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Sommario del 31/01/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'Angelus: carità, via della perfezione. Appello per Termini Imerese e Portovesme. Preghiera per i malati di lebbra, la pace in Terra Santa e i giovani nel giorno di Don Bosco
  • I ragazzi dell'Azione cattolica in Piazza San Pietro per la Carovana della Pace
  • Mons. Oder: Papa Wojtyla, un mistico che ha guardato il mondo con gli occhi dell'uomo
  • Oggi in Primo Piano

  • Traffico di bambini ad Haiti: arrestati 10 cittadini Usa
  • Giornata di preghiera per la Terra Santa. Padre Pizzaballa: necessari coraggio e profezia
  • Giornata mondiale dei malati di lebbra per vincere la lebbra dell'egoismo
  • Caso Crisafulli: la Comunità Papa Giovanni XXIII pronta ad accogliere Salvatore
  • Anno Sacerdotale: la testimonianza di un cappellano di bordo
  • La Chiesa ricorda San Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani
  • Presentato a Roma un volume di arte e fede sulla Basilica di Santa Maria Maggiore
  • Chiesa e Società

  • Il cardinale Bagnasco ai giovani: “Siate segni di speranza per il mondo”
  • Anno Sacerdotale in India. Mons. Menamparampil: servono sacerdoti mistici
  • Congo: conferenza interreligiosa per riportare la pace nel Paese
  • Kenya: aumenta il divario tra ricchi e poveri
  • Concluso a Roma il convegno sul ruolo delle religioni nella Cina moderna
  • Cina: le suore del Sacro Cuore di Maria festeggiano 15 anni di servizio agli anziani
  • Spagna: a Valencia si apre la prima Settimana del cinema spirituale
  • Arriva nelle sale italiane il film ‘Lourdes’
  • 24 Ore nel Mondo

  • Nuove violenze in Somalia: l'Onu esclude l'invio di caschi blu
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'Angelus: carità, via della perfezione. Appello per Termini Imerese e Portovesme. Preghiera per i malati di lebbra, la pace in Terra Santa e i giovani nel giorno di Don Bosco

    ◊   La via della perfezione cristiana è la carità, perché l’essenza di Dio stesso è l’amore: è quanto ha detto oggi il Papa all’Angelus ai tanti pellegrini presenti in Piazza San Pietro nonostante la pioggia. Benedetto XVI ha poi rivolto alcuni appelli: per la tutela dei lavoratori, citando in particolare Termini Imerese e Portovesme; per i malati di lebbra, nella giornata a loro dedicata; per la pace in Terra Santa e - nella memoria liturgica di San Giovanni Bosco - per i giovani perché accolgano la chiamata a dare la vita per Gesù. Due giovani dell’Azione cattolica hanno quindi affiancato il Papa alla finestra del suo studio privato per liberare le colombe della pace. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Il Papa commenta l’inno alla carità di San Paolo, proposto dalla liturgia odierna, “una delle pagine più belle del Nuovo Testamento e di tutta la Bibbia” – afferma – in cui viene mostrata la “via” della perfezione. Questa “non consiste nel possedere qualità eccezionali: parlare lingue nuove, conoscere tutti i misteri, avere una fede prodigiosa o compiere gesti eroici. Consiste invece nella carità – agape – cioè nell’amore autentico, quello che Dio ci ha rivelato in Gesù Cristo”:

     
    “La carità è il dono ‘più grande’, che dà valore a tutti gli altri, eppure ‘non si vanta, non si gonfia d’orgoglio’, anzi, ‘si rallegra della verità’ e del bene altrui. Chi ama veramente ‘non cerca il proprio interesse’, ‘non tiene conto del male ricevuto’, ‘tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta’ (cfr 1 Cor 13,4-7). Alla fine, quando ci incontreremo faccia a faccia con Dio, tutti gli altri doni verranno meno; l’unico che rimarrà in eterno sarà la carità, perché Dio è amore e noi saremo simili a Lui, in comunione perfetta con Lui”.

     
    “La carità – ha sottolineato il Papa - è il distintivo del cristiano. E’ la sintesi di tutta la sua vita: di ciò che crede e di ciò che fa”. E per questo – ha ribadito - ha voluto dedicare la sua prima Enciclica proprio al tema dell’amore: “Deus caritas est”:

     
    “L’amore è l’essenza di Dio stesso, è il senso della creazione e della storia, è la luce che dà bontà e bellezza all’esistenza di ogni uomo. Al tempo stesso, l’amore è, per così dire, lo ‘stile’ di Dio e dell’uomo credente, è il comportamento di chi, rispondendo all’amore di Dio, imposta la propria vita come dono di sé a Dio e al prossimo. In Gesù Cristo questi due aspetti formano una perfetta unità: Egli è l’Amore incarnato”.

     
    Quindi il Papa ha ricordato che oggi si celebra la memoria di San Giovanni Bosco, patrono dei giovani e come gli altri santi, vero “inno alla carità”:

     
    “In questo Anno Sacerdotale vorrei invocare la sua intercessione affinché i sacerdoti siano sempre educatori e padri dei giovani; e perché, sperimentando questa carità pastorale, tanti giovani accolgano la chiamata a dare la vita per Cristo e per il Vangelo. Maria Ausiliatrice, modello di carità, ci ottenga queste grazie”.

     
    Dopo la preghiera dell’Angelus Benedetto XVI ha ricordato anche l’odierna Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra e il suo pensiero è andato a padre Damiano de Veuster, che diede la vita per questi fratelli e sorelle, e che nello scorso ottobre ha proclamato santo:

     
    “Alla sua celeste protezione affido tutte le persone che purtroppo ancora oggi soffrono per questa malattia, come pure gli operatori sanitari e i volontari che si prodigano perché possa esistere un mondo senza lebbra. Saluto in particolare l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau”.

     
    Si è quindi unito spiritualmente ai tanti cristiani di ogni parte del mondo che oggi, nella seconda Giornata di Intercessione per la Pace in Terra Santa pregano per la riconciliazione nei luoghi di Gesù.

     
    Poi, riferendosi alla crisi economica che sta causando la perdita di numerosi posti di lavoro, ha auspicato “grande senso di responsabilità da parte di tutti: imprenditori, lavoratori, governanti”:

     
    “Penso ad alcune realtà difficili in Italia, come, ad esempio, Termini Imerese e Portovesme; mi associo pertanto all’appello della Conferenza Episcopale Italiana, che ha incoraggiato a fare tutto il possibile per tutelare e far crescere l’occupazione, assicurando un lavoro dignitoso e adeguato al sostentamento delle famiglie”.

     
    Al termine dell’Angelus due giovani dell’Azione cattolica ragazzi, che hanno partecipato all’annuale Carovana della pace, lo hanno raggiunto alla finestra del suo studio leggendo un breve messaggio e liberando col Papa le colombe della pace tra gli applausi dei pellegrini in Piazza San Pietro.

     
    (applausi)

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    I ragazzi dell'Azione cattolica in Piazza San Pietro per la Carovana della Pace

    ◊   Tanti, dunque, i giovani dell’Azione cattolica ragazzi (Acr) che questa mattina, in Piazza San Pietro, hanno assistito all’Angelus del Papa e hanno applaudito le colombe della pace. I ragazzi hanno concluso, così, la “Carovana della Pace”, snodatasi in mattinata da Piazza Navona a Piazza San Pietro. Un’iniziativa nata oltre trent’anni fa, come spiega, al microfono di Isabella Piro, Antonio Rita, responsabile dell’Acr di Roma:

    R. – La Carovana della pace nasce alla fine degli anni ’70 dalla volontà di dare un segno di concreto protagonismo dei ragazzi per la costruzione della pace. Erano anni difficili, si voleva far vedere che si poteva costruire la pace anche da gesti semplici e anche a partire dai più piccoli. Così è nata l’idea di questa carovana di ragazzi che scendono in piazza nella loro città per gridare a tutta la città che la pace è possibile ed è possibile anche a partire da gesti concreti e quotidiani.

