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Sommario del 27/02/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Conclusi gli esercizi spirituali della Quaresima in Vaticano. Benedetto XVI: per conoscere se stesso l'uomo ha bisogno stare in ascolto di Dio
  • Nomine
  • Violenza contro i cristiani: editoriale di padre Lombardi
  • Mons. Marchetto: la Chiesa dalla parte degli zingari contro razzismo e discriminazioni
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Terremoto in Cile di 8,8 gradi Richter: decine i morti. Allarme tsunami
  • Mons. Giordano: l'Occidente impari dall'Oriente cristiano il senso di appartenenza alla Chiesa
  • Incontro tra il primate di Polonia e una delegazione del Patriarcato di Mosca: intervista con mons Muszyński
  • La mafia non è solo un problema del Sud: così mons. Bregantini sull'ultimo documento Cei
  • Simposio della Cei a Genova per valorizzare la ricchezza degli anzani nella società
  • Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
  • Chiesa e Società

  • Pakistan: ergastolo per due cristiani accusati di blasfemia
  • Iraq: marcia pacifica a Mossul contro il massacro dei cristiani
  • Presentato a Lisbona il viaggio apostolico del Papa in Portogallo
  • Elezioni nelle Filippine: il vescovo di Daet contro la compravendita dei voti
  • Il cardinale Antonelli: famiglia e impresa sono cellule vitali della società
  • Ucraina: più libertà religiosa per i detenuti
  • Francia: il vescovo di Evry richiama i cristiani alla responsabilità di fronte al Creato
  • Londra: primo congresso nazionale della Federazione cattolica di pastorale giovanile
  • Il cardinale Bagnasco: un'umanità senza Cristo procede verso la barbarie
  • Le Acli chiedono al governo italiano di promuovere una nuova politica industriale
  • Gli ospedali religiosi del Lazio in crisi per i tagli della Regione
  • Bangladesh: la Chiesa tra le popolazioni tribali
  • Un libro per finanziare la comunità per disabili psichici dell’associazione Alveare
  • 24 Ore nel Mondo

  • Afghanistan: avanza nel sud del Paese l’offensiva antitalebana della Nato
  • Il Papa e la Santa Sede



    Conclusi gli esercizi spirituali della Quaresima in Vaticano. Benedetto XVI: per conoscere se stesso l'uomo ha bisogno stare in ascolto di Dio

    ◊   Benedetto XVI e la Curia Romana hanno terminato questa mattina la settimana di esercizi spirituali della Quaresima. Nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo apostolico, il predicatore salesiano, don Enrico Dal Covolo, ha ricevuto il ringraziamento e gli apprezzamenti del Papa per le sue “lezioni di Dio e della Chiesa sulla vocazione sacerdotale”. La breve riflessione conclusiva del Pontefice nel servizio di Alessandro De Carolis:

    Un modo “appassionato e molto personale” di riflettere sul ministero del sacerdozio, una guida “nel cammino verso Cristo, nel cammino di rinnovamento” della vocazione. Dopo aver ascoltato, pregato e riflettuto in silenzio per una settimana nel ritiro della sua cappelletta privata, interna alla più grande cappella Redemptoris Mater, Benedetto XVI ha voluto sottolineare così il viaggio intrapreso, assieme ai suoi più stretti collaboratori di Curia, sulla scorta delle meditazioni di don Enrico Dal Covolo. Il Papa ha mostrato di apprezzare proprio l’aspetto dell’ascolto intimo, profondo. Quello che – come ricordato durante gli esercizi – Salomone chiese e ricevette come grazia, la docilità di un cuore capace di ascoltare Dio:

     
    “In realtà mi sembra che qui sia riassunta tutta la visione cristiana dell'uomo. L'uomo non è perfetto in sé, l'uomo ha bisogno della relazione, è un essere in relazione (...) Ha bisogno dell'ascolto, dell'ascolto dell'altro, soprattutto dell'Altro con la A maiuscola, di Dio. Solo così conosce se stesso, solo così diviene se stesso”.

     
    Questo tipo di ascolto, ha proseguito il Pontefice, è segno di una sapienza possibile solo nella comunione della Chiesa. Come quella che Benedetto XVI ha rivelato di aver contemplato in questi giorni in uno degli splendidi mosaici che ornano la Cappella Redemptoris Mater, che ritrae la Vergine, definita “Trono vivente della Saggezza”, con in grembo Cristo, la “Sapienza incarnata”:

     
    “I Padri della Chiesa dicono che nel momento della concezione del Verbo eterno nel grembo della Vergine lo Spirito Santo è entrato in Maria tramite l'orecchio. Nell'ascolto ha concepito la Parola eterna, ha dato la sua carne a questa Parola. E così ci dice che cosa è avere un cuore in ascolto”.

     
    Benedetto XVI ha quindi ricordato i cosiddetti “medaglioni” sacerdotali presentati da don Enrico Dal Covolo, che hanno dato concretezza alla riflessione sulla vocazione al ministero ordinato. Cinque ritratti esemplari di presbiteri, da San Giovanni Maria Vianney a Giovanni Paolo II, con un preambolo incentrato sulla concezione che del sacerdozio avevano i Padri antichi, da Sant’Agostino a Sant’Ignazio di Antiochia:

     
    “Così abbiamo realmente di nuovo percepito che cosa vuol dire essere sacerdote, divenire sempre più sacerdoti. Lei ha anche sottolineato che la consacrazione va verso la missione, è destinata a divenire missione. In questi giorni abbiamo approfondito con l'aiuto di Dio la nostra consacrazione. Così, con nuovo coraggio, vogliamo adesso affrontare la nostra missione. Il Signore ci aiuti. Grazie a lei per il suo aiuto, Don Enrico”.

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    Nomine

    ◊   Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale della prelatura di Jesús María (Messico), presentata da mons. José Antonio Pérez Sánchez, dell’Ordine dei Frati Minori, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato vescovo prelato di Jesús María padre José de Jesús González Hernández, anch’egli dell’Ordine dei Frati Minori, finora rettore e parroco della chiesa Cattedrale di Inhambane (Mozambico). Padre José de Jesús González Hernández è nato il 25 dicembre 1964 a Etzatlán, Stato di Jalisco. Ha emesso la professione solenne ed è stato ordinato sacerdote il 24 giugno 1994 a Gerusalemme.

    Il Santo Padre ha nominato ordinario militare per il Belgio mons. André Léonard, arcivescovo metropolita di Mechelen-Brussel.

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    Violenza contro i cristiani: editoriale di padre Lombardi

    ◊   “Una via crucis senza fine”: così, il vescovo di Mossul, mons. Emil Shimoun Nona, ha definito nei giorni scorsi le sofferenze che sta patendo la minoranza cristiana irachena. In Iraq come in India e in tante altre aree del mondo, la Chiesa vive ancora la dimensione del martirio come accadeva alle origini del Cristianesimo. Su queste nuove persecuzioni anticristiane, ecco la riflessione del nostro direttore, padre Federico Lombardi, nel suo editoriale per Octava Dies, il settimanale informativo del Centro Televisivo Vaticano:

    Di nuovo, in questi giorni, si riaccende la violenza contro i cristiani. Qualche tempo fa, avevo avuto in mano volantini di minacce terribili, che venivano distribuiti sistematicamente a Mossul, in Iraq, nelle singole case dei cristiani invitandoli a lasciare la città. I recenti omicidi efferati confermano la stessa strategia sistematica, contro cui le autorità locali non sembrano capaci di portare rimedi efficaci. Come potranno sopravvivere le comunità cristiane in queste condizioni? Eppure sono comunità autoctone, perfettamente inserite nella cultura e nella storia locale, di cui costituiscono una componente vitale. Non è odio contro l’occidente o lo straniero, ma contro la comunità cristiana.

     
    L’Iraq è oggi il caso più attuale, ma in alcune regioni dell’India le violenze anticristiane continuano, come nel Pakistan e altri paesi dell’Asia e dell’Africa. Il fondamentalismo religioso genera odio e violenza, e le minoranze religiose – e il cristianesimo è minoranza in moltissime parti del mondo - ne fanno le spese.

     
    Spesso ci si appella alla comunità internazionale perché si mobiliti. Ma nel panorama attuale del mondo occidentale molte forze sono all’opera per contestare o demolire la presenza cristiana e il suo influsso nelle aree dove è, o era, maggioritaria. E’ realistico attendersi una sua convinta difesa là dove è minoritaria e non conta molto dal punto di vista degli interessi politici o economici?

