque, è stato in un’altra occasione l’appello di Benedetto XVI...

    "E’ necessario anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere”. (Angelus del 2 novembre 2008)

    E’ qui il grande paradosso dell’uomo contemporaneo, che ha largamente dismesso la spiritualità cristiana e però finisce prima o poi per rannicchiarsi in qualche tipo di trascendenza parallela, quando deve fare i conti con ciò che non può controllare: la vita che finisce, la sua o quella di persone che ama. Non può farne a meno perché, ha affermato Benedetto XVI, l’esistenza umana “per sua natura è protesa a qualcosa di più grande”:

    “In realtà, come già osservava sant’Agostino, tutti vogliamo la ‘vita beata’, la felicità. Non sappiamo bene che cosa sia e come sia, ma ci sentiamo attratti verso di essa. E’ questa una speranza universale, comune agli uomini di tutti i tempi e di tutti luoghi. L’espressione ‘vita eterna’ vorrebbe dare un nome a questa attesa insopprimibile: non una successione senza fine, ma l’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo, il prima e il dopo non esistono più. Una pienezza di vita e di gioia: è questo che speriamo e attendiamo dal nostro essere con Cristo. (Angelus del 2 novembre 2008)

    L’eternità, ha detto ancora ieri all’Angelus Benedetto XVI, “non è un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità dell’essere, della verità, dell’amore”. Quella totalità divenuta storia terrena e promessa di cielo quando duemila anni fa la pietra è rotolata via dal sepolcro e Gesù ne è riemerso con un messaggio che nessun uomo potrà mai promettere a un suo simile e che il Papa ha espresso così:

    “Sono risorto e ora sono sempre con te, ci dice il Signore, e la mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani e sarò presente persino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto per trasformare per te le tenebre in luce”. (Angelus del 2 novembre 2008)

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    I nostri defunti, più vicini a noi perché più vicini a Dio: la riflessione di mons. Pierangelo Sequeri

    ◊   La morte – come ha affermato il Papa - non può spezzare il legame profondo che ci unisce in Cristo. Anzi, i nostri cari defunti restano più che mai vicini a noi. Ascoltiamo in proposito la riflessione di mons. Pierangelo Sequeri, vice-preside della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, al microfono di Fabio Colagrande:

    R. – Sono più vicini a Dio e perciò anche più vicini a noi. In un certo senso, quella vicinanza maggiore a Dio acuisce, aumenta la “protensione” di coloro che ci hanno preceduto verso di noi. E’ come se, vedendo dall’altra parte dell’iniziazione, si sentissero per così dire, in qualche modo, riscaldati dalla possibilità di farci sentire la presenza di questo "grembo", nel quale vogliono raccoglierci, e la loro vicinanza a Dio, per così dire, li incoraggia a farsi tramite nei confronti degli altri.

    D. – Come è possibile non temere la separazione dagli affetti terreni, che è così dolorosa?

    R. – Bisogna coltivare ogni giorno la profondità di questo sentimento, e cioè nulla - anche una piccola cosa, uno sguardo, un sorriso – nulla di ciò che di buono noi generiamo nella vita, di questi legami, nulla va perduto. Pensiamo a questa cosa: nulla va perduto. Regalare un sorriso, dunque, evitare una parola che ferisce, rendere profonda la nostra riconoscenza per quello che abbiamo ricevuto, ha un peso enorme nella vita del mondo. Questo è ciò che abbiamo seminato e questo fiorirà.

    D. – Infine, proprio sui gesti di queste giornate, don Sequeri: si visitano i cimiteri, si lasciano i fiori sulle tombe, si dovrebbe anche partecipare alla celebrazione eucaristica. Quanto sono importanti anche questi gesti, questi segni in queste giornate di commemorazione dei defunti?

    R. – Guardi, mi consenta di dire che oggi, nella nostra società, questi segni hanno un’importanza strepitosa, vitale: è ossigeno. Pensate che sono tra i pochi gesti rimasti, che non sono legati a nessun vantaggio, cioè che non hanno l’immediatezza dell’utile, l’ossessione del godimento, l’ansia permanente di un’economia, come dire, in vantaggio, di uno scambio, che ci deve in qualche modo gratificare e deve arricchire noi stessi. Quindi, uno scambio puramente strumentale. Gesti come questi mettono in luce la forza di diamante che ha il legame degli esseri umani – il legame spirituale – la sua potenza. Noi siamo fatti per queste cose che non vivono della potenza dell’utile, ma vivono della potenza del bene che ci siamo voluti. Quindi, oggi più che mai sono da coltivare con animo mite, dolce, grato e anche profondo. Noi, con questi gesti, salviamo la qualità umana su questo pianeta.(ap)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Una feroce violenza contro persone inermi: all'Angelus e in un messaggio per le esequie delle vittime Benedetto XVI condanna il gravissimo attentato nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad.

    Quale futuro per il lavoro: in rilievo, nell'informazione internazionale, la stima dell'Fmi, secondo cui dal 2008 sono stati bruciati oltre trenta milioni di posti.

    Il Pio XII raccontato dalla fiction televisiva "Sotto il cielo di Roma": in cultura, gli articoli di Emilio Ranzato e di Anna Foa (tratto dall'ampio dossier di "Pagine Ebraiche") e il dibattito tra gli ebrei italiani.

    Lucetta Scaraffia sul portale dell'ebraismo italiano a proposito delle critiche al romanzo di Umberto Eco.

    Competenza e rigore di vecchio stampo: Mario Liverani ricorda il biblista valdese Jan Albert Soggin.

    Pace e convivenza sotto il segno di Penelope: Marc Fumaroli su Europa delle nazioni ed Europa dello Spirito tra Machiavelli ed Erasmo.

    Dietro le note dell'"Inno alla gioia": Yves Gazzo sul libro, curato da Cosimo Semeraro, "I padri dell'Europa. Alle radici dell'Unione Europea".

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    Oggi in Primo Piano



    La denuncia di una Ong: domani l'esecuzione capitale di Sakineh

    ◊   Le autorità iraniane potrebbero a breve autorizzare la lapidazione di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna condannata a morte sotto l'accusa di adulterio e partecipazione all’assassinio del marito. L’esecuzione dovrebbe avvenire domani nel carcere di Tabriz. A riferirlo è un comunicato dell’organizzazione non governativa denominata Comitato internazionale contro la lapidazione. Immediati da tutto il mondo gli appelli per salvare la donna. Su questa svolta nella vicenda, che ha sin dall’inizio coinvolto l’intera comunità internazionale, Giancarlo La Vella ha raccolto il parere del portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury:

    R. - Non vi è dubbio che il caso di Sakineh sia diventato il caso di una donna ostaggio di relazioni internazionali tese. Certamente siamo in grande allarme … E’ una vita in bilico! Sul sito amnesty.it continuiamo veramente fino all’ultimo minuto a raccogliere appelli e a mandarli alle autorità giudiziarie iraniane.

