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Sommario del 25/09/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Famiglia sotto assedio: il Papa parla di incertezza profonda dovuta a divorzi e convivenze, nel discorso ai vescovi del Brasile Nordeste 1-4
  • Fede e speranza al centro del viaggio di Benedetto XVI nella Repubblica Ceca. Alla vigilia dell’arrivo del Papa a Praga, il cardinale Vlk si sofferma sulla vita della Chiesa in Cechia
  • Il Papa sarà a Fatima il 13 maggio 2010, anniversario della prima apparizione della Vergine. La gioia dei vescovi portoghesi
  • La persona al centro delle politiche economiche per ridurre gli effetti della crisi: così, mons. Tomasi al Consiglio dei diritti dell'uomo a Ginevra
  • Il cardinale Cordes sugli Esercizi spirituali a Taiwan per i responsabili degli organismi caritativi. Il racconto del suo incontro con i superstiti del ciclone Morakot
  • L'arcivescovo Marchetto illustra il significato del primo Incontro europeo per la Pastorale della Strada, al via il 29 settembre in Vaticano
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Liberare il mondo dal nucleare. Storica decisione ieri al Consiglio di Sicurezza dell’Onu
  • La Chiesa della Germania si impegna ad essere più vicina ai fedeli: così, l’arcivescovo Schick al termine della plenaria dei vescovi tedeschi
  • Una rivoluzione verde per l'Africa al servizio dello sviluppo e della pace: l'appello di scienziati e ricercatori di tutto il mondo riuniti all'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum"
  • Si celebra oggi la nona Giornata Mondiale dell'atassia. Con noi, la neurologa Serenella Servidei
  • Cala il sipario sulla 64.ma edizione della Sagra Musicale Umbra. Intervista con il maestro Michel Tabachnik
  • Chiesa e Società

  • Il capo della Comunione anglicana Williams compiaciuto della visita del Papa in Inghilterra
  • Spagna: il parlamento respinge la proposta di censura del magistero del Papa sulla morale
  • Czestochowa: donata una copia dell’Icona della Madonna Nera a dei monaci ortodossi
  • Croazia: il cardinale Bozanic al campo di Jasenovac per rendere omaggio alle vittime degli ustascia
  • La Banca Africana di Sviluppo invita il G20 a non dimenticare l'Africa
  • Mons. Vegliò ricorda il dovere della solidarietà verso i rifugiati ed i migranti
  • Vescovi italiani: al Consiglio permanente il tema dell’immigrazione dall’Est Europa
  • Profughi irakeni: vita difficile anche nei Paesi di accoglienza
  • Sostegno da Pax Christi Francia alle minoranze religiose in Iraq
  • Si è spento in Cina mons. Nicola Shi Jingxian, vescovo della diocesi di Shangqiu
  • Orissa: nuova assoluzione per un politico nazionalista indù responsabile dei massacri anti-cristiani
  • Aids: la speranza in un vaccino di nuova generazione che potrebbe ridurre il contagio
  • Burkina Faso: la Caritas aiuta 40 mila vittime delle inondazioni
  • Benin: progetto per le registrazioni anagrafiche di 6 mila bambini
  • La Chiesa filippina dialoga con tutti sul valore della vita
  • Spagna: vertice ecumenico a Córdoba
  • Nota dell’arcivescovo di Madrid per l’inizio dell’anno scolastico
  • Senegal: più di 150 preti riflettono sull’Anno Sacerdotale
  • Congo-Brazzaville: una cappella a Radio Magnificat per trasmettere celebrazioni in diretta
  • In Portogallo convegno europeo sul ruolo dei laici nella Pastorale universitaria
  • 24 Ore nel Mondo

  • L’Aiea conferma la costruzione di un secondo impianto per l’arricchimento dell’uranio in Iran
  • Il Papa e la Santa Sede



    Famiglia sotto assedio: il Papa parla di incertezza profonda dovuta a divorzi e convivenze, nel discorso ai vescovi del Brasile Nordeste 1-4

    ◊   “Una situazione di assedio”: così, il Papa parla della condizione che vive la famiglia oggi nel discorso ai vescovi della Conferenza episcopale del Brasile, Nordeste 1-4, incontrati stamane in visita "ad Limina". Il servizio di Fausta Speranza:

    “...a consciência difusa no mundo secularizado vive na incerteza...”
    Sui temi della famiglia “la coscienza diffusa nel mondo secolarizzato vive nell’incertezza più profonda da quando le società occidentali hanno legalizzato il divorzio”. E’ quanto afferma il Papa ricordando che “crescono le unioni di fatto e i divorzi”. Benedetto XVI parla di “uno stato di fragilità in cui si consuma il dramma di tante creature private dell’appoggio del padre, vittime – dice – del disagio, dell’abbandono e dell’espandersi del disordine sociale”.

     
    “...família alargada e móvel, que multiplica os «pais» e as «mães» e faz...”
    Il Papa spiega concretamente che quella che definisce “la famiglia allargata e mobile" moltiplica i padri e le madri. E – aggiunge – “fa sì che la maggior parte dei bambini di queste famiglie si sentano orfani non perchè sono figli senza padri ma perchè sono figli con troppi padri”. Tutto ciò – afferma il Papa – genera “conflitti e confusioni interne”. Inoltre porta i bambini a maturare un’idea alterata di famiglia che per la sua precarietà può in qualche modo essere assimilata alla convivenza. A proposito di convivenza il Papa spiega che nasce da un sentimento di “individuale soggettività” e che porta con sè “premesse di fragilità e di incostanza”. Benedetto XVI afferma che le persone vengono “illuse e sedotte da stili di vita frutto del relativismo”.

     
    “Com toda a compreensão que a Igreja possa sentir face...”
    E ai vescovi del Brasile spiega che “con tutta la comprensione che si possa provare per certe situazioni” devono ricordare che “coppie di seconda unione non saranno mai come coppie di prima unione” e che “le seconde unioni vivono una situazione irregolare e pericolosa che è necessario risolvere nella fedeltà a Cristo e con l’aiuto di un sacerdote per mettere in salvo quanti sono coinvolti”.

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    Fede e speranza al centro del viaggio di Benedetto XVI nella Repubblica Ceca. Alla vigilia dell’arrivo del Papa a Praga, il cardinale Vlk si sofferma sulla vita della Chiesa in Cechia

    ◊   Benedetto XVI inizia domani nella Repubblica Ceca il suo 13.mo viaggio apostolico internazionale. La visita, che durerà tre giorni, si svolge in occasione della festa di San Venceslao, Patrono principale del Paese. Il servizio del nostro inviato a Praga Sergio Centofanti:

    “L’amore di Cristo è la nostra forza”: è il motto di questo viaggio apostolico che porterà il Papa a Praga, Brno, capitale della Moravia, e Stará Boleslav, luogo del martirio di San Venceslao. Benedetto XVI giunge nella Repubblica Ceca a 20 anni dalla caduta del regime comunista; una terra posta nel cuore dell’Europa e che – ha detto il Papa nell’Angelus di domenica scorsa – dopo essere passata attraverso i drammi del secolo scorso, ha bisogno come l’intero continente di ritrovare le ragioni della fede e della speranza:

     
    “Sulle orme del mio amato predecessore Giovanni Paolo II, che visitò quel Paese per ben tre volte, anch’io renderò omaggio agli eroici testimoni del Vangelo, antichi e recenti, e incoraggerò tutti ad andare avanti nella carità e nella verità. Ringrazio fin d’ora quanti mi accompagneranno con la preghiera in questo viaggio, perché il Signore lo benedica e lo renda fruttuoso”.

     
    La Cechia - con l’Estonia - è lo Stato europeo in cui è più diffuso l’ateismo. E ha uno dei più bassi livelli di natalità del mondo: le morti superano le nascite. Aborti e divorzi prosperano. Mancano le ragioni del vivere – dicono i vescovi del Paese – prevalgono egoismo e pessimismo. Anche la comunità cattolica è colpita da secolarizzazione e crisi d’identità. Su un 30% di fedeli solo un quinto è praticante. Scarseggiano le vocazioni sacerdotali. Di qui l’appello dei vescovi a vincere la timidezza della testimonianza, a non vergognarsi di manifestare le verità della fede. Nel tempo in cui era considerata oppio dei popoli in molti hanno pagato di persona per non rinnegarla. Era la Chiesa del silenzio, ma un silenzio eloquente. Del resto, questa è una terra di martiri: San Venceslao, duca di Boemia, voleva diffondere il cristianesimo, più di mille anni fa, portando giustizia e pace. A quanti gli si opponevano, diceva: “Se Dio vi dà noia, perché volete impedire agli altri di amarlo?”. Venne ucciso in una imboscata tesa dal fratello. “La Chiesa non cerca privilegi” – ha ribadito Benedetto XVI nella visita ad Limina dei vescovi cechi nel 2005 – e non ha “obiettivi di potere o di interesse egoistico”: chiede “solo di poter svolgere la sua missione” evangelizzatrice e di promozione umana per portare a tutti “nella gioia, la carità di Dio, che è Amore”. Quando le “viene riconosciuto questo diritto, in realtà, è l’intera società che ne trae vantaggio”. E indica le tante opere messe in atto dalla Chiesa in Cechia: ospedali, orfanatrofi, case per anziani e disabili, iniziative per i più poveri, consultori familiari e scuole. Il Papa viene nel cuore dell’Europa per incoraggiare quanti vivono in modo autentico la fede: sono un “piccolo granello di senape”, ma Dio non cessa di farlo crescere.

     
    Ma quale significato ha per la Chiesa in Cechia questo viaggio del Papa? Sergio Centofanti lo ha chiesto al cardinale arcivescovo di Praga, Miloslav Vlk:

    R. – Noi siamo un Paese in cui la fede cattolica, la fede cristiana, non è molto diffusa; la Chiesa è stata emarginata e lo è tuttora: siamo al margine! Nel periodo del controllo comunista, la maggioranza della Chiesa – soprattutto i laici – è rimasta passiva. E’ evidente, quindi, che il Santo Padre viene per rafforzare i fedeli: questo è il senso della sua venuta.

     
    D. – Quali sono le sfide principali della Chiesa ceca, oggi?

     
    R. – La Chiesa ceca, oggi, deve evolversi, aprirsi sempre più alla società, dialogare con essa perché ci sono – soprattutto tra i politici – tanti pregiudizi contro la Chiesa. E’ necessario mostrare attraverso il dialogo che i pregiudizi non sono veri.

     
    D. – A 20 anni dalla caduta del comunismo, come è cambiata la situazione nel Paese?

     
    R. – Politicamente, non c’è stato un grande progresso. Si è avviata una trasformazione economica, ma questa trasformazione si è fatta senza una base di valori. C’è tanta corruzione, non c’è una democrazia vera, seria, profonda.

     
    D. – Lei ha vissuto la persecuzione comunista; per otto anni ha fatto il lavavetri a Praga. Come ricorda quel periodo?

     
    R. – Per me – da un punto di vista spirituale – è stato un periodo molto forte, perché all’inizio avevo perso tutto: avevo perso la possibilità di svolgere pubblicamente il ministero sacerdotale, di predicare, di amministrare i Sacramenti e questa realtà mi ha portato a capire che Gesù Cristo è diventato Sommo Sacerdote sulla Croce, quando non ha potuto più muoversi, quando non ha potuto più benedire, quando non ha potuto più parlare. E io, in quel periodo, avendo perso tutto, mi sono sentito molto vicino a Gesù crocifisso e abbandonato e mi sono sentito veramente sacerdote. Per me è stata una grande grazia, perché ho scoperto di poter ritrovare Gesù, essere in contatto con Lui anche nel dolore, nelle situazioni negative – secondo le parole di Isaia nel capitolo 53, “l’uomo dei dolori”. In secondo luogo ho sperimentato la comunione con i fratelli, con i quali ho vissuto con Gesù in mezzo a noi, Gesù risorto – secondo la spiritualità focolarina – e questo mi ha sostenuto molto. Questa esperienza è stata molto, molto forte.