     
    I cristiani – memori del destino del loro Maestro - non possono stupirsi di essere perseguitati, ma la giustizia e il diritto dovrebbero valere dappertutto anche per loro.

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    Mons. Marchetto: la Chiesa dalla parte degli zingari contro razzismo e discriminazioni

    ◊   “Sollecitudine della Chiesa verso gli Zingari: situazione e prospettive”: è il tema dell’Incontro dei direttori nazionali della Pastorale degli zingari in Europa che si terrà a Roma, a Palazzo San Calisto, dal 2 al 4 marzo prossimi. Per una riflessione sugli obiettivi che ci si prefigge con questo incontro, Fabio Colagrande ha intervistato l'arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:

    R. - Innanzitutto vorrei sottolineare la situazione di estrema povertà in cui versano milioni di Zingari in Europa, che è aggravata anche dal clima di tensione e di ostilità che esiste nei loro confronti. Certo, non in tutti i Paesi espressioni di antiziganismo, razzismo e xenofobia si registrano con la stessa forza, tuttavia persistono dappertutto. Ebbene la Chiesa ha l’obbligo di adoperarsi per la difesa della loro dignità e dei loro diritti, rammentando nel contempo agli Zingari i loro doveri civili. In questa riunione esamineremo la situazione dei vari Paesi anche dal punto di vista pastorale, sottolineandone sfide e opportunità. Si cercherà poi di evidenziare le priorità e formulare proposte per un lavoro più efficace e coordinato tra le Chiese locali europee e i vari Organismi ecclesiali, e non, che si prodigano a favore degli Zingari. Inoltre cercheremo approcci idonei per far sì che la Chiesa sia meglio accolta dalle loro comunità.

     
    D. - Il tema della Riunione è “Sollecitudine della Chiesa verso gli Zingari: situazione e prospettive”. In che modo la Chiesa mostra per loro attenzione particolare?

     
    R. - La Chiesa si fa presente tra gli Zingari con una pastorale specifica, che tiene conto delle loro peculiarità culturali e rispetta la loro identità e diversità, come richiesto dal Concilio Ecumenico Vaticano II. In quasi tutti i Paesi europei esistono apposite strutture e uffici, ove operano sacerdoti e agenti pastorali per assicurare un’efficace e adeguata assistenza spirituale. Il loro numero varia da Paese a Paese. In Francia, per esempio, che ha una storia antica di tale pastorale, ci sono oltre 100 operatori, tra cui due sacerdoti, diaconi permanenti, accoliti e lettori di etnia Manouche. Molti di essi condividono il modo di vivere degli Zingari, accettando di risiedere nei campi e nelle roulotte, e creando le cosiddette “comunità-ponte”. Così si è partecipi delle sofferenze e preoccupazioni quotidiane degli Zingari, creandosi legami di solidarietà e comunione fraterna. Un’altra espressione concreta dell’attenzione ecclesiale per gli Zingari sono le numerose Congregazioni e gli Istituti religiosi impegnati nell’evangelizzazione e in attività volte al loro sviluppo integrale. Risulta efficace anche l’opera dei sacerdoti, religiosi, religiose e diaconi (sono oltre cento nel mondo) che provengono da etnie zingare. C’è da ricordare che esistono pure Organizzazioni internazionali che si schierano a fianco degli Zingari nella difesa dei loro diritti e nella loro promozione sociale, culturale e religiosa.

     
    D. - Il fatto che il 2010 sia stato proclamato “L’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale”, secondo Lei, che cosa potrebbe rappresentare per la vita di Rom, Sinti e altri gruppi zingari?

     
    R. - Il numero degli Zingari in Europa si aggira attorno ai 12 - 14 milioni. Di questi la maggioranza vive - come ho già detto - in condizioni di grande povertà, non avendo accesso a fondamentali risorse quali l’acqua potabile, il nutrimento, l’alloggio e l’assistenza sanitaria. La povertà e la discriminazione a loro volta fanno sì che moltissimi Zingari siano esclusi dagli ambiti del lavoro e della politica, dai sistemi educativi e dai processi decisionali anche per ciò che li riguarda. Molte azioni e progetti da parte degli Stati sono già in corso e altri speriamo saranno avviati per farli uscire da questo isolamento, di cui anch’essi sono responsabili. È necessario comunque tener presente quanto ci chiede Papa Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in veritate”, e cioè di essere attenti che le azioni, i progetti e le iniziative non umilino i poveri, in questo caso gli zingari. Poiché spesso ci si dimentica che sono persone come noi, con la loro dignità. Occorrono gesti di carità e cammini di apertura reciproca. Auspico che tutte le iniziative a favore di Rom, Sinti e altri gruppi zingari siano a ‘lungo termine’, cioè non cessino con la chiusura dell’Anno europeo, ma continuino fino all’effettiva loro inclusione nella vita sociale e civile.

     
    D. - Il programma prevede un dibattito sulle “proposte per incrementare dialogo e collaborazione intra ed extra ecclesiali”. Perché si dà tanta importanza a questo aspetto?

     
    R. - Dialogo e collaborazione sono due pilastri a sostegno di ogni azione d’insieme e quindi sono molto importanti nel lavoro pastorale. Gli Zingari, per la maggior parte, sono emarginati dalla società civile e, di conseguenza, sono anche esclusi facilmente dalle comunità parrocchiali del luogo in cui si trovano. C’è bisogno dunque di una pastorale specifica. Purtroppo non tutti i Vescovi e i Parroci avvertono questa urgenza. Il nostro scopo è cercare modi e vie per favorire una maggiore disponibilità e un effettivo coinvolgimento delle Chiese locali, delle Diocesi e delle parrocchie nella pastorale degli Zingari, incoraggiando collaborazione e condivisione tra loro. Ci sono diocesi, infatti, che sono riuscite a creare commissioni composte da rappresentanti zingari ed autoctoni. Altre sono riuscite a stabilire rapporti di fraternità e a intraprendere cammini collettivi di cooperazione e di comunione. Alcune Chiese e diocesi hanno sviluppato progetti e percorsi che coinvolgono gli Zingari e ne richiedono una presa di consapevolezza e maggiore responsabilità. Una diocesi, per esempio, ha aperto uno “Sportello Rom e Sinti”, con funzione di segretariato sociale, dove si offre loro la possibilità di accedere agli sportelli del microcredito. E non si tratta di un puro assistenzialismo, ma di strategie in cui Rom e Sinti diventano protagonisti, e questo protagonismo sta nel loro DNA. Si spera che la condivisione di queste esperienze aiuti a potenziare l’impegno pastorale delle Chiese locali e dei movimenti e delle associazioni ecclesiali.

     
    R. - Rientra nei compiti della Chiesa anche contrastare i pregiudizi e gli atteggiamenti xenofobi che in alcuni Paesi, compresa l’Italia, sono frequenti nei confronti di Rom e Sinti?

     
    D. - Decisamente sì. La Chiesa, come ci ha ricordato anche recentemente Papa Benedetto XVI nella Caritas in veritate, “ha una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, in vista di una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione”. I pregiudizi e gli atteggiamenti xenofobi sono contrari ai diritti umani e pregiudicano la pacifica convivenza nella società civile. Per noi cristiani inoltre manifestano mancanza di carità e di giustizia nei confronti dell’altro, pur diverso da noi e magari carente o colpevole. Queste forme di diffidenza, poi, sono sintomi di una povertà spirituale che la Chiesa cattolica deve denunciare ed aiutare a superare. Da qui l’esortazione di Papa Benedetto, e di altri Pontefici prima di lui, ad includere nella pastorale pure l’esercizio dell’advocacy in difesa dei diritti umani. A questo proposito abbiamo una dottrina sociale, che fa parte della morale cattolica, la quale è in ascolto specialmente dei più deboli e difende coloro che soffrono altresì a causa di discriminazioni e emarginazioni. Tuttavia la Chiesa ammonisce anche coloro che giustamente rivendicano i propri diritti, affinché non dimentichino pure i propri doveri, perché se così fosse si corre il pericolo di “costruire con una mano e distruggere con l’altra” (Giovanni XXIII, Pacem in terris).

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Notturno afghano: in prima pagina, Gabriele Nicolò sulla crisi nel Paese.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il terremoto in Cile.

    Leone XIII e la coscienza sociale della Chiesa: in cultura, Francesco Malgeri a duecento anni dalla nascita (2 marzo del 1860) di Vincenzo Gioacchino Pecci.

    Quella pittura da "leggere" senza testo a fronte: Sandro Barbagallo sulla mostra, a Ravenna, dedicata alla confraternita dei preraffaelliti.