    D. - Perché improvvisamente l’Iran ha deciso di proseguire su questa linea dura?

    R. - In realtà non si tratta di una cosa improvvisa. Probabilmente, se questa notizia è vera, giocano due fattori: anzitutto i contrasti che ci sono anche all’interno dello stesso apparato giudiziario iraniano; e poi, probabilmente, il fatto che la vita di Sakineh è diventata ancora più a rischio proprio quando l’attenzione sul suo caso è diminuita. Noi sappiamo che quando c’è una grande mobilitazione che, però, non è continua, chi sta dall’altra parte - e in questo caso il governo di Teheran - aspetta proprio che cali l’attenzione. E questo dobbiamo continuare ad impedirlo! La stessa Assemblea generale dell’Onu in corso dovrebbe far sentire la propria voce…

    D. - Dal punto di vista del diritto iraniano, esistono delle vie che consentano ancora di salvare questa donna?

    R. - Teoricamente sì. Ma questa è una vicenda che ha assunto, sin dall’inizio, dei connotati extragiudiziali, per cui - per quanto riguarda l’imputazione per la quale rischia di essere messa a morte - cioè l’assassinio del marito - in teoria i familiari del marito di Sakineh Mohammadi Ashtiani potrebbero avere una voce in capitolo: il paradosso è che chi dovrebbe intervenire per salvare la vita di Sakineh è lo stesso figlio, colui che sarebbe stato reso orfano, il quale sta conducendo una battaglia veramente straordinaria in favore della vita di sua mamma. Il diritto prevede questo, ma in Iran poi le cose vanno spesso in un altro modo!

    D. - Una vicenda che mostra ancora una volta come il mondo sia spaccato in due su quello che è il principio della salvaguardia dei diritti umani fondamentali della persona...

    R. - Che sulla pena di morte il mondo sia spaccato in due, sì è vero, ma nel senso che ci sono una piccola manciata di Stati - Cina, Iran, Iraq, Stati Uniti, Arabia Saudita ed altri ancora - che continuano ad applicare la pena capitale. Certo, questo caso di una donna che subisce in pieno la discriminazione e l’iniquità di un sistema giudiziario è un caso se non più grave di altri, certamente più particolare di altri … Forse è anche per questo che è diventato un caso emblematico della lotta contro la pena capitale! Io penso che Sakineh possa ancora essere salvata e se sarà salvata, sarà stato grazie alle centinaia di migliaia di persone che, in ogni parte del mondo, hanno dedicato un attimo della loro vita a salvare la vita di Sakineh. (mg)

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    Appello del Fmi: priorità mondiale, creare lavoro

    ◊   La crisi è costata 30 milioni di posti di lavoro nel mondo e se non si interviene la situazione non potrà che peggiorare: è l’allarme lanciato dal direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, secondo il quale, nel quadro della nuova globalizzazione, "la prima priorità è l’occupazione, la seconda è sempre l’occupazione e la terza è ancora l’occupazione". Sulle parole di Strauss-Kahn, Sergio Centofanti ha sentito il prof. Giacomo Vaciago, docente di politica economica all’Università Cattolica di Milano:

    R. – Strauss-Khan ha ricordato che la priorità nei prossimi dieci anni è creare posti di lavoro. Ne servono 440 milioni per assorbire i disoccupati e dare lavoro a tanti giovani. Il suo messaggio era: il mondo dovrebbe porre come priorità assoluta, nei prossimi anni, la crescente domanda di lavoro dei giovani.

    D. – E la comunità internazionale cosa sta facendo?

    R. – Poco! Troppo poco. Diciamo che abbiamo la parte più significativa del mondo sviluppato che è sostanzialmente ferma: Stati Uniti ed Europa.

    D. – Che cosa si dovrebbe fare?

    R. – Ci cono moltissime cose che si dovrebbero e si potrebbero fare: sulle infrastrutture, sull’efficienza con l’adozione delle nuove tecnologie … E questo crea posti di lavoro e fa lavorare i giovani. Ma noi siamo ancora fermi a rimpiangere il vecchio mondo che non c’è più, e non investiamo a creare il nuovo.

    D. – In Italia c’è un continuo aumento della disoccupazione giovanile: gli ultimi dati ci dicono che oltre un giovane su quattro è senza lavoro …

    R. – E’ verissimo, e i fortunati sono quelli che, avendo una famiglia su cui possono contare, stanno aspettando il lavoro e nel frattempo godono del risparmio familiare dei propri genitori. Però, attenzione anche qui: se non cresciamo, se non creiamo posti di lavoro con le nuove tecnologie, i migliori di questi giovani se ne andranno: andranno a cercare lavoro altrove. Paradossalmente, sta già aumentando l’emigrazione dei nostri migliori laureati: sono tutte risorse che perdiamo!

    D. – In questo contesto, cosa possono fare i giovani?

    R. – Possono solo investire nel loro capitale umano, cioè seriamente affrontare il problema di una qualificazione sempre maggiore.

    D. – Qual è il mondo nuovo dell’economia verso il quale stiamo andando?

    R. – Sta succedendo – ma ormai da vent’anni – una cosa straordinaria: si sta industrializzando quello che una volta chiamavamo “Terzo Mondo”. Infatti, la rivoluzione industriale, iniziata due secoli fa in Inghilterra e che ha contagiato Europa e Stati Uniti, sta ora – finalmente – diffondendosi in Africa, in Asia e, ovviamente, in Sudamerica.

