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Sommario del 08/01/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • I cristiani siano testimoni della fede senza timori e rispetto umano: così il Papa all'Ispettorato di Pubblica sicurezza che opera presso il Vaticano
  • L'umiltà, via dell'uomo per incontrare Dio: le parole di Benedetto XVI nel tempo di Natale
  • Altre udienze e nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Solidarietà del cardinale Kasper alla Chiesa copta ortodossa per le violenze anticristiane in Egitto
  • Attacchi alle chiese in Malaysia. Mons. Sarah: volontà di annientare i cristiani
  • Scontri e violenze in Sud Sudan in vista di elezioni e referendum
  • Protesta degli immigrati a Rosarno. Mons. Demasi: tenuti in condizioni disumane
  • Incendio nella Biblioteca dei Padri Bianchi a Tunisi: morto un missionario italiano
  • Chiesa e Società

  • I vescovi del Venezuela preoccupati per gli sconfinamenti di gruppi armati colombiani
  • Repubblica Dominicana: il ricordo della prima Messa in America 516 anni fa
  • All'insegna della speranza la visita in Terra Santa di vescovi europei e nordamericani
  • Nepal: iniziata la liberazione dei primi bambini soldato in mano ai maoisti
  • Cina: condannato a 6 anni di carcere un regista tibetano
  • La diocesi di Hong Kong riflette sul sacerdozio
  • Madrid: la Croce della Gmg accanto alle vittime del terrorismo
  • Ieri ad Alba le esequie di don Leonardo Zega celebrate da mons. Dho
  • Battesimo di una nuova scuola primaria dei salesiani in Inghilterra
  • 24 Ore nel Mondo

  • Obama si assume la responsabilità per gli errori della sicurezza nel fallito attentato a Natale
  • Il Papa e la Santa Sede



    I cristiani siano testimoni della fede senza timori e rispetto umano: così il Papa all'Ispettorato di Pubblica sicurezza che opera presso il Vaticano

    ◊   Dopo l’incontro di ieri con i carabinieri, oggi Benedetto XVI ha ricevuto, sempre nella Sala Clementina, i dirigenti e gli agenti dell’Ispettorato di Pubblica sicurezza che operano in Piazza San Pietro e nelle adiacenze del Vaticano. Presente, al tradizionale appuntamento d’inizio anno col Papa anche il capo della Polizia, il prefetto Antonio Manganelli. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Il grazie di Benedetto XVI va, dopo i carabinieri, anche alla Polizia per il servizio svolto presso il Vaticano per la sicurezza dei pellegrini e a tutela della missione del Papa. Un servizio nascosto e pieno di sacrifici ma “particolarmente importante” per lo svolgimento del ministero del Pontefice:

     
    “Infatti, esso consente il clima di tranquilla serenità che permette a quanti vengono a visitare il centro della Cristianità la possibilità di un’autentica esperienza religiosa, a contatto con testimonianze fondamentali della fede cristiana, quali la tomba dell’apostolo Pietro, le reliquie di tanti Santi e le tombe di numerosi Pontefici, amati e venerati dal popolo cristiano”.

     
    Si tratta di un modo particolare di servire il Signore – ha affermato il Papa – quasi un “preparargli la strada”, perché l’esperienza vissuta presso il centro della Cristianità rappresenti per ogni pellegrino una “occasione per l’incontro col Signore, che cambia la vita”. Quindi l’invito conclusivo ad essere autentici testimoni di Cristo:
     
    “Quanto siete chiamati a svolgere valga a rendervi sempre più forti e coerenti nella fede e a non aver timore o rispetto umano nel manifestarla nell’ambito delle vostre rispettive famiglie, del vostro lavoro e dovunque veniate a trovarvi”.

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    L'umiltà, via dell'uomo per incontrare Dio: le parole di Benedetto XVI nel tempo di Natale

    ◊   Amore e luce: è il binomio che ricorre costantemente nelle omelie ed Angelus di Benedetto XVI nelle celebrazioni natalizie di quest’anno. Dalla Messa della Vigilia all’Epifania, il Papa mostra ai fedeli la grandezza di un Dio che si fa Bambino. E ci invita a tornare noi stessi piccoli, umili per accogliere la luce del Signore nel nostro cuore. Ripercorriamo alcuni pensieri del Papa in questo tempo di Natale nel servizio di Alessandro Gisotti:

    A Natale, celebriamo la forza di un Bambino che irradia con la sua luce d’amore tutta l’umanità. Nella Messa della Notte, il Papa invita l’uomo di oggi a far spazio a questo amore, ad accogliere Dio, ad affrettarsi come i pastori diretti a Betlemme:

     
    "Dio è importante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questa priorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarci schiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamo apprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni – per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo entrare nella nostra vita e nel nostro tempo”. (Omelia, Messa 24 dicembre 2009)
     
    Nella notte di Natale, afferma ancora il Papa, assistiamo alla novità straordinaria di una Parola che si è fatta carne in un piccolo bambino inerme:

     
    "Il segno di Dio, il segno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il segno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventa bambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmo noi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e pertanto ci dà speranza: così è Dio". (Omelia, Messa 24 dicembre 2009)
     
    E il giorno dopo, nel messaggio natalizio, il Papa mette l’accento sulla luce che promana dalla grotta di Betlemme, una luce di speranza che squarcia le tenebre:
     
    “La luce del primo Natale fu come un fuoco acceso nella notte. Tutt’intorno era buio, mentre nella grotta risplendeva la luce vera ‘che illumina ogni uomo’ (Gv 1,9). Eppure tutto avviene nella semplicità e nel nascondimento, secondo lo stile con il quale Dio opera nell’intera storia della salvezza. Dio ama accendere luci circoscritte, per rischiarare poi a largo raggio”. (Messaggio natalizio, 25 dicembre 2009)

     
    Questo amore, questo Bambino, ribadisce il Santo Padre, la Chiesa non lo tiene per sé ma lo offre a quanti lo cercano con cuore sincero. E il 26 dicembre, memoria di Santo Stefano protomartire, ricorda che quel Bimbo, che vagisce nella mangiatoia, chiede a ognuno di noi di testimoniare con coraggio il suo Vangelo, anche a costo della propria vita. Il giorno dopo, nella Solennità della Santa Famiglia, il Papa sottolinea dunque che, con la nascita di Gesù, la famiglia umana diventa icona di Dio. Un Dio-amore che ha cambiato il corso della storia dell’uomo:

     
    "Con l’incarnazione del Figlio di Dio, l’eternità è entrata nel tempo, e la storia dell’uomo si è aperta al compimento nell’assoluto di Dio. Il tempo è stato - per così dire - 'toccato' da Cristo, il Figlio di Dio e di Maria, e da lui ha ricevuto significati nuovi e sorprendenti: è diventato tempo di salvezza e di grazia". (Te Deum, 31 dicembre 2009).

