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Sommario del 23/07/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Quali "vacanze" per il Papa: l’editoriale di padre Lombardi
  • Mons. Toso sulla Giornata Mondiale della Pace: senza libertà religiosa, la politica si ergerebbe a valore assoluto
  • I cristiani testimoni di un Dio "che ha un volto": il cardinale Tauran sul recente incontro interreligioso di Sampran, in Thailandia
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Al via ad Hanoi il vertice sulla sicurezza regionale dell’Asean. In primo piano la crisi intercoreana
  • L'Italia e il passo indietro nell'impegno in Darfur. Reazione dal mondo del volontariato
  • Tra povertà, immigrazione e deficit sanitari: l'opera umanitaria dell'Ospedale San Gallicano di Roma
  • La Chiesa celebra Santa Brigida di Svezia, copatrona d'Europa, mistica al servizio dei poveri
  • Chiesa e Società

  • Il Vicariato di Roma sul servizio di Panorama: allo scoperto i preti “dalla doppia vita”
  • Vienna: leader religiosi chiedono l’accesso universale alle cure dei malati di Aids
  • Pakistan: avvocato musulmano contro la legge sulla blasfemia. Dopo 14 anni libera una donna
  • India. Jammu-Kashmir: ignoto al governo l'ordine di espulsione di padre Borst
  • Indonesia: per i vescovi le violenze anti-cristiane sono anche il frutto del proselitismo di sette evangeliche
  • Malaysia: leader islamici contro simboli satanici o di altre religioni sulle maglie dei calciatori
  • Il patriarca latino di Gerusalemme condanna l’irruzione di estremisti israeliani
  • Zambia: dichiarazione dei vescovi sulla bozza della Costituzione
  • Congo: nel Nord Kivu migliaia di persone continuano a fuggire per insicureza e minacce
  • Spagna: l’arcivescovo di Madrid confida nell’incostituzionalità della legge sull’aborto
  • Bogotà: a conclusione della riunione del Celam, incontro sul post terremoto ad Haiti
  • Allarme in Sri Lanka per la diffusione della dengue
  • Amnesty International denuncia la situazione di pericolo per i giornalisti in Somalia
  • Rwanda: finalmente arriva l’acqua potabile nella provincia di Byumba
  • Al via in Brasile il progetto “Chiese sorelle in Amazzonia”
  • Usa: on-line le linee guida dei vescovi per l’uso dei media sociali nella Chiesa
  • Seminario dei giornalisti cattolici del Congo dedicato all’integrazione in Africa
  • Austria: convegno sull'esodo di immigrati e rifugiati verso l'Europa
  • Il “Viaggio dell’Amicizia” di Rondine: la delegazione è giunta in Abkhazia
  • 24 Ore nel Mondo

  • Corte di giustizia dell'Aja: l'indipendenza del Kosovo non ha violato il diritto internazionale
  • Il Papa e la Santa Sede



    Quali "vacanze" per il Papa: l’editoriale di padre Lombardi

    ◊   L’estate è un tempo favorevole all’ascolto della Parola del Signore: è quanto affermato domenica scorsa all’Angelus da Benedetto XVI, che dal 7 luglio si trova nella residenza di Castelgandolfo per un tempo di riposo. Un periodo dedicato in particolare alla scrittura della terza parte della sua opera su Gesù di Nazareth. Ascoltiamo in proposito il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi:

    Da alcuni giorni, il Papa ha cominciato a preparare il terzo volume della sua grande opera su Gesù. Dopo aver consegnato nei mesi scorsi il manoscritto del secondo volume, dedicato alla Passione e alla Risurrezione, di cui si stanno ora preparando le traduzioni ed edizioni nelle diverse lingue e di cui si prevede l'uscita in libreria nella prossima primavera, Benedetto XVI ha posto mano ora alla terza ed ultima parte, dedicata ai "Vangeli dell'infanzia".

    Come i fedeli hanno potuto costatare essi stessi vedendo il Papa in occasione dell'Angelus di domenica scorsa, Benedetto XVI dopo pochi giorni a Castelgandolfo appare già ritemprato e sorridente, e ha immediatamente cominciato a dedicarsi all'attività di lettura e studio che, anche se impegnativa, non lo affatica. E ora - come si è accennato - ha cominciato a lavorare in vista del completamento della sua opera su Gesù. E' chiaro, quindi, quanto gli stia a cuore portare a termine questo grande disegno avviato anni fa. Nella Prefazione al primo volume il Papa ricordava di aver cominciato a lavorarci "durante le vacanze estive del 2003", di aver dato forma definitiva ai capitoli dall'1 al 4 nell'agosto del 2004, e continuava: "Dopo la mia elezione alla sede episcopale di Roma ho usato tutti i momenti liberi per portare avanti il libro".

    In occasione del Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, molti interventi avevano messo in luce l'importanza cruciale di quest'opera del Papa come modello di lettura teologica e spirituale dei Vangeli, come guida per i credenti ad incontrare - attraverso i Vangeli - la persona di Gesù: "il Gesù reale, il Gesù 'storico' in senso vero e proprio", afferma con decisione il Papa. Portarci ad incontrare Gesù! Siamo al cuore del servizio del successore di Pietro per la Chiesa e per gli uomini di ogni tempo. A questo Benedetto XVI dedica le sue "vacanze". Grazie. Buone vacanze - dunque - Santo Padre!

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    Mons. Toso sulla Giornata Mondiale della Pace: senza libertà religiosa, la politica si ergerebbe a valore assoluto

    ◊   La Giornata Mondiale per la Pace del 2011, che si celebrerà il prossimo primo gennaio, porrà l’accento sulla libertà religiosa. Il tema scelto da Benedetto XVI - “Libertà religiosa, via per la pace” - esorta a riflettere sugli effetti della discriminazione nei confronti di chi professa la propria fede. Nel mondo, sono molte le aree in cui persistono forme di limitazione a questa libertà, sia dove le comunità di credenti sono una minoranza, sia dove le comunità di fedeli, pur non essendo una minoranza, subiscono forme di marginalizzazione nella partecipazione alla vita pubblica civile e politica. Sul senso della Giornata Mondiale per la Pace, che dal 1968 si celebra il primo giorno di ogni anno, ascoltiamo al microfono di Luca Collodi il segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, mons. Mario Toso:

    R. – Con Paolo VI, si volle questa Giornata per invitare i responsabili delle Nazioni e gli uomini di buona volontà a costruire una nuova società, un mondo più giusto, dove tutte le persone e tutti i popoli possano trovare un ambiente in cui sviluppare in pienezza la loro umanità. Questo, evidentemente, viene fatto non in maniera formale quanto, piuttosto, come indicazione di un compito. Per Paolo VI, la prospettiva era quella della civiltà dell’amore. Con Benedetto XVI, la prospettiva è sempre la stessa ma maggiormente specificata in termini di fraternità.

    D. – La mancanza di libertà religiosa nel mondo perché preoccupa così tanto la Chiesa?

    R. – Per almeno tre ragioni fondamentali. Perché quando non c’è la libertà religiosa, in sostanza, vengono meno tutte le altre libertà. Per la Dottrina sociale della Chiesa, la libertà religiosa è fonte e sintesi di tutte le altre libertà e pertanto, quando non c’è la libertà religiosa, sono a rischio tutte le altre libertà e i diritti dell’uomo. Un’altra ragione è la seguente: non realizzando la libertà religiosa, in sostanza, si comprime la dignità della persona umana, la dignità dei popoli, perché la libertà religiosa è strettamente congiunta alla dignità della persona. Un’altra ragione è questa: senza libertà, le stesse comunità civili, le stesse società politiche sono prive di condizioni che consentono loro di raggiungere la propria pienezza umana.

    D. – Sembra un paradosso, ma dove c’è libertà religiosa la fede viene messa in secondo piano, spesso respinta nel privato dell’uomo...

    R. – L’emarginazione della fede nella vita privata non dipende tanto dalla libertà religiosa. Dipende piuttosto da fenomeni concomitanti, quali ad esempio il laicismo, il secolarismo esasperato che vorrebbe deprezzare la libertà religiosa e che, anzi, vorrebbe eliminarla, negarla. Se questo avvenisse, succederebbe che a causa del laicismo, che sottovaluta la dimensione di trascendenza della persona umana, la politica si assurgerebbe, in molti casi, a valore assoluto, verrebbe ad equipararsi a Dio. Quindi, si presenterebbe con un volto di protervia, con volontà di potenza.

    D. – Perché la libertà religiosa é importante per il mantenimento della pace nel mondo?

    R. – Vi è un nesso stretto. La libertà religiosa consente di ordinare la vita morale delle persone e delle società, consente di trovare una gerarchia tra i beni che costituiscono la pienezza umana sia dei singoli come delle comunità. Questo consente un più facile ordine sociale, un ordine pacifico.

    D. – Quanto è importante la libertà religiosa per l’impegno civile dei credenti?

    R. – La libertà religiosa è a fondamento dell’impegno civile del credente. Essa sorregge, alimenta l’impegno morale del cittadino e pertanto deve essere considerata come un elemento imprescindibile dell’impegno civile e della civiltà dei popoli.

