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Sommario del 14/02/2010

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI in visita alla Caritas di Roma: la Chiesa ama i poveri e non li abbandona. Ed esorta le istituzioni ad impegnarsi per una società giusta e solidale
  • L'Angelus del Papa: Gesù rende giustizia a poveri e oppressi, ma la sua rivoluzione è realizzata nell'amore, con la Croce e la Risurrezione
  • Oggi in Primo Piano

  • Padova in festa per l’ostensione delle spoglie di Sant’Antonio. Con noi, il rettore della Basilica antoniana, padre Enzo Poiana
  • Rilanciare il messaggio di speranza di Vittorio Bachelet: l’impegno dell’Azione Cattolica a 30 anni dalla morte del giurista ucciso dalle Brigate Rosse
  • Dagli stati generali sulle cure palliative un appello a rispettare la dignità del malato fino alla fine
  • Anno Sacerdotale: la testimonianza di don Silvio Buttitta, da 50 anni sacerdote al servizio della Chiesa di Palermo
  • Problematico e intenso: nei cinema italiani il film "Lourdes" della regista austriaca Hausner
  • Chiesa e Società

  • Intervento del cardinale Caffarra su matrimonio e unioni omosessuali
  • I vescovi colombiani fanno appello al bene comune in vista delle elezioni presidenziali
  • Riconciliazione e democrazia: l'auspicio dei vescovi dello Sri Lanka dopo le elezioni presidenziali
  • Cina: ancora una storia di sfruttamento nelle fabbriche di mattoni dell’Hubei
  • A Capo Verde, l’inaugurazione di un centro scolastico voluto dall’Infanzia Missionaria tedesca
  • In Zimbabwe la prima Bibbia tradotta nella lingua nambya
  • Terni festeggia San Valentino, patrono della città e degli innamorati
  • Entra nel vivo il 60.mo Festival del Cinema di Berlino
  • 24 Ore nel Mondo

  • Secondo giorno dell'offensiva Nato contro i talebani nel sud dell'Afghanistan
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI in visita alla Caritas di Roma: la Chiesa ama i poveri e non li abbandona. Ed esorta le istituzioni ad impegnarsi per una società giusta e solidale

    ◊   Nei poveri la Chiesa riconosce il volto di Gesù: è quanto affermato stamani da Benedetto XVI nella visita al Centro della Caritas diocesana di Roma alla Stazione Termini. Il Papa ha incontrato i poveri, gli emarginati e con loro i medici e i volontari che ogni giorno testimoniano concretamente la sollecitudine della Chiesa per i bisognosi. Per tutti il Santo Padre ha avuto parole di speranza e incoraggiamento. L’evento si è inserito nell’Anno europeo per la lotta alla povertà. Un’occasione, ha detto il Pontefice, per rinnovare gli sforzi ad ogni livello per la costruzione di una società più giusta e solidale. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    La Chiesa ama i poveri e non li abbandona mai, la Chiesa ama ogni uomo “per quello che è e non per quello che possiede”: Benedetto XVI lo ha ribadito con forza incontrando gli emarginati della società, gli ultimi che sono però i primi nel disegno d’amore di Dio. Una visita densa di emozioni e momenti di sincera commozione iniziata con l’incontro, al Poliambulatorio, con i medici e i volontari dell’accoglienza:

     
    Applausi

     
    Il Papa è stato quindi accolto da applausi e cori festosi all’Ostello, dove ha potuto parlare con alcuni ospiti della struttura. Alla Mensa Caritas, dopo la benedizione della targa commemorativa dell’evento, il Papa ha ricevuto il saluto del cardinale vicario Agostino Vallini che ha definito la Caritas diocesana un “piccolo villaggio della carità” nel cuore di Roma. Un luogo, ha detto, dove si dimostra concretamente che “l’emarginazione può essere contrastata e vinta dall’amore”. Il porporato non ha mancato di rivolgere un appello alle istituzioni:

    “Perché lo stato sociale non subisca ingiusti ridimensionamenti e le fasce più deboli della popolazione non siano mortificate”.
     
    E’ seguito il momento toccante della consegna al Santo Padre del Crocifisso restaurato della Chiesa di San Pietro di Onna, il paese più martoriato dal terremoto in Abruzzo. A regalarlo al Papa è stata Giovanna Contaldo, ospite dell’Ostello “Don Luigi Di Liegro” che con queste parole ha sottolineato il significato di questo dono:

     
    “Su quella Croce, spezzata dal terremoto, c’è il dolore di noi che abitiamo l’Ostello, della gente d’Abruzzo, dei piccoli di Haiti, lo straziante martirio dei padri e delle madri che nella morte dei loro figli rinnovano ogni volta il dolore di Maria. Un dolore inspiegabile, lancinante, ma non disperato. La Croce che Le doniamo restaurata, non è, quindi, l’immagine della sofferenza ma l’attesa dell’alba e del riscatto”.
     
    E di speranza ha parlato il Papa nel suo discorso, un vero inno alla Carità nella Verità. Benedetto XVI si rivolge direttamente ai poveri, agli emarginati accolti dal Centro Caritas:

     
    “Sappiate che la Chiesa vi ama profondamente e non vi abbandona (... applausi ...) perché riconosce nel volto di ciascuno di voi quello di Gesù. Egli ha voluto identificarsi in maniera del tutto particolare con coloro che si trovano nella povertà e nell’indigenza. La testimonianza della carità, che in questo luogo trova speciale concretizzazione, appartiene alla missione della Chiesa insieme con l’annuncio della verità del Vangelo”.
     
    L’uomo, è la riflessione del Papa, “non ha soltanto bisogno di essere nutrito materialmente o aiutato a superare i momenti di difficoltà, ma ha anche la necessità di sapere chi egli sia e di conoscere la verità su se stesso, sulla sua dignità”. Il Papa richiama la sua prima Enciclica “Deus Caritas est” per riaffermare che “senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo”:

     
    “La Chiesa, con il suo servizio a favore dei poveri, è dunque impegnata ad annunciare a tutti la verità sull’uomo, che è amato da Dio, creato a sua immagine, redento da Cristo e chiamato alla comunione eterna con Lui”.
     
    Attraverso questo amore che si concretizza alla Caritas, prosegue il Papa, tante persone hanno riscoperto la propria dignità “smarrita a volte per tragici eventi e ritrovano fiducia in se stessi e speranza nell’avvenire”. Sperimentano così che “le loro vite sono custodite dall’Amore, che è Dio, e grazie ad esso hanno un senso e un’importanza”:

     
    “Questa certezza profonda genera nel cuore dell’uomo una speranza forte, solida, luminosa, una speranza che dona il coraggio di proseguire nel cammino della vita nonostante i fallimenti, le difficoltà e le prove che la accompagnano”.
     
