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Sommario del 25/02/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • La vocazione degli Apostoli tema della quinta giornata di esercizi spirituali quaresimali predicati al Papa e alla Curia in Vaticano
  • Il nunzio a Baghdad: chi vuole distruggere la presenza cristiana in Iraq distrugge la storia della nazione
  • Oggi su L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Mons. Crociata: lo sviluppo del Paese dalla crescita di una coscienza civile
  • Nuova legge sull'aborto in Spagna. I vescovi: diventa un diritto. La misericordia della Chiesa di fronte al dramma delle madri che abortiscono
  • Il vescovo di El Obeid: bene l'accordo in Darfur, ma non basta
  • Servire Dio e opporsi alle ingiustizie: la riflessione dell'arcivescovo di Aparecida per la Campagna di fraternità
  • L'impegno dell'associazione "Ali per Volare" per la popolazione della Repubblica Democratica del Congo
  • Il ruolo delle donne al centro del Forum contadino promosso dall'Ifad
  • Roma, prima città al mondo, firma il Codice di Condotta contro il turismo sessuale
  • Chiesa e Società

  • I vescovi indiani: “Siamo offesi ma non vogliamo la legge sulla blasfemia”
  • India: i vescovi in Assemblea su "I giovani, speranza per il Paese e il mondo"
  • Pakistan: i cristiani condannano le aggressioni talebane contro i sikh
  • Cuba: il congedo del cardinale Dziwisz, all’insegna dei giovani e di Maria
  • Haiti: le iniziative di Caritas e 'Aiuto alla Chiesa che Soffre' per i terremotati e la ricostruzione
  • Preoccupazione dell'Aibi per l'affido alle famiglie ricche, dei bimbi abbandonati di Haiti
  • Appello del nunzio ad Haiti per i seminaristi che hanno perso tutto
  • Guatemala: marce, preghiere e richieste di giustizia per le vittime della guerra civile
  • America Latina: si riaccende il dibattito sulle unioni gay e sulle adozioni
  • Incontro in Moldova delle Conferenze episcopali del sud-est europeo
  • Somalia: nuovo appello della Caritas per fronteggiare la grave crisi umanitaria
  • Cina: risalto della stampa ufficiale per la mostra su Matteo Ricci a Pechino
  • I vescovi del Kansas plaudono all'operato dei senatori sull'abolizione della pena di morte
  • L’Infanzia Missionaria statunitense impegnata in Quaresima per il Senegal
  • Ecumenismo: quattro teologi al lavoro su "unità e identità" della Chiesa
  • Nota dei vescovi tedeschi dopo le dimissioni della presidente della Chiesa protestante
  • Colloquio internazionale a Tunisi sull'insegnamento negli istituti universitari
  • Brasile: on-line il blog della Conferenza episcopale
  • 24 Ore nel Mondo

  • La Siria difende il diritto dell'Iran al nucleare per scopi pacifici
  • Il Papa e la Santa Sede



    La vocazione degli Apostoli tema della quinta giornata di esercizi spirituali quaresimali predicati al Papa e alla Curia in Vaticano

    ◊   Nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo apostolico in Vaticano, Benedetto XVI e la Curia Romani vivono oggi la quinta giornata degli esercizi spirituali della Quaresima. Una giornata “cristologica” – secondo le meditazioni proposte dal predicatore, don Enrico Dal Covolo – incentrate sulle storie di vocazione dei primi discepoli, ma anche sulla figura del teologo salesiano don Giuseppe Quadrio, recentemente proclamato Venerabile dal Papa. Sul significato della chiamata dei discepoli di Gesù, Alessandro De Carolis ripropone alcune passaggi del magistero di Benedetto XVI sul tema:

    E’ probabile che moltissimi anche fra i non credenti conoscano, tanto sono celebri, gli elementi scenografici con i quali i Vangeli incorniciano lo scoccare della prima scintilla della Chiesa. Una morbida depressione collinare che arriva a lambire le acque del Lago di Tiberiade, un gruppo di pescatori stanchi per una notte di lavoro e nervosi perché non ha fruttato nulla, e uno sconosciuto, un nazareno, che si presenta sulla riva e che uno dei protagonisti della scena, Andrea, presenta con entusiasmo al fratello, Pietro, con queste parole: “Abbiamo trovato il Messia!”. E poi la pesca miracolosa che, spiega il Papa, riempie le reti ma soprattutto il cuore di un gruppo di prescelti che ancora non sa, afferma, che “d’ora in poi” il suo destino “sarà intimamente legato a quello di Gesù”:

     
    “L'avventura degli Apostoli comincia così, come un incontro di persone che si aprono reciprocamente. Comincia per i discepoli una conoscenza diretta del Maestro. Essi infatti non dovranno essere annunciatori di un'idea, ma testimoni di una persona. Prima di essere mandati ad evangelizzare, dovranno ‘stare’ con Gesù, stabilendo con lui un rapporto personale”. (22 marzo 2006)
     
    Stare con Cristo prima ancora che annunciarlo: un concetto sul quale il Papa insiste molto. “L'apostolo – osserva – è un inviato, ma, prima ancora, un ‘esperto’ di Gesù”.  E ciò pur con tutte le imperfezioni caratteriali, perché la chiamata dei primi apostoli non differisce nella sostanza da quella che Cristo rivolge ancora oggi a ogni persona:
     
    “I dodici Apostoli non erano uomini perfetti, scelti per la loro irreprensibilità morale e religiosa. Erano sicuramente credenti, pieni di entusiasmo e di zelo, ma segnati dai loro limiti umani, talora anche gravi. Dunque, Gesù non li chiamò perché erano già santi, ma affinché lo diventassero. Come noi. Come tutti i cristiani”. (15 giugno 2008)

     
    Nel 2006, parlando della vocazione degli apostoli, Benedetto XVI aveva definito “priva di fondamento” l’interpretazione “individualistica” dell’annuncio di Cristo sostenuta dal “grande teologo liberale”, Adolf von Harnack. Una lettura, aveva obiettato, che vede la venuta di Cristo come un atto legato ad ogni singolo uomo che lo accoglie, mentre la missione di Gesù, ha ribadito il Papa, ha una “finalità comunitaria”:

     
    “La loro missione non è tuttavia isolata, ma si colloca dentro un mistero di comunione, che coinvolge l'intero Popolo di Dio e si realizza a tappe, dall'antica alla nuova Alleanza (…) Pertanto, sin dal primo momento della sua attività salvifica Gesù di Nazaret tende a radunare il Popolo di Dio.” (15 marzo 2006)

     
    I dodici Apostoli, ha soggiunto il Pontefice in quella stessa circostanza, “sono il segno più evidente della volontà di Gesù riguardo all’esistenza e alla missione della sua Chiesa”. Sono, chiarisce, “la garanzia che fra Cristo e la Chiesa non c’è alcuna contrapposizione”:
     
    “E’ pertanto del tutto inconciliabile con l’intenzione di Cristo uno slogan di moda alcuni anni fa: Gesù sì, Chiesa no! Questo Gesù scelto in modo individualistico è un Gesù di fantasia. Non possiamo avere Gesù senza la realtà che ha creato e nella quale si comunica. E questa sua presenza nella comunità nella quale Egli stesso si dà sempre a noi, è motivo della nostra gioia. Sì, Cristo è con noi. Il Regno di Dio viene”. (15 marzo 2006)
     
    E un apostolo dei nostri tempi è stato certamente don Giuseppe Quadrio, un salesiano confratello del predicatore degli esercizi, don Enrico Dal Covolo, e un insigne teologo, considerato un modello di spirito sacerdotale, al quale Benedetto XVI ha riconosciuto due mesi fa il titolo di Venerabile. Nato nel 1920 e morto nel 1963, un mese prima di compiere 42 anni, era entrato tredicenne tra i figli di Don Bosco. Divenne un maestro dello spirito, capace di far prendere “fuoco” alla teologia, come recita il titolo di un libro che parla della sua spiritualità. E come tutti i veri discepoli sanno essere, don Giuseppe era anche un maestro di carità. Scriveva: “Finché accanto a noi vi è chi soffre e noi non ce ne accorgiamo: noi non siamo cristiani; finché vicino a noi c’è chi piange, e noi non ce ne curiamo: noi non siamo cristiani (…) finché in una nazione c’è chi vive in semivuoti appartamenti ed altri in una baracca sotto gli archi del ponte: questa nazione non ha il diritto di chiamarsi cristiana”.

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    Il nunzio a Baghdad: chi vuole distruggere la presenza cristiana in Iraq distrugge la storia della nazione

    ◊   Un’Iraq senza cristiani: è il fosco scenario che, giorno dopo giorno, si materializza in una terra dove il Cristianesimo è presente fin dalle origini. Una “via Crucis”, quella che sta vivendo la comunità cristiana irachena, che il Papa segue con profondo dolore. Le ultime uccisioni a Mossul contro civili inermi hanno spinto il vescovo di questa diocesi martire, mons. Emil Shimoun Nona, a parlare di “emergenza umanitaria”. Intanto, mentre il governo iracheno ha deciso di creare una commissione di inchiesta sulle violenze anticristiane a Mossul, centinaia di fedeli hanno deciso, nelle ultime ore, di abbandonare la città. Ma i cristiani vogliono restare in quella che da sempre è la loro terra. E’ quanto sottolinea il nunzio in Iraq, mons. Francis Assisi Chullikat, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. – I cristiani sono qui da 2000 anni e condividono in tutto, con il resto della popolazione, la storia irachena. Quindi, ogni tentativo di diminuire la presenza cristiana oppure addirittura distruggere la presenza cristiana in Iraq vuol dire distruggere la stessa storia della nazione irachena. I cristiani, infatti, sono parte integrante di questa nazione che vorrebbero costruire insieme, specialmente in questa fase della ricostruzione del Paese. In questi anni, hanno un ruolo importante che stanno cercando di svolgere appieno. Il contributo dei cristiani, di tutte le Chiese cristiane che sono presenti in Iraq è importante per il futuro del Paese. I cristiani, da parte loro, cercano di vivere la loro vocazione, la loro missione perché tutti possano essere partecipi di un unico futuro che porti alla prosperità e alla pace della popolazione irachena. In questo senso, vorrei che le autorità locali, possibilmente anche la comunità internazionale, possano dare il loro appoggio ai cristiani iracheni affinché vivano in tranquillità la loro vita in Iraq e professare e testimoniare la loro fede in tutta sicurezza.

     
    D. – Nonostante le violenze, i cristiani iracheni continuano ad essere promotori di riconciliazione…

     
    R. – I cristiani sono, in realtà, proprio i promotori della riconciliazione e della pace in Iraq. Tutte le Chiese irachene sono coinvolte nel dialogo interreligioso, sono in contatto costante con la comunità musulmana in Iraq; ancora adesso ho ricevuto una delegazione composta da sunniti e sciiti che sono venuti in nunziatura per esprimere la loro solidarietà in questi tempi difficili per i cristiani, specialmente a Mossul. Questo vuol dire che i cristiani certamente sono promotori della pace e della riconciliazione in Iraq, e questo ruolo importante che stanno svolgendo è apprezzato anche dal governo. Purtroppo, in questi momenti difficili, sembra che le autorità locali non riescano a controllare la violenza che viene commessa contro la popolazione irachena. Ma questo non vuol dire che i cristiani non continueranno nei loro sforzi per promuovere la riconciliazione nella popolazione irachena, continuando sempre, perché questo fa parte della vocazione della Chiesa stessa in Iraq.