     
    Domani, dopo la cerimonia di benvenuto, la prima tappa del Papa sarà la visita al Bambino Gesù di Praga nella chiesa di Santa Maria della Vittoria. Benedetto XVI sarà accolto da alcune famiglie con bambini; quindi si raccoglierà in preghiera silenziosa per imporre, subito dopo, una corona d’oro sulla statua raffigurante Gesù Bambino, un’opera in legno ricoperto di cera. Il Santuario è retto dai Carmelitani scalzi. Marketa Sindelarova ha intervistato il priore, padre Petr Sleich:

    R. – Il luogo dove si espone la famosa statua del Gesù Bambino di Praga - che conoscono tanti italiani e tanti altri - è uno dei Santuari principali dell’arcidiocesi di Praga: da qui la devozione a Gesù Bambino si è diffusa un po’ in tutto il mondo. Infatti, ci sono tantissimi pellegrini di lingua inglese, spagnola, italiana, portoghese, francese, ed è proprio bello incontrare qui tutti questi visitatori che vengono con il cuore aperto ad affidare la propria vita e la vita dei propri cari a Gesù Bambino che sanno non essere un Dio che fa spavento ma un Dio che ci vuole tanto bene e che ha anche bisogno del nostro amore.

     
    D. – Ci può raccontare la storia della statua del Gesù Bambino di Praga?

     
    R. – La statua originale che si conserva qui al Santuario è un frutto spirituale della Spagna al tempo di Sant’Ignazio di Loyola e di Santa Teresa di Gesù, cioè siamo nel ’500 spagnolo. Da lì questa statua viene in possesso di una famiglia di Praga e 70 anni più tardi viene regalata a un convento di Carmelitani scalzi dove si conserva fino ad oggi. E’ bellissimo che quando è arrivata presso il convento subito si è diffusa una bella devozione perché tanta gente che ha pregato davanti a questo piccolo Gesù ha ricevuto delle grazie. Una delle prime grazie raccontate dalle cronache del monastero riguarda un confratello carmelitano scalzo che soffriva di depressioni forti: i diari del tempo ci dicono che i suoi confratelli nel convento erano molti grati a Dio per aver curato questo confratello. Sappiamo che nella fede non si devono calcolare solo i miracoli, gli eventi straordinari, ma anche tutti i momenti in cui Dio ci aiuta concretamente nel quotidiano. Per esempio molti hanno pregato qui per poter avere dei bambini. Abbiamo un caso di una famiglia italiana che ha vissuto a Londra e dopo lunghi anni di preghiere ci ha mandato una foto di due gemelli! Io dico alla gente che non so se sia stato un miracolo o un caso del tutto naturale, ma è più di un miracolo! Sono due bambini! E sono arrivati dopo che queste persone hanno pregato. Questo la gente lo capisce. Io dico: quando pregate Gesù Bambino, Lui vi ascolta e state attenti … perché dopo potete avere anche molto lavoro! Così il Papa vuole incontrare anche i bambini perché Cristo vuole incontrare i bambini; vuole dare l’esempio di uno che ricorda Gesù, di uno che prega, un esempio che va bene non solo per i bambini ma per noi tutti.

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    Il Papa sarà a Fatima il 13 maggio 2010, anniversario della prima apparizione della Vergine. La gioia dei vescovi portoghesi

    ◊   Manifestiamo il nostro giubilo per la visita di Benedetto XVI in Portogallo nel 2010: è quanto scrive il presidente della Conferenza episcopale portoghese, l’arcivescovo di Braga, Jorge Ferreira da Costa Ortiga, dopo la comunicazione da parte della segreteria di Stato vaticana, che il Papa ha accettato l’invito dei presuli portoghesi e del presidente della repubblica a visitare il Portogallo. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Benedetto XVI presiederà le cerimonie del giorno 13 maggio 2010, a Fatima, anniversario della prima apparizione della Madonna. “L’amore dei cattolici portoghesi al Successore di Pietro – si legge in un comunicato a firma dell’arcivescovo Jorge Ferreira da Costa Ortiga – è un elemento chiave della nostra tradizione cattolica e della nostra fedeltà alla Chiesa”. La visita di Benedetto XVI, di cui non è ancora stato stabilito il programma, scrive ancora il primate del Portogallo, “sarà una nuova occasione per approfondire ed esprimere questo desiderio di comunione con il Pastore Universale”. L’arcivescovo di Braga invita “tutte le comunità cattoliche a preparare questa visita, vivendo profondamente la comunione ecclesiale”. “Nostra Signora, che il Popolo Portoghese ama con una speciale tenerezza – prosegue – sarà la Madre di bontà che ci invita a immergerci in Gesù Cristo e nel mistero della Chiesa”. “Siamo certi – conclude il presule – che il popolo portoghese in generale, indipendentemente dalla sua ideologia e religione, saprà accogliere chi è stato e rimane un profeta delle cause, così fondamentali ed urgenti, della pace e della libertà, del dialogo, della giustizia e della fraternità”. Quello di Benedetto XVI sarà il quinto viaggio di un Papa a Fatima, dopo quello di Paolo VI nel 1967 e i tre di Giovanni Paolo II (1982, 1991 e 2000). Quando era cardinale, l’attuale Pontefice ha presieduto un pellegrinaggio internazionale dell’ottobre 1996.

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    La persona al centro delle politiche economiche per ridurre gli effetti della crisi: così, mons. Tomasi al Consiglio dei diritti dell'uomo a Ginevra

    ◊   Mettere la persona al centro delle politiche economiche e sociali di ogni Paese per mitigare gli effetti della crisi finanziaria mondiale. E’ uno dei passaggi dell’intervento, tenuto in questi giorni da mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Onu di Ginevra, in occasione della 12.ma sessione del Consiglio dei diritti dell’uomo sul diritto allo sviluppo, in corso nella città elvetica. Il servizio di Benedetta Capelli:

    Una riflessione attenta sulle conseguenze della crisi economica globale e un invito a trasformare “la volontà politica in azioni concrete”. Su questi due temi si è sviluppato il discorso di mons. Tomasi che, citando l’ultima Enciclica del Papa “Caritas in veritate”, ricorda come l’uomo sia “l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale”. “L’attuale crisi finanziaria – ha evidenziato l’osservatore vaticano – potrebbe compromettere il godimento dei diritti umani non solo nei segmenti più poveri e deboli della popolazione ma anche in altri settori”. Raggiungere gli obiettivi di sviluppo, dunque, non significa eliminare la povertà "ma – aggiunge il presule – vuol dire individuare principi e valori economici e sociali condivisi in tutti i Paesi". Per questo la Santa Sede segue con interesse il lavoro della Task Force del Consiglio dei diritti dell’uomo intorno a tre linee-guida: lo sviluppo incentrato sulla persona, un contesto favorevole, la giustizia e l’equità sociale. “Un accordo globale su questi criteri – continua mons. Tomasi – potrebbe costituire un passo fondamentale nel considerare la persona e i suoi diritti un tutt’uno con l’elaborazione di politiche per lo sviluppo”. L’osservatore vaticano lancia poi un richiamo agli Stati che devono “rimuovere gli ostacoli allo sviluppo” ricordando che “solidarietà e sussidiarietà possono essere complementari”. La prima, infatti, riguarda la mobilitazione di risorse finanziarie e umane per lo sviluppo; la seconda aiuta a identificare i campi di intervento. "La Santa Sede - ricorda mons. Tomasi - sostiene l’adozione di criteri di giustizia ed equità sociale che implicano imperativi morali e suggeriscono azioni per la protezione dei diritti umani ma anche per garantire a tutti l’accesso al cibo, l’istruzione, la salute e il lavoro". In conclusione, l’arcivescovo ricorda che ridurre le disparità economiche e sociali è il compito che bisogna assumersi perché troppo spesso esse rappresentano la “causa di violazioni della dignità umana e dei diritti umani”.

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    Il cardinale Cordes sugli Esercizi spirituali a Taiwan per i responsabili degli organismi caritativi. Il racconto del suo incontro con i superstiti del ciclone Morakot

    ◊   E’ rientrato a Roma il cardinale Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, che a Taiwan ha promosso, dal 6 all’11 settembre scorsi, un corso di Esercizi spirituali per i responsabili degli istituti caritativi della Chiesa cattolica dell’Asia. L’iniziativa ha riunito 450 persone, tra cui 6 cardinali e 60 vescovi, provenienti da 29 nazioni e 260 diocesi. L’incontro si è tenuto nell'Università cattolica di Fu Jen a Taipei ed ha avuto per tema le parole di Gesù, “L’avete fatto a me…” tratte da un passo del Vangelo di Matteo. A Taiwan il cardinale Cordes, ha visitato anche la zona devastata dal tifone Morakot, per portare la consolazione del Signore a quanti sono stati colpiti dal disastro naturale. I partecipanti agli Esercizi spirituali, si sono soffermati sull’esortazione del Papa, contenuta nella “Caritas in veritate”, per una formazione del cuore. Roberto Piermarini ha chiesto al cardinale Cordes come è nata l’idea di organizzare questi Esercizi spirituali a livello continentale – prima a Guadalajara per le Americhe ed ora a Taiwan per l’Asia - per coloro che operano nel campo della carità.

    R. - Proprio per attualizzare le encicliche di Benedetto XVI “Deus caritas est” e “Caritas in veritate”, abbiamo pensato di offrire al mondo della Caritas, al mondo degli aiuti, qualcosa che sottolinei la dimensione strettamente spirituale della nostra missione. E per questo abbiamo offerto un corso di Esercizi spirituali. Lo abbiamo organizzato per la prima volta l’anno scorso, a Guadalajara, in Messico, per tutte e due le Americhe. In tutto il continente, la reazione è stata tale che abbiamo visto non solo l’entusiasmo, ma anche la necessità di offrire questo ritiro. La riflessione di padre Cantalamessa è stata davvero un grande evento. E quando ho raccontato tutto questo al Santo Padre, gli ho chiesto se potevamo organizzarlo anche in Asia e il Papa ha detto subito di sì. Il lavoro caritativo, soprattutto per la Chiesa che rappresenta una minoranza cristiana in Asia, è molto importante, perchè la Caritas è la finestra tramite la quale la componente cristiana, il gruppo della Chiesa cattolica, si rende visibile. Così adesso abbiamo promosso questo ritiro a Taipei, in Taiwan, per tutta l’Asia.

     
    D. – Quanti i partecipanti e da dove venivano?

     
    R. – In tutto i partecipanti erano 450, fra direttori e presidenti delle organizzazioni caritative: 6 cardinali, 60 vescovi, tanti preti e laici. Erano presenti anche i piccoli Paesi, spesso dimenticati, come il Nepal, il Myanmar, la Cambogia e, ovviamente, le grandi nazioni come l’India e le Filippine. Per tutti loro è stato un evento certamente spirituale, e sono tornato con la mente alle Giornate Mondiali della Gioventù, per la presenza a Taipei, di molti giovani che provenivano da piccoli Paesi, spesso in una situazione difficile per la Chiesa cattolica, come il Vietnam, e c’era anche un gruppo della Cina continentale. Per loro è stato molto importante vivere la Chiesa universale e vedere che non sono isolati, che non sono soli. Hanno ripreso vigore spirituale così, ma anche entusiasmo per la loro missione.

     
    D. – Come hanno vissuto i partecipanti, provenienti da tutti i Paesi dell’Asia, questo corso di Esercizi spirituali?

     
    R. – Abbiamo chiesto anche di scriverci le loro esperienze, per avere una piccola risonanza. Si vede come loro siano stati toccati da questo evento. Ad esempio, un direttore della Caritas del Turkmenistan ha scritto che spesso troppa informazione durante i Congressi stanca, ma “questa volta abbiamo potuto prendere personalmente nella comunità il cibo per i nostri cuori, il cibo della Parola di Dio, della preghiera, della testimonianza, della gioia di stare insieme”. Questa volta il ritiro è stato predicato dal responsabile del ramo maschile delle suore di Madre Teresa, il missionario indiano Yesudas, e l’ha fatto molto, molto bene. Un vescovo delle Filippine ha scritto: “Una nuova Pentecoste. La nostra vocazione è di appartenere a Gesù. Non sarò più lo stesso, dopo questi esercizi”. Siamo, quindi, molto contenti.