    Quindi, rivolgendosi agli operatori della Caritas e ai volontari li ha invitati a considerare i poveri “uno dei tesori più preziosi” della loro vita. Al contempo, nell’Anno europeo della lotta alla povertà, il Papa ha incoraggiato ogni uomo di buona volontà, e in particolare quanti hanno responsabilità istituzionali, “ad impegnarsi nella costruzione di un futuro degno dell’uomo, riscoprendo nella carità la forza per un autentico sviluppo” e per realizzare una società “più giusta e fraterna”:

     
    “Per promuovere una pacifica convivenza che aiuti gli uomini a riconoscersi membri dell’unica famiglia umana è importante che le dimensioni del dono e della gratuità siano riscoperte come elementi costitutivi del vivere quotidiano e delle relazioni interpersonali. Tutto ciò diventa giorno dopo giorno sempre più urgente in un mondo nel quale, invece, sembra prevalere la logica del profitto e della ricerca del proprio interesse”.
     
    L’Ostello Caritas, ribadisce, “è una preziosa occasione per educare ai valori del Vangelo”. L’esperienza del volontariato è infatti “un’autentica scuola in cui si impara ad essere costruttori della civiltà dell’amore, capaci di accogliere l’altro nella sua unicità e differenza”. E mette l’accento sull’utilità della collaborazione tra la comunità cristiana e le istituzioni civili:

     
    “Confido che la feconda sinergia qui realizzata si estenda anche ad altre realtà della nostra Città, in particolare nelle zone dove più si avvertono le conseguenze della crisi economica e maggiori sono i rischi dell’esclusione sociale”.

     
    “Nel suo servizio alle persone in difficoltà – soggiunge il Papa – la Chiesa è mossa unicamente dal desiderio di esprimere la propria fede in quel Dio che è il difensore dei poveri”. Per questo, spiega, “nel rispetto delle competenze proprie dello Stato”, la Chiesa “si adopera perché ad ogni essere umano venga garantito ciò che gli spetta”. L’Ostello della Caritas diocesana, conclude il Papa con parole di vivo incoraggiamento, “è un luogo dove l’amore non è solo una parola o un sentimento, ma una realtà concreta, che consente di far entrare la luce di Dio nella vita degli uomini e dell’intera comunità civile”:
     
    “Questa luce ci aiuta a guardare con fiducia al domani, certi che anche nel futuro la nostra Città resterà fedele al valore dell’accoglienza, così fortemente radicato nella sua storia e nel cuore dei suoi cittadini”.
     
    “Una città in cui un solo uomo soffre meno, è una città migliore”, diceva Don Luigi Di Liegro. Una sfida di umanità che oggi, con questa visita, Papa Benedetto ha rinnovato a tutta la città di Roma.

     
    Sulle speranze e le emozioni che hanno contraddistinto questa visita del Papa, Marie Duhamel ha raccolto alcune testimonianze tra gli ospiti del Centro Caritas della Stazione Termini:

    R. – Ringrazio il nostro Papa che sempre ci dà aiuto. Stiamo bene qui perché abbiamo un posto dove dormire, mangiamo … Ringraziamo Dio e il nostro Santo Padre …

     
    R. – Io sono stata una delle prime ad arrivare, questa mattina, prestissimo. Il Papa è una persona che mi commuove tanto: questo Papa ci aiuta tanto!

     
    R. – E’ un segno, un simbolo della Parola che si fa socialità e si fa incontro: io trovo che questo sia un messaggio anche nel clima del Paese, dove riemerge una certa intolleranza, xenofobia, paura del diverso, eccetera. Questi sono segni forti che possono dare coraggio a chi è impegnato e dissolvere la paura di chi è imbrigliato, invece, dal pregiudizio.

     
    R. – Dormo e mangio qua. Ho avuto un problema familiare, purtroppo. Sto aspettando una casa di riposo. Vediamo un po’ … Speriamo che il Papa faccia questa grazia! … Che mi aiuti: chissà, una grazia! …

     
    R. – Ciao, ciao! Evviva il Papa!!

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    L'Angelus del Papa: Gesù rende giustizia a poveri e oppressi, ma la sua rivoluzione è realizzata nell'amore, con la Croce e la Risurrezione

    ◊   Dopo la visita all’Ostello Caritas, il Papa ha guidato, a mezzogiorno, la tradizionale preghiera dell’Angelus dalla finestra del suo studio privato in Vaticano. Migliaia i pellegrini presenti in Piazza San Pietro, in una giornata fredda e nuvolosa. Benedetto XVI ha commentato l’odierno Vangelo delle Beatitudini sottolineando che Gesù risponde alle attese di giustizia dei poveri e degli oppressi non attraverso una rivoluzione politica ma d’amore, con la sua Croce e la sua Risurrezione. Il Pontefice ha poi rivolto un augurio alle popolazioni della Cina e del Vietnam che oggi festeggiano il capodanno lunare. E infine, ricordando l’odierna festa dei santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa, ha affermato che i valori cristiani da essi promossi rimangono il fondamento dell’unità europea. Il servizio di Sergio Centofanti:

    Il Papa commenta il Vangelo delle Beatitudini come viene raccontato da San Luca. Ma perché – si chiede – Gesù proclama beati i poveri, gli affamati, gli afflitti e quanti sono disprezzati per causa sua?

     
    “Perché la giustizia di Dio farà sì che costoro siano saziati, rallegrati, risarciti di ogni falsa accusa, in una parola, perché li accoglie fin d’ora nel suo regno. Le beatitudini si basano sul fatto che esiste una giustizia divina, che rialza chi è stato a torto umiliato e abbassa chi si è esaltato (cfr Lc 14,11). Infatti, l’evangelista Luca, dopo i quattro ‘beati voi’, aggiunge quattro ammonimenti: ‘guai a voi, ricchi… guai a voi, che ora siete sazi,… guai a voi, che ora ridete' e 'guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi', perché, come afferma Gesù, le cose si ribalteranno, gli ultimi diventeranno primi, e i primi ultimi (cfr Lc 13,30)”.

     
    “Questa giustizia e questa beatitudine – ha spiegato - si realizzano nel ‘Regno dei cieli’ … che avrà il suo compimento alla fine dei tempi ma che è già presente nella storia. Dove i poveri sono consolati e ammessi al banchetto della vita” – infatti – “lì si manifesta già ora la giustizia di Dio”. Il Papa, incoraggiando quanti, in ogni parte del mondo, si impegnano gratuitamente in opere di giustizia e di amore, ricorda che proprio al tema della giustizia ha dedicato quest’anno il Messaggio per la Quaresima, che inizierà il prossimo mercoledì: e ha invitato tutti a leggerlo e a meditarlo:

    “Il Vangelo di Cristo risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, ma in modo inatteso e sorprendente. Gesù non propone una rivoluzione di tipo sociale e politico, ma quella dell’amore, che ha già realizzato con la sua Croce e la sua Risurrezione. Su di esse si fondano le beatitudini, che propongono il nuovo orizzonte di giustizia, inaugurato dalla Pasqua, grazie al quale possiamo diventare giusti e costruire un mondo migliore”.

