![]() |
![]() |

Sommario del 24/09/2009
Videomessaggio di Benedetto XVI al Summit dell'Onu sul clima: i leader del mondo si uniscano per proteggere il Creato
◊ I leader degli Stati agiscano con coraggio per salvaguardare il dono prezioso del Creato: è l’esortazione di Benedetto XVI contenuta in un videomessaggio rivolto ai partecipanti al Summit dell’Onu sui cambiamenti climatici, a New York. Il testo del messaggio riproduce quanto il Papa ha detto durante l’udienza generale del 26 agosto scorso, nella quale ha dedicato ampio spazio al tema della difesa dell’ambiente. Il servizio di Alessandro Gisotti:
E’ importante che “la comunità internazionale e i singoli governi mandino i segnali giusti ai cittadini”: è l’auspicio di Benedetto XVI, che esorta i partecipanti alla Conferenza Onu sul clima a trovare le misure adeguate per contrastare le pratiche di sfruttamento dell’ambiente:
"The economic and social costs..."
“I costi economici e sociali nell’utilizzo delle risorse comuni – sottolinea il Papa – devono essere riconosciuti con trasparenza”, avendo cura per le future generazioni. “La protezione dell’ambiente, la salvaguardia delle risorse e del clima – è il suo monito - obbliga tutti i leader ad agire assieme, nel rispetto del diritto e promuovendo la solidarietà con le regioni più deboli del mondo”:
"Together we can build an integral human…"
“Assieme – prosegue il Pontefice – possiamo costruire uno sviluppo umano integrale da cui traggano tutti beneficio”, oggi come nel futuro. Uno sviluppo, rileva riecheggiando la sua ultima Enciclica, che sia “ispirato ai valori della carità nella verità”. Affinché ciò avvenga, è la riflessione del Papa, “è essenziale che l’attuale modello di sviluppo sia trasformato” attraverso un più grande senso di responsabilità per il Creato. Ciò, avverte, non è richiesto solo dai fattori ambientali, “ma anche dallo scandalo della fame e della miseria umana”. Benedetto XVI assicura, quindi, il suo sostegno alla Conferenza Onu, ricordando che la Chiesa considera le questioni concernenti l’ambiente strettamente legate allo sviluppo umano integrale.
Il Papa riceve un gruppo di vescovi brasiliani in visita “ad Limina”. Con noi, mons. Sérgio da Rocha, arcivescovo di Teresina nel nordest del Paese
◊ Benedetto XVI ha ricevuto stamani, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, un gruppo di vescovi della Conferenza episcopale del Brasile, regioni Nordeste 1 e Nordeste 4, in visita ad Limina. Un altro gruppo di presuli brasiliani sarà ricevuto dal Papa questo pomeriggio. Tra loro anche l’arcivescovo di Teresina, Sérgio da Rocha, che in questa intervista di Davide Dionisi si sofferma sulla realtà del nord-est brasilano e sulle sfide più urgenti per la Chiesa locale:
R. – Il Nordeste brasiliano è la zona più povera di tutto il Brasile, dove la gente vive in situazioni sociali molto difficili e la povertà colpisce la maggior parte del nostro popolo. Evangelizzare il popolo, a mio parere, è la sfida principale in questa parte del Brasile. Ci sono comunque alcune città in cui si vive un po’ meglio, in modo particolare nella capitale dello Stato di Piauí, Teresina, e nella città di Fortaleza, la capitale dello stato del Cearà. In questa situazione di povertà e di sottosviluppo diventa ancora più difficile il sostentamento del clero ed il mantenimento delle parrocchie. Però siamo anche la regione più cattolica del Brasile, con un religiosità popolare molto forte. Non è facile evangelizzare in mezzo a tanta povertà, con un cattolicesimo popolare e rurale da una parte ed il mondo urbano dall’altra.
D. – La Chiesa locale cosa sta facendo per attuare il “Documento di Aparecida” e quindi per realizzare la missione continentale?
R. – La missione continentale rappresenta un momento speciale di rinnovamento della fede, della vita cristiana e dello spirito missionario. Stiamo cercando di promuovere questo spirito missionario in tutte le nostre comunità e in tutta l’azione pastorale, per esempio nella catechesi, nella pastorale della gioventù, con le famiglie. Si deve uscire ed incontrare tutti per fare in modo che le persone diventino discepoli e missionari di Cristo.
D. – Parliamo dei giovani. Vuole raccontarci il vostro impegno pastorale a favore delle nuove generazioni?
R. – E’ sempre molto alta l’attenzione ai giovani, grazie anche alla pastorale della gioventù. E’ molto importante che i giovani possano essere evangelizzatori dei loro coetanei, aiutare quindi altri giovani. Dato che si trovano loro stessi in mezzo ai giovani possono certamente capire meglio quello che vogliono e quello di cui gli stessi giovani hanno bisogno nel senso della fede.
D. – Come cercate di affrontare il problema del proselitismo delle sette?
R. – Il problema del proselitismo delle sette c’è dappertutto. La missione continentale è la principale risposta a questo problema. Un problema che riguarda tutta l’America Latina e non solo il Brasile. Senza lo spirito missionario e la vera attività missionaria non è possibile affrontare il proselitismo delle sette. Abbiamo poi bisogno di avvicinarci sempre di più ai poveri, ai malati, ai sofferenti, ai giovani per portar loro la speranza e la gioia dell’incontro con Gesù, la vita nuova che ci dà il Signore.
D. – Nell’Anno Sacerdotale in che modo questa parte di Chiesa brasiliana intende rispondere all’appello del Santo Padre?
R. – Cerchiamo di dare il valore che deve avere il sacerdote all’interno della comunità cristiana: aiutare la gente a riconoscere il valore delle vocazioni sacerdotali, promuovere queste vocazioni attraverso la preghiera e la partecipazione nella vita della Chiesa. Il sacerdote deve avvicinarsi in modo fraterno, soprattutto con la preghiera e la partecipazione della comunità cristiana. Pregare, valorizzare ed aiutare gli stessi sacerdoti ad assumere sempre di più la propria vocazione, un rinnovamento della grazia del sacerdozio.
D. – Come affrontate le questioni cruciali come la difesa della vita e della famiglia?
R. – La difesa della vita e della famiglia è al centro dell’evangelizzazione. Un’iniziativa in grado di promuovere la difesa della vita e della famiglia è la costituzione delle commissioni di difesa della vita nelle diocesi o parrocchie insieme alle attività della pastorale della famiglia. La promozione e la difesa della vita sono gli obiettivi centrali di queste commissioni. Tra i vari compiti c’è quello della riflessione e della formazione delle coscienze, del valore della vita umana nei mass media – giornali, radio, tv -, nelle scuole, nelle università ed anche nelle comunità cristiane. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Il cardinale Spidlik: il Papa nella Repubblica Ceca per una Europa spiritualmente unita
◊ Fervono gli ultimi preparativi nella Repubblica Ceca per il viaggio apostolico di Benedetto XVI in questa terra dal 26 al 28 settembre. Il Papa visiterà la capitale Praga, Brno, capoluogo della Moravia, e Stará Boleslav, luogo del martirio di San Venceslao, Patrono principale della nazione, la cui festa, lunedì prossimo, è l’occasione del viaggio. Il servizio del nostro inviato a Praga, Sergio Centofanti.
Praga è una delle città più belle del mondo: placidamente adagiata, come Roma, sui dolci pendii di sette colli e attraversata dalle curve sinuose del fiume Moldava, le cui acque, solcate da vecchi e nuovi ponti, riflettono le immagini suggestive di un passato che ci parla di una fede tradotta in romanico, gotico e barocco. Piccola perla d’Europa. In queste terre, oltre mille anni fa, iniziarono la loro missione i fratelli Cirillo e Metodio per gettare i primi ponti tra il mondo ebraico-greco-latino e quello slavo, inventando un alfabeto grazie al quale queste popolazioni poterono leggere il Vangelo nella loro lingua.
Ma i due fratelli non ebbero vita facile nella costruzione di questi ponti di dialogo. E così chi li imitò. Questa è una terra di martiri: San Venceslao, ucciso perché con il Vangelo mise in questione gli interessi dei potenti; Santa Ludmilla, nonna di Venceslao, strangolata perché i suoi consigli erano semplicemente “cristiani”; Sant’Adalberto, trafitto dalle lance per aver annunciato che Gesù è Dio fatto carne; San Giovanni Nepomuceno, lasciato annegare nel Fiume Moldava perché non volle svelare al re i segreti del confessionale; San Giovanni Sarkander, torturato e ucciso perché durante le guerre di religione non stava con nessuno se non con la pace di Dio.
Terra del dolore e della risurrezione: a Brno, nel carcere fortezza dello Spielberg, il patriota italiano Silvio Pellico, dopo otto anni di sofferenze, ritrovò la fede e il perdono per i persecutori, scrivendo “Le mie prigioni”, primo trattato sui diritti dei detenuti. Terra violentata da due dittature: quella nazista e quella comunista che ebbero la pretesa illusoria di costruire un mondo contro Dio e senza Dio. Vent’anni fa cadeva il regime filosovietico che pensava di risolvere le ansie dell’uomo sul piano economico e materiale. E proprio vent’anni fa, Giovanni Paolo II canonizzava Agnese, principessa boema che nel XIII secolo distribuì ai poveri tutti i suoi beni per seguire Cristo crocifisso. Forse meno logico, ma più convincente.
Le ansie dell’umanità sono state ben descritte da un grande scrittore nato a Praga, Franz Kafka, vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900. Nelle sue opere (La Metamorfosi, Il Processo, Il Castello) l’uomo è sovrastato da una colpa misteriosa che deve espiare senza sapere il perché. Un male irrisolvibile che schiaccia la vita nei meandri di una quotidianità senza senso. Giovanni Paolo II, nei suoi tre viaggi in questo Paese, ha annunciato la Verità che libera da questo peso insostenibile e dalle violenze che ne derivano: ha annunciato la misericordia di Dio. A cui deve seguire il perdono dell’uomo. E così ha chiesto perdono e offerto perdono: per le sofferenze inflitte – e lo ha detto chiaramente nel caso di Jan Hus, il riformatore boemo ucciso sul rogo nel 1415 - e per le sofferenze subìte. Il perdono di Dio appartiene ad un’altra logica, ha un’altra grammatica, e genera pensieri e azioni completamente nuovi. E soprattutto ha i suoi misteriosi tempi nel produrre frutti e che l’umanità insofferente – nella sua fretta - non riesce a comprendere. Benedetto XVI viene in questa terra sulle orme di Giovanni Paolo II invitando a non avere paura, a non dubitare, a ripartire dalla fede: i tempi sono di Dio. I mulini del Signore – dice un proverbio ceco – macinano lentamente, ma macinano certamente.