     
    D. – Il Papa ha chiesto tante volte, anche ultimamente, alle autorità irachene e internazionali di fare il possibile per garantire la sicurezza dei cristiani dell’Iraq. Vuole rivolgere anche lei un appello, attraverso i microfoni della Radio Vaticana?

     
    R. – La comunità internazionale farebbe molto bene a prendere a cuore la sorte delle minoranze in Iraq, specialmente i cristiani che sono i più esposti a questo tipo di violenze che accadono in questo periodo, e in particolare a Mossul. La protezione delle minoranze è importante perché sono i senza voce della società, e quindi l’unica maniera in cui possono far sentire la loro voce è tramite le istanze internazionali. Per i cristiani è importante che i loro diritti vengano salvaguardati e tutelati a livello nazionale, che il loro futuro sia salvaguardato e tutelato.


    Più volte in questi giorni di tensioni in Medio Oriente è stata sottolineata l’importanza del dialogo tra cristiani e musulmani nella regione, legata proprio alla presenza della comunità cristiana nella zona. Al microfono di Giada Aquilino, ascoltiamo il padre siriano Mtanious Hadad, rettore della Basilica cattolica melkita di Santa Maria in Cosmedin a Roma e rappresentante del Patriarca Gregorios III Laham. Il religioso è intervenuto al recente Convegno della Comunità di Sant’Egidio “Il futuro è vivere insieme”:

    R. – Il dialogo è possibile, perché questo è l’unico modo per poter vivere insieme: non si può fare una divisione tra mondo arabo musulmano e mondo occidentale cattolico o cristiano. Noi siamo cristiani dal primo momento della nascita del cristianesimo: allora noi eravamo già in quelle terre e ciò vuol dire che siamo cristiani arabi di nascita e di identità. Non vogliamo lasciare il Medio Oriente, apparteniamo a quel Paese, abbiamo vissuto questo dialogo interreligioso per 14 secoli. Momenti difficili ci sono stati in passato e ci sono attualmente in Libano, in Iraq, momenti difficili di dialogo tra musulmani e cristiani, ma questo non vuol dire far emigrare i cristiani.

     
    D. – Quindi il futuro del Medio Oriente, nonostante le guerre e le tensioni, per dove passa?

     
    R. – Adesso è un momento veramente difficile, ma se vogliamo parlare di speranza bisogna ritornare a questo dialogo, al fatto che i musulmani possono capire che i cristiani appartengono a quel mondo e anche noi con loro abbiamo partecipato alla nascita di una cultura araba. Bisogna tornare ad un modo veramente moderno di dialogare, di conoscersi l’un l’altro, perché ancora adesso la maggior parte dei problemi nasce dall’ignoranza circa la presenza dei cristiani in Medio Oriente e riguardo alla ricchezza che hanno dato alla cultura araba.

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    Oggi su L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, Giuseppe M. Petrone su Pechino crocevia di iniziative di pace.

    La politica della retta via: in cultura, Gianpaolo Romanato ricorda, a ottant’anni dalla morte, il cardinale Rafael Merry del Val, segretario di Stato di Pio X.

    Il saggio - contenuto nel volume “Il mito” - dello studioso di antropologia del sacro, Julien Ries, il cui archivio è stato affidato all’Università Cattolica del Sacro Cuore.

    L’universo all’infrarosso: Maria Maggi sul telescopio spaziale Wise della Nasa, che apre nuove prospettive nello studio dello spazio siderale.

    Rossella Fabiani su una mostra, al Topkapi di Istanbul, dedicata all’Iran.

    Nell’informazione vaticana, intervista di Gianluca Biccini a monsignor Barthelemy Adoukonu, nuovo segretario del Pontificio Consiglio della Cultura.

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    Oggi in Primo Piano



    Mons. Crociata: lo sviluppo del Paese dalla crescita di una coscienza civile

    ◊   Ha suscitato un vasto dibattito in Italia il documento diffuso ieri dalla Conferenza episcopale italiana (Cei) dal titolo “Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”. I vescovi passano in rassegna i problemi che affliggono il Sud chiedendo politiche d’intervento attraverso un’ottica solidale. Al microfono di Luca Collodi ce ne parla il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata:

    R. – Il documento nasce più di un anno fa dall’idea dei vescovi di tornare a riflettere sul problema del Meridione, che purtroppo persiste e ha avuto una lunga gestazione, proprio perché fosse il frutto di una riflessione ponderata e di un coinvolgimento da parte di tutto l’episcopato. L’uscita del documento cade in questa contingenza e evidentemente può dire qualcosa anche in questa contingenza, ma il suo sguardo è di lungo periodo. Non si può limitare la sua valutazione, la sua parola, alla circostanza che ci vede poi impegnati come cittadini, in questo momento. E’ chiaro che in questo momento diventa anche un’occasione in più per maturare una riflessione e una risposta alle esigenze e ai problemi che anche la tornata elettorale può porre. Ma lo sguardo va ben oltre. Sarebbe, dunque, riduttivo leggere il documento solo in un’ottica politica, perché lo sguardo è innanzitutto ecclesiale e di conseguenza anche sociale, e qui voglio aggiungere, nell’orizzonte dell’insegnamento sociale della Chiesa. E’ importante, mi sembra, da questo punto di vista, sottolineare, il richiamo che i vescovi fanno all’esigenza di tenere presenti due principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, peraltro ampiamente e significativamente riproposti dall’ultima Enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”, che sono la sussidiarietà e la solidarietà. Su questo punto, io vorrei, proprio in riferimento all’attualità, sottolineare come la riposta ai problemi di ritardo dello sviluppo del Mezzogiorno viene veramente da tutti.

     
    D. – Che dire a questo proposito?

     
    R. - A proposito di sussidiarietà e solidarietà bisogna dire che c’è un impegno che deve continuare ad esprimere lo Stato, le pubbliche istituzioni a tutti i livelli, nel guardare a questa parte del Paese, ma c’è anche l’esigenza che il Sud tutto intero, le popolazioni con le loro classi dirigenti, si facciano carico dell’impegno di rispondere alla chiamata storica di questa stagione di vita del Mezzogiorno, per mettere tutto l’impegno necessario a progredire. Si parla nel documento della necessità di un autosviluppo: se il Sud non si fa carico di un impegno proprio, difficilmente gli aiuti, gli interventi che verranno da altrove, riusciranno a far sì che i ritardi siano superati. C’è un forte appello, dunque, nel documento, alle classi meridionali, alle popolazioni meridionali, perché si facciano soggetto, protagonisti del proprio cammino, del proprio sviluppo, del proprio superamento di tutte le difficoltà. E in questo c’è l’invito più pressante a guardare con fiducia e con speranza, perché ci sono le condizioni, ci sono le possibilità, ma bisogna volerle raccogliere queste possibilità, queste condizioni, per farle proprie e andare avanti.

     
    D. – Mons. Crociata, questa vostra riflessione sul Sud d'Italia può riguardare la democrazia dell’intero Paese?

     
    R. – Sì, senza dubbio, anzi devo aggiungere che lo sguardo all’intero Paese è una preoccupazione di primo piano del documento. Voglio però precisare che intendiamo democrazia in senso lato, cioè nel senso dello sviluppo, della crescita, del cammino del Paese, non in sensi riduttivi. A questo proposito voglio dire che non è un caso che i vescovi abbiano voluto mettere nel titolo innanzitutto ‘Per un Paese solidale’: cioè, sono tutti i vescovi italiani che guardano all’intero Paese e nel guardare all’intero Paese devono rilevare - con preoccupazione - il ritardo grave, persistente di una parte del Paese. Quindi l’attenzione dei vescovi è proprio intenzionalmente rivolta a questa visione d’insieme, al desiderio che tutto il Paese cresca. Dunque, nemmeno sarebbe legittimo guardare e considerare il Sud come un problema a parte, un problema da isolare, una malattia da tagliare fuori dal circuito.

     
    D. – L’analisi che voi fate richiama con forza anche il tema dell’educazione e della formazione della società civile...

     
    R. – In questo abbiamo una delle attenzioni privilegiate del documento, peraltro in sintonia con una preoccupazione e un impegno che i vescovi stanno maturando ed esprimendo anche in riferimento agli orientamenti pastorali già adottati come contenuto per il prossimo decennio. E un tema centrale del documento è la dimensione educativa: cioè, la crescita, lo sviluppo, il superamento delle difficoltà non viene soltanto dalla disponibilità di maggiori risorse, vorrei dire anche non soltanto dall’utilizzazione effettiva - più di quanto non si sia fatto - delle risorse economiche e strutturali disponibili, ma viene dalla crescita di una coscienza civile e da una possibilità culturale che le nuove generazioni in particolare devono sviluppare. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Nuova legge sull'aborto in Spagna. I vescovi: diventa un diritto. La misericordia della Chiesa di fronte al dramma delle madri che abortiscono

    ◊   Il Senato di Madrid ha approvato definitivamente ieri sera la nuova Legge sull’aborto voluta dal governo del premier Zapatero e fortemente contestata dai movimenti pro-vita e dalla Chiesa cattolica, che in una nota esprime la sua condanna per una normativa che oltraggia la vita e danneggia il bene comune: attentare alla vita dei nascituri - affermano i vescovi spagnoli - diventa un diritto. Il servizio di Roberta Gisotti.

    Depenalizzato in Spagna l'aborto. Il Senato ha adottato con 132 voti a favore, 126 contrari e un’astensione, la normativa già approvata dal Congresso dei deputati. La nuova legge, che entrerà in vigore entro 4 mesi, permette alle donne di abortire liberamente fino alla 14ma settimana di gravidanza. Stessa facoltà per le minorenni fra i 16 ed i 18 anni, che devono tuttavia informare i genitori o un tutore, salvo i casi di possibili gravi ripercussioni (violenze, minacce, esclusione) in famiglia. L'aborto è inoltre consentito fino alla 22ma settimana in caso di rischio per la salute della madre o di gravi anomalie del feto, dietro parere medico. La normativa precedente consentiva l'aborto solo in caso di stupro fino alla 12ma settimana, di malformazione del feto fino alla 22ma settimana o di pericolo per la salute fisica o psichica della madre senza limiti di tempo. Da rilevare che oltre il 90% degli aborti finora praticati in Spagna - 115mila nel 2008 – ha invocato il rischio psicologico per la madre. Aspre le critiche alla nuova legge dei movimenti pro-vita e della Chiesa cattolica. “Un passo indietro” “per la protezione della vita”, aveva denunciato la Plenaria dei vescovi lo scorso novembre, ricordando la norma prevista dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che esclude dalla Comunione quanti pubblicamente danno il loro appoggio o il loro voto ad una legge che non protegge in modo adeguato il diritto alla vita dei nascituri. Ciò nonostante passata la nuova legge sull’aborto, i vescovi spagnoli esprimono oggi in una nota il loro profondo rammarico reiterando la loro condanna verso una normativa che suppone “un grave arretramento nella protezione del diritto alla vita di chi si appresta a nascere, un maggiore abbandono delle madri gestanti, e in definitiva un più grave danno per il bene comune”. I vescovi rassicurano inoltre che le donne tentate di abortire o che hanno passato questa tragedia “ incontreranno sempre nella comunità cattolica un focolare di misericordia e di consolazione”. “La Chiesa, come Madre - sottolineano i presuli - comprende le loro difficoltà e non le lascerà sole”. Poi l’invito in vista della prossima Giornata della vita, il 25 marzo, a continuare l’importante opera “per rafforzare la coscienza di tutti riguardo il rispetto che merita il diritto alla vita dei nascituri”.