    Nel bicentenario della nascita di Chopin la recensione (1831) di Robert Schuman all'opera 2 del compositore polacco.

    Il lato oscuro delle meraviglie: Luca Pellegrini sul film "Alice in Wonderland" di Tim Burton.

    Nell'informazione vaticana, le parole del Papa al termine degli esercizi spirituali.

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    Oggi in Primo Piano



    Terremoto in Cile di 8,8 gradi Richter: decine i morti. Allarme tsunami

    ◊   Nella notte un terremoto di magnitudo 8,8 della scala Richter ha scosso il Cile. Il bilancio, purtroppo ancora provvisorio, è di oltre 80 morti. L’epicentro del sisma è stato registrato a circa 300 chilometri a sud della capitale Santiago, a 59 chilometri sotto il livello del mare. Adesso si teme che un terremoto di queste proporzioni abbia il potenziale di generare onde anomale devastanti. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    In Cile è stato dichiarato lo stato di catastrofe. A Santiago e in altre città si sono verificati crolli di edifici e ponti. L’interruzione dei collegamenti telefonici e della fornitura di energia elettrica rende difficili i soccorsi. L’aeroporto della capitale è stato chiuso, diverse aree del Paese sono al momento isolate. L'Unione Europea ha annunciato di esser pronta a fornire e a coordinare immediatamente gli aiuti. Alla prima scossa ne sono seguite altre ed è subito scattato l’allarme tsunami su tutto il Pacifico, dal Cile all’Antartide e alla Polinesia francese Sull'isola Juan Fernandez al largo di Valparaiso si è già abbattuta un'onda anomala che ha provocato gravi danni. In molte località costiere il mare si è ritirato e la popolazione ha cominciato a rifugiarsi nelle zone interne. Il presidente, la signora Michelle Bachelet, ha lanciato un appello alla calma e ha chiesto di rinviare il controesodo previsto per il fine settimana, l’ultimo delle ferie estive.

     
    Il Cile, Paese che ha un’importante tradizione antisismica, sembra comunque preparato ad affrontare le conseguenze di un terremoto. A preoccupare è invece il possibile arrivo di uno tsunami. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il collega cileno della nostra emittente Luis Badilla:

    R. – Essendo un Paese in gran parte costruito in modo antisismico, proprio per la sua natura di Paese fortemente sismico, il bilancio non dovrebbe essere troppo pesante. Il Cile è poi un Paese molto esteso, e tranne nelle grandi città – cinque o sei – gran parte della popolazione vive in case di un piano. Non ci sono, ad eccezione della capitale e forse di Concepcion, dove è stato l’epicentro del sisma, di città con tanti grattacieli o palazzi, che alla fine intrappolano la gente. Ma quello che sembra evidente, anche dalle prime immagini che arrivano, è che i danni saranno ingenti, perché il terremoto e le successive scosse, abbastanza anomale dal punto di vista del grado, pare che abbiano coinvolto una superficie lunga duemila chilometri. Ecco perché, pur essendo l’epicentro in una specifica regione del Cile, a sud della capitale, il satellite della Nasa, secondo la Cnn, osserva onde anomale che viaggiano verso buona parte della costa pacifica, dalla California fino al Cile.

     
    D. – Adesso a destare preoccupazione è proprio il possibile arrivo in diversi Paesi latino-americani di un’onda anomala. C’è per la popolazione il tempo di mettersi in salvo?

     
    R. – Penso che ci sia il tempo per mettere in salvo gran parte della popolazione. Il Cile ha molte città costiere e hanno tutte vie di fuga abbastanza rapide e immediate. Se il governo si mobilita, si può evitare il peggio. Ma sono a rischio anche altri Paesi come il Perù, la Colombia, l’Ecuador, che hanno una “tradizione sismica” inferiore e sono meno preparati.

    Nel Pacifico è stata dunque già riscontrata la formazione di onde anomale, come conferma anche il dott. Alberto Michelini, funzionario della sala sismica dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, intervistato da Amedeo Lomonaco:

    R. – Si è verificato uno tsunami e in questo momento non sappiamo stabilirne esattamente quale sia la portata. Le poche registrazioni che sono disponibili, hanno effettivamente misurato l’onda di tsunami: i valori vanno dalle poche decine di centimetri a due metri e mezzo. Poi dipende anche molto da dove sono poste queste stazioni che hanno registrato tali onde anomale. Al momento attuale è molto difficile dare un quadro accurato sullo tsunami che è in atto.

     
    D. – Il Cile ha il triste primato del terremoto più forte mai registrato, quello di magnitudo 9,5 del maggio 1960, poi c’è stato questo di 8,8. Perché questi terremoti, con questa intensità?

     
    R. – Tra la placca sudamericana e la placca di Nazca, che è nel Pacifico, è in opera una subduzione, una zona di raccorciamento crostale. E’ un margine di placca, dove si verificano terremoti. E’ una zona dove c’è una convergenza tra la placca di Nazca e quella sudamericana, che è abbastanza veloce. Si parla di quasi una decina di centimetri all’anno che si avvicinano alle due placche. Quindi c’è un’energia di deformazione che è energia elastica e si accumula; dopo si libera su diversi segmenti, che praticamente costeggiano longitudinalmente tutta la costa del Cile.

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    Mons. Giordano: l'Occidente impari dall'Oriente cristiano il senso di appartenenza alla Chiesa

    ◊   “Come un Paese per il fatto di essere piccolo o grande non è più o meno importante, così una Chiesa minoritaria non è meno importante”: con queste parole il premier moldavo Vlad Filat ha iniziato ieri il colloquio con i rappresentanti delle Conferenze Episcopali del Sud-est Europa, che si trovano riuniti fino a domenica a Chisinau in Moldova. Il nunzio apostolico nella Repubblica Moldova, mons. Francisco-Javier Lozano, ha portato il saluto del Papa, assicurando la vicinanza della Chiesa cattolica al popolo moldavo e auspicando il sostegno della Santa Sede nel cammino del Paese verso la piena integrazione in Europa. Il vescovo di Chisinau, mons. Anton Cosa, tra ha ribadito l’impegno della Chiesa al servizio di questa popolazione. All’incontro partecipa anche mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. Fausta Speranza lo ha intervistato:

    R. – Queste sono delle Chiese dove noi vediamo sono possibili dei laboratori, importanti per tutta l’Europa. Sono dei laboratori di evangelizzazione, di vita del Vangelo, dei laboratori dove si cerca il senso della vita, dove si cerca di offrire degli spazi di senso; sono dei laboratori dove si vive la cattolicità con una sensibilità particolare, perché si sente l’esigenza di essere uniti a tutto il mondo cattolico, perché qui le Chiese, la Chiesa cattolica è in minoranza numerica. Sono dei luoghi dove bisogna essere sulla frontiera dell’ecumenismo e quindi bisogna dare una testimonianza di comunione tra i cristiani. E anche qui, in alcuni Paesi, la Chiesa cattolica è in minoranza rispetto ad altre Chiese, ad altre comunità cristiane, e sono dei luoghi, dei laboratori di dialogo interreligioso, appunto, perché c’è il confronto con l’Islam, in particolare, e con diversi di questi Paesi. Sono anche soprattutto dei laboratori per realizzare delle esperienze sociali di frontiera, perché ci sono dei problemi sociali molto forti, ci sono delle forme di povertà. C’è il problema della migrazione, ci sono problemi di corruzione, ci sono problemi di abbandono, di crisi delle famiglie, per cui la Chiesa qui viene veramente sfidata a creare degli spazi di famiglia, a creare degli spazi di solidarietà o spazi dove si realizza quella gratuità che è l’anima di una società nuova, di cui ha parlato il Santo Padre nella Caritas in veritate. E’ anche uno spazio dove si produce cultura, che deve trasformare in pensiero, trasformare in idee, queste esperienze sociali.

     
    D. – Mons. Giordano, cosa c’è da imparare?

     
    R. – C’è da imparare una fedeltà autentica e molto concreta al Vangelo e alla Chiesa, perché essendo in minoranza è molto più difficile vivere la realtà della Chiesa. Invece qui si vede che c’è un’autentica fedeltà alla Chiesa, che nasce da una storia molto difficile, che nasce da una situazione sociale difficile, nasce da una situazione di minoranza difficile, e il Vangelo invece è più forte di tutto, cioè l’appartenenza alla Chiesa è forte. E questo può essere un grande insegnamento verso l’Occidente europeo, dove facilmente possiamo cadere in una dimenticanza delle nostre radici, in una dimenticanza dei grandi valori di cui siamo eredi, e possiamo cadere maggiormente nelle tentazioni del consumismo, di una cultura secolarizzata. Invece qui potrebbe esserci una forma anche di risposta o di resistenza verso questa secolarizzazione.