     
    Proprio Maria, osserva il Papa il primo gennaio nella Solennità della Madre di Dio, è la prima a vedere il volto di Dio, “fatto uomo nel piccolo frutto del suo grembo”:

     
    “La madre ha un rapporto tutto speciale, unico e in qualche modo esclusivo con il figlio appena nato. Il primo volto che il bambino vede è quello della madre, e questo sguardo è decisivo per il suo rapporto con la vita, con se stesso, con gli altri, con Dio; è decisivo anche perché egli possa diventare un ‘figlio della pace’”. (Omelia, Messa del 1 gennaio 2010)
     
    L’umiltà di Maria e l’umiltà dei Magi, che si inginocchiano davanti al Bambino nella mangiatoia, dopo un lungo viaggio alla ricerca della verità. Manca oggi, avverte il Papa nella Solennità dell’Epifania, “la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio”:

    “Alla fine, quello che manca è l'umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. (…) Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo”. (Omelia, Solennità dell’Epifania, 6 gennaio 2010)

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina anche il cardinale Camillo Ruini, vicario generale emerito del Papa per la diocesi di Roma, e mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, arcivescovo tit. di Tibica, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    In Australia, il Papa ha nominato vescovo di Parramatta mons. Anthony Colin Fisher, domenicano, finora vescovo titolare di Buruni ed ausiliare di Sydney. Mons. Anthony C. Fisher è nato a Sydney il 10 marzo 1960. Dopo gli studi secondari al "St. Ignatius College"a Sydney, ha conseguito il Baccellierato in diritto nel 1984 presso l’Università di Sydney e ha lavorato per un gruppo di avvocati. All’età di 25 anni è entrato nell’Ordine dei Predicatori e si è trasferito a Melbourne, dove ha fatto gli studi di teologia presso la “Yarra Theological Union”. Ha emesso i voti perpetui il 18 febbraio 1987 ed è stato ordinato sacerdote il 14 settembre 1991. Subito dopo è stato inviato all’Università di Oxford, dove ha conseguito la laurea in filosofia nel 1995. Al suo ritorno in Australia, ha operato nella Casa provinciale dei Padri Domenicani a Melbourne, insegnando allo stesso tempo nell’"Australian Catholic University". Nel 1999 è stato nominato maestro dei Novizi dell’Ordine. Nel 2000, ha fondato il John Paul II Institute for Marriage and the Family a Melbourne, e ne è stato nominato primo direttore. Successivamente è stato membro della Pontificia Accademia per la Vita. Dal 1997 al 2000 è stato vicario episcopale per "Health Care" e cappellano del Parlamento dello Stato di Victoria. Il 16 luglio 2003 è stato nominato vescovo titolare di Buruni e ausiliare di Sydney, ed ha ricevuto la consacrazione episcopale il 3 settembre del medesimo anno. Nella Conferenza Episcopale dell’Australia è membro dei Comitati: "Bishops Commission for Doctrine and Morals" e "Bishops Commission for Health and Community Services". È stato vescovo coordinatore incaricato dalla Conferenza Episcopale Australiana per la preparazione e lo svolgimento della Giornata Mondiale della Gioventù (Sydney 2008).

    Il Santo Padre ha annoverato al Collegio dei Protonotari Apostolici di Numero Partecipanti mons. Nicolas Henry Marie Denis Thevenin, consigliere di nunziatura di prima classe.

    Il Papa ha nominato presidente della Commissione Permanente per la Tutela dei Monumenti Storici ed Artistici della Santa Sede il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani. Il Papa ha inoltre nominato segretaria della medesima Commissione la dott.ssa Maria Cristina Carlo-Stella, Capo Ufficio presso la Fabbrica di San Pietro.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'economia non ha bisogno di chiaroveggenti: in prima pagina, un editoriale di Ettore Gotti Tedeschi su crisi e previsioni sbagliate.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il Sud Sudan, ricco di risorse ma povero di pace: sanguinose violenze di matrice tribale a cinque anni dalla firma dell'accordo con Khartoum sull'autonomia della regione.

    Ritrovato il primo contratto per il baldacchino di San Pietro: in cultura, Maria Antonia Nocco illustra, in anteprima, le nuove scoperte sull'operato di Gian Lorenzo Bernini in Vaticano (accertato anche un intervento dell'artista sulla cancellata della Confessione); l'altare nei ricordi di Gilbert K. Chesterton e un articolo di Sandro Barbagallo sugli sciami d'api per la gloria del Papa.

    Nella biblioteca del curato d'Ars: Bernard Ardura sulla conoscenza, attraverso i suoi libri, di san Giovanni Maria Vianney.

    Tutto l'ebraismo è una musica: Luca Miele sulle canzoni yiddish e il repertorio klezmer tra sacro e profano.

    Un servizio prezioso per il Papa e per la Chiesa: nell'informazione vaticana, l'udienza di Benedetto XVI all'Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano.

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    Oggi in Primo Piano



    Solidarietà del cardinale Kasper alla Chiesa copta ortodossa per le violenze anticristiane in Egitto

    ◊   “Quando i cristiani soffrono ingiustamente è il Corpo di Cristo ad essere ferito”: sono parole del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che, dopo i gravi fatti della notte del Natale ortodosso in Egitto, ha scritto una lettera a Sua Santità Shenouda III, Papa di Alessandria d’Egitto e Patriarca della sede di San Marco del Cairo. Il servizio di Fausta Speranza:

     
    “Tutti i cristiani devono essere uniti di fronte all’oppressione e cercare insieme la pace che solo Cristo può dare”. Il cardinale Kasper richiama all’unità, assicurando vicinanza e preghiera ed esprimendo la sua tristezza nell’apprendere delle violenze avvenute nell’Alto Egitto la notte tra il 6 e il 7 gennaio, che per le chiese che seguono il calendario giuliano è la notte di Natale. Nel villaggio meridionale di Nagaa Hamadi, otto cristiani della comunità copta e un poliziotto sono rimasti uccisi da tre musulmani che hanno sparato contro i fedeli in uscita dalla Messa. A spingere al gesto omicida, di cui sarebbe responsabile un pregiudicato già identificato dalle forze dell'ordine, la vicenda di un presunto rapimento con abusi sessuali ai danni di una giovane musulmana, attribuito ad un giovane cristiano. Da parte sua, il vescovo copto cattolico di Luxor, mons. Youhannes Zakaria, sottolinea che l’attacco durante il Natale ortodosso non e' avvenuto a caso. Parla di “un disegno evidente di trasformare i giorni di festa cristiani in giorni del dolore'', ricordando che anche a Pasqua scorsa è stata attaccata la comunità cristiana nel villaggio di Nagaa Hamadi, con tre giovani vite spezzate. Mons. Zakaria denuncia motivazioni politiche: alcune forze intendono promuovere l'islam politico, dice. Di fronte a tutto ciò quale possibile impegno da parte dell’Europa? L’abbiamo chiesto a Mario Mauro, presidente del gruppo Pdl al Parlamento Europeo e rappresentante personale della Presidenza dell’Osce contro razzismo, xenofobia e discriminazione, con particolare riferimento alla discriminazione dei cristiani:

     
    R. - Da parte delle istituzioni locali così come anche da parte della comunità internazionale bisogna ricordare con forza due cose. Primo, che la libertà religiosa non è una libertà come tutte le altre ma è condizione indispensabile perché tutte le altre libertà vengano riconosciute. Secondo, che una convivenza civile e pacifica è impossibile se viene impedito ad una persona di poter affermare liberamente e poter sostenere attraverso opere e fatti le cose in cui crede. E’ proprio per questo che noi dobbiamo essere vicini al governo egiziano nel tentare di arginare la violenza del radicalismo islamico ma al tempo stesso dobbiamo essere vigili e far sentire all’interno del consesso internazionale una voce forte: una voce di monito anche nei confronti delle istituzioni locali perché l’aspetto della tutela delle comunità cristiane non venga considerato semplicemente un gesto di buona volontà ma un dovere essenziale se si vuole essere definiti uno Stato democratico.