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    I cristiani testimoni di un Dio "che ha un volto": il cardinale Tauran sul recente incontro interreligioso di Sampran, in Thailandia

    ◊   Il dialogo fra le comunità religiose a servizio delle comunità civili, come strumento utile per stemperare i conflitti e promuovere la riconciliazione a tutti i livelli. E’ stato questo uno dei temi al centro dell’incontro organizzato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e tenutosi nei giorni scorsi in Thailandia nella sede del "Baan Phu Waan Pastoral Center" di Sampran, nei pressi di Bangkok. All’incontro ha partecipato, tra gli altri, anche il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Helene Destombes, del programma francese della nostra emittente, ha chiesto al porporato quale sia l’attuale volto della Chiesa in Thailandia:

    R. – Nous sommes venus là-bas pour écouter, apprendre et partager…
    Siamo andati per ascoltare, imparare e condividere. E’ questo che ci guida nei nostri scambi. In questi incontri, mi colpisce innanzitutto la grande ricchezza spirituale e pastorale della Chiesa in questa parte del mondo: è una Chiesa che ha sofferto ma che ha saputo superare le prove. Poi mi ha sorpreso che dai nostri interlocutori delle altre religioni possiamo apprendere molti valori. Dagli indù, ad esempio, possiamo imparare la meditazione e la contemplazione, dai buddisti possiamo imparare il distacco dai beni materiali e il rispetto della vita… E’ importante che noi facciamo vedere che, anche se siamo una minoranza, siamo però una minoranza che "conta": è in effetti, noi “contiamo”, perché la nostra parola è ascoltata, abbiamo le nostre scuole, la Chiesa è presente un po’ ovunque… Come dice Benedetto XVI nella sua enciclica Spe salvi, la nostra caratteristica specifica è che il nostro Dio ha un volto: è un Dio che si è fatto prossimo all’uomo, all’uomo che cerca, che soffre, dell’uomo felice, dell’uomo che costruisce e tutto questo rappresenta una ricchezza che condividiamo con molti.

    D. – Come lei ha detto, la comunità cristiana è esigua nel Paese: rappresenta circa l’un per cento della popolazione. Quali i suoi campi d’azione?

    R. – Je crois que l’action la plus visible c’est les écoles…
    Credo che il campo più importante, per visibilità, siano le scuole. Le nostre scuole sono molto richieste: evidentemente, rappresentano una caratteristica della nostra presenza. Poi, c’è tutto quello che riguarda la carità e anche la vita in parrocchia, attività umili ma concrete. I cattolici sono noti sul terreno per la realtà della loro vita quotidiana… Ora, c’è grande consapevolezza da una parte e dall’altra della presenza di Dio in questa vicinanza.

    D. – Nella primavera scorsa, il Paese ha vissuto una profonda crisi politica. Lei pensa che le religioni possano svolgere un ruolo per stemperare questo clima di tensioni?

    R. – Toutes les religions, plus ou moins, parlent de fraternité, de solidarité…
    Tutte le religioni, chi più chi meno, parlano di fratellanza, di solidarietà e questo mi sembra già molto. Mi ha colpito la consapevolezza vicendevole delle ricchezze che abbiamo da condividere, quei valori di cui parlavo. E la ragione per cui condividiamo queste ricchezze è che vogliamo che servano al miglioramento dell’atmosfera non soltanto in campo interreligioso, ma nella vita quotidiana degli uomini e delle donne che appartengono a religioni diverse, a classi sociali diverse, a culture diverse. E’ possibile essere felici insieme: è semplice.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Una serie di fotografie che illustrano le vacanze di lavoro di Benedetto XVI.

    L’euro malato si affida agli stress test: in prima pagina, Luca M. Possati sulle incognite dell’operazione.

    In cultura, un articolo di Vicente Carcel Orti dal titolo “Fiducia tradita”: quando nel 1931 il cardinale Eugenio Pacelli invitò i vescovi spagnoli a riconoscere la Repubblica.

    La prefazione del cardinale Achille Silvestrini al volume “Pagine di storia contemporanea: la Santa Sede alla Conferenza di Helsinki”. Con stralci dal testo di Giovanni Barberini.

    Se l’eterna giovinezza rende l’uomo un mostro: Gaetano Vallini sul Fiuggi Family Festival (dal 24 al 31 luglio).

    Meglio single: Marcello Filotei sul whisky come specchio di una società.

    Quell’allegoria che sembrava proprio un Botticelli: Nicoletta Pietravalle recensisce la mostra, alla National Galley di Londra, che evidenzia i metodi di attribuzione delle opere d’arte.

    Nell’informazione vaticana, Nicola Gori intervista Sua Beatitudine Baselios Cleemis Thottunkal, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei siro-malankaresi (India).

    Un articolo del cerimoniere pontificio mons. Stefano Sanchirico dal titolo “Quando il Papa non portava la croce pettorale”: come è mutato nel tempo l’abbigliamento papale pubblico e da udienza.

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    Oggi in Primo Piano



    Al via ad Hanoi il vertice sulla sicurezza regionale dell’Asean. In primo piano la crisi intercoreana

    ◊   E' iniziato ad Hanoi, in Vietnam, il vertice sulla sicurezza regionale dell’Asean, che riunisce i Paesi del sudest asiatico. Numerosi i delegati attesi, così come i temi in agenda, tra i quali spicca la crisi intercoreana. La Corea del Nord ha minacciato una ''risposta fisica'' alle esercitazioni militari di Usa e Corea del Sud, in programma da domenica a mercoledì prossimi. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton - presente al vertice - ha chiesto il sostegno dei Paesi dell’area per le nuove sanzioni contro Pyongyang. Ma queste tensioni avranno ripercussioni sui rapporti tra Cina e Stati Uniti? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Fernando Mezzetti, esperto di questioni asiatiche:

    R. - Gli Stati Uniti sanno che non possono aspettarsi una fattiva collaborazione da parte cinese davanti alla Corea del Nord. La Cina vuole, come tanti altri attori della zona, che le due Coree restino due: nessuno vuole la riunificazione e tutti sono interessati a tenere in piedi questo regime imprevedibile, ma non c’è altra scelta. La Cina non aderirà a nessun tipo di sanzioni verso il Nord, anche perché sul caso concreto è stata esclusa dall’inchiesta internazionale: dopo l’affondamento della corvetta, infatti, la Corea del Sud istituì una Commissione di inchiesta internazionale chiamandone a far parte vari Paesi, tra cui l’Australia - lontanissima pur essendo un attore della zona del Pacifico - ma non hanno chiamato a far parte di questa Commissione la Cina, che è il maggior Paese dell’area, e la Russia, entrambi confinanti peraltro con la Corea del Nord.

    D. - Cosa cambierà, invece, negli equilibri in Asia?

    R. - Gli equilibri in Asia sono già cambiati con la crescita della Cina, che mira ad affermarsi come potenza regionale. Il Giappone, con questo governo, ha inaugurato una serie di sanzioni con gli Stati Uniti, pur senza mettere in discussione fondamentalmente l’alleanza. Ma sempre più si rivela il ruolo ancora importante degli Stati Uniti nella regione, al cospetto della Cina: la Cina pesa e proietta tutta la sua potenza, non più soltanto economica, ma anche politica e militare. Gli Stati Uniti, quindi, non lasceranno mai la regione, anche perché si considerano potenza sul Pacifico, con una proiezione di potenza con la loro Marina, che è ineguagliabile.

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    L'Italia e il passo indietro nell'impegno in Darfur. Reazione dal mondo del volontariato

    ◊   L’Italia potrebbe lasciare la missione internazionale Onu in Darfur. Non è passato infatti, per pochi voti, l’emendamento presentato nei giorni scorsi dal Pd alla Camera sul prolungamento della presenza italiana nella tormentata regione sudanese, teatro della più grave crisi umanitaria in atto nel mondo. “Una decisione politica sbagliata che arriva in una fase delicata del conflitto nel paese africano”, commenta Antonella Napoli, presidente di “Italians for Darfur”, Associazione da anni impegnata in progetti umanitari e nella promozione dei diritti umani. Paolo Ondarza l’ha intervistata:

    R. – Si è passati dal provvedimento di sei mesi fa, che prevedeva un impegno di quasi sei milioni di euro, a poco più di 200 mila euro: è chiaro che non c’è più una volontà di dare un supporto alla missione in Darfur.

    D. – In realtà, però, i sei milioni di euro facevano parte di una misura straordinaria decisa dall’Italia in accordo con l’Unione Africana. Dopo sei mesi, e quindi ora, era previsto un ritorno allo stato precedente il 2010, con sole tre unità presenti in Darfur…

    R. – Il problema è che nemmeno la prima fase della missione è stata eseguita così come era stato previsto dal finanziamento. Perché ci sono stati problemi per i visti di alcuni nostri militari, che avrebbero dovuto recarsi in Darfur a portare due velivoli e garantire la fase finale del dispiegamento della missione di pace. A quanto ne sappiamo, questi visti non sono arrivati perché c’è stato ostruzionismo da parte del governo, e quindi finora non c’è stato un vero impegno italiano per il Darfur. Noi abbiamo condotto una battaglia assieme a parlamentari sia del centrosinistra sia del centrodestra… Purtroppo, l’emendamento che avrebbe potuto grantire il mantenimento della missione, non è passato per due voti. Per fortuna, manca ancora un passaggio: per l’approvazione in via definitiva, il rifinanziamento deve passare in Senato. Quindi, la nostra speranza è che qualcuno si ravveda e dia l’esempio, perché in questo momento è importante anche dare un segnale alla comunità internazionale, che il Darfur non è una crisi in fase di soluzione, assolutamente.

    D. – In proposito: qual è la situazione, oggi?

    R. – Il conflitto è nella fase più cruenta. Negli ultimi due mesi, le vittime sono state oltre un migliaio, per la maggior parte vittime civili. Ci sono oltre 300 mila vittime, due milioni e 800 mila di sfollati accolti nei campi sia in Darfur, sia in Ciad. in quattro milioni e mezzo dipendono esclusivamente dagli aiuti umanitari. E’ un conflitto che ha bisogno di essere pacificato, e questo può avvenire soltanto se c’è una missione di pace forte.