     
    D. – Perché avete scelto il tema: “L’avete fatto a me”, tratto dal Vangelo di Matteo?

     
    R. – Questo tema tocca esattamente la problematica più profonda di fare il bene, scoprire di farlo per il bene agli altri, a coloro che stanno in difficoltà, a coloro che stanno nella miseria. Farlo nel nome di Gesù! Scoprire nel bisognoso - come dice Madre Teresa – il volto di Cristo, perché dobbiamo sempre sottolineare lo stretto legame tra il primo comandamento e il secondo, che vuol dire “amare Dio e amare il prossimo” come afferma il Papa nella sua enciclica. La questione di Dio e della fede è legata strettamente alla questione della Carità, nel fare del bene all’altro.

     
    D. – Nel corso della sua visita a Taiwan, lei ha visitato anche le persone colpite dal ciclone Morakot, a Taiwan. Che cosa ci può raccontare di questo incontro con i profughi?

     
    R. – Mi volevano mostrare i danni materiali causati dal ciclone, ma i danni sono gli stessi dappertutto. E io ho detto: “Voglio vedere le persone colpite”. Abbiamo avuto questo incontro ben preparato da un missionario svizzero, che da 25 anni sta con questa gente. Si tratta di nativi, e quindi gente del paese, della montagna. E’ stato molto commovente... molto commovente. E’ venuta anche la sorella del presidente di Taiwan, che è una buona cattolica. Si vede in tali incontri che portare i saluti del Papa, portare l’internazionalità della Chiesa cattolica, fa molto bene alla gente, dà una spinta. Qualche volta pensiamo che i soldi siano la cosa più importante, ma la dimensione emozionale, psicologica, la dimensione di fede in questi incontri è molto più importante di un assegno. In questo senso, per noi, è una grande soddisfazione fare questo lavoro.

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    L'arcivescovo Marchetto illustra il significato del primo Incontro europeo per la Pastorale della Strada, al via il 29 settembre in Vaticano

    ◊   Prenderà spunto da un versetto del Vangelo di Luca - “Gesù in persona si accostò e camminava con loro” (Lc 24,15) - il Primo Incontro europeo integrato per la Pastorale della Strada, in programma in Vaticano, presso il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, dal 29 settembre al 2 ottobre prossimi. Dopo quello dello scorso anno in America Latina, è il secondo di una serie di appuntamenti dedicati a questa specifica Pastorale che si susseguono a livello continentale sempre per iniziativa del dicastero vaticano. Alla vigilia dell’incontro la riflessione del segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, arcivescovo Agostino Marchetto, al microfono di Fabio Colagrande:

    R. - Sono molto soddisfatto delle risposte ricevute per questo Incontro. Vi saranno rappresentati 17 Paesi europei insieme a delegati di congregazioni religiose, associazioni, movimenti e agenzie coinvolte nella cura pastorale della strada, oltre 70 partecipanti. Tale interesse mostra che vi è un'evidente necessità di discutere e condividere in questo importante ambito pastorale. Anche la nostra esperienza dello scorso anno in America Latina lo ha evidenziato. Abbiamo basato i nostri quattro giorni insieme sulle quattro distinte sub-sezioni trattate nei nostri "Orientamenti per la Pastorale della Strada", pubblicati da questo dicastero nel 2007. Il documento abbraccia la pastorale della strada in generale, gli automobilisti, i camionisti, i lavoratori delle ferrovie e prevede lo sviluppo di una migliore etica della strada che porti ad accrescere la sicurezza stradale, si occupa della liberazione delle donne di strada, della cura dei ragazzi di strada e, infine, dei senza fissa dimora. Non è sempre facile trovare una sintesi diretta di pastorale per questi gruppi, ma vi è una chiara connessione per il fatto che la strada è diventata il luogo dove essi trascorrono gran parte della vita e può diventare perfino la loro dimora. Molte di queste persone richiedono una risposta pastorale specifica, in particolare quelli che sono più deboli e vulnerabili. Quanti parteciperanno a questo Primo Incontro integrato europeo, in qualche modo, hanno risposto a queste esigenze e stanno lavorando in un campo o nell'altro per portare sostegno e, soprattutto, rispetto per la loro dignità, a chi è sulle strade. Credo che nei prossimi giorni l'ascolto e la condivisione delle questioni pastorali non solo porterà supporto e incoraggiamento, ma permetterà di apprendere gli uni dagli altri, creandosi così una connessione ancora più ampia e una articolazione di collaborazione nella risposta della Chiesa a quanti sono sulla strada e nelle strade. Infine, credo che ciò di cui discutiamo qui in Europa possa essere di aiuto anche oltre i confini del continente. Le nostre conclusioni dello scorso anno in America Latina stanno anche iniziando - lo vedo - a dare i loro frutti in un contesto più ampio.

     
    D. - Lei ha già menzionato gli Orientamenti per la Pastorale della Strada. Ora, trascorsi due anni dalla loro pubblicazione, Le sembra che il documento si sia rivelato utile nell’ambito di questi settori della pastorale che riguardano la strada?

    R. - Permettetemi di dire che, già dal 2002, il Pontificio Consiglio si era impegnato in un rilancio vigoroso della Pastorale della Strada, nel contesto mondiale della mobilità umana. La necessità di redigere un documento specifico riguardante questi temi emerse nel corso del Primo Incontro Europeo dei Direttori Nazionali dell'Apostolato della Strada, del febbraio 2003, che aveva lo scopo di guidare e creare un coordinamento tra tutto il lavoro ecclesiale intrapreso, inclusa la collaborazione con le autorità civili per incoraggiare e stimolare le Conferenze episcopali dei vari Paesi a sviluppare e approfondire tale cura pastorale, ove possibile. Nel 2007, con il titolo Orientamenti per la Pastorale della Strada, furono pubblicati tali principi guida di azione e successivamente tradotti in diverse lingue. Il fatto che alcune traduzioni del documento siano già state adottate in modo indipendente come iniziativa di Conferenze episcopali, mostra che molti li stanno scoprendo come strumento utile a sostenere la cura pastorale e i relativi programmi. Durante le frequenti Visite ad Limina, qui a Roma, stiamo anche notando un crescente interesse verso il documento e su come poterlo utilizzare al meglio. Credo si tratti di un segnale importante del chiaro interesse della Chiesa a questo settore pastorale e della ricerca del modo migliore per occuparsene.

     
    D. - Il vostro Incontro abbraccia un ampio panorama della pastorale in favore di quanti si trovano sulla strada. Desidera indicare alcune priorità di impegno o di necessità nei vari settori?

     
    R. - Sarei restio ad affermare che una categoria sia più importante di un’altra. Abbiamo a che fare con esseri umani, con le loro vite e soprattutto con la loro dignità. Dobbiamo ricordare che ogni persona è preziosa agli occhi di Dio e unica per Lui. Chiaramente le esigenze di coloro che si trovano sulla strada sono difficili da colmare. Alcune di esse sono materiali, umane, psicologiche ed anche spirituali. Alcuni chiedono aiuto, altri sono semplicemente alla ricerca di significato e sintesi della loro vita. A questo proposito mi riferisco alla differenza tra coloro che lavorano alla guida di camion, percorrendo lunghe distanze, rispetto alla situazione di una donna vittima della tratta a scopo di prostituzione. Lasciatemi dire che lo scorso anno 43.000 persone sono morte sulle strade in Europa per incidenti stradali e circa 1 milione e 700.000 persone sono rimaste ferite. Ogni incidente non è solo tragico per la perdita di vite umane, ma anche perché priva le famiglie di padri, madri, bambini, per non parlare dei danni economici e sociali. Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che oggi nel continente europeo il 44% dei beni viaggia su strada, portando la sua larga rappresentanza di camionisti di lungo percorso con le loro particolari esigenze. Il problema della prostituzione, purtroppo, è in aumento, come cresce la domanda con migliaia di donne, molte delle quali sono vittime della tratta, catturate in una spirale da cui non sono in grado di liberarsi. Ci sono anche 250.000 ragazzi che vivono sulle strade d'Europa, con quasi 3 milioni di senzatetto. Ho scelto di presentare questi pochi dati statistici per dimostrare che è impossibile individuare una categoria specifica più importante rispetto ad un’altra. Comunque mi auguro che durante il nostro Incontro sarà possibile identificare alcune aree in cui la Chiesa è chiamata a dare risposte adeguate a queste vaste esigenze. Abbiamo bisogno continuamente di essere consapevoli della necessità di collaborare e lavorare insieme, quando e ove possibile, con tutti gli altri organismi che stanno cercando di raggiungere gli stessi o simili obiettivi. Soprattutto il nostro principale contributo deve essere quello indicato nelle parole di Papa Benedetto XVI nella sua recente Enciclica "Caritas in veritate": “Avere una missione di verità da realizzare, in ogni momento e circostanza, per una società che è in sintonia con l'uomo, la sua dignità e la sua vocazione”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, "Nel cuore della storia d'Europa", un editoriale del direttore alla vigilia del viaggio del Papa a Praga.

    Nell'informazione internazionale,"La persona umana al centro delle politiche economiche e sociali", l'intervento della Santa Sede alla dodicesima sessione ordinaria del Consiglio dei diritti dell'uomo.

    "Effetto Afghanistan in Somalia" e un articolo sulle nuove truffe: "Ogni tre secondi viene rubara un'identità", il cybercrimine è diventato più redditizio del narcotraffico.

    In cultura, "Quella mano tesa dal Vaticano a Mosca" di Roberto Pertici; fino al 1938 il lavoro diplomatico della Santa Sede guardò anche ad Est.

    "Il futuro non si calcola. Cosa vuol dire qualità della vita", di Ferdinando Cancelli.

    "Polli per sempre", un articolo di Oddone Camerana sulla satira elegante di Bruno Gambarotta.

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    Oggi in Primo Piano



    Liberare il mondo dal nucleare. Storica decisione ieri al Consiglio di Sicurezza dell’Onu

    ◊   Storica decisione sul nucleare ieri al Consiglio di Sicurezza dell’Onu presieduto dal presidente americano, Barack Obama. L’organismo ha approvato all’unanimità una risoluzione che impegna tutti i Paesi a lavorare per un mondo libero dalle armi nucleari ed esorta a rafforzare gli sforzi per impedire la diffusione di armi atomiche, allo scopo di ridurre il disarmo ed il rischio del terrorismo che utilizza armi non convenzionali. Sulla portata di questo voto Giancarlo La Vella ha intervistato Angelo Baracca, docente di Fisica all’Università di Firenze ed esperto di disarmo nucleare:

    R. – E’ sicuramente un passo molto importante. Non dimentichiamoci che le potenze nucleari si erano impegnate ben 39 anni fa, quando era entrato in vigore il Trattato di non proliferazione. Hanno poi fatto fallire sette conferenze di revisione del trattato e non si è registrato più nessun progresso su questo tema. Quindi è sicuramente da salutare in modo positivo il fatto che il disarmo nucleare ritorni nell’agenda politica internazionale. Stiamo attenti, però, a non nutrire troppe speranze.

    D. – L’unanimità raggiunta dal Consiglio di sicurezza, secondo lei, indica che il rischio nucleare, in generale, si sta facendo sempre più grave?