    D. – E questo che cosa vuol dire per l’Occidente?

    R. – Vuol dire la necessità di reinventare continuamente noi stessi. Fino a 30-40 anni fa, eravamo noi i padroni del mondo. Ma questo non è più vero! Tutti si rendono conto che l’Occidente deve rimboccarsi le maniche e riprogettare il suo futuro, in modo complementare e non nemico, ma neppure ignorando i Paesi emergenti che stanno crescendo moltissimo. (gf)

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    Don Benzi: a tre anni dalla morte la Comunità Papa Giovanni XXIII lo ricorda pregando per i bambini abortiti

    ◊   Tre anni fa, il 2 novembre 2007, moriva don Oreste Benzi: un "umile e povero sacerdote di Cristo", un "infaticabile apostolo della carità”, lo aveva definito allora il Papa. Don Oreste ha speso tutta la sua vita per gli ultimi e gli indifesi, anche se lui diceva: “Io non ho fondato niente. Sono stati i poveri che ci hanno rincorso, che ci hanno impedito di addormentarci”. Oggi la Comunità Papa Giovanni XXIII, da lui creata, lo ricorda con varie celebrazioni ed eventi. Uno in particolare è la preghiera per tutti i bambini abortiti. Al microfono di Emanuela Campanile, il suo successore, Paolo Ramonda, ricorda così gli ultimi momenti della vita di don Oreste:

    R. – Come lui ha sempre creduto e vissuto, ci ha detto che la morte non esiste: “Quando chiuderò gli occhi a questa terra, mi vedrete freddo, ma in realtà io sarò faccia a faccia con Dio e vi custodirò nell’amore di Dio, nell’amore ai poveri e ai piccoli”. Il grande testamento che ci ha lasciato è stata la sua vita stessa: la sua vita di donazione, di condivisione, di offerta. Negli ultimi tempi, ci faceva presagire il momento, perché ci parlava di questo distacco, di quando lui non ci sarebbe più stato, e ci diceva: “Continuate a vivere il carisma, continuate a lasciarvi guidare dallo Spirito Santo, come un fuoco che si deve propagare in tutto il mondo per annunciare il Vangelo, per partecipare alla missione universale della Chiesa - che lui amava tanto - e per circondare di affettuosa cura i piccoli e i bisognosi”.

    D. – Tra l’altro, negli ultimi mesi della sua vita, don Oreste ripeteva che ai Santi non basta la nostra devozione, con la quale ne affumichiamo il volto con le nostre candele, ma ci chiedono la rivoluzione...

    R. – Sì, una rivoluzione! Una rivoluzione che lui diceva: "Non fatela pagare agli altri": la rivoluzione la dobbiamo pagare noi, con la nostra conversione. I piccoli e i poveri hanno bisogno soprattutto di giustizia. La giustizia deve partire da noi, attraverso una vita da poveri, attraverso una vita fraterna e attraverso l’obbedienza, di cui lui era un testimone: pur essendo così creativo, così spregiudicato, era estremamente obbediente ai suoi pastori e ai suoi vescovi. Ma soprattutto lui ci predicava di essere contemplativi di Dio nel mondo, perché ci diceva: “Saprete stare del tutto con i poveri, se saprete stare del tutto con Dio; saprete stare in piedi, se saprete stare in ginocchio”. Lui era un contemplativo dal mattino, sin dalle prime ore dell’alba quando si alzava, fino a tarda notte, quando arrivava sulla sua auto. Era un inno alla preghiera, alla contemplazione, alla relazione con Dio.

    D. – Numerose le iniziative che la comunità Papa Giovanni XXIII ha organizzato per ricordare il suo padre spirituale. Ci sarà anche un momento di preghiera ...

    R. – Sì, ci sarà un momento di preghiera per tutti i bambini non nati. Proprio nel suo ultimo intervento, 15 giorni prima della morte, alla Settimana Sociale dei cattolici a Pisa, don Oreste aveva “tuonato” contro l’ipocrisia dell’aborto: un’abominevole strage contro gli innocenti! Così come aveva tuonato negli ultimi decenni per liberare le ragazze di strada e contro i clienti, negli ultimi mesi lanciava fortissimo il grido di lasciare vivere queste creature, questi figli di Dio benedetti… E da sempre in tutta Italia noi, nei cimiteri - come facevamo con don Oreste, ma anche adesso e come prima e più di prima - continuiamo a pregare per questi bambini, per questi innocenti. (ap)

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    Chiesa e Società



    Il Consiglio ecumenico delle Chiese: l’attacco anticristiano in Iraq è un criminale atto di terrore

    ◊   ''Il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) condanna fortemente il criminale atto di terrore che si è verificato domenica nella chiesa Sayidat al-Najat a Bagdad''. E' quanto ha dichiarato il pastore Olav Fykse Tveit, segretario generale del Cec, esprimendo l'indignazione e la preoccupazione che il massacro di donne, uomini e bambini in una chiesa siro-cattolica irachena ha suscitato tra i responsabili del raggruppamento ecumenico che egli rappresenta. Il Cec è una comunione di 349 chiese protestanti, ortodosse ed anglicane, che rappresenta 560 milioni di cristiani nel mondo. Tveit ha espresso ''solidarietà a coloro che hanno perso i propri cari'', assicurando la vicinanza nella preghiera di tutte le comunità appartenenti al Cec ''per il rapido ristabilimento dei feriti''. Piu' in generale, Tveit ha tenuto a precisare come il Cec sia ''profondamente turbato dalle continue sofferenze cui sono sottoposti i cristiani in Iraq'', e come si senta per questo profondamente vicino a ''tutte le Chiese che, attraversando tempi turbolenti e di prova, testimoniano dell'amore e della pace di Dio in Gesu' Cristo anche in mezzo all'odio e all'aggressione''. Il segretario generale del Cec ha quindi chiesto alle autorità irachene di portare davanti alla giustizia tutti i responsabili dell'attacco e di impegnarsi per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, e in modo specifico di quelli che, come i cristiani, vivono in situazioni di particolare vulnerabilità. Tveit ha rilasciato tali dichiarazioni prima di intervenire a una consultazione cristiano-islamica in corso presso la sede del Cec a Ginevra (1-4 novembre) con il titolo ''Trasformare le comunità: cristiani e musulmani costruiscono un futuro comune''.