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    Tra povertà, immigrazione e deficit sanitari: l'opera umanitaria dell'Ospedale San Gallicano di Roma

    ◊   Grande apprezzamento per l'opera svolta dall'Istituto nazionale per la Promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della Povertà dell’ospedale San Gallicano, a Roma, è stato espresso dal ministro del Welfare italiano, Maurizio Sacconi in visita ieri alla struttura. Parlando dei molteplici servizi offerti, li ha definiti l'eccellenza nel campo socio-sanitario e ha dichiarato l'intenzione di utilizzarli quali modello per il servizio regionale e nazionale. Luca Attanasio ha intervistato il primario dell’Istituto, il prof. Aldo Morrone, per alcuni mesi responsabile anche della task force che ha affiancato il presidio sanitario presente all’interno del Centro di primo soccorso e assistenza per immigrati di Lampedusa:

    R. – L’Istituto nazionale povertà e salute si occupa di migliorare la qualità della salute delle fasce più a rischio di marginalità in Italia, siano essi stranieri, siano italiani. In particolare, si prende cura dei pensionati a reddito minimo, di immigrati regolari e irregolari, donne vittime della tratta della prostituzione, richiedenti asilo politico, vittime di tortura, ma anche colf, badanti, zingari, lavoratori precari e situazioni di disoccupazione e di grave marginalità come le persone senza dimora. Esistono specialisti in varie branche della medicina, specialisti della psicologia, dell’antropologia, della mediazione culturale ma anche figure come il semiologo, il biologo o lo psicologo che hanno delle funzioni importanti nell’accogliere queste persone. E poi ci avvaliamo dell’impegno di mediatori culturali, che hanno la possibilità di fare in modo che si creino relazioni anche con persone che parlano le lingue più diverse di questo mondo.

    D. – Una delle prime cose che colpiscono, entrando a visitare il Centro, sono i piccoli manifesti sparsi dappertutto dove si dice: “Qui non si rimanda indietro nessuno”. Che significato ha questo in un’Italia in cui si sente parlare spesso di respingimenti, di denunce…

    R. – E’ stato il nostro modo di fare controinformazione. Quando c’è stata la paura che le persone immigrate irregolari potessero essere denunciate recandosi dal medico, abbiamo ritenuto importante dare una controinformazione, rassicurando tutte le persone immigrate che nessun medico avrebbe mai osato tradire il rapporto di fiducia che si stabilisce tra persona malata e medico stesso, e questo indipendentemente dalla regolarità del permesso di soggiorno o dal colore della pelle, in modo tale da ridurre il danno di questi annunci.

    D. – Parlando dell’esperienza di Lampedusa, lei ha detto: “Quando siamo arrivati e abbiamo accolto queste persone che arrivavano sui barconi, in realtà non si capiva bene se eravamo noi ad indicare la strada per la salvezza a loro, o se erano loro – in qualche modo – ad indicarci una strada più alta, più grande di salvezza”…

    R. – A Lampedusa, si è incredibilmente invertita una sensazione: non eravamo noi là ad aiutare le persone che arrivavano sui barconi, per evitare che morissero, ma erano quelle persone a indicarci un’altra strada della dignità umana, un’altra strada della generosità nei confronti delle loro famiglie, loro che hanno accettato di correre il rischio di morire per mantenere la famiglia, per dare un futuro ai loro figli, un futuro di libertà. E devo dire che oggi, a distanza di tempo, sono sempre più sicuro che coloro che indicavano la strada della dignità e del futuro erano proprio quelli che stavano stipati nei barconi.

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    La Chiesa celebra Santa Brigida di Svezia, copatrona d'Europa, mistica al servizio dei poveri

    ◊   La Chiesa celebra oggi la memoria liturgica di Santa Brigida di Svezia, copatrona d'Europa. Nobile di nascita, dedita ai poveri, moglie e madre di otto figli, mistica e fondatrice dell' , morì il 23 luglio del 1373 e fu canonizzata da nel . Sul carisma di questa Santa ascoltiamo, al microfono di Isabella Piro, padre Raffele Tosto, parroco della Chiesa di Santa Brigida a Napoli:

    R. - È una Santa grande e poliedrica, perché si manifesta anzitutto nel suo amore totale a Cristo e da Cristo porta il suo amore alla Chiesa, per cui vive, cammina, lotta per l’umanità. La sua vita quotidiana è insieme legata all’umano, alla famiglia. Come donna, come sposa, come madre, come vedova, come religiosa ha una molteplicità vocazionale che raccoglie tutta nella sua persona. Guardare a Santa Brigida è guardare a qualcosa di estremamente bello e personale nel Cristo, nella Chiesa e nell’umanità. E' vissuta sette secoli fa, nel 1300, ma ha un’attualità ed una presenza carismatica che la gente e il popolo di Dio cerca.

    D. - Il motto di Santa Brigida era “Il mio amore è il Crocifisso”. Qual è il valore di queste parole?

    R. - Contemplando la Croce, lei ha visto questo amore così grande, crocifisso per lei. Si è poi sentita accolta da questo cuore aperto che ha tradotto in preghiera - le famose orazioni di Santa Brigida - e che non sono altro che una bellissima contemplazione della Passione di Gesù, ma non in senso doloroso. Lo vede in senso glorioso, pasquale e quindi è una contemplazione gaudiosa della Passione di Gesù, unendo la morte e la Risurrezione.

    D. - Santa Brigida è copatrona d’Europa: quale insegnamento lascia a questo continente che sembra oggi sempre più secolarizzato?

    R. - C’è anzitutto una bella intuizione del nostro caro Giovanni Paolo II, quando il primo ottobre del 1999 proclamò copatrone di Europa Santa Caterina da Siena, Santa Edith Stein e Santa Brigida. Il Papa le propone proprio come riferimento anche perché oggi vediamo le divisioni, le frammentazioni: loro invece, ognuna nel suo tempo e nel suo stile, hanno proposto un cammino unitario. “Sono state voci profetiche”, aggiungeva il Papa nel proclamarle copatrone ed ancora queste belle parole: ”In queste nuove copatrone possono trovare ispirazione pure i cittadini e gli Stati europei, sinceramente impegnati nella ricerca della verità e del bene comune”.

    D. - Per le donne in particolare, Santa Brigida è un modello forte…

    R. - Senz’altro. Questo lo dico anche nel mio esercizio pastorale. Noi abbiamo qui un ‘capitano di squadra’ che ci è vicino nell’umanità, nella sua femminilità. Lei che era anche pellegrina, che ha girato l’Europa e a quel tempo non era certo così facile, ha avuto 8 figli… E quindi, certamente, ognuno trova in Santa Brigida un aspetto vocazionale della sua vita veramente bello, attraente e attuale.

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    Chiesa e Società



    Il Vicariato di Roma sul servizio di Panorama: allo scoperto i preti “dalla doppia vita”

    ◊   “Creare lo scandalo” e “diffamare tutti i sacerdoti”: è questo, secondo il Vicariato di Roma, l’obiettivo di un lungo articolo pubblicato oggi dal settimanale “Panorama” sul comportamento di alcuni sacerdoti gay. I fatti raccontati, si legge nella nota del Vicariato, “non possono non suscitare dolore e sconcerto nella comunità ecclesiale di Roma, che conosce da vicino i suoi sacerdoti non dalla ‘doppia vita’, ma con una ‘vita sola’, felice e gioiosa, coerente alla vocazione, donata a Dio e a servizio della gente, impegnata a vivere e testimoniare il Vangelo e modello di moralità per tutti”. Chi conosce la Chiesa di Roma, prosegue la nota, “non si ritrova minimamente nel comportamento di costoro dalla ‘doppia vita’, che non hanno capito che cosa è il ‘sacerdozio cattolico’ e non dovevano diventare preti”. “Sappiano – prosegue il documento – che nessuno li costringe a rimanere preti, sfruttandone solo i benefici. Coerenza vorrebbe che venissero allo scoperto”. E aggiunge che non si può “accettare che a causa dei loro comportamenti sia infangata la onorabilità di tutti gli altri”. Dinanzi a simili fatti, la diocesi di Roma aderisce con convinzione al richiamo alla conversione del cuore invocata da Benedetto XVI di fronte ai peccati dei sacerdoti. Il Vicariato, conclude la nota, “è impegnato a perseguire con rigore, secondo le norme della Chiesa, ogni comportamento indegno della vita sacerdotale”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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    Vienna: leader religiosi chiedono l’accesso universale alle cure dei malati di Aids

    ◊   Un accorato appello a garantire l’accesso universale alle cure per le persone affette da Hiv, arriva da parte dei leader di varie religioni riuniti a Vienna per la Conferenza mondiale sull’Aids che si chiude oggi. In occasione della conferenza “Aids 2010”, infatti, riporta L’Osservatore Romano, si sono ritrovati nella capitale austriaca esponenti cristiani, ebrei, musulmani, indù, buddisti e sikh provenienti da 185 Paesi, che hanno avuto la possibilità di confrontarsi sul tema “Rights here, rights now” individuando nell’accesso alle cure il migliore strumento di prevenzione e contrasto alla diffusione del contagio. Secondo i dati, infatti, oggi nel mondo le persone infettate sono 33 milioni, ma solo il 40% di esse ha effettivamente la possibilità di curarsi. L’obiettivo, invece, è giungere a un accesso universale, che non discrimini più nessuno in base alla sua natura razziale, di condizioni socioeconomiche o di orientamento sessuale. È una “questione fondamentale di giustizia”, afferma il World Council of Churches (Wcc), che già cinque anni fa a Gleneagles, in Scozia, era riuscito a ottenere l’impegno dei Paesi del G8 a raggiungere l’obiettivo dell’accesso universale entro il 2010 e oggi disatteso. La questione è stata ribadita anche nella riunione organizzata nel marzo scorso nei Paesi Bassi dall’Ecumenical Advocacy Alliance (Eaa), la rete ecumenica che riunisce le comunità religiose e le organizzazioni che lottano contro la fame nel mondo e le malattie. A tale proposito, il presidente del board of directors dell’Eaa, Richard Fee, ha detto: “L’impegno all’azione delle comunità religiose chiama a una più forte e maggiore visibilità nelle strategie di contrasto alla pandemia”. Uno studio pubblicato nel 2007 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha esaltato il ruolo delle comunità e delle organizzazioni religiose e la collaborazione con le agenzie sanitarie pubbliche dei vari Paesi. Nel 1996, infine, il Wcc ha pubblicato il documento “Hiv/Aids: la risposta delle comunità religiose”, in cui si denuncia la discriminazione nei confronti dei sieropositivi e si cita, tra l’altro, la mancanza di un’educazione efficace che possa portare a un cambiamento di mentalità che ponga al centro dell’attenzione la persona e i suoi diritti. (R.B.)