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    Il vescovo di El Obeid: bene l'accordo in Darfur, ma non basta

    ◊   “Un segno positivo verso la pace, ma non basta”. Così mons. Antonio Menegazzo, amministratore apostolico della diocesi di El Obeid in Sudan, commenta l’accordo raggiunto due giorni fa, dopo anni di conflitto in Darfur, tra i ribelli del "Jem", Movimento per la giustizia e l’uguaglianza, e il governo di Khartoum. La firma definitiva è prevista per il 15 marzo, prima cioè delle elezioni politiche. Secondo il presidente al-Beshir “la guerra del Darfur è terminata”. Tuttavia la situazione nella martoriata regione resta instabile: proseguono i saccheggi delle milizie arabe "janjaweed" e sono nati nuovi gruppi armati di banditi. Ascoltiamo mons. Menegazzo al microfono di Paolo Ondarza.

    R. – Senz’altro è importante un passo verso la pace. Naturalmente, però, non è una pace completa, perché le fazioni dei ribelli sono parecchie anche se il "Jem" è la principale. Finché non ci sarà un accordo complessivo con tutti gli altri gruppi, non si potrà parlare di una vera pace.

     
    D. – Il presidente del Sudan, Omar Assan al-Beshir, ha detto che la guerra del Darfur è terminata. C’è il rischio che possa trattarsi anche di uno slogan elettorale?

     
    R. – Un po’ sì, senz’altro. Le elezioni senza dubbio c’entrano molto, perché avevano tante altre occasioni per fare la pace e per venire a degli accordi, e invece accade solo adesso che siamo vicini alle elezioni politiche, che ci saranno in aprile.

     
    D. – Quindi, non deve passare il messaggio che la guerra è finita, perché questo potrebbe determinare un calo dell’attenzione da parte della comunità internazionale sulla situazione che invece resta molto delicata...

     
    R. – Certo, non è assolutamente finita la guerra, almeno finché non ci sarà un disarmo di questa milizia dei "janjaweed" e dei gruppi di banditi che sono causa della guerra, perché rendono insicura tutta la regione.

     
    D. – Può ricordare comunque a tutti gli ascoltatori come vive la popolazione civile?

     
    R. – Sì, 15 giorni fa ero nel Darfur e ho visitato le tre parrocchie: a Nyala, el Fasher e Daen. Naturalmente, c’è più calma, più sicurezza o meno pericolo dei mesi scorsi, però ci sono ancora attacchi sporadici da parte delle forze governative contro gruppi di ribelli. Per cui naturalmente la gente si trova ancora nei campi e ha paura di tornare nei vecchi villaggi, anche perché possono essere sempre assaliti, da un momento all’altro, dalle milizie arabe di questi famosi "janjaweed".

     
    D. - Quindi, la situazione da un punto di vista umanitario resta grave?

     
    R. – Sì, resta come prima praticamente. Finché la gente non riuscirà a tornare nei propri villaggi e vivere con le proprie forze dovrà dipendere dalle organizzazioni internazionali. E dopo l’espulsione di alcune organizzazioni umanitarie la gente ha sofferto molto di più, perché quelli che sono stati espulsi erano veramente il cuore degli aiuti: distribuivano viveri e si interessavano veramente del benessere della gente e soprattutto degli sfollati.

     
    D. – Non necessariamente questo accordo spiana la strada ad un accordo con altri ribelli: lei faceva riferimento ai "janjaweed"...

     
    R. – Sì, io penso che questo forse serva, perché altri ribelli, altri gruppi, vedendo che questi nuovi gruppi che hanno fatto la pace o il cessate il fuoco con il governo hanno dei vantaggi, anche loro capiranno adagio adagio che l’importanza della pace è molto forte e che dai combattimenti e dalla guerra non si ottiene niente.

     
    D. – Come la Chiesa vive questi avvenimenti di queste ultime ore?

     
    R. – Vive con ansia questi avvenimenti, perché naturalmente pace vuole dire libertà di movimento, vuol dire potere lavorare pastoralmente molto di più di quanto si riesca adesso.

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    Servire Dio e opporsi alle ingiustizie: la riflessione dell'arcivescovo di Aparecida per la Campagna di fraternità

    ◊   Prosegue in Brasile, com’è ormai tradizione nel periodo quaresimale, la Campagna di fraternità promossa dalla Chiesa cattolica locale insieme al Consiglio nazionale delle Chiese cristiane. L’iniziativa si svolge quest’anno sul motto “Non potete servire Dio e il denaro”. Il Papa, nel suo Messaggio per la Campagna, ha espresso il suo apprezzamento per questo evento ecumenico che vede i cristiani uniti contro le ingiustizie e per aiutare le persone a liberarsi dalla schiavitù del denaro. Silvonei Protz ha intervistato a questo proposito mons. Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida e presidente del "Consiglio Episcopale Latino Americano" (Celam):
     
    R. – Penso che una Campagna della fraternità ecumenica abbia sempre l’obiettivo di cercare maggiormente l’unità. Credo che questo sia il fine principale di questa Campagna. Dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa si è impegnata molto nella ricerca dell’unità tra le Chiese cristiane, e questo è anche l’invito di Nostro Signore Gesù Cristo nel Vangelo. Però, oltre a questo discorso, la Campagna della fraternità chiama tutti i fedeli brasiliani, tutti i cristiani, a riflettere sul tema proposto dalla Campagna “L’economia è vita”. Voi non potete servire Dio e il denaro allo stesso tempo. E allora la Campagna vuole chiamare tutti ad essere sempre più solidali, soprattutto con i più poveri. Questo è l’obiettivo di un’economia guidata da criteri etici, da criteri morali, perché non l’attività economica deve essere la preoccupazione principale, ma la persona umana.

     
    D. – Come può la fede cristiana ispirare un’economia che sia diretta a soddisfare le necessità umane, ma anche la costruzione di un bene comune?

     
    R. – E’ importante che l’economia sia ispirata alla Parola di Dio, al Vangelo e alla Dottrina sociale della Chiesa. E questi criteri sono soprattutto criteri di solidarietà, di fraternità, di amore, di giustizia. L’attività economica non può essere evidentemente causa di esclusione sociale. L’economia non può avere come unico scopo il lucro o esclusivamente il bene di una persona o di un gruppo di persone, ma l’attività economica deve andare alla ricerca del bene comune di tutte le persone. Dio ha fatto tutte le cose per tutti gli uomini, per tutte le donne. Noi parliamo della destinazione universale dei beni della Creazione: questi beni della Creazione, della natura che Dio ci ha dato, non possono essere utilizzati unicamente per il proprio bene. Lo Stato, il governo devono avere questa preoccupazione: fare in modo che tutte le persone possano godere di questi beni, che Dio ha fatto per tutti. Tutti hanno il diritto di vivere una vita nelle condizioni che corrispondono alla dignità di ogni persona umana come figli e figlie di Dio. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    L'impegno dell'associazione "Ali per Volare" per la popolazione della Repubblica Democratica del Congo

    ◊   Portare la speranza laddove ve n’è più bisogno. E’ questa la motivazione che ha spinto l’Ong “Ali per Volare Onlus” a realizzare con soli 45mila euro di bilancio un’ambiziosa missione umanitaria in Repubblica Democratica del Congo. La missione intitolata "Cuore per la vita" ha permesso di vaccinare circa 22mila persone nei villaggi dei pigmei e dei Bantu della regione di Likouala. In passato questa piccola associazione siciliana si era già adoperata per la costruzione di due orfanotrofi in Congo Brazzaville e a Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo. Stamani, presso la Camera dei Deputati a Roma è stato presentato il reportage ‘Sud chiama Sud’ firmato dal fondatore di "Ali per Volare Onlus", il cantautore Rino Martinez, Stefano Leszczynski lo ha intervistato:

    "Una realtà davvero sconcertante, perché quei territori ancora oggi sono oggetto di attenzioni anche di molte realtà che nel mondo tendono a sfruttare una serie di materie prime come il legno e i minerali. Per utilizzare queste risorse si vogliono mandare via i popoli che sono legittimati a vivere in quei luoghi. Mandarli via significa anche ucciderli, purtroppo. Quindi, noi tendiamo la mano a loro e diciamo al mondo intero: puntiamo i riflettori su questo mondo dell’Africa equatoriale che sta morendo senza la nostra attenzione".
     
    Una missione, quella portata avanti dai membri dell’associazione "Ali per Volare", che è stata definita “una goccia nel mare”. Una goccia tuttavia fondamentale per la vita di migliaia di bambini, donne e uomini che ogni giorno rischiano di morire per malattie che nel mondo sviluppato sono ormai considerate banali. Una strage silenziosa che avviene sotto gli occhi della comunità internazionale e che rischia di portare all’estinzione i popoli indigeni della grande foresta equatoriale. Il commento di mons. Salvatore Di Cristina, arcivescovo di Monreale e sostenitore dell’iniziativa:

     
    "E’ molto significativo il titolo che si è voluto dare a questa manifestazione: ‘Sud chiama Sud’. E’ il Sud povero che chiama il Sud anch’esso povero ma che nel rapporto ha qualcosa da dare. Purtroppo, l’Africa è stata nel passato oggetto di molta attenzione, ma era un’attenzione molto interessata, quella europea in particolare. Oggi sarebbe il caso di cambiare completamente registro".

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    Il ruolo delle donne al centro del Forum contadino promosso dall'Ifad

    ◊   Si è svolto in questi giorni a Roma il terzo Forum dei Contadini promosso dall’Ifad, il Fondo Internazionale dell’Onu per lo Sviluppo Agricolo. Hanno partecipato più di settanta leader delle associazioni contadine, in rappresentanza di milioni di piccoli agricoltori di tutti i continenti. Al centro dei lavori il crescente ruolo delle donne nell’ambito della sicurezza alimentare. A questo proposito Lucas Duran ha intervistato Elisabeth Atangàna, camerunense, presidente delle Organizzazioni contadine dell’Africa centrale:

    R. - L’implication et la participation...
    La partecipazione delle donne in qualità di rappresentanti delle Organizzazioni contadine è aumentata dal 9 a quasi il 40 per cento. Inoltre, i singoli Stati hanno avviato forme di confronto con le Organizzazioni stesse sul modello di dialogo introdotto dall’Ifad. Naturalmente restano altri aspetti da migliorare.

     
    D. – Al di là delle percentuali, perché è così importante che le donne acquisiscano un ruolo maggiore nella leadership in campo agricolo?

     
    R. - L’intérêt porté aux femmes…
    Interessarsi alla posizione delle donne significa innanzitutto riconoscere il loro ruolo insostituibile in materia di sicurezza alimentare. in Africa: per esempio le donne rappresentano almeno il 60 per cento della forza lavoro in agricoltura e sono loro che garantiscono l’apporto alimentare nei mercati e all’interno delle famiglie. Le donne conoscono bene i problemi concreti legati al lavoro agricolo, di conseguenza il loro contributo corrisponde ai veri bisogni della comunità di appartenenza, per questo è importante che vi sia una rappresentanza femminile.

     
    D. – Quali sono i problemi maggiori che incontrano le donne dell’Africa centrale impegnate in agricoltura e in che cosa si differenziano da quelli incontrati dai loro colleghi uomini?