     
    R. – Su questo non c’è dubbio. Bisogna che la gente sappia, per esempio, che attualmente nell’arsenale americano e in quello russo, che contano in tutto qualcosa come sette, otto mila testate operative, ce ne sono almeno mille che sono nello stesso stato di allerta della “guerra fredda” pronti al lancio su allarme e quindi soggette ai rischi di errore e questo rappresenta la vera minaccia di un olocausto nucleare. Su questo aspetto, ci sono molti esperti che da tempo sostengono che la misura più importante per allontanare il pericolo sarebbe mettere le testate nella condizione che, per poterle lanciare e riassemblare, ci voglia per esempio almeno una settimana. Questo allontanerebbe veramente il rischio.

     
    D. – Si auspica una decisione del genere, secondo lei, anche per le armi convenzionali e per le altre armi non convenzionali come quelle chimiche e batteriologiche ad esempio?

     
    R. – Senza dubbio i problemi sono molto scottanti anche per altri tipi di armamenti. Bisogna però fare le dovute differenze: io ho sempre sostenuto che le armi nucleari sono, tra tutti i sistemi d’arma, quelle che nel diritto internazionale sono regolate da un rigido sistema di trattati e da controlli molto più rigorosi di quelli degli altri sistemi d’arma e quindi, secondo me, i più facili da eliminare. Dico sempre che, se non riusciremo ad eliminare le armi nucleari, sarà molto più difficile eliminare gli altri sistemi d’arma. A me preoccupano in particolare le armi biologiche, perché la convenzione su queste armi che risale al 1972, è in una situazione di stallo. Non è più attuale, perché con la possibilità di manipolazioni genetiche di virus, che vengono fatte comunemente nei laboratori di tutto il mondo, ormai alla portata di tutti, si possono creare organismi sconosciuti, che non sono mai esistiti nei quattro miliardi di evoluzioni biologiche, che possono interferire in maniera micidiale, assolutamente imprevedibile e drammatica con tutta l’altra materia vivente che fa parte della biosfera.

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    La Chiesa della Germania si impegna ad essere più vicina ai fedeli: così, l’arcivescovo Schick al termine della plenaria dei vescovi tedeschi

    ◊   Si è chiusa ieri, a Fulda, la plenaria autunnale della Conferenza episcopale tedesca. Tanti i temi affrontati dai presuli tra i quali il dato preoccupante dell’abbandono della Chiesa cattolica da parte di molti tedeschi. Un fenomeno che deve spingere la Chiesa ad essere più vicina ai fedeli. E’ quanto sottolinea mons. Ludwig Schick, arcivescovo di Bamberg e presidente della commissione “Chiesa nel mondo” della conferenza episcopale, intervistato dall’inviata Birgit Pottler, della redazione tedesca della nostra emittente:
     
    R. – Una persona che lascia la Chiesa perde anche la relazione con il Vangelo, con la Chiesa stessa, con i Sacramenti e per questo per noi è una cosa veramente grave. Adesso dobbiamo domandarci cosa fare? Penso che sia necessario stare molto vicino ai fedeli, e questo lo possono fare ad esempio i parroci con le visite alle famiglie. Anche i nostri assistenti pastorali e i volontari della Chiesa devono stare più vicino ai fedeli e capire meglio la loro vita quotidiana, far capire che la fede e l’appartenenza alla Chiesa è veramente un dono per la vita quotidiana. Per me è questa la cosa più importante nel nostro lavoro pastorale.

     
    D. – Con la mancanza dei cattolici entrano anche meno soldi dall’imposta sul culto. Nonostante questo la Chiesa tedesca ha rinnovato il proprio impegno per la Chiesa mondiale, per i poveri, ecc. Con quale spirito la Chiesa cattolica opera in questo ambito?

     
    R. – Noi pensiamo che le relazioni tra tutte le Chiese rafforzino la cattolicità, perché quando ci sentiamo familiari con le Chiese in Africa e in Asia, è anche un arricchimento per noi stessi. La cattolicità dà più colore ed anche calore a tutte le Chiese! Un altro motivo è che ogni Chiesa deve aiutare l’altra quando ne ha bisogno e noi, nonostante le difficoltà che abbiamo in Germania, abbiamo dei soldi, delle esperienze e vogliamo aiutare in questo modo le altre Chiese come abbiamo fatto negli anni passati.

     
    D. – Il Santo Padre, quando è venuto a Monaco nel 2006, ha chiaramente detto che questo aiuto non deve mai essere solo un “azionismo cieco”. Come fa la Chiesa tedesca a rinnovare anche lo spirito dietro gli aiuti?

     
    R. – Durante la Conferenza, abbiamo dedicato un’intera giornata a questi problemi ed abbiamo parlato della spiritualità delle relazioni con le Chiese. La nostra azione per la Chiesa mondiale deve avere tre colonne: la prima è sempre la preghiera, la liturgia, la spiritualità. La seconda sarà l’insegnamento: ognuno deve imparare qualcosa dalle altre Chiese e la terza colonna sarà la solidarietà.

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    Una rivoluzione verde per l'Africa al servizio dello sviluppo e della pace: l'appello di scienziati e ricercatori di tutto il mondo riuniti all'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum"

    ◊   “L’Africa è un continente colpevolmente dimenticato” e per la Chiesa è una grossa sfida pastorale: è quanto sottolineato da mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e già segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenuto ieri a Roma al convegno dal titolo “Per una rivoluzione verde in Africa. Lo sviluppo è il nuovo nome della Pace”, organizzato dall’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”. Nell’ambito dell’evento, un gruppo di scienziati e agricoltori africani ha inviato una lettera a Benedetto XVI chiedendo che non sia negato lo sviluppo all’Africa. Il convegno è stato seguito per noi da Cecilia Seppia:

     
    L’Africa, il continente con il più alto tasso di mortalità per fame e malattie, in cui il sottosviluppo miete ogni giorno migliaia di vittime potrebbe presto diventare il nuovo granaio del pianeta e paradossalmente il punto di svolta della crisi alimentare mondiale. Lo sostengono ricercatori di tutto il mondo, che vedono nell’utilizzo delle nuove tecnologie in campo agricolo il punto di svolta per sconfiggere la povertà. Per far questo servono innanzitutto investimenti adeguati nell’agricoltura, principale attività di sostentamento, come afferma Charles Riemenschneider, direttore del centro investimenti Fao.

    “I think the critical public investments...
    Io penso che gli investimenti pubblici in Africa siano davvero cruciali per lo sviluppo e riguardino in primis il miglioramento della ricerca nell’agricoltura, ma anche il miglioramento delle regole di mercato, del potere singolo di ogni Stato. Altri investimenti devono essere fatti per migliorare l’irrigazione e la capacità umana di lavorare la terra. Uno dei paradossi dell’Africa è che le persone che muoiono di fame sono principalmente gli agricoltori. Se sono affamati non riescono a lavorare. Dunque dobbiamo assicurarci che abbiamo un nutrimento adeguato, così da aumentare la loro capacità di produzione. Servono poi investimenti per la formazione dei coltivatori, perché imparino ad usare le nuove tecnologie”.

    300 milioni di africani dipendono dalla coltivazione di mais, ma siccità e arretratezza minacciano costantemente il futuro del continente. Per fronteggiare questi problemi bisogna incrementare la produttività attraverso la meccanizzazione, l’utilizzo di fertilizzanti, come gli antiparassitari e l’uso diffuso di sementi selezionate, così anche di Ogm. Lo sottolinea il prof. Gonzalo Miranda, ordinario di bioetica all’ateneo Regina apostolorum.

    “Noi vogliamo aiutare a riflettere sulla possibilità di fare un salto di qualità e di creare una nuova rivoluzione verde che però oggi può contare su nuove biotecnologie che potenziano la possibilità di sviluppo. E ci riferiamo concretamente agli organismi geneticamente modificati, per cui, in una situazione nella quale l’acqua manca e c’è una enorme siccità, possono loro produrre - lo stanno già facendo - un mais che sia resistente, cioè che non abbia bisogno di tanta acqua. Noi abbiamo sottolineato l’importanza, la convenienza di usare le biotecnologie, ma è chiaro che bisogna ricordare che non è l’unica strada da intraprendere. Se non c’è un minimo di pace, un minimo di concordia tra le nazioni... C’è sempre bisogno di strutture e di infrastrutture, c’è bisogno di educazione, dunque di scuole. Ci sono tanti bisogni”.

    Dunque uno sviluppo sostenibile e responsabile che metta al centro la persona umana, rendendola autonoma e capace di custodire e coltivare la terra.

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    Si celebra oggi la nona Giornata Mondiale dell'atassia. Con noi, la neurologa Serenella Servidei

    ◊   Confetti e candele bianche e blu sono i simboli che oggi testimoniano la vicinanza ai malati di atassia in occasione dell’odierna Giornata Mondiale dell’Atassia, giunta alla sua nona edizione. Numerosi gli appuntamenti in programma per far conoscere meglio questa patologia. Eliana Astorri ne ha parlato con la prof.ssa Serenella Servidei, associato di neurologia dell’Università cattolica Sacro Cuore di Roma:

    R. – Partiamo proprio dal termine “atassia”, che viene da una parola greca che vuol dire disordine, ed è infatti un disordine del movimento, un disturbo della coordinazione, che può coinvolgere gli arti inferiori. Quindi, il paziente cammina male, ha una marcia cosiddetta atassica, che è simile a quella dell’ubriaco, con un equilibrio incerto. Oppure questo disturbo può coinvolgere gli arti superiori e quindi avere movimenti scoordinati. La persona può essere anche incapace di mangiare o di badare a se stessa, di fare movimenti comuni nella vita quotidiana. Questo disturbo può anche coinvolgere la deglutizione o i movimenti oculari ed è il risultato di un’alterazione che può coinvolgere a molti livelli il sistema nervoso centrale.

     
    D. – Professoressa, è di origine genetica o si può anche contrarre per qualche altra causa?

     
    R. – Le sindromi atassiche sono molto eterogenee. Sono eterogenee perché possono essere colpiti questi livelli, però sicuramente le forme più frequenti sono a carico del cervelletto. Ma ci possono essere forme infiammatorie, forme legate a tumori, forme autoimmuni, cioè legate ad anticorpi, che invece di combattere agenti esterni attaccano elementi del proprio organismo, forme cosiddette paraneoplastiche. Quindi, queste sindromi sono molto, molto eterogenee. Sicuramente sono le forme genetiche ad essere responsabili per la maggior parte delle sindromi atassiche.

     
    D. – Come si effettua una diagnosi?

     
    R. – La diagnosi è abbastanza complessa. Il disturbo cerebellare da un punto di vista clinico è facilmente identificabile, ha delle caratteristiche che un buon neurologo sa identificare. Il problema è identificare la causa, che può essere estremamente variabile. Per cui dopo la visita clinica bisogna fare un’anamnesi familiare ben precisa, capire se è una forma sporadica, cioè se nella famiglia esiste un caso solo o se è una forma familiare. Questo già ci indirizza verso un certo iter diagnostico.

     
    D. – Prof.ssa Servidei, attualmente esiste una cura?

     
    R. – Ci sono delle forme legate a deficienze, per esempio forme legate ad un alterato metabolismo della vitamina E o del coenzima Q. In questi casi, si può somministrare vitamina E e coenzima Q, con un miglioramento della sintomatologia. Ci sono delle forme molto interessanti che sono le atassie episodiche. In queste forme, il disturbo atassico, come dice il nome, è episodico: può durare giorni, minuti, addirittura, o ore. Poi questi episodi si sommano, per cui alla fine si ha comunque una progressione. E’ molto importante, per individuare queste forme, perché rispondono bene ad un farmaco che si chiama acetazalamite. Nel complesso però non ci sono dei farmaci specifici per queste malattie, ci sono dei farmaci che possono combattere i sintomi associati. In genere, però, non esistono farmaci curativi. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Cala il sipario sulla 64.ma edizione della Sagra Musicale Umbra. Intervista con il maestro Michel Tabachnik

    ◊   Dopo due settimane di concerti all’insegna dell’arte e della spiritualità, nel nome di Santa Cecilia Patrona della musica, la 64.ma Sagra Musicale Umbra chiude questa sera con una fastosa e rara partitura sacra: la “Messe solenelle de Sainte Cécile” del compositore francese Charles Gounod, eseguita per la prima volta nel 1855. A proporla al pubblico, nel Teatro Morlacchi di Perugia, sono stati la Noord Nederlands Orkest e Choor, che per la prima volta in assoluto si sono esibiti in Italia sotto la direzione del maestro Michel Tabachnik. Tra le autorità presenti, anche l’ambasciatore del Regno dei Paesi Bassi presso la Santa Sede, la baronessa Henriette van Lynden-Leijten. Silvia Mendicino ha intervistato il maestro Michel Tabachnik:

    (musica)

    D. – Maestro, la Messa solenne di Santa Cecilia di Gunod è un lavoro maestoso che ha avuto grande fortuna nella seconda metà dell’800 e nel primo ‘900, ma oggi è raramente eseguito. Perché una pagina di tale bellezza è stata dimenticata?