     
    Ha quindi elevato la sua preghiera alla Vergine Maria che tutte le generazioni proclamano “beata”, perché ha creduto nella buona notizia che il Signore le ha annunciato:

     
    “Lasciamoci guidare da Lei nel cammino della Quaresima, per essere liberati dall’illusione dell’autosufficienza, riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, della sua misericordia, ed entrare così nel suo Regno di giustizia, di amore e di pace”.
     
    Dopo la preghiera dell’Angelus, il Papa ha rivolto il suo augurio alle popolazioni dell’Asia, ma non solo, pensando in particolare alla Cina e al Vietnam, che celebrano oggi il capodanno lunare:

     
    “Sono giorni di festa, che quei popoli vivono come occasione privilegiata per rinsaldare i vincoli familiari e generazionali. Auguro a tutti di mantenere e accrescere la ricca eredità di valori spirituali e morali, che si radicano saldamente nella cultura di quei popoli”.

     
    Infine, salutando i fedeli polacchi, ha ricordato l’odierna festa dei santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa:

     
    “Wartości, które krzewili...
    I valori che essi hanno propagato nel nostro continente, cioè il segno della Croce, il Vangelo di Cristo e la vita secondo il Vangelo – ha detto - rimangono il solido fondamento della forza spirituale dei popoli e dell’unità dell’Europa. Sono valori importanti anche per noi contemporanei. Chiediamo – ha concluso il Papa - che i santi apostoli degli Slavi continuino a condurci sulle vie della fede”.

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    Oggi in Primo Piano



    Padova in festa per l’ostensione delle spoglie di Sant’Antonio. Con noi, il rettore della Basilica antoniana, padre Enzo Poiana

    ◊   È festa nella città di Padova che si prepara a vivere l’ostensione delle spoglie mortali di Sant’Antonio, sacerdote francescano e Dottore della Chiesa, definito da Benedetto XVI, nel corso dell’udienza generale di mercoledì scorso, “uno dei Santi più popolari in tutta la Chiesa cattolica”. Da domani al 20 febbraio, i fedeli potranno venerare le ossa del Santo, ricomposte e visibili in un’urna di vetro. L’ostensione segna il termine del restauro della Cappella dell’Arca, che da oltre seicento anni ospita la tomba del Santo. Ma cosa significa, per i Frati Minori Conventuali, questo evento? Isabella Piro lo ha chiesto a padre Enzo Poiana, rettore della Basilica di Sant’Antonio a Padova:

    R. – Rappresenta un motivo per riflettere sulla nostra spiritualità. Il nostro carisma è dato da una tradizione: Sant’Antonio fa parte di questa tradizione ed è un personaggio importante di questa tradizione. In questi anni, anche la nostra Provincia religiosa del nord Italia sta cercando di recuperare questo contenuto che ci è consegnato per diventare anche motivo di stimolo, per tutti i fedeli, a percorrere la via del Vangelo che è la via di Sant’Antonio, come di San Francesco nostro padre fondatore.

     
    D. – Ricordiamo, tra l’altro, che l’ostensione cade proprio all’inizio della Quaresima, il che dà un valore in più all’evento…

     
    R. – Certamente, perché Sant’Antonio ha vissuto proprio la sua ultima fatica apostolica pochi mesi prima della sua morte qui a Padova, quando, per la prima volta, ci fu una predicazione della Quaresima, quotidiana e più volte al giorno, per tutta la città. Le cronache dicono che Sant’Antonio con la sua parola forte, suadente, riusciva a convertire il cuore della gente che correva dai sacerdoti per ricevere il perdono sacramentale. Non c’erano sufficienti sacerdoti per poter venire incontro alle esigenze di tutti i fedeli. Se nel 1231 Sant’Antonio ha dato le sue ultime forze per predicare il Vangelo di Gesù Cristo e riportare al centro dell’attenzione dei fedeli il messaggio del Vangelo, che è l’amore di Dio che si manifesta in noi attraverso la persona di Gesù Cristo. Credo che la società di oggi, la Chiesa di oggi abbiano bisogno di risentire questo importante messaggio del Vangelo.

     
    D. – Per i padovani Sant’Antonio è semplicemente “il Santo”. Cosa vuol dire questo?

     
    R. – C’è una piena identificazione tra Antonio e la città. Questo lo è per i padovani perché lo sentono come il loro Santo, ma anche andando per il mondo per far conoscere Padova bisogna dire che è la Città del Santo. Molti che non conoscono Padova, conoscendo Sant’Antonio, fanno immediatamente riferimento a lui per riconoscere la città.

     
    D. – Per quella che è la sua esperienza cosa cercano, cosa chiedono i pellegrini che si recano a venerare la tomba del Santo?

     
    R. - Fondamentalmente cercano la pace del cuore. Sant’Antonio non guarda né alla provenienza etnica, né religiosa, né alla fede che uno ha. Le persone che vengono qui sono persone che vivono delle tribolazioni più o meno evidenti, più o meno gravi. Sono persone che hanno cercato, magari anche altrove e non nel Vangelo, in Gesù Cristo, nella fede, la risposta alle loro sofferenze. Vengono qui con quella fiducia di essere esauditi. La vera pace nasce solo se accogliamo l’annuncio evangelico, quel lieto annuncio dell’amore di Dio per noi.

     
    D. - Qual è l’insegnamento principale che Sant’Antonio di Padova lascia all’uomo di oggi?

     
    R. – Vale la pena credere. La fede non deve essere una realtà che ci coinvolge solo in alcuni momenti, ma deve permeare tutta la nostra vita. La fede è bellezza. Spendere la vita per Gesù Cristo è mettere veramente a frutto tutta la nostra esistenza, cioè dare il significato vero alla nostra esistenza, tenendo presente che ognuno di noi ha una chiamata da parte di Dio e a questa chiamata deve rimanere fedele per poter apprezzare la vita e viverla fino in fondo.