     
    D. - L’attenzione della comunità internazionale è molto concentrata su Iraq ma ancora di più su Afghanistan e Pakistan. Stiamo forse dimenticando Paesi come l’Egitto, in tema di fondamentalismo?

     
    R. – In realtà l’Egitto rappresenta un Paese chiave. E’ un Paese di 80 milioni di abitanti, un Paese dove oltre la metà sono giovani sotto i 25 anni, un Paese con sacche di povertà profonda, un Paese in cui in realtà le radici del radicalismo islamico sono incredibili. E’ il Paese dove si è diffusa la dottrina dei cosiddetti Fratelli musulmani, dove questa è diventata pratica e posizionamento politico che è a ridosso del governo di Mubarak, che soffia sul collo di questo stesso governo e che probabilmente ha gettato un’ipoteca addirittura sul futuro dell’Egitto. Non dimentichiamo che la zona in cui sono accaduti questi disordini è una zona non lontana dal confine con il Sudan, nell’area di Luxor, nel sud dell’Egitto, e quindi dove le infiltrazioni di elementi radicali e le tensioni sono possibili in ogni momento. Anche se da un lato si sono moltiplicati gli sforzi delle autorità egiziane, l’Egitto non è un Paese sullo sfondo della tragedia del fondamentalismo islamico ma è un Paese, per molti versi, centrale rispetto a questa esperienza. E ancora poco sappiamo della capacità di alcune sue forze di investire attraverso atti terroristici e infiammare non solo le aree ma in qualche modo anche altre aree del mondo. Non dimentichiamo, inoltre, che un uomo come Al Zawahiri è un egiziano e che sono egiziani coloro che hanno operato molti attentati nell’area degli alberghi a ridosso del confine con Israele e sono egiziani anche coloro che hanno fatto attentati in località famose come Sharm el Sheikh. Parimenti è un Paese che ha bisogno degli sforzi e della concentrazione della comunità internazionale per poter risolvere a pieno i propri problemi e soprattutto è un Paese dove la tutela e la libertà per le comunità cristiane è ipso facto tutela del valore della tolleranza e della vita di comunità per tutte le genti che abitano in Egitto. Difendere i cristiani non vuol dire mettere un cordone di protezione intorno a una comunità ghetto: difendere i cristiani vuol dire contribuire a fare dell’Egitto un Paese di democrazia e di libertà: diversamente si getterebbe un’ombra sinistra sul destino dell’intero Medio Oriente.

     
    D. - Dunque, non è da dimenticare quello che è successo in occasione del Natale copto, non é da archiviare come episodio…

     
    R. – No, non è da dimenticare. Come dice il ministro Frattini, è un fatto che provoca orrore nella nostra comunità per i tanti legami che abbiamo con il Paese egiziano, però allo stesso tempo dobbiamo essere molto chiari: è l’ennesimo episodio di una situazione, quella egiziana, che preoccupa per la complessità ma anche per la gravità e in ogni momento può diventare la modalità con cui si accende il dramma dello sconvolgimento ulteriore del Medio Oriente.

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    Attacchi alle chiese in Malaysia. Mons. Sarah: volontà di annientare i cristiani

    ◊   Tre chiese cattoliche sono state attaccate la scorsa notte alla periferia di Kuala Lumpur, in Malaysia, Paese a maggioranza musulmana. Dietro gli attacchi incendiari, la polemica scoppiata in questi giorni sul diritto dei cattolici di scrivere la parola “Allah”, dopo che l'Alta corte malese ha sospeso l'autorizzazione ad utilizzarla ad un quotidiano cattolico locale. La settimana scorsa la stessa Alta corte aveva concesso al periodico il diritto di utilizzare la parola “Allah”, ma l'ha revocato dopo che il governo malese aveva denunciato il rischio di tensioni interreligiose. La Chiesa locale - riferisce l’agenzia Fides - afferma che in lingua malay esiste solo il termine “Allah” per chiamare Dio, ed è perciò incostituzionale applicare restrizioni linguistiche ai cristiani malaysiani. Su questa vicenda che coinvolge la minoranza cristiana della Malaysia, ecco il commento dell'arcivescovo Robert Sarah, segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, intervistato da Hélène Destombes:

    “Je pense que c'est vraiment la volonté de les anéantir...
    Io credo che ci sia veramente la volontà di annientarli, la volontà di ignorarli, di rifiutare che i cristiani hanno una fede in Dio. Il fatto poi che venga loro proibito di pronunciare il nome di Dio è come considerarli pagani e quindi da convertire all’Islam. Questa è la volontà. Noi dobbiamo pregare per questi cristiani che vivono in terre musulmane e che soffrono molto”.

    Alla base degli attacchi, c’è dunque una volontà discriminatoria da parte di gruppi fondamentalisti islamici. Ne è convinto padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia AsiaNews, intervistato da Luca Collodi:
     
    R. – I musulmani, o per lo meno questi gruppi, vogliono difendere l’uso della parola Allah solo per i musulmani, perché dicono che se usato dai cristiani potrebbe far confondere le idee ai musulmani. In realtà, la difesa che la Chiesa ha portato avanti per sostenere l’uso di questa parola è il fatto che i cristiani usavano la parola Allah prima ancora che esistesse la confederazione della Malaysia. Tant’è vero che la Chiesa ha fatto vedere che ci sono dei vocabolari del 1600 in cui la parola Dio viene tradotta appunto con Allah, quindi, ancora prima che ci fossero questi Stati islamici dentro la regione.

     
    D. – Padre Cervellera, il governo ha annunciato che farà ricorso e ci sono pressioni della comunità islamica più radicale per far fare retromarcia ai giudici...

     
    R. – Sì, ci sono minacce, ci sono tutte queste manifestazioni, e poi il fatto che una parte del governo segue l’onda emotiva. La pressione è molto forte, per questo i cattolici, in particolare, non vogliono assolutamente creare ancora più tensione e cercano di avere un profilo basso.

     
    D. – Tra l’altro oggi si è svolta anche la preghiera del venerdì...

     
    R. – Sì, si è svolta la preghiera del venerdì - che è stata trasmessa anche dalla televisione in tutto il Paese - e ancora una volta l’imam della moschea in Kuala Lumpur ha ribadito che la parola Allah è soltanto per un uso dei musulmani, gli altri non devono usarlo, perché Allah è solo il Dio dei musulmani. E’ una cosa veramente risibile, perché i cristiani arabi, che vengono molto tempo prima di Maometto, hanno usato questa parola.