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    Incontro tra il primate di Polonia e una delegazione del Patriarcato di Mosca: intervista con mons Muszyński

    ◊   Le relazioni e il dialogo tra Chiesa cattolica e quella ortodossa sono stati al centro ieri dell’incontro, a Varsavia, tra l’arcivescovo di Gniezno, mons. Henryk Muszyński, primate di Polonia, e una delegazione del Patriarcato di Mosca. L’incontro si è svolto in un clima cordiale, come sottolinea proprio mons. Muszyński al microfono di Amedeo Lomonaco:

    R. –Si è trattato di un primo incontro e si è svolto in un clima amichevole e di mutua comprensione. Ci ha permesso di constatare che il dialogo è maturo. Il tempo è maturo per cominciare e continuare il dialogo. E’ stata una grandissima mancanza il fatto che, finora, ci siano stati pochissimi contatti fra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica in Polonia. Non è potuto venire purtroppo l’arcivescovo Hilarion, presidente del Dipartimento delle Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, per ragioni indipendenti dall’incontro. Abbiamo comunque continuato la discussione ed abbiamo affrontato specificatamente la questione della riconciliazione, cercando anche di tracciare le vie per un futuro dialogo. A questo scopo è prevista la fondazione di una Commissione bilaterale composta dai rappresentanti delle due Chiese per realizzare il progetto di un documento comune anche per il dialogo con i rappresentanti della Chiesa ortodossa della Polonia e di quelli della Chiesa cattolica in Russia.

     
    D. – Attraverso quali vie passa questo dialogo tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa in un Paese, la Polonia, che ha avuto una storia travagliata?

     
    R. – Questo è certamente il primo passo che abbiamo compiuto. Vogliamo ora cominciare un dialogo teologico sulla base della fede comune: la fede trinitaria, il Battesimo e la continuazione della Chiesa apostolica. Tutti elementi, questi, che abbiamo in comune. Dobbiamo cominciare a comprendere che apparteniamo ad una Chiesa che è purtroppo divisa, ma che ha radici e fondamenta molto profonde. Vogliamo esaudire la volontà di Nostro Signore, che voleva fondare “una” Chiesa. Vogliamo cercare di fare del nostro meglio per riconciliare i nostri popoli, come eredità della comune fede.

     
    D. – L’Europa e la Polonia sono terreni fertili per promuovere questa riconciliazione?

     
    R. – Siamo consapevoli di avere una missione molto speciale nel cuore dell’Europa e proprio per questo dobbiamo cercare di attuare un dialogo con gli altri cristiani per dare testimonianza a Cristo; vogliamo cercare di fare la Sua volontà, anche oggi, in una Chiesa che purtropoo è ancora divisa.

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    La mafia non è solo un problema del Sud: così mons. Bregantini sull'ultimo documento Cei

    ◊   La Chiesa è giunta a pronunciare nei confronti della ‘piaga profonda’ della  malavita organizzata, parole propriamente cristiane e tipicamente evangeliche, come ‘peccato’, ‘conversione’, ‘pentimento’.  Lo ricorda uno dei paragrafi del recente documento della Conferenza episcopale italiana dal titolo ‘Per un paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno’.  Il testo ricorda il profetico appello di Giovanni Paolo II, pronunciato ad Agrigento nel 1993, e le testimonianze di ribellione alla malavita organizzata di don Pino Puglisi, don Giuseppe Diana e del giudice Rosario Livatino. Ma l'impegno della comunità ecclesiale contro la  mafia è inquadrato in un contesto nuovo, come spiega – al microfono di Fabio Colagrande – l’arcivescovo di Campobasso-Bojano, Giancarlo Bregantini:

    R. – Aver sentito, nell’analisi sapienziale che la Chiesa ha fatto in questi decenni, che la mafia è un cancro, che va estirpato e quindi che va combattuto è già stata una cosa molto chiara. Non c’è nessuna giustificazione né autogiustificazione. Il documento, in questo senso, si pone in linea perfetta con tutto il cammino magisteriale di questi vent’anni. La cosa che, forse, oggi nel documento appare è che la mafia non è più un problema solo del Sud. E forse questa è la chiave di lettura e alla parola intitolazione per un Paese solidale, può essere aggiunto “reciprocamente solidale”: la parola reciprocità che appare nettissima nel capitolo terzo. In questa dimensione, quindi, anche la questione della mafia è un problema dell’Italia. Se il mondo culturale, spirituale e politico non coglie che la mafia è un problema di tutti e lo relega alle regioni del Sud, la mafia sarà ancora una volta vincente, perché non è più relegata o chiusa dentro schemi localistici. Ormai è purtroppo e tristemente globalizzata. Con tale ottica va, quindi, letta e se l’Italia intera aiuta il Sud a vincere la mafia, la vincerà anche al Nord; altrimenti il Nord se lo ritroverà tristemente accresciuto sotto casa. Questa è la lettura nuova rispetto a vent’anni fa.

     
    D. – Possiamo dire che ci sono anche delle responsabilità da parte degli uomini di Chiesa che non devono mettere in secondo piano questo problema?

     
    R. – Sì, ed ovviamente questo coscientizza tutti, tutti i vescovi e tutta la realtà. Fondamentalmente dietro c’è che i problemi di uno, sono i problemi di tutti e quindi la capacità di leggere globalmente i problemi in maniera lucida, chiara e profetica. Potremmo dire che tornano bellissimi tre verbi di mons. Tonino Bello, vescovo del Sud, ma profeta per tutti: “la Chiesa ha davanti un compito che è quello di annunciare con chiarezza, denunciare con profezia evangelica e rinunciare con coerenza nella vita”. Davanti alla mafia bisogna fare proprio così: annunciare con chiarezza le situazioni; denunciare laddove c’è la situazione specifica con nomi, cognomi e fatti precisi; e, rinunciare e quindi attuare una logica coerente ed una testimonianza vitale come stile di vita e come Chiesa nelle nostre comunità.

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    Simposio della Cei a Genova per valorizzare la ricchezza degli anzani nella società

    ◊   Gli anziani, sempre più numerosi, costituiscono una ricchezza da valorizzare nella società europea contemporanea. E’ l’idea di fondo del convegno organizzato questa mattina a Genova dall’Ufficio diocesano per la Pastorale della Terza Età. Il tema del simposio è tratto dal Salmo 91: “Nella vecchiaia daranno ancora frutti”. Ha concluso i lavori l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco. “La qualità della vita – ha detto – non si definisce in rapporto a ciò che si produce, ma in rapporto alle relazioni con gli altri”. Quindi, il porporato ha auspicato provvedimenti efficaci, a partire dal sostegno alla famiglia, in favore degli anziani. Sul tema e le finalità del convegno, Paolo Ondarza ha intervistato Andrea Chiàppori, vicedirettore dell’Ufficio Pastorale della Terza Età della diocesi di Genova:

    R. – Il tema è tratto dal Salmo 91. Sono parole che esortano a comprendere la vecchiaia e l’invecchiamento della popolazione non come un problema, ma come una risorsa. Potremmo, forse dire, che l’unica risorsa naturale e crescente della vecchia Europa è proprio quella di tanti anziani che hanno ancora molte possibilità di portare frutto al bene comune. Credo che questa sia una rivoluzione culturale che deve essere fatta dalla società europea per capire il valore della vecchiaia e per comprendere il beneficio che essa può dare alla società intera.

     
    D. – Quanto nella società contemporanea c’è la consapevolezza che la terza età costituisce una tappa in cui è possibile dare frutto?

     
    R. – Credo che la consapevolezza non sia molto marcata. Credo anzi che purtroppo ci sia una percezione della vecchiaia come un limite e come una difficoltà. Qualcosa, quindi, da evitare. Tanto è vero che si sentono voci che spingono verso soluzioni-scorciatoie come quelle dell’eutanasia o che suggeriscono atteggiamenti poco inclini a promuovere il valore della vita anche laddove è più fragile. Penso che ci sia un lavoro culturale molto forte che la Chiesa deve fare per affermare il valore della vita in tutte le sue manifestazioni e condizioni.

     
    D. – Eppure un uomo ed una donna possono rinascere quando sono nella vecchiaia. E’ una delle affermazioni emerse durante il vostro convegno…

     
    R. - L’intervento che ha fatto mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone, ha contribuito a sottolineare come sia importante comprendere il sogno biblico ed evangelico sulla vita che non è fuga dalla realtà, ma è l’inizio del cambiamento.