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    Rilanciare il messaggio di speranza di Vittorio Bachelet: l’impegno dell’Azione Cattolica a 30 anni dalla morte del giurista ucciso dalle Brigate Rosse

    ◊   Andare al cuore della testimonianza di Vittorio Bachelet e alla luce di questa delineare le possibili prospettive per il futuro dell’Azione cattolica, di cui fu presidente dal 1964 al 1973. Questo il messaggio al centro, ieri, della seconda e ultima giornata del Convegno dedicato al giurista assassinato dalle Brigate Rosse trent’anni fa. Il servizio è di Gabriella Ceraso:

    Lo sguardo fisso alla trascendenza, contro l’appiattimento della società civile, e la spinta forte alla fraternità per vincere ostilità e pregiudizi. E’ questa la duplice sorgente dell’azione e del pensiero di Vittorio Bachelet secondo il ricordo fatto da mons. Lorenzo Chiarinelli, per anni assistente di Azione Cattolica e vescovo di Viterbo: “Da qui – dice – un modello, corretto, coerente e tuttora valido, affidato a Bachelet: quello del laico capace di incidere nel profondo proprio perché animato da un cristianesimo integrale”. La riflessione di mons. Chiarinelli:

     
    “Un cristianesimo interiore, una fede viva, una speranza certa, una carità senza barriere: è un cristianesimo capace non solo di traboccare fiducia, ma di dare speranza. Dalla sua vita noi possiamo trarre non solo una lezione esigente dell’esser cristiani e dell’esser laici in questo clima di difficoltà, ma traiamo anche le ragioni per avere la gioia del credere e del comunicare, del raccontare questa fede!”.
     
    Di Bachelet presidente di Azione Cattlica parlano i successori, a partire da Mario Agnes, che lo ricorda come un samaritano della comunità ecclesiale in anni belli e travagliati, ma un presidente che ha preparato il Concilio Vaticano II e ha trainato L’Azione Cattolica alla scelta religiosa, contemporaneamente chiamandola a contribuire alla qualità della cittadinanza. Sui fattori determinanti per il futuro, invece, si sofferma Alberto Monticone:

     
    “Il primo elemento è quello della qualità cristiana, cioè quello di crederci davvero, non tanto nell’espressione della fede: credere davvero al Vangelo, a Gesù Cristo, alla salvezza e nello stesso tempo di credere nella comunità ecclesiale. Il secondo elemento è di far leva sugli spiragli che si devono scoprire”.
     
    Con la speranza e la gioia di guardare avanti, tutti i successori di Bachelet alla guida dell’Azione Cattolica si dicono pronti a continuare nella direzione del dialogo e della formazione culturale, diffusa e ispirata al Vangelo: Franco Miano è l’attuale presidente di Azione Cattolica:

     
    “Azione Cattolica ritiene che ancora oggi può rappresentare una forza viva nella vita della Chiesa e anche nella vita del nostro Paese. E’ una forza viva perché capace di una proposta formativa completa, integrale di cui oggi c’è particolare bisogno in un tempo di lacerazioni e di una proposta che metta insieme le diverse dimensioni della persona, le diverse dimensioni della vita”.

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    Dagli stati generali sulle cure palliative un appello a rispettare la dignità del malato fino alla fine

    ◊   Con l'auspicio di una crescente sinergia tra settore pubblico, Ong e mondo del volontariato, si sono chiusi ieri gli stati generali delle cure palliative. Tre giorni di lavori, a Santa Maria Capua Vetere, vicino Caserta, per ribadire che il malato non più curabile va aiutato con le terapie del dolore, fortificando le reti di assistenza domiciliare e gli Hospice, strutture in grado di assistere e accogliere i pazienti e i suoi familiari. Al microfono di Massimiliano Menichetti, il presidente nazionale del Sindacato italiano medici del territorio, Gianni Piccirillo, si sofferma sui principali bisogni del malato:

    R. – Il malato necessita di un’attenzione, di una dignità, e nel momento in cui noi diamo attenzione a questi pazienti, essi danno qualcosa a noi. La sussidiarietà, se è una cosa vera in tutte le altre manifestazioni, in questa circostanza è ancora più vera. E devo ricordare che questa disponibilità, questa relazionalità è per noi soprattutto un concetto cristiano. Il primo volontario della storia è stato il Buon Samaritano: si ferma lungo il cammino, dà aiuto a questo ferito; nessuno ricorda il suo nome, ma questo gesto è scolpito nella mente e nel cuore delle persone.

     
    D. – Affermare il concetto, il principio di cura palliativa, è in contrasto con le logiche che guardano all’eutanasia, che guardano alle logiche dell’accanimento terapeutico o dell’abbandono del paziente...

     
    R. – Le cure palliative sono a sostegno della vita, perché rispettare l’ultimo tratto della vita è rispettare la vita. Tutti coloro che si dedicano alle cure palliative, più che nell’affollata galleria dei protagonisti, stanno nell’esile schiera dei testimoni, testimoni di disponibilità, di affetto, testimonianza di cittadino vero di una comunità.

     
    D. – Qual è la grande sfida che lanciano questi stati generali?

     
    R. – La sfida è il ritorno al territorio, cioè il ritorno al luogo dove l’uomo nasce, cresce e vive. E siccome la storia del volontariato si delinea e cresce nel solco dell’assistenza sanitaria, la promozione della salute e la difesa della vita sono i tratti salienti della persona e dell’individuo. E una comunità è tale nella misura in cui dà soprattutto attenzione a questo aspetto, che è anche un aspetto che interessa la comunità, perché è anche la comunità che ha interesse affinché il cittadino stia bene e che un suo tratto di sofferenza venga accompagnato lungo il suo percorso. E poi, diciamo la verità, noi non dobbiamo pensare che alcune cose possono capitare solo al prossimo cristiano. Dedicarsi alle cure palliative significa anche portare aiuto non soltanto all’ammalato, ma anche alla famiglia, al contesto. Ecco il senso della comunità.

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    Anno Sacerdotale: la testimonianza di don Silvio Buttitta, da 50 anni sacerdote al servizio della Chiesa di Palermo

    ◊   Un sacerdote di borgata, cresciuto fra i parrocchiani della Chiesa Sant’Agata La Pedata di Palermo. Era ancora bambino Silvio Buttitta quando il suo parroco, padre Antonino Tagliavia, gli propose di entrare in seminario. Ordinato prete, poi, è stato assegnato a quella stessa parrocchia che frequentava da piccolo. E quest’anno, il 2 luglio, ancora come parroco di Sant’Agata, festeggia 50 anni di sacerdozio. In coincidenza con l’Anno Sacerdotale ha voluto donare ai suoi fedeli un piccolo calendario, dedicando ogni mese a quei sacerdoti palermitani che hanno lasciato un segno indelebile nel capoluogo siciliano. Al microfono di Tiziana Campisi, padre Silvio Buttitta ci parla della sua vita e del suo essere sacerdote nella realtà palermitana:

    R. – Sono stato chierichetto all’età di 8-9 anni. Sono entrato in seminario qualche anno dopo e posso dire che sin dall’inizio è stato come se fossi nato lì dentro. Mi sono adattato a tutto e a tutti, senza nessuna difficoltà: non ho fatto nessun sacrificio. E la vita non era facile, allora! Eravamo negli anni Cinquanta. Mi abituai alla disciplina del seminario senza nessuna difficoltà, e all’obbedienza, allo studio. Certo, qualche crisi c’è stata, intorno ai 18-19 anni, ma sono state cose passeggere: le ho superate senza grande difficoltà.