     
    R. - Je pourrais dire que le femmes et les hommes…
    Si potrebbe dire che i problemi incontrati in agricoltura sono gli stessi per gli uomini e per le donne: ma in realtà le donne si confrontano con questioni più cruciali proprio per il ruolo centrale che esse hanno nel condurre la quotidianità famigliare. Spesso le donne hanno un accesso minore o limitato alle risorse di produzione come per esempio il credito o la proprietà delle terre. A questo si aggiunge la durezza del lavoro, si pensi solamente al trasporto dell’acqua per lunghi tragitti: un’incombenza che da sempre è riservata quasi esclusivamente alle donne e ai bambini. In questo senso occorre lavorare permettendo così alle donne di migliorare la loro capacità di produzione.

     
    D. – Qual è in generale l’attitudine degli uomini di fronte all’accresciuta presenza delle donne nelle Organizzazioni contadine?

     
    R. - Culturellement il y a quelque pesanteur.…
    Esiste certamente ancora un blocco culturale. In particolare in materia di leadership i fatti però parlano chiaro: i risultati seguiti a livello di benessere famigliare grazie ad un maggior riconoscimento del ruolo delle donne non lasciano dubbi sulla qualità del loro apporto. Il loro impegno deve essere incoraggiato e deve poter diventare un modello per gli stessi uomini e per stimolare altre donne a intraprendere lo stesso cammino. In definitiva bisogna far capire agli uomini che va superato il tradizionale modello famigliare per adottarne uno che integri le funzioni che possono essere ricoperte dalle donne.

     
    D. – Quanto sono importanti, sulla base della sua esperienza, questo tipo di forum e quali sono le domande che le fanno le donne contadine una volta che rientra dopo un meeting internazionale nel suo Paese?

     
    R. - La première question c’est …
    La prima domanda che mi viene rivolta è che cosa ci porti di concreto. I meeting internazionali sono importanti, questo Forum ha permesso di stabilire il legame tra Ifad e Organizzazioni contadine. Una base che permette di delineare le questioni politiche da sottoporre ai governi ma anche le tante questioni pratiche che riguardano le famiglie nel loro insieme e principalmente le donne per il ruolo che svolgono. Una questione veramente molto importante è quella dell’accesso al credito. Oggi la micro-finanza da sola non basta più anche perché a volte le clausole connesse non sono adattate ai bisogni agricoli. Occorre, quindi, migliorare la funzionalità della micro-finanza e individuare altri meccanismi che possano meglio sostenere i progetti agricoli delle donne.

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    Roma, prima città al mondo, firma il Codice di Condotta contro il turismo sessuale

    ◊   Roma è la prima città al mondo ad aver firmato il Codice di Condotta contro il turismo sessuale. Un documento che impegna la città a tutelare i bambini sul proprio territorio e gli operatori turistici ad un maggiore controllo nei confronti della clientela. Una firma che si inserisce nella Campagna contro la tratta di minori, promossa da Ecpat e Terre des Hommes, in occasione dei Mondiali di calcio 2010 in Sudafrica. Alla presentazione, martedì scorso in Campidoglio, c’era per noi Benedetta Capelli:

    Una firma che segna un passo avanti e che dimostra sensibilità verso il turpe fenomeno del turismo sessuale, sempre più in crescita. La capitale non è una città in cui il fenomeno si manifesta ma è meta dei turisti di tutto il mondo pertanto occorre vigilare e rendere gli stessi turisti parte attiva soprattutto nel denunciare gli abusi. Essenziale quindi il coinvolgimento dei tour-operator, le agenzie di viaggio e le strutture aeroportuali chiamate a maggiori controlli. Il turismo sessuale riguarda milioni di bambini l’anno, genera un volume d’affari pari a 32 miliardi di dollari e nasce in contesti degradati. Yasmin Abo Loha, coordinatrice dei programmi di Ecpat Italia:
     
    "Numeri reali non esistono, in quanto si tratta di un fenomeno sommerso, e possiamo stimare che i bambini vittime, ogni anno, si aggirino all’incirca intorno ai 2 o 3 milioni. Si tratta di fenomeni che sono gestiti dalla criminalità organizzata. Spesso ci sono situazioni di povertà estrema. Quindi, pure laddove i turisti sessuali vengono colti in flagrante dalla polizia, alla fine, queste persone sono costrette a tirar fuori dei soldi e a corrompere le forze dell’ordine per far passare tutto sotto silenzio".

     
    Alla base di questo fenomeno compiuto in larga parte da turisti occasionali, solitamente trentenni e di istruzione medio-alta, ci sono dunque cause endemiche difficili da estirpare. Ancora Yasmin Abo Loha:

     
    "E’ un fenomeno dal quale non si riesce mai ad uscire fuori. Perché, da una parte, la povertà, l’ignoranza pure sulla materia e, addirittura, la convinzione di fare del bene a questi bambini, perché si dice che in fin dei conti il minore avrà la possibilità di riportare del denaro a casa".

     
    Sud-est asiatico, Sud America e Africa: le mete sono sempre le stesse. In Kenya, il triste primato di turisti sessuali appartiene proprio all’Italia, seguita da Germania, Svizzera e Francia. E dunque è fondamentale tenere alta l’attenzione soprattutto in vista dei mondiali di calcio in Sudafrica. La denuncia in proposito di Terre des Hommes: Maria Clara Marchi:

     
    "Vogliamo lanciare questa campagna contro la tratta, proprio in occasione dei Mondiali, perché saranno in Sudafrica. Terres des Hommes ha cinque case adesso in Mozambico, in una zona particolarmente soggetta al traffico di bambini. Un’organizzazione con cui collaboriamo ci ha mandato un suo report dove ci parla già di movimenti di bambini sul confine: ci si prepara ad accogliere i turisti sportivi. E’ questo l’allarme che Terre des Hommes lancia e la motivazione per cui si chiede un impegno di tutti i comuni ed un impegno ai turisti sportivi ad essere responsabili, a sapere che in quei Paesi c’è questo tipo di problema e a comportarsi in maniera corretta e responsabile. E’ una campagna di sensibilizzazione".
     
    E il Sudafrica, secondo gli ultimi rapporti, risulta essere una delle mete emergenti per il turismo sessuale a danno dei minori. Motivo in più per vigilare e non chiudere gli occhi sul dramma di tanti bambini.

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    Chiesa e Società



    I vescovi indiani: “Siamo offesi ma non vogliamo la legge sulla blasfemia”

    ◊   “Siamo profondamente offesi per l’immagine blasfema di Cristo circolata su libri scolastici e su manifesti. Ci sentiamo tristi e oltraggiati da tale atto sacrilego. Sosteniamo l’azione legale promossa dai governi degli Stati di Meghalaya e Punjab verso i responsabili. Ci appelliamo al governo centrale perchè promuova, tuteli e difenda il rispetto dei simboli religiosi, di tutte le comunità dei credenti, nell’intera India”: con queste parole, consegnate all’agenzia Fides, i vescovi indiani sono intervenuti ufficialmente sul caso della diffusione del ritratto blasfemo di Cristo, approvando una risoluzione nel corso dei lavori della Conferenza episcopale indiana – riunita a Guwahati per l’Assemblea annuale da ieri al 3 marzo. I vescovi hanno espresso soddisfazione per il ritiro dei testi incriminati dalle scuole indiane e per i procedimenti giudiziari avviati dallo Stato di Megahalaya (nord-est dell'India) contro la casa editrice e dallo Stato di Punjab, nel nord-ovest del Paese, contro i gruppi che hanno stampato e diffuso i manifesti con l’immagine sacrilega. I vescovi accolgono con favore le pubbliche scuse che la casa editrice Skyline Publication ha diramato (affermando che si è trattato di una “disattenzione e di un errore umano” nel corso dell’impaginazione del testo) e auspicano che episodi di tal genere non si verifichino più, in nessuna pubblicazione circolante nel Paese. Sulla notizia che lo Stato di Meghalaya sta considerando di promulgare una “legge antiblasfemia”, la Chiesa indiana esprime invece aperto dissenso, notando che esiste già nel Codice penale indiano un articolo che prevede pene verso quanti “feriscono i sentimenti religiosi della popolazione”. Inoltre questo tipo di legge, aggiungono, si presterebbe a distorsioni e manipolazioni da parte di gruppi fondamentalisti (come accade nel vicino Pakistan), che non fanno il bene dei credenti. (R.P.)

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    India: i vescovi in Assemblea su "I giovani, speranza per il Paese e il mondo"

    ◊   I giovani “sono la speranza dell’India e del mondo intero. Ma oggi, molte minacce possono distruggerne la vitalità e la voglia di fare: ne vedo tanti che, prima di ogni altra cosa, tengono gli occhi puntati soltanto sui beni materiali. Questo è pericoloso, perché è sui giovani che dobbiamo riporre le nostre speranze”. È il senso del messaggio con cui il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai e vice presidente della Conferenza episcopale indiana, ha aperto ieri i lavori dell’Assemblea plenaria dei vescovi locali a Guwahati, nello Stato indiano dell'Assam. L’Assemblea, che si tiene ogni due anni, si concluderà il prossimo 3 marzo. Il tema scelto per quest’anno è “I giovani per la pace e l’armonia”. Presiede il cardinale Gracias perché il presidente della Conferenza, il cardinale Varkey Vithayathil, è ammalato. L’arcivescovo di Mumbai, inoltre, ha voluto sottolineare in apertura che la Chiesa indiana “si è focalizzata su molte importanti iniziative pastorali, ma fino ad oggi ha ignorato i giovani. E questo non può essere”. Secondo il porporato, le nuove generazioni “sono piene di talento e generose, sono pazienti ed idealiste. Oggi che la corruzione pervade tutti i segmenti della nostra società, dobbiamo puntare su di loro per cambiare le cose. Ma sempre più ragazzi pensano ad ottenere successo nella carriera e nella vita: questo è un pericolo che dobbiamo sottolineare”. Il rischio è che “si assista a una corrosione dei valori cristiani a favore di una visione edonista della vita”. Ad AsiaNews, l’arcivescovo di Guwahati mons. Thomas Menamparampil spiega: “In India il 47 % della popolazione ha meno di 20 anni, e nei prossimi cinque anni il dato è destinato a salite fino al 65 %. La gioventù del nostro Paese è destinata a divenire una forza mondiale, e questo vale a livello secolare ed ecclesiastico. L’urgenza, oggi, è quella di addestrare e sviluppare il potenziale di questi ragazzi. Se verranno educati con buona motivazione e buono spirito, oltre che con strumenti materiali, saranno in grado di cambiare non soltanto l’India, ma il mondo intero”. Ma il panorama non è del tutto roseo, e mons. Menamparampil punta il dito contro una pericolosa deviazione: “Alcuni giovani, che hanno raggiunto la prosperità economica, sono divenuti nello stesso tempo indifferenti. Da missionario, con il mio bagaglio di esperienza, so che i giovani rispondono in maniera positiva alla passione e alla sincerità: ecco che la Chiesa viene chiamata ad essere missionaria”. L’allarme del presule viene echeggiato da un giovane di Mumbai, che ha studiato presso una scuola di gesuiti: “La Chiesa indiana inizia a soffrire di clericalismo. Invece di riconoscere la professionalità di alcune figure laiche, i sacerdoti si sentono come minacciati da coloro che non fanno parte dello stesso gruppo e vogliono offrire i propri servizi ai cattolici. I laici vengono emarginati in seconda posizione. Mentre basta l’ordinazione per diventare direttore di qualcosa”. Un ragazzo dell’Orissa, ricorda “l’enorme debito nei confronti dei sacerdoti. Mi hanno confortato dopo le violenze religiose che hanno distrutto lo Stato e mi hanno allontanato da ogni distruttivo proposito di vendetta. Ho un grande debito con la Chiesa, e voglio ripagarlo - ha detto - con qualunque cosa mi verrà chiesta”. (R.P.)