Personalità di spicco della Chiesa ceca è il cardinale Tomáš Špidlík, nato 90 anni fa a Brno, in Moravia. Gesuita, costretto ai lavori forzati durante la guerra prima dai nazisti e poi dai comunisti, è diventato sacerdote a 30 anni in mezzo a difficoltà di ogni tipo. Noto per i suoi studi e per i suoi libri sulla spiritualità delle Chiese d’Oriente, vive e lavora al Centro Aletti di Roma con padre Marko Ivan Rupnik. Da quasi 50 anni collabora con la Radio Vaticana, con la sua meditazione del venerdì. Giovanni Paolo II lo ha creato cardinale nel 2003. Al cardinale Tomáš Špidlík, la collega Helene Destombes ha chiesto quale sia il significato di questa visita di Benedetto XVI in Cechia:
“Giovanni Paolo II è venuto qui 20 anni fa, quando è caduto il muro di Berlino e quindi quando è caduto il comunismo ed è nata la nuova Europa. Giovanni Paolo II ha affermato che scopo della sua visita era quello di lavorare all’unità spirituale dell’Europa. Benedetto XVI viene 20 anni dopo e viene proprio a Praga che è il centro geografico dell’Europa. Allora questa nuova visita del Papa ci fa pensare: dobbiamo fare un’Europa spiritualmente unita. Il viaggio del Papa non è un viaggio politico ma spirituale. I cechi sono un popolo di origine orientale che però è vissuto 2000 anni nella civiltà e nella cultura occidentale: così possono conciliare queste due mentalità affinché l’Europa - che per tanto tempo è stata divisa in due - possa tornare ad essere una sola Europa”.
Educare i giovani africani alla cultura della pace: intervista con mons. Nicolas Djomo, in vista del Sinodo per l'Africa
◊ Portare i valori della riconciliazione, della giustizia e della pace in Africa, un continente spesso colpito da conflitti ed emergenze umanitarie: questo uno degli obiettivi dell’imminente Sinodo dei Vescovi per l’Africa, che si svolgerà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre. Si tratta della seconda Assemblea speciale episcopale dedicata a questo continente, a distanza di 15 anni dal primo Sinodo del 1994. Ma come insegnare i valori della pace, soprattutto ai giovani? Padre Jean-Baptiste Malenge, del nostro programma Francese Africa, lo ha chiesto a mons. Nicolas Djomo, vescovo di Tshumbe e presidente della Conferenza episcopale nazionale del Congo:
R. - L'avenir du Congo...
Il futuro del Congo dipende dall'uomo che formiamo oggi. E questo passa attraverso l'istruzione e in particolare l’educazione ad una cultura della pace. Attualmente, abbiamo dei programmi nelle scuole primarie per parlare ai bambini più piccoli di pace attraverso l'identificazione con Cristo e dire loro che l’altro sono io e che il male che non posso fare a me stesso non lo posso fare al prossimo. È un programma che sta producendo ottimi risultati. Lavoriamo insieme ad altre Chiese, in modo da raggiungere tutte le comunità credenti nel nostro Paese, cristiane e non cristiane.
D. - Qual è l’impegno della Chiesa per la pace nel nuovo contesto del pluralismo democratico e dei media?
R. - Les moyens de communication sociale...
I mezzi di comunicazione sociale sono uno strumento per unire le persone. A partire dal Concilio Vaticano II, la Chiesa ha dato uno spazio importante alla comunicazione della Parola di Dio, ma anche alla formazione delle coscienze. Ciò significa che per tutti i mezzi di comunicazione sociale la questione fondamentale è il contenuto. Abbiamo bisogno di media ancorati a un contenuto di valore che possa formare l'uomo, la sua coscienza, ai valori egualitari della pace, della giustizia e dei diritti umani. E questo è ciò che facciamo nel nostro Paese, in particolare da quando molte delle nostre diocesi si sono dotate di radio comunitarie diocesane e anche di canali televisivi. Stiamo lavorando intensamente per fissare contenuti che riflettano la dottrina della Chiesa e che mettano l’uomo al centro di tutti i valori.
D. - Il rispetto dei diritti umani è un tema ampio di cui si parlerà al prossimo Sinodo…
R. - Exactement. Les droits de l'homme...
Sì. I diritti umani sono un tema ampio, molto importante, fondamentale. Un Paese che si sforza di difendere i diritti umani è in grado di costruire una società solida nell’interesse di tutti i soggetti. Questa è la base di tutto ed è per questo che noi, Chiesa cattolica, ci battiamo per il riconoscimento dei diritti delle persone in questo Paese. Quando abbiamo lanciato il nostro programma di educazione civica, dove abbiamo insegnato cosa sono le elezioni, la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti umani in un Paese dove la gente ha subìto decenni di repressione, abbiamo cominciato spiegando loro che hanno diritti e che senza il rispetto di questi diritti, non è possibile fondare una repubblica a beneficio di tutti. Quindi per noi la questione dei diritti umani è fondamentale e l’abbiamo inserita tra le materie fondamentali di insegnamento nelle scuole.
D. - Che ne è dell’inculturazione? Questa priorità, in Africa e in Congo, è stata dimenticata?
R. - Non, elle n'est pas oubliée...
No, non è stata dimenticata, nella misura in cui l'inculturazione, è la vita stessa. Lo dice il Santo Padre nel suo recente libro "Gesù di Nazaret", che ci invita a evangelizzare la cultura e ad inculturare il Vangelo. Si tratta di due facce di una stessa medaglia: c’è l'incontro di Cristo con l'uomo, l'uomo che riceve la Parola di Dio e, allo stesso tempo, questo uomo dà, al Vangelo che accoglie, una parte di sé. In primo luogo, il Vangelo, che è venuto a trovare il continente africano, il popolo africano con la sua cultura, sta cercando di trasformarlo in un discepolo di Cristo con i valori positivi della sua cultura. E poi, oggi, l'uomo africano vive in un contesto specifico. È molto importante che l'evangelizzazione tenga conto della situazione concreta dell’uomo da evangelizzare oggi, una situazione in Congo segnata dalla guerra, dalla povertà, le malattie, l'Aids… È essenziale che prendiamo in considerazione le situazioni in cui vivono gli africani, i congolesi oggi. Il Vangelo di Gesù Cristo viene a interpellarli in queste circostanze e noi siamo chiamati a lavorare in modo che l’uomo integrale, nelle sue molteplici dimensioni, possa incontrare Cristo ed essere salvato da Cristo.
L’importanza dell’annunciato Sinodo per il Medio Oriente nelle parole del Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici Nerses Bedros XIX
◊ L’annuncio fatto sabato scorso dal Papa di una prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente è stato accolto con grande entusiasmo. Si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010 sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza”. Si tratta di un evento storico di cui la nostra collega del programma arabo Jamal Ward ha parlato con Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX, Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici:
"Il sinodo che il Papa ha proclamato sabato scorso per le Chiese cattoliche del Medio Oriente è un evento storico. E’ la prima volta nella storia della Chiesa che c’è un sinodo a questo livello. E’ stato deciso dopo che il Papa è venuto in Medio Oriente, dopo l’ultimo viaggio che ha fatto in Giordania e in Terra Santa. Il Papa ha accettato la proposta che avevamo fatto negli ultimi Sinodi dei vescovi. E questo è per noi un motivo di speranza affinché noi lavoriamo di più sulla comunione e la testimonianza per le nostre Chiese, perché se non c’è comunione la nostra testimonianza è indebolita. Poi, dobbiamo anche pensare che abbiamo i nostri fratelli cristiani che non sono cattolici e le nostre relazioni con loro devono essere più forti e dare una testimonianza dell’unità dei cristiani. La testimonianza per quanto riguarda le altre religioni è molto importante perché gli altri vedono che i cristiani, anche se non sono uniti completamente, sono però uniti in varie forme, in vari compiti per il bene della società e del mondo.”
Il Papa ha annunciato il Sinodo definendolo “un fraterno incontro”. Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX sottolinea, dunque, l’importanza di questo incontro anche in relazione alle altre religioni:
“Per noi in Medio Oriente le altre religioni che incontriamo sono soprattutto l’islam e l’ebraismo. Anche questo è un punto importante che dobbiamo studiare più a fondo. Noi viviamo con loro da più di 10 secoli, con i musulmani da 13 secoli e con gli ebrei da 20 secoli. E’ importante anche trovare una lingua che ci unisca e dei principi basati sull’uomo e sul bene della società. Per noi è importante tutto questo per far regnare di più la pace in Medio Oriente, che da più di 60 anni non ha avuto un anno di pace, un anno senza guerra. Questo non lo possiamo fare da soli, abbiamo bisogno anche dell’aiuto di tutte le nazioni del mondo, almeno di quelle più importanti e più ascoltate.”
Tra i tanti aspetti della complessa realtà del Medio Oriente c’è quello delle migrazioni. Ecco la riflessione del Patriarca di Cilicia degli Armeni Cattolici su questo fenomeno:
“L’emorragia dell’emigrazione ci ha toccato profondamente. Oggi l’emigrazione è diventata un fenomeno che ci ha scosso moltissimo perché la maggior parte dei nostri fedeli vive fuori del territorio patriarcale, cioè fuori dell’Oriente, perciò anche i vescovi che sono nella diaspora saranno invitati a questo Sinodo. Lo scopo è di dare un segno di speranza alle nostre Chiese, ai nostri fedeli. Chiediamo a tutti di pregare per noi affinché lo Spirito Santo ci guidi e ci aiuti e ci mostri la via giusta.”
Nomina
◊ Benedetto XVI ha nominato delegato per le Rappresentanze Pontificie mons. Luciano Suriani, arcivescovo titolare di Amiterno, nunzio apostolico.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Il momento del disarmo atomico; la risoluzione al vaglio del Consiglio di sicurezza.
Il Fondo monetario internazionale scuote il G20: la crisi non è finita.
"A Praga un piccolo gregge accoglie un grande pastore"; un articolo del cardinale Miroslav Vlk sulla visita del Papa.
Nicola Gori intervista mons. Antonio Maria Vegliò sulla pastorale dei migranti.
Nell'informazione internazionale, Islamabad chiede a Washington nuovi finanziamenti.
In cultura, "La terribile forza dell'astrazione", di Andrea Monda, su un romanzo scritto da Clive Staples Lewis nel 1945 che si è rivelato profetico.
"Perché vale ancora la pena di ascoltare", un articolo di Piergiorgio Thìebat dedicato a Sant'Anselmo d'Aosta.
Pimpa e la gloria delle piccole cose, ovvero il mondo visto da una cagnolina a pallini rossi, di Elena Buia Rutt.
Assicurare una ripresa economica sostenibile: è l'obiettivo del G20 al via oggi a Pittsburgh negli Stati Uniti
◊ I leader del G20 si danno appuntamento da oggi a Pittsburgh, negli Stati Uniti per “valutare i progressi fatti dopo i summit di Washington e Londra e discutere le ulteriori azioni per assicurare una decisa e sostenibile ripresa della crisi economica e finanziaria globale”. Ma quali saranno gli aspetti ai quali verrà dato maggiore rilievo? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Gianfranco Viesti, docente di Politica Economica presso l’Università di Bari:
R. – L’enfasi, principalmente, è su energia e clima. La trattativa è su come contemperare le esigenze delle imprese – soprattutto in un momento di crisi e di difficoltà economiche come questo – con le prospettive di assicurare delle fonti di approvvigionamento che abbiano minori problemi di sostenibilità nel tempo. D’altra parte c’è la grande trattativa e il grande problema su come ridurre le emissioni. Come ha sottolineato di recente il presidente Obama, questa è una questione che riguarda il futuro – anche prossimo – di tutti i Paesi.