     
    D. – Cambiamento, quindi, non ritorno gli anni giovanili. Eppure oggi tante volte si confonde la valorizzazione della vecchiaia con una sorta di giovanilismo, che tende ad equiparare il vecchio al giovane, addirittura a creare una sorta di impossibile competizione…

     
    R. – Certo. Io credo che i frutti si raccolgano solo quando un individuo sa chi è, sa che cosa è, sa come è, conosce quelle che sono le sue potenzialità e si impegna a far fruttare i talenti che ha. Quando si fa finta di essere qualcos’altro, certamente non si contribuisce in alcun modo al bene comune.

     
    D. – Quindi, è bene mantenersi in forma, curare la piacevolezza del proprio aspetto fisico, ma a patto che tutto avvenga nella consapevolezza di essere nella terza età, tappa importante dell’esistenza. Giusto?

     
    R. – Diciamo che essere consapevoli di chi si è, non vuol dire non curare la propria forma fisica, anzi questo è importantissimo. Non bisogna, però, cercare di curarsi per mascherare la realtà della propria vita. Questo credo che sia veramente negativo ed è la manifestazione del fatto che gli uomini e le donne di oggi non accettano la propria condizione. Questo crea poi tanti problemi.

     
    D. – I peggiori nemici della valorizzazione degli anziani nella società quali sono?

     
    R. – Anzitutto questa cultura del giovanilismo e questo mito della gioventù che è certamente una cosa molto negativa. Altri nemici sono rappresentati anche dal fatto che è avvenuta una rivoluzione demografica che non corrisponde però ad una rivoluzione culturale.

     
    D. – Vuole dire che nonostante gli anziani siano sempre più influenti come numero, nella società però rischiano di essere marginalizzati?

     
    R. – Direi che questo non è un rischio. E’ purtroppo la realtà di oggi! Io credo che bisogna riuscire veramente a invertire questa mentalità e questo modo di affrontare i problemi, perché non producono che situazioni negative..

     
    D. – Il vostro convegno fornisce suggerimenti alle famiglie che si trovano, appunto, a dover assistere una persona anziana…

     
    R. – Questo è un impegno che ci assumiamo per il futuro, quello cioè di entrare ancora di più nello specifico di questi argomenti per arrivare anche a dare un contributo specifico e indicativo alle famiglie che devono affrontare tali situazioni.

     
    D. – Pensiamo anche al dilemma se affidare il genitore anziano alle cure di una casa di riposo oppure accoglierlo in famiglia?

     
    R. – Certo. Servono interventi a favore dell’anziano laddove lui si trova. Io credo che la sistemazione in famiglia, sebbene presenti problematicità, sia certamente la migliore, perché è più gradita all’anziano ed anche economicamente la più vantaggiosa.

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    Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica

    ◊   In questa seconda Domenica di Quaresima la liturgia ci presenta il Vangelo della Trasfigurazione. Gesù, salito sul monte a pregare con Pietro, Giacomo e Giovanni, cambia d'aspetto e la sua veste diventa candida e sfolgorante. Appaiono Mosè ed Elia, che parlano della sua dipartita, mentre Pietro dice a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Una nube li avvolge, spaventando i discepoli. Dalla nube esce una voce:

    «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo».

    Su questo brano evangelico ascoltiamo il padre carmelitano Bruno Secondin, professore di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:

    Tutti vorremmo fermare l’attimo fuggente, scansare il dolore, sfuggire alla morte: perché ci spaventa una vita fallita, un futuro che ci distrugge. Nonostante lo splendore e la voce rassicurante, anche gli apostoli hanno paura, e il sonno li opprime: è la fatica del cuore, perché Gesù ha appena avvisato che il cammino lo porterà verso la sofferenza e conoscerà perfino la morte. I due grandi personaggi – Mosè il legislatore ed Elia il profeta di fuoco – sono lì per parlare proprio di questo “esodo”, non per impedirlo ma per confermarlo.

     
    Eppure Pietro non capisce, si aggrappa a quello splendore per evitare i fantasmi oscuri che incombono: tre tende per restare felici, a lungo, in buona compagnia. Ma proprio quella Croce e quella morte sono la nostra sicurezza. Nella morte del Figlio, Dio parla a noi di amore fino in fondo, ci svela la natura di questo Figlio amato: è il Redentore solidale con la nostra fragilità e il nostro peccato. Non le tende, ma il buio della Croce sarà risorsa di speranza e novità.

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    Chiesa e Società



    Pakistan: ergastolo per due cristiani accusati di blasfemia

    ◊   Costernazione e amarezza nella comunità cristiana in Pakistan per le due condanne all’ergastolo di giovani cristiani accusati di blasfemia. “La legge attuale non aiuta in alcun modo il dialogo e l’armonia nella società. La Chiesa ne chiede la cancellazione”, questa la dichiarazione all'agenzia Fides di mons. Rufin Anthony, nuovo arcivescovo di Islamabad–Rawalpindi. Ieri Qamar David, cristiano di Lahore, in carcere dal 2006, ha ricevuto il verdetto della Corte che lo condanna all’ergastolo per blasfemia. Da tre anni la sua famiglia è oggetto di minacce e intimidazioni. “La condanna si basa solo su dichiarazioni e testimonianze create ad arte, frutto di odio e pregiudizi”, ha detto l’avvocato del giovane. Ma c’è anche un secondo caso: quello di Imran Masih, 26enne di Faisalabad, condannato all’ergastolo per lo stesso reato l’11 gennaio scorso. Un suo vicino di casa l’ha accusato di aver bruciato una copia del Corano. Ma sembra che le cose non siano andate proprio così: ripulendo il suo negozio, il giovane voleva infatti disfarsi di alcuni libri scritti in arabo (lingua che lui non comprende) e per questo ha chiesto a un suo vicino di esaminarli, per appurare se i libri non fossero di argomento religioso o di preghiera islamica. Il vicino ha assicurato che non era così, e allora il ragazzo li ha bruciati. Ritrovandosi poi una denuncia per blasfemia, inoltrata dallo stesso vicino. “Stiamo lottando per la revoca di questa legge ingiusta, con molti altri attivisti della società pakistana”, ha affermato Francis Mehboob Sada, direttore del Christian Study Center, un centro ecumenico di studio e monitoraggio dei diritti umani. “Da troppo tempo si abusa di questa legge e i cristiani ne sono vittime. Va notato che fino al 1986 non c’erano in Pakistan casi di accuse di blasfema. Dal 1986 in poi – quando è stata promulgata la legge – sono scoppiati i casi di blasfemia un po’ dappertutto”. “La nazione non ha bisogno di questa legge. La Commissione Nazionale per i Diritti Umani e altri gruppi della società civile, anche musulmani, lo dicono apertamente; certo, alcuni gruppi islamici fondamentalisti la sostengono e il governo ne subisce l’influenza e le pressioni - ha concluso Sada - ma noi continueremo nella nostra lotta, aspettando una buona notizia”. (A cura di Virginia Volpe)

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    Iraq: marcia pacifica a Mossul contro il massacro dei cristiani

    ◊   Una marcia pacifica e silenziosa, in segno di protesta contro il massacro quotidiano che sta subendo la comunità cristiana nell’indifferenza delle autorità. È l’iniziativa presa per domani da vescovi, sacerdoti, religiosi e laici iracheni, come ha detto all’agenzia Fides mons. Georges Casmoussa, arcivescovo siro-cattolico di Mossul. “La marcia – ha dichiarato il presule – si terrà a Mossul ed in una decina fra città e villaggi cristiani del territorio circostante”. Sottolineando che la manifestazione non avrà motivazioni politiche o elettorali, ma soltanto religiose, l’arcivescovo ha poi aggiunto che “i cristiani vogliono restare in Iraq e vivere la loro fede pacificamente”. Domani ricorrerà inoltre anche il secondo anniversario del rapimento di mons. Raho, vescovo caldeo di Mossul, ucciso dai terroristi islamici. La vicinanza ai cristiani di Mossul è stata espressa anche dal Patriarca della Chiesa caldea, il cardinale Emmanuel III Delly, che ha visitato la città in forma privata. (F.C.)