     
    R. – E’ dimenticata perché le persone, l’organizzazione dei concerti, i festival non hanno l’immaginazione, come il maestro Battisti, di fare un pezzo così sconosciuto. Per noi è un grande onore mostrare questo pezzo al pubblico di Perugia, perché è un capolavoro, molto importante da suonare.

     
    D. – Maestro quali sono le caratteristiche di questa Messa? Che tipo di linguaggio utilizza il compositore?

     
    R. – Quando abbiamo musiche religiose, spirituali, di Bach, di Brahms, di Verdi, c’è sempre un’atmosfera un po’ drammatica, un po’ tragica. Qui, al contrario, è tutto diverso: è una musica molto genuina, una musica molto pura, una musica molto semplice, che parla direttamente dal cuore del compositore al cuore del pubblico, senza essere intellettuale. Tutti possono cantare questa musica, che è molto semplice. E’ una gioia essere nel mondo spirituale.

     
    D. – Maestro, che emozioni prova a dirigere in Umbria, luogo sacro, patria di San Francesco?

     
    R. – Naturalmente, le cose prendono una dimensione di festa, quando siamo qui, perché si sa, si sente nella terra, nella città di Perugia, dell’Umbria, che c’è una storia molto religiosa. I pezzi religiosi che sono nati qui hanno una dimensione diversa, naturalmente. Alla luce di tutto questo, noi siamo impressionati dal fatto di suonare qui, in questa regione. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Chiesa e Società



    Il capo della Comunione anglicana Williams compiaciuto della visita del Papa in Inghilterra

    ◊   In visita in Giappone, anche l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, leader della Comunione anglicana e capo della Chiesa di Inghilterra esprime in un comunicato, ripreso dall'agenzia Sir, di aver saputo con “piacere” la notizia che Benedetto XVI potrebbe visitare l’Inghilterra nel 2010. “Tempo fa – dice l’arcivescovo – a seguito di simili inviti fatti dai vescovi cattolici e dal governo britannico, ho espresso personalmente al Papa la speranza che egli potesse accettare l’invito di visitare l’Inghilterra. Sono quindi compiaciuto di sentire oggi che c’è la possibilità che Benedetto XVI possa visitare l’Inghilterra nel corso del prossimo anno. Sono sicuro di poter parlare a nome degli anglicani di tutta l’Inghilterra, assicurandogli che sarà accolto con grande calore e gioia”. (V.V.)

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    Spagna: il parlamento respinge la proposta di censura del magistero del Papa sulla morale

    ◊   Ieri la Commissione per la Cooperazione internazionale del Congresso spagnolo, con il voto contrario di tutti i partiti e l’astensione di quello al governo, il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe), ha rifiutato la proposta di alcuni settori politici che volevano un’azione ufficiale di “censura” delle parole di Benedetto XVI sull’uso del preservativo nel corso della sua visita in Camerun e Angola (17 – 23 marzo 2009). Sia coloro che hanno votato contro la proposta, sia coloro che si sono astenuti hanno giustificato il loro comportamento riconoscendo che il Parlamento spagnolo non aveva nessun titolo e competenza per censurare o disapprovare il magistero del Papa. Commentando la decisione parlamentare, che mette definitivamente fine a una delicata vicenda che si protraeva da diversi mesi, la Conferenza episcopale spagnola ha ribadito la sua condanna al fatto che fosse stata ammessa un’iniziativa di questo tipo. “La giusta distinzione tra lo Stato e la società - si legge nella nota - e più in concreto tra lo Stato e la Chiesa, tra l’ordine politico e l’ordine morale, esige che le istituzioni dello Stato si astengano da intervenire nel libero sviluppo delle istituzioni religiose, e nel caso specifico, della Chiesa cattolica”. I presuli spagnoli, così come avevano fatto durante questi mesi in cui della questione si parlava sulla stampa, ricordano ancora una volta che “tentare di interferire tramite censure politiche e parlamentari nell’ambito della guida morale che esercita il Papa è in contraddizione con il principio della non ingerenza”. Andando oltre agli aspetti immediati della proposta e del sensato rifiuto, i presuli spagnoli osservano che la Chiesa cattolica, quando illustra la dottrina morale che deriva dal Vangelo, dà un contributo alla formazione delle persone in quanto veri soggetti responsabili ma anche in quanto cittadini capaci di collaborare nel conseguimento del bene comune”. I vescovi concludono osservando: “Il magistero della Chiesa propone ai cattolici, e a tutti gli uomini, dei principi di vita che non vuole e non può imporre a nessuno”, ciononostante “non smetterà mai di annunciarli in piena libertà, in conformità con la missione ricevuta”. (A cura di Luis Badilla)

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    Czestochowa: donata una copia dell’Icona della Madonna Nera a dei monaci ortodossi

    ◊   Una delegazione di monaci della Chiesa ortodossa russa, che sta compiendo un viaggio in Polonia dal 23 al 29 settembre, ha partecipato ieri sera, al momento di preghiera mariana chiamato “Appello di Jasna Góra” nella cappella della Madonna di Czestochowa, al santuario nazionale di Jasna Góra. La delegazione della Chiesa ortodossa russa era guidata da Arkadij Gubanow, Priore del monastero ortodosso di San Nil a Stolobienskoje, zona di Twer. Secondo le informazioni inviate all’agenzia Fides, durante la preghiera, l’arcivescovo metropolita di Czestochowa, mons. Stanislaw Nowak, e padre Izydor Matuszewski, Priore generale dei Padri Paolini custodi del Santuario, hanno consegnato una copia dell’Icona della Madonna Nera di Czestochowa alla delegazione della Chiesa ortodossa russa. “Questa Santa Icona della Madonna Nera è un segno della nostra vicinanza spirituale, e anche un simbolo dei due polmoni dell’Europa, Orientale e Occidentale, come insegnava in questo luogo il Servo di Dio Giovanni Paolo II” ha detto mons. Nowak consegnando l’icona. Durante la Seconda Guerra Mondiale, negli anni 1939 – 1940, il monastero di San Nil a Stolobienskoje, fu adibito a lager sovietico, dove furono uccisi oltre 6 mila soldati polacchi. “In questo luogo, nel nostro monastero, dobbiamo pregare insieme, russi e polacchi, davanti alla Santa Icona della Madonna di Czestochowa, per chiedere la pace e pregare per tutti coloro che furono uccisi” ha detto Arkadij Gubanow, Priore del Monastero ortodosso di San Nil. (R.P.)

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    Croazia: il cardinale Bozanic al campo di Jasenovac per rendere omaggio alle vittime degli ustascia

    ◊   La Chiesa croata è “profondamente addolorata per tutte le vittime assassinate da cittadini croati e anche da esponenti della Chiesa cattolica” durante la Seconda Guerra Mondiale. Essa tuttavia rifiuta di essere additata a come un “covo di ustascia” e chiede che sia fatta luce anche sulle migliaia di vittime del comunismo in Croazia durante e dopo la guerra. È quanto ha affermato il cardinale arcivescovo di Zagabria Jozip Bozanic in una messa celebrata ieri nel campo di concentramento di Jasenovac, dove nel corso del conflitto furono internati e uccisi decine di migliaia di ebrei, serbi, zingari e croati antifascisti ad opera del regime filo-nazista degli ustascia. Si tratta del primo cardinale croato a recarsi in pellegrinaggio in questo luogo della memoria e ad esprimere una condanna netta ed esplicita dei crimini commessi dagli ustascia croati. Nel corso degli anni esponenti della Chiesa del Paese hanno sempre evitato di visitare il memoriale adducendo come motivo le manipolazioni dei serbi per accusare e umiliare il popolo croato e la Chiesa cattolica. Una posizione che ha suscitato aspre polemiche, tanto più che diversi esponenti cattolici croati hanno invece regolarmente visitato Bleiburg, in Austria, dove alla fine della II Guerra Mondiale numerosi ustascia con i loro familiari furono trucidati dai partigiani comunisti. Con il pellegrinaggio il cardinale Bozanic ha voluto rendere omaggio alle vittime del regime filo-nazista croato, ma ha anche respinto, ancora una volta, tutte le strumentalizzazioni, messe in atto soprattutto durante la guerra di indipendenza del 1991-1995 e ancora oggi, per giustificare le atrocità commesse dai serbi contro i croati e le accuse contro la Chiesa. “Con questo pellegrinaggio - ha quindi concluso il porporato - ci apriamo innanzitutto a Dio e impregniamo il dolore di speranza attraverso la preghiera”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    La Banca Africana di Sviluppo invita il G20 a non dimenticare l'Africa

    ◊   “Un approccio coordinato a livello globale che non lasci fuori nessuna parte del mondo”: il presidente della Banca africana di sviluppo (Bad) Donald Kaberuka ha sintetizzato in questo modo le aspettative del Sud del mondo mentre il G20 discute a Pittsburgh negli Stati Uniti, temi criciali, dalla crisi economica ai mutamenti del clima. Alla guida di un istituto che negli ultimi anni ha garantito prestiti ai paesi africani per circa sei miliardi di dollari, Kaberuka ha detto in un’intervista all’agenzia di stampa Bloomberg ripresa dall'agenzia Misna, di sperare in una concezione nuova dei rapporti internazionali. In parte, forse, vanno in questa direzione le dichiarazioni rilasciate ieri sera da alcuni funzionari di Washington. “Il G20 – ha detto un responsabile dell’amministrazione americana, anticipando i contenuti di un documento che dovrebbe essere adottato questa sera al termine del vertice – diventerà il nuovo organismo per il coordinamento della cooperazione economica internazionale”. A Pittsburgh sono anche presenti i capi di stato di Brasile, Argentina, Messico e Sudafrica, l’unico paese della regione sub-sahariana a essere rappresentato. Nella città della Pennsylvania c’è anche Kaberuka, che chiede di aumentare le capacità di credito della Banca africana di sviluppo fino ad almeno 11 miliardi di dollari l’anno. (R.P.)

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    Mons. Vegliò ricorda il dovere della solidarietà verso i rifugiati ed i migranti

    ◊   Richiamare tutti al dovere della solidarietà verso coloro che vivono in situazioni di maggiore vulnerabilità, come rifugiati e migranti. E’ uno dei passaggi dell’intervista, pubblicata dall’Osservatore Romano, a mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Il presule ricorda che in tema di immigrazione “non compete al magistero della Chiesa valutare le scelte politiche” ma non si possono avvallare i tentativi “che vanno contro il diritto alla vita”. Mons. Vegliò evidenzia inoltre che non può essere messo in discussione “il volto multietnico, multireligioso e multiculturale” dell’Europa e sottovalutare il dinamismo del fenomeno destinato invece a crescere. In tal senso è necessario garantire “politiche lungimiranti” che garantiscano sicurezza e legalità ma che siano frutto di una riflessione “approfondita e oggettiva” a livello internazionale tenendo in dovuta considerazione i suoi differenti aspetti per evitare di “creare reazioni xenofobe e razziste”. Importante poi il passaggio sul diritto d’asilo che il presidente del dicastero pontificio ricorda essere “un diritto umano fondamentale”. “Nei Paesi divenuti più di recente meta di popoli in fuga da guerre e persecuzioni – precisa mons. Vegliò indicando tra questi l’Italia, la Grecia e Malta – il rifugiato è ancora troppe volte confuso con l'immigrato per motivi economici e non gode dei dovuti sostegni sociali”. “Lo Stato, in questo contesto - sostiene il presule - deve vigilare e agire in modo da garantire questi beni a tutti, autoctoni e non, comprese le fasce di popolazione più vulnerabili, tra cui vi sono i rifugiati”. Infine mons. Vegliò sottolinea come “l’arrivo dei migranti e rifugiati sia uno stimolo più che una minaccia per l’identità cristiana”. (B.C.)