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    Malawi: Messaggio dei vescovi alla Nazione: “Lavoriamo insieme per il bene comune”

    ◊   “Abbiamo bisogno di lavorare insieme”, in base ai “principi del bene comune, della carità nella verità e della sincera preoccupazione per i poveri”: è l’accorato appello che la Conferenza episcopale del Malawi rivolge al Paese, in un “Messaggio alla nazione”, diffuso domenica scorsa. Nel lungo documento, dal titolo “Leggere i segni dei tempi”, i vescovi richiamano l’attenzione della Chiesa, del governo e della popolazione su alcune questioni particolarmente importanti, ribadendo che “è giunto il momento opportuno per impegnarsi direttamente in un dibattito onesto sul futuro del nostro amato Paese”. In questo, scrivono i presuli, “si invitano i fedeli e i vari gruppi della Chiesa ad assumere un ruolo-guida per un’azione realistica ed efficace”. Diviso in tre parti – “Le gioie e le speranza”, “Il dolore e l’angoscia”, “Le conclusioni” - il Messaggio analizza innanzitutto i passi avanti compiuti dal Malawi, come ad esempio la priorità data dal governo alla questione della sicurezza alimentare, gli sforzi per incrementare il sistema delle irrigazioni agricole e per migliorare il drenaggio a lungo termine dei laghi e dei fiumi, lo sviluppo apportato alle infrastrutture, in particolare alla riabilitazione della rete ferroviaria. Anche nel campo educativo, continuano i vescovi, si contano iniziative positive, come l’impegno a costruire cinque nuove università. Si tratta di progetti tanto più lodevoli in quanto portati avanti con le risorse del Malawi stesso, invece che con le donazioni esterne. Conclusa la “pagina felice” del Paese, però, l’Assemblea episcopale punta il dito sui tanti e tanti problemi in attesa di una soluzione. Al primo posto, campeggia la questione politica: i vescovi denotano una sfiducia generalizzata nella popolazione, dovuta al fatto che le promesse fatte dai partiti non siano state realizzate concretamente e che il governo, forte della maggioranza in Parlamento, tralasci il perseguimento del bene comune attraverso lo sviluppo e la riconciliazione. Per questo, i vescovi ribadiscono l’importanza delle consultazioni elettorali su temi di rilevanza nazionale, come gli emendamenti alla Costituzione o la riforma delle pensioni, poiché “il dialogo tra tutti i soggetti interessati è necessario alla democrazia”, mentre “le modifiche introdotte senza ascoltare i desideri legittimi del popolo hanno il risultato di distogliere il governo dal servizio alla popolazione”. Per questo, si legge ancora nel Messaggio, viene richiesta una maggiore democrazia anche all’interno dei partiti stessi per evitare tendenze ‘dittatoriali’ nei leader, faziosità e rottura degli accordi elettorali. “Facciamo appello – scrivono i vescovi – a tutti i partiti politici a sostenere i principi del costituzionalismo e della tolleranza all’interno degli schieramenti stessi”. Altro capitolo scottante affrontato dal Messaggio alla nazione è quello dedicato ai mass media e alla libertà di espressione: “I mezzi di comunicazione pubblica, pagati con i soldi dei contribuenti – affermano i presuli – devono assicurare che la popolazione sia ben informata. Invece, notiamo con disappunto uno squilibrio continuo nella diffusione delle notizie”. Tanto più, continua la Conferenza episcopale, che “i mass media pubblici vengono utilizzati per castigare le organizzazioni religiose e non governative che offrono un contributo alternativo alla politica. Con il risultato che alcuni mass media privati sono stati minacciati di chiusura perché percepiti come ‘”non patriottici”. Invece, “tutti i mezzi di comunicazione, sia pubblici che privati, così come le organizzazioni religiose e non governative, dovrebbero avere un ruolo cruciale nella promozione di una società vivace, ben informata e dotata di spirito critico”, favorendo “il bene comune, la salvaguardia della Stato di diritto, la riconciliazione, la giustizia e la pace”. E ancora: il Messaggio invita il governo ad intensificare l’assistenza alimentare nelle zone più povere del Malawi e a promuovere una valida campagna anti-corruzione, “un male che deve essere sradicato dalla società”. In questo contesto, si richiede che l’Ufficio di presidenza addetto alla lotta alla corruzione “agisca in modo indipendente e sia dotato di risorse sufficienti per avviare e concludere rapidamente i casi”. Riguardo, poi, alla questione terriera, si ribadisce la necessità di valutare progetti di sviluppo appropriati, in particolare per i criteri utilizzati nell’acquisizione dei terreni. Gli ultimi temi affrontati dalla Conferenza episcopale del Malawi sono la necessità di rispettare e tutelare maggiormente la figura del vicepresidente, e le elezioni amministrative, fissate per l’aprile 2011, che richiedono “un’informazione chiara sulle risorse ed i procedimenti”. In questo contesto, i presuli esprimono anche perplessità sulla recente modifica del “Local Government Act” che dà mandato al Presidente e alla Commissione elettorale di decidere la data delle consultazioni locali, “piuttosto che farne un obbligo costituzionale”. Infine, la Conferenza episcopale del Malawi invita “tutti i cittadini ad assumersi le proprie responsabilità”, sperando di “inaugurare una nuova epoca, caratterizzata da un dialogo onesto e rispettoso e da un’ardente ricerca collettiva di soluzioni per lo sviluppo integrale del Paese”. Le ultime righe del Messaggio affidano poi a Maria il futuro della nazione, affinché “possa godere di una buona governance”. (A cura di Isabella Piro)

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    Canada: dialogo interreligioso e nuova evangelizzazione al centro della Plenaria dei vescovi

    ◊   Cinque giorni di lavori e circa 90 vescovi presenti: con questi numeri, si è svolta, dal 25 al 29 ottobre a Cornwall, la Plenaria della Conferenza episcopale canadese. Al termine dell’incontro, i presuli hanno diffuso una nota. Tra i temi trattati, “le relazioni con i musulmani ed i rapporti interreligiosi”. Inoltre, i vescovi “hanno seriamente riflettuto sulla crisi internazionale degli abusi sessuali ed hanno chiesto al Consiglio permanente di valutare il modo in cui poter continuare anche in seguito la riflessione su tale argomento”. La Plenaria ha poi affrontato il tema del rinnovamento delle parrocchie e i differenti modi di integrare gli adulti nella vita della Chiesa, poiché “nella società contemporanea, è fondamentale comprendere come vivere la Parola di Dio”. Tra le decisioni prese dall'assemblea, quella di creare un nuovo comitato permanente per consolidare il legame già esistente tra la Conferenza episcopale e l'Organizzazione cattolica canadese per lo sviluppo e la pace. “Ciò permetterà di offrire un forum per condividere le informazioni – informa la nota – e collaborare più strettamente alla realizzazione del bene comune e alla tutela delle persone più vulnerabili in tutto il mondo. Al termine della settimana prossima, sarà inoltre diffuso un rapporto dettagliato sul lavoro dell’Organizzazione già esistente e sui compiti del nuovo Comitato”. Altro argomento all’ordine del giorno, l’operato del Comitato episcopale per la vita e la famiglia: “Questo tema - si legge nella nota – esige un rinnovamento spirituale, un cambiamento di mentalità e dei cuori. Si tratta di operare una nuova evangelizzazione”. Per questo, i vescovi canadesi hanno deciso di prolungare di almeno un anno il lavoro dell’apposito Comitato, al fine di stabilire una struttura adeguata ed un piano di azione, in accordo con l’Organismo cattolico per la vita e la famiglia. Infine, la Conferenza episcopale canadese ha ascoltato mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la cultura, il quale è intervenuto sul tema della “nuova evangelizzazione nella società contemporanea” ed ha sottolineato come “il concetto cristiano di verità sia fondato sulla trascendenza”. “La verità – ha ribadito il presule, che il prossimo 20 novembre verrà creato cardinale – ci precede. Noi non possediamo la verità, ma è lei che possiede noi”. (I. P.)