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    Presentato a Lisbona il viaggio apostolico del Papa in Portogallo

    ◊   “Un’effige del Papa che ne rivela la timidezza e l’amabilità”: così mons. Carlos Azevedo, vescovo ausiliare di Lisbona e presidente della Commissione organizzatrice del viaggio che Benedetto XVI effettuerà in Portogallo fra l’11 e il 14 maggio, ha definito l’immagine ufficiale della visita. Tale immagine, che contiene il motto “Con te camminiamo nella speranza, saggezza e missione”, è stata presentata ufficialmente dalla Chiesa portoghese insieme al nuovo sito internet creato per la visita, attualmente in portoghese, ma che nei prossimi giorni avrà anche testi in spagnolo, in inglese e in italiano. Mons. Azevedo ha ricordato il ruolo di riferimento etico che da decenni il capo della Chiesa cattolica ha assunto nel mondo in difesa della pace, della giustizia e dei diritti umani. Il Papa visiterà Lisbona, Fatima e Oporto. Sarà una visita ufficiale, caratterizzata da incontri con il presidente della Repubblica e il primo ministro del Portogallo, e una visita apostolica con cerimonie religiose nelle tre città visitate e alle quali parteciperanno decine di migliaia di persone. Un aspetto specifico di questa visita è la commemorazione del X anniversario della Beatificazione di Francisco e Giacinta Marto, due dei tre pastorelli che ebbero le visioni della Vergine a Fatima nel 1917. Proseguono, intanto, a pieno ritmo i preparativi della visita papale dal punto di vista dell’organizzazione e della sicurezza e proprio nei giorni scorsi è stata in Portogallo una delegazione vaticana, guidata da Alberto Gasbarri, incaricato dell’organizzazione dei viaggi del Pontefice. (A cura di Riccardo Carucci)

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    Elezioni nelle Filippine: il vescovo di Daet contro la compravendita dei voti

    ◊   Urge “che ogni cristiano dica no, con coraggio e lungimiranza, alle false illusioni e alla compravendita dei voti, e che guardi ogni situazione, politica o sociale, dal punto di vista del Vangelo”: è l’atteggiamento che va applicato alla politica, per il discernimento di ogni cristiano filippino in vista delle elezioni del maggio prossimo, momento chiave per la storia del Paese. E’ quanto dichiara in un colloquio con l’agenzia Fides mons. Gilbert Garcera, vescovo di Daet, a Roma in occasione di un corso di formazione promosso dal Ciam (Centro Internazionale di Animazione Missionaria). Mons. Garcera è vescovo in un territorio sull’isola di Luzon, a Sud di Manila e dal suo osservatorio nota che a livello nazionale “vi sono idee contrastanti che si fronteggiano sulla scena pubblica: tutte acclamano il bene della nazione ma, come afferma la Conferenza Episcopale, ogni cittadino deve compiere un serio esame di coscienza e operare un serio discernimento, lasciandosi guidare dalla fede, per riconoscere i valori autentici e l’autentico bene per il Paese”. La Chiesa insegna a “guardare la politica con la lente della moralità, con tutte quello che significa: trasparenza, onestà, lotta alla corruzione, rispetto della vita e della famiglia, attenzione allo standard di vita e al benessere della popolazione”, spiega il presule. La Chiesa cattolica nelle Filippine, in questa fase della campagna elettorale, è impegnata a difendere pubblicamente la vita e la famiglia e ha ribadito il suo appello contro la corruzione, uno dei mali peggiori della società e della politica nazionale. “A livello locale la gente rispetta e ascolta la Chiesa, anche se – denuncia mons. Garcera – vi sono forti pressioni in questo momento perché la gente faccia diversamente e venda il proprio voto. In questa situazione è un dovere della Chiesa intervenire soprattutto nella formazione delle coscienze: occorre far comprendere alla popolazione che la realtà va considerata in senso più ampio, non tenendo solo a un misero tornaconto personale, ma operando per il bene comune delle persone e della società intera”. (V.V.)

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    Il cardinale Antonelli: famiglia e impresa sono cellule vitali della società

    ◊   Il 90 per cento dei senza fissa dimora, il 72 per cento degli adolescenti che commettono omicidi, il 60 per cento degli stupratori, l'85 per cento dei giovani in carcere negli Stati Uniti sono figli cresciuti senza padre. Ne ha parlato nei giorni scorsi il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, durante una riunione del comitato tecnico scientifico dell'Unione cattolica imprenditori dirigenti (Ucid) a Roma. Il porporato, parlando di “famiglia e impresa, cellule vitali della società” si è soffermato sugli effetti negativi della mancanza della figura paterna che si ripercuotono poi su tutto il tessuto sociale. L'analisi della situazione americana ha consentito di delineare i contorni di un fenomeno che investe tutto il mondo occidentale, dove è netta la tendenza ad affidare i figli alle madri senza più contatti con i padri, e il conseguente insorgere di difficoltà psicologiche, sociali e lavorative, mediamente in misura doppia rispetto a quelli di genitori uniti, con problemi di scarsa autostima, depressione, dipendenza da alcol e droga. Secondo il cardinale Antonelli tra le principali cause di questo stato di cose l'evoluzione del lavoro, che porta entrambi i genitori fuori le mura di casa, e soprattutto “una presenza femminile sempre più massiccia nel mondo del lavoro”. “L'autorealizzazione ricercata dalla donna nel lavoro, nel successo sociale — ha detto — ha come costo la rinuncia al matrimonio e ai figli”. A complicare la questione secondo il cardinale, è intervenuto l'affermarsi della ideologia del gender, per la quale non conta il sesso biologico, ma l'orientamento che ognuno liberamente sceglie, si costruisce e cambia secondo i propri desideri. Mentre i generi biologici naturali sono due soltanto, quelli elaborati culturalmente possono essere più numerosi e quindi sarebbe possibile rivendicare diritti sulle convivenze, sui matrimoni gay, sulle adozioni di bambini da parte di coppie omosessuali, su aborto e procreazione artificiale. La famiglia tradizionale, a motivo dei legami stabili di coppia e di genitorialità, è addirittura considerata oppressiva e causa di ingiustizie. Dopo aver ribadito la condanna della Chiesa alla prospettiva del gender, il relatore è anche tornato a criticare i modelli neomaltusiani, incentrati sull'ossessione dell'incremento demografico specie nei Paesi in via di sviluppo con il conseguente degrado ambientale che renderebbe il pianeta invivibile. Per far fronte a tali previsioni c'è chi invoca una minore fertilità per ridurre la crescita della popolazione e aumentare la ricchezza economica. Secondo la dottrina sociale della Chiesa, invece, la soluzione al problema della povertà va cercata nella riforma del mercato e l'equilibrio demografico va raggiunto attraverso la procreazione responsabile. In Paesi sovrappopolati può anche voler dire limitazione delle nascite attraverso metodi eticamente onesti; ma nel vecchio continente deve significare soprattutto rilancio della natalità, rivalutazione culturale della paternità e della maternità, sostegno economico. (V.V.)

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    Ucraina: più libertà religiosa per i detenuti

    ◊   Con l'entrata in vigore delle modifiche al Codice penale, in Ucraina si attendono nuovi diritti per i carcerati. Tra questi il diritto a una maggiore libertà di religione. Fra le nuove disposizioni, approvate dal Parlamento lo scorso 21 gennaio e di recente firmate dal capo dello Stato, l'integrazione dell'art. 7 che proibisce la discriminazione dei detenuti "per motivi di razza, colore della pelle, convinzioni politiche e religiose, genere, status e luogo di residenza". Un ulteriore emendamento stabilisce che "le associazioni religiose e di cittadini e le organizzazioni umanitarie" possono offrire, "nei termini stabiliti dal codice penale e dalla legislazione dell'Ucraina", il proprio aiuto "agli organi e alle autorità carcerarie nella correzione dei detenuti e nelle attività per la loro rieducazione sociale". Un nuovo comma dell'articolo che regolamenta lo svolgimento delle liturgie e delle cerimonie religiose negli istituti carcerari stabilisce che l'amministrazione penitenziaria non può "esprimere opinioni nei confronti delle religioni". Nel giugno 2009, l'Ugcc, la Chiesa Ucraina Greca Cattolica aveva promosso a Kiev in collaborazione con il Dipartimento di Stato per l'attuazione della pena, la Commissione cattolica internazionale per l'assistenza pastorale in carcere (Iccppc) e la Missione cristiana per il servizio carcerario in Ucraina, il congresso internazionale "La dimensione giuridica del ministero in carcere". Obiettivo dell'iniziativa, si legge in un comunicato del Sir, era garantire l'umanizzazione delle politiche penitenziarie nel Paese. (V.V.)