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    Vescovi italiani: al Consiglio permanente il tema dell’immigrazione dall’Est Europa

    ◊   La giornata conclusiva dei lavori del Consiglio permanente ha visto la riflessione dei vescovi concentrarsi su un fenomeno che sta facendosi consistente in Italia, e cioè il numero degli immigrati provenienti dai Paesi dell’Est europeo. Lo rende noto mons. Domenico Pompili, portavoce della Cei. “Per lo più – spiega - si tratta di persone che appartengono alla Chiesa ortodossa, ma trovandosi nel nostro Paese cercano contatti con le nostre parrocchie per la preghiera e per la stessa formazione cristiana, oltre che per bisogni di varia necessità”. Secondo il Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2008, sono 1 milione e 130 mila gli immigrati di confessione ortodossa presenti in Italia. “Tutto questo – ha spiegato mons. Domenico Pompili a “L'Osservatore Romano” – pone ovviamente delle questioni nuove che vanno esaminate con attenzione”. I vescovi hanno poi “riflettuto ampiamente” sull’Anno sacerdotale, indetto dal Papa “per rimettere al centro della comunità cristiana e della stessa società il servizio insostituibile del sacerdote”. “La missione del prete – afferma mons. Pompili riferendo dei lavori - sembra oggi ancor più necessaria ed originale in una società, segnata dal rarefarsi dei rapporti personali e gratuiti”. In particolare, si è sottolineata “la spontanea adesione che si registra in molte Chiese particolari a momenti di riflessione che riscoprono il sacerdote come l’uomo dello preghiera e dell’ascolto prima ancora di qualsiasi sua azione pastorale”. Infine si sono condivisi e poi approvati diversi documenti, come quello per la Giornata della Vita 2010 e gli Statuti di alcune aggregazioni laicali. (V.V.)

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    Profughi irakeni: vita difficile anche nei Paesi di accoglienza

    ◊   I rifugiati irakeni nei Paesi vicini e nell’Europa occidentale soffrono di insicurezza e rischiano di perdere la loro identità religiosa e culturale. Un rapporto del Minority Rights Group (Mrg) ripreso dall'agenzia AsiaNews, basato su interviste fatte a profughi lungo tutto il 2008, mostra che i gruppi minoritari iracheni, fuggiti dal loro Paese a causa della persecuzione, si ritrovano in difficoltà in Europa, per l’estrema difficoltà per ricevere l’asilo politico, o sono oggetto di discriminazione. Spesso essi sono costretti al ritorno in patria. Secondo l’agenzia Onu per i rifugiati, quasi 2 milioni di irakeni sono fuggiti dal loro Paese per le ondate di violenza seguite all'intervento degli Stati Uniti e alla caduta di Saddam Hussein. Molti di loro – fra il 15 e il 64%, a seconda dei Paesi dove hanno trovato rifugio – appartengono a minoranze religiose quali cristiani, circassi, mandei, shabak, turkmeni, yaziti. I maggiori Paesi di accoglienza sono la Siria (1,1 milioni); la Giordania (450 mila); il Libano (50 mila); l’Egitto (30 mila); gli Usa (4700); la Svezia (3220). Carl Soderbergh, membro del Mrg, sottolinea che “molte nazioni europee (fra cui Svezia e Gran Bretagna), stanno rifiutando molte richieste di asilo e riportano in Iraq in modo forzato i profughi, nonostante che gli attacchi sulle minoranze siano in crescita in alcune aree”. Giordania e Siria, pur avendo accolto un gran numero di profughi, lasciano molti di essi in una specie di limbo, senza permesso di residenza, né di lavoro. Anche il rilascio dei visti di ingresso è divenuto più difficile dal 2007. Il rapporto del Mrg mostra le difficoltà che i rifugiati irakeni hanno nella mancanza di una vera e propria politica di integrazione fra i Paesi di accoglienza. Soprattutto minoranze piccole come i mandei o gli shabak, dispersi in moltissime nazioni, rischiano ormai l’estinzione culturale. Il rapporto è corredato anche di diverse commoventi testimonianze. (R.P.)

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    Sostegno da Pax Christi Francia alle minoranze religiose in Iraq

    ◊   Nei giorni scorsi mons. Marc Stenger, vescovo di Troyes e presidente di Pax Christi Francia, si è recato in Iraq per incontrare le comunità cristiane a Karamlesh e a Karakosh. “I cristiani iracheni – queste le parole del presule al ritorno dal viaggio - hanno un ruolo importante da svolgere per la costruzione di un futuro di pace”. Durante il suo soggiorno, rende noto L’Osservatore Romano, mons. Stenger è stato accompagnato da mons. Basile Georges Casmoussa, arcivescovo di Mossul dei Siri, da mons. Louis Sako, arcivescovo di Kerkuk dei Caldei e da mons. Rabban Al-Qas, vescovo di Amadiyah dei Caldei. “Questa è la seconda volta che visito l’Iraq a distanza di poco più di un anno – ha detto il vescovo di Troyes – e i cambiamenti sono evidenti soprattutto nel nord del Paese. Purtroppo, però, gli attentati, i rapimenti e le violenze continuano a verificarsi in molte città ai danni di piccole comunità etniche e religiose”. In particolare il presule si è soffermato sulla situazione in cui sono costretti a vivere i cristiani in Iraq. “A loro – ha sottolineato mons. Stenger – rivolgo un messaggio di solidarietà, una comunità che vive nella sofferenza che non accenna a diminuire. Persone indifese costrette a subire continui soprusi. Le armi dei cristiani non sono la violenza, ma la pace, la riconciliazione, l’amore e la tolleranza”. Infine il vescovo ha dichiarato che Pax Christi Francia sosterrà la comunità cristiana in Iraq: “Noi cercheremo di dare un supporto, non solo logistico, ma anche materiale. Se vogliamo aiutare queste persone e costruirsi un avvenire occorre favorire, per esempio la creazione di micro imprese”. (V.V.)

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    Si è spento in Cina mons. Nicola Shi Jingxian, vescovo della diocesi di Shangqiu

    ◊   Mercoledì, 16 settembre scorso, è deceduto mons. Nicola Shi Jingxian, vescovo della diocesi di Shangqiu, nella provincia di Henan, nella Cina continentale. Le sue condizioni fisiche erano precipitate rapidamente negli ultimi mesi. Il Presule aveva 88 anni, ed era stato ordinato sacerdote nel 1948. Nel periodo, in cui fu proibita ogni azione pastorale, egli lavorò in una clinica oculistica, ma in seguito fu condannato a tre anni di lavori forzati in un campo di rieducazione e ad altri due anni di prigione. Il suo calore umano e l’entusiasmo della sua fede colpirono anche molti dei suoi guardiani. Dopo la Rivoluzione Culturale e in seguito alle riforme promosse da Deng Xiaoping, nel 1979 il reverendo Nicola Shi ottenne una “carta di riabilitazione” e fu assegnato all’insegnamento come professore d’inglese, lavoro che egli svolse fino al 1986. Anche in questo periodo non tralasciò mai di visitare i cristiani nelle loro case e di assisterli nella vita di fede con celebrazioni e con iniziative per la loro istruzione. Ritornato a Shangqiu, si dedicò completamente al lavoro pastorale e ottenne la restituzione dei beni della Chiesa, che erano stati confiscati nel 1948. Il dialogo con le autorità civili, svolto fra stretti controlli, rispetto e gravi limitazioni, gli permise di aprire nella sua Diocesi varie chiese, una comunità religiosa femminile e una maschile. Per il suo lavoro esemplare e la sua dedizione, l’8 maggio 1991 fu consacrato vescovo della diocesi di Shanqiu, la quale era rimasta senza pastore per 39 anni. Mons. Shi Jingxian è stato una persona di profonda vita spirituale, di un’indomita fede e di un’intelligenza non comune. Pur non essendo mai uscito dalla Cina, scriveva correttamente e con straordinaria precisione in latino, inglese e spagnolo. I funerali si sono tenuti il 22 settembre nella cattedrale di Sangqiu con larga partecipazione di clero e di fedeli. Mons. Nicola Shi occupa un posto speciale nella storia della comunità religiosa a cui apparteneva, l’Ordine degli Agostiniani Recolletti, e della Chiesa cattolica in Cina. La sua umanità, la sua discrezione, la profonda fede e la grande prudenza gli permisero di avere sempre un rapporto aperto, teso ma rispettoso, con le autorità. La sua testimonianza ha portato non pochi suoi connazionali alla fede cristiana e alla vita religiosa. (V.V.)

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    Orissa: nuova assoluzione per un politico nazionalista indù responsabile dei massacri anti-cristiani

    ◊   Un esponente del partito nazionalista indù, accusato per l’omicidio di un cristiano in Orissa, è stato assolto per mancanza di prove.  Manoj Pradhan, del Bharatiya Janata Party (Bjp) era accusato di aver contribuito a uccidere Kantheswar Digal, 60enne cattolico del villaggio di Sankarakhole. È l’ennesima assoluzione ottenuta dal politico indù, parlamentare dell’Orissa, imputato in numerosi processi per i pogrom anti-cristiani del 2008. Pradhan era stato incarcerato nell’ottobre scorso, ma questo non gli aveva impedito la candidatura col Bjp e l’elezione all’Assemblea dello Stato alle votazioni di aprile. Interpellato da AsiaNews, mons. Raphael Cheenath, vescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, afferma che l’assoluzione conferma “la mancanza di buona volontà ad aiutare le vittime e a stabilire la giustizia”. Il prelato invita a “riflettere sulla situazione del sistema giudiziario” e invita “a trasferire i processi al di fuori dei tribunali dell’Orissa”. La sentenza è stata emessa nel primo anniversario della scomparsa di Kantheswar Digal. Il 60enne cattolico di Sankarakhole era riuscito a fuggire a Bhubaneshwar, con la moglie e l’unico figlio, dopo i primi attacchi contro i cristiani. Preoccupato per la sorte dell’abitazione, del negozio e del suo piccolo gregge di capre, era però rientrato da solo al villaggio. Il 24 settembre Kantheswar era a bordo di un autobus pubblico quando i fondamentalisti, capitanati da Pradhan, hanno bloccato il veicolo e sequestrato il 60enne trascinandolo con loro nella foresta. Rajendra, figlio 28enne di Kantheswar, scoperta la scomparsa del padre ha subito sporto denuncia. Ma il giovane racconta: “La polizia non si è interessata al caso. Dopo 12 giorni il suo corpo è stato rinvenuto a 40 chilometri dal nostro villaggio”. La notizia dell’assoluzione di Manoj Pradhan lascia senza parole i familiari di Kantheswar e la comunità cristiana di Sankarakhole. L’accusa ricorrerà in appello, ma il figlio Rajendra ha poche speranze. Durante il processo testimoni oculari hanno descritto la scena del sequestro e confermato la presenza di Pradahn. Ma anche le loro deposizioni non hanno convinto la Corte a condannare il politico del Bjp. (V.V.)