     
    D. – La Carovana della pace è sempre legata anche ad un progetto di solidarietà. Qual è quello scelto per il 2010?

     
    R. – Anche quest’anno aderiamo al progetto di solidarietà che ci viene proposto dalla presidenza nazionale di Azione cattolica e in particolare si tratta di costruire un centro multimediale a Betlemme dove è presente l’Azione cattolica italiana. Assieme a questo, però, a seguito del tragico terremoto di Haiti, abbiamo scelto come Azione cattolica di Roma di destinare metà dei ricavati dall’iniziativa del mese della pace per la Caritas italiana, in particolare per l’emergenza Haiti

     
    D. - E proprio a questo proposito i ragazzi scenderanno in piazza portando dei salvadanai a forma di mezzo di comunicazione…

     
    R. – Esattamente. Questa è una tradizione ormai. I ragazzi sono coinvolti in prima persona nella raccolta di contributi per l’iniziativa di solidarietà che cambia ogni anno, anzitutto attraverso attività che li rendono protagonisti di questa raccolta di contribuiti nelle loro parrocchie e poi, come segno, tradizionalmente facciamo preparare alle parrocchie un salvadanaio legato con il tema dell’iniziativa dell’anno. Quest’anno è l’anno della comunicazione e i ragazzi porteranno in piazza Navona salvadanai con forme che ricordano strumenti di comunicazione: dalla radio alla televisione, a tutto ciò che la loro fantasia li ispirerà.

     
    D. - Antonio Rita, lei ha partecipato a diverse Carovane della pace con i ragazzi. C’è un episodio significativo che ha vissuto e che simboleggia un po’ il senso di questa iniziativa?

     
    R. – Credo che una delle carovane che più mi ha colpito sia stata quella dell’anno scorso dove credo che ci sia stata una bella immagine di che cos’è l’Acr di Roma. I ragazzi che sono saliti dal Papa l’anno scorso, Miriam e Marco Valerio, sono stati veramente accolti con molto, molto calore dal Santo Padre e credo che abbiano dato anche visivamente l’immagine di che cos’è. Miriam è una ragazza che viene dall’Eritrea, è stata accolta qui a Roma e adesso è romana a tutti gli effetti. Credo che aver visto alla finestra del Santo Padre Miriam insieme a Marco Valerio abbia dato un’immagine di una possibilità di accoglienza e di costruzione della pace a partire dai piccoli gesti quotidiani.

     
    D. – Indubbiamente l’educazione alla pace passa anche per la scuola e per la famiglia. Cosa fa concretamente l’Acr in questi ambiti?

     
    R. – L’Acr ha anzitutto la consapevolezza, da sempre, che il primo soggetto educante è la famiglia. La nostra proposta formativa è strettamente in sintonia con quella delle famiglie. Cerchiamo il loro coinvolgimento sempre e in ogni occasione, al di là del mese della pace. In particolare nel mese della pace, i ragazzi sono invitati ad aprirsi al loro territorio, quindi a mettere in gioco le loro relazioni in famiglia e nella scuola. In particolare per la Carovana della pace, abbiamo invitato tutte le scuole cattoliche a partecipare come ogni anno. Devo dire che sono molto numerose quelle che partecipano, insieme alle parrocchie, alla Carovana. Ovviamente alla Carovana della pace sono stati invitate tutte le famiglie dei ragazzi dell’Acr che vengono accompagnati dai loro genitori.

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    Mons. Oder: Papa Wojtyla, un mistico che ha guardato il mondo con gli occhi dell'uomo

    ◊   E’ stato presentato in questi giorni a Roma un nuovo libro su Giovanni Paolo II dal titolo “Perché è santo”: mons. Slawomir Oder, postulatore della causa di Beatificazione di Papa Wojtyla, e il giornalista Saverio Gaeta sono i due autori del volume. Luca Collodi ha chiesto a mons. Oder cosa emerge di Giovanni Paolo II in questa opera :

    R. - Quello che emerge è veramente la pienezza dell’umanità che lui ha vissuto, un uomo che è rimasto tale, un uomo innamorato di Dio, un uomo innamorato del suo sacerdozio, un uomo che ha saputo identificare il suo amore per Cristo con tutta la sua vita.

     
    D. – Mons. Oder, è forse questa la chiave di lettura del grande interesse che la figura di Giovanni Paolo II suscita nel popolo cristiano e non solo, cioè questa figura di uomo alla ricerca di Dio…

     
    R. – Un pellegrino dell’Assoluto, possiamo chiamarlo, e sicuramente un mistico. E’ stato, però, un mistico forse un poco diverso da quello che noi di solito intendiamo come testimone di fenomeni straordinari, anche se come ci attestano le persone che l’hanno conosciuto, non mancavano nella sua vita anche questi fenomeni. La mistica di Giovanni Paolo II, però, è soprattutto la sua capacità di guardare il mondo con gli occhi dell’uomo, consapevole della presenza di Dio nella storia. Un uomo che ha saputo leggere dei segni della presenza di Dio negli eventi della storia, nelle persone che incontrava.

     
    D. – Il rapporto di Giovanni Paolo II con Maria è un’altra pietra miliare nella figura di questo Papa...

     
    R. – Noi sappiamo che tutta la sua vita si può definire attraverso la sua espressione “Totus Tuus”. Dobbiamo ricordare sempre però che lui ha vissuto l’incontro con Maria come via preferenziale, particolarmente intensa dal punto di vista affettivo e spirituale, però una via che lo portava a Cristo. Nel libro parliamo di alcuni aspetti della sua spiritualità mariana, della sua vita che è segnata dalle tappe mariane, sin dalla sua giovinezza, quando pellegrinava con il padre al Kalwaria Zebrzydowska, quando faceva i pellegrinaggi a Częstochowa, e poi durante tutti i suoi viaggi apostolici sulle orme di Maria.

     
    D. – Mons. Oder, c’è differenza tra l’uomo Karol Wojtyla e il Papa Giovanni Paolo II?

     
    R. – Bisogna dire che esiste una continuità naturale nella figura dell’uomo e del Pontefice, anzi, Giovanni Paolo II è stato veramente una persona trasparente, luminosa. Quello che emerge nel passaggio della lettura dall’uomo a Pontefice, anche nel senso della tempistica, è la profondità sempre maggiore del suo rapporto con Cristo, l’intensità sempre maggiore del suo amore per la Chiesa, l’intensità sempre maggiore della consapevolezza di vivere nel mondo come sacerdote di Cristo, cioè come colui che agisce in Persona Christi.

     
    D. – Giovanni Paolo II è stato il Papa che ha sottolineato il genio femminile della donna. Qual era il suo rapporto con il mondo femminile?

     
    R. – Non è soltanto un elogio alla donna attraverso i documenti che lui ci ha lasciato, ma anche le testimonianze delle persone semplici, delle donne semplici che sono arrivate durante il processo di beatificazione. Mi ricordo in modo particolare la lettera di una donna musulmana, che mi è pervenuta durante il processo, in cui questa donna, che era figlia di una famiglia di diplomatici di un Paese islamico, avendo avuto contatti frequenti con il Santo Padre, mi ha scritto che non si è mai sentita così valorizzata nella sua femminilità di quando sentiva parlare Giovanni Paolo II di Maria.