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    Pakistan: avvocato musulmano contro la legge sulla blasfemia. Dopo 14 anni libera una donna

    ◊   La legge sulla blasfemia e l’estremismo islamico “sono i mali oscuri della società pakistana”, “ne turbano gli equilibri, l’armonia, la legalità”: è quanto dice in un colloquio con l’agenzia Fides Muhammad Aslam Khaki, giurista e avvocato musulmano, all’indomani della barbara uccisione dei fratelli Emmanuel a Faisalabad. Aslam Khaki, impegnato a tutto campo per la difesa dei diritti umani e contro il fondamentalismo religioso in Pakistan, oggi difende alcuni imputati accusati di blasfemia, anche cristiani. Per questo subisce non di rado “pressioni e minacce”, che non hanno però scalfito il suo impegno per la legalità. Sul caso dei fratelli Emmanuel, Aslam Khaki “condanna apertamente la violenza. Nessuno può farsi giustizia da solo: questo è un principio cardine nello Stato di diritto. I due cristiani, inoltre, erano innocenti e il tribunale li aveva scagionati. Questi avvenimenti sono ferite alla legalità e al rispetto dei diritti umani, che il Pakistan deve curare”. Sono ferite create dalla discussa “legge sulla blasfemia, che crea disarmonia nella società e problemi specialmente alle minoranze religiose. E’ una legge di cui non abbiamo bisogno nel Paese". L’avvocato si dice favorevole all’abolizione della legge, ma questo, sottolinea, “dipende dal Parlamento e credo sarà molto difficile che accada. I politici, infatti – rimarca – subiscono le pressioni dei gruppi islamici radicali che minacciano proteste e rivolte di piazza. Si teme cioè, la perdita di consensi, anche perchè la gente comune si fa influenzare e, trascorsi oltre 20 anni da quando è in vigore, pensa che la legge serva a difendere il nome del Profeta”. La legge viene abusata per controversie di ogni genere e vendette personali. Inoltre spesso persone innocenti passano in carcere due o tre anni prima di essere scagionati e assolti. E' di ieri infatti la notizia ripresa dall'agenzia AsiaNews che l’Alta corte di Lahore ha ordinato il rilascio, dopo 14 anni di galera, di una donna accusata di blasfemia. La rilasciata era stata rinchiusa senza processo nel braccio per malati mentali della prigione locale dal 1996. All’epoca, venne accusata di aver dissacrato il Corano e le autorità, senza prove, ne decisero l’arresto. Oggi il giudice a capo della Corte, Khawaja Mohammad Sharif, ha spiegato di "aver ordinato il rilascio della donna, contro la quale non sono state trovate prove". L’uomo ha espresso "dispiacere" per la sua lunga e ingiusta detenzione. La donna venne arrestata nella cittadina di Rawat, vicino alla capitale Islamabad, dopo che un vicino di casa sostenne di averla vista dissacrare il Corano. (R.P.)

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    India. Jammu-Kashmir: ignoto al governo l'ordine di espulsione di padre Borst

    ◊   Il primo ministro del Jammu-Kashmir, Omar Abdullah, e Samuel Vargeese, commissario degli interni, hanno dichiarato ieri di non essere al corrente dell’ordine di espulsione inviato due settimane fa a padre Jim Borst, missionario cattolico olandese. Padre Jim Borst è l’unico membro dell’istituto missionario Mill Hill nella valle del Kashmir, dove abita dal 1963. Dal 1997 dirige due scuole rinomate in Kashmir per la qualità dell’insegnamento, una a Pulwama e l’altra a Shivpora, in Srinagar. Tutta la diocesi di Jammu-Srinagar - riferisce l'agenzia AsiaNews - aveva espresso grande dolore e stupore alla notizia dell’imminente espulsione di padre Borst, anche perché al missionario era stato rinnovato il permesso di soggiorno fino al 2014 appena quattro mesi fa. Mons. Peter Celestine, vescovo della diocesi di Jammu-Srinagar, si è incontrato ieri con il primo ministro Omar Abdullah per chiedere la revoca dell’avviso di espulsione. Il vescovo ha raccontato ad Asianews l’incredibile esito dell’incontro: “Il primo ministro era sorpreso del fatto. Omar Abdullah è anche ministro degli interni e ha affermato che nessun avviso di lasciare il Paese è partito dal suo ministero. Anzi, mi ha confermato che gli avevano rinnovato il permesso di soggiorno. Mi ha assicurato che investigherà e ci farà sapere”. Joseph Dhar, ex bramino indù convertito al cattolicesimo e amico di padre Borst, ha dichiarato che anche Samuel Vargeese, commissario degli interni, non era a conoscenza dell’ordine di espulsione. “Resta da capire da chi è partito l’avviso di espulsione - ha detto Joseph Dhar - l’intera faccenda è un mistero. Il vescovo, padre Borst e tutti i fedeli sono confusi”. (R.P.)

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    Indonesia: per i vescovi le violenze anti-cristiane sono anche il frutto del proselitismo di sette evangeliche

    ◊   Le ricorrenti violenze anti-cristiane ad opera di fondamentalisti islamici in Indonesia sono anche il frutto dell’aggressivo proselitismo di alcune sette cristiane evangeliche. Ad affermarlo in un’intervista all’agenzia Ucan è padre Antonius Benny Susetyo, segretario esecutivo della Commissione per gli affari ecumenici e interreligiosi della Conferenza episcopale indonesiana (KWI). “I gruppi evangelici sono diventati un problema per la Chiesa cattolica e per le Chiese protestanti tradizionali, perché il loro modo di annunciare il Vangelo è troppo aggressivo e poco rispettoso delle culture locali”, ha detto il sacerdote. Questo provoca inevitabilmente reazioni da parte dei gruppi islamisti radicali, come è accaduto per gli attacchi dei giorni scorsi contro due Chiese protestanti nella provincia di Giava Occidentale. Padre Susetyo ha anche parlato della difficoltà a dialogare con gruppi evangelici disseminati nel Paese (circa trecento) e che non fanno parte della Comunione delle Chiese in Indonesia (Pgi): “È difficile dialogare perché non sono organizzati”, ha detto. Un altro problema è la difficoltà a trovare punti di intesa con questi gruppi: “Per loro evangelizzare è battezzare, mentre la Chiesa cattolica considera il battesimo come un’opera dello Spirito Santo. Per noi cattolici il nostro compito è di diffondere la Buona Novella di pace, amore e giustizia”, ha concluso padre Susetyo. Secondo un rapporto pubblicato l’anno scorso dal Setara Institute for Democracy and Peace, un organismo di ricerca per la promozione dei valori civili, l’intolleranza e le violenze religiose sono in aumento in Indonesia in questi ultimi anni. Le regioni dove si registra il più basso livello di tolleranza e dove aumentano le probabilità di conflitti di natura religiosa sono le province di Giava Occidentale, Sumatra Occidentale e Giakarta, mentre dai dati raccolti dall’inizio del 2008 ad oggi, si rileva che la gran parte delle violazioni alla libertà religiosa sono imputabili a gruppi islamici estremisti. A mettere in rilievo il crescente fondamentalismo in Indonesia è poi il Wahid Institute, che pure non manca di registrare nel Paese una consistente quota di musulmani moderati, leader e intellettuali in aperto contrasto con la crescita del fanatismo religioso. (L.Z.)