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    Aids: la speranza in un vaccino di nuova generazione che potrebbe ridurre il contagio

    ◊   Per la prima volta in un quarto di secolo di lotta all'Aids è stato messo a punto un vaccino che ha ridotto di quasi un terzo il rischio di contagio da Hiv. La ricerca, descritta come la più ampia mai realizzata per un vaccino contro il virus (i test sono stati condotti su 16.000 volontari), è stata realizzata dal Ministero della Salute thailandese, l'esercito statunitense e l'Istituto statunitense per le Allergie e Malattie contagiose. "È la prima dimostrazione che un vaccino contro l'Hiv può proteggere contro l'infezione", ha detto il colonnello Jerome Kim, nel corso della conferenza stampa a Bangkok in cui è stato dato l'annuncio. "È un passo avanti davvero importante e ci dà la speranza che riusciremo a realizzare un vaccino davvero efficace nel futuro". Lo studio ha combinato l'utilizzo di due prodotti già noti: l'Alvac, un vaccino contro il vaiolo, e l'Aidsvax. Il vaccino mescola le due formule genetiche che finora non avevano funzionato con gli esseri umani. I partecipanti al trial, iniziato nell'ottobre 2003, sono stati uomini e donne tra i 18 e i 30 anni a moderato rischio di contrarre il contagio, abitanti di due province thailandesi vicine a Bangkok. A metà di loro è stato somministrato il vaccino, agli altri un placebo; e ci sono stati 51 casi di contagio nel gruppo vaccinato e 74 tra coloro che avevano assunto il placebo (il 32,1% dei casi). Un dato assolutamente inatteso, si legge su Avvenire, e che adesso pone agli scienziati l'interrogativo del perché il cocktail funzioni laddove i vaccini assunti singolarmente non erano stati efficaci. A complicare il quadro, il fatto che le persone che sono state vaccinate e che si sono comunque contagiate avevano la stessa carica virale e gli stessi danni al sistema immunitario di coloro che, avendo assunto il placebo, hanno contratto l'Hiv; il che significa che il vaccino aiuta a prevenire il contagio, ma non fa nulla contro il virus una volta che sia entrato nel corpo. Gli scienziati quindi dovranno comprendere il meccanismo di funzionamento della terapia, oltre a dover capire se il vaccino funziona su tutti i diversi ceppi di virus, visto che è stato formulato per due sotto-tipi (quello E che circola in Thailandia e nel sud-est asiatico; e il B, comune in Europa e Stati Uniti). Da parte sua l’associazione umanitaria Medici Senza Frontiere ha espresso cauto ottimismo e soddisfazione per questo studio che inaugura un nuovo capitolo nella ricerca sul vaccino per l’Hiv. (V.V.)

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    Burkina Faso: la Caritas aiuta 40 mila vittime delle inondazioni

    ◊   La Caritas nazionale del Burkina Faso ha avviato un piano per rispondere alle esigenze fondamentali di 40.000 vittime delle inondazioni che hanno flagellato, nei primi giorni di settembre, tutto il Sahel, soprattutto la zona di Ouagadougou, capitale del Paese, e le città di Manga e Kaya. I danni materiali sono ingenti e le persone colpite dalla catastrofe sono più di 160.000. “Abbiamo visitato varie zone di Ouagadougou e lo spettacolo è desolante”, ha spiegato all'agenzia Zenit poche ore dopo le intense piogge il segretario esecutivo di Caritas Burkina Faso, padre Bernard Eudes Compaore. “Molte abitazioni sono crollate e i veicoli sono stati trascinati via dalle acque. Migliaia di famiglie si trovano in una situazione drammatica e in molti luoghi la gente è con l'acqua fino al collo”, ha aggiunto. Per coordinare una risposta immediata alle più urgenti necessità delle vittime, è stato lanciato un appello urgente alla rete internazionale Caritas per un valore di 522.000 euro al fine di finanziare un piano di aiuti d'emergenza a circa 40.000 persone nei prossimi tre mesi. Tra gli obiettivi principali che sono stati identificati ci sono la distribuzione di cibo e prodotti non deperibili di prima necessità, la diffusione di acqua potabile e prodotti igienici e l'assistenza medica. Nel contesto del suo modello di risposta alle emergenze, la Caritas concentrerà l’azione umanitaria sulle vittime più vulnerabili, come le donne capofamiglia, i bambini denutriti, gli anziani senza risorse, gli handicappati e le famiglie senza alcuna entrata. (V.V.)

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    Benin: progetto per le registrazioni anagrafiche di 6 mila bambini

    ◊   Bambini senza nome. O, meglio, con un nome che vale solo per i genitori e gli amici. Per lo Stato, invece, quei bambini non esistono perché alla nascita nessuno li ha registrati all’anagrafe. Così, quando vogliono iscriversi a scuola le cose non sono affatto facili. Come accade in vaste aree del mondo, anche in Benin, Paese africano tra i più poveri del pianeta, la mancata iscrizione all’anagrafe impedisce a migliaia di bambini di andare a scuola o all’ospedale. Ecco perché la fondazione Regard d’amour, insieme all’organizzazione di cooperazione Intervita, ha lanciato un progetto di cooperazione che parte proprio da questo: garantire a 6 mila bambini sotto i 10 anni la registrazione e fare capire alle famiglie che quando nasce un figlio, iscriverlo agli uffici dell’anagrafe è fondamentale per il suo futuro. Il progetto però non finisce qui: grazie al sistema delle adozioni a distanza, a 500 bambini delle famiglie più povere saranno pagate l’iscrizione a scuola e la fornitura di libri e quaderni. Non solo: nelle scuole di tre villaggi saranno allestite infermerie che garantiranno cure mediche a 8 mila bambini. Claire Houngan Ayemonna è stata Ministro della Famiglia e oggi è un alto magistrato della Corte di appello e presiede la Fondazione Regard d’Amour, che cerca di migliorare le condizioni di vita dell’infanzia. Del resto, lei stessa ha alle spalle una storia di povertà: “Mia madre è cresciuta con il rimpianto di non aver potuto studiare – spiega sulle pagine di Avvenire -. A 14 anni abbandonò il lavoro nei campi e si improvvisò commerciante. Rivendeva nei villaggi i prodotti alimentari che acquistava in città. Poi incontrò mio padre, che aveva molte altre mogli e tantissimi figli. Per mio padre, io e i miei 7 fratelli, non dovevamo studiare, l’istruzione era un lusso, ma mia madre si impuntò. Dovette pagare lei tutte le spese; è grazie al suo sacrificio che io ho potuto diventare magistrato. È per questo che sono convinta che solo l’istruzione può fare uscire le persone dalla povertà”. Nella lista dei 177 Paesi del mondo, classificati in base alla ricchezza, il Benin si trova al 163.mo posto. La vita media arriva a malapena a 57 anni e ogni 100 bambini che nascono, 15 moriranno prima dei 5 anni. (V.V.)

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    La Chiesa filippina dialoga con tutti sul valore della vita

    ◊   Uno strumento cruciale per ascoltare le posizioni di entrambe le parti in causa: così padre Melvin Castro definisce la necessità di dialogo con le istituzioni riguardo alla proposta di legge sulla salute riproduttiva. La "Reproductive Health Bill" è, infatti, accusata dalla Chiesa di favorire l’aborto, diffondere l’uso di contraccettivi per il controllo delle nascite e di fornire una visione distorta dell’educazione sessuale. Il segretario generale della Commissione Famiglia e Vita della Conferenza episcopale cattolica filippina (Cbcp) ribadisce, inoltre, che nel dialogo è importante coinvolgere anche i laici vicini alla pastorale familiare e sociale della Chiesa. “Ci sono molte persone che operano in questi ambiti – dice padre Castro – Dobbiamo incoraggiarle di più”. Dal suo canto, il senatore Benigno Aquino III, tra i sostenitori della proposta di legge, si è detto disponibile ad incontrare i membri della Cbcp per ascoltare le loro posizioni e spiegare le proprie. Ulteriori incontri tra la Chiesa filippina e gli esponenti governativi verranno fissati in futuro. Tuttavia, la Cbcp ribadisce un dettaglio importante: sì al dialogo, ma comunque la proposta di legge, così com’è, è inaccettabile per la Chiesa cattolica. (I.P.)

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    Spagna: vertice ecumenico a Córdoba

    ◊   La sessione di lavoro del Gruppo Misto tra la Chiesa cattolica e il Consiglio Mondiale delle Chiese si celebrerà per la prima volta a Córdoba (Spagna) dal 12 al 19 ottobre. Il Gruppo Misto di Lavoro, informa l’agenzia Zenit, è stato creato nello stesso anno della chiusura nel Concilio Vaticano II, il 1965. E' un organismo ufficiale consultivo per il dialogo ecumenico, che promuove, valorizza e sostiene la collaborazione tra la Chiesa cattolica e il Consiglio Mondiale delle Chiese. Secondo il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, “tra le sue funzioni principali c'è il discernimento della situazione ecumenica attuale e l'apporto di riflessioni concrete mediante studi specifici”. Attualmente compongono il Gruppo di Lavoro 36 membri dei cinque continenti, tra cattolici, ortodossi, protestanti, anglicani e appartenenti a Chiese libere. A Córdoba, il Gruppo continuerà a elaborare due studi sulla ricezione dei dialoghi ecumenici e le radici spirituali dell'ecumenismo, nonché su altri temi collegati alla partecipazione delle nuove generazioni al movimento ecumenico e sulle implicazioni ecumeniche del fenomeno mondiale delle migrazioni. La presidenza spetta al metropolita Nifón di Targoviste (Patriarcato di Romania) e a monsignor Diarmuid Martín, arcivescovo di Dublino (Irlanda). Tra i membri cattolici ci sarà il vescovo mons. Brian Farrell L.C., segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. La Chiesa di Córdoba, nella persona di monsignor Juan José Asenjo Pelegrina, arcivescovo coadiutore di Siviglia, darà il benvenuto ai partecipanti all'incontro. (V.V.)

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    Nota dell’arcivescovo di Madrid per l’inizio dell’anno scolastico

    ◊   In occasione dell’inizio dell’anno scolastico, l’arcivescovo di Madrid, cardinale. Antonio Maria Rouco Varela, ha dedicato la sua abituale Lettera pastorale settimanale alla questione educativa, ribadendo che essa “si radica nell’opinione pubblica come uno degli argomenti che toccano più da vicino il bene della persona, della famiglia e della società”. “La preoccupazione per il presente ed il futuro dell’insegnamento in Spagna – scrive il porporato – è condivisa da tutti coloro che intervengono nel processo educativo. L’inquietudine ha raggiunto tutta la società”. Ribadendo la necessità di un “Patto scolastico”, ovvero di un consenso nazionale in materia di educazione, il cardinale Rouco Varela afferma che “se non è chiaro che la vera educazione persegue, come fine ultimo, la formazione della persona umana e, allo stesso tempo, il bene della società, della quale l’uomo fa parte, difficilmente si troverà una via d’uscita dalla congiuntura attuale, che attraversa tutta la Spagna nel settore “scuola”. “Tale chiarezza – continua il porporato – si ottiene pienamente solo quando si riconosce tutta la pienezza dell’essere corporale e spirituale propria dell’uomo e che lo definisce come creatura e figlio di Dio”. “La questione educativa – conclude l’arcivescovo di Madrid – è un argomento che ha a che fare, innanzitutto, con la Sapienza, la Sapienza della verità e della vita, e naturalmente con la capacità di saperla accogliere”. L’invito finale, quindi, è ad affrontare la grande sfida di “un vero rinnovamento dell’insegnamento in Spagna, un rinnovamento fondato sulla conoscenza profonda e completa dell’uomo e nell’attenzione alla dignità di ogni bambino e di ogni giovane. Poiché, in definitiva, l’educazione autentica è opera della Sapienza”. (I.P.)