D. – Gli Stati Uniti premono sulla necessità di nuovi sforzi per ridurre gli squilibri economici mondiali al fine di prevenire un’altra crisi finanziaria come quella attuale. Quali sono, secondo lei, i maggiori ostacoli a questa posizione?
R. – Gli ostacoli principali di squilibrio sono all’interno del sistema americano, che è un sistema che ha avuto un debito – soprattutto privato – molto forte e dunque ha un livello di consumi e di importazioni insostenibile rispetto alla realtà economica. Il principale fattore di squilibrio è dunque la dinamica di consumi negli Stati Uniti che deve essere moderata. Questa è una cosa buona perché può ridurre gli squilibri commerciali, ma naturalmente significa che consumando meno gli americani, anche per noi gli sbocchi di mercato in quel Paese saranno più ridotti. Gli Stati Uniti faranno meno da traino alla domanda mondiale.
D. – Nato nel 1999, il G20 comprende nove decimi dell’economia mondiale, i due terzi della popolazione del pianeta. Presenti i Paesi in via di sviluppo, mancano però all’appello i Paesi del Terzo Mondo. Insomma, è un’assenza importante…
R. – Riuscire però a prendere decisioni con Paesi come India, Cina e Brasile è già un grande passo avanti: significa assicurarsi consenso non soltanto su iniziative dei vecchi Paesi industrializzati ma anche delle nuove potenze. Spesso poi il G20 ha allargato la presenza dei Paesi con maggiori difficoltà sul fronte della povertà e del sottosviluppo. Diciamo che l’architettura di governo nell’economia mondiale potrebbe certamente migliorare, ma qualche passo avanti si è sicuramente fatto.
Incontro a Roma sulla "Caritas in veritate". L’economista Flavio Felice: Benedetto XVI ci esorta a lavorare per uno sviluppo amico della persona
◊ Organizzato dal Centro Studi Tocqueville-Acton e dal ministero italiano per i Beni e le Attività culturali si tiene oggi pomeriggio a Roma, presso la Sala Convegni Santa Marta, un incontro sull’Enciclica “Caritas in veritate”. Intervengono il ministro della cultura, Sandro Bondi, il presidente del Censis, Giuseppe De Rita, il teologo della Lateranense, don Massimo Serretti, e l’economista Flavio Felice, docente alla Lateranense e alla Luiss, e presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton. Al prof. Felice, Alessandro Gisotti ha chiesto di contestualizzare l’Enciclica nell’attuale dibattito sulla crisi economica mondiale all'Onu e al G20 di Pittsburgh:
R. – Questa Enciclica si inserisce nel dibattito intorno ad una nuova visione dell’economia, in seguito alle note vicende legate alla crisi internazionale, con un approccio del tutto nuovo. Offre al dibattito politologico, al dibattito economico, dei contenuti nuovi, che la scienza economica ha spesso trascurato: penso al tema dell’impresa come comunità di uomini, come comunità di lavoro; penso al tema della fiducia, intesa come strumento attraverso il quale il mercato possa operare nel miglior modo possibile. Quali sono i frutti? I frutti sono che oggi non si parla di economia se non a partire da questi concetti.
D. – Ecco, in questi giorni, alle Nazioni Unite, al G20 di Pittsburgh, si discute sulle ricette per uscire dalla crisi economica. Il Papa, nella "Caritas in veritate", indica da dove ripartire: da uno sviluppo integrale della persona...
R. – Sì, questo è un tema che è molto caro a tutta la Dottrina sociale della Chiesa. Lo sviluppo integrale era caro a Paolo VI nella "Populorum Progressio", a Giovanni Paolo II nella "Sollecitudo rei socialis" e, giustamente, anche in "Caritas in veritate", che aggiorna le due precedenti Encicliche. Non sono i soldi e non è il Pil l’indicatore unico per comprendere la crescita economica mondiale, bensì vi sono altre condizioni, altre caratteristiche, altri indicatori. Questi altri indicatori devono tener conto della riflessione antropologica di Benedetto XVI, che era già presente ovviamente in Giovanni Paolo II. Ecco, perché parliamo di sviluppo integrale della persona. L’integralità è data dal fatto che la dimensione dell’uomo non è una dimensione unicamente economica, unicamente politica, unicamente sociologica, unicamente spirituale: è integrale! La nostra dimensione spirituale si realizza nel mondo, la nostra dimensione economica si realizza nella relazione con gli altri e tutto ciò rende ovviamente molto complesso, molto difficile, il lavoro di chi si occupa delle cose del mondo, ma è proprio questo che siamo chiamati a considerare.
Dall’aiuto umanitario a un’esperienza di condivisione: accade in una parrocchia e in un Centro dei Gesuiti di Londra, tra cattolici e musulmani
◊ Uno sciopero della fame che va da Roma a Parigi, da Londra a Toronto. E’ la scelta di tanti iraniani che vivono nel mondo per esprimere solidarietà a un gruppo di loro che vive in una particolare situazione in Iraq. Il servizio di Fausta Speranza:
Si tratta di 35 mila dissidenti al regime di Teheran, da 30 anni nel campo iracheno per rifugiati di Ashraf. Sotto gli anni di Saddam Hussein hanno vissuto indisturbati anche se tra loro c’erano diversi appartenenti al gruppo dei Mujaheddin del popolo che in passato è stato coinvolto in episodi di terrorismo. Per questo il gruppo è ancora sulla lista nera degli Stati Uniti, mentre l’Unione Europea ha riconosciuto nel gennaio scorso che hanno assolutamente messo al bando scelte di violenza. Uomini, donne e bambini di Ashraf durante la guerra scoppiata nel 2003 hanno goduto della Convenzione IV di Ginevra, come persone non coinvolte nel conflitto, e hanno accettato il disarmo totale ma dal ritiro delle forze internazionali, non hanno pace. Il campo è stato isolato con pesanti conseguenze sul piano umanitario, verificate anche da una delegazione di parlamentari europei nella scorsa primavera. Nel mese di agosto ci sono stati degli attacchi e 36 persone sono state portate via dalle forze dell’ordine irachene. E’ per sapere qualcosa di queste persone e delle altre isolate nel campo di Ashraf, che parenti e amici iraniani nelle principali città del mondo stanno facendo lo sciopero della fame, con dimostrazioni davanti alle ambasciate. A Londra il gruppo, che, ormai su sedie a rotelle, chiede l’attenzione internazionale davanti all’ambasciata statunitense ha trovato conforto dal punto di vista umano dai parrocchiani della vicina chiesa dell’Immacolata Concezione e dal vicino Mount Street Jesuit Centre. Abbiamo raggiunto telefonicamente padre William Pearshall, responsabile del Centro:
R. – The Church is concerned...
La Chiesa è preoccupata per coloro che fanno lo sciopero della fame. Ce ne sono 10 nel gruppo di questa zona di Londra. Uno dei leader ha chiesto: “Possiamo pregare nella vostra chiesa?” ed io ho risposto di sì. E così ha fatto la chiesa inglese. Quindi, sia la Chiesa anglicana che quella cattolica, nonché l’ambasciata, hanno accolto il gruppo per pregare in inglese ed in farsi. Sono musulmani, ma abbiamo pregato insieme, e loro sono stati molto contenti di trovarsi in una chiesa cristiana. Non ci occupiamo di politica, ma siccome questa è una questione umanitaria, siamo coinvolti. L’oggetto della protesta è quello di ottenere l’impegno, l’assicurazione, da parte del governo americano, quello britannico e quello iracheno che gli uomini che sono stati presi prigionieri dalla polizia irachena verranno rilasciati e che non saranno trattati male. Quindi, la protesta serve a richiamare l’attenzione sulla violazione delle garanzie per la protezione del campo dei rifugiati. Sanno che non possono fare molta differenza per quanto riguarda la politica, ma si appellano all’umanità del governo, perché onori questo stato di rifugiati del campo, garantito dalle Nazioni Unite ed anche attuato, credo, dagli Stati Uniti in Iraq. Sei anni fa non c’erano armi nel campo e c’erano 3000 persone: uomini, donne e bambini. La situazione necessita attenzione da parte del mondo.
D. – Lei non ha incontrato persone che sono state a Camp Ashraf?
R. – No, these are relatives and friends...
No, questi sono parenti e amici delle persone che si trovano nel campo. Uno di loro è stato già portato all’ospedale. Quindi, per la Chiesa è importante essere presente per quelle persone che stanno soffrendo. A livello emotivo sono molto fragili. Una cosa molto bella è stata vedere che erano molto felici di trovarsi in una chiesa cattolica. Hanno l’appoggio di molti cristiani e, soprattutto, un membro della nostra comunità, della nostra parrocchia, è con loro ogni giorno. Ma non abbiamo un gruppo di supporto ufficiale.
D. – Padre William, cosa significa questa esperienza per lei, per i suoi parrocchiani e per le altre persone appartenenti alla chiesa?
R. – We had a good group…
Avevamo un bel gruppo di cattolici che stavano nella chiesa quando la protesta è scoppiata, e sono rimasti molto commossi nel vederli entrare con le sedie a rotelle e nel capire che queste persone stavano facendo sacrifici molto seri per la loro salute per protestare. Non sanno quale sarà il risultato, ma l’impatto è stato meraviglioso, perché noi semplicemente abbiamo pregato insieme per la pace nel mondo, per la giustizia, per la sicurezza dei nostri amati. Preghiere dal cuore, preghiere che attraversano le divisioni tra cristiani e musulmani. Queste persone hanno detto che onorano Gesù e che amano Maria ed è stato un bene per la nostra gente ascoltarlo.
D. – Padre William, qualche volta parliamo del pericolo dello scontro di civiltà e questa è un’esperienza completamente diversa: musulmani e cattolici che pregano insieme...
R. – Yes, indeed. If only this could happen…
Sì, certamente. Se solo questo potesse succedere ancora, allora forse ci sarebbe speranza. Ma anche nella storia dei dissidenti iraniani si possono trovare ombre: all’origine del campo di Ashraf ci sono i mujaheddin del popolo, un’organizzazione che a volte lottando per la libertà in passato ha usato la violenza. Ma quando vediamo donne e gente anziana, gente fragile e vulnerabile, che non è combattente, che non è per la guerra, questa è la gente che rappresenta la famiglia, quella stabilità di cui ognuno ha bisogno nella propria comunità.
L’arcivescovo di Westminster, Nichols: la prospettiva di una visita del Papa ci riempie di gioia
◊ L’arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles, ha dichiarato di sentirsi incoraggiato e gratificato dalla notizia di una possibile visita di Benedetto XVI nel Regno Unito, l’anno prossimo. “Siamo felici – ha dichiarato l’arcivescovo Nichols – che il Papa stia prendendo in considerazione gli inviti che ha ricevuto dal governo di Sua Maestà, che si unisce al desiderio e alla richiesta espressa anche dai vescovi d’Inghilterra e Galles". “La prospettiva di una visita di Papa Benedetto – ha concluso l’arcivescovo di Westminster – ci riempie il cuore di gioia”. (A.G.)