     
    D. – Lei quest’anno festeggia 50 anni di sacerdozio: che bilancio può fare della sua vita?

     
    R. – Ho vissuto dei momenti veramente belli, specialmente con i bambini e con i ragazzi. Quei ragazzi che ho seguito anni fa ormai hanno 50 anni e oltre: sono sposati, professionisti. Sono diventati medici, ingegneri, c’è un magistrato … era tutta gente che frequentava assiduamente la parrocchia ed aveva tempo anche per studiare!

     
    D. – Lei ha voluto celebrare l’Anno Sacerdotale dedicando un piccolo calendario ai fedeli per far conoscere loro alcune figure …

     
    R. – Ho scelto alcune figure sacerdotali, che a Palermo sono state particolarmente significative. Ho inserito ad esempio il Beato Giacomo Gusmano, che è il fondatore del “Boccone del povero”. Lui era medico, però un medico speciale, perché era disponibile con tutti i poveri: era, come dire, un “apostolo della carità”. La sua è stata una vocazione straordinaria. Poi, padre Nunzio Russo, fondatore dell’Istituto di San Giuseppe: lui ha fondato una tipografia che aveva, però, come unico scopo l’apostolato; apostolato liturgico, catechismo, eccetera. Ha anche stampato il catechismo in siciliano …

     
    D. – Suo confratello di ordinazione è stato padre Pino Puglisi …

     
    R. – Puglisi è stato mio compagno di classe e di ordinazione sacerdotale. Anche lui un uomo di una grande semplicità: scherzava e giocava spesso … a volte scherzava anche su se stesso e rideva a cuore pieno. Era sempre pronto a intervenire, ma sempre col sorriso, anche quando doveva sottolineare un difetto, una mancanza: lo faceva sempre sorridendo. Lui è stato in diversi luoghi, poi a Palermo: a Palermo Brancaccio, una zona molto pericolosa. Ma non ha mai perso il sorriso. Quando si è reso conto che c’erano dei rischi, per lui, la sera non permetteva che qualcuno rimanesse con lui in parrocchia, perché temeva che per colpa sua qualcuno potesse rimetterci la pelle. E infatti, quello che lui sentiva e prevedeva è successo. Il giorno del suo compleanno stava tornando a casa per festeggiare con i suoi familiari; ma quando è arrivato davanti casa lo hanno chiamato. Lui si è voltato e ha riconosciuto quelli che gli stavano sparando e ha risposto loro soltanto, sempre con il sorriso: “Vi aspettavo!”.

     
    D. – Cosa significa per lei questo Anno Sacerdotale?

     
    R. – Intanto, ho voluto dare un segno con questo libretto; ci tengo a mettere in evidenza la figura, il ministero, i doni, le responsabilità della vita sacerdotale, che non sono pochi.

     
    D. – Ma in fondo, lei è felice della sua scelta?

     
    R. – Ah, questo sì! Questo sì: non ho avuto mai, neanche un attimo, dei ripensamenti: mai! Su questo ho veramente l’animo sereno!

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    Problematico e intenso: nei cinema italiani il film "Lourdes" della regista austriaca Hausner

    ◊   E’ uscito sugli schermi italiani il problematico “Lourdes” della giovane regista austriaca Jessica Hausner. Un film austero e intenso che non vuole prendere posizioni e tanto meno criticare o deridere, ma che nella sua essenziale e lucida equidistanza produce un salutare dibattito e non poche riflessioni sul miracolo e le reazioni che innesca nel cuore. Il servizio di Luca Pellegrini:

    (Trailer: “Non è facile viaggiare su una sedia a rotelle … Talvolta invidio gli altri, perché possono camminare e fare tutto normalmente …)

     
    Jessica Hausner ribadisce ancora una volta di non aver voluto dirigere un film sulle apparizioni, sulla vita del santuario mariano più famoso del mondo e tanto meno sulla fede cattolica e la devozione mariana. Il suo campo di indagine, condotto attraverso il pedinamento discreto e attento di uomini e donne che a Lourdes vanno come malati e al loro seguito, è esclusivamente il miracolo e i meccanismi che innesca nell’animo quando, improvvisamente e senza ragione alcuna, si manifesta. Confessa, infatti, di aver capito che soltanto lì, nella Lourdes visitata da milioni di malati ogni anno, è possibile fare un’analisi approfondita del miracolo e di quella che lei chiama la sua ambivalenza, ossia un fenomeno reale che rimane totalmente inspiegabile. Insomma, se pure il film della Hausner ha ragionevolmente innescato dibattiti in ambito cattolico e non, sembra siano nati per una cattiva interpretazione delle ragioni del film e delle problematicità che innesca. “Nessuno può dire se il miracolo avviene per fede o per fatalità. Io volevo solo raccontare questa tensione che genera dubbi”, spiega la Hausner. E di tensioni e di dubbi nel suo film ne nascono in grande varietà e dai personaggi meno sospetti. Christine, che è interpretata da una ammirabile e splendida Sylvie Testud, arriva a Lourdes sulla sua carrozzella. Il refettorio, la camera da letto, la stanza per le immersioni, l’ambulatorio, la cappella, anche la grotta, sono tutti ambienti che la sovrastano incombenti, circoscrivendone l’orizzonte. Non sa bene ancora perché è lì, probabilmente non per fede né per speranza, ma per semplice fuga o per dare un senso alla sua vita, al suo stato. A Lourdes ci si va anche per questo. Tutto è molto programmato nelle giornate sue e dei suoi compagni di pellegrinaggio. Tutto, tranne il miracolo. Avviene in una notte, semplicemente, silenziosamente: Christine, affetta da sclerosi multipla, si alza. Quando al mattino seguente sorride e riesce a tenere una tazza in mano, i vicini la guardano. Loro non sorridono. Si capisce subito che alla regista non interessa il rapporto tra Christine e la fede, perché lei si mantiene equidistante tanto dalla prima quanto dall’incredulità. Non vuole né convincere né irridere, come invece faceva platealmente e in modo irritante l’ultimo film che era stato girato in quei luoghi nel 1987, “Le miraculé” di Jean-Pierre Mocky. La Hausner non cerca e non codifica certezze, semmai amplifica certi stati d’animo che spesso vogliamo tenere nascosti. Perché le interessa il cuore, assai debole e labile, quando messo a confronto diretto con il soprannaturale e le sue imponderabili decisioni, quando in crisi sono messi anche i concetti di giustizia e di onnipotenza che riguardano Dio. E’ vero, nel film non c’è gioia per la guarigione di Christine, non ci sono evidenti segni del sentire cristiano, ma c’è invece molta solitudine, invidia, insomma un bagaglio di “deficit” umani comuni e tollerabili, che Lourdes forse ha guarito in molti e più di una volta. “Lourdes” è un film assai più umano che cristiano, ma del Cristo adombra, anche se non volutamente, le piaghe e l’enigma e di Lourdes non intacca il mistero e lo scopo.