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    Malaysia: leader islamici contro simboli satanici o di altre religioni sulle maglie dei calciatori

    ◊   I calciatori musulmani e tutti i fedeli musulmani non dovrebbero indossare le magliette di calcio di squadre con simboli satanici né di altre religioni: ad esempio quelle del Manchester United, perchè raffigurano il diavolo; oppure di Milan e Barcellona che hanno nel loro emblema una croce, come pure le nazionali di Brasile, Portogallo, Barcellona, Serbia e Norvegia. E’ quanto affermano due ulama malaysiani in dichiarazioni pubbliche che hanno suscitato un ampio dibattito e le proteste dei giovani malaysiani. “Un musulmano non dovrebbe dare culto a simboli di altre religioni o a diavolo”, ha detto Nooh Gadot, ulama del Consiglio religioso di Johor, a Sud di Kuala Lumpur. Secondo il leader, le magliette del Manchester United, prestigioso club inglese, molto popolare in Malaysia, sono “peccaminose” e “pericolose” perché “glorificano il diavolo”: daltronde gli stessi giocatori del team sono chiamati “Red devils”, cioè “diavoli rossi”. Il leader ha detto che un vero musulmano non dovrebbe né comprarle ne accettarle in regalo. Il Manchester United ha un grande seguito nel Paese, tanto che nel 2006 è stato siglato un accordo promozionale tra la squadra e l’ente turistico della Malaysia. La Malaysia è un Paese dove l’islam ha un volto moderato ma, secondo gli studiosi “negli ultimi anni ha conosciuto un processo di progressiva islamizzazione che ha dato un ruolo privilegiato alla sharia sulla scena pubblica”, ha rimarcato all'agenzia Fides il missionario del Pime padre Paolo Nicelli, esperto dell’area. A farne le spese, in passato, sono stati anche i simboli di altre religioni, come accaduto per un controverso pronunciamento di alcuni leader musulmani contro l’antica pratica dello yoga, criticata perché contenente elementi indù. “Nel Paese è in corso il tentativo di proteggere i musulmani dalle contaminazioni di altre religioni e culture, e preservare la purezza dell’islam”, spiega frate Augustine, segretario della Conferenza episcopale della Malaysia. D’altro canto “le giovani generazioni tendono a non seguire tali indicazioni e a distanziarsi dalle prescrizioni religiose”. “La moda e lo stile di vita occidentali sono guardati con sospetto”, nota il religioso. “Secondo alcuni leader, la Malaysia dovrebbe diventare il paese musulmano modello del Sudest asiatico, sull’esempio dell’Arabia Saudita". (R.P.)

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    Il patriarca latino di Gerusalemme condanna l’irruzione di estremisti israeliani

    ◊   In una città come Gerusalemme, “Santa per le tre religioni monoteiste, ogni gruppo di credenti deve rispettare i diritti storici e i sentimenti religiosi degli altri”. Così, in un comunicato diffuso ieri sera dal Patriarcato latino di Gerusalemme, e ripreso dall’agenzia Sir, il Patriarca Fouad Twal ha condannato l’irruzione, avvenuta martedì scorso, di alcuni estremisti israeliani sul Monte del Tempio. “Tale provocazione mina la convivenza religiosa e deteriora la situazione già politicamente tesa”, scrive il Patriarca, che chiede al governo di Israele di punire gli autori del gesto e di adoperarsi per garantire che simili atti non si ripetano. (R.B.)

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    Zambia: dichiarazione dei vescovi sulla bozza della Costituzione

    ◊   È un’analisi attenta e dettagliata quella che la Conferenza episcopale dello Zambia (Cez) traccia a proposito della bozza della Costituzione presentata in questi giorni. In una nota diffusa ieri, i vescovi ricordano innanzitutto i motivi per cui hanno declinato l’invito a far parte della Conferenza nazionale per la Costituzione (Ncc). Tre le argomentazioni presentate: la struttura poco equilibrata della Ncc, comprendente soprattutto esponenti politici della maggioranza; l’ambiguità procedurale dei lavori e alcune carenze contenutistiche della bozza costituzionale che tralascia, ad esempio, il diritto al cibo, all’acqua e all’assistenza sanitaria. Certo, sottolinea la Cez, il documento provvisorio ha anche “alcuni elementi positivi” come “l’inclusione e il riconoscimento dei diritti per i nascituri e i disabili” o “la messa al bando della tortura e di tutte le altre forme di trattamento disumano”. Tuttavia, sono ancora molti i problemi da risolvere: l’eccessiva lunghezza del documento provvisorio, che lo rende “troppo complicato per un normale cittadino”; la brevità del tempo (40 giorni) a disposizione del pubblico, perché la bozza venga studiata e riconsegnata alla Ncc per l’approvazione definitiva; la poca chiarezza sulle successive fasi dell’iter legislativo. “Non è chiaro – scrivono i vescovi dello Zambia – cosa farà il Parlamento una volta ricevuto il documento provvisorio. E l’esperienza ci dimostra che i partiti in carica potrebbero voler modificare la bozza della Costituzione, avvalendosi della maggioranza parlamentare”. Inoltre, ribadisce la Cez, la Carta fondamentale provvisoria non stabilisce la giusta durata del periodo di transizione che segue le elezioni presidenziali; amplia in modo poco realistico la composizione dell’Assemblea Nazionale senza il dovuto riguardo dei costi e delle infrastrutture necessarie; crea troppe commissioni, molte delle quali senza nomina presidenziale ed elimina la costituzione di un collegio civico che revochi l’incarico a quei parlamentari che non operano secondo la volontà del Paese. “Il bene comune – si legge nella dichiarazione della Chiesa zambiana – è stato sempre sacrificato in nome degli interessi particolari di coloro che vogliono arricchirsi con il potere, ideando una Costituzione debole e parziale”. Per questo, “di fronte a tutte queste circostanze”, i vescovi ribadiscono che “non è possibile che la bozza della Costituzione, così come prodotta dalla NCC, abbia la legittimità necessaria, richiesta ad un documento del genere, per resistere nel tempo”. Quindi, la Cez lancia un monito: questa bozza costituzionale è solo uno dei tanti procedimenti che consumano denaro “e per un Paese povero come lo Zambia è una situazione inaccettabile, poiché è diventata una questione morale”. Di qui, il suggerimento avanzato dai vescovi di costituire un comitato tecnico provvisorio che si occupi della questione. In chiusura della loro dichiarazione, i presuli invitano la popolazione dello Zambia “a non perdere la speranza”. “Crediamo davvero – scrivono – alle parole di Gesù, ovvero che chi ha fame e sete di giustizia sarà soddisfatto! Preghiamo perché Dio benedica la nazione e quanto prima la popolazione abbia giustizia”. (I.P.)

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    Congo: nel Nord Kivu migliaia di persone continuano a fuggire per insicureza e minacce

    ◊   Sono arrivate persino a bussare alle porte di alcune delle parrocchie di Beni (uno dei principali centri abitati del Nord Kivu, ad est della Repubblica Democratica del Congo), per chiedere aiuto, intere famiglie di sfollati in fuga dai combattimenti e dall’insicurezza che prevale da alcune settimane in quella area della provincia congolese. “Migliaia di persone si trovano sull’asse settentrionale Beni-Eningiti, presso famiglie d'accoglienza o abbandonate alla loro sorte, ma ce ne sono moltissime anche qui in città” ha detto all'agenzia Misna un sacerdote locale congolese, che preferisce mantenere l’anonimato. Secondo le ultime stime in circolazione, sulle quali concordano sia fonti Onu che della società civile congolese, sarebbero circa 70.000 le persone fuggite negli ultimi giorni dagli scontri. La sicurezza nella zona è peggiorata da quando le forze armate regolari (Fardc) sono state inviate a combattere contro ribelli dei gruppi ugandesi (ma che contano molti congolesi) Adf-Nalu, attivi da anni nel Nord Kivu, nell’ambito dell’operazione ribattezzata “Ruwenzori”. “Ma le Adf non sono l’unico problema: da qualche tempo siamo minacciati da un nuovo gruppo di insorti, presunti coltivatori che protestano contro l’inserimento dei loro campi al patrimonio dei parchi nazionali. Hanno già reclutato di forza alcuni giovani, e stanno minacciando di rapire i nostri operatori sanitari per portarli nella foresta” ha detto la fonte religiosa. Ad alimentare le tensioni e le connivenze tra trafficanti e ribelli nella regione sarebbero soprattutto gli interessi nel commercio del legname. (R.P.)

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    Spagna: l’arcivescovo di Madrid confida nell’incostituzionalità della legge sull’aborto

    ◊   La speranza che la Corte costituzionale spagnola dichiari incostituzionale la legge sull’aborto approvata nel febbraio scorso, è stata espressa dall’arcivescovo di Madrid, cardinale Antonio Maria Rouco Varela, al margine del corso estivo “Dio nella società post secolare” in corso all’università di Avila, dove ha tenuto una conferenza. Il porporato, riferisce l'agenzia Sir, ha parlato come giurista e non da un punto di vista teologico o secondo la visione teologica del problema, ma facendo un’analisi teorica della questione: “La legge è incostituzionale in alcuni suoi aspetti – ha detto – è un’opinione che ha a che vedere con l’interpretazione della legge alla luce dell’articolo della Costituzione che garantisce il diritto alla vita di tutti, e risultato del modo in cui la Corte Costituzionale ha trattato la costituzionalità della prima legge, in cui ha dichiarato che l’embrione, il concepito, dal primo momento della sua esistenza, è un bene protetto costituzionalmente e che si piega solo davanti a un bene maggiore. Con questa giurisprudenza della Corte è molto difficile poter ammettere che sia libero l’aborto nelle prime 14 settimane di gravidanza”, ha concluso il cardinale, che ha parlato anche della Gmg di Madrid 2011, auspicando che essa porti “frutti spirituali, umani, sociali e culturali per tutta la Spagna”. Nel suo intervento al corso organizzato dalla facoltà di Teologia “San Damaso”, dall’università Ceu San Paolo e dall’ateneo cattolico di Avila, il cardinale Varela ha affrontato il tema della secolarizzazione dilagante che affligge il Paese: “In Spagna è frequente ridurre la cosa religiosa a un minimum insignificante, tanto nell’ambito individuale che in quello familiare – ha affermato – il numero delle giovani coppie che sottovalutano e non fanno attenzione all’educazione religiosa dei figli, aumenta”. Secondo il porporato, dunque, il primo dovere della Chiesa per la Pastorale odierna è dare testimonianza con le parole e con le opere: “Non sono molti gli spagnoli che si dichiarano apertamente atei, ma non sono pochi quelli che vivono come se Dio non esistesse”. Il porporato poi ha puntato il dito contro la leggerezza crescente con la quale si liquida la domanda sull’esistenza di Dio e il progressivo rafforzamento dell’ostilità alla fede, che emerge in conversazioni private e interventi pubblici, nelle aule come nei mezzi di comunicazione sociale. L’arcivescovo di Madrid annovera tutte queste come cause della crisi di valori morali che attanaglia la società di oggi, dalla quale derivano la destrutturazione della famiglia, la corruzione nell’amministrazione pubblica e negli affari, il principio ideologico del relativismo etico, che s’insinua nei comportamenti quotidiani come forma di autogiustificazione. Da qui la necessità e l’urgenza di tornare ad annunciare Dio, “partendo dall’amore e dalla carità di Cristo”, conclude il cardinale. (R.B.)