Usa: i medici cattolici, in vista della riforma sanitaria, chiedono il rispetto della vita
◊ Un’attenta e articolata riflessione sull’attuale sistema sanitario americano è contenuta in una lettera aperta dell’associazione dei medici cattolici. In essa i dottori, che vantano una lunga esperienza accanto ai malati e alle loro famiglie, pongono importanti interrogativi in vista della riforma sanitaria che la presidenza Obama si appresta a varare. In particolare l’associazione ricorda che di fronte alla crisi dei finanziamenti per la salute è necessario guardare ad essa come ad un’opportunità affinché la nuova legislazione non sia viziata dalla mancata risoluzione di annosi problemi. Pertanto è fondamentale lavorare “per provvedimenti basati su autentici principi morali, sociali ed economici”. Sono poi note le carenze nel servizio sanitario nazionale con “molte persone che non hanno accesso alle cure perché prive di un’assicurazione”, con servizi notevolmente costosi, frutto “di decenni di politiche sbagliate”. Secondo i medici cattolici l’approccio attuale, che delega le scelte in materia di sanità ai singoli governi federali, va rivisto perché viola il principio di sussidiarietà per la prima volta articolato nella “Quadragesimo anno” di Pio XI e recentemente riaffermato da Giovanni Paolo II nella “Centesimus annus” e da Benedetto XVI nell’enciclica “Caritas in veritate”. Pertanto “aggiungere milioni di persone al sistema viziato ora in vigore – evidenziano i medici – non significa fare una riforma sanitaria”. Prendendo poi in rassegna alcune proposte in tema di ricerca staminale, ribadiscono la necessità di rispettare la dignità della vita umana ma le iniziative intraprese vanno in direzione contraria. “Permangono forti preoccupazioni – aggiungono – per quanto riguarda il finanziamento per l’assistenza delle persone gravemente malate”. “Dare al governo federale il potere e la responsabilità principale per contenere le spese mediche – prosegue la lettera - potrebbe mettere in pericolo l’assistenza ai più vulnerabili, agli anziani e ai malati cronici”. I medici intendono così sostenere provvedimenti che rendano possibile per gli individui e le famiglie il ricorso ad un’assicurazione sanitaria che incontri i loro bisogni e rispetti i loro valori. Un obiettivo possibile attraverso provvedimenti fiscali e incentivi economici. “Prima di sostenere la creazione di un altro grande programma di governo – aggiungono - dobbiamo lavorare per riformare quelli già esistenti”. In conclusione della lettera, l’auspicio è di favorire un impegno senza compromessi per difendere la sacralità della vita e il rispetto dei diritti di tutti coloro che saranno coinvolti nella riforma sanitaria. (A cura di Benedetta Capelli)
India: in Orissa prime condanne all'ergastolo per i pogrom anti-cristiani
◊ Prima condanna all’ergastolo per cinque giovani, imputati nei processi sulle violenze anti-cristiane nell’Orissa. Il tribunale del Kandhamal ieri ha comminato il carcere a vita per cinque giovani estremisti indù, dichiarati colpevoli dell’omicidio del pastore battista Akbar Digal e costretti a pagare anche una multa di 5mila rupie (circa 120 dollari) per incendi dolosi, saccheggi e roghi di abitazioni. Si tratta del terzo processo con a tema un caso di omicidio. I due precedenti casi vedevano coinvolto, tra gli altri anche, Manoj Pradhan, membro del parlamento dell’Orissa per il partito indù Bharatiya Janata Party, ma si sono conclusi con la completa assoluzione degli imputati dall’accusa di omicidio. Akbar Digal, 40 anni, era il pastore della comunità protestante del villaggio di Totomaha, parte del Gram Panchayat di Mondakia nell’agglomerato di Raikia. Al momento dell’attacco degli estremisti indù l’uomo, aveva cercato rifugio nei campi mentre sua moglie, con i cinque figli, era scappata nella direzione opposta. Gli assalitori, decisi a raggiungere il loro obiettivo ad ogni costo, avevano cercato il pastore casa per casa saccheggiando le abitazioni e incendiandole. Pur nascondendosi nei campi Akbar non era riuscito a sottrarsi agli occhi degli estremisti. Una volta catturato - riferisce l'agenzia AsiaNews - lo avevano obbligato ad abiurare il cristianesimo e convertirsi all’induismo. Davanti al rifiuto di Akbar gli assalitori lo hanno decapitato e hanno tagliato a pezzi il suo corpo. Una volta che gli estremisti hanno abbandonato il villaggio, la moglie si è trovata davanti al corpo bruciato e ridotto a brandelli. La notizia della condanna degli assassini ha ridato fiducia nella giustizia alla comunità cristiana del Kandhamal. Jay Prakash, 46enne fratello di Akbar afferma: “Siamo contenti che i giudici abbiano reso giustizia all’anima di nostro fratello. Gli attacchi barbarici esigono pene severe per i colpevoli”. Bulgan Digal, 48enne e fratello più anziano del pastore ucciso racconta: “Quando leggo sui giornali che i colpevoli vengono assolti perdo ogni speranza di una giustizia per noi. Questa sentenza spingerà i testimoni delle violenze a maggior coraggio, ridarà fiducia nella giustizia del Kandhamal alle vittime e sarà un deterrente per i criminali a ripetere simili brutalità nel futuro”. La condanna dei cinque avviene in concomitanza con l’assoluzione di altri cinque imputati in un secondo processo per roghi e violenze contro i cristiani conclusosi ieri al tribunale di Bhubaneswar. Ad oggi le due corti che esaminano i casi legati ai pogrom hanno messo in carcere 19 persone rilasciandone 88. Mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, ha accolto con soddisfazione il verdetto. Il prelato spera che questo “spinga i testimoni a non tirarsi indietro, e a deporre la verità nonostante le minacce”, ma non nasconde di “essere preoccupato per le tante assoluzioni di accusati coinvolti in crimini incredibili e in omicidi” e invoca di nuovo “ferme investigazioni e la protezione dei testimoni”. (R.P.)
I cristiani vogliono candidarsi alle prossime elezioni nello Stato indiano del Maharashtra
◊ Con l’avvicinarsi delle elezioni statali del 13 ottobre, la All India Christian Council (Aicc) ha chiesto a Sonia Gandhi, presidente del Congress, di nominare almeno nove membri della comunità cristiana in Maharashtra, inclusi tre a Mumbai. John Dayal, segretario dell’Aicc, ha detto che per una adeguata rappresentanza di cristiani fra i candidati, essi si sono appellati non solo al Congress, ma ai capi di tutti i partiti. Un altro membro dell’Aicc, Abraham Mathai, ha detto: “I cristiani sono emarginati dal punto di vista politico. La loro voce è ascoltata di rado. Per dare loro un senso di sicurezza è essenziale che siano rappresentati nell’assemblea in modo adeguato”. Anche la Mumbai Catholic Sabha - riporta l'agenzia AsiaNews - ha chiesto al Congress di dare spazio ai cristiani. “Abbiamo sempre appoggiato i partiti laici nelle elezioni statali – afferma Dolphy D’Souza, il presidente - ma ora vogliamo anche essere rappresentati”. Prima delle elezioni generali dello scorso maggio, i vescovi cattolici hanno scritto lettere pastorali raccomandando ai fedeli di uscire allo scoperto e andare a votare prendendo parte alla vita politica della nazione. Negli ultimi tempi ci sono segni che i cristiani stanno uscendo dal loro ghetto e condividono i problemi e le preoccupazioni di tutta la nazione. I cristiani nello stato del Maharashtra sono almeno 1,8 milioni, 800 mila dei quali sono a Mumbai. (R.P.)
Vietnam: protesta dell’arcivescovo di Hue per le violenze della polizia a Loan Ly
◊ Vigorosa protesta ufficiale dell’arcivescovo di Hue, mons. Étienne Nguyên Nhu Thê per la brutalità usata dalla polizia nella parrocchia di Loan Ly. In una lettera indirizzata alla diocesi, l’arcivescovo riferisce di essere personalmente andato all’Ufficio affari religiosi della provincia (Thua Thien-Hue), mentre il vescovo ausiliare mons. François-avier Lê Van Hông è andato a visitare e portare solidarietà alla parrocchia assalita, per la quale chiese le preghiera dei cristiani. Durante la notte tra il 13 e il 14 settembre, uomini della sicurezza e picchiatori avevano circondato la parrocchia e, con violenza e brutalità, hanno costretto ad abbandonare una scuola utilizzata per il catechismo. Hanno costruito intorno un muro di cinta. I cristani, accorsi numerosi in difesa della proprietà parrocchiale, confiscata nel 1975, hanno resistito per due giorni a questo brutale intervento della polizia. “L’arcivescovo - si legge ancora nel documento - alla guida di una delegazione si è recato all’Ufficio affari religiosi della provincia di Thua Thien-Hue martedì scorso, per esprimere la sua indignazione e il suo turbamento davanti all’arbitrarietà e alla violenza della quale avevano dato prova le autorità nell’affrontare una questione in rapporto alla religione, senza prima confrontarsi, discutere, né dialogare con i responsabili religiosi locali”. “Ieri, l’arcivescovo ausiliare, alla guida di un’altra delegazione, si è recato dai fedeli della parrocchia di Loan Ly, per incoraggiarli e sollecitarli alla mobilitazione”. “L’intera arcidiocesi di Hue condivide le sofferenze del sacerdote responsabile e dei fedeli della parrocchia di Loan Ly e chiede a tutti i cattolici della diocesi a essere vicini con la preghiera con questa parrocchia, affinché la giustizia e la verità siano rispettate in Vietnam, nostra amata patria. In qualsasi circostanza – conclude la lettera - dobbiamo vivere secondo lo spirito di Cristo, come l’insegna la preghiera di San Francesco d’Assisi: ‘Dove c’è odio che io porti l’amore. Dove c’è offesa che porti il perdono. Dove c’è la discordia che io porti l’unione. Dove è l’errore che io porti la verità' ”. (R.P.)
Rapporto Fao: nel 2050 un terzo di bocche in più da sfamare
◊ Nel 2050 la popolazione mondiale aumenterà di 2 miliardi e 300 milioni di persone: occorrerà quindi produrre il 70% in più di cibo e al tempo stesso fronteggiare i problemi della povertà e della fame, utilizzando al meglio le scarse risorse naturali, adattandosi ai cambiamenti climatici. Sono queste le principali sfide che il settore agricolo a livello mondiale si troverà ad affrontare nei prossimi decenni, secondo un Rapporto della Fao pubblicato ieri. Per questo l'agenzia dell'Onu sta organizzando un Forum di esperti, a Roma il 12 e 13 ottobre prossimi, per discutere le strategie su ''Come Nutrire il Mondo nel 2050''. Forum che preparerà il Vertice mondiale sulla Sicurezza alimentare, previsto a Roma dal 16 al 18 novembre 2009. ''La Fao è cautamente ottimista riguardo le possibilità del mondo di produrre cibo a sufficienza per nutrire la popolazione mondiale nel 2050'', ha dichiarato il vice-direttore generale della Fao Hafez Ghanem. Secondo le ultime stime Onu, la popolazione mondiale crescerà dagli attuali 6,8 miliardi a 9,1 miliardi nei prossimi 40 anni, vale a dire un terzo in più di bocche da sfamare rispetto ad oggi. Tale crescita della popolazione avverrà quasi per intero nei Paesi in via di sviluppo. La domanda di cereali è prevista raggiungere circa 3 miliardi di tonnellate nel 2050. La produzione cerealicola annuale dovrà aumentare di almeno un miliardo di tonnellate (a partire dagli attuali 2,1 miliardi), mentre la produzione di carne dovrà aumentare di oltre 200 milioni di tonnellate per raggiungere nel 2050 un totale di 470 milioni di tonnellate, di cui il 72% verrà consumato nei Paesi in via di sviluppo (dove oggi se ne consuma il 58%). La produzione di bio-combustibili potrebbe anch'essa contribuire - conclude la Fao - all'aumento della domanda di beni alimentari, a seconda dell'andamento dei prezzi dell'energia e delle politiche adottate dai governi. (R.G.)