     
    D. – Dobbiamo dire che la comunità cristiana al momento, però, ha un profilo molto basso. Tra l’altro non sta utilizzando la parola Allah...

     
    R. – No, perché si aspetta appunto il decreto scritto della Corte Suprema in modo tale da poterlo fare. Ma se cresce così la tensione, temo che per evitare ancora più guai bisognerà cercare di trovare una via d’uscita senza troppi scontri. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Scontri e violenze in Sud Sudan in vista di elezioni e referendum

    ◊   Preoccupazione per la situazione in Sud Sudan. Uomini armati della tribù Nuer hanno ucciso in un attacco almeno 139 membri della tribù rivale dei Dinka, razziando circa 5.000 capi di bestiame. Gli scontri giungono a poche ore da un allarme lanciato da dieci agenzie umanitarie, tra cui l’ong Oxfam, che in un rapporto hanno denunciato un possibile aumento della violenza nei prossimi 12 mesi, con le scadenze fissate dell’aprile 2010 per le prime elezioni multipartitiche dall’86 e del gennaio 2011 per il referendum sull’indipendenza del Sud. Già l’anno scorso le violenze nel Sudan meridionale hanno provocato 2500 vittime e 350 mila sfollati. Sulla situazione in atto, ascoltiamo padre Franco Moretti, direttore della rivista comboniana Nigrizia, intervistato da Giada Aquilino:

    R. – Il famoso accordo di pace globale, firmato nel gennaio 2005, che avrebbe dovuto portare la pace in Sud Sudan, in effetti non era un accordo ma un cessate il fuoco. La pace sarebbe dovuta venire nel 2011 con il referendum e l’esercito del Sud Sudan e l’esercito nazionale del regime di Karthoum avrebbero dovuto fondersi, ma questo non è avvenuto. Quindi, ci sono due eserciti in Sudan. Da tener presente poi che anche nell’esercito sudista sono rimaste delle milizie tribali e molte di queste sono ancora stanziate nelle varie zone. Sia i Nuer, sia i Dinka sono pastori e tradizionalmente razziatori. Infatti, negli ultimi scontri, i Nuer sono riusciti a razziare 5 mila capi di bestiame. Quando queste razzie avvengono, le morti si contano a decine, perché un tempo le razzie venivano fatte con archi e lance, ora con i kalashnikov: il Sud Sudan è pieno di armi.

     
    D. – Nelle scorse ore diverse ong hanno denunciato che proprio in Sud Sudan potrebbe aumentare la violenza. Già nel 2009 ci sono stati 2500 morti. Perché?

     
    R. – A qualcuno conviene che il referendum deragli, non venga fatto o non venga fatto in modo corretto. Inoltre quest’anno in aprile avremo le elezioni e anche questo fatto a qualcuno non piace. E questo qualcuno è certamente il regime di Karthoum. Karthoum non vuole perdere il Sud Sudan. Da vari mesi, poi, c’è un altro elemento di insicurezza in Sud Sudan: l’Esercito di Resistenza del Signore, guidato da Joseph Kony, che per 20 anni ha seminato terrore e morte nel Nord Uganda. Questi ribelli ora si sono spostati in Sud Sudan e nell’Est della Repubblica democratica del Congo: sostenuti dal regime di Karthoum, stanno mettendo a ferro e fuoco molti villaggi. I vescovi dicono che in Sud Sudan non c’è una famiglia che non abbia avuto negli ultimi 20 anni una vittima. Noi di Nigrizia siamo preoccupati e temiamo che nella zona gli scontri non siano terminati.

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    Protesta degli immigrati a Rosarno. Mons. Demasi: tenuti in condizioni disumane

    ◊   Stanno tornando nei centri in cui sono ospitati gli immigrati che ieri sera e stamattina hanno inscenato una violenta protesta a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Vi sono stati momenti di tensione, con gli stranieri che hanno aggredito alcuni abitanti e un residente di Rosarno che ha sparato in aria. Per disperdere i manifestanti è stata inviata la polizia, mentre per il ministro dell’Interno Roberto Maroni il problema è che per “troppi anni sono stati tollerati immigrati clandestini”. Ma come vive questa gente, che spesso arriva per le colture stagionali, a Rosarno? Alessandro Guarasci ha sentito il vicario generale della diocesi di Oppido-Palmi, mons. Pino Demasi:

    R. – Vivono accampati, per esempio, nell’ex Opera Sila, che è una fabbrica dismessa. Vivono accampati su cartoni, con pochissima acqua: in condizioni veramente disumane.

     
    D. – La popolazione è solidale con loro?

     
    R. – Il problema dell’immigrazione in Calabria va inquadrato nel grande problema della liberazione dall’oppressione mafiosa. Da una parte c’è infatti la ‘ndrangheta, che cerca di sopraffare questi cittadini, sfruttandoli al massimo, costringendoli ad abitare in quei luoghi, sottopagandoli e sottoponendoli a minacce, dicendo loro: “chiamiamo i Carabinieri”, sapendo che la gran parte di loro sono clandestini; c’è poi l’altra faccia della Calabria, quella della gente buona, che fa a gara per creare una rete di solidarietà attorno a loro.

     
    D. – Questo vuol dire che però c’è un’assenza delle istituzioni? D’altronde il Comune è stato sciolto anche per infiltrazioni mafiose…

     
    R. – C’è l’assenza totale del Governo centrale, della Regione e delle Amministrazioni locali; prendono la scusa che sono clandestini e che non esistono per legge, ma lì ci sono tremila persone, che esistono!

     
    D. – Penso che molti di loro lavorino nelle colture stagionali, allora a questo punto quale soluzione si può approntare, secondo lei, anche nell’immediato?

     
    R. – Già dall’anno scorso esisteva questo problema. La Regione avrebbe potuto fare certamente una legge sull’accoglienza per gli stagionali. Io credo che il problema vada risolto intanto in termini di giustizia e soprattutto con l’impegno delle Amministrazioni locali per fare in modo che questi immigrati non vivano in condizione di sfruttamento da parte della delinquenza organizzata. Credo che anche il gesto di ieri non sia il gesto di ragazzini scalmanati, che sono andati a sparare due colpi di carabina, ma credo che sia certamente inserito in una logica di qualche azione punitiva, una dimostrazione della ’ndrangheta che vuole dire “io esisto, io faccio quello che voglio e voi dovete sottostare a me!”.

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    Incendio nella Biblioteca dei Padri Bianchi a Tunisi: morto un missionario italiano

    ◊   Un missionario italiano, padre Gianbattista Maffi, dei Padri Bianchi, è morto il 5 gennaio scorso a Tunisi in seguito ad un incendio divampato nella Biblioteca dell’Ibla, l’Istituto di Belle Lettere Arabe. Padre Maffi, 54 anni, originario di Mozzanica in provincia di Bergamo, era il direttore della Biblioteca dell'Ibla, l'istituto fondato dai Missionari d’Africa come centro di ricerche e di dialogo cristiano-islamico. Nonostante il rapido intervento, i Vigili del fuoco della città non hanno potuto fare nulla per salvare il religioso. La polizia sta indagando per accertare le cause dell’incendio che sarebbe divampato in seguito ad un’esplosione. Massimiliano Menichetti ha raccolto la testimonianza di padre Richard Baawobr, primo consigliere dei Padri Bianchi:

    R. – Il nostro padre provinciale è entrato nella Biblioteca ed ha scoperto che Gianbattista era già per terra: in Biblioteca c’era il fuoco, hanno cercato di spegnerlo… Sono arrivati anche i Vigili del fuoco per spegnere l'incendio e altra gente. Non sappiamo cosa sia successo e come sia cominciato l’incendio. Il risultato è che alla fine lo hanno trovato morto.