     
    D. – E al Papa mancava la sua terra, la Polonia...

     
    R. – Il suo cuore sicuramente era un cuore di un padre che incarnava la paternità universale. Si sentiva fortemente legato alla sua patria, come terra nella quale aveva le sue radici. L’albero della sua vita, però, è cresciuto così bello, rigoglioso, che ha riempito il mondo. Perciò è una cosa commovente vedere come le persone sparse in tutto il mondo parlino in prima persona del nostro Papa, sentendolo davvero come “proprio”.(Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Oggi in Primo Piano



    Traffico di bambini ad Haiti: arrestati 10 cittadini Usa

    ◊   Traffico di bambini ad Haiti: dieci cittadini americani sono stati arrestati dalla polizia locale mentre nel caos del dopo-terremoto, stavano cercando di portare via dal Paese 33 bambini da immettere in un possibile circuito di adozioni illecite. Intanto, almeno 600 mila haitiani vivono nelle tendopoli allestite nella capitale Port-au-Prince, mentre 235 mila sfollati sono stati accolti da famiglie in altre città. La Croce Rossa italiana da parte sua ha costruito un campo per fornire 1500 pasti al giorno. Claudio Cavallaro ha raggiunto telefonicamente ad Haiti il portavoce del Commissario Straordinario della Croce Rossa Italiana, Tommaso Della Longa.

    R. – La situazione attuale, per quanto riguarda l’intervento umanitario, è fortunatamente in via di miglioramento. Come Croce Rossa Internazionale, in questa settimana, abbiamo raggiunto diecimila nuclei familiari in più e distribuiamo poco più di un milione di litri d’acqua potabile al giorno alla popolazione e abbiamo attivato due ospedali da campo.

     
    D. – La Croce Rossa Italiana pochi giorni fa ha inaugurato un campo...

     
    R. – Un team di esperti logisti della Croce Rossa è arrivato a Port-au-Prince e a 500 metri dall’aeroporto ha costruito un campo di 11 ettari, che si chiama Campo Italia, dove alloggeranno i 300 operatori della Croce Rossa Internazionale che opera qui a Haiti. La Croce Rossa Italiana ha aperto anche una cucina che garantisce 1500 pasti al giorno e due linee di potabilizzazione dell’acqua.

     
    D. – Dal punto di vista sanitario come state operando?

     
    R. – L’ospedale da campo, la sala operatoria della Croce Rossa è stata montata all’interno dell’ospedale centrale di Port-au-Prince ed è diventata praticamente il punto di riferimento di quello che è rimasto dell’ospedale centrale della città.

     
    D. – Il campo che avete allestito prevede anche delle tende, che possano ospitare i terremotati?

     
    R. – In questo momento no, anche perché adesso si sta sostanzialmente cercando di fare un punto della situazione con il censimento dei campi nati spontaneamente, per capire esattamente quale sia il bisogno. Il vero problema è che ai primi di giugno inizia la stagione delle piogge e quindi i campi attendati devono sparire.

     
    D. – La Croce Rossa Italiana ha regalato a quella haitiana una tenda che fungerà da scuola per l’infanzia...

     
    R. – L’abbiamo regalata perché la first lady ci ha raccontato il bisogno di ricostruire la scuola, un centro ricreativo per l’infanzia, per cercare di dare una sorta di normalità ai bambini e noi senza pensarci un attimo gliel’abbiamo donata.

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    Giornata di preghiera per la Terra Santa. Padre Pizzaballa: necessari coraggio e profezia

    ◊   Come ha ricordato il Papa all'Angelus, si svolge oggi la seconda Giornata internazionale d’intercessione per la Pace in Terra Santa: l’evento unisce i cristiani di tutto il mondo nella comune preghiera per la riconciliazione nei Luoghi del Signore. L’iniziativa è promossa dall'Apostolato “Giovani per la Vita”, i movimenti di Adunanza Eucaristica e le Cappelle di Adorazione Perpetua. Benedetta Capelli ha intervistato padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terrasanta:

    R. – Si tratta di comunità, di persone che si trovano per pregare anzitutto, perché la prima cosa da fare per la Terra Santa è pregare. L’anno scorso si sono avute circa 800 comunità in tutto il mondo e quest’anno sono più di un migliaio che si ritrovano anzitutto per pregare per la Terra Santa e per la pace in Terra Santa.

     
    D. - Proprio nel suo messaggio in occasione di questa iniziativa lei dice che “pregare per Gerusalemme è un imperativo posto nel cuore della preghiera”. In che senso?

     
    R. – Il cuore della nostra preghiera, la preghiera cristiana, è Gesù naturalmente. Non possiamo parlare e pensare a Gesù senza pensare a Gerusalemme, senza il luogo che è il fondamento della rivelazione di Gesù. Quindi pregare per Gerusalemme è, in un certo senso, anche il cuore della nostra preghiera.

     
    D. – Sempre nel messaggio, lei aggiunge che “il raccoglimento per la pace in Terra Santa vuole metterci in comunione gli uni con gli altri”. Un impegno importante, questo, dato che veniamo dalla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani…

     
    R. – Io direi che questo è un impegno essenziale. Gerusalemme è una città affascinante sì, ma anche molto divisa, lacerata da tante divisioni e discordie. Il fatto che milioni di persone nel mondo, che un migliaio di comunità si ritrovino per pregare insieme, in comunione per Gerusalemme, credo che sia un segno fortissimo e che sicuramente lascerà un’impronta.

     
    D. – Preghiera, impegno e coraggio: in che modo questi tre semi si possono innestare nel cuore di ognuno?

     
    R. – La preghiera è la prima cosa da fare, perché la preghiera ci mette nella giusta proporzione nelle relazioni, con le persone. La preghiera ci mette nell’orizzonte di Dio. Poi c’è l’impegno, perché la preghiera non può restare un’attività del cuore, che rischia di diventare un po’ sentimentale, ma deve portare anche ad un impegno concreto, attivo. Infine coraggio, perché abbiamo bisogno – come sempre – di persone che ci aiutino ad uscire un po’ dal nostro piccolo orizzonte, che siano audaci e capaci di provocare e di scuotere anche le nostre coscienze.

     
    D. – Al di là degli appelli che sempre si fanno per la riconciliazione in Terra Santa, cosa davvero manca?

     
    R. – Manca sicuramente una leadership, sia politica che religiosa, capace di offrire un carisma alla popolazione, alla gente. Ma c’è anche bisogno di coraggio e di profezia.

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    Giornata mondiale dei malati di lebbra per vincere la lebbra dell'egoismo

    ◊   Oggi, dunque, si celebra la Giornata mondiale dei malati di lebbra, promossa nel 1954 dal giornalista francese Raoul Follereau e riconosciuta ufficialmente dall'Onu. Solo nel 2009 si sono registrati 210mila nuovi malati, tre quarti dei quali riscontrati in India, seguita da Brasile, Repubblica Democratica del Congo e Nepal. Giunta alla 57.ma edizione, la Giornata ha come tema: “Salviamo la bellezza dell’uomo dalla lebbra”. Ma cosa serve, oggi, per guarire dal morbo di Hansen? Isabella Piro lo ha chiesto a Francesco Colizzi, presidente dell’Aifo, l’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau:

    R. – Per guarire dalla lebbra, come ha sempre detto Follereau, serve soprattutto ricordare che chi ne è colpito è come se avesse una doppia condizione negativa: ha la lebbra ed è lebbroso, diceva Follereau, cioè vale a dire ha contratto una malattia dovuta a un germe, che può essere curata benissimo e guarita grazie ai farmaci scoperti ormai più di un quarto di secolo fa, ma bisogna lottare con ancora maggiore energia contro la definizione di lebbroso. Il fatto è che una persona purtroppo, anche se guarita e soprattutto se mantiene le stigmate della malattia e cioè le disabilità, le menomazioni, la mutilazione degli arti, la cecità, le deformità del viso, continua a essere ritenuta una persona da emarginare, da isolare, da tenere esclusa dal resto della società. In questa condizione vi sono, purtroppo, ancora qualcosa come 10 milioni di persone nel mondo. Il nostro motto, quindi, è “salviamo la bellezza dell’uomo dalla lebbra”, rammentiamo a tutti che ogni essere umano ha un valore infinito.