Una nuova grande alleanza africana contro la malaria
◊ Sconfiggere la malaria entro i prossimi sei anni assicurando mezzi di protezione a tutta la popolazione a rischio. E’ l’obiettivo di un ambizioso programma per eliminare i decessi causati dalla malattia - di cui riferisce l’agenzia Misna - presentato ieri al Palazzo di vetro dell’Onu a New York. Promosso dai capi di Stato di 17 Paesi dell’Africa sub-sahariana, in collaborazione con il Segretariato Onu contro la malaria e l’Unione Africana, il programma “Alleanza dei dirigenti africani contro la malaria” (Alma) è stato creato per mantenere il tema della lotta alla malattia al centro dell’agenda politica internazionale. “Finché – ha detto Ray Chambers, inviato speciale del segretario generale dell’Onu per la malaria – tutti i capi di Stato e di governo dei Paesi africani in cui la malattia è endemica non si impegneranno in prima persona per eliminarla, non credo che avremo mai successo”. Secondo i dati più recenti dell’Organizzazione mondiale della sanità, i costi per il trattamento della malaria coprono il 40% del totale della spesa sanitaria in Africa. La malaria è responsabile del 2% delle morti nel mondo e del 9% in Africa. Si stima che ogni anno muoiano oltre un milione di persone, in gran parte bambini, per cause direttamente attribuibili al paludismo e almeno altrettante siano le vittime per le conseguenze della grave anemia causata dalla malattia. (R.G.)
Ecpat: 1,2 milioni di bambini nel mondo vittime di sfruttamento sessuale
◊ Ogni ora nel mondo 130 bambini e adolescenti sono vittime di traffico a scopo di sfruttamento sessuale. Minori reclutati per essere prostituiti, usati per immagini e video pornografici. E’ quanto emerge dal rapporto “La loro protezione è nelle nostre mani”, presentato ieri da Ecpat (una rete di organizzazioni in oltre 70 paesi, impegnata contro lo sfruttamento sessuale dei bambini) e “The Body Shop”. Dei 2,7 milioni di persone trafficate, - riferisce l'agenzia Sir - 1,2 milioni sono bambini. Dal 2003 al 2007 l'incidenza dei minori sul numero delle vittime è passato dal 15% al 22%, una cifra destinata a crescere nei prossimi anni a causa dell’estrema povertà. Si stima che il “fatturato” del traffico di donne, uomini e bambini sia di 27,8 miliardi di dollari all'anno. Il profitto annuale per ogni vittima è stimato intorno ai 67.200 dollari. L'età dei minori va dai 14 ai 17 anni, a volte anche tra gli 11 e 12 anni. In Europa sono 19 i Paesi in cui il traffico interno è riconosciuto come problema. In America la rotta più battuta è quella che va dall'America Latina agli Usa, con 14.500-17.500 persone trafficate ogni anno, di cui 1/3 minori. In Italia sono 54.559 le vittime di tratta che hanno ricevuto assistenza e protezione fra il 2000 e il 2007. Di queste (un numero sottostimato) 938 sono minori, soprattutto da Nigeria e Romania. I minori potenzialmente vittime di sfruttamento sono tra i 10-12 mila. (R.P.)
Il primo rapporto in Inghilterra della Commissione nazionale cattolica per la tutela dei minori
◊ Presentato ieri a Londra - riferisce l’agenzia Sir - il primo Rapporto annuale del “National Catholic Safeguarding Commission” (Ncsc). Commissione – ha spiegato il suo presidente Bill Kilgallon – istituita nel giugno del 2008 a sostituire l'Ufficio cattolico per la protezione dei bambini e degli adulti vulnerabili (Copca), voluto dal cardinale Murphy O'Connor, allora primate della Chiesa cattolica inglese, dopo la pubblicazione nel 2001 del Rapporto Nolan sulla protezione dei bambini nella Chiesa cattolica d'Inghilterra e del Galles. Oltre al presidente Kilgallon, hanno partecipato alla conferenza stampa il vescovo Declan Lang, suor Jane Bertelsen e il direttore del “Catholic Safeguarding Advisory Service”, Adrian Child. Il rapporto documenta che oggi il 96% delle parrocchie inglesi - in tutto 2589 - ha un rappresentante per la tutela dei bambini e la verifica di coloro che sono chiamati a lavorare con i piccoli o gli adulti vulnerabili. La Ncsc è stata infatti istituita con lo scopo di aiutare diocesi e parrocchie a realizzare un monitoraggio e un presidio costante denunciando, laddove sia necessario, qualsiasi situazione a rischio. Questo lavoro viene svolto da una rete di centinaia di persone, volontari e membri della stessa Commissione, supportato da uno staff professionale. “Il monitoraggio – ha spiegato Kilgallon – è essenziale per il ministero della Chiesa. Lo stesso Benedetto XVI ne ha sottolineato l’importanza parlando degli abusi all’interno della Chiesa. Le ferite causate da simili atti – sono parole del Papa – corrono in profondità. E’ compito urgente ricostruire la fiducia laddove è stata danneggiata da quanto è successo in passato e compiere tutti i passi necessari per prevenirli in futuro, così come assicurare che i principi della giustizia siano pienamente rispettati e possano soprattutto sanare le vittime”. I controlli effettuati nell’anno 2008 sono stati 17 mila, le imputazioni per presunti abusi sono state 50, con il coinvolgimento di 64 presunte vittime. I casi sono stati tutti segnalati alla Polizia ma in 29 casi non si è proceduto per insufficienza di prove, per morte del presunto abusatore o per non fondatezza della imputazione. (R.G.)
Appello della Conferenza episcopale canadese per contrastare il progetto di legge sull’eutanasia
◊ Il Parlamento canadese si prepara a discutere, nei prossimi giorni, il progetto di legge C-384, riguardante il diritto ad una morte dignitosa. Un progetto che, sottolinea la Conferenza episcopale cattolica canadese (Cecc), in realtà mira a legalizzare l’eutanasia ed il suicidio assistito all’interno del Paese. In questo clima, il presidente della Cecc, mons. V. James Weisgerber, arcivescovo di Winnipeg, ha scritto una lettera aperta al Parlamento e a tutta la nazione, per aprire una riflessione sulle conseguenze della possibile approvazione di tale normativa. Pur riconoscendo che i favorevoli alla legge sono motivati, senza dubbio, dalla preoccupazione della sofferenza altrui, il presule mette in dubbio tali motivazioni, perché portano ad una “deplorevole interpretazione della compassione, secondo la quale si può proporre l’eutanasia ai più vulnerabili, invece di assicurare loro, fino alla morte naturale, le cure appropriate, un controllo efficace del dolore, insieme ad un sostegno sociale, affettivo e spirituale”. “Dal punto di vista cattolico – si legge nella lettera di mons. Weisgerber – è legittimo ricorrere alle cure e ad altri mezzi per alleviare la sofferenza, anche se essi possono avere, come effetto secondario, di ridurre l’aspettativa di vita”. Tuttavia, continua il presule, “una persona può legittimamente rifiutare procedure mediche che si rivelino particolarmente dolorose”. Ciò che non è, invece, “mai accettabile”, afferma ancora il presidente della Cecc, “è uccidere in modo diretto e intenzionale le persone depresse, disabili, malate, anziane o in fin di vita, secondo gli insegnamenti del “Catechismo della Chiesa cattolica”, n. 2276-77”. Per questo, scrive ancora l’arcivescovo di Winnipeg, “difficilmente una qualsiasi legge che autorizzi l’eutanasia ed il suicidio assistito proteggerebbe i più indifesi all’interno della società”. Infatti, “per la loro stessa natura, l’eutanasia ed il suicidio assistito annullano il nostro comune dovere di proteggere la vita altrui”. Mons. Weisgerber deplora, poi, l’opinione di chi vede nell’eutanasia e nel suicidio assistito “un modo di ridurre i costi e il peso che gravano su coloro che assistono i malati”. “Inevitabilmente – continua il presule – ciò che ne risulta è una società sempre più frammentata, i cui membri vivono isolati e impauriti”. Di qui, l’invito della Cecc a tre destinatari differenti: innanzitutto ai membri del Parlamento canadese, perché “ricorrano a definizioni chiare, nell’ambito del dibattito previsto, e siano attenti all’impatto profondo che avrebbe l’adozione di questa legge sulla vita delle persone e dell’intera comunità”. Il secondo appello è, invece, rivolto “a tutti i canadesi, perché si informino meglio sull’eutanasia e sul suicidio assistito e promuovano, al contrario, le cure palliative e le cure domiciliari, così da aiutare sia i malati sia coloro che li assistono”. Infine, il presidente dei vescovi canadesi si rivolge in particolare “ai cattolici, ai fratelli e alle sorelle di altre comunità cristiane o di altre religioni, affinché tutte le persone che apprezzano la bellezza e la dignità della vita si impegnino in questo dibattito con disponibilità e riguardo, al fine di testimoniare un profondo rispetto per tutta la vita umana”. (I.P.)