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    Bogotà: a conclusione della riunione del Celam, incontro sul post terremoto ad Haiti

    ◊   A conclusione della Riunione di coordinamento del Celam, si tiene oggi a Bogotá, in Colombia, un incontro sul dopo terremoto in Haiti con la partecipazione dei presidenti delle Conferenze episcopali di America Latina e Caraibi. La consultazione avviene su richiesta di mons. Louis Kébreau, a capo dell’episcopato haitiano. Obiettivo dell’iniziativa è quello di quantificare l’ammontare della ricostruzione dei beni della Chiesa e di valutare necessità e priorità nell’ambito della formazione del clero. Le conseguenze del sisma del 12 gennaio scorso, in cui circa 250mila persone hanno perso la vita, restano evidenti nella capitale Port-au-Prince e in altri centri del Paese, con le operazioni di rimozione delle macerie tuttora in atto e il processo di riedificazione paralizzato per la mancanza di un piano organico e la carenza di aiuti economici. All’indomani della catastrofe nello Stato caraibico, il più povero dell’emisfero occidentale, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti ha varato un piano di sostegno per la Chiesa sorella di Haiti, supportato dalla Colletta nazionale tenutasi in tutte le diocesi statunitensi il 16 e 17 gennaio; il progetto, articolato in tre fasi e della durata di un quinquennio, ha puntato nei primi mesi di attività ad assicurare assistenza medica, distribuzione di viveri, ripristino di strutture idriche ed igienico-sanitarie, alloggi di emergenza, protezione di orfani e bambini vulnerabili. Nell’organizzazione dei soccorsi l’episcopato degli Stati Uniti opera in stretto contatto con la Chiesa in Haiti, attraverso visite frequenti alle zone terremotate del cosiddetto “Gruppo consultivo per Haiti”, composto dal cardinale arcivescovo di Boston, Sean O’Malley, da mons. José Gómez, arcivescovo di San Antonio, e dall’ausiliare di Brooklyn, mons. Guy Sansiracq, originario di Haiti. (A cura di Marina Vitalini)

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    Allarme in Sri Lanka per la diffusione della dengue

    ◊   La terza settimana di agosto nello Sri Lanka ricorrerà la Settimana nazionale della prevenzione della dengue, malattia che si diffonde con rapidità soprattutto nella stagione dei monsoni, appena iniziata. Fino al 20 luglio, sono i dati del Ministero della Sanità locale riportati dalla Fides, si registravano 21.486 casi di contagio in tutto il Paese, con 158 morti e si prevede un peggioramento della situazione nei prossimi giorni. Secondo gli esperti, la causa principale dell’eccezionale velocità di diffusione risiede nella scarsa igiene che favorisce la riproduzione del mosquito vettore. (R.B.)

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    Amnesty International denuncia la situazione di pericolo per i giornalisti in Somalia

    ◊   In occasione della Giornata dei diritti umani dei somali, Amnesty International ha chiesto alle autorità di governo e ai gruppi armati d’opposizione di “impegnarsi a rispettare la libertà d’espressione”. Il documento redatto si intitola “Notizie difficili: le vite dei giornalisti in pericolo in Somalia”, riporta l'agenzia Sir, e in esso si parla dell’ondata di arresti e interrogatori di giornalisti dell’ultimo periodo nel Paese, che si va ad aggiungere all’assassinio di 10 reporter in 18 mesi. “Le autorità somale devono indagare – le esorta Michelle Kagari, vicedirettrice del Programma Africa di Amnesty – e assicurare che la libertà di espressione sia rispettata”. Nel 2009 sono stati 9 i giornalisti uccisi in Somalia, il più alto numero dal 1991; nei primi mesi del 2010, invece si registra già un morto e molti rapiti o perseguitati da gruppi armati. (R.B.)

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    Rwanda: finalmente arriva l’acqua potabile nella provincia di Byumba

    ◊   Sono state completate e inaugurate 12 delle 57 fontane che il Movimento Lotta Fame nel Mondo ha in programma di costruire per portare l’acqua potabile nella provincia di Byumba, nel nord del Rwanda, un’area dove il difficile accesso alle risorse idriche complica la vita di 65mila abitanti. Una di esse servirà la scuola primaria di Kagamba, dove studiano oltre 700 alunni. Da più di due anni, riporta l’agenzia Fides, l’associazione ha intrapreso i lavori di ricerca sorgenti, scavo del terreno e costruzione delle strutture che culmineranno nella realizzazione di un acquedotto lungo oltre 40 km, utile a risolvere i problemi idrici della regione e, di conseguenza, le questioni di igiene, salute pubblica e tutela ambientale che ne derivano. La prima fase dei lavori, il pompaggio dell’acqua fino a 1950 metri di altitudine, è già stata completata nei mesi scorsi. (R.B.)

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    Al via in Brasile il progetto “Chiese sorelle in Amazzonia”

    ◊   L’incaricata del Consiglio permanente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, sorella Maria Irene Lopes dos Santos, già membro della Commissione episcopale per l’Amazzonia, partirà per un viaggio che la porterà a visitare le città più distanti della regione amazzonica per raccogliere informazioni per la Chiesa. Il viaggio rientra in un ampio progetto di mappatura delle città che si chiama “Chiese sorelle in Amazzonia – spiega la religiosa – in modo da conoscere meglio le realtà delle nostre comunità più distanti e raccogliere dati e informazioni rilevanti per la Chiesa, come il numero di sacerdoti, religiosi e seminaristi in quella regione”. La prima tappa, riferisce L’Osservatore Romano, sarà Eirunepé, nella regione dello Juruà, diocesi di Cruzeiro do Sul. L’obiettivo dell’iniziativa è fare in modo che altre Chiese particolari, principalmente del centro-sud del Brasile, “adottino” quelle più bisognose di aiuto, inviando missionari e personale specializzato per formare guide e sviluppare la pastorale. “L’importanza dell’azione della Chiesa al servizio della comunità – è la testimonianza della suora – è fondamentale”, soprattutto in aree in cui imperversano la prostituzione minorile, il consumo di droga e l’alcolismo. A Eirunepé ci sono solo tre sacerdoti, tre religiose francescane e alcune pastorali attive. (R.B.)

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    Usa: on-line le linee guida dei vescovi per l’uso dei media sociali nella Chiesa

    ◊   Aiutare a conoscere e a utilizzare al meglio i nuovi strumenti di socializzazione come Facebook, Twitter e Myspace e i blog per farne dei nuovi efficaci mezzi di evangelizzazione. Questo l’obiettivo delle linee guida per l’uso dei media sociali nella Chiesa preparate dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) e on-line dai primi di luglio. Il vademecum è rivolto principalmente alle diocesi e alle parrocchie negli Stati Uniti, ma anche a singoli fedeli interessati a questa nuova forma di comunicazione che sta rivoluzionando il web e il modo di relazionarsi delle persone. Il boom dei social network, soprattutto tra le nuove generazioni, offre infatti nuove importanti opportunità per annunciare il Vangelo di Cristo. Per questo, rilevano le linee guida, “la Chiesa non può ignorare il fenomeno, ma allo stesso tempo deve favorire un uso sicuro, responsabile e civile dei media sociali”. In particolare, essa “può usarli per promuovere il rispetto, il dialogo e quindi relazioni di amicizia autentiche. Per fare ciò deve considerare i media sociali come un potente strumento di evangelizzazione e impegnarsi a cristianizzare la cultura digitale”, sottolineano le linee guida, citando le considerazioni di Benedetto XVI nel Messaggio per la 43.ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali. Il vademecum individua tre requisiti fondamentali per un medium sociale di successo: la visibilità, la dimensione comunitaria e la responsabilità. Nel mondo dei social network non basta esistere, occorre segnalare regolarmente la propria presenza per fidelizzare i propri utenti. Per la loro stessa natura i social network possono inoltre contribuire a rafforzare la coesione di una comunità, a condizione che i rapporti interpersonali creati in rete non si sostituiscano ai rapporti personali diretti. È quindi importante, sottolineano le linee guida, “che i creatori e gli amministratori dei media sociali cattolici abbiano ben chiara la differenza con i mass media e i loro fruitori”. Infine un terzo requisito fondamentale è costituito dalla responsabilità. Le linee guida propongono l’esempio del sito Facebook della Conferenza episcopale in cui vigono regole ben precise per partecipare: tra queste che i post e i commenti siano improntati alla carità cristiana e al rispetto della verità, che la discussione su un determinato argomento sia affrontato in una prospettiva di fede e che non si faccia pubblicità. Le linee guida della Usccb, sono sul sito www.usccb.org/comm/social-media-giodelines.shtml ed esistono anche in edizione cartacea. (L.Z.)