     
    D. – Perché questa malattia viene così spesso dimenticata dai mass media?

     
    R. – Vi sono delle malattie che, siccome non sono le malattie dell’Occidente e siccome non sono malattie per cui ci può essere un mercato farmaceutico, perché sono malattie che colpiscono soprattutto le persone più povere, non interessano. La lebbra è una di queste. Questo è un ulteriore motivo della nostra battaglia contro la lebbra. Del resto, noi riteniamo che la lebbra scomparirà davvero dal mondo quando si saranno sradicate le radici perverse che generano la povertà estrema, perché anche il germe della lebbra è un germe poco infettivo, che se viene contratto da una persona in buona salute e con buone difese immunitarie, non crea la malattia. Abbiamo l’esempio di Follereau che ha abbracciato e baciato centinaia e centinaia di lebbrosi e non ha mai contratto la malattia. È questo, dunque, il punto fondamentale: fare la lotta alla povertà estrema e, quindi, alle altre lebbre e cioè alle guerre, alle violenze, all’indifferenza e all’egoismo.

     
    D. - Ad aprile 2009 l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito una nuova strategia mondiale per la lotta alla lebbra nel quinquennio 2011-2015. Quali sono gli obiettivi primari di questo piano di azione?

     
    R. – La raccomandazione ai governi è quella di continuare le campagne di informazione e di educazione sanitaria nei villaggi più sperduti dei Paesi più colpiti, mantenendo dei centri di riferimento per la malattia e sviluppando sempre più azioni progettuali di carattere riabilitativo, finalizzate a fare in modo che le persone possano rientrare nelle comunità, rientrare a pieno titolo e con la piena dignità e la possibilità di avere un lavoro, di farsi una famiglia, di avere una casa. Altro punto molto importante, poi, è quello di evitare che i figli delle persone che abbiano sofferto di lebbra siano indirettamente colpiti dallo stigma e siano messi in difficoltà nella frequenza delle scuole.

     
    D. – Vogliamo ricordare le iniziative di solidarietà organizzate dall’Aifo per questa Giornata mondiale dei malati di lebbra?

     
    R. – Quest’anno, negli stadi di calcio, gli allenatori di Serie A e di Serie B faranno esporre un grande striscione, il cui titolo è: “Gli allenatori allenano alla solidarietà”, che richiama le persone a riflettere su questa malattia, a fare qualcosa e magari anche ad inviare un sms, per cui facendo il numero 48582 sarà possibile donare anche semplicemente un euro alla solidarietà.

     
    D. – Accanto a tutto questo, naturalmente, c’è il cosiddetto “miele della solidarietà”….

     
    R. – Sì. Noi diamo questi vasetti di miele, che sono prodotti dal Circuito equo e solidale, in cambio di una donazione. Chiunque dona qualcosa – sia denaro, sia tempo o il suo cuore – riceve in cambio qualcos’altro e questo qualcosa che riceve è sempre qualcosa di dolce, di lenitivo, di curativo anche per la nostra anima. Il miele è, quindi, soprattutto simbolo di questo scambio profondo che avviene da una parte e dall’altra nei momenti di vera solidarietà, di vera donazione, di scoperta della gratuità.

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    Caso Crisafulli: la Comunità Papa Giovanni XXIII pronta ad accogliere Salvatore

    ◊   Come realtà della Chiesa cattolica siamo vicini e immediatamente disponibili ad accogliere in una delle nostre strutture Salvatore Crisafulli. Così la Comunità Papa Giovanni XXIII sul caso dell’uomo, rimasto paralizzato dopo un incidente stradale e oggi in stato vegetativo e che la famiglia - lamentando l’abbandono da parte di tutti - vuole portare in Belgio perché gli sia praticata l’eutanasia. Nei mesi scorsi – lo ricordiamo – i familiari si erano schierati apertamente per tenere in vita Eluana Englaro. Paolo Ondarza ha intervistato Paolo Ramonda, responsabile della Comunità Giovanni XXIII.

    R. – E’ un grido disperato, che va accolto con tutto il cuore, per essere loro vicini, ma bisogna dare una risposta concreta, che dicono non avere avuto né dalle istituzioni né dalla Chiesa. Noi pensiamo che, vivendo proprio con decine di bambini cerebrolesi, gravemente disabili, anche allettati, nelle nostre famiglie aperte e comunità, sappiamo bene cosa nasconde il grido di questa famiglia. Quindi, vogliamo essere loro vicini e dare una risposta immediata. Ma anche per altre situazioni, noi vogliamo fare un appello: se ci sono delle famiglie che hanno bisogno di un sostegno, noi siamo disponibili. Le nostre comunità vogliono essere questo: una risposta immediata, pronta, familiare, a queste situazioni di bisogno, perché non c’è nessuno che deve essere scartato in questa società. Anzi, i piccoli e i poveri, come ci insegna il Vangelo, sono le pietre miliari per ricostruire una nuova umanità, la società del gratuito, la civiltà dell’amore.

     
    D. – Colpisce particolarmente questo grido della famiglia Crisafulli, visto che in passato, il caso Crisafulli era stato testimonianza di vita. Adesso sembra quasi esserci una disperazione più vicina alla rinuncia, alla morte...

     
    R. – Sì, è la disperazione della solitudine, di chi comunque crede nella vita, in un momento di grande assenza che loro percepiscono. Forse è anche, penso, una provocazione, per coloro che sono preposti a sostenere queste famiglie, che sono decine di migliaia in tutta Italia, che con dedizione e con amore, con responsabilità nella ferialità, sono vicini ai loro figli, perché veramente vengano messe delle risorse a favore della cultura della vita e non della morte.

     
    D. – Ma quanto c’è effettivamente un’assenza delle istituzioni?

     
    R. – Io penso che sia le istituzioni pubbliche che la Chiesa, soprattutto nel contesto italiano, hanno sempre dato delle risposte per la vita. Certamente, negli ultimi anni le istituzioni pubbliche purtroppo mettono le loro strutture anche a servizio della morte.

     
    D. – Questo appello porta alla luce come, nonostante i mesi passino, ogni volta che si presenta un caso estremo – prima quello Englaro, poi questo – sembra quasi essere ancora al punto di partenza...

     
    R. – Sì, perché ci si sofferma più sui principi ideologici che non sulla risposta, su un sostegno alla vita reale. Come diceva il nostro carissimo fondatore, don Oreste Benzi, un popolo che non sa stare al passo dei deboli e dei piccoli e che lascia indietro gli ultimi non è un popolo, ma è un’accozzaglia di gente. I nostri governanti hanno il dovere di rispondere al grido di queste famiglie e far sì che lo Stato risparmi dei denari tenendo presso di sé i propri cari.

     
    D. – Quanto c’è il rischio che questa vicenda ora venga strumentalizzata?

     
    R. – La strumentalizzazione è sempre dietro l’angolo. E’ tempo di finire con queste contrapposizioni. E’ tempo di unirsi per dire sì alla vita: un sì concreto. Noi dobbiamo destinare le risorse della nazione alla famiglia, che è ancora il cuore pulsante della società.

     
    D. – Può essere anche questa l’occasione per chiedere di accelerare i tempi, per una riflessione chiaramente ponderata e matura su una legge in questa materia?

     
    R. – Sì, certamente. La legge però deve essere per la vita. Purtroppo, invece, le lobby, che hanno anche degli interessi economici, hanno una grossa influenza. Quindi, non sempre si arriva poi a fare delle leggi a servizio della vita, ma piuttosto leggi a servizio di potentati economici che hanno degli interessi molto forti.