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    Assemblea dei vescovi del Paraguay: attesa per la Lettera pastorale sulla situazione del Paese

    ◊   I vescovi del Paraguay hanno aperto ieri con una Messa ed una visita del nunzio apostolico mons. Eliseo Antonio Ariotti, la loro 189.ma Assemblea plenaria. I presuli pubblicheranno alla fine dell'incontro, venerdì prossimo, una Lettera pastorale sulla situazione ecclesiale e nazionale, con particolare riferimento alle prossime elezioni comunali. Sono stati intanto eletti, ieri, due membri del Comitato permanente: mons. Edmundo Valenzuela, vescovo del Vicariato apostolico del Chaco e mons. Joaquín Robledo, vescovo di Carapegua. Il portavoce dell'Episcopato, mons. Adalberto Martínez, ha anticipato che un tema delle discussioni riguarderà la sicurezza dei cittadini, intesa come sicurezza in tutti gli ambiti della vita sociale, ma anche come sicurezza stradale poiché il Paese ha registrato negli ultimi mesi un’ondata di morti provocate da irresponsabilità, mal costume e imperizia da parte dei guidatori. Mons. Pastor Cuquejo, arcivescovo di Asunciòn e attuale presidente dell'Episcopato, nella sua omelia di ieri nella cattedrale metropolitana, ha fatto riferimento anche a questo dramma che ha causato un vero allarme sociale nel Paese. Le ultime statistiche ufficiali rivelano che in Paraguay, ogni giorno, 4 persone perdono la vita a causa di incidenti stradali, per il 70 per cento provocati da motociclisti. L'arcivescovo, facendo eco alle preoccupazioni degli altri presuli ha parlato pure della violenza che colpisce alcune regioni della nazione e che, in qualche modo, sono spesso il riflesso di comportamenti privi di regole e di mancanza di rispetto per la persona e per la vita. Il portavoce episcopale ha anche confermato che i vescovi paraguayani stanno preparando un documento per offrire una "cornice pedagogica nell'ambito dell'educazione sessuale", con particolare attenzione ad alcuni progetti di legge che riguardano direttamente il diritto alla vita. Altro documento in preparazione riguarda le celebrazioni del Bicentenario dell'indipendenza nazionale. (A cura di Luis Badilla)

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    Vandalismi in Turchia sulle tombe del cimitero cristiano nell'isola di Imvros

    ◊   Grave atto vandalico in un cimitero cristiano della Turchia. Sconosciuti sono entrati nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, giorno della festa della Repubblica, nel Campo Santo di Panagia nell’isola di Imvros (Goikocea), commettendo oltraggio a 78 tombe. Un’azione simile era stata commessa in questi luoghi - dove oggi vivono circa 350 cristiani - già 20 anni fa. L’isola di Imvros, terra natia dell’attuale patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, e la vicina isola di Tenedos, furono attribuite nel 1923 – sebbene allora fossero abitate al 99 per cento da popolazione cristiano-ortodossa - alla Turchia, che non ha mai rispettato il Trattato di Losanna, che ne prevedeva la piena autonomia amministrativa. Il Patriarca Bartolomeo, riferendosi all’accaduto, nel suo sermone nella parrocchia di San Demetrio a Kurtulus di Istanbul, ha detto: “La nostra, è una continua lotta per la sopravivenza nostra e delle nostre millenarie tradizioni su queste terre. Dopo molte difficoltà avevamo cominciato ad intravedere qualche spiraglio di luce, di speranza per i nostri annosi problemi. Ma di nuovo riemergono fatti spiacevoli, come questi accaduti al cimitero del capoluogo dell’isola di Imvros, dove i soliti noti-ignoti hanno provveduto alla rottura delle croci sulle tombe del cimitero. Le nostre lotte non hanno mai fine ... Ma sempre con la grazia del nostro Signore - ha concluso Bartolomeo - con la perseveranza, la prospettiva europea della Turchia e gli sforzi dei suoi governanti, siamo fiduciosi che arriveranno i tanti desiderati risultati”. Da parte sua, il ministero degli Interni turco ha condannato i fatti ed ha dato ordine al pretore di Imvros di procedere a rapide indagini per l’arresto dei responsabili. “Questi fatti dimostrano- scrive l’agenzia AsiaMews - che in Turchia esistono ancora delle potenti sacche di intolleranza nei confronti dei gruppi minoritari, le quali cercano di minare le aperture nei loro confronti dell’attuale governo. Un esecutivo che, a sua volta, pur avendo il vento in poppa, manca della necessaria volontà politica per risolvere i problemi delle minoranze, rinviati alle cosiddette calende greche. Come si diceva ad Istanbul, la prospettiva europea della Turchia non dovrebbe consistere solo nelle affermazioni a favore dei diritti, ma anche nell’immediata applicazione delle regole dell’Unione”. (R.G.)