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    Pakistan: i cristiani condannano le aggressioni talebane contro i sikh

    ◊   I cristiani in Pakistan esprimono piena solidarietà alle comunità dei credenti sikh e condannano con forza le aggressioni dei talebani, ribadendo l’urgenza di difendere i diritti delle minoranze religiose in Pakistan. Come riferisce all’agenzia Fides, Nadeem Anthony, un cristiano che opera nella “Commissione per i Diritti Umani in Pakistan”, nei giorni scorsi nelle aree tribali ai confini con l’Afghanistan, dove i talebani spadroneggiano, due fedeli sikh sono stati minacciati, sequestrati e poi decapitati, dato che le loro famiglie, di poveri agricoltori, non erano state in grado di pagare il riscatto richiesto. L’episodio ha generato proteste della comunità sikh in diverse città del Pakistan, giungendo all’attenzione delle autorità civili e dei gruppi attivi per la difesa dei diritti umani. “Le minoranze religiose come sikh, cristiani e indù sono costantemente sotto la pressione e le minacce dei talebani, soprattutto nelle aree tribali. Chiediamo al governo centrale di adottare misure urgenti per proteggere le minoranze”, ha dichiarato Nadeem Anthony. La maggioranza delle popolazioni cristiane, sikh e indù che vivevano nelle aree tribali al confine afgano, soprattutto nella zona della valle di Swat, sono fuggite per le atrocità e la ferocia dei talebani. Poche famiglie sono rimaste coraggiosamente e subiscono le vessazioni dei musulmani integralisti. I talebani impongono la conversione all’islam o il pagamento della jizia, la tassa islamica imposta alle minoranze non musulmane. Quanti si rifiutano o non possono pagarla, rischiano la vita. Fra i militanti più feroci vi sono gli appartenenti al gruppo “Terhek-e-Taliban” , definito dagli osservatori la fazione più pericolosa e violenta dei talebani pakistani, responsabile di attacchi suicidi che dal 2007 hanno ucciso più di 3.000 persone. I sikh sono un piccola comunità in Pakistan, ma con una presenza secolare in aree come il Punjab e la Provincia della Frontiera di Nord Ovest. (R.P.)

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    Cuba: il congedo del cardinale Dziwisz, all’insegna dei giovani e di Maria

    ◊   Intensa di emozioni e di ricordi, soprattutto giovanili, è stata l’ultima giornata ieri a L’Avana, dell’arcivescovo di Cracovia, cardinale Stanislaw Dziwisz, in visita a Cuba Alla Santa Messa presieduta dal porporato polacco presso la chiesa di san Francesco di Paola, nella periferia della capitale, hanno preso parte centinaia di giovani, gran parte dei quali ha dovuto sostare fuori dal tempio gremito in ogni angolo. Nei loro cuori era presente il ricordo, e soprattutto l’eredità spirituale e pastorale di Giovanni Paolo II, ma anche il ripetersi del battito delle mani per accompagnare il grido che si sentì in tutta Cuba 12 anni fa: “Juan Pablo Segundo, te quiere todo el mundo”. Gran parte dell’omelia del cardinale Dziwisz ha riportato la memoria di giovani e meno giovani le storiche giornate della visita di papa Wojtyla nel 1998 e come allora, anche ieri, al centro del messaggio ai giovani l’arcivescovo di Cracovia, con parole di Giovanni Paolo II, ha messo Maria, la madre di Dio ed ha chiesto a tutti loro: “Dalla mano di Maria spalancate le porte a Cristo”. Tra i presenti da ricordare, anche perché si sono fatti ascoltare, c’erano numerosi studenti latinoamericani che frequentano i corsi di Medicina presso la “Escuela Latinoamericana de Medicina “come borsisti del governo cubano. Insieme con il cardinale di Cracovia hanno concelebrato l’arcivescovo de L’Avana, cardinale Jaime Ortega e i suoi ausiliari mons. Alfredo Petit y Juan de Dios Hernández, e decine di sacerdoti. “E’ proprio il caso di domandarsi - ha detto il cardinale Stanislaw Dziwisz - perché i giovani erano sempre al centro del cuore di Giovanni Paolo II. La risposta si trova nella sua autenticità e nella sua fedeltà a Cristo. Egli era esigente con se stesso. Non gli piaceva la mediocrità. Il suo metro di misura era sempre alto e tutto, a mio avviso, svegliava l’attenzione dei giovani per la sua persona e per la sua missione”. Poi, ha spiegato l’arcivescovo di Cracovia, per Giovanni Paolo II i “giovani erano anche una via per arrivare agli adulti e perciò lasciò alla gioventù del mondo un grande legato e compito: realizzare la nuova evangelizzazione, convinto che occorreva un nuovo linguaggio, un nuovo metodo e un nuovo stile. Chi meglio dei giovani poteva e può capire questo messaggio e realizzare questa sfida?", ha rilevato il porporato. Per l’arcivescovo di Cracovia una dimostrazione di questo particolare legame tra i giovani e Giovanni Paolo II lo si è visto i giorni della sua agonia e della sua morte quando Piazza San Pietro, insieme ed altri luoghi del mondo, era gremita di giovani che pregavano per il Papa che stava morendo. Oggi, ha sottolineato ancora il cardinale, nessuna sta solo: lo abbiamo con noi perché ci guidi e sostenga Benedetto XVI, il quale anche lui ci mostra sempre la Madre di Dio che ci ama e ci protegge. “Come non ricordare oggi, qui, davanti a voi - ha concluso il cardinale - la giornata del 24 gennaio 1998 quando ero accanto a Giovanni Paolo II per l’incoronazione di 'Nuestra Señora de la Caridad del Cobre'? La chiamò Madre, Regina e Patrona di Cuba”. Il cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, che oggi rientra in Polonia, ha presieduto in serata alla proiezioni del film “Testimone” tratto dal suo libro su Karol Wojtyla. Le prime notizie parlano di una cattedrale gremita e di un’enorme presenza giovanile. Intanto, sempre ieri, l’arcivescovo di Cracovia ha avuto un incontro con il capo dell'Ufficio agli Affari religiosi del Comitato centrale del Partito comunista di Cuba (Pcc), signora Caridad Diego, e con il vice capo Carlos Samper, accompagnato dal nunzio apostolico a Cuba, arcivescovo Giovanni Angelo Becciu e dal segretario generale della Conferenza di vescovi Cuba, mons. Juan de Dios Hernández. (A cura di Luis Badilla)

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    Haiti: le iniziative di Caritas e 'Aiuto alla Chiesa che Soffre' per i terremotati e la ricostruzione

    ◊   Un sostegno fondamentale per i terremotati di Haiti è giunto dalla Caritas e da tutti coloro che le hanno fornito il proprio aiuto. Il presidente di Caritas Internationalis, il cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, ha visitato il Paese lunedì scorso per consegnare aiuti dell'Honduras ed esprimere la propria solidarietà al popolo haitiano. Durante la sua visita a Port-au-Prince, - riferisce l'agenzia Zenit - il porporato ha visitato le rovine della cattedrale e dell'arcidiocesi, dove sono morti l'arcivescovo, monsignor Joseph Serge Miot, e alcuni collaboratori. Ha anche incontrato alcuni rappresentanti della Conferenza episcopale haitiana per discutere gli sforzi di sostegno e ricostruzione. “E' essenziale andare avanti, per ricostruire Haiti a livello culturale, spirituale e anche materiale”, ha detto nel quartier generale di Caritas Haiti. I membri Caritas di 40 Paesi hanno raccolto 198 milioni di dollari da donazioni private per i sopravvissuti al terremoto. I Governi e le istituzioni hanno promesso di donare alla Caritas per Haiti 36 milioni di dollari. La Caritas ha già sfamato più di 500.000 persone e fornito kit di riparo a 43.000 haitiani e cure mediche a 12.000. Il programma di assistenza di due mesi sarà seguito da un progetto di ricostruzione di 3-5 anni che si concentrerà su alloggi e istruzione. “Siamo commossi per il sostegno che la Caritas ha ricevuto da tutto il mondo – ha dichiarato il cardinale Maradiaga –. Dai Paesi ricchi dell'Europa e dell'America del Nord a quelli disperatamente poveri come Congo e Somalia, è un grande segno di solidarietà con Haiti che cerca di ricostruirsi. La Caritas lavorerà sodo per creare un futuro migliore per gli haitiani basato su solidarietà, speranza e amore”. Dal canto suo il presidente della Conferenza episcopale di Haiti, mons. Louis Kébreau ha ringraziato in una lettera l'associazione caritativa internazionale “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (Acs), che ha offerto 70.000 dollari per far fronte all'emergenza e 100.000 dollari per i seminaristi diocesani bisognosi. Anche il nunzio apostolico ad Haiti, l'arcivescovo Bernardito Auza, ha scritto ad Acs per fornire un breve resoconto su come sia stato speso il denaro fornito dall'associazione. Gli aiuti, ha spiegato, hanno contributo a finanziare un programma di aiuti d'emergenza ad ampio raggio, che ha incluso la fornitura di riso e fagioli agli indigenti e lo sforzo di “rilanciare le attività commerciali”, con sussidi distribuiti attraverso le parrocchie locali. Circa i progetti a lungo termine, il nunzio ha riferito di iniziative per aiutare a pagare le tasse scolastiche dei bambini di Port-au-Prince perché possano frequentare le scuole cattoliche nella diocesi di Les Gonaives, molto meno colpita dal terremoto rispetto alla capitale. (R.P.)

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    Preoccupazione dell'Aibi per l'affido alle famiglie ricche, dei bimbi abbandonati di Haiti

    ◊   Li chiamano “restavek” (dal francese “rester avec”, “restare con”): sono i bambini di Haiti di fatto abbandonati dai loro genitori e affidati a famiglie ricche dalle quali dovrebbero ricevere cibo, alloggio ed educazione in cambio del loro lavoro. “In realtà – denuncia l'Associazione Amici dei bambini - divengono piccoli schiavi delle famiglie che li ospitano. Sono loro, insieme agli orfani, ad essere i soggetti più vulnerabili in questo momento”. Quello dei restavek, “rapiti, schiavizzati, venduti o trafficati a causa dell’accresciuta insicurezza nel Paese”, è, sostiene l'Aibi, un fenomeno radicato e diffuso: sarebbero 225mila i restavek nell’isola, hanno tra i 7 e i 13 anni; la maggior parte di loro arriva dalle zone rurali”. Si stima inoltre che “il numero dei restavek aumenterà a dismisura nel post-terremoto dato che questa pratica è profondamente radicata nonché accettata dalla società e perfino dalle istituzioni locali. Non esiste, infatti, una legge o un provvedimento che sanzioni le famiglie che fanno lavorare come domestico un restavek, nonostante sia un fenomeno diffusissimo”. Tuttavia, evidenzia l'Aibi, “queste non hanno alcun diritto legale sul minore; si può quindi lavorare per reintegrare il minore nella famiglia di origine”. (R.P.)