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    Anno Sacerdotale: la testimonianza di un cappellano di bordo

    ◊   Per la nostra rubrica dedicata all’Anno Sacerdotale oggi incontriamo un prete che ha fatto del mare la sua missione: è don Luca Centurioni, coordinatore degli 80 cappellani di bordo che hanno scelto di annunciare il Vangelo sulle rotte degli oceani, operando nel servizio dell'Apostolato del Mare italiano presso la Fondazione Migrantes della Cei. Don Centurioni è imbarcato da 7 anni, condividendo la vita della gente del mare, un popolo invisibile che lavora lontano dalla propria famiglia e dalla propria patria. Claudia Di Lorenzi lo ha intervistato:

    R. – Il cappellano di bordo si occupa della cura pastorale degli equipaggi di bordo – gente di mare, marinai, operatori anche del settore alberghiero di una nave – e quindi il cappellano di bordo è piuttosto un cappellano del lavoro che un cappellano navigante per turismo.

     
    D. - Ci racconta la sua giornata tipo...

     
    R. – Su una nave, mediamente, ci sono circa mille persone di equipaggio e tutte sono sotto i 40 anni. Il cappellano va a visitare le cucine, le cabine, il ristorante, i vari laboratori meccanici o di servizio, di manutenzione della nave. Poi, nell’ufficio del cappellano molti ragazzi vengono per parlare, chiedere un consiglio e anche per organizzare alcune attività ricreative che si faranno durante le varie serate, proprio per socializzare. Quindi, il cappellano ha questo ruolo di umanizzatore dell’ambiente di lavoro a bordo di una nave.

     
    D. – In che modo si occupa della cura pastorale dell’equipaggio?

     
    R. – Là dove il cappellano può essere presente cerca di ricreare quella situazione almeno di piccola comunità navigante. Organizza tutte le settimane la Messa domenicale, cerca di fare degli incontri anche di formazione alla fede, cerca di vedere se qualcuno vuole fare un cammino di catechesi, cerca di costruire una fraternità tra i lavoratori e mantenere viva quella fede che uno ha portato da casa. Noi celebriamo quotidianamente per i passeggeri e la domenica anche per l’equipaggio. La cappella, poi, comunque, non chiude mai. Chi lo desidera va anche per un momento di preghiera e c’è anche il Tabernacolo con la custodia del Santissimo Sacramento.

     
    D. – Dal punto di vista umano, quali difficoltà affronta l’equipaggio di una nave?

     
    R. – Le maggiori difficoltà sono legate soprattutto alla lontananza dalla famiglia, al fatto di essere sempre e solo su una nave. Nei porti si è sempre degli stranieri, perché non è mai la tua nazione, quella dove la nave attracca. Questo fa sì che il marittimo sia sempre un po’ girovago, più che migrante.

     
    D. – E quali difficoltà invece affrontano i cappellani di bordo?

     
    R. – Le difficoltà sono quelle di essere lontani dal proprio ambito culturale, lontani dalla propria diocesi e soprattutto soli. Come sacerdoti facciamo fatica a condividere la nostra esperienza, anche con un altro sacerdote, perché non è sempre facile incontrarci né tra di noi, né a volte nei Paesi dove andiamo.

     
    D. – Cosa la rende diverso da un missionario di terra?

     
    R. – Io penso l’itineranza, che è legata al fatto di incontrare sempre persone diverse: sia i passeggeri che ovviamente vanno in crociera cambiano, sia anche l’equipaggio che, nell’arco di alcuni mesi, in realtà cambia quasi tutto. In questo modo, il nostro servizio, è ancor più privo di gratificazioni, perché non abbiamo il confronto con persone che rimangono con noi per molto tempo. Poi, però, funziona molto la regola di San Paolo: uno semina, un altro irriga e un terzo raccoglie.

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    La Chiesa ricorda San Giovanni Bosco, padre e maestro dei giovani

    ◊   Oggi, dunque, la Chiesa ricorda San Giovanni Bosco: grande apostolo dei giovani e fondatore della famiglia salesiana, ha elaborato un metodo educativo ispirandosi a San Francesco di Sales. Proclamato santo il giorno di Pasqua del 1934, Giovanni Paolo II lo ha dichiarato padre e maestro della gioventù. Ma come si è accostato don Bosco ai giovani? Lo spiega, al microfono di Tiziana Campisi, don Cesare Bissoli, salesiano:

    R. – Don Bosco è stato un sacerdote piemontese, che è morto a Torino nel 1888. Aveva già da ragazzo una propensione a stare con gli altri ragazzi, ad aiutarli, a correggerli, con molto spirito cristiano. Era stato educato molto cristianamente. La sua è stata una vocazione adulta: è diventato sacerdote nel 1841. Visitò le carceri e vide questi ragazzi che venivano da fuori; era il periodo industriale di Torino. Venivano dalle valli, avevano il lavoro, ma non sapevano dove andare. Erano poveri di cultura, poveri in tutto, anche di fede, anche se era una fede tradizionale. Ma soprattutto non erano accolti da nessuno. Allora don Bosco ebbe l’idea dell’oratorio. L’oratorio in sé esisteva già prima, ma lui lo “inventò” nella formula di accogliere questi ragazzi, li ospitò e da lì partì tutta l’opera. Voleva fare di quei ragazzi degli onesti cittadini e buoni cristiani, che avessero un titolo di studio e un lavoro, che imparassero un mestiere. Lui li accoglieva, faceva catechismo, nello stile di un’estrema presenza, buona, positiva, paterna, in mezzo a loro. Partendo da questo, verso il 1855, lui pensò ad una Congregazione.

     
    D. – Che cosa caratterizza la personalità di Don Bosco e perché, in tanti, hanno seguito il suo esempio?

     
    R. – La sua personalità era carismatica, ma il suo era un carisma del quotidiano. Don Bosco senza i ragazzi - ragazzi difficili, poveri - non è Don Bosco. Partiva dal principio: “Basta che siete giovani, perché io vi ami assai”. Il concetto di amore è quello di un amore “educante”, proprio nel senso letterale di stare con questi ragazzi, volerli educare. Questa esperienza pratica - e dunque non teorica - in mezzo ai giovani, ha attirato altri giovani e ha fatto la Congregazione.

     
    D. – I salesiani oggi che cosa propongono di Don Bosco? Cosa vogliono far conoscere ancora di lui?

     
    R. – Ripartire da Don Bosco per attuare questo metodo di educazione dei ragazzi, stando in mezzo a loro, come fatto principale, fondamentale del nostro carisma; essere religiosi per questo.

     
    D. – Nel giorno della festa di Don Bosco, quale lezione cristiana apprendere?

     
    R. – Il Papa ci ha parlato di emergenza educativa, dunque educare i ragazzi con la pienezza della fede cristiana è essere veramente cristiani. Il cristiano oggi è tale se educatore. Evangelizzare educando, educare evangelizzando: questi sono i binomi tipici dell’azione di Don Bosco.

     
    D. – Quale incoraggiamento invece per i giovani?

     
    R. – Sappiano di essere amati. Tanti giovani oggi si sentono soli. Questo è il vero problema che noi avvertiamo: questa solitudine. E anche coloro che vivono bene - nel senso che non delinquono - non hanno ideali e sono miniere chiuse. Le loro risorse non sono esplorate. Non basta amare i giovani, serve invece che i giovani si sentano amati.

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    Presentato a Roma un volume di arte e fede sulla Basilica di Santa Maria Maggiore

    ◊   “Questo libro è un atto d’amore verso la prima Casa dedicata alla Madre di Dio non solo da parte dei romani ma di tutti i devoti alla Beata Vergine”. Così, a Roma, il cardinale Bernard Francis Law, arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, ha presentato all’ambasciata di Spagna presso la Santa Sede il volume “Santa Maria Maggiore. Fede e Spazio Sacro”, edito da San Giorgio editrice. Il libro, patrocinato dal Comune di Roma, e dalla presidenza del Consiglio dei ministri, è il primo di un progetto editoriale che coinvolgerà i luoghi sacri della capitale. Il servizio di Marina Tomarro.