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    Il cardinale Bagnasco: il mondo ha ancora bisogno di santità

    ◊   "La santità è lasciar emergere in noi la bellezza di Gesù”, “donata nel Battesimo”, “affidata alla nostra libertà”, “fatta di gesti, parole, sentimenti". Così il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, nell'omelia pronunciata ieri nella Cattedrale di San Lorenzo, nella solennità di Tutti i Santi. "La santità - ha sottolineato il porporato - è un dono, una grazia da chiedere umilmente, ma anche una responsabilità che esige un lavoro serio e quotidiano, rinunce e scelte anche dolorose, amore e obbedienza soprattutto quando non si capisce dove il buon Dio ci porta". "Il mondo di oggi - ha spiegato il cardinale Bagnasco - ha ancora bisogno di santità perché è vecchio, non si vuol bene ed ha perso la bussola". "Non parlo del popolo nel suo complesso, della gente che vive con dignità e impegno i doveri quotidiani, che vive la fede e l'amore alla Chiesa senza far chiasso", ha aggiunto l'arcivescovo, ma "di quel modo di pensare che ogni giorno alza la voce per farsi sentire e, ancor più, per imporre se stesso, i propri punti di vista. Quel modo che, arrogante in modo scomposto o in modo tacito, vuole condizionare le menti e far credere che quel modo di pensare e di vivere è già di tutti". La santità, infatti, "va contro corrente, parla fuori dal coro, è giudizio e richiamo alla salvezza". In tal senso, i santi – ha proseguito il presidente dei vescovi italiani - "sono la prova che è possibile un mondo diverso, non importa se questo è distratto e superficiale, se rincorre illusioni e bugie", perché "Gesù insegna che il seme va gettato" e che "Dio è sempre all'opera con i suoi tempi". Alla domanda "se il mondo sia ancora interessato ai santi”, il cardinale Bagnasco ha risposto: "non possiamo dire che i santi facciano notizia ma certamente fanno bene a chi li conosce”. “Il buon esempio ha sempre presa, esercita sempre un suo fascino benefico, è sentito come un richiamo contagioso, conferma una segreta nostalgia di Cielo, dice che è possibile vivere limpidi anche in mezzo a paludi di qualunque genere". "Quanto più i criteri e i costumi di una cultura si imbarbariscono - ha ammonito il porporato - tanto più l’anima reagisce, sogna, e cerca modi diversi di pensare e di vivere, modi luminosi e alti che esprimono la vera umanità dell’uomo. Ecco perché i santi non andranno mai fuori moda: alcuni li potranno deridere credendosi emancipati e moderni senza rendersi conto di essere invece lontani dalla realtà, ma i santi resteranno sempre attuali". Infine l’incoraggiamento a tutti i fedeli a "non lasciarci impressionare se a volte sembra che il male soffochi il bene: il Signore Gesù ci assicura che la luce vince sempre" e ancora di "camminare nella santità certi della grazia di Cristo e di aiutarci a vicenda, di sostenerci con la parola, la preghiera e l’esempio". (A cura di Roberta Gisotti)

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    Milano: aperte le celebrazioni per il quarto centenario della canonizzazione di San Carlo Borromeo

    ◊   “Fare memoria di san Carlo oggi ci chiede, in primo luogo, non tanto di ripercorrere le tappe della storia che lo riguarda - la cui conoscenza pure è doverosa - quanto di accogliere una sfida per il presente”. Così il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano – come riporta l’Osservatore Romano - in apertura delle celebrazioni per il quarto centenario della canonizzazione di san Carlo Borromeo, compatrono dell'arcidiocesi, avviate con una Messa solenne in cattedrale, nella festività di Tutti i Santi. La sua santità – osserva il porporato - “quale realtà umana e insieme azione della grazia di Dio”, “ci richiama alla ‘buona notizia’ che la Chiesa ha dato e continua a dare, e che il battesimo comunica a ogni cristiano, ossia che la santità è necessaria e possibile per ciascuno di noi". Al termine della celebrazione ieri nel Duomo, c’è stata l'esposizione dell'urna con le reliquie del santo, finora conservate nella cappella, detta Scurolo, posta sotto l'altare maggiore. Le reliquie rimarranno esposte alla venerazione dei fedeli fino al 31 luglio 2011, presso l'altare di San Giovanni Bono. Giovedì 4 novembre, solennità liturgica di san Carlo Borromeo, nel duomo di Milano il cardinale Tettamanzi presiederà la Messa pontificale e darà lettura della Lettera che Benedetto XVI gli ha inviato per l'anniversario. In questa occasione saranno accolti 650 pellegrini della diocesi di Lugano, guidati dal vescovo Pier Giacomo Grampa. Molte parrocchie dell'attuale diocesi elvetica al tempo di san Carlo erano infatti parte di quella ambrosiana. Quando nel 1884 venne creata la diocesi di Lugano queste mantennero il rito ambrosiano e in segno di comunione donarono al Duomo un calice, che verrà utilizzato nella celebrazione di giovedì. Molte altre celebrazioni si svolgeranno oltre che nelle 31 parrocchie dedicate a san Carlo anche fuori i confini dell'arcidiocesi. (R.G.)

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    Convegno a Roma per i 60 anni della Convenzione europea sui diritti umani

    ◊   “Storia e attualità della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nel 60mo anniversario della firma”. Questo il tema del Convegno internazionale, organizzato per domani a Roma dall’Università “La Sapienza” di Roma e dalla Camera dei deputati, in collaborazione con l’Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Ad ospitare l’incontro sarà Palazzo Barberini, luogo nel quale il 4 novembre 1950 la Convenzione del Consiglio d’Europa è stata aperta alla firma dei Paesi membri. Obiettivo del Convegno - spiega Luigi Vitali, presidente della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce) – sarà “fare il punto sullo stato di applicazione della Convenzione e sui risultati conseguiti dal Tribunale europeo di Strasburgo. Tratteremo anche aspetti legati al nostro Paese” che per quanto riguarda “i respingimenti e gli spazi minimi nelle carceri, è in affanno”. Nel corso dei lavori verrà ricordato Pierre-Henri Teitgen (1908-1997), giurista e politico francese, uno dei fautori della creazione nel 1959 della Corte di Strasburgo. Tra i relatori, oltre allo stesso Vitali, Mevlut Cavusogli, presidente Apce; Giovanni Conso, presidente emerito Corte costituzionale; Claudio Zanghi, docente di diritto internazionale a “La Sapienza”, Guido Raimondi, giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo. (R.G.)