     
    D. – La Polizia sta svolgendo delle indagini...

     
    R. – Sì, sperano di avere dei risultati già questo pomeriggio.

     
    D. – Il Centro ha subito delle minacce? Ci sono stati dei problemi?

     
    R. – No, il Centro non ha mai ricevuto minacce, anche perché è aperto a tutti: è una Biblioteca di ricerca, è un’importante riserva di libri e la gente viene per studiarli e per consultarli. E’ proprio da lì che è nato poi l’Istituto che abbiamo a Roma, il Pisai, il Pontificio Istituto di studi arabi e islamistica.

     
    D. – Chi era padre Maffi?

     
    R. – Quello che era veramente importante per lui era il dialogo, era l’incontro con l’altro, diverso da sé, e lo faceva sempre nel rispetto dell’altro. Era un intellettuale ed ha sempre avuto il grande desiderio di aiutare le persone a capire meglio l’Islam, per non averne paura e per entrare in dialogo con questa religione e con questo popolo.

     
    D. – Qual è il messaggio che rimane di padre Maffi?

     
    R. – Di non avere paura dell’altro, perché diverso per la sua religione e per la sua cultura, ma di cercare di incontrarlo come un fratello, come una sorella.

     
    D. – Questa notizia ha portato il dolore nella vostra casa, qual è il suo pensiero personale?

     
    R. – Gratitudine al Signore per ciò che ha realizzato attraverso la sua vita, cosa che noi cercheremo di continuare, incontrando le altre persone, soprattutto i musulmani, accogliendo e accettando tutti, come ha cercato di fare padre Maffi.

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    Chiesa e Società



    I vescovi del Venezuela preoccupati per gli sconfinamenti di gruppi armati colombiani

    ◊   Nella sua allocuzione per l’apertura, ieri, della 90.ma assemblea plenaria dell’Episcopato del Venezuela, mons. Ubaldo Santana, arcivescovo di Maracaibo, ha affermato di “ritenere inammissibile, se fosse vera, la presenza di gruppi armati colombiani in territorio venezuelano”. Una tale evenienza, secondo il prelato, non farebbe altro che incidere negativamente sulle relazioni, già tese e difficili, tra il suo Paese la vicina Colombia. Sarebbe, ha aggiunto, “una minaccia per la convivenza pacifica”. Anche se le autorità del Paese e lo stesso presidente Hugo Chávez hanno negato la notizia sulla presenza di questi gruppi, la stampa locale afferma il contrario e in numerosi articoli si offrono racconti e testimonianze di uomini armati non venezuelani nelle zone confinanti. In alcuni casi, come per esempio nel giornale “El Universal”, è stato scritto che “queste persone si muovono impunemente tra un Paese e l’altro”. D’altra parte, si legge in un comunicato, simili affermazioni, come anche le denunce, si moltiplicano sulla stampa colombiana che, proprio in questi giorni, ha usato parole del presidente Chávez per dare solidità ai suoi racconti. Il capo di Stato venezuelano venezuelano ha dichiarato giorni fa che “poiché metà del territorio colombiano è nelle mani di gruppi armati, è impossibile evitare che possano entrare in territorio venezuelano guerriglieri, paramilitari, sicari, narcotrafficanti o terroristi”. Va ricordato che queste due nazioni sudamericane hanno oltre 2200 chilometri di frontiera in comune e buona parte di queste si snoda nella giungla amazzonica. Inoltre, secondo la stampa locale, qui sono già in costruzione alcune basi militari statunitensi, autorizzate da un accordo firmato tra Bogotà e Washington. Per i vescovi, si tratta di una situazione complessa e delicata, che può anche sfuggire al controllo e perciò, ha osservato mons. Santana, “sarebbe il caso piuttosto di approfittare del momento per accrescere la solidarietà e la cooperazione tra i nostri popoli”. Infine, il presidente dell’Episcopato del Venezuela ha richiamato l’attenzione sulla crescita della violenza nel Paese ricordando che ciò “colpisce molte famiglie sotto un manto crudele di dolore”. Occorre, ha chiesto il prelato, che le autorità “aumentino i loro sforzi in favore della sicurezza cittadina (…), poiché “vediamo con costernazione che nelle nostre città e nelle nostre campagne aumenta il tasso di violenza”. Nel Paese si è “perso il senso del valore sacro della vita umana e il senso dell’esistenza stessa”, e “dunque dobbiamo reagire di fronte ad un problema così grave anche perché mancano politiche pubbliche adeguate”, ha concluso l’arcivescovo di Maracaibo. (A cura di Luis Badilla)

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    Repubblica Dominicana: il ricordo della prima Messa in America 516 anni fa

    ◊   Il cardinale Nicolás de Jesús López Rodriguez, arcivescovo di Santo Domingo, ha presieduto mercoledì scorso nella chiesa de “La Isabel” un solenne rito eucaristico per ricordare i 516 anni dalla celebrazione della prima Messa nel continente americano. Insieme a lui hanno celebrato mons. Josep Wesolosky, nunzio apostolico, e altri quattro vescovi. Nella sua omelia il porporato, evocando i fatti del 6 gennaio 1994, ha rilevato l’importanza storica e pastorale di fra Bernardo Boyl e altri dodici ecclesiastici che “dettero inizio all’evangelizzazione di massa nel contesto del secondo viaggio di Cristoforo Colombo” e proprio a “Villa La Isabel”, la prima cittadella fondata dal navigante genovese. Da parte sua il nunzio, mons. Wesolosky, ha invitato tutti a riflettere sulla lezione di “unione e solidarietà per tutti i popoli latinoamericani” che arriva da tempi così lontani, ma che non ha perso “nulla del suo significato profondo”. Oggi, ha aggiunto, “siamo qui per pregare e per ringraziare per la fede cristiana che lungo i secoli è entrata nell’anima dei popoli” della regione. L’arcivescovo di Santo Domingo, cardinale López Rodriguez, parlando con i giornalisti al termine della Messa, ha sottolineato l’importanza che ha per il suo Paese e tutta l’area il futuro della gioventù, in particolare in un’ora in cui questi giovani vivono sotto l’assedio di molte minacce. Nel caso della droga, fenomeno preoccupante in tutti i Paesi latinoamericani, il porporato ha sottolineato che “non servono e non sono utili le politiche tiepide e perciò occorre essere chiari: non si può legalizzare il consumo di stupefacenti”. In merito a proposte simili, in alcuni casi provenienti da portavoce evangelici, l’arcivescovo ha aggiunto: “Nulla di nuovo sotto il sole. Da venti anni ho sentito parlare di legalizzare la vendita della droga per metterla sotto controllo. E’ un errore. Non risolve nulla, oltretutto rende demente una parte della popolazione”. Infine, con riferimento ad alcune analisi molto allarmistiche, che paventano un crollo della società sotto il peso delle droghe, il cardinale di Santo Domingo ha precisato di ritenere che “è un fenomeno molto grave, ma ciò non significa che il mondo finirà collassato a causa degli stupefacenti. Il nostro dovere è piuttosto quello di “orientare i nostri giovani innanzitutto a pensare”. (A cura di Luis Badilla)