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    Chiesa e Società



    Intervento del cardinale Caffarra su matrimonio e unioni omosessuali

    ◊   “È impossibile ritenersi cattolici se in un modo o nell’altro si riconosce il diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso”. Lo afferma il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, in una nota dottrinale dal titolo “Matrimonio e unioni omosessuali”. Il segno più manifesto, anche se non unico, della “disistima intellettuale” crescente nei confronti del matrimonio - afferma il porporato - “è il fatto che in alcuni Stati è concesso, o si intende concedere, riconoscimento legale alle unioni omosessuali equiparandole all’unione legittima fra uomo e donna, includendo anche l’abilitazione all’adozione dei figli”. A prescindere dal numero di coppie che volessero usufruire di questo riconoscimento – fosse anche una sola – osserva il cardinale Caffarra, “una tale equiparazione costituirebbe una grave ferita al bene comune”. “L’equiparazione – prosegue - avrebbe, dapprima nell’ordinamento giuridico e poi nell’ethos del nostro popolo, una conseguenza devastante”. Non attribuire lo statuto giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali, ricorda l’arcivescovo, “non è discriminazione ma semplicemente riconoscere le cose come stanno”. Il cardinale si rivolge infine al credente che ha responsabilità pubbliche di qualsiasi genere perché “ha il grave dovere di una piena coerenza fra ciò che crede e ciò che pensa e propone a riguardo del bene comune”. “È impossibile – conclude il porporato - fare coabitare nella propria coscienza la fede cattolica e il sostegno all’equiparazione fra unioni omosessuali e matrimonio: i due si contraddicono”. (A cura di Stefano Andrini)

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    I vescovi colombiani fanno appello al bene comune in vista delle elezioni presidenziali

    ◊   Un appello al bene comune rivolto ai candidati alle elezioni presidenziali previste in Colombia a maggio 2010. E' quanto ha lanciato la locale Conferenza episcopale. In una nota, riportata dall’agenzia Fides, i presuli ricordano come a 200 anni dall’indipendenza ancora oggi si cerca di raggiungere gli stessi ideali che allora si perseguivano cioè “una patria basata sulla dignità, la libertà, i diritti, la gloria e l’onore”. “Purtroppo – scrivono i vescovi - conosciamo bene la realtà del nostro Paese fatta di violenza, disoccupazione, corruzione”. Per questo – aggiungono – bisogna lavorare per rilanciare l’eredità colombiana “ricca di valori umani: solidarietà, forza dinanzi alle difficoltà e unione familiare”. I presuli invitano tutti alla responsabilità per il futuro del Paese così i candidati sono chiamati a “presentare programmi che rispondano alle necessità del popolo”, mentre gli elettori sono invitati a partecipare scegliendo “coloro che ci porteranno verso la giustizia, la fraternità e il benessere di tutti”. (B.C.)

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    Riconciliazione e democrazia: l'auspicio dei vescovi dello Sri Lanka dopo le elezioni presidenziali

    ◊   In un’intervista rilasciata all’agenzia Fides, mons. Joseph Vianney Fernando, vescovo di Kandy e presidente della Conferenza episcopale dello Sri Lanka, si è soffermato sulla situazione nel Paese dopo le elezioni che hanno visto la riconferma del presidente Rajapaksa ma anche l’arresto dell’altro candidato Fonseka, leader dell’opposizione. Il presule ha smentito alcune voci di stampa che parlavano di “situazione preoccupante”, “si tratta fondamentalmente – ha aggiunto - del rispetto della legge e delle regole del gioco democratico, che tutti i cittadini sono tenuti a seguire”. “Crediamo – ha ribadito - che il presidente sia stato eletto regolarmente e sia legittimato a governare”. Mons. Fernando ha parlato di “tensione sporadica” e dell’impegno della Chiesa nello svolgere il suo “ruolo profetico”. “Come Conferenza episcopale – ha continuato – abbiamo espresso al presidente Rajapaksa la nostra preoccupazione, ribadendo l’urgenza di operare per la riconciliazione e l’unità della nazione, per il progresso, la pace e la prosperità di cui lo Sri Lanka, dopo anni dolorosi di guerra civile, ha tanto bisogno”. Il presule ha anche invitato a non dimenticare la sofferenza della minoranza tamil perché la situazione degli sfollati interni non è ancora del tutto risolta. “Il primo bisogno di questa gente – ha concluso il vescovo – è la pace, l’assenza di violenza e il ritorno a una vita normale, in cui siano garantiti dignità e benessere”. (B.C.)

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    Cina: ancora una storia di sfruttamento nelle fabbriche di mattoni dell’Hubei

    ◊   Operai con handicap mentali costretti a lavorare giorno e notte nelle fabbriche di mattoni della regione cinese dell’Hubei per pochi centesimi al giorno. L’ennesima storia di sfruttamento del lavoro è stata raccontata da una tv locale cinese in un servizio andato in onda il 25 gennaio scorso che ha ricostruito tutti i punti della drammatica vicenda. Nel documento filmato, citato dall'agenzia AsiaNews, emerge che nel febbraio 2008 un certo Ye Huabing ha adescato una ventina di disabili mentali e vagabondi presso la stazione ferroviaria Hankou di Wuhan e li ha portati alla sua fabbrica a Huangpi, dove li ha costretti al lavorare per tutto il giorno praticamente senza salario. Nel luglio dello stesso anno uno di questi disabili è stato torturato e ucciso dai suoi compagni di lavoro, perché li aveva disturbati durante la pausa di mezzogiorno. Quando Ye ha scoperto il cadavere, lo ha fatto subito seppellire in un campo vicino. Due mesi dopo, a seguito di alcune ispezioni, la polizia ha arrestato Ye e sei persone ritenute coinvolte nell’omicidio. Nel settembre 2009, il responsabile della fabbrica Lin Jinguan è stato condannato all’ergastolo e Ye a 3 anni di carcere per aver costretto i disabili a lavorare e altri 3 anni per avere distrutto le prove dell’omicidio. A seguito di questa vicenda sono iniziati ad emergere tanti altri casi di sfruttamento dei lavoratori in tutta la regione dell’Hubei. Il locale ufficio ispettivo ha iniziato accertamenti che hanno portato alla scoperta di circa cinquemila lavoratori “in nero”, poi regolarizzati. Intanto però è anche montata la polemica nell’opinione pubblica che si chiede perché siano ancora così carenti i controlli, dopo che lo scandalo è emerso come grave e ricorrente. Nulla, infatti, era cambiato rispetto allo scandalo degli "operai schiavi" del giugno 2007, quando la polizia liberò circa 570 persone ridotte in schiavitù in fabbriche di mattoni dell’Henan e dello Shanxi, tra cui 50 bambini, costretti a lavorare fino a 16 ore al giorno senza paga e con scarso cibo, sotto il controllo di guardie private e di cani per impedirne la fuga. (M.G.)