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    Appello del nunzio ad Haiti per i seminaristi che hanno perso tutto

    ◊   Appello dell’arcivescovo Bernardito Auza, nunzio apostolico di Haiti, per il ripristino delle attività nei seminari, distrutti o gravemente danneggiati dal recente terremoto. Appello inviato alla Missio (Pontificie opere missionarie) Inghilterra e Galles e rilanciato dall’agenzia Fides. Il Seminario Maggiore nazionale è infatti crollato uccidendo 15 seminaristi, un professore e alcuni membri del personale; numerosi i feriti, diversi intrappolati sotto le macerie per diversi giorni, alcuni dei quali hanno subito amputazioni. Dei 159 seminaristi solo 28 del quarto anno di Teologia potranno finire l'Anno accademico, alloggiati nelle tende, per essere ordinati diaconi durante l'estate. Nulla si è salvato, tranne alcuni libri della biblioteca. Le maggiori esigenze dei seminaristi - informa mons. Auza - sono capi di abbigliamento, articoli di biancheria, tende per dormire. Molti studenti sono stati già rimandati nelle loro diocesi estremamente povere, bisognose di assistenza. Haiti era molto povera prima – ricorda il nunzio - e ancor più lo è dopo il terremoto. Mons. John Dale, direttore nazionale di Missio-Inghilterra e Galles, ha detto: saremo “accanto alla Chiesa di Haiti nel tentativo di ripristinare un senso di normalità. Saremo lì per aiutare l'arcivescovo Auza e quelli che stanno lavorando per l'assistenza ai pastori del futuro. Missio ci sarà per tutto il tempo che il popolo di Haiti avrà bisogno di noi e per tutti gli anni che servono". (R.G.)

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    Guatemala: marce, preghiere e richieste di giustizia per le vittime della guerra civile

    ◊   Alla vigilia della ‘Giornata nazionale per la restituzione della dignità alle vittime’ della guerra civile, che si celebra oggi, migliaia di sopravvissuti ai 36 anni di conflitto (1960-1996) hanno marciato per le strade di Chimaltenango, nel nord-ovest del Paese, per chiedere che i responsabili delle stragi vengano portati di fronte alla giustizia. La Segreteria della pace (Sepaz) e il Movimento nazionale delle vittime ‘Janil Tinamit’ (‘nuova alba’ in lingua indigena Quiché), promotori della manifestazione, - riferisce l'agenzia Misna - hanno ricordato che almeno 7000 denunce sono state presentate nei confronti di militari accusati di massicce violazioni dei diritti umani in una guerra costata oltre 250.000 morti, per la stragrande maggioranza indigeni Maya. Ciononostante nessuna delle denunce ha avuto corso e non è stato istruito alcun processo. Le vittime della guerra hanno anche chiesto al parlamento di approvare una legge per creare una commissione ufficiale di ricerca dei ‘desaparecidos’, stimati in almeno 45.000; una richiesta avanzata questa settimana anche dalla vice-presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, Christine Beerli. “I familiari continuano a soffrire, non è un capitolo chiuso. Lo Stato ha una responsabilità verso migliaia di famiglie che ancora attendono di conoscere dove sono i loro cari” ha detto Beerli. La mobilitazione proseguirà oggi nel dipartimento settentrionale di Quiché, uno dei più colpiti dalla guerra, in quello settentrionale di Alta Verapaz e in quello occidentale di San Marcos, dove il vescovo Álvaro Ramazzini guiderà una marcia denominata ‘Per la dignità dei martiri’. Secondo cifre ufficiali, il conflitto ha provocato anche 50.000 vedove, 500.000 orfani e oltre un milione di sfollati. Nel settembre 2009 è stata pronunciata la prima storica condanna in Guatemala per crimini contro gli indigeni perpetrati durante il conflitto, quella a 150 anni per l’ex-paramilitare Felipe Cusanero, accusato della ‘sparizione forzata’ di sei nativi tra il 1982 e il 1984. (R.P.)

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    America Latina: si riaccende il dibattito sulle unioni gay e sulle adozioni

    ◊   Il dibattito sul cosiddetto “matrimonio” fra omosessuali ultimamente si sta presentando, o ri-presentando, in diversi paesi dell’America Latina. Il vescovo emerito di Chimbote, mons. Luis Bambarén, ex presidente della Conferenza episcopale peruviana (Ceb) ed ex presidente della Caritas Internationalis per l'America Latina, ha espresso la sua opposizione al matrimonio tra persone dello stesso sesso: “il matrimonio è qualcosa di sacro, queste persone possono vivere insieme, ma non possono essere sposate, questa è la mia posizione molto chiara” ha detto il vescovo in una intervista a Radio Programas del Perù. Mons. Bambarén ha quindi respinto la proposta lanciata dal deputato Carlos Bruce di legittimare l'unione tra persone dello stesso sesso, richiesta da inserire nel piano di governo chiamato “Perù Posible”. “Mi rammarico che Bruce abbia proposto questa iniziativa che mette in pericolo i nostri giovani, che certamente sono alla ricerca dei valori per costruire la propria vita su valori duraturi”, ha detto il vescovo, dimostrando la sua contrarietà anche alla proposta che gli omosessuali che vivono in coppia possano adottare dei bambini. La questione del cosiddetto “matrimonio” fra omosessuali è significativa e importante per la società, ma per il presule richiede ulteriori discussioni: “dobbiamo parlarne di più, valutare di più, dobbiamo essere molto precisi in questo senso, rispettare il loro diritto, ma non possiamo spalancare le porte in modo che altri possano portare gente alla corruzione”. In Argentina l'arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Bergoglio, ha respinto la decisione dell'organismo di Giustizia di autorizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso come “contrario” alla legge del Paese. Rilevando che “dai tempi degli antichi il matrimonio è inteso come l'unione tra un uomo e una donna”, il cardinale avverte che “la sua affermazione non implica alcuna discriminazione”. Ha inoltre ricordato che il governo della città di Buenos Aires “ha l'obbligo di ricorrere in appello”. Lo scorso novembre, contro una sentenza analoga, l'arcivescovo aveva criticato il sindaco di Buenos Aires, Mauricio Macri, considerando che non ricorrendo in appello, egli aveva "gravemente mancato" ai suoi doveri di pubblico ufficiale. In Messico il problema si presenta in forma complessa, perché in qualche Stato all’interno del Paese, la legge è già stata accettata, mentre in altri Stati questa legge non è valida. Non è solo la Chiesa a difendere i diritti dei bambini, ma anche altre istituzioni criticano il caos che può scaturire da una degenerazione della norma all’interno dello stesso Paese. In un comunicato dell’arcidiocesi di Mexico del 31 gennaio scorso si legge: “Non si tratta di argomenti religiosi, ma del diritto; non si tratta di accordi con la Chiesa cattolica, ma con la legalità; non è l'imposizione di un'ideologia, ma di un ragionamento di buon senso e nell'ordine dei principi etici e naturali dell'umanità e della vita sociale.” (R.P.)

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    Incontro in Moldova delle Conferenze episcopali del sud-est europeo

    ◊   I presidenti delle Conferenze episcopali del Sud-Est Europa si riuniscono da oggi al 28 febbraio a Chişinău, in Moldova, per il loro 10.mo incontro dedicato ai diritti e doveri delle minoranze cattoliche nell’area europea sud-orientale. Ai lavori saranno rappresentate nove conferenze episcopali: di Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cipro, Grecia, Moldova, Romania, Turchia e la Conferenza episcopale internazionale dei SS. Cirillo e Metodio. Prenderanno inoltre parte alla riflessione il presidente del Ccee, cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest, il nunzio apostolico in Romania e nella Repubblica Moldava, mons. Francisco-Javier Lozano e l’Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa, mons. Aldo Giordano. Il confronto interecclesiale toccherà non solo la situazione dei diritti riconosciuti alle comunità cattoliche minoritarie nei diversi Paesi della regione,ma anche del contributo specifico che i cattolici possono e devono apportare alla realizzazione del bene comune nelle loro società di appartenenza. La discussione affronterà i problemi legati al processo di secolarizzazione dalle proporzioni sempre maggiori e a un tessuto sociale sfaldato da disoccupazione, alcolismo, droga, ricorso all’aborto. "La Chiesa cattolica promuove il suo diritto e dovere di partecipare alla costruzione del bene comune del Paese in cui vive, a prescindere dal fatto che sia di minoranza o di maggioranza perché di tratta di “un diritto fondamentale”. Lo ha detto il padre Duarte da Cunha, segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali europee, delineando il tema che farà da filo conduttore all'incontro. “L'essere Chiesa di minoranza – dice padre Da Cuhna - non significa non godere degli stessi diritti, non avere gli stessi doveri di qualunque altra religione in una nazione. La Chiesa cattolica difende questo, quando è minoranza, ma anche dove è in maggioranza, perché è un diritto fondamentale”. “Spesso – prosegue padre da Cunha -, essere una minoranza è sinonimo di poca rilevanza, oppressione, o poche possibilità umane e materiali, indifferenza, alle volte anche diritti calpestati. In alcuni casi è vero e molto rimane da fare”. “Tuttavia – aggiunge padre Da Cuhna - le nostre Chiese di minoranza, in molti paesi del Sud Est Europa possono, devono e lo fanno già contribuire al bene dell'intera nazione”. (M.V.)

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    Somalia: nuovo appello della Caritas per fronteggiare la grave crisi umanitaria

    ◊   La rete Caritas ha avviato un'operazione urgente di aiuto per alleviare la grande emergenza alimentare che è stata dichiarata in Somalia, Paese afflitto dalla più grande crisi umanitaria in 18 mesi e dalla recrudescenza della guerra civile. Da qui l’appello d'emergenza per un importo totale di 542.677 euro. Visto che il sud e il centro del Paese sono attualmente inaccessibili agli aiuti internazionali per la grande insicurezza provocata dalla guerra civile, il piano di risposta della Caritas si concentrerà sulla regione settentrionale del Somaliland, che è invece raggiungibile e dove si stima che si potranno garantire aiuti di base a 70.000 persone. Nel nord del Paese, una zona dedita all'allevamento, la siccità ha provocato una drammatica diminuzione della produzione agricola e del bestiame, causando gravi problemi di sicurezza alimentare. La Somalia soffre emergenze periodiche da vent'anni. Visti gli altissimi indici di malnutrizione e insicurezza alimentare della popolazione, sono dunque imprescindibili questi interventi da parte della rete Caritas, che negli ultimi anni si sono visti tuttavia ostacolati dal clima di violenza. La regione del Somaliland nel 1991 ha rotto le relazioni con la Somalia dopo essersi dichiarata indipendente, anche se non è stata riconosciuta dalla comunità internazionale. Continua ad essere una zona accessibile agli aiuti internazionali, visto che in pratica non si è vista interessata dalla situazione di guerra civile che affligge il resto del Paese. La rete Caritas lavora in Somaliland dal 1994, in stretta collaborazione con Caritas Somalia, le organizzazioni civili somale e il Governo del Somaliland. (R.G.)

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    Cina: risalto della stampa ufficiale per la mostra su Matteo Ricci a Pechino

    ◊   “Matteo Ricci - Incontro di civiltà nella Cina dei Ming”, la mostra per commemorare i 400 anni della morte del missionario gesuita italiano, è stata aperta a Pechino con grande copertura della stampa ufficiale in lingua cinese e inglese, come l’agenzia Xin Hua, sottolineando che il grande missionario italiano è stato il primo europeo che ha portato i successi della tecnologia e dell’arte in Cina. Dal 7 febbraio al 20 marzo 2010 presso il Capital Museum di Pechino, il pubblico cinese può apprezzare il gesuita di Macerata che “si fece cinese”, lo straniero più stimato, conosciuto ed amato lungo tutti questi secoli in Cina. Oggi la sua figura torna a splendere nel Paese a cui ha dedicato la vita, dove è morto ed è stato sepolto esattamente 400 anni fa. La mostra, promossa dalla Regione Marche dell’Italia, dal Centro dello Scambio del Reperto Archeologico Cinese, dal Capital Museum in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura dell’Ambasciata Italiana presso Pechino, ripercorre la vita straordinaria di padre Li Ma Dou, come i cinesi amano chiamare padre Matteo Ricci. Inoltre la mostra presenta anche duecento capolavori – dipinti, incisioni, carte geografiche, orologi… – per raccontare il cammino di padre Li Madou nella storia nella dinastia Ming. La mostra andrà poi a Shanghai (Shanghai Museum, dal 3 aprile al 23 maggio) e a Nanchino (Nanjing Museum, dal 5 giugno al 25 luglio). (G.C.)