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    Viaggio nell'Amazzonia: dal 5 novembre a Roma, Mostra del Vis per difendere la biodiversità

    ◊   “Il senso della biodiversità - Viaggio nella foresta amazzonica”: il titolo della mostra, che sarà inaugurata a Roma il 5 novembre, promossa dal Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), in collaborazione con Amici dei Popoli e Prometeo Bio ed il patrocinio del presidente della Repubblica. Il 'viaggio' - riferisce l'agenzia Sir - permetterà ai visitatori di conoscere l'importanza della biodiversità come fattore di sviluppo umano, evidenziando in particolare come le popolazioni di Ecuador e Perù possano favorire il proprio sviluppo attraverso la valorizzazione delle risorse provenienti dalla foresta, con la trasformazione dei suoi prodotti e il commercio attraverso le Botteghe del Mondo. Un percorso sensoriale-cognitivo per sperimentare dal vivo la bellezza della foresta amazzonica, i suoni, i colori, gli odori, le situazioni e gli stili di vita dei popoli che ci abitano. Dopo Roma la Mostra toccherà le città di Padova, Bologna e Palermo. La biodiversità ambientale - sottolinea il Vis - “è minacciata soprattutto da modelli sociali, economici e politici orientati al consumo irrefrenabile della biodiversità”. È per questo che il Vis realizza da anni progetti nella foresta amazzonica ecuadoriana e peruviana, coniugando lo sviluppo economico delle popolazioni indigene con l’uso sostenibile delle risorse locali, creando nuove e alternative opportunità di reddito. In particolare, in questi Paesi, il Vis sta rafforzando il sistema produttivo locale, basato sull’orto familiare e sulla raccolta di prodotti naturali, quale strumento di autosviluppo per le popolazioni autoctone. (R.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Allarme terrorismo: vasta operazione militare e di intelligence nello Yemen

    ◊   Dopo il ritrovamento dei pacchi bomba su due aerei diretti negli Stati Uniti, nuovi sviluppi nelle indagini nello Yemen, Paese da cui provenivano gli ordigni. Il servizio di Fausta Speranza:

    Vasta operazione militare e di intelligence nello Yemen per trovare Ibrahim al-Asiri, l'attentatore saudita legato ad al Qaeda e considerato il sospetto-chiave nel fallito attentato dei pacchi bomba diretti agli Stati Uniti. Ma l’obiettivo è anche catturare l'imam radicale americano-yemenita, Anwar al-Awlaki, ricercato negli Usa per legami con al Qaeda. È considerato da Washington l'ideatore di un fallito attentato su un aereo Usa del dicembre del 2009, e proprio oggi il tribunale yemenita che ha dato il via al processo contro di lui in contumacia lo ha accusato per la prima volta di essere l'istigatore degli omicidi contro gli occidentali in nome di al Qaeda. Con molta probabilità è nascosto in territorio yemenita. Intanto, il ministro della Difesa yemenita fa sapere di arresti importanti: si tratta di quattordici sospetti terroristi di al Qaeda che si sono arresi alle autorità. Cinque di loro sarebbero capi locali della rete di al Qaeda. In definitiva, dalle autorità dello Yemen viene un segnale forte di impegno contro il terrorismo, ma ci si chiede quali siano le effettive forze: è un Paese che si fa trova a far fronte a una situazione di guerra continua nel nord e a un movimento sempre più secessionista al sud. Ed è, inoltre, sull’orlo di un disastro economico. Il Financial Times riporta opinioni di analisti, che chiedono all’Occidente di supportare le autorità nella lotta contro il terrorismo. Intanto, dopo l’annuncio della Germania di vietare ogni volo dallo Yemen, anche il Canada annuncia blocchi: non sospende voli perché non ce ne erano, ma sospende la spedizione di pacchi. Finora due sono stati i pacchi bomba ritrovati a Dubai e in Gran Bretagna, spediti in tutti e due i casi dallo Yemen.

    Elezioni Mid-term in Usa: i sondaggi prevedono un’ondata repubblicana
    L’ombra del terrorismo si è allungata sulle elezioni di medio termine, che oggi si svolgono negli Stati Uniti. Una prova per il presidente, Barack Obama, che gli analisti considerano un referendum sulla sua amministrazione, dopo le dure contestazioni per il piano anticrisi e per la riforma sanitaria. I sondaggi prevedono una vittoria schiacciante per i repubblicani. Da New York, ci riferisce Elena Molinari:

    L’ondata repubblicana è certa, resta solo da vedere se sarà o no una marea. Il partito conservatore si aspetta una vittoria significativa alle elezioni politiche di metà mandato di oggi negli Stati Uniti, i cui risultati non si sapranno fino alla notte fonda italiana. Gli ultimi sondaggi indicano, infatti, che i repubblicani strapperanno ai democratici di Obama la maggioranza alla Camera, conquistando fino a 70 deputati, un numero mai visto dalla fine degli anni Trenta. È una misura dell’insoddisfazione degli americani per il cattivo stato dell’economia, che attribuiscono all’operato del presidente. Obama viene, infatti, giudicato negativamente dal 52 per cento degli americani. I repubblicani non prevedono, invece, di conquistare il Senato e questo porterà ad una condizione di scarsa governabilità a Washington per i prossimi due anni. La Casa Bianca, di qui al 2012, starà dunque sulla difensiva, anche se i repubblicani sanno di non avere abbastanza potere per fare abrogare come vorrebbero la riforma della sanità e quella della finanza di Obama. Sarà interessante vedere oggi anche quanti esponenti del movimento populista del Tea Party verranno eletti e se i referendum presenti in molti Stati premieranno i gruppi antiambientalisti e antitasse.

    Dilma Roussef, neopresidente del Brasile, dichiara guerra alla povertà
    “Sradicherò la povertà”. Parola di Dilma Roussef, vincitrice nelle presidenziali brasiliane. Economista, 62 anni, era quasi sconosciuta nel Paese prima di iniziare l'avventura elettorale. Grazie al supporto di Lula, di cui era capo di gabinetto, è riuscita a diventare subito la favorita nella corsa contro Josè Serra, l'ex governatore dello Stato di San Paolo. Francesca Ambrogetti:

    Il giorno dopo le elezioni era già a lavoro, Dilma Rousseff, la prima donna eletta presidente in Brasile, nel ballottaggio di domenica. Ha iniziato a fianco di Lula il periodo di due mesi di transizione. Dal prossimo primo gennaio, dovrà affrontare da sola la responsabilità di governare il gigante sudamericano, ottava potenza economica al mondo. Il risultato era stato annunciato dai sondaggi. Gli elettori hanno votato la continuità del progetto di Lula da Silva, il carismatico presidente che nei suoi otto anni di governo ha trasformato il Brasile. Dilma Roussef eredita un Paese in crescita continua e sostenuta, ma con ancora tanti problemi strutturali da risolvere. La “dama di ferro”, come la chiamano molti in Brasile, è convinta di farcela. Ha annunciato che approfondirà l’impegno per l’inclusione sociale: “Nessuno di noi può stare tranquillo – ha detto con enfasi, nel primo discorso – finché ci saranno poveri nel nostro Paese”. Ha garantito la libertà di stampa e di religione, ha promesso che farà spazio alle donne e ha teso la mano all’opposizione. Avrà la maggioranza in parlamento e governerà con gli alleati della coalizione vincente. Tra le tante altre sfide, la preparazione dei mondiali e delle Olimpiadi.