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    A Capo Verde, l’inaugurazione di un centro scolastico voluto dall’Infanzia Missionaria tedesca

    ◊   “Un grande aiuto per la costruzione della società in questo Paese, dal momento che i bambini e i giovani sono la speranza per il futuro di ogni società”. Sono le parole – riferite dall’agenzia Fides – pronunciate nei giorni scorsi durante la visita di mons. Ludwig Schick, arcivescovo di Bamberg e presidente della Commissione per le missioni della Conferenza episcopale tedesca, sull’isola Santiago nell’arcipelago di Capo Verde. Una visita che ha visto l’inaugurazione del centro scolastico “Amor de Dios”, che ospita diversi asili e una casa per bambini di strada. Il centro, che è sostenuto dalla Pontificia Opera dell’Infanzia Missionaria tedesca “Die Sternsinger” (Cantori della stella), ospita bambini e ragazzi dagli 8 ai 18 anni che sono spesso traumatizzati e hanno bisogno di accompagnamento psicologico prima di iniziare a frequentare la scuola o di imparare un mestiere. Mons. Schick si è intrattenuto con i bambini del centro, raccontando della raccolta fatta durante i giorni di Natale dai loro coetanei tedeschi che, vestiti da Re Magi, hanno bussato alle porte di molti cittadini per chiedere un’offerta. (B.C.)

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    In Zimbabwe la prima Bibbia tradotta nella lingua nambya

    ◊   Grazie all’opera del missionario spagnolo Alexandre Alapont, in Zimbabwe dal 1957, è stato possibile tradurre la Bibbia nella lingua nambya, idioma parlato da una tribù di centomila persone, il 20% di religione cattolica. Come riferisce il Sir, il religioso si è avvalso di sette Bibbie scritte in cinque diversi idiomi “per poter trovare le sfumature linguistiche necessarie e i termini più appropriati”. Le 5 mila copie stampate saranno distribuite nelle tribù, scuole e nelle tante cappelle che il missionario, grazie all'aiuto dei fedeli, ha fatto costruire nella foresta. (B.C.)

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    Terni festeggia San Valentino, patrono della città e degli innamorati

    ◊   Nella mattinata di oggi, mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia, ha celebrato il solenne pontificale in occasione della festa di San Valentino nella Basilica dedicata al patrono della città di Terni e di tutti gli innamorati. Una celebrazione seguita dal pranzo di San Valentino per gli anziani, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. Quella di oggi è una delle tante iniziative contenute nel programma della festa iniziata il 29 gennaio scorso e che si concluderà il prossimo 7 marzo. Già domenica scorsa si era tenuta la “Festa della promessa”: oltre 200 coppie di futuri sposi provenienti da tutta Italia hanno pronunciato la loro “promessa d’amore” davanti all'urna del Santo. Nell’occasione mons. Paglia ha esortato a “praticare la lingua dell’amore” che è molto diversa da quella che si parla abitualmente perché l’amore è pensare agli altri e quindi implica anche “la tenerezza per chi ci sta accanto, la passione per rendere il mondo più bello, la compassione per i più poveri e i più deboli, l'impegno per rendere il mondo più giusto, più pacifico”. Dopo Ingrid Betancourt, il premio “San Valentino - un anno d’amore” sarà assegnato quest’anno al cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, in memoria di Giovanni Paolo II del quale è stato segretario durante il suo Pontificato. (B.C.)

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    Entra nel vivo il 60.mo Festival del Cinema di Berlino

    ◊   La politica, la guerra, la follia, la poesia, l’irresistibile ala della giovinezza: toccando tutti questi temi con più o meno sensibilità, con più o meno ispirazione, con più o meno bravura, quattro film hanno improvvisamente animato il concorso internazionale del 60.mo Festival di Berlino. La rievocazione di uno dei momenti alti della controcultura americana, contenuta in “Howl” di Rob Epstein e Jeffrey Friedman, francamente delude perché, nonostante il peso vitalizzante del materiale d’archivio, compie sostanzialmente un’operazione didascalica nei confronti della poesia di Allen Ginsberg. Lo stesso non si può dire per “The Ghostwriter” di Roman Polanski. Il regista polacco, sempre a suo agio nelle storie complesse che, dietro apparenze felici nascondono segreti innominabili, si cimenta qui in un intrigo internazionale dal sapore decisamente hitchockiano, dove uno scrittore, chiamato a lavorare sulle memorie di un uomo politico, finisce per scoprire gli scheletri nell’armadio di un’intera nazione. Non diversamente dal protagonista di “The Ghostwriter”, l’eroe di “Shutter Island” si muove in un mondo di fantasmi. Ma se quelli che abitano il film di Polanski sono i riflessi della politica internazionale, gli spettri che si aggirano nel film di Martin Scorsese sono soprattutto il frutto di una serie di traumi, tragedie della guerra e della vita civile che scatenano nella mente di un uomo pulsioni irrimediabilmente violente. Girato in uno stile che ricorda il cinema classico, di cui il regista si è nutrito dall’adolescenza; segnato da una fotografia contrastata dai toni scuri e pastosi; solcato da interpretazioni che fanno leva sul mistero e l’ambiguità, “Shutter Island” intriga e appassiona, lasciando lo spettatore sotto tensione per tutta la sua durata. Colpisce, emoziona e commuove anche l’opera prima rumena “If I Want to Whistle I Whistle” di Florin Serban, ritratto di un giovane criminale rumeno, chiuso fra una famiglia distrutta e un destino violento; ma qui ciò che impressiona non è tanto l’intreccio narrativo quanto la capacità di fare parlare i corpi degli attori, tesi a dire con i loro volti, con la loro energia nervosa, con la loro goffa tenerezza, il disagio di una società che il consumismo ha prosciugato dei suoi valori, sacrificando al benessere la sua anima contadina. (A cura di Luciano Barisone)

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    24 Ore nel Mondo



    Secondo giorno dell'offensiva Nato contro i talebani nel sud dell'Afghanistan

    ◊   Secondo giorno dell’offensiva Nato nel sud dell’Afghanistan. L’avanzata dei soldati della coalizione internazionale a guida Nato è rallentata dalle numerose mine rudimentali piazzate dai talebani per impedire l’accesso alla città di Mariah, nella turbolenta provincia di Helmand. I vertici militari, che ieri si sono detti soddisfatti per le operazioni e che informano costantemente la Casa Bianca, prevedono che potrebbe servire un mese per assumere il controllo totale della città. Intanto, è salito a 27 il numero dei ribelli uccisi, una decina quelli fermati. Sei invece i morti tra le forze Isaf.