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    Senegal: più di 150 preti riflettono sull’Anno Sacerdotale

    ◊   “Il volto della Chiesa in Senegal: approccio sociologico, politico, religioso e pastorale”: è questo il tema della 33.ma Assemblea generale dell’Unione del clero senegalese (UCS) apertasi a Saint-Louis, in Senegal. Sono oltre 150 i sacerdoti che rifletteranno sull’anno sacerdotale indetto da Benedetto XVI il 19 giugno scorso e sulla lettera apostolica “Novo millennio ineunte” che invita a rinnovare lo slancio missionario. Padre Pierre Ndione, presidente dell’UCS, ha sottolineato l’importanza per la Chiesa senegalese di dotarsi di una identità basata sulla specificità culturale del Paese specificando che essa è caratterizzata dalla buona convivenza fra musulmani e cristiani. Padre Ndione ha aggiunto che i cristiani non hanno complessi di inferiorità nei confronti dei loro compatrioti musulmani ma che occorre una reciproca stima tra i fedeli delle due religioni. Quindi il presidente dell’UCS ha fatto riferimento all’organizzazione della Chiesa in Senegal e alla missione che richiede attenzione sia riguardo ai missionari, sia a coloro verso i quali sono inviati i missionari. Ai preti che stanno prendendo parte all’incontro sono stati proposti anche degli interrogativi che invitano alla riflessione, soprattutto sul mandato che Cristo ha affidato ai suoi discepoli. Alla giornata di apertura dell’assemblea ha preso parte anche il ministro degli Affari Sociali e delle Relazioni con le Istituzioni Faustin Diatta che ha esposto le attese delle autorità civili sull’incontro considerato anche come un contributo della Chiesa all’educazione della nazione. (T.C.)

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    Congo-Brazzaville: una cappella a Radio Magnificat per trasmettere celebrazioni in diretta

    ◊   Radio Magnificat, la prima radio mariana della Chiesa cattolica del Congo, ha inaugurato nei giorni scorsi il suo oratorio con una cappella dedicata a Maria. In Fm dal marzo 2006, l’emittente, con i nuovi spazi che ospiteranno diverse iniziative, ha voluto rispondere all’invito che la Santa Sede ha rivolto alle radio cattoliche durante il primo congresso mondiale a loro dedicato a Roma dal 19 al 21 giugno dello scorso anno, di adibire cappelle nelle sedi radiofoniche. Hanno visitato i nuovi locali della radio il vescovo di Kinkala e presidente della Conferenza episcopale del Congo mons. Louis Portella Mbuyu e l’arcivescovo di Brazzaville e vicepresidente della Commissione episcopale dei mezzi di comunicazione sociale mons. Anatole Milandou. Radio Magnificat, diretta da padre Maurice Milandou, sacerdote spiritano, ha già trasmesso in diretta le prime celebrazioni religiose. Con il suo oratorio la radio mariana vuole anche offrire un contributo nella pastorale per i malati trasmettendo celebrazioni ed adorazioni eucaristiche. Agli ascoltatori viene anche data la possibilità di chiedere intenzioni di preghiera durante le messe. La prossima iniziativa di Radio Magnificat sarà l’apertura del mese del Rosario ad ottobre. In diretta sarà in onda mons. Jan Romeo Pawlowski, nunzio apostolico in Congo e Gabon. (T.C.)

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    In Portogallo convegno europeo sul ruolo dei laici nella Pastorale universitaria

    ◊   “Il ruolo dei laici nella pastorale universitaria”: è questo il tema dell’incontro dei direttori nazionali per la pastorale universitaria delle Conferenze episcopali d'Europa (Ccee) che si apre oggi a Porto, in Portogallo. Il convegno che si concluderà il 27 settembre, con la partecipazione di circa 30 delegati provenienti da tutte le Conferenze episcopali d’Europa, ha in programma diversi interventi, tra i quali quelli di mons. Marek Jędraszewski e di mons. Agustin del Agua, rispettivamente presidente ed esperto della Sezione università della Commissione “Catechesi, Scuola e Università” del Ccee che parleranno del ruolo dei leader laici nell’università e di missione e cultura nella formazione dei laici. I lavori - riferisce l'agenzia Sir - saranno aperti da mons. Jorge Ferriera da Costa Ortiga, arcivescovo di Braga e Presidente della Conferenza episcopale portoghese e da mons. Lorenzo Leuzzi, Segretario per la sezione “università” della Commissione Ccee. I partecipanti si soffermeranno anche sul recente incontro europeo degli studenti universitari (Roma, 9-12 luglio) e sulle implicazioni pastorali del discorso che Benedetto XVI ha rivolto ai partecipanti di quell’incontro attraverso una relazione di don Enrico dal Covolo della Pontificia università salesiana. Tra gli argomenti in discussione anche il prossimo Congresso europeo per i vescovi e i responsabili nazionali di pastorale universitaria del gennaio 2011 a Monaco di Baviera. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    L’Aiea conferma la costruzione di un secondo impianto per l’arricchimento dell’uranio in Iran

    ◊   A poche ore dall’importante impegno preso dal Consiglio di sicurezza Onu sul disarmo atomico, torna a far discutere il controverso programma nucleare civile iraniano. L'Aiea, l'agenzia dell'Onu che vigila sull'energia atomica, ha confermato di essere stata informata dall'Iran della costruzione in corso, finora tenuta segreta, di un secondo impianto per l'arricchimento dell'uranio. Ferma la condanna di Obama, Brown e Sarkozy che hanno inoltre invocato ispezioni immediate. Finora era noto soltanto un unico impianto di arricchimento situato a Natanz, nell'Iran centrale, sul cui funzionamento vigilano da tempo gli ispettori Onu.

    G20
    Le speranze di far ripartire l’economia mondiale sono riposte nel vertice G20 di Pittsburgh. Ieri sera la cena ufficiale, questa mattina, invece, i grandi della Terra hanno dato vita ai lavori. Ricchissima l’agenda dei temi da affrontare: si discuterà di come definire le nuove regole per i mercati finanziari con un'attenzione particolare alla lotta alla speculazione, ma anche di clima e di occupazione. E già si segnalano i primi scontri tra polizia e no global. Da Pittsburgh, ci riferisce Elena Molinari:

    Il segretario al Tesoro americano è convinto che dal G20 emergerà un accordo su una crescita più bilanciata, sinonimo in questi giorni di maggiori consumi e meno export da parte della Cina ed anche maggiori risparmi da parte degli Stati Uniti per ridurre gli squilibri commerciali. Nel documento conclusivo del vertice, Geithner prevede anche un accordo su una maggiore capitalizzazione delle banche e su un tetto ai bonus dei banchieri. Il premier svedese, Fredrik Reinfeldt, presidente di turno dell’Unione europea, ha concordato su questi due punti, ma ha anche aggiunto che l’Unione europea si aspetta che gli Stati Uniti facciano di più sul fronte del clima. Il presidente della Commissione europea Barroso ha invece detto di voler vedere più impegno sulla liberazione del commercio internazionale. Di certo i 19 Paesi più sviluppati e l’Unione Europea concorderanno oggi che è troppo presto per ritirare gli aiuti statali dall’economia, la cui ripresa è ancora debole. Il vertice è iniziato ufficialmente ieri e subito si sono verificati scontri tra polizia e manifestanti: gli agenti hanno risposto alla rottura di vetrine nel centro di Pittsburgh lanciando gas lacrimogeni e sparando pallottole di gomma.

     
    Usa terrorismo: raffica di arresti nelle ultime 24 ore
    Torna alto l’allarme terrorismo sul suolo americano. Nelle ultime 24 ore si sono susseguiti una serie di arresti. Le autorità statunitensi hanno fermato alcuni afghani sospettati di voler colpire la metropolitana di New York, un cittadino americano che puntava ad un ufficio federale di Springflied e un giovane giordano di 19 anni, arrestato a Dallas dopo aver piazzato un’autobomba inattiva vicino alla Fountain Place. Intanto tre americani, arrestati a luglio, sono stati accusati di aver organizzato un attacco contro la base dei Marines a Quantico in Virginia.

    Honduras
    Nella ormai lunga crisi politica e istituzionale dell'Honduras, dopo la destituzione lo scorso 28 giugno del Presidente Manuel Zelaya, dopo i due morti che si sono registrati nelle ultime proteste, oggi arrivano notizie che alimentano le speranze di una soluzione diplomatica e che rendono meno incandescente la situazione nel Paese. Ce ne parla Luis Badilla:

    Il presidente ad interim Roberto Micheletti ha accettato di riprendere il dialogo con il governante destituito attualmente "ospite" dell'ambasciata del Brasile a Tegucigalpa, dove ha ricevuto la visita di diversi esponenti politici e del vescovo ausiliare della capitale mons. Juan José Pineda Fasquelle, in assenza del cardinale arcivescovo Oscar Rodriguez Maradiaga attualmente all'estero. Mons. Pineda non ha fornito alla stampa nessun dettaglio sull'incontro limitandosi a dire che ha voluto "dare un contributo al dialogo". Intanto la diplomazia internazionale è al lavoro e trova un importante sostegno nel comportamento dei principali 4 candidati alle presidenziali che, di fatto, stanno svolgendo un ruolo di moderazione rilevante. Lo stesso si può dire per quanto riguarda il Presidente del Costa Rica, Oscar Arias, e il Vice presidente del Panama Juan Carlos Varela, che sono tornati a Tegucigalpa sponsorizzati dall'ex Presidente americano Jimmy Carter per parlare con Micheletti. Proprio questi colloqui, in corso in queste ore, hanno fatto slittare di un giorno l'arrivo del Segretario generale dell'Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e di altri ministri degli Esteri latinoamericani. Da quest’intreccio di colloqui potrebbe sorgere una via di sbocco alla crisi ma certamente non sarà possibile prima di almeno 24 ore.

     
    Afghanistan
    Continuano senza sosta i combattimenti in Afghanistan tra le truppe della coalizione internazionale e miliziani talebani. Nella sola giornata di ieri cinque soldati statunitensi hanno perso la vita in tre distinti episodi nel sud del Paese.

    Pakistan
    Ennesimo raid statunitense contro una postazione talebana nord del Pakistan. Un aereo senza pilota ha colpito una casa uccidendo 12 miliziani. Un esponente dei servizi d'Islambad ha spiegato che l'obiettivo dell'attacco era una sede del gruppo di talebani guidati dall'afghano Jalaluddin Haqqani, responsabile di diversi attacchi oltrefrontiera.

    Iraq
    Sono almeno 15 i soldati iracheni morti a Mossul, in Iraq, in seguito ad un’esplosione accidentale mentre si accingevano a far brillare degli ordigni trovati sul ciglio di strade. La deflagrazione è avvenuta in un’area deserta nella cittadina di Bashika.

    Libano
    In Libano sono iniziate ieri le consultazioni per formare un nuovo governo, più di tre mesi dopo lo scrutinio legislativo del 7 giugno. Tre mesi segnati da un nuovo braccio di ferro fra la maggioranza sostenuta dall’Occidente e l’opposizione appoggiata da Siria e Iran. Dopo aver dato le dimissioni due settimane fa, Saad Hariri è stato di nuovo incaricato la settimana scorsa di formare un governo dal presidente Michel Suleiman.

    Israele: aperto il processo a Ehud Olmert
    Si è aperto oggi il processo all’ ex premier israeliano Ehud Olmert accusato nel 2008 di corruzione. Secondo la magistratura Olmert avrebbe ricevuto ingenti fondi dall'uomo di affari statunitense Morris Talasnsky e favorito le iniziative industriali di persone a lui vicine. Da parte sua l’ex primo ministro si è sempre dichiarato innocente.

    Myanmar-Usa
    Accolto con favore dalla leader dell’opposizione birmana, Aung San Suu Kyi, l’annuncio del Segretario di Stato americano Hillary Clinton di avviare un dialogo diretto con la giunta militare. La Clinton ha aggiunto che le sanzioni in vigore restano ma è necessario lavorare per favorire riforme democratiche. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Gaia Ciampi)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 268

    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

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