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    All'insegna della speranza la visita in Terra Santa di vescovi europei e nordamericani

    ◊   Inizierà domenica prossima l’annuale visita alle popolazioni cristiane e alle Chiese presenti in Terra Santa di una delegazione di 26 tra vescovi e rappresentanti di Conferenze episcopali e organismi ecclesiali europei e nordamericani. L'incontro, che si concluderà il 14 gennaio, è organizzato dal Coordinamento delle Conferenze episcopali a favore della Chiesa della Terra Santa e dell’Assemblea dei vescovi cattolici della Terra Santa, Holy Land Co-ordination (Hlc). Quest’anno, riferisce l’agenzia Sir, farà parte della delegazione anche padre Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee (Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa). “Con questa visita, i vescovi europei, hanno inteso esprimere il loro desiderio di comprendere meglio e condividere le difficoltà delle popolazioni di quei territori e, allo stesso tempo, dare un segno tangibile della vicinanza che le nostre Chiese hanno verso i cristiani della Terra Santa e dell’amicizia nei confronti del popolo israeliano e palestinese – ha affermato padre Duarte da Cunha. “La Chiesa in Europa – ha continuato – ha bisogno di questo tipo di incontri per costruire ponti di solidarietà e per definire il genere di interventi a sostegno dei nostri fratelli cristiani”. La delegazione inizierà il suo viaggio incontrando le comunità cristiane a Gaza e le parrocchie nella West Bank. Nei giorni seguenti sono previsti incontri con le popolazioni locali, giovani sacerdoti e seminaristi, una visita all’università di Betlemme e al Seminario di Beit Safa. Particolarmente attesi sono gli incontri, mercoledì 13, con il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Mahmud Abbas. La visita si concluderà giovedì 14 gennaio a Gerusalemme con una celebrazione al Santo Sepolcro e con una conferenza stampa. (A.D.G.)

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    Nepal: iniziata la liberazione dei primi bambini soldato in mano ai maoisti

    ◊   L’inizio di una vita nuova, lontana dalle caserme e dalle armi: è quanto accaduto ieri a oltre 200 bambini soldato che si trovavano nel campo di Dudhali, a Shindhuli, nel sudest del Nepal, gestito dagli ex ribelli maoisti. I bambini, reclutati dai maoisti nel 2006 dopo la caduta della monarchia e la proclamazione della Repubblica, sono solo alcuni dei circa 4000 presenti nei sette campi di addestramento che si trovano nel Paese. A portare avanti l’operazione sono state le Nazioni Unite, con il consenso del governo nepalese e del Partito comunista maoista. L’accordo prevede la liberazione, entro 40 giorni, di tutti i bambini soldato presenti nei campi maoisti. La maggior parte di quelli che ieri hanno lasciato il campo, con abiti civili e nuovi documenti, saranno ospitati in strutture delle Nazioni Unite, dove seguiranno corsi professionali, mentre altri hanno raggiunto i loro villaggi d’origine. “Oggi – ha affermato durante la cerimonia di commiato Robert Piper, responsabile dell’ufficio Onu di Kathmandu – è il primo passo verso il ritorno alla vita civile per migliaia di nepalesi che hanno vissuto in caserme dal 2006. Questa cerimonia è un’importante pietra miliare nel processo di pace in corso nel Paese e che speriamo possa realizzarsi velocemente”. Attualmente, tra gli ex bambini soldato che saranno liberati, circa 20 hanno meno di 16 anni, intorno a 500 sono al di sotto dei 18 anni e un terzo sono bambine. Nel 2006 i maoisti si erano impegnati a non reclutare più bambini soldato. Una promessa mai mantenuta, così come dimostrato dall’ufficio delle Nazioni Unite in Nepal e dall’ultimo rapporto (2008) dell’organizzazione non governativa Child Soldiers. Il reclutamento avveniva con il rastrellamento dei villaggi da parte dei maoisti, che chiedevano ad ogni famiglia almeno un figlio. I genitori venivano spesso forzati a consegnare i loro figli, anche perché i maoisti assicuravano loro un lavoro. Ora, questa triste storia avrà fine. (F.C.)

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    Cina: condannato a 6 anni di carcere un regista tibetano

    ◊   Un tribunale cinese ha condannato un regista tibetano a sei anni di prigione per “separatismo”. Le accuse si basano sulle interviste fatte dal regista Dhondup Wangchen a cittadini tibetani sul rapporto con il loro leader spirituale, il Dalai Lama, sui Giochi Olimpici di Pechino 2008 e sulle leggi cinesi in Tibet. La notizia, riferisce l'agenzia Agi, è stata resa nota da Reporter Senza Frontiere, che ha raccolto la testimonianza di amici e familiari del regista. Dhondup Wangchen, insieme ad un suo amico monaco, Golog Jigme, furono arrestati dopo la conclusione delle registrazioni del film “Leaving fear behind” (Lasciandosi la paura alle spalle), ma riuscirono comunque a far arrivare la cassetta all’esterno. La sentenza è stata emessa il 28 dicembre da un tribunale di Xining, capitale della provincia occidentale del Qinghai, dove vive un’alta percentuale di popolazione tibetana. Il regista è comunque agli arresti dal 26 marzo 2008 in una località sconosciuta. Secondo il parere dei suoi familiari e del sito che pubblicizza il film e l’intera vicenda (www.leavingfearbehind.com), al regista è stata negata la tutela legale. La famiglia ha riferito di non essere a conoscenza dei crimini di cui il regista è stato accusato, né del suo stato di salute attuale, dato che è malato cronico di epatite B. In risposta, la portavoce del ministero degli Esteri, Jiang Yu ha ricordato che, pur non conoscendo la vicenda, tutti i cittadini cinesi sono tutelati dai diritti di base. (A.D.G.)

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    La diocesi di Hong Kong riflette sul sacerdozio

    ◊   “Dall’identità del discepolo si vede il ruolo del sacerdote”: è stato questo il tema dell’Incontro di formazione per sacerdoti della diocesi di Hong Kong, tenutosi dal 5 al 7 gennaio scorsi. Un’occasione per riflettere sul sacerdozio dal punto di vista teologico, spirituale e psicologico, per promuovere una pastorale più motivata ed in chiave evangelizzatrice, come riporta l’agenzia Fides. L’incontro, stando a quanto scritto dal bollettino diocesano Kong Ko Bao, ha coinvolto una novantina di sacerdoti diocesani. Ha aperto il convegno il Vicario generale, mons. Michael Yeung Ming Cheung, mentre altri relatori hanno affrontato diversi temi: il salesiano don Savio Hon e don Lawrence Yiu Shun Kit, responsabile della formazione del Seminario, hanno affrontato la questione del sacerdozio rispettivamente sotto il profilo teologico e spirituale. Don William Yip, direttore della facoltà di filosofia del Seminario, nonché uno degli organizzatori dell’incontro, ha parlato dell’importanza, specie in quest’Anno sacerdotale, della comunione per i sacerdoti. “Oltre a mantenere la comunione con il Signore” – ha sottolineato don Yip – “i sacerdoti devono anche umanizzare il sacerdozio e valorizzare il rapporto umano con la gente, per una evangelizzazione più efficace”. (F.C.)