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    Francia: il vescovo di Evry richiama i cristiani alla responsabilità di fronte al Creato

    ◊   In occasione delle elezioni regionali di marzo, e della Quaresima che vede tra le sue pratiche il digiuno, mons. Michel Dubost, vescovo di Evry e presidente delal Commissione episcopale Giustizia e Pace, richiama i cristiani alla responsabilità di fronte al Creato, chiede uno stile di vita più sobrio e li invita a "prepararsi con umiltà al dibattito". "Lo scorso 19 dicembre – scrive il presule in una nota riportata dal Sir - molti di noi sono rimasti delusi. La Conferenza di Copenaghen sul clima si è conclusa all'insegna del vago e dell'insuccesso. Nel 2012 gli accordi di Kyoto scadranno" e "non è stato messo in campo nulla per sostituirli e ancora meno per andare oltre". Secondo mons. Dubost "il Creato è un dono di Dio e l'uomo non ne è che un amministratore". Per questo "non ci si può accontentare" dei risultati di Copenaghen. Il cristiano deve essere "impaziente", e "non per paura, ma per desiderio di giustizia verso gli uomini". Impazienza accompagnata da fiducia. Spiega il vescovo di Evry: "Il pessimismo dei politici è mortale: sostenuti dall'opinione possono, anzi devono, modificare lo svolgersi degli eventi. Il fatalismo non è cristiano. Copenaghen non ha fallito sulla questione climatica, bensì a causa dei cattivi rapporti fra ricchi e poveri". Di qui il richiamo a "non incrociare le braccia" ma "a porsi il problema". Sono encomiabili "le proposte di un consumo più sobrio, più equo e solidale… ma il vero problema - avverte il presule - è politico" e come tale deve essere affrontato. Di qui la sottolineatura: "Le imminenti scadenze elettorali costituiscono un'occasione di dibattito democratico. Dobbiamo volerlo. Dobbiamo rifiutare tutti gli slogan che - pur generosi - impediscano di riflettere. Dobbiamo lavorare. Studiare". "Non posso impedirmi di pensare - conclude mons. Dubost riferendosi alla Quaresima appena iniziata - che il digiuno sia un modo per prepararsi al dibattito nell'umiltà e rendersi permeabili a nuove soluzioni". (V.V.)

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    Londra: primo congresso nazionale della Federazione cattolica di pastorale giovanile

    ◊   Il primo congresso nazionale della Federazione cattolica di pastorale giovanile per l’Inghilterra e il Galles si è tenuto oggi a Londra sotto gli auspici dei vescovi inglesi e gallesi, che hanno approvato la costituzione della Federazione durante la plenaria di aprile 2009; nell’organismo collaborano nuovi movimenti e associazioni, ordini e congregazioni, realtà operanti negli ambienti rurali ed urbani, insieme al vescovo Kieran Conry, responsabile del Settore Giovani dell’Episcopato. I 700 partecipanti hanno riflettetuto intorno al tema paolino “Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente” (1 Tm 4,10), sviluppato dalle relazioni del padre domenicano Timothy Radcliffe, già maestro generale dell’Ordine dei Predicatori e dall’abate di Worth, padre Christopher Jamison; nella liturgia di chiusura, mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, ha presentato i rilievi conclusivi. Sono intervenuti, tra gli altri, ai lavori Bob e Maggie McCarty, dirigenti della Federazione statunitense di pastorale giovanile, che conta tra i suoi membri 174 diocesi americane; la loro esperienza ha offerto nuovi spunti per l’attività di quanti lavorano per i giovani in scuole, parrocchie, istituti religiosi e altre organizzazioni. Nel corso della giornata è stata anche presentata per la prima volta una nuova ricerca sulla vita e la pratica religiosa della gioventù cattolica inglese e gallese; l’indagine si è particolarmente soffermata sulla visione della società attuale da parte dei giovani e sulla percezione della Chiesa tra i praticanti e i “lontani”. (M.V.)

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    Il cardinale Bagnasco: un'umanità senza Cristo procede verso la barbarie

    ◊   “Allontanare Cristo dall’orizzonte dell’esistenza personale e civile significa perdere progressivamente ed inesorabilmente il senso dell’umano, significa sottometterlo al più forte ed al più efficiente”: ad affermarlo è stato ieri sera l’arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), cardinale Angelo Bagnasco, nella riflessione pronunciata al termine della Via Crucis diocesana che si è svolta in Piazza della Vittoria. Senza Cristo, ha aggiunto il porporato, “non c’è vera pietà, né amore senza fedeltà alla vita umana”. “La civiltà si imbarbarisce, l’umanità diventa disumana” perché “Gesù rappresenta una linea di confine tra un umanesimo umano e un umanesimo disumano”. “Allontanarsi da Cristo - ha affermato il presidente della Cei – significa allontanarsi dal fondamento dell’uomo, dal criterio per giudicare se l’umanità è umana o se corre verso la barbarie”, per giudicare “se la civiltà è civile o regredisce nell’inciviltà nel ripiegamento su sé stessa nel segno del più forte, del più potente e del più efficiente”. “E’ Cristo - ha concluso il cardinale Angelo Bagnasco - il criterio di giudizio per giudicare se il progresso è vero o se è un regresso”. (A.L.)

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    Le Acli chiedono al governo italiano di promuovere una nuova politica industriale

    ◊   Attuare una nuova strategia di politica industriale, investire nella formazione per “migliorare le competenze professionali”, estendere l’indennità di disoccupazione “a tutti i lavoratori”. Sono le richieste avanzate dalle Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli) in un documento a sostegno della campagna di raccolta firme incentrata sul tema: “Verso uno Statuto dei lavoratori. Più diritti e tutele per tutti”. Al governo di italiano si richiede, in particolare, di individuare e attuare una nuova strategia di politica industriale “che tenga presente la vocazione manifatturiera”, investendo in quei settori in cui “l’Italia è ancora all’avanguardia”. Una politica industriale, si legge nel documento, “che valorizzi le diversità strutturali e vocazionali delle ‘economie’ del Paese e dedichi un’attenzione specifica alla sostenibilità ambientale, sviluppando le diverse filiere produttive presenti sul territorio, investendo soprattutto nei settori di maggiore potenzialità, anche grazie ad una leva fiscale differenziata per i settori strategici”. Sono anche urgenti politiche formative, necessarie per contrastare il basso tasso d’occupazione. “Per riconoscere il diritto alla formazione permanente di ogni lavoratore – si sottolinea nel documento delle Acli ripreso dal Sir – bisogna certificare le competenze acquisite nei percorsi formativi realizzati all’interno delle imprese e dare la possibilità ai lavoratori di frequentare attività formative”. A tal fine “è indispensabile riconoscere il diritto individuale alla formazione introducendo la detraibilità fiscale dei costi sostenuti da ogni lavoratore per il proprio miglioramento professionale”, nonché dando vita a “un sistema nazionale di certificazione delle competenze”. Le Acli chiedono inoltre una riforma degli ammortizzatori sociali che punti a “superare il dualismo del mercato del lavoro, che oggi sfavorisce i lavoratori cosiddetti atipici e quelli delle piccole e piccolissime imprese”. Si richiede infine l’estensione della Cassa integrazione “a tutti i settori produttivi e a tutte le tipologie contrattuali in caso di ristrutturazione e crisi aziendale” e l’indennità di disoccupazione “a tutti i lavoratori, atipici compresi, che abbiano maturato 12 mesi di lavoro, introducendo l’obbligo di partecipazione attiva a percorsi d’inserimento o reinserimento lavorativo”. (A.L.)

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    Gli ospedali religiosi del Lazio in crisi per i tagli della Regione

    ◊   Remunerazione regionale delle prestazioni erogate al cittadino insufficiente, ritardi nei pagamenti, rimborsi pagati in acconto e in ritardo da parte della Regione, indebitamenti con le banche al punto da mettere in difficoltà il pagamento degli stipendi dei lavoratori: gli opedali religiosi “San Giovanni Calibita – Fatebenefratelli”, “Madre Giuseppina Vannini”, “Cristo Re”, “Regina Apostolorum” della Regione Lazio lanciano un grido d'allarme. “Strangolati dai tagli regionali - si legge in un avviso a pagamento sul Corriere della Sera - sono a rischio le cure al cittadino e i posti di lavoro”. I cittadini, spiegano gli ospedali religiosi, “rischiano un giorno non lontano di vedersi negate le prestazioni fin qui erogate in convenzione, con gravi disagi”. “In assenza di cambiamenti - si legge ancora nell'avviso - gli ospedali religiosi menzionati saranno costretti a sospendere o ridimensionare drasticamente alcune attività fin qui svolte per conto del Servizio Sanitario Regionale”. (V.V.)