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    I vescovi del Kansas plaudono all'operato dei senatori sull'abolizione della pena di morte

    ◊   I vescovi cattolici del Kansas hanno elogiato i senatori dello Stato per il loro "appassionato e meditato" contributo al dibattito sulla legge per l’abolizione della pena di morte, nonostante esso non abbia dato i frutti sperati. La proposta, discussa in aula il 19 febbraio, è stata infatti bocciata con appena un voto di scarto. "Anche se il risultato è deludente, il dibattito è stato per molti aspetti un’impressionante prova di senso dello Stato”, si legge in una nota della Conferenza episcopale del Kansas ripresa dall’agenzia Cns. "Le argomentazioni di entrambe le parti erano appassionate e profonde. I senatori hanno affrontato la questione con la serietà e il rispetto dovuto all’importanza della posta in gioco." I vescovi esprimono quindi la loro gratitudine a tutti coloro che hanno perorato la loro causa presso i legislatori dello Stato. In una dichiarazione rilasciata nella stessa giornata, il vescovo d Wichita Michael O. Jackels ha precisato come il sostegno alla causa dell’abolizione della pena capitale non toglie nulla alla condanna senza appello “di atti abominevoli commessi contro vittime innocenti e alla profonda solidarietà a queste ultime o ai familiari e agli amici che piangono l’assassinio di un loro caro”. Nonostante la comprensione per le giuste ragioni delle vittime, occorre “trovare mezzi incruenti per garantire l'ordine pubblico e proteggere la sicurezza delle persone, invece di ricorrere alla pena di morte", ha aggiunto il presule ricordando gli insegnamenti della Chiesa in proposito. Come si legge nella versione definitiva del Catechismo della Chiesa cattolica del 1997 “Oggi, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo ‘sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti’ [Evangelium vitae, n. 56].” Il Kansas è uno dei 35 Stati dell’Unione in cui è oggi in vigore la pena di morte reintrodotta nel 1994. Attualmente sono 10 le persone detenute nel braccio della morte, tutte condannati dopo il 1994. Nessuno è stato ancora giustiziato. L’ultima esecuzione nello Stato risale al 1965. (L.Z.)

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    L’Infanzia Missionaria statunitense impegnata in Quaresima per il Senegal

    ◊   La Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria degli Stati Uniti d’America per la Quaresima sta puntando la sua attenzione sul Senegal, sottolineando come la Chiesa in quel Paese africano porti aiuto e speranza ai bambini ed alle loro famiglie. Lo comunica all’agenzia Fides la direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie. “Ci sono tanti esempi oggi nel mondo di bambini la cui realtà quotidiana è un ‘venerdì santo', a causa delle sofferenze per i disastri naturali, la povertà estrema, la violenza” spiega mons. John E. Kozar, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie negli Stati Uniti. “Questi bambini scoprono il messaggio pieno di speranza della Pasqua attraverso il servizio dei sacerdoti, dei religiosi e dei catechisti laici”. Mons. Kozar presenta la storia di suor Rosalind, che lavora con i bambini in un centro diurno di assistenza della Chiesa in un piccolo villaggio rurale del Senegal che si chiama Thies. I bambini non solo apprendono a leggere e scrivere, ma imparano anche “la buona novella” di Gesù. “Essi vengono e imparano a condividere e a prendersi cura l’uno dell’altro, proprio come Gesù ci ha amato…” commenta suor Rosalind. “I bambini e i giovani del nostro Paese sono oggi missionari – osserva mons. Kozar -, in quanto pregano e offrono i loro sacrifici per il lavoro della Chiesa fra questi bambini africani e per altre innumerevoli migliaia di bambini in tutti i Paesi in via di sviluppo”. Inoltre durante la Quaresima, dal 14 al 21 marzo, si celebra la Settimana nazionale di preghiera della Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria. Durante quella settimana, i ragazzi sono invitati a ricordarsi dei bambini nelle zone di missione - particolarmente di quelli che aspettano di sentire parlare di Gesù e del suo Vangelo - pregando insieme con una speciale preghiera missionaria. Un manifesto con la preghiera, in inglese e in spagnolo, viene inviato alle scuole cattoliche ed a quanti realizzano programmi di formazione religiosa in tutti gli Stati Uniti, oltre ad essere accessibile in internet (www.hcakids.org). L'anno scorso circa mezzo milione di bambini e ragazzi hanno partecipato alla Settimana nazionale di preghiera. (R.P.)

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    Ecumenismo: quattro teologi al lavoro su "unità e identità" della Chiesa

    ◊   Quattro teologi, un anglicano, un cattolico, un luterano e un ortodosso, si sono riuniti nei giorni scorsi a Ginevra per dare il via ad un progetto di studio sulla unità della Chiesa lanciato dalla Commissione “Chiese in dialogo” della Conferenza delle Chiese europee (Kek). A darne notizia è oggi un comunicato della Kek, ripreso dall'agenzia Sir, precisando che “obiettivo del progetto è quello di indagare la comprensione del concetto di unità della Chiesa in relazione al concetto di identità". I quattro teologi che partecipano al progetto sono Paul M. Collins, dell'Università inglese di Chichester, anglicano; Myriam Wijlens, dell’Università tedesca di Erfurt, cattolica; Minna Hietamaki, di Helsinki, della Chiesa Evangelica Luterana della Finlandia e il Viorel Ionita, membro della Commissione Kek per il dialogo, ortodossi romeno. L'idea di avviare questo progetto è nato nell’ambito della Commissione plenaria della Commissione "Fede e Costituzione” del Consiglio Mondiale delle Chiese, tenutasi lo scorso ottobre a Creta. Il progetto prevede che l’analisi del tema sia esaminato non solo a livello teorico-teologico ma anche “a livello di esperienza vissuta” nelle chiese. Il progetto durerà fino a settembre 2012. “Ci auguriamo – dice Viorel Ionita - che in futuro altre tradizioni teologiche possano essere incluse, come quelle provenienti dai contesti delle chiese libere”. (R.P.)

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    Nota dei vescovi tedeschi dopo le dimissioni della presidente della Chiesa protestante

    ◊   “A seguito delle dimissioni della presidente del Consiglio della Chiesa evangelica tedesca (Ekd), Margot Käßmann, presentate a causa del suo fermo per guida in stato di ebbrezza, mons. Robert Zollitsch ha diffuso un comunicato a nome della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), di cui riferisce l’agenzia Sir: “Conosco la signora Käßmann da molto tempo come una persona che si assume le proprie responsabilità - scrive - e proprio perciò rispetto la sua decisione e comprendo questo passo. Le auguro la benedizione di Dio in questo momento difficile”. Le dimissioni di Käßmann sono state rese note ieri ad Hannover con una conferenza stampa, in cui il vescovo donna ha detto: "ho commesso un errore grave di cui mi pento profondamente. Non posso e non voglio ignorare che il mio ufficio e la mia autorità di vescovo nonché di presidente dell'Ekd sia danneggiata. Non avrei più la libertà di indicare e valutare come in passato le sfide etiche e politiche". Käßmann nell'ottobre 2009 è stata la prima donna eletta alla guida della Chiesa protestante in Germania. (R.G.)

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    Colloquio internazionale a Tunisi sull'insegnamento negli istituti universitari

    ◊   Le sfide poste di fronte agli istituti superiori di insegnamento religioso in materia di impiego, risorse, attrezzature, modernizzazione; gli studi comparativi dei metodi di insegnamento nel mondo musulmano e nel mondo cristiano e lo spazio lasciato nei rispettivi programmi al cristianesimo e all'islam; gli elementi di convergenza in vista di un dialogo interreligioso costruttivo e che consolidi le conquiste dell'umanità. Sono alcuni dei temi al centro del dibattito internazionale su «L'insegnamento delle scienze religiose negli istituti universitari» che si sta svolgendo all'Università Ez-zitouna di Tunisi. Alla conferenza, organizzata dall'ateneo in collaborazione con l'Organizzazione islamica per l'educazione, le scienze e la cultura (Isesco), prendono parte docenti universitari e ricercatori provenienti, oltre che dalla Tunisia, da Italia, Francia, Gran Bretagna, Giordania, Marocco, Algeria, Siria, Libano e Iran. Partecipano inoltre rappresentanti dell’Isesco e dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Si parlerà anche dell'isolamento al quale sono stati sottoposti certi istituti di insegnamento religioso per il fatto che le scienze islamiche non seguono sempre la scia del discorso accademico universale. Nel presentare l'evento, il dicastero sottolinea che «le scienze religiose costituiscono oggi uno strumento fondamentale per trattare questioni intellettuali che scuotono il pensiero contemporaneo. Ogni opinione religiosa tende a dotarsi di metodi e di prospettive originati dalle proprie differenti preoccupazioni. Questo ci spinge a credere che solo la lettura critica e costruttiva dei diversi dati, di cui traboccano i corsi di scienze religiose a livello di insegnamento superiore nel mondo musulmano, è in grado di consolidare la tendenza riformista e di elevare il grado di questi studi». Il confronto di idee, sulla base di interessi comuni, è particolarmente vivo nel campo delle scienze umane, «che ha tanto nutrito differenti ricerche religiose, evidenziando l'urgenza di una sociologia della religione, di una storia delle religioni e delle scienze islamiche, cristiane ed ebraiche, e ciò indipendentemente da qualsiasi appartenenza religiosa o settaria del ricercatore». Poiché tutti gli uomini hanno valori universali — sottolinea la nota — le religioni non possono che proseguire sul terreno del dialogo in vista della realizzazione del bene comune. (L.Z.)

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    Brasile: on-line il blog della Conferenza episcopale

    ◊   E’ on-line dal 23 febbraio il blog della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb). Accogliendo l’incoraggiamento di Benedetto XVI nel suo messaggio per la 44a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, secondo cui la Chiesa deve utilizzare "i nuovi media al servizio della Parola", la pagina intende completare il sito web della Conferenza episcopale, offrendo notizie, video, audio, foto e piccoli commenti. I vescovi affermano che attraverso questa nuova presenza della Cnbb su Internet, si intende dare più dinamismo e agilità alla loro comunicazione. Secondo il segretario generale della Cnbb, mons. Dimas Lara Barbosa, la Cnbb vede aumentare i dati delle visite alle informazioni su internet e il blog darà più forza a questa presenza. “Siamo già su Twitter, Youtube, Facebook, Flickr e il prossimo passo è il nostro blog. Mi auguro che questa nuova presenza sia il complemento di altri mezzi di comunicazione esistenti perchè la Cnbb possa comunicare le informazioni in modo più oggettivo e chiaro. Presto costruiremo un blog sulla Missione Continentale in modo di far crescere ancora di più la nostra presenza di evangelizzatori attraverso le nuove tecnologie per il Regno di Dio” ha sottolineato mons. Dimas. L'addetto stampa della Cnbb, padre Geraldo Martins Dias, ha sottolineato che “il blog è una alternativa di comunicazione in più di cui la Cnbb si serve traendola da questo universo offerto dalle nuove tecnologie. Esso rappresenta quindi lo sforzo della Chiesa per raggiungere in modo più ampio possibile tutte le persone.” (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    La Siria difende il diritto dell'Iran al nucleare per scopi pacifici

    ◊   “L'Iran ha il diritto di proseguire il suo programma di arricchimento dell'uranio per scopi pacifici”. Lo ha detto il presidente siriano, Bashar al Assad, al termine dell'incontro a Damasco col suo omologo iraniano, Ahmadinejad. Al termine di un'ora di colloqui, i due capi di Stato si sono presentati di fronte ai giornalisti per una conferenza stampa. Di quanto emerso dall’incontro e delle ultime notizie in tema di nucleare iraniano, riferisce nel suo servizio Fausta Speranza.