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    Madrid: la Croce della Gmg accanto alle vittime del terrorismo

    ◊   La Croce della Giornata mondiale della Gioventù (Gmg) e l’icona della Madonna sono state portate in processione dai giovani spagnoli sui luoghi di Madrid, colpiti dall’attentato terroristico l’11 marzo 2004. E’ quanto avvenuto il 4 gennaio, quando i simboli della XXV Gmg, che si terrà nella capitale spagnola dal 16 al 21 agosto 2011, hanno sostato, durante il pellegrinaggio nel paese iberico, alla stazione ferroviaria di El Pozo, nel quartiere di Vallecas. A El Pozo sono morte 67 delle 193 persone vittime del fondamentalismo islamico. Nel corso della manifestazione, i giovani hanno poi pregato per tutte le persone coinvolte negli attacchi del 2004. Lo scorso fine settimana, i simboli della Gmg erano stati portati nella parrocchia di San Giuseppe, nel medesimo quartiere di Vallecas, dove si erano radunati in preghiera giovani disabili e volontari. In tale occasione, Victor Hernandez, della delegazione della Pastorale della Salute, ha affermato che si prega tutti allo stesso modo, indipendentemente dalle proprie condizioni fisiche. “Occasioni come questa” – ha detto - “dimostrano che i valori dei giovani non sono solo la forza e la bellezza, ma anche la capacità di donarsi, la solidarietà e l’impegno per la dignità di tutti i figli di Dio”. In precedenza la Croce ha fatto sosta anche nel carcere di Soto del Real, accolta dai detenuti alla presenza dell’arcivescovo di Madrid, il cardinale Antonio Maria Rouco Varela. (F.C.)

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    Ieri ad Alba le esequie di don Leonardo Zega celebrate da mons. Dho

    ◊   Un “maestro di vita e di giornalismo” che ha insegnato a “tenere la testa alta e la schiena dritta”: una cosa di cui “oggi c’è tanto bisogno”. E’ stato questo, ieri, il saluto di don Antonio Sciortino, attuale direttore di Famiglia Cristiana, al funerale del suo predecessore don Leonardo Zega, morto per infarto, alla vigilia dell’Epifania, all’età di 81 anni. Successore dello storico direttore di Famiglia Cristiana, don Giuseppe Zilli, Zega diresse il settimanale per 18 anni, dal 1980 al 1998. Originario delle Marche, entrato tredicenne nella Società di san Paolo, don Zega venne ordinato sacerdote nel 1954. La sua vita e il suo ministero sacerdotale si incrociano costantemente con la “parrocchia di carta”, Famiglia Cristiana appunto, con la rubrica “Colloqui col padre” che divenne il suo pulpito, e dove dava risposte tematiche proposte dai lettori. Con don Zega, ha sottolineato ancora nell’omelia don Sciortino, se ne va una persona “sempre vicina ai problemi della gente e che ai potenti, con franchezza evangelica, non le ha mandate a dire”. Dopo il 1998, don Zega collaborò con il quotidiano la Stampa di Torino, e il settimanale Oggi. Nel 2004 assunse, fino alla sua scomparsa, la direzione del mensile Club 3, Vivere in armonia, testata paolina dedicata al pubblico anziano. Dopo i funerali nella parrocchia milanese di S. Pietro in Sala, dove collabora la comunità paolina del capoluogo lombardo, la salma è stata traslata ad Alba, dove oggi le esequie sono state celebrate dal vescovo mons. Sebastiano Dho. (A cura di Fabio Brenna)

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    Battesimo di una nuova scuola primaria dei salesiani in Inghilterra

    ◊   E’stata inaugurata una nuova scuola salesiana per l’educazione primaria a Bootle, vicino Liverpool. L’istituto, dedicato a “Tutti i Santi”, è situato – come riporta l’agenzia Fides - all’interno della parrocchia di “St. James” ed offre un’educazione all’avanguardia, soprattutto grazie ad importanti legami internazionali che la scuola, come tutti i centri salesiani di Bootle, possiede. Nello scorso mese di ottobre, infatti, è partito per la Cina un gruppo di educatori e bambini, che hanno dato vita ad uno scambio culturale mirato anche all’apprendimento del cinese. Per il prossimo febbraio è programmato uno scambio con la scuola “San Raffaele” di Freetown (Sierra Leone). Inoltre, nel mese di giugno, il coro della scuola si esibirà al Music Festival in Ungheria. (F.C.)

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    24 Ore nel Mondo



    Obama si assume la responsabilità per gli errori della sicurezza nel fallito attentato a Natale

    ◊   Mea culpa del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che in una conferenza stampa, ieri, alla Casa Bianca, si è assunto tutte le responsabilità per i fallimenti del sistema di sicurezza emersi nella mancata "strage di Natale". Ordinata, inoltre, una profonda revisione dei meccanismi che non hanno funzionato. Da New York, ci riferisce Elena Molinari:

    Le falle nel sistema di sicurezza americano che hanno portato a un passo da una tragedia il giorno di Natale sono scioccanti e Barack Obama se ne è assunto tutta la responsabilità. Cercando di arginare le critiche dei repubblicani e le ricadute politiche dell’attesa indagine del Congresso, il presidente americano ha infatti parlato ieri sera agli americani dopo aver ricevuto un rapporto sugli errori commessi dall’intelligence Usa. Intanto, la Casa Bianca diffondeva parte del rapporto che mostra come il nigeriano, Umar Faruk Abdulmutallab, sia potuto salire su un aereo diretto a Detroit e tentare di innescare dell’esplosivo. Ciò che è più sconvolgente è che erano disponibili diverse informazioni di intelligence che, se messe insieme, avrebbero segnalato che il sospetto attentatore avrebbe dovuto essere inserito in una lista "No Fly" che gli avrebbe impedito di imbarcarsi. “Sappiamo quel che è successo, sappiamo ciò che non è successo e sappiamo come porvi rimedio - ha detto Obama -, questo è un aspetto incoraggiante”. Tra gli errori commessi il fatto che il padre di Abdulmutallab si fosse recato all’ambasciata Usa in Nigeria per dire che suo figlio aveva idee radicali e un alto funzionario dello Yemen ha inoltre detto ieri che Abdulmutallab avrebbe incontrato in Yemen il religioso musulmano integralista Anwar al Awlaki legato all’uomo che ha ucciso 13 persone a Fort Hood a novembre.