Appello dei vescovi boliviani per la tutela del bene comune in vista delle elezioni di dicembre
◊ “Il nostro è un appello per una valutazione etica ed evangelica” delle diverse alternative politiche che il popolo boliviano ha di fronte nelle prossime elezioni generali del 6 dicembre prossimo. Lo affermano i vescovi della Bolivia in una dichiarazione riguardante il delicato processo elettorale apertosi dopo l’entrata in vigore della nuova Costituzione. Il popolo boliviano dovrà rinnovare le principali cariche politiche, dal Presidente e vice presidente della Repubblica fino ai governatori dei 9 distretti così come le due Camere del Parlamento. Così lo stabilisce una disposizione transitoria della nuova Costituzione entrata in vigore pochi mesi fa. “E’ parte della nostra missione evangelizzatrice offrire ai cattolici, in quanto pastori, parole di orientamento sul processo elettorale” a partire della Dottrina sociale della Chiesa “che può illuminare i nuovi problemi che si presentano”. Dopo aver rilevato ancora una volta che la Chiesa boliviana non offre soluzioni tecniche né tantomeno partitiche, i presuli osservano di essere mossi solo dal desiderio di dare un contributo alla riflessione etica ed evangelica “poiché, alla fine, ogni atto umano, personale e sociale ha sempre delle implicanze etiche ineludibili”. I vescovi in primo luogo invitano a votare e chiedono che nessun cittadino sia indifferente di fronte all’importante e delicata scelta sono chiamati a fare per i prossimi cinque anni e, al contempo, si complimentano con la cittadinanza, iscrittasi massicciamente nei nuovi registri elettorali che, questa volta, includono i cosiddetti parametri biometrici. Ciò, tra l’altro, accrescerà fortemente la trasparenza e la correttezza del processo di votazione evitando situazioni illegali tipiche del passato. D’altra parte i presuli chiedono a tutti, in particolare ai politici candidati e ai mass media, di lavorare sempre in favore del rafforzamento dell’istituzioni democratiche. Al riguardo inoltre i vescovi ricordano quanto sia utile e importante in questo senso “la serenità e la tolleranza” e perciò chiedono “una campagna politica rispettosa senza insulti e violenza e senza espressioni razziste”. Per la Conferenza episcopale ora è di fondamentale importanza che i candidati presentino proposte e contenuti chiari, possibilmente dei veri progetti sul futuro del Paese, accettando di discutere su tutto con tutti senza escludere nessuno, perché il dialogo aperto e sincero è un contributo alla crescita della nazione. Prima di concludere il loro documento, i vescovi boliviani si soffermano sulla rilevanza del bene comune, cuore del dibattito politico, anche perché questo bene è al “servizio dello sviluppo integrale” ed è il modo migliore di servire e difendere la dignità della persona umana. “Viviamo una tappa storica”, anche per via della “crisi economica che ci colpisce essendo ancora un Paese povero”, e quindi, termina il documento episcopale, ci auguriamo che “le campagne politiche siano austere e senza sprechi”. “Se così non fosse, sarebbe in vero insulto e un’ingiustizia verso molti dei nostri fratelli che vivono in condizioni precarie, a volte nella povertà estrema. Oggi – aggiungono i vescovi - nessuno può essere passivo e restare con le braccia incrociate. L’unità, la pace e la vita democratica della Bolivia è responsabilità di tutti”. (A cura di Luis Badilla)
Perù: lettera dell’arcivescovo di Lima al clero per l’Anno Sacerdotale
◊ “La gioia è il tratto distintivo che deve manifestarsi in tutta la nostra vita: quando predichiamo, quando celebriamo la Santa Messa, quando lavoriamo in ufficio, quando amministriamo il sacramento della Riconciliazione”. Ad affermarlo è il cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo di Lima, nella sua lettera al clero che porta la data del 21 settembre, festa di San Matteo, apostolo ed evangelista, scritta per l’Anno Sacerdotale, ripresa dall'agenzia Fides. Citando in apertura l’esortazione dell’Apostolo Paolo ai Filippesi (4,4-7) “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti!”, il cardinale invita i sacerdoti, particolarmente in questo Anno, a “vivere la nostra vocazione con la gioia che scaturisce dal saperci figli di Dio in Cristo. In maniera del tutto speciale, attraverso il sacramento dell’Ordine, partecipiamo dell’unico Sacerdozio di Cristo. Questa gioia inoltre sgorga da un cuore limpido ed innamorato di Cristo, che agisce in ognuno di noi sacerdoti”. Il cardinale Cipriani ricorda che spesso i fedeli si accostano con maggior devozione e fiducia ai sacerdoti quando li vedono sereni e gioiosi, nel trasmettere la pace che Cristo ha posto nei loro cuori. “Al contrario, quando ci presentiamo con un volto corrucciato e con atteggiamento di fastidio, o con un tono di voce indispettito o contrariato, i fedeli diranno: questo sacerdote non è contento del suo ministero, non lo disturbiamo e cerchiamone un altro”. L’arcivescovo di Lima invita quindi a ricercare nel profondo del proprio cuore i motivi che possono contrastare questa gioia, per correggerli o confessarli, e prosegue: “In questo Anno Sacerdotale fai propositi di conversione personale seri e costanti, e sii convinto che l’amore di Dio per te è infinitamente misericordioso e ti cerca sempre per donarti la sua pace e la sua gioia”. Prima di concludere la sua Lettera, il cardinale arcivescovo di Lima ricorda che “la migliore promozione vocazionale è un sacerdote contento” ed invita tutto il clero ad impegnarsi seriamente in questo Anno Sacerdotale, nel cammino verso la santità, cosicché “risplenda la luce della chiamata per tanti giovani”. (R.P.)
Sud Corea: nell’Anno Sacerdotale ordinato il 5 millesimo prete nella storia della Chiesa
◊ E’ un traguardo che giunge nell’Anno Sacerdotale, proclamato da Papa Benedetto XVI, e che servirà a dare un impulso alla pastorale vocazionale in Corea: la Chiesa coreana ha festeggiato l’ordinazione del 5 millesimo sacerdote locale della sua storia, a partire dal 1845 in poi, quando si registra l’ordinazione del primo prete coreano, il martire sant'Andrea Kim Taegon. Alla liturgia di ordinazione di padre Dionysious Son Ho-bin, dell’arcidiocesi di Seul, celebrata dal cardinale Nicholas Cheoung, ha partecipato una folla entusiasta di fedeli che hanno salutato con preghiere e acclamazioni il dono ricevuto dalla Chiesa coreana, che apre radiose speranze per il futuro. “Quando sono stato ordinato sacerdote, nel 1961 – sottolinea nel comunicato inviato all’agenzia Fides il cardinale Cheoung – c’erano solo 250 preti coreani. Negli ultimi 50 anni il loro numero è cresciuto fino a 5.000 e questa fioritura di vocazioni al sacerdozio è segno che la Chiesa coreana sta camminando secondo la volontà e la grazia di Dio”. Il Cardinale ha invitato tutti i sacerdoti coreani a prendere esempio da San Giovani Maria Vianney per la loro vita sacerdotale e ha chiesto ai giovani di non accantonare la voce della coscienza, ma di rispondere con generosità alla chiamata del Signore che “manda nuovi operai nella sua messe”. Oltre all’ordinazione di padre Son Ho-bin a Seul, che ha avuto una vasta eco in tutta la nazione, anche le altre diocesi coreane stanno vivendo speciali iniziative per l’Anno Sacerdotale, con giornate e momenti di preghiera per i sacerdoti. Sono state diffuse nelle parrocchie le istruzioni per beneficiare dell’indulgenza plenaria e i fedeli sono di continuo sensibilizzati sul sostegno spirituale e morale, nonché sull’aiuto pratico, da offrire ai sacerdoti delle loro parrocchie, che hanno il dono di amministrare i Sacramenti a beneficio della comunità. (R.P.)
Diverse iniziative interreligiose nelle Filippine
◊ Un sentito ringraziamento alla locale comunità cristiana di Pasay City, popoloso distretto di Manila, è arrivato dai leader musulmani dopo il dietrofront del governo sull’abbattimento della moschea della zona. L’imam, nel corso di una cerimonia interreligiosa, ha evidenziato il contributo dei cristiani nella tutela del luogo sacro che, secondo il nuovo piano regolatore, doveva essere distrutto. Come riporta l’Osservatore Romano, sono diverse le iniziative nelle Filippine promosse nel segno del dialogo interreligioso. A Cotabato City, a Mindanao, ad esempio, un liceo è frequentato sia da studenti cristiani, musulmani e credenti di altre religioni. Le classi sono miste e gli alunni partecipano alle festività delle diverse confessioni. “Questo è il nostro modo - ha detto il preside del liceo – per costruire una pace durevole nella tormentata regione di Mindanao”. (B.C.)
Inghilterra: indagine conoscitiva dei vescovi sull’enclave spagnola di Ceuta
◊ Un’indagine conoscitiva per vedere di persona la situazione dei migranti a Ceuta, l’enclave spagnola situata in Marocco: lo ha compiuta mons. William Kenney, portavoce per gli Affari europei della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles. Nei giorni scorsi, infatti, il presule, accompagnato da vari membri delle Commissioni europee per la Giustizia e la Pace, si è recato in questo territorio del Nord Africa, meta per migliaia di immigrati che vi approdano in cerca di un facile accesso all’Europa. “Abbiamo visitato la recinzione – ha spiegato mons. Kenney – costruita e controllata dalla Spagna, che circonda completamente Ceuta, ma non abbiamo avuto il permesso di accostarci ad essa. È ricoperta di filo spinato e fornita di un sistema coordinato di sorveglianza, con fari, videocamere e radar”. “Questa recinzione – ha continuato il presule – fa sì che migliaia di persone in fuga da guerre, povertà, carestia e torture, arrivino ora via mare. Con il risultato che molti di loro muoiono nel tentativo di raggiungere la Spagna attraverso lo Stretto di Gibilterra”. Mons. Kenney ha avuto modo di incontrare anche una rappresentanza di circa 600 immigrati a Ceuta: “Hanno raccontato la loro disastrosa situazione dalla quale sono fuggiti, ma anche questa sorta di ‘limbo’ in cui si trovano ora”. “A questi migranti – ha continuato il vescovo inglese – non è permesso di proseguire il viaggio in Europa perché Ceuta è soggetta strettamente al regolamento sull’immigrazione sancito dall’UE; ma molti di loro non possono neanche tornare nei loro Paesi d’origine perché temono per la propria vita”. E a questo punto, mons. Kenney ha lanciato una proposta: “Una possibile soluzione, che potrebbe risolvere parte del problema, potrebbe essere quella di permettere un’immigrazione controllata in Europa. Questo significherebbe che molte persone potrebbero scegliere la via legale per migliorare le proprie condizioni di vita”. (I.P.)
Francia: i vescovi bretoni solidali con i produttori di latte
◊ In un messaggio congiunto diffuso dalla Conferenza episcopale francese i vescovi della Bretagna, chiedono "solidarietà" agli allevatori che stanno protestando in questi giorni contro le quote latte e si appellano agli industriali della grande distribuzione perché diano una "giusta renumerazione" al loro lavoro. Il messaggio è firmato dai vescovi di Rennes, Dol, e Saint-Malo, di Vannes, di Saint Brieuc e Tréguier, di Quimper e Léon. "La crisi delle aziende agricole - si legge - è lì, profondo e complesso. Sentiamo il grido di disperazione dei produttori di latte" che per manifestare la loro protesta hanno addirittura distrutto parte del loro lavoro. I vescovi si chiedono se la "società è pronta ad accogliere questo appello di dolore" ed aggiungono: "la crisi del latte ha delle conseguenze a volte drammatiche sulle famiglie, per non parlare del danno che creerà nelle altre professioni dell'indotto agricolo". Da qui l'appello dei vescovi perché tutti, e in prima linea la comunità cristiana, mettano in atto forme di solidarietà per questa categoria. "Gli agricoltori hanno diritto al riconoscimento del loro lavoro attraverso una giusta renumerazione che permetta alle loro famiglie di vivere e di condurre il loro lavoro. Hanno diritto di sperare in una professione che merita di essere meglio apprezzata dai consumatori. La produzione agricola - aggiungono i vescovi - ha i propri criteri che devono essere riconosciuti e rispettati". Poi l'appello si rivolge agli "industriali della grande distribuzione", perché siano "disposti a pagare un prezzo equo ai prodotti della nostra agricoltura". (L.Z.)