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    Bangladesh: la Chiesa tra le popolazioni tribali

    ◊   Testimoniare la parola di Dio fra le popolazioni tribali, per contribuire alla loro crescita umana, professionale e spirituale. È il cammino missionario compiuto da padre Paolo Ciceri, del Pontificio Istituto Missioni Estere, per 38 anni a servizio della Chiesa in Bangladesh. Come riferisce l’agenzia AsiaNews, padre Ciceri, di origini italiane, lavora a stretto contatto con i tribali del gruppo “orao”, che vivono nella regione a nord-ovest del Paese. L’opera dei missionari non si ferma all’annuncio, ma fornisce anche istruzione e ha dato vita ad una serie di progetti di carattere sociale. Più di 3mila bambini della comunità tribale studiano nelle 12 scuole avviate nell’area, cui si aggiunge l’assistenza medica fornita ogni mese ad oltre 2400 persone. “Cerchiamo in ogni modo – ha detto padre Ciceri – di testimoniare il messaggio di Dio” e di rispondere alle sfide che la Chiesa deve affrontare. (F.C.)

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    Un libro per finanziare la comunità per disabili psichici dell’associazione Alveare

    ◊   Nella suggestiva cornice di una Torre trecentesca è stato presentato stamane, nella terra di San Francesco di Assisi, il libro: “Da Clasina a Torchiagina. Un luogo del territorio di Assisi e la sua storia”, per la collana “Biblioteca” della Deputazione di storia patria per l’Umbria (Perugia, 2010). Il volume è il risultato di uno studio e di una ricerca promossi e finanziati dall’associazione “Alveare” www.associazionealveare.org, che gestisce una comunità di riabilitazione sociale e socioculturale di persone con disagi psichici. Dopo aver acquistato e ristrutturato la Torre Chiascina per le proprie finalità statutarie, l’associazione ha voluto recuperarne la memoria storica, ricostruendo la sua storia dall’alto Medioevo ai nostri giorni e quella del paese che da lei prende il nome: Torchiagina. Il libro è frutto del lavoro di qualificati studiosi dell’Università di Perugia, che ne hanno ricostruito i quadri geografici e ambientali, l’analisi toponomastica, il restauro del complesso architettonico, le vicende medievali e moderne del luogo. Il tutto è arricchito da foto molto suggestive, che corredano anche la parte relativa agli aspetti antropologici, curata da Alessandra De Gaetano, collaboratrice della Radio Vaticana, che ha ricostruito, attraverso la raccolta delle testimonianze dirette dei coloni che hanno abitato la Torre nel secolo scorso, gli aspetti legati alla socializzazione, agli stili di vita e alle attività lavorative che si sono svolte all’interno della Torre Chiascina. Il volume infine intende rivendicare la destinazione d’uso a scopo sociale della Torre.

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    24 Ore nel Mondo



    Afghanistan: avanza nel sud del Paese l’offensiva antitalebana della Nato

    ◊   Sempre delicata la situazione in Afghanistan all’indomani degli attentati che ieri hanno provocato almeno 17 morti nel centro di Kabul. Nel mirino della guerriglia sono finiti soprattutto cittadini indiani, mentre la Nato, dopo la conquista di Marjah, si prepara ad estendere la vasta offensiva antitalebana partita due settimane fa nel sud del Paese. Sentiamo Marco Guerra:

    Dopo due settimane di combattimenti, questa mattina al centro di Marjah sventola la bandiera dell’Afghanistan. La conquista della roccaforte talebana è stata completata ieri, quando Marines e truppe afghane si sono ricongiunti con i reparti dell’esercito statunitense provenienti da nord. Secondo il generale Hodges, che dirige le operazioni militari nel sud, i talebani sono stati uccisi o si sono dispersi fra la popolazione e l’offensiva è in gran parte terminata. Tuttavia, l’ufficiale ha avvertito che ci saranno ancora per settimane “scontri sporadici” in “alcune zone” dove si nascondo gli irriducibili. La più vasta operazione lanciata dall’inizio dell’intervento del 2001 ha dunque raggiunto il suo primo obbiettivo ed ora punta a scardinare la guerriglia nella provincia di Kandahar. I talebani tuttavia continuano a dare prova del loro vigore, come dimostra l’attentato di ieri Kabul in cui hanno perso la vita 17 persone. Un’azione che aveva per obiettivo i cittadini indiani per minare la ripresa del dialogo fra India e Pakistan. Paese, quest’ultimo, che anche oggi si conferma teatro di guerra per le milizie integraliste: nel nordovest tre persone sono morte in un attacco suicida ad un commissariato di polizia.

     
    Filippine: militanti di Abu Sayyaf attaccano villaggio
    Nuova fiammata di violenze nella turbolenta regione filippina del Mindanao. All’alba di oggi sono tornati in azione militanti islamici di Abu Sayyaf, che hanno sferrato un attacco contro il villaggio di Maluso, nella provincia di Basilan, uccidendo 13 persone e ferendone altre 17. La strage è avvenuta dopo la liberazione da parte delle Forze di sicurezza del governo di Manila di due ostaggi catturati dai terroristi nel novembre scorso. La polizia, però, sospetta che l’attentato possa essere stato una vendetta contro il sindaco del villaggio.

    Cina: esplosione da fuochi d’artificio
    È di 19 morti e 50 feriti il bilancio dell’esplosione avvenuta ieri sera in un villaggio della provincia di Guangdong, nel sud della Cina. La deflagrazione è stata provocata da fuochi d’artificio, durante i festeggiamenti per celebrare il nuovo anno solare. In seguito all’esplosione, due persone sono state arrestate.

    Liberia
    Una nuova ondata di scontri tra cristiani e musulmani sta scuotendo da ieri il nord della Liberia. Il bilancio provvisorio parla di tre vittime e di diverse chiese cristiane e una moschea andate distrutte. Sul posto sono state inviate truppe di pace dell’Onu per aiutare la polizia locale a riprendere il controllo del territorio. Secondo fonti locali, alla base delle violenze ci sarebbe l’uccisione di una giovane studentessa cristiana. La Liberia è cristiana per due quinti su una popolazione di 3,3 milioni di persone. Un quinto è di religione musulmana.

    Ancora tensioni tra Iran ed Israele
    Resta altissima la tensione tra Iran ed Israele. La guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, è tornato ad attaccare gli Stati Uniti per la loro politica di sostegno allo Stato ebraico ed ha dichiarato che la scomparsa di Israele “non sarà più difficile del trionfo della rivoluzione iraniana”, avvenuta nel 1979. Intanto, il governo israeliano sta effettuando una campagna di pressioni su Washington per ritardare il ritorno dell’ambasciatore Usa in Siria. Tale posizione è la risposta che Israele intende dare ai rinnovati proclami di amicizia tra Damasco e Teheran. Lo Stato ebraico, così come gli Stati Uniti, si è detto disposto a riallacciare i rapporti con la Siria, a patto che questa si sganci dalla politica iraniana. Tuttavia, il presidente siriano, Assad, ha commentato con irrisione questa richiesta durante i colloqui avuti con il suo omologo iraniano Ahmadinejad.

    Medio Oriente, scontri
    Per cinque giorni si sono registrarsi scontri a Hebron, in Cisgiordania, tra soldati israeliani e palestinesi. Alla base delle violenze le voci secondo le quali Israele vorrebbe ascrivere al suo patrimonio due luoghi di culto sia per i fedeli ebrei sia per quelli musulmani.

    Usa, riforma sanitaria
    Gli americani “non possono aspettare un'altra generazione per agire”. Così presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è tornato sulla riforma sanitaria, nel tradizionale discorso del sabato. L’appello di Obama arriva due giorni dopo il vertice alla Casa Bianca con i repubblicani, nel quale non è riuscito a colmare le distanze tra le posizioni. Obama continua infatti a premere per un accordo bipartisan che armonizzi i testi di Senato e Camera, mentre i repubblicani chiedono di ricominciare la discussione con un nuovo approccio.

    Fermati a Londra criminali di guerra serbo-bosniaci
    Ejup Ganic, ex membro della presidenza bosniaca, è stato fermato ieri a Londra su richiesta della polizia della Serbia. L’accusa a suo carico è aver preso parte a crimini commessi a Sarajevo nel maggio 1992. Intanto, sempre ieri tre ex militari serbi di Bosnia sono stati arrestati con l’accusa di aver partecipato, nel luglio 1995, al massacro di Srebrenica, in cui ottomila musulmani furono uccisi dai serbo-bosniaci. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 58

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