    Ripercorrere la storia della Basilica di Santa Maria Maggiore, attraverso i suoi immensi tesori artistici ma anche con gli occhi della fede e della pietà popolare. Questo è l’obiettivo del volume “Santa Maria Maggiore. Fede e spazio sacro”. Il curatore dell’opera Maurizio Galletti, sovraintendente dei beni architettonici del Lazio:
     
    “L’opera d’arte ha una sua storia legata anche a un committente, ma in Santa Maria Maggiore c’è un filo che unisce questo percorso, praticamente dal periodo paleocristiano a oggi attraverso tutte le opere che sono state volute dagli arcipreti della Basilica, ai cardinali, ai Papi e anche i benefattori che hanno lasciato traccia di sé. Emerge, in particolare, la figura della Vergine Maria nella maggior parte delle rappresentazioni iconografiche - affreschi, tele e statue... - proprio per sottolineare il centro di irradiamento del culto mariano in tutto il mondo partendo proprio da Roma e da Santa Maria Maggiore”.
     
    Questa Basilica è per eccellenza la Casa della Madre di Dio, che pia e benevola intercede per gli uomini presso il Divin Figlio. Ecco il commento del cardinale Giovanni Lajolo, presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano presente all’incontro:

     
    “Sono lieto di questo nuovo libro su Santa Maria Maggiore che è di carattere divulgativo. E’ una Basilica, secondo me, che tocca l’essenza stessa del cristianesimo perché lì c'è la ‘theotokos’, la madre di Dio. Dire Maria ‘Madre di Dio’ vuol dire che Gesù è vero Dio e vero uomo, quindi è in tutto uguale a noi, come dice la Lettera agli Ebrei, tranne che nel peccato. E questo noi l’abbiamo grazie a Maria. Maria è indissolubilmente legata alla storia della Salvezza di tutta l’umanità e quindi di ciascuno di noi”.
     
    E grande è la devozione del popolo romano nei confronti della Vergine Maria. Ancora il cardinale Lajolo:
     
    “Quando uno va per le strade di Roma, soprattutto della Roma classica, ad ogni casa trova una 'madonnella' che indica proprio questo camminare dei romani, per così dire, sempre in compagnia di Maria. Questa pietà popolare così viva con questi ‘Viva Maria’ che escono proprio dal fondo del cuore della gente: si vede che sentono Maria proprio come una realtà della loro carne, della loro vita, quindi nel loro camminare, nella loro vita e nel loro lavoro questa è Maria per i romani”.

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    Chiesa e Società



    Il cardinale Bagnasco ai giovani: “Siate segni di speranza per il mondo”

    ◊   I cattolici siano “segni di speranza per il mondo”, ma “è difficile esserlo lontani da Cristo e dalla Chiesa”. È questo l'invito, ma anche il monito, che l’arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco, ha rivolto ai giovani riuniti nel Forum giovanile della Liguria organizzato dal servizio di Pastorale giovanile per la preparazione alla Settimana sociale dei cattolici, che quest’anno si svolgerà tra il 14 e il 17 ottobre a Reggio Calabria e vedrà il coinvolgimento straordinario dei giovani. Il tema di quest’anno è ‘I cattolici nell’Italia di oggi’ e proprio su questo si è concentrato l’intervento del porporato: “Dobbiamo guardare a Cristo, alla sua Parola, alla Chiesa e al suo magistero – ha detto – perché tra Cristo e la Chiesa vi sono continuità e inscindibilità di servizio, di sviluppo e approfondimento”. Il cardinale Bagnasco ha poi espresso la necessità che ci sia “solidarietà tra gli uomini e verso i più deboli: un aspetto che ci accomuna tutti, credenti e non”. La vera solidarietà, però, secondo il presidente della Cei, non si può realizzare se si perde di vista “l’attenzione etica e antropologica dove in questione sono la vita, la famiglia, la morte, la libertà”. L’arcivescovo di Genova ha poi concluso auspicando per tutti i credenti “un rinnovato slancio nella nostra fede e di desiderare con maggiore serietà e impegno di essere santi perché la santità della nostra vita è il più grande segno di speranza per il mondo”. (R.B.)

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    Anno Sacerdotale in India. Mons. Menamparampil: servono sacerdoti mistici

    ◊   È in programma a febbraio l’incontro generale dei sacerdoti promosso dalla Conferenza episcopale dell’India per discutere delle prospettive nel Paese e per rinnovare l’attività e la contemplazione dei preti cattolici come voluto da Benedetto XVI con l’istituzione dell’Anno sacerdotale. Mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati (dove avrà luogo l’incontro) e presidente dell’ufficio per l’Evangelizzazione della Federazione delle conferenze dei vescovi asiatici, ha spiegato ad Asianews in esclusiva com’è la situazione nel grande Paese centrasiatico. “La Chiesa indiana è multiculturale e multietnica – racconta – a Guwahati ci sono 40 diversi gruppi etnici che operano insieme come membri di un’unica famiglia. Questo rapporto è già una sorta di evangelizzazione”. Secondo l’arcivescovo, la gente oggi è molto più aperta al messaggio evangelico di quanto si pensi, perciò bisogna trovare “un approccio personale per arrivare alla persona, non dogmatico, freddo e troppo clericale”. Il presule parla del recupero del “misticismo smarrito” come di una necessità per i sacerdoti: “Il cristiano nel futuro dovrà essere un mistico – dice – oppure cessare di credere”. Con il termine ‘mistico’ mons. Menamparampil intende “uno che si muove nel grumo degli eventi per assistere e salvare, suggerire e guidare, dare ispirazione, soffrire se necessario, donare la sua vita”. Nessuna “soluzione preconfezionata”, dunque, né “formule ideologiche”, ma “eroi che commuovono i cuori e tengono alti i loro ideali”. Così devono diventare i sacerdoti, oggi: “Capaci di dare fiducia a chi l’ha persa, soprattutto tra le baracche dei poveri, nei luoghi dove i giovani sono a rischio o nelle zone di conflitto armato”. E l’India non è priva di conflitti: l’arcivescovo ricorda quelli di natura interetnica nel nordest: “La pace non viene servita su un piatto d’argento – ammonisce – occorre conquistarla e meritarla, lavorare per costruirla”. Mons. Menamparampil ha ricordato anche il crescente divario tra ricchi e poveri nella società indiana ed è tornato in proposito sul ruolo dei mistici: “Sono veloci nel trovare terreno comune con la gente di altre fedi – afferma – hanno un’inspiegabile capacità di entrare in sintonia con persone molto differenti. Occorrono sacerdoti di questo tipo: radicati profondamente nella preghiera ma al contempo pronti ad affrontare le tempeste della vita insieme con gli altri uomini”. (R.B.)

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    Congo: conferenza interreligiosa per riportare la pace nel Paese

    ◊   Si svolgerà dal 2 al 4 febbraio a Kisangani, il capoluogo della provincia orientale della Repubblica democratica del Congo, un’area particolarmente colpita dai ribelli, la conferenza organizzata dalla diocesi e aperta alla partecipazione di tutti i capi religiosi: vescovi cattolici, ma anche pastori protestanti e anglicani provenienti da tutto il Paese, come dai vicini Uganda, Sudan e Repubblica Centrafricana. Dal Congo, in particolare, sono attesi i vescovi delle cinque diocesi dove infuria la violenza della guerriglia: Mahagi-Nioka, Dungu-Doruma, Isiro-Niangara, Buta e Bondo. Come riporta l’agenzia Fides, la conferenza è stata promossa da mons. Marcel Utembi Tapa, arcivescovo metropolita di Kisangani, con la collaborazione di Pax Christi Internationalis, per analizzare insieme la questione dell’Lra, l’Esercito di Resistenza del Signore, che da tempo compie atrocità sulla popolazione civile e dare il proprio contributo allo Stato per la restaurazione della pace. Il gruppo di ribelli dell’Lra venne fondato alla fine degli anni Ottanta nel nord dell’Uganda e negli ultimi cinque anni ha esteso la sua azione in Sudan e Repubblica Centrafricana e nel nord-est della Repubblica democratica del Congo. (R.B.)