    Il presidente siriano è chiaro: “Gli attacchi all'Iran per il suo programma assomigliano a una nuova operazione di colonialismo e di controllo occidentale della regione”. E ironizzando, risponde altrettanto chiaramente a Hillary Clinton: il segretario di Stato Usa, che aveva chiesto ieri a Damasco di prendere le distanze da Teheran, oggi si è sentita replicare da Assad che ha firmato con Ahmadinejad “l'accordo di distanziamento”. Il presidente iraniano incalza: ci chiedono di aumentare la distanza tra i nostri due Paesi ma distanza non esiste proprio. Quando si placano le risatine dei giornalisti presenti, Assad riprende e seriamente ribadisce “la profondità dei rapporti bilaterali e l'intenzione di migliorarli e rafforzarli a tutti i livelli". L'ultima visita del presidente iraniano a Damasco risale al maggio dell'anno scorso. Siria e Iran sono da 30 anni legate da una stretta alleanza strategico-militare. Ma c’è da dire che il ministro degli Esteri siriano aveva affermato alla vigilia dell’incontro bilaterale che Damasco intende impegnarsi in un “dialogo costruttivo” tra l'Iran e gli Stati Uniti per trovare un accordo diplomatico sulla questione del nucleare. Su questo tema, allargando l’orizzonte ad altri Paesi, nelle ultime ore si registra la convinzione della Cina che ci sia ancora spazio per le trattative e per il dialogo. La Cina ha stretti legami economici e buone relazioni politiche con l'Iran e in passato ha aderito a sanzioni “simboliche” contro Tehran, pur continuando a sostenere la necessità del dialogo. Nominando le sanzioni, resta da dire che Washington cominciano a intravedere scadenze: la Clinton ipotizza una risoluzione Onu entro 30-60 giorni.

     
    Altri otto arresti in Turchia per il presunto tentativo di colpo di Stato
    Tra le istituzioni statali turche non vi sono problemi ed i nostri concittadini possono stare sicuri che tutti agli altri problemi saranno risolti nell'ambito delle regole dettate dalla Costituzione. È questo il rassicurante messaggio diffuso oggi dalla presidenza della Repubblica turca al termine della riunione tra il presidente Gul, il primo ministro Erdogan ed il capo di Stato maggiore interforze, il generale Basbug. Tra gli altri punti espressi nel comunicato, si sottolinea che “tutti debbono comportarsi con senso di responsabilità, per non minare le istituzioni statali". Il vertice era stato convocato per discutere gli ultimi sviluppi della situazione alla luce dei recenti arresti di alti vertici militari con l'accusa di essere coinvolti in un asserito colpo di Stato che, nel 2003, avrebbe dovuto essere effettuato ai danni del partito di radici islamiche Giustizia e Sviluppo (Akp), arrivato pochi mesi prima al governo. Dopo i 49 arresti dei giorni scorsi, nella notte sono stati incriminati e arrestati altri otto ufficiali.

    Ucraina: Yanukovich ha giurato come presidente
    Viktor Yanukovich, uscito vincitore dalle ultime elezioni, ha giurato come presidente dell’Ucraina davanti al parlamento. Alla cerimonia non hanno partecipato, in segno di protesta per presunti brogli durante la consultazione popolare, il presidente uscente, Viktor Yushenko, e la rivale filo-occidentale, Yulia Timoshenko. Yanukovich, esponente del filorusso partito delle Regioni, è stato benedetto dal Patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, ed ha ricevuto dal presidente della Corte costituzionale il documento attestante l’assunzione della nuova carica. Nel suo discorso di insediamento, il neopresidente ha dichiarato che l’Ucraina sarà un Paese non allineato, che guarderà alla Russia, ma non escluderà rapporti proficui con l’Unione Europea ed altri governi. A dimostrazione di tale promessa, il primo viaggio che Yanukovich compirà sarà a Bruxelles, il prossimo lunedì. Durante il discorso, il presidente ha anche ricordato la difficile situazione economica che il Paese sta affrontando e si è impegnato a perseguire per l’Ucraina i migliori risultati possibili.

    Afghanistan: l'Isaf sottrae la provincia dell’Helmand e la città di Marjah ai talebani
    La provincia dell’Helmand e la città di Marjah, in Afghanistan, sono state sottratte al controllo talebano. Lo annuncia la coalizione internazionale, che parla di un importante risultato. Il servizio di Federico Catani:

    La bandiera afghana è stata innalzata oggi in segno di vittoria sui talebani a Marjah, nel sud dell’Afghanistan. La regione è stata coinvolta dall’offensiva lanciata il 13 febbraio scorso contro gli insorti da 15 mila soldati afghani e stranieri. Dall’inizio dell’operazione militare, sono circa 100 i talebani uccisi e 50 quelli catturati. Sono morti anche tre soldati afghani, 13 della forza Isaf e 28 civili, di cui 13 bambini. La maggior parte delle vittime tra i civili sono state provocate dalle forze della Nato. A tal proposito, il generale Stanley McChrystal ha suggerito alle forze Isaf di lasciare ai soldati afghani il compito di entrare per primi nelle case dei civili, per non creare tensioni con la popolazione locale. Intanto, il Pakistan ha accettato di consegnare alle autorità afghane il braccio destro del mullah Omar, il mullah Abdul Ghani Baradar, arrestato all’inizio di febbraio in territorio pakistano. Oltre a Baradar, saranno estradati in Afghanistan altri leader talebani arrestati di recente.

     
    India e Pakistan riprendono i negoziati dopo gli attentati di Mumbai e Pune
    India e Pakistan hanno ripreso i colloqui per la prima volta dopo gli attacchi di Mumbai del 2008 e quello di metà febbraio a Pune, entrambi attribuiti a gruppi armati pakistani. Le delegazioni dei due Paesi si sono incontrate questa mattina a New Delhi per circa 90 minuti: un’occasione importante durante la quale l’India ha chiesto a Islamabad una serie di garanzie sul fronte terrorismo. Le due superpotenze nucleari hanno inoltre convenuto di “restare in contatto” per “cercare di ristabilire la fiducia reciproca”. Sul l'incontro di questa mattina, Salvatore Sabatino ha raccolto il commento di Michelguglielmo Torri, docente di Storia moderna e contemporanea presso l’Università di Torino:

    R. – È sicuramente un segno positivo perché era necessario che i contatti fra i due Paesi riprendessero e che i contatti siano ripresi non era un fatto scontato. C’è stato una sorta di dibattito interno, in cui ha prevalso la tesi del primo ministro, Manmohan Singh, il quale ritiene che sia necessario trovare una soluzione delle tensioni col Pakistan, perché queste tensioni stanno in un certo senso immobilizzando l’India, tenendola legata al contesto sud-continentale, sud-asiatico, mentre l’India è una grande potenza emergente che deve essere in grado di dimostrare il proprio potere a livello internazionale. Ma questo non può essere fatto se prima non vengono risolti alcuni problemi - per così dire - nel cortile di casa.

    D. – Questo incontro è stato voluto dagli Stati Uniti perché il Pakistan rientra nel piano strategico messo a punto da Obama per stabilizzare l’Afghanistan. Questa spinta americana può, di fatto, smuovere le acque?

     
    R. – La spinta americana ha un certo peso, ma di per sé, a mio modo di vedere, non è sufficiente a spiegare la ripresa dei contatti fra i due Paesi.

     
    D. – Uno dei punti sui quali India e Pakistan hanno un contenzioso ultradecennale è il Kashmir: anche in questa occasione era uno dei temi in Agenda ma non si è prodotto alcun risultato…

     
    R. – Il Kashmir è in realtà il nodo centrale. Se non si risolve il problema del Kashmir non si risolveranno mai le tensioni fra i due Paesi. Purtroppo, bisogna dire che India e Pakistan erano arrivati alla vigilia di una svolta decisiva attraverso trattative segrete, tenutesi fra governo indiano e l’allora presidente del Pakistan, Musharraf. Quando ormai tutto sembrava concluso, incominciarono gli eventi che molto rapidamente portarono alla fine del regime di Musharraf. Questo ha costituito un grosso blocco, perché Musharraf aveva il potere di controllare l’esercito e aveva il potere di controllare le forze ostili alla soluzione del problema del Kashmir in Pakistan, mentre l’attuale primo ministro pakistano non ha, a quanto sembra, questa forza.

     
    D. – Il fatto di ristabilire la fiducia reciproca vuol dire che gli eventi di Mumbai possono dirsi superati sul fronte diplomatico?

     
    R. – Superati non completamente, nel senso che quello che è successo è che l’incontro è stato focalizzato sui problemi di terrorismo e sicurezza interna, mentre non si sono toccati i problemi fondamentali: in particolare, il Kashmir e una serie di altri problemi di confine.

     
    Governatore dello Stato di New York accusato di abuso di potere
    Il New York Times ha accusato di abuso di potere il governatore dello stato di New York, David Paterson. Secondo il quotidiano il politico, che alle elezioni del prossimo novembre cercherà di ottenere il rinnovo del mandato sarebbe intervenuto indebitamente per “salvare” un suo stretto collaboratore, accusato dalla moglie di violenza domestica. Il giornale ha rivelato che Paterson avrebbe indotto la donna a non presentarsi all’udienza finale del tribunale che doveva giudicare il marito. In effetti, il caso è stato archiviato. Il New York Times, pur ammettendo che non è ancora chiaro il ruolo avuto dal governatore, ipotizza minacce contro la moglie del suo collaboratore.

    Corea del Nord: per gli Usa a breve riprenderà il dialogo sul nucleare
    Gli Stati Uniti sono pronti a riprendere i colloqui sull’abbandono del programma nucleare da parte della Corea del Nord, attualmente in fase di stallo. Lo ha detto l’inviato speciale americano per le questioni nordcoreane, Stephen Bosworth. Il diplomatico Usa, che sta compiendo una missione in Estremo Oriente, ha spiegato che anche la Cina si impegnerà per la ripresa dei colloqui a sei con Pyongyang. Il tavolo a sei coinvolge le due Coree, la Cina, la Russia, il Giappone e gli Stati Uniti.

    Corea del Sud: pena di morte confermata dalla Corte costituzionale
    La Corte costituzionale della Corea del Sud si è espressa in favore della pena di morte. La decisione è una conferma di un analogo pronunciamento emesso nel 1996, anche se questa volta il risultato si è raggiunto con uno scarto minimo rispetto al passato: 5 voti favorevoli e 4 contrari contro i 7 favorevoli e 2 contrari di 14 anni fa. Nel Paese, ancora larga parte dell’opinione pubblica è a favore della pena capitale, anche se dal 1998 è in atto una moratoria non ufficiale contro le condanne a morte. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 56

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