    Pakistan
    Prosegue la lotta contro la guerriglia anche nel Nord Waziristan, la regione pakistana al confine con l’Afghanistan considerata una roccaforte dei talebani e di al Qaeda. Almeno 5 ribelli sono stati uccisi da un raid condotto da una aereo senza pilota americano. A darne notizia sono stati ufficiali della sicurezza di Islamabad.

    Attentato India
    In India ci sono due stranieri fra le nove vittime dell’attentato che ieri ha devastato un ristorante di Pune, nella parte centro occidentale del Paese, generalmente frequentato da turisti. Si tratta di una donna italiana e di un uomo iraniano. L’azione non è stata ancora rivendicata. Il principale partito di opposizione indiano, il Bharatiya Janata Party (Bjp), ha puntato il dito contro il Pakistan. Tuttavia, da Islamabad, il premier pakistano Gilani ha condannato l’attentato, auspicando la ripresa dei colloqui con l’India annunciata due giorni fa.

    Libano
    Migliaia di persone in piazza oggi a Beirut, la capitale del Libano, per ricordare il quinto anniversario della morte dell'ex premier Rafik Hariri, ucciso in un attentato assieme ad altre 22 persone. La vicenda è ora all’esame della giustizia internazionale, che ha chiamato in causa il governo siriano quale mandante dell’omicidio. In quest’occasione, il presidente degli Stati Uniti, Obama, ha parlato telefonicamente con Saad Hariri, attuale premier e figlio di Rafiq, sottolineando l'importanza che siano scoperti gli assassini di suo padre, per affermare la sovranità e l’indipendenza del Libano. Ma che cosa significò l’uccisione di Hariri per le vicende libanesi? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Antonio Ferrari, inviato speciale ed esperto di Medio Oriente del "Corriere della Sera":

    R. – Qualcosa di estremamente importante, non soltanto per la storia del Libano ma per la storia di tutta la regione. Rafik Hariri era il politico con la volontà di ricostruire il Libano dopo la guerra civile e ad un certo punto è entrato in rotta di collisione con altri poteri della regione, in particolare con la Siria.

     
    D. – Com’è la situazione politica del Libano, oggi, il cui governo è guidato dal figlio di Rafik Hariri, Saad?

     
    R. – Cinque anni dopo, tutto si è nuovamente "annacquato" nel senso che Saad Hariri, con indubbio realismo e forse anche con cinismo, non soltanto è andato a Damasco ed ha abbracciato il presidente Assad che, cinque anni fa veniva considerato in qualche modo corresponsabile di quanto era accaduto; ma proprio recentemente Hariri ha fatto dichiarazioni durissime parlando di Israele e parlando dell’Iran, dicendo: “Se il nostro Paese verrà attaccato e verrà attaccato Hezbollah, saremo al fianco di Hezbollah contro Israele”. Questo per dire che in Libano, nonostante i sommovimenti portati da quella tremenda strage di cinque anni fa, tutto in fondo è rimasto grosso modo come prima: gli intrecci tra le varie componenti libanesi la dicono lunga e fanno capire che, in fondo, il Libano sta seguendo ancora una volta il proprio destino, per fortuna in una chiave maggiormente pacificata.

     
    Iraq
    Come annunciato dal ramo iracheno di Al Qaeda, nel Paese del Golfo è iniziata la rappresaglia contro la campagna elettorale delle politiche del 7 marzo partita in questi giorni. Nelle ultime 24 ore ci sono stati diversi attentati contro le sedi elettorali dei "partiti laici" a Bagdad, che hanno provocato 8 feriti.

    Usa – Iran
    Incassare il consenso degli alleati sauditi in vista dell’adozione di nuove sanzioni contro il programma nucleare iraniano, che saranno discusse a metà marzo dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Questo l’obiettivo del segretario di Stato americano, Hillary Clinton, giunta oggi in Qatar per una missione che la porterà anche in Arabia Saudita. Diversi gli incontri in programma a margine del settimo Forum mondiale Islam-Usa, in corso a Doha. Clinton vedrà anche il primo ministro turco Erdogan che è favorevole ad una soluzione diplomatica del contenzioso con Teheran.

    Israele-Russia-Usa
    Le sanzioni contro l’Iran sono al centro dell’odierna visita del premier israeliano Netanyahu a Mosca durante i colloqui con il presidente Medvedev e il primo ministro Putin. Sempre oggi, intanto, arriva in Israele il capo degli stati maggiori riuniti degli Usa, l’ammiraglio Mullen, che discuterà della cooperazione fra le forze armate dei due Paesi a margine di incontri con il ministro della difesa Ehud Barak e i vertici dell’esercito dello Stato ebraico.

    Iran
    In Iran la polizia ha torturato e picchiato il figlio del leader dell’opposizione Karrubi, che è stato arrestato e poi rilasciato dopo alcune ore durante le manifestazioni di giovedì scorso a Teheran. Lo ha denunciato la madre del giovane in una lettera aperta inviata alla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, in cui chiede di intervenire per evitare che altri giovani in stato di detenzione “muoiano sotto tortura”.

    Milano - scontri
    Quattro cittadini egiziani irregolari sono finiti in manette a Milano stanotte con l’accusa di devastazione dopo i disordini scoppiati ieri pomeriggio in seguito all’uccisione di un ragazzo egiziano di 20 anni, accoltellato – pare – da un gruppo di sudamericani. La rivolta, ad opera di immigrati nordafricani, si è concentrata nella zona di via Padova diventata teatro di una vera e propria guerriglia urbana con vetrine danneggiate e auto bruciate. La polizia, che per tutta la notte ha presidiato l’area, continua ad indagare sull’omicidio per individuare i responsabili.

    Italia: protezione civile
    La protezione civile italiana non diventerà mai una società privata, ma resterà un dipartimento della presidenza del Consiglio. Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ribadendo che il capo della struttura, Guido Bertolaso, potrà continuare a svolgere il suo ruolo come sempre. L’opposizione, in seguito all’inchiesta sugli appalti del G8, invoca invece le dimissioni di Bertolaso il quale si è detto pronto a lasciare se a chiederlo sarà il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

    Dalai Lama
    Il Dalai Lama ha invitato i  tibetani in esilio a non celebrare per il secondo anno consecutivo il Losar, il capodanno tibetano, in segno di solidarietà con i fratelli di Lhasa che non saranno nelle condizioni di farlo. La scelta "di Lhasa va onorata", ha detto il leader spirituale tibetano davanti a migliaia di fedeli riuniti nel principale tempio buddista indiano. Il Dalai Lama il 18 febbraio prossimo, malgrado l’opposizione della Cina, sarà ricevuto alla Casa Bianca dal presidente statunitense Barack Obama. (Panoramica internazionale a cura di Eugenio Bonanata)
     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIV no. 45

     
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