    Yemen terrorismo
    Nello Yemen, Paese in cui era stato addestrato il nigeriano responsabile del fallito attentato di Natale, proseguono le ricerche di Mohammad Ahmed Al Hanak, il capo locale di Al Qaeda. Intanto, nel Paese si continua a combattere contro le postazioni terroristiche, mentre il governo di Sana’a ammette che il giovane attentatore nigeriano del volo Amsterdam-Detroit è stato reclutato da uno yemenita.

    Medio Oriente, nuovi scontri di confine
    Almeno tre palestinesi sono morti e due sono rimasti feriti a seguito di un raid aereo israeliano condotto ieri sera su diversi obiettivi nella Striscia di Gaza. Un portavoce militare israeliano ha spiegato che i raid sono giunti in reazione ai ripetuti attacchi di razzi e mortai sferrati ieri da Gaza contro la città di Ashqelon. Nelle ultime settimane, gli incidenti di confine fra israeliani e palestinesi hanno ormai assunto un ritmo quasi quotidiano. Intanto, gli Stati Uniti cercano di riprendere in mano i fili della mediazione. Nei prossimi giorni, l’incaricato del presidente Obama per il Medio Oriente, George Mitchell, avrà contatti con i partner europei per poi recarsi nella regione.

    Pakistan
    Ancora violenza in Pakistan. È di otto morti, tutti militanti islamici, il bilancio di un'esplosione avvenuta in un’abitazione nella città di Karachi, nel sud del Paese. La casa sarebbe stata usata dai terroristi come nascondiglio. A causare la deflagrazione, che secondo la polizia è stata accidentale, sarebbero stati gli ordigni custoditi nel covo. Sul posto sono stati infatti rinvenute pistole, fucili kalashnikov e due bombe a mano.

    Somalia violenze
    È di almeno 20 morti e 35 feriti, quasi tutti civili, il bilancio di una battaglia iniziata nella serata di ieri nell'area nord di Mogadiscio fra i miliziani islamici shabaab, braccio armato somalo di al Qaida, e truppe governative appoggiate dai peacekeeper dell’Unione Africana. Nel Corno d’Africa la situazione sul terreno appare sempre più turbolenta: gli shabaab controllano tutto il Sud e quasi l'intera Mogadiscio, mentre il debole governo di transizione non sembra in grado di contrastare gli insorti.

    Iran
    Resta altissima la tensione in Iran. Colpi d'arma da fuoco sono stati esplosi contro l'auto blindata di Karroubi, uno dei leader dell'opposizione. Lo ha reso noto il sito Internet del suo partito, secondo cui gli spari hanno danneggiato i vetri della vettura, ma non ci sono stati feriti. L'attacco è avvenuto nella città settentrionale di Qazvin, dove Karroubi ha assistito a una cerimonia funebre per i manifestanti dell'opposizione uccisi. È stata inoltre profanata per la seconda volta la tomba di Neda Soltan, la studentessa iraniana uccisa durante le proteste postelettorali dello scorso giugno. Immagini ottenute dal "Times" mostrano la lapide crivellata di proiettili.

    Irlanda terrorismo
    Torna la violenza in Irlanda del nord, dove questa mattina un poliziotto è rimasto gravemente ferito a seguito dell'esplosione di un ordigno posto sotto la sua auto a Randalstown, cittadina a nord di Belfast. Non è stata ancora registrata alcuna rivendicazione, ma si teme che sull'attentato ci possa essere l'ombra dell'Ira. Gli attacchi, spesso ai danni di agenti di polizia, sono aumentati nell'Ulster dopo che membri della "Real Ira", la frangia scissionista irriducibile dell'Esercito repubblicano irlandese, uccisero due soldati e un poliziotto nello scorso marzo.

    Europa disoccupazione
    Disoccupazione record nell’eurozona, che a novembre ha toccato un tasso del 10%, contro il 9,9% di ottobre, il massimo dall'agosto del 1998. Su base annua, in termini assoluti, a novembre i disoccupati nell’Unione Europea sono aumentati di quasi cinque milioni. Tuttavia il superindice Ocse, relativo proprio al mese di novembre 2009, “segnala più forti segnali di ripresa rispetto ai mesi precedenti”.

    Europa maltempo
    Il maltempo imperversa in Europa, causando forti disagi e caos nei trasporti. In Gran Bretagna la colonnina di mercurio è scesa fino a -17 gradi, mentre in Francia la neve sta paralizzando il nord. Freddo polare anche in Norvegia, -41 gradi, mentre in Albania circa 9.000 persone dovrebbero essere evacuate, nelle prossime ore, per lo straripamento del fiume Drini.

    Russia
    Il presidente russo Dmitri Medvedev ha ribadito la ferma determinazione delle autorità a proseguire nella linea dura contro i terroristi nel Caucaso settentrionale. In un incontro oggi a Mosca con il capo dei servizi segreti, Aleksandr Bortnikov, Medvedev ha parlato della necessità di una “eliminazione in modo duro e sistematico dei banditi”. L'incontro si è svolto dopo il grave attentato suicida del 6 gennaio a Makhchkalà, capitale del Daghestan, dove l'esplosione di un'autobomba ha provocato la morte di cinque poliziotti e il ferimento di altre 19 persone.

    Honduras
    La procura generale dell’Honduras ha accusato i capi di stato maggiore delle forze armate di "abuso di potere" per l'arresto e l'invio in esilio del presidente Manuel Zelaya, nel corso del colpo di Stato che lo ha destituito il 28 giugno scorso. Ce ne parla Francesca Ambrogetti:

    La Corte suprema di giustizia deve decidere se accettare o meno la richiesta della procura di spiccare un mandato di cattura contro i capi militari che il 28 giugno hanno deposto il presidente costituzionale Manuel Zelaya. I legali delle Forze armate stanno preparando la difesa dei comandanti che si sono dichiarati innocenti ma pronti a presentarsi davanti alla giustizia. Dall’ambasciata del Brasile dove è rifugiato da mesi, il capo dello Stato deposto ha denunciato una nuova manovra: una strategia per evitare che i militari vengano giudicati per violazione dei diritti umani, delitti ben più gravi dell’abuso di autorità per il quale è stata chiesta la cattura. Secondo i dirigenti al fronte per la resistenza, la mossa della procura è intesa a spingere il parlamento a decretare un’amnistia generale per gli autori del colpo di stato. Il provvedimento favorirebbe però anche Zelaya, accusato di numerosi delitti. Intanto, dopo due giorni di missione nella capitale honduregna il sottosegretario di Stato americano Craig Kelly è tornato indietro a mani vuote. Il funzionario ha tentato invano di convincere il presidente “de facto” a lasciare il potere prima dell’insediamento del nuovo capo di Stato, ma Roberto Micheletti non è disposto ad abbandonare la casa di governo se non il 27 gennaio quando entrerà il nuovo inquilino.

     
    Cina diventa primo esportatore mondiale
    La Cina è il primo esportatore del mondo. Secondo i dati sul commercio mondiale nel 2009 il gigante asiatico ha raggiunto 1.070 miliardi di dollari di esportazioni contro i 734,6 miliardi della Germania che perde così il primo posto che deteneva dal 2003. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 8

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