Congo-Brazzaville: conclusi i lavori dell’assemblea generale del clero diocesano
◊ “Dire sì alla pace di Cristo per vivere con coraggio il ministero sacerdotale di fronte alle numerose paure suscitate dal mondo contemporaneo” e capire che il sacerdozio è l’amore di Cristo. Con questa esortazione formulata da mons. Portella Mbuyu, presidente della Conferenza episcopale congolese, si è conclusa nei giorni scorsi a Brazzaville la settima assemblea generale del clero diocesano del Congo. L’incontro è stato dedicato essenzialmente all’approfondimento del tema dell’Anno Sacerdotale. Al centro della riflessione sono state in particolare le difficoltà e le sfide che devono affrontare oggi i sacerdoti nel Congo-Brazzaville. Difficoltà di ordine anche materiale. Nel comunicato finale, pubblicato sul periodico dei vescovi “La Semaine Africaine” e ripreso dall’agenzia Apic, i sacerdoti congolesi invocano “più risorse” in particolare per “promuovere la loro vita spirituale”, la formazione permanente per potere essere “all’altezza dei loro compiti” e una giusta remunerazione. Tra le proposte emerse l’attivazione di un fondo di solidarietà e la costituzione di un sistema di previdenza sociale per i sacerdoti attraverso l’istituzione di un’assicurazione malattia e di un fondo pensionistico. I sacerdoti diocesani congolesi sottolineano inoltre la necessità di dare impulso alla dimensione missionaria della Chiesa in Congo e propongono di essere impiegati come preti “fidei donum” in altre diocesi del Paese anche con l’obiettivo di promuovere le vocazioni sacerdotali e religiose. La riflessione avviata – spiega il comunicato finale – permetterà ai vari gruppi di lavoro di preparare un “Direttorio del clero congolese”. (L.Z.)
Tanzania: il sostegno della Chiesa ai rifugiati del Burundi
◊ Il supporto ai rifugiati deve essere parte essenziale del lavoro pastorale: lo ribadisce mons. Protase Rugambwa, vescovo della Diocesi di Kigoma, in Tanzania, Paese che ha accolto, nell’ultimo decennio, circa 36mila sfollati provenienti dal Burundi. “Cerchiamo – sottolinea il presule – di accompagnarli e di aiutarli spiritualmente, alla ricerca della pace, tarsformando la loro mentalità dall’odio alla riconciliazione”. La riflessione di mons. Rugambwa arriva nel momento in cui il governo della Tanzania ha pianificato, entro la fine di settembre, la chiusura dell’ultimo campo profughi ancora presente nel Paese. In questo modo, i burundesi potranno tornare a casa, dopo una crisi umanitaria iniziata più di 30 anni fa: tra il 1960 ed il 1990, infatti, si è verificato un flusso migratorio continuo dal Burundi alla Tanzania, che ha visto anche gli sfollati del genocidio del 1972, scatenato dagli scontri etnici. A partire del 2002, però, non appena si ritenne possibile il rimpatrio in sicurezza, più di 400mila burundesi rimpatriarono. Di quelli rimasti in Tanzania, invece, circa 3.500 hanno ricevuto la cittadinanza. (I.P.)
L’impegno della Chiesa del Niger per la promozione del dialogo cristiano-islamico
◊ La promozione del dialogo interreligioso ha uno spazio prioritario nella piccola Chiesa del Niger, Paese a netta maggioranza musulmana. Da diversi anni la Commissione interdiocesana incaricata dei rapporti cristiano-islamici organizza a questo scopo sessioni di formazione e in particolare di introduzione alla conoscenza dell’Islam. I corsi – riferisce l’agenzia cattolica congolese Dia - sono rivolti principalmente ad agenti pastorali, sacerdoti, religiosi e religiose, affinché a loro volta possano incoraggiare le comunità cristiane al dialogo e all’incontro con i musulmani. L’iniziativa è il frutto di un’idea nata una decina di anni fa quando la Commissione maturò la convinzione della necessità di sensibilizzare i fedeli, in particolare i catechisti e i giovani, sull’importanza di buone relazioni islamo-cristiane nel Paese. Nel 2002 la Commissione ha pubblicato un primo opuscolo intitolato “Guida per un cristiano in un contesto musulmano” e articolato in 16 tematiche per mostrare le differenze e i punti in comune tra cristianesimo e Islam. Obiettivo della guida era di aiutare soprattutto i catechisti ad insegnare il messaggio cristiano nel contesto musulmano in cui sono immersi i catecumeni e i giovani cristiani nel Niger. Alla pubblicazione è seguita quella di una serie di schede intitolate “Conoscersi e rispettarsi” che illustrano le difficoltà e le condizioni pratiche per un dialogo fruttuoso. Altre schede sotto forma di libro intitolato “L’imprescindibile incontro tra cristiani e musulmani” sono uscite nel 2006. Da allora la Commissione interdiocesana ha organizzato anche diversi corsi misti di formazione al dialogo per cristiani e musulmani, tenuti da esponenti religiosi ed esperti delle due religioni. L’iniziativa ha incontrato un grande successo e altri corsi sono in programma nel prossimo futuro. Il Niger è uno dei Paesi africani con la maggiore presenza di musulmani. Dei suoi 13 milioni e mezzo di abitanti il 90,7% sono di religione islamica, l’8,7% seguaci delle religioni tradizionali africane e lo 0,6% cristiani (dati dell’”Aiuto alla Chiesa che Soffre”). I cattolici sono 19mila pari allo 0,4 per cento della popolazione. La Chiesa è attivamente impegnata nel campo sanitario, dell’educazione e della promozione umana. (L.Z.)
Eritrea: la più grande prigione africana per giornalisti
◊ L'Eritrea - riferisce l’Associazione Information safety and freedom (Isf) - conta oggi almeno 30 giornalisti e 2 operatori dei media imprigionati. Ad otto anni dall’avvio, nel settembre 2001, della grande campagna di repressione dei media, il Paese africano è secondo nella lista degli Stati con maggior numero di operatori dell’informazione in carcere, solo alla Cina che vanta il record negativo di 30 giornalisti e 56 cyberdissidenti imprigionati. La campagna repressiva che ha avuto in Eritrea altre due ondate nel novembre 2006 e nel febbraio 2009. In una risoluzione del 7 gennaio 2009, il Parlamento europeo ha espresso la sua "profonda preoccupazione per l'imprigionamento senza prove e senza arrivare a nessun processo di tutti i giornalisti incarcerati". Ma gli sforzi dell'Unione europea per ottenere notizie sui giornalisti arrestati non ha prodotto nessun risultato anche perché le autorità di Asmara non hanno mai risposto a nessuna richiesta di chiarimenti. L’organizzazione Reporters senza frontiere ha messo sul suo Sito la lista dei giornalisti detenuti. Tra le testimonianze più toccanti quella di Tedros Abraham, giornalista eritreo oggi rifugiato in Norvegia. (R.G.)
A Chicago sarà ricordato il 10.mo anniversario della dichiarazione comune sul giustificazionismo
◊ Commemorare la firma dell’accordo comune della dichiarazione dottrinaria sul giustificazionismo, siglata il 31 ottobre 1999 dalla Chiesa Cattolica e dalla Federazione Luterana Mondiale. E’ quanto intende fare la riunione, convocata il prossimo primo ottobre a Chicago, dal cardinale Francis George, presidente della Conferenza episcopale statunitense. All’iniziativa parteciperanno esponenti del mondo cattolico, luterano e metodista. “Un momento storico per il cammino verso l’unità dei cristiani” ha dichiarato padre James Massa, direttore esecutivo del segretariato per i temi ecumenici e interreligiosi della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Diverse le iniziative in programma come una celebrazione presieduta dal cardinale George e dal vescovo Mark Hanson, presidente della Federazione Luterana Mondiale. L’intenzione generale è di proseguire in un impegno comune, come espresso qualche tempo fa – si legge in un comunicato della conferenza episcopale statunitense – dal presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, cardinale Walter Kasper. Il porporato aveva, infatti, incoraggiato il dialogo teologico per favorire e diffondere ancora di più la testimonianza del Vangelo di Gesù. (B.C.)
Chiesa e mezzogiorno: se ne è parlato ieri al Consiglio permanente della Cei
◊ Tre argomenti di grande impatto teologico-pastorale – riferisce l’agenzia Sir - sono stati al centro ieri dei lavori del Consiglio episcopale permanente in corso a Roma da lunedì scorso. Il primo ha riguardato il nuovo rito delle esequie, in vista della prossima Assemblea generale straordinaria di novembre. “Nell’attuale scenario socio-culturale – ha dichiarato mons. Domenico Pompili, portavoce della Cei – questa frontiera della vita viene spesso censurata, ma in realtà essa rappresenta una sfida che interpella tutti e in particolare chiede di essere accompagnata alla luce della fede cristiana. E’ infatti quello della morte uno dei momenti in cui la prossimità della Chiesa si manifesta più chiaramente ed esige oggi una particolare attenzione alle persone coinvolte, visti i processi di anonimato e di privatizzazione del dolore”. Si è poi analizzato l’adeguamento della normativa per gli Istituti superiori di scienze religiose alla luce delle più recenti indicazioni vaticane. “Si tocca qui – ha spiegato mons. Pompili - un punto rilevante nella formazione dei laici che rende necessario investire su docenti qualificati e insieme pone la domanda su come la scienza teologica sia capace di entrare dentro i gangli vitali della cultura diffusa e dei dibattiti pubblici”. Infine nel pomeriggio è stato presentato il documento su Chiesa e Mezzogiorno. “Si vuole così aggiornare, vent’anni dopo – ha sottolineato il portavoce della Cei - la lettura della questione meridionale sapendo di dire una parola sulla gente e sulla Chiesa del sud, ma in realtà rivolgendosi a tutta l’Italia e a tutta la Chiesa nel suo insieme”. (R.G.)