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    Kenya: aumenta il divario tra ricchi e poveri

    ◊   Sono dati allarmanti quelli contenuti nel rapporto realizzato dal governo di Nairobi e diffusi nei giorni scorsi in vista della conferenza sull’urbanizzazione promossa dalle Nazioni Unite e in programma a marzo a Rio de Janeiro, in Brasile. Il rapporto fornisce l’immagine di un Kenya in cui cresce il divario tra poveri e ricchi e soprattutto tra gli abitanti delle campagne e i residenti in città. I poveri dei principali insediamenti urbani come la capitale Nairobi, Mombasa, Kisumu, Eledoret e Nakuru hanno sempre più difficoltà, riferisce l’agenzia Misna, ad accedere ai servizi di base come istruzione, sanità, diritto al lavoro e infrastrutture. Secondo il rapporto citato, il 10 per cento dei cittadini più abbienti possiede il 44 per cento della ricchezza nazionale, mentre il 10 per cento dei più poveri ottiene meno dell’1 per cento del totale. Nonostante gli sforzi compiuti dalla società, quindi, il Paese resta il secondo al mondo in cui c’è maggiore divario tra ricchi e poveri e in cui la disuguaglianza tra gli abitanti aumenta inesorabilmente. (R.B.)

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    Concluso a Roma il convegno sul ruolo delle religioni nella Cina moderna

    ◊   È la fotografia di una Cina con un crescente bisogno di spiritualità e di una società in cui il ruolo della religione si fa sempre più prominente, quella uscita dal convegno ‘Il ruolo delle religioni nella società cinese odierna e l’impatto delle sette sugli equilibri sociali’, svoltosi venerdì scorso a Roma e promosso dall’associazione Italia-Cina. Tra gli interventi, anche quello di Lai Yong Hai, presidente dell’Istituto di studi sulla cultura cinese dell’università di Nanchino e direttore del Centro studi su religione e cultura dell’ateneo. “Nella Cina odierna si avverte particolarmente l’importanza della religione – ha detto – che gioca un ruolo importantissimo nella costruzione di una società armonica. L’armonia si comprende in tre dimensioni: l’uomo con la natura, l’uomo con l’uomo e la società, l’uomo con se stesso”. Il docente ha poi spiegato che in Cina “il Buddismo è inculturato con il Confucianesimo, perciò ha avuto maggiore sviluppo e durata e oggi è ancora in fase fiorente”. Al termine del convegno, il professore ha raccontato all’agenzia Fides del Centro studi della filosofia della vita che egli stesso ha fondato con l’obiettivo di promuovere il dialogo culturale con i migliori accademici cinesi e internazionali. La prima fase della ricerca del Centro riguarda proprio la riscoperta della religione tradizionale cinese; seguirà il confronto con le altre religioni e tradizioni, tra cui anche il Cristianesimo. (R.B.)

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    Cina: le suore del Sacro Cuore di Maria festeggiano 15 anni di servizio agli anziani

    ◊   Hanno festeggiato i 15 anni di servizio presso gli anziani della comunità, le suore del Sacro Cuore di Maria di Tai Chung, in Cina. L'agenzia Fides riferisce che con una grande festa, cui hanno partecipato molti collaboratori e volontari, hanno approfittato per rilanciare il proprio impegno sociale a servizio dei più bisognosi, su imitazione di Cristo, attraverso la Fondazione ‘Stella mattutina’, nata nel 2003. “Le suore hanno messo la pietra basilare per il servizio agli anziani del Comune”, ha detto nell’omelia della celebrazione il vescovo di Tai Chung, Martin Su Yao-wen. Citando la parabola del Buon Samaritano, il presule ha incoraggiato le religiose a proseguire la loro opera con saggezza cristiana: “Come suggerisce il nome della Fondazione, ‘Stella mattutina’ – ha detto - questa stella deve continuare a illuminare gli altri”. Oltre al servizio agli anziani e ai bisognosi, le suore sono attive nelle situazioni di emergenza sanitaria. (R.B.)

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    Spagna: a Valencia si apre la prima Settimana del cinema spirituale

    ◊   Prenderà il via domani la prima Settimana del cinema spirituale in Spagna, a Valencia, e che si chiuderà venerdì 5 febbraio. Come riportato dall’agenzia Sir, un migliaio di studenti parteciperà a questa prima edizione, assistendo alla proiezione di diverse pellicole del cinema spirituale, approfondirà la critica al sistema cinematografico attuale e si confronterà con i valori veicolati dai film, riflettendo sul senso ultimo della vita. Secondo gli organizzatori dell’iniziativa, cui ha collaborato l’associazione Signis, il cinema spirituale “analizza l’espressione del pensiero religioso, filosofico, estetico e sociale da una prospettiva umanista che permette di riconoscere in forma implicita o esplicita il mistero di Dio nel mistero dell’essere umano”. Perciò spesso il cinema religioso è “cinema spirituale, ma il cinema spirituale abbraccia uno spazio molto più ampio dei film, che va dalle fiction ai documentari, fino alle proposte sperimentali”. Le scuole cattoliche della comunità di Valencia contano in tutto 150mila studenti e 11.500 professori in 290 centri. (R.B.)

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    Arriva nelle sale italiane il film ‘Lourdes’

    ◊   Sarà presentato alla stampa venerdì 5 febbraio, il film ‘Lourdes’, alla Casa del Cinema di Roma. Nelle sale italiane, poi, precisa l’agenzia Sir, la pellicola arriverà l’11 febbraio, anniversario della prima apparizione della Vergine alla veggente Bernadette Soubirous. All’appuntamento con i giornalisti interverranno la regista Jessica Hausner, il presidente nazionale dell’Unitalsi (Unione nazionale italiana trasporto ammalati a Lourdes e santuari internazionali), Antonio Diella, e l’amministratore delegato di Cinecittà Luce, Luciano Sovena. Il film racconta la storia di Christine, una giovane costretta all’immobilità da una malattia incurabile che guarisce miracolosamente. Attraverso questa narrazione, spiegano i promotori, si è voluto affrontare il tema della ricerca da parte dell’uomo di una rivelazione interiore. Per farlo, si arriva al Santuario mariano di Lourdes, meta ogni giorno di migliaia di pellegrini, ognuno con il suo desiderio di guarigione, interiore ed esteriore, e ognuno con il suo destino. Il film ha ottenuto i consensi della critica e del pubblico all’ultima Mostra internazionale di arte cinematografica a Venezia. (R.B.)

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    24 Ore nel Mondo



    Nuove violenze in Somalia: l'Onu esclude l'invio di caschi blu

    ◊   Niente caschi blu in Somalia, almeno fino a quando la situazione non sarà più pacificata: è quanto ha affermato ieri il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon di fronte alla nuova escalation di violenze nel Paese. Venerdì scorso 15 persone sono morte in scontri a Mogadiscio. Ad un anno dall’insediamento di Ahmad Sherif come presidente del governo transitorio del Paese africano, un gruppo di ribelli dei Giovani Mujahidin e del Partito islamico hanno sferrato un duro attacco al palazzo presidenziale, protetto dalle truppe del contingente africano, Amisom. La situazione in Somalia si fa dunque sempre più pesante, aggravata anche dalle continue azioni in mare dei pirati che da mesi attaccano e sequestrano imbarcazioni straniere. Ce ne parla mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio, intervistato da Emer McCarthy:

    R. – In questi ultimi mesi la comunità internazionale si è particolarmente impegnata sul mare, sull’Oceano indiano e il Golfo di Aden, per permettere che le navi possano passare contro la pirateria somala. Però, questo problema della pirateria somala non si può risolvere solo sul mare, bisogna tenere in mente che, se sulla terra si riesce a trovare qualche soluzione, si troverà la soluzione anche per il mare.