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    Seminario dei giornalisti cattolici del Congo dedicato all’integrazione in Africa

    ◊   “Le sfide dell’integrazione regionale nell’Africa centrale ed australe”: su questo tema rifletteranno, fino a domani, i giornalisti e gli operatori dei mass media cattolici provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Congo Brazzaville. Su invito dell’Unione cattolica internazionale della stampa, sezione di Kinshasa, infatti, è in corso un seminario di formazione dedicato a tale tema, con lo scopo, informa una nota, di “suscitare una presa di coscienza delle responsabilità sociali dei giornalisti cattolici nella scelta di questioni legate all’integrazione regionale, in vista di un agire responsabile”. L’incontro è stato organizzato come fase preparatoria al Congresso mondiale dei giornalisti cattolici che si svolgerà a Ouagadougou, in Burkina Faso, dal 12 al 19 settembre prossimi e che rifletterà sui “Mass media al servizio della giustizia, della pace e della buona governance, in un mondo di disuguaglianza e di povertà”. E per la prima volta, sarà l’Africa ad ospitare un simile Congresso. Come spiegano gli organizzatori, il Convengo mondiale sarà “un’ottima occasione per comprendere meglio qual è la vita in Africa nei suoi differenti aspetti”. Si tratterà, quindi, di “un forum unico per discutere, insieme ad esperti africani e direttamente su suolo africano, la vera realtà del Continente”. Inoltre, il Congresso mondiale “offrirà un’opportunità eccezionale per capire la Chiesa in Africa e per condividerne le preoccupazioni e le prospettive”. (I.P.)

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    Austria: convegno sull'esodo di immigrati e rifugiati verso l'Europa

    ◊   Un convegno di studio sull’esodo di immigrati e rifugiati verso l’Europa dalle loro terre di origine è al centro di un convegno di studio promosso oggi e domani presso l’Abbazia di Lambach, nell’Alta Austria, dalle religiose e dai religiosi austriaci, in collaborazione con la Caritas e il Coordinamento per lo Sviluppo e la Missione dell’episcopato del Paese. “La fuga: dimensioni di un dramma”: il titolo dell’incontro sintetizza la modalità e, spesso, il tragico epilogo della ricerca di un futuro migliore da parte di milioni di persone costrette a lasciare la loro patria a causa di guerre, fame, persecuzioni, terremoti ed altre catastrofi naturali. Molti di loro non sopravvivono alla sete, al freddo, alla fame, alle tempeste: per loro il Mediterraneo diviene l’ultima dimora. Altri sono respinti dal Paese che avrebbe dovuto accoglierli; altri ancora, più fortunati, riescono ad entrare e a restare mediante la richiesta di asilo. Obiettivo della due giorni è quello di approfondire le cause che determinano l’emigrazione di massa e le ragioni politiche, sociali ed economiche che spingono a considerare l’asilo come minaccia; nello stesso tempo si desidera accrescere la sensibilizzazione nei confronti dei migranti e ricercare una più efficace risposta di solidarietà da parte delle comunità cattoliche e dei singoli fedeli. Tra i relatori di fondo, Elias Bierdel, scrittore e giornalista, attivista di “Diritti umani senza frontiere”, parlerà della reazione dell’Europa nei confronti del fenomeno migratorio, mentre sr. Petra Bigge, delle Missionarie di Steyl, si soffermerà sulla guerra come fattore di fuga. Da parte sua, mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, in India, evocherà la persecuzione contro i cristiani attuata nella sua arcidiocesi negli anni 2007-2008, in cui centinaia di persone sono state uccise e migliaia costrette alla fuga. (M.V.)

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    Il “Viaggio dell’Amicizia” di Rondine: la delegazione è giunta in Abkhazia

    ◊   Nuova tappa, ieri, a Sukhumi, nel cuore dell’Abkhazia, per la delegazione dell’associazione Rondine-Cittadella della Pace che sta compiendo il “Viaggio dell’Amicizia” per diffondere nel Caucaso un documento in 14 punti sul tema della pace e della convivenza tra i popoli. L’Abkhazia, riferisce all'agenzia Sir che sta seguendo il viaggio con un suo inviato, è una piccola regione autoproclamatasi indipendente dalla Georgia e costituisce attualmente una delle zone più problematiche dell’area. Dalla guerra tra Russia e Georgia, nel 2008, molti georgiani hanno abbandonato il territorio e quella di ieri è stata la prima occasione, dopo molto tempo, in cui la città ha ricevuto la visita di studenti internazionali, tra cui molti caucasici, entrati attraverso Zugdidi. Lo scenario che si è presentato ai loro occhi non è stato confortante: ovunque strade dissestate, invase dagli animali, case distrutte o abbandonate, pochi abitanti rimasti e sparpagliati su un’area molto vasta. Prima di arrivare a destinazione, però, la delegazione ha fatto una sosta a Gori, la città natale di Stalin, in Georgia: qui la situazione è completamente diversa e la maggior parte degli edifici è stata ricostruita, anche se ben più difficile è ricucire le ferite nei cuori della gente, in cui è ancora vivo il ricordo di quei giorni terribili. (R.B.)

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    24 Ore nel Mondo



    Corte di giustizia dell'Aja: l'indipendenza del Kosovo non ha violato il diritto internazionale

    ◊   La proclamazione di indipendenza del Kosovo del 17 febbraio 2008 “non ha violato il diritto internazionale generale, né la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite”: con queste parole la Corte di giustizia dell'Aja ha espresso, ieri, il proprio parere sull’autoproclamazione d’indipendenza di Pristina dalla Serbia. Anche se con valore consultivo, il pronunciamento ha subito innescato reazioni: il premier kosovaro Hashim Tachi ha parlato di ''vittoria storica'', mentre il presidente della Serbia, Boris Tadic, ha precisato che Belgrado non riconoscerà ''mai l'indipendenza del Kosovo''. Gli Stati Uniti hanno accolto con soddisfazione la decisione dell’Aja; la Russia ha sottolineato invece che il parere non costituisce “una base legale per l'indipendenza” di Pristina. Sulla decisione dell’Aja, Giada Aquilino ha raccolto il commento di Mauro Ungaro, direttore del settimanale dell’arcidiocesi di Gorizia La Voce Isontina, che da sempre si occupa di questioni balcaniche:

    R. – Credo che si possa leggere come un “non-punto” a favore di Belgrado. In fondo, il quadro internazionale dopo questa pronuncia della Corte dell’Aja non cambia molto. Adesso il Tribunale dell’Aja dovrà portare la propria decisione, a fine agosto o ai primi di settembre, dinanzi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e sappiamo che lì il peso della Serbia è indubbiamente diverso.

    D. – La risposta della Serbia è che non riconoscerà mai il Kosovo e che la parola, appunto, passa all’Assemblea generale dell’Onu. Adesso, quale sarà la linea di Belgrado?

    R. – La Serbia è impegnata su un fronte molto importante, che è quello dell’adesione all’Unione Europea. Non può perdere questa occasione, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo della propria economia. A mio parere, la nascita di un Kosovo indipendente ormai è un dato di fatto, senza dimenticare però che parte del territorio del Kosovo, come ricordava anche il cardinale Kasper in un intervento di aprile, è in fondo la culla e l’origine dell’ortodossia serba.

    D. – I timori della comunità internazionale ora sono per il Nord del Kosovo, per esempio per Mitrovica, divisa in due tra comunità serba e comunità albanese. C’è il rischio di nuove tensioni?

    R. – Ci potrebbero essere delle tensioni, ma momentanee. Sostanzialmente, credo che tutte e due le parti, in questo momento, guardino all’Unione Europea. La dichiarazione della Corte dell’Aja, in fondo, dice che il Kosovo può essere indipendente. Questo è un punto che non viene accettato da quegli Stati dell’Unione Europea che finora non hanno riconosciuto il Kosovo, perché hanno al loro interno delle minoranze etniche che potrebbero prendere spunto proprio da questa dichiarazione di indipendenza per avanzare delle pretese. L’Unione Europea ha un ruolo importantissimo nel futuro del Kosovo e mai come in questo momento, dopo la dichiarazione di ieri, un’Unione Europea unita può effettivamente dire molto sul futuro del Kosovo. Un Kosovo indipendente dovrà sempre più entrare in un’ottica europea per cercare di porre fine alla corruzione interna e ad un’economia che dipende troppo, in questo momento, dagli aiuti internazionali.

    Kosovo, arresto governatore banca centrale
    Il governatore della Banca centrale del Kosovo è stato arrestato oggi nel quadro di un’inchiesta per corruzione ed evasione fiscale. Lo ha fatto sapere la Missione europea di polizia e di giustizia nella regione.