Conclusa la prima fase del XVII Capitolo generale dei missionari Comboniani
◊ Si è conclusa la prima fase del XVII° Capitolo generale dei missionari Comboniani, che si svolge a Roma, presso la Casa generalizia dell’Istituto missionario fondato da San Daniele Comboni, ed è stato aperto il 6 settembre con la Santa Messa presieduta dal cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. In questa prima fase - riferisce l'agenzia Fides - sono state presentate diverse relazioni: del Consiglio Generale, dei Segretariati e dei quattro continenti dove lavorano i Comboniani, tutte seguite dai lavori di gruppo. Padre Teresino Serra, Superiore generale uscente, ha focalizzato la sua relazione su tre aspetti simili che si integrano tra loro: rifondazione, riqualificazione e riprogrammazione dell’Istituto. “Rifondarsi - ha affermato il Superiore Generale - deve essere inteso come radicarsi nuovamente in Gesù Cristo, in Daniele Comboni e nella Parola di Dio, nell’impegno a trasformarsi come il nostro Fondatore, che da piccolo italiano cresciuto a Verona si trasformò in europeo e da ultimo in persona universale”. Il secondo aspetto, della riqualificazione, deve essere inteso – secondo padre Serra – come un “Metterci maggiore qualità di vita, maggiore radicalità di donazione, maggiore coerenza nella testimonianza di consacrazione”, ancor prima di intenderlo come verifica e valutazione degli impegni. “Coerenza e radicalità, perché la gente ci guarda e si aspetta da noi questo stile di vita”, ha insistito il padre Generale. Da ultimo, il Superiore generale ha insistito sul fatto che tra i maggiori compiti del Capitolo vi è quello di raggiungere l’’obiettivo centrale’, “Riprogrammare le nostre presenze e i nostri impegni secondo lo spirito della Regola di Vita, cioè privilegiando i più poveri e abbandonati nei quattro continenti, con particolare attenzione all’Africa, ai luoghi in cui nessuno vuole andare e alle nuove frontiere dell’emarginazione e dell’esclusione sociale”. Alla relazione del Superiore Generale e dei Segretariati generali hanno fatto seguito le presentazioni delle relazioni continentali. Il continente africano, culla del carisma e della vocazione missionaria dell’Istituto, continua ad avere come suo carattere di fondo la prima evangelizzazione. D’altro lato, l’Africa è divenuta ormai la sorgente principale delle vocazioni per la congregazione che sta passando da un’identità prevalentemente europea ad una sempre più internazionale. Le due relazioni del continente africano hanno sottolineato inoltre le situazioni di conflitto e di violenza riscontrabili in diverse sue nazioni. Animazione missionaria, giustizia e pace e una presenza significativa nel luoghi di frontiera e di esclusione sociale hanno caratterizzato la relazione del continente americano; un continente che, benché con numero ridotto rispetto al passato, continua a dare vocazioni missionarie. A questo continente si è associata l’Asia, dove vi è una presenza comboniana di una ventina di missionari presenti nelle Filippine, a Macao e a Taiwan, impegnati nell’annuncio evangelico nel più popoloso continente del globo. L’Europa è un continente oggi povero di vocazioni e con un numero crescente di missionari anziani e ammalati. Nonostante ciò, le province comboniane d’Europa hanno espresso la propria speranza nel futuro e il desiderio di identificare nuovi cammini per vivere il carisma comboniano: l’Animazione missionaria con un pieno inserimento e in collaborazione con le Chiese locali europee; l’internazionalizzazione delle comunità e soprattutto la determinazione ad assumere un chiaro impegno verso il mondo dell’immigrazione. (R.P.)
Assemblea generale dell’Onu: Obama annuncia una nuova era di cooperazione. Nuovo attacco ad Israele da parte di Ahmadinejad
◊ “La democrazia non può essere esportata, gli Stati Uniti non possono fare tutto da soli”. Così il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, davanti all’Assemblea Generale dell’Onu, riunita per la 64.ma sessione. Un discorso – il primo del neo presidente al Palazzo di Vetro – che ha sancito la fine ufficiale dell’era Bush. Ma a fare notizia, ieri, anche il lunghissimo intervento del leader libico Gheddafi e quello provocatorio del presidente iraniano Ahmadinejad. Dal Palazzo di Vetro, a New York, ci riferisce Elena Molinari:
I leader del mondo, riuniti per i lavori della 64.ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, hanno offerto ieri le loro ricette per affrontare le sfide globali. Il presidente americano Obama, nel suo primo intervento all’Assemblea, ha invitato i leader del pianeta a superare le divisioni del passato e a dare inizio ad una nuova era di cooperazione basata sul rispetto reciproco. Quindi, ha aggiunto che all’Onu spetta un ruolo chiave nella ricerca delle questioni più pressanti che minacciano il pianeta, dal surriscaldamento del clima alla proliferazione nucleare. Il presidente iraniano Ahmadinejad ha accusato Israele di politiche inumane contro i palestinesi e se l’è presa con le forze straniere che spargono guerra, sangue, aggressione e terrore in Iraq e in Afghanistan. Numerose delegazioni hanno però abbandonato l’aula durante il suo intervento, mentre all’esterno, centinaia di manifestanti protestavano contro la sua rielezione. Il primo intervento di Gheddafi al Palazzo di Vetro si è invece trasformato in uno show di 90 minuti, dove il leader libico ha accusato l’Onu di non essere riuscito a prevenire 65 guerre. Gheddafi ha definito il “Consiglio del terrore” il Consiglio di Sicurezza, proponendone l’abolizione.
Obama, politica estera Usa
Molti, dunque, gli elementi di novità emersi da questa 64.ma sessione dei lavori dell’Assemblea Generale. A segnare il punto di svolta nella politica internazionale degli Stati Uniti e a rimarcare le differenze con la passata amministrazione Bush è stato proprio il discorso del presidente Obama. Stefano Leszczynski ha chiesto un commento a Paolo Mastrolilli, caporedattore ed esperto degli Stati Uniti del quotidiano La Stampa:
R. – Intanto ha indicato quattro obiettivi fondamentali che si pongono gli Stati Uniti: perseguire la proliferazione nucleare, favorire la pace e la sicurezza, curarsi anche dell’ambiente risolvendo la questione del riscaldamento globale e favorire un’economia equa che consenta lo sviluppo a tutti quanti. Naturalmente poi Obama ha dato dei segnali altrettanto importanti sul piano della politica generale statunitense, dicendo che tanto la democrazia non si può esportare e non si può imporre ed ha aggiunto che gli Stati Uniti non possono fare tutto da soli.
D. – Del tutto stridente con l’intervento di Obama è quello del leader libico Gheddafi ed anche quello di Ahmadinejad che ha provocato la dura reazione di molti rappresentanti europei…
R. – Gheddafi ha cambiato un po’ atteggiamento negli ultimi anni e quindi, da questo punto di vista, si sono riaperte molte porte alla Libia. Forse ha bisogno di prendere questi atteggiamenti anche per confermare il suo potere e le sue caratteristiche soprattutto ai Paesi africani e arabi che continuano comunque a guardare a lui come un punto di riferimento. Il discorso è forse più complicato per quanto riguarda l’Iran. Ogni tanto l’Iran torna sulle posizioni tradizionali che l’hanno reso un avversario per la gran parte della comunità internazionale.
D. – Tuttavia sono interventi che contengono molti elementi condivisi da gran parte del mondo e dei Paesi in via di sviluppo…
R. – Per quanto riguarda la riforma delle istituzioni internazionali c’è sempre il pregiudizio di questi Paesi – giudizio per certi versi fondato – e cioè che il mondo occidentale domina queste istituzioni. C’è la percezione, da parte dei Paesi occidentali, che è necessaria una riforma e se ne discuterà adesso, al vertice del G20.
Iran-Cina nucleare
La Cina ritiene che un rafforzamento delle sanzioni economiche non sia il modo adatto per convincere l'Iran a rinunciare al proprio programma atomico. Lo ha fatto sapere il ministero degli Esteri di Pechino, dopo che ieri i sei Paesi mediatori sul nucleare di Teheran - più conosciuti come gruppo del 5+1 - hanno affermato che entro il primo ottobre l'Iran deve dare “una risposta seria” alle proposte di abbandonare le aspirazioni nucleari.
Pakistan
Ancora violenze nel nord-ovest del Pakistan. In diversi scontri tra esercito e miliziani islamici e fra questi ultimi e alcuni gruppi tribali sono morte almeno 27 persone. Nelle instabili aree del nord-ovest, diverse tribù hanno infatti deciso di appoggiare la guerra dell'esercito pachistano contro i talebani.
Afghanistan
Sulla missione in Afghanistan è nuovamente intervenuto il generale Stanley McChrystal alla guida delle truppe dell’Alleanza Atlantica nel Paese asiatico. Nessuno strappo con la Casa Bianca – ha detto - ma è necessario far presto nel definire la nuova strategia per continuare le operazioni militari. Secondo il Washington Post la richiesta del generale di un ulteriore aumento delle forze nel Paese asiatico sarà inoltrata al Pentagono entro la fine della settimana, ma non sarà immediatamente passata alla Casa Bianca. Intanto sul terreno si continua a combattere. Ieri in diverse operazioni delle forze Nato sono stati uccisi almeno cinque insorti. Si registra infine il ferimento di due militari italiani in uno scontro a fuoco nell'area di Shindand, nell’ovest del Paese. Fonti della Difesa assicurano che le condizioni dei due soldati non sono gravi. Proprio ieri, nella stessa zona, un altro militare italiano era stato colpito ad un braccio.
Honduras
Situazione sempre più incandescente in Honduras, dove proseguono le proteste dei sostenitori del presidente deposto Zelaya, da tre giorni ritornato in patria. Ci riferisce Francesca Ambrogetti:
La polizia ha confermato la morte di due sostenitori di Manuel Zelaya rifugiato da lunedì nell’ambasciata del Brasile. I feriti si contano a decine e i detenuti a centinaia. Il coprifuoco è stato sospeso per qualche ora mentre il fronte per la resistenza continua ad organizzare manifestazioni. Il presidente deposto ha detto di essere pronto ad un dialogo personale con Roberto Micheletti, insediato al suo posto il 28 giugno scorso; anche quest’ultimo ha ammesso la possibilità di un incontro. Le posizioni comunque continuano a essere molto lontane. L’Organizzazione degli Stati americani ha annunciato l’invio di una nuova missione a Tegucicalpa e la decisione ora che Zelaya è nel suo Paese di far tornare gli ambasciatori che aveva ritirato a suo tempo. Il presidente del Brasile Lula da Silva ha ribadito che “Zelaya non è un rifugiato politico della nostra ambasciata ma il presidente legittimo che il nostro Paese sta ospitando per proteggerlo e - ha aggiunto - vogliamo che resti tutto il tempo necessario per ricostituire la normalità istituzionale in Honduras”.
Vaccino Aids
Per la prima volta, un vaccino contro l’Aids messo a punto da ricercatori statunitensi e thailandesi sta dando risultati significativi durante la sperimentazione, dimostrando efficacia in almeno un terzo dei casi. Il vaccino è stato sperimentato dal 2003 su 16mila volontari. L’annuncio è stato accolto con grande interresse da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha definito incoraggianti i dati pubblicati, anche se “resta molto da fare per determinare se le componenti del vaccino sono amministrabili in altri contesti e con diversi sotto-tipi dell'Hiv”.
Yemen–Violenza
Sempre più preoccupante la situazione nello Yemen. L’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati ha lanciato l’allarme per le condizioni di migliaia di sfollati nel nord del Paese dove imperversa la battaglia tra ribelli sciiti ed esercito.
Niger
Andiamo in Niger. Si è dimesso stamani il premier Seïni Oumarou per presentarsi alle prossime legislative del 20 ottobre come capolista del partito al potere, il Movimento Nazionale per la Società dello Sviluppo di cui è il presidente dal novembre del 2008.
Svizzera
Entro la fine di questa settimana, la Svizzera uscirà dalla ''lista grigia'' dei paradisi fiscali. Lo ha annunciato un portavoce dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. l’Ocse, infatti, stila la lista dei Paesi che non collaborano nella lotta all'evasione. Berna dovrà comunque firmare due accordi di trasparenza finanziaria con gli Stati Uniti e il Qatar. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 267
E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.