     
    D. - Nella guerra di Somalia spesso vengono dimenticati le decine di migliaia di donne, uomini e bambini che sono stati costretti a scappare e a cercare rifugio altrove in Kenya e anche Yemen…

     
    R. - Ci sono circa trecentomila rifugiati somali in Kenya nei campi di Dadaab e ce ne sono circa settecentomila nello Yemen ma in gran parte sono proprio somali che hanno attraversato il Golfo di Aden. Il problema più grave sono i cosiddetti sfollati in Somalia, sono circa un milione e mezzo. A parte l’aspetto finanziario, c’è il problema grave della sicurezza. Spesso le persone che sono veramente in bisogno non possono essere raggiunte perché ci sono dei gruppi che di fatto sequestrano i viveri.

     
    D. – Parliamo adesso del problema della Chiesa in questa regione, soprattutto penso al lavoro della Chiesa sul confine tra Kenya e Somalia: ci sono e ci sono sempre stati molti missionari…

     
    R. - La cosiddetta provincia del nordest del Kenya, abitata quasi esclusivamente da somali, ecco è diventata in questi ultimi anni estremamente pericolosa perché circa un anno fa alcune suore che stavano nella zona di Elwak furono prese in ostaggio e portate in Somalia e poi si è dovuto attendere qualche mese prima che fossero liberate. In conseguenza di ciò il personale missionario, soprattutto se proviene dall’Europa, dall’Italia in questo caso, oppure dall’America, ha dovuto essere ridotto per evitare appunto che vengano sequestrati e che poi si debbano pagare dei riscatti enormi. E’ chiaro che questa situazione rende più grave il problema dei rifugiati e della popolazione locale perché il potenziale umano che la Chiesa può continuare a dare non può essere presente in una maniera più continua e in una maniera più efficace proprio a causa di questo problema dell’instabilità in Somalia.

     
    Iraq: attacco kamikaze
    Non c’è pace in Iraq dove due persone sono state uccise e 19 sono rimaste ferite a seguito di un attacco kamikaze avvenuto ieri pomeriggio in un bar-ristorante di Samarra, 125 chilometri a nord di Baghdad. Il locale dell'antica città è frequentato solitamente da poliziotti e da ex ribelli sunniti che hanno preso le distanze dalla rete combattente di al Qaida.

    Afghanistan
    Non si fermano le violenze in Afghanistan dove oggi si chiude il mese di gennaio più sanguinoso per le truppe straniere dall’inizio dell’intervento nel 2001. La pacificazione del Paese appare dunque ancora lontanissima anche alla luce del secco no dei talebani alla proposta di dialogo lanciata alla conferenza di Londra sull’Afghanistan e ribadita oggi dal presidente Karzai. Il punto nel servizio di Marco Guerra:

    Il conflitto afghano, entrato nel suo nono anno, continua a registrare bilanci che si fanno di mese in mese sempre più drammatici. Dopo un 2009 record per le vittime civili e militari, si è appena chiuso il gennaio più sanguinoso di sempre per le truppe straniere, con 44 soldati di diversa nazionalità rimasti sul terreno. Anche nelle ultime 48 ore non sono mancati attacchi dei ribelli integralisti. Numerose le vittime tra l’esercito afghano e gli stessi insorti. Mentre in una base militare nell’est del Paese due soldati statunitensi sono stati uccisi da un interprete locale che è poi stato a sua volta ucciso a seguito dalla sparatoria che ne è scaturita. Secondo fonti non ufficiali all’origine del gesto non ci sarebbero motivi politici. In questo quadro il presidente afghano, Hamid Karzai, ha rinnovato il suo appello ai talebani per una riconciliazione nazionale. ''A quei compatrioti nel movimento dei talebani che non hanno legami con al Qaida – ha detto oggi Karzai in conferenza stampa - chiediamo di deporre le armi e di tornare ad una vita pacifica”. Insomma l’unica strada percorribile sembra ancora quella del dialogo nonostante il categorico rifiuto di ogni trattativa espresso ieri dai vertici delle milizie integraliste.

     
    Sospetto traffico di armi tra Corea del Nord e Iran
    Era destinato all'Iran il carico di armi nord-coreane intercettato all’aeroporto di Bangkok a seguito di uno scalo d’emergenza effettuato da un aereo di Pyongyang. Lo dice un rapporto riservato che la Thailandia ha trasmesso ad una speciale commissione del Consiglio di sicurezza dell'Onu che dovrà esaminare la questione il mese prossimo. Nel documento si afferma che le 35 tonnellate di armi comprendevano razzi, lanciarazzi e granate. Se le circostanze venissero confermate dalla commissione Onu, potrebbe essere contestata una grave violazione delle sanzioni internazionali alla Corea del Nord.

    Londra accusa Pechino di spionaggio
    Uomini di affari britannici spiati attraverso chiavette Usb offerte loro in regalo. Secondo il contro spionaggio di Londra l’infiltrazione sarebbe avvenuta ad opera della Cina. Lo scrive il Sunday Times, citando un documento interno dell’intelligence britannica. I servizi segreti cinesi avrebbero avvicinato gli imprenditori in occasioni di fiere offrendo loro “regali'” o una “generosa ospitalità”. I regali erano macchine fotografiche o penne per l'archiviazione elettronica di dati infettate con virus informatici che consentono di controllare i computer dei manager britannici. L'obiettivo era quello di carpire segreti industriali.

    Russia-Libia fornitura armi
    Russia e Libia hanno firmato un maxi contratto per la fornitura di armamenti al governo di Tripoli del valore di 1,3 miliardi di euro. L’annuncio è stato dato dal premier russo Putin, il quale ha spiegato che Mosca non fornirà “solo armi da fuoco”. Martedì scorso, dopo la visita a Mosca del ministro della Difesa libico, una fonte diplomatica russa aveva detto che la Libia voleva 20 aerei da combattimento, almeno due sistemi di difesa anti-aerea S-300 e alcune decine di carri T-90C. I solidi rapporti tra Russia e Libia risalgono alla guerra fredda e il 90% delle armi oggi in dotazione al Paese africano è di fabbricazione sovietica.

    Messico ucciso giornalista
    Messico sotto shock per l’ennesimo omicidio di un giornalista. La vittima è Jorge Ochoa, direttore del giornale “Despertar de la Costa”, raggiunto da numerosi colpi d’arma da fuoco mentre era in un ristorante in una località a 100 km a sud di Acapulco. Questo omicidio fa salire a tre il numero dei giornalisti uccisi dall'inizio dell'anno. Il Messico si è classificato al secondo posto per numero di giornalisti uccisi nel 2009, con 13 morti, dietro le Filippine e davanti alla Somalia, secondo un bilancio stilato dalla Ong Presse Embleme Campagne (Pec), con sede a Ginevra.

    Cina terremoto
    Una scossa di magnitudo 5,2 gradi Richter ha colpito il sudovest della Cina causando almeno un morto, 11 feriti e il crollo di decine di edifici. L'epicentro è stato localizzato nei pressi della città di Suining, nella provincia di Sichuan, già devastata nel 2008 da un terremoto che provocò circa 90mila vittime. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 31

     
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