    Colombia-Venezuela
    Improvvisa impennata della tensione in America Latina. Il presidente venezuelano, Hugo Chavez, ha concretizzato la minaccia lanciata un paio di settimane fa ed ha annunciato la rottura dei rapporti diplomatici con la Colombia. Poco dopo il ministro degli Esteri, Nicolas Maduro, ha dato 72 ore di tempo ai diplomatici di Bogotà per chiudere l'ambasciata e lasciare Caracas. Ce ne parla Francesca Ambrogetti:

    Il primo atto di questa crisi annunciata era avvenuto poche ore prima: nel corso dell’Assemblea straordinaria dell’Organizzazione degli Stati americani, l’ambasciatore colombiano aveva accusato il Venezuela di consentire la presenza operativa nel suo territorio di 1500 guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia. “Non potevamo fare altrimenti: è una questione di dignità!”, ha detto Chavez che ha attaccato duramente il presidente colombiano Alvaro Uríbe, affermando che agisce istigato dagli Stati Uniti. “Siamo a rischio di guerra”, ha aggiunto. Il segretario generale delle Nazioni Unite ha lanciato un appello ai due Paesi: “Risolvete le vostre differenze con il dialogo”, ha detto Ban Ki-moon. A Washington, il portavoce del Dipartimento di Stato ha affermato che la rottura dei rapporti non è stato un buon modo di agire. Intanto, proprio ieri il presidente eletto della Colombia, Juan Manuel Santos, che verrà insediato il 7 agosto, ha iniziato in Messico un viaggio in America Latina, primo passo di una politica estera che prevede un maggiore avvicinamento ai Paesi del continente, compreso il Venezuela.

    Iraq-Stati Uniti
    “È ora che i dirigenti iracheni esercitino le loro responsabilità costituzionali e formino un governo senza ritardi”, è l’esortazione espressa dal presidente Usa Obama a quattro mesi dalle elezioni parlamentari irachene, Incontrando l'ambasciatore americano a Baghdad, Christopher Hill ed il comandante delle truppe statunitensi nel Paese, generale Ray Odierno. Dallo scorso 7 marzo, data delle elezioni politiche, i partiti non sono riusciti a trovare un accordo per la formazione del futuro esecutivo. L’amministrazione americana ha intanto confermato il ritiro, per la fine di agosto, di 50 mila soldati, come previsto dal piano di ridispiegamento concordato con le autorità di Baghdad. Sul terreno però continuano a registrarsi violenze: ieri nella capitale sono rimasti uccisi tre "contractors" dopo il lancio di alcuni razzi. A Mosul due civili sono morti in altrettanti scontri a fuoco.

    Afghanistan: abbattuto elicottero Nato, muoiono due soldati
    Un gruppo di ribelli afghani ha abbattuto un elicottero della Nato nel distretto di Lashkar Gah, nella provincia di Helmand, uccidendo due soldati della coalizione internazionale. Lo ha detto all’Afp il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahed, mentre l’Isaf, International Security Assistance Force, ha fatto sapere che l’incidente è ancora “sotto indagine”. Negli ultimi due mesi le perdite delle truppe straniere in Afghanistan sono salite in modo significativo, con 102 morti a giugno, mentre dall’inizio dell’anno sono stati 309 i soldati dell’Isaf che hanno perso la vita. Intanto, questa mattina numerose personalità afghane sono state ricevute dal presidente Karzai a cui hanno richiesto di accelerare la costituzione di un Alto Consiglio di Pace che possa mediare fra l’opposizione armata ed il governo. L’organismo dovrebbe essere composto da parlamentari, membri di consigli provinciali anziani tribali ed altri rappresentanti politici.

    Mauritania: fallito blitz dell’esercito per liberare ostaggio francese
    E’ fallito questa mattina, il blitz dell’esercito mauritano scattato per liberare Michel Germaneau, il cittadino francese caduto il 19 aprile scorso nelle mani dei terroristi islamici. Nell’attacco, avvenuto in un’area desertica del Paese, contro una base usata come rifugio dai militanti di Al-Qaeda, sono stati uccisi 6 terroristi. “Il gruppo di terroristi obiettivo dell’esercito mauritano - spiega il ministero della Difesa francese in una nota - è quello che ha giustiziato un ostaggio britannico un anno fa, e che rifiuta di dare prove dello stato di salute e di intraprendere un dialogo per la liberazione del nostro connazionale”. L’operazione, precisa ancora la Difesa francese, “ha permesso di neutralizzare il gruppo di terroristi e di far fallire un progetto di attacco contro obiettivi in Mauritania”.

    Burundi - elezioni
    Alte misure di sicurezza, ma nessuno scontro finora in Burundi, oggi nuovamente alle urne per eleggere i 100 deputati che dovranno formare il Parlamento. Si tratta della penultima tappa di una lunga maratona elettorale che si concluderà a settembre, e che nelle comunali e poi nelle presidenziali di giugno ha visto prevalere il partito del presidente uscente, Pierre Nkurunziza, unico candidato in lista e riconfermato per un secondo mandato. Anche oggi è lui il grande favorito, mentre l’unica vera formazione all’opposizione, il partito tutsi “Uprona”, boicotta il voto, lamentando brogli e un costante clima di tensione. Per una lettura della situazione nel Paese africano impegnato in questo importante percorso elettorale, Gabriella Ceraso ha sentito Angelo Inzoli della rivista “Popoli”:

    R. - Bisogna dire che questo governo, nei cinque anni, ha governato come ha potuto. Il Burundi rimane un Paese molto povero e stremato da 15 anni di tensioni. Stremato perché la sua economia si è ridotta ai minimi termini, perché la gente si sente ostaggio di élites politiche che la usano e non sono poi in grado di incidere, con delle scelte, per il benessere del Paese. In questi cinque anni, quindi, Nkurunziza non aveva grandi possibilità, però possiamo certamente dire che ha dilapidato il patrimonio di fiducia anche internazionale nei confronti della sua iniziativa politica. Con questo non ha annullato la sua capacità di controllo del Paese, anzi. Quello che lui ha fatto è stato eliminare l’opposizione interna al partito, ha creato una situazione di difficili rapporti con il mondo dei media. E' un leader che si è costruito politicamente con una guerra e quando il potere lo si prende, lo si tiene fino alla fine.

    D. - Tutt’ora, comunque, rimane Nkurunziza il favorito, nonostante il boicottaggio dell’opposizione. Che ne sarà, dunque, alla fine di questa tornata elettorale?

    R. - Penso che ci sarà una sostanziale conferma della situazione attuale e dello status quo, perché questa classe politica gode ancora di una certa legittimità, ancora non ha avuto il tempo di dimostrare che farà esattamente il contrario. Sicuramente nelle opposizioni - quelle che si sono ritirate - ci sono delle figure politiche che vengono dalla società civile, delle figure interessanti che parlano però ad un Burundi che esisterà forse tra 30 anni, perché parlano di una classe media, di un Burundi istruito e che cerca altre alternative.

    D. - Si tratta, quindi, di un cambiamento più apparente che reale, in sostanza…

    R. - Un cambiamento che richiede ancora del tempo. E’ comunque una dinamica positiva il fatto che ci siano state le elezioni, anche se non c’è ancora la capacità di appropriarsi del meccanismo democratico.

    Sudan - Ue
    Dura presa di posizione dell’Unione Europea nei confronti del presidente sudanese Al Beshir, accusato di genocidio e crimini di guerra per il conflitto in Darfur. L'Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Catherine Ashton, ha chiesto al Ciad di arrestare il capo di Stato. A N'djamena, infatti, è in corso il vertice delle Comunità dei Paesi Sahelo-Sahariani al quale partecipa lo stesso Al Beshir.

    Egitto
    Il presidente Mubarak è ricomparso in televisione per la prima volta, ieri sera, da quando lo scorso marzo, ha avuto problemi di salute che hanno suscitato congetture sulla sua successione. Il leader - 82 anni - ha tenuto un discorso in diretta sulla televisione di Stato in occasione del 58.mo anniversario della Rivoluzione.

    Marea Nera
    Nel Golfo del Messico stop alle attività di chiusura della falla, all'origine della marea nera, e alle attività di ripulitura delle acque contaminate dal petrolio per l'arrivo della tempesta tropicale "Bonnie", prevista per le prime ore di domani. Circa 2000 persone e centinaia di navi hanno iniziato le operazioni di evacuazione. Per saperne di più ascoltiamo il servizio di Elisa Castellucci:

    Si è formata nei pressi delle isole Bahamas, ed è stata battezzata “Bonnie”, la temuta tempesta tropicale che raggiungerà la zona del Golfo del Messico dove la Bp sta tentando da 3 mesi di tamponare la fuoriuscita di petrolio dal pozzo sottomarino danneggiato. Lo ha annunciato oggi il Centro nazionale uragani riferendosi alla seconda tempesta della stagione individuata nell’Atlantico e che al momento sta procedendo ad una velocità di 25 km orari. In vista dell’arrivo per le prime ore di domani, le autorità americane hanno deciso di evacuare 215 navi e le circa 2 mila persone impiegate nelle operazioni di bonifica del greggio fuoriuscito dal pozzo. Di comune accordo con le autorità Usa, la Bp ha fatto sapere in un comunicato che “il pozzo sottomarino, è stato tappato sette giorni fa e che per il momento resterà chiuso, assicurando che continuerà a monitorarlo finché le condizioni meteo lo consentiranno”. Secondo il responsabile per Washington delle operazioni nel Golfo a causa di "Bonnie", le attività sul pozzo potranno subire un ritardo fra i 10 e 14 giorni. Intanto, continuano ad arrivare stime sui danni che la marea nera provocherà all’economia dell’intera area statunitense del Golfo del Messico. Una ricerca della Oxford Economics ha calcolato che il disastro ambientale potrebbe far perdere in tre anni 22,7 miliardi di dollari in proventi del turismo agli Stati dell’Alabama, Florida, Mississippi e Texas.

    Filippine ciclone
    È salito a 111 morti e 45 dispersi il bilancio delle vittime del ciclone che la scorsa settimana ha flagellato le Filippine. ''Non perdiamo la speranza di ritrovare ancora vivo qualcuno di loro. Potrebbero trovarsi in mare alla deriva'', ha dichiarato Benito Ramos, responsabile della Protezione Civile del Paese asiatico. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Elisa Castelucci)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 204

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