    Esplosione davanti all’Ambasciata svizzera ad Atene
    In Grecia, in prima mattinata davanti alla sede dell’ambasciata svizzera si è verificata un’esplosione. Più tardi, gli artificieri hanno fatto esplodere un pacco-bomba indirizzato all'ambasciata russa ad Atene. Oggi, altri due pacchi simili sono stati intercettati: erano inviati ad altre ambasciate straniere. Ieri, erano stati ritrovati quattro plichi, diretti ad altre sedi diplomatiche della capitale. La polizia segue la pista anarco-insurrezionalista.

    Accordo senza precedenti su difesa e nucleare tra Gran Bretagna e Francia
    “La relazione tra Francia e Gran Bretagna è eccezionale”. Lo ha detto il presidente francese, Nicolas Sarkozy, a Londra dopo la firma dei trattati di cooperazione sulla difesa e sul nucleare. ''Oggi è una giornata storica - ha proseguito - questa è una decisione senza precedenti''. Il trattato prevede la condivisione delle portaerei e lo sviluppo di una procedura di deterrenza nucleare comune.

    Operazioni di polizia in Serbia alla ricerca di Ratko Mladic
    L'operazione di polizia e le perquisizioni di oggi a Belgrado e Arandjelovac alla ricerca di Ratko Mladic sembrano essersi concentrate su immobili e locali tutti appartenenti a una stessa persona, Goran Radivojevic, 40.enne un uomo d'affari dal passato controverso, già noto alla polizia. Secondo l'agenzia Tanjug, Radivojevic è il proprietario sia del ristorante Bajka di Belgrado, sia del complesso turistico di Arandjelovac, che porta anch'esso lo stesso nome Bajka, dove oggi le forze di polizia hanno effettuato controlli e perquisizioni. L'emittente tv B92 ha riferito che la casa privata di Belgrado, sottoposta anch'essa a perquisizioni, apparterrebbe allo stesso Radivojevic. L'uomo d'affari, che era presente all'operazione di polizia nel suo ristorante, non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione ai media. Businessman belgradese controverso, Goran Radivojevic è noto per aver aiutato a traslocare nei mesi scorsi la moglie di Milorad Lukovic, principale responsabile dell'uccisione nel marzo 2003 del premier riformista, Zoran Djindjic, attualmente in carcere. La moglie di Lukovic doveva lasciare la sua casa in base alla nuova legge varata in Serbia, che consente il sequestro di beni ottenuti con attività criminali.

    Tanzania, proteste per la lentezza nello scrutinio dopo il voto di domenica scorsa
    Proteste in Tanzania per i ritardi nello scrutinio del voto delle presidenziali e legislative che si è tenuto domenica scorsa. Lo scrivono i quotidiani locali. A Dar es Salaam, capitale economica del Paese, la polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere alcuni sostenitori dell'opposizione che lamentavano i ritardi, soprattutto nei distretti dove prevedono che possano vincere i loro candidati. A Mwanza e in altre città della regione dei laghi, due automobili sono state date alle fiamme e altre dieci vetture sono state bersagliate da pietre. Anche qui, la polizia è intervenuta con gas lacrimogeni ingaggiando una vera e propria caccia all'uomo. Fonti locali attribuiscono i ritardi ad alcuni errori commessi nei seggi, ma la notizia è tutta da verificare. I primi risultati dovrebbero essere comunicati oggi. Secondo i pronostici, le elezioni di domenica scorsa dovrebbero consegnare al presidente uscente, Jakaya Kikwete, un altro mandato di cinque anni con una vittoria sul filo di lana rispetto al suo antagonista, Willibrod Slaa.

    In Indonesia è ancora allerta per il vulcano Merapi
    L'Indonesia è ancora alle prese con l’eruzione del vulcano Merapi e con il disastro dello tsunami che ha distrutto la costa delle isole Mentawai. L’aggiornamento della situazione, nel servizio di Maria Grazia Coggiola:

    Secondo gli esperti, altre eruzioni di bassa intensità potrebbero continuare per alcune settimane e servirebbero per allentare la pressione della faglia sismica, che è la stessa del catastrofico tsunami del 2004. Un aumento dell’attività è stata osservata anche negli altri 21 vulcani attivi dell’Indonesia, che ora sono sotto osservazione. L’eruzione del Merapi ha finora causato 38 vittime e costretto circa 70 mila persone a lasciare le case, per rifugiarsi nei campi di accoglienza preparati dall’Esercito. Mente il Merapi continua a vomitare cenere e lapilli, a centinaia di chilometri di distanza continuano i soccorsi per le popolazioni colpite dalla doppia tragedia dello tsunami e del terremoto. Le vittime sono salite a 430, secondo l’Agenzia nazionale di gestione dei disastri, ma ci sono molte polemiche sulla mancanza di coordinazione nelle operazioni di soccorso, condotte da Esercito, Croce Rossa e organizzazioni non governative. La gigantesca onda causata da un sisma di magnitudo 7.7 ha distrutto completamente la costa delle isole Mentawai, che sono una delle zone più arretrate del Paese.

    Tokyo richiama l’ambasciatore a Mosca dopo la visita di Medvedev alle Curili
    Il ministro degli Esteri giapponese, Seiji Maehara, ha richiamato, sia pure “in temporanea”, l'ambasciatore nipponico a Mosca. La decisione è giunta all'indomani della contestata visita del presidente russo, Dmitri Medvedev, alle Curili del Sud, le quattro isole a nord di Hokkaido occupate dall'ex Urss nel 1945 e rivendicate da Tokyo con il nome di Territori del Nord. L'annuncio è stato dato dallo stesso Maehara in una conferenza stampa al Ministero degli esteri. “Ho deciso di richiamare temporaneamente l'ambasciatore inRussia, Masaharu Kono”, ha spiegato il ministro. Il richiamo dell'ambasciatore era un'opzione circolata già ieri sera a Tokyo - dopo che il premier Naoto Kan aveva detto che il governo valutava “contromisure” - ma ritenuta “improbabile” a seguito della forte natura dell'iniziativa destinata a far salire la tensione tra i due Paesi. Il 13 e 14 novembre prossimi, è in programma il vertice Apec (la cooperazione economica nell'area asiatico-pacifica), che sarà ospitato dal Giappone a Yokohama e al quale prenderanno parte, salvo sorprese, Medvedev e il presidente cinese, Hu Jintao. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 306

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