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Sommario del 20/09/2009
No a menzogne e egoismi nelle comunità religiose e civili: così il Papa, che esprime profondo dolore per l’attentato in Afghanistan e annuncia il viaggio in Repubblica ceca
◊ Superare menzogne e egoismi per attingere alla sapienza di Dio: è l’invito del Papa che, all’Angelus a Castel Gandolfo, denuncia la tendenza a non rispettare la verità e a abbandonarsi a vendetta e odio. Poi, parole di dolore per l’attentato in Afghanistan con un appello alla pace e l'annuncio del prossimo viaggio in Repubblica ceca, che come l'Europa "ha bisogno di ritrovare le ragioni della fede e della speranza.” Il servizio di Fausta Speranza:
Chi è chiamato ad essere promotore e “tessitore” di pace nelle comunità religiose e civili, nei rapporti sociali e politici e nelle relazioni internazionali, è il primo ad essere interpellato dalle parole del Papa che parla di “scorie della menzogna e dell’egoismo”. Anche se – aggiunge il Papa – l’appello è per tutti. Ai nostri giorni – dice Benedetto XVI – “si constata non di rado un carente rispetto della verità e della parola data, insieme ad una diffusa tendenza all’aggressività, all’odio e alla vendetta”. “Forse – spiega – è dovuto anche a “certe dinamiche proprie delle società di massa”. Ma è possibile disintossicarsi da tutto ciò ci ricorda con forza il Papa:
“Perché non attingere dalla fonte incontaminata dell’amore di Dio la sapienza del cuore, che ci disintossica dalle scorie della menzogna e dell’egoismo?”.
Il Papa prende spunto dalla Lettera di Giacomo proposta nella Liturgia di oggi, in cui si contrappone la vera sapienza dalla falsa sapienza. Una è “terrestre, materiale e diabolica”, l’altra “che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera”. Il Papa spiega ancora una volta che la Sacra Scrittura ci conduce a “riflettere su aspetti morali dell’umana esistenza, ma a partire da una realtà che precede la stessa morale, cioè dalla vera sapienza”.
“Come Dio dal quale proviene, la sapienza non ha bisogno di imporsi con la forza, perché detiene il vigore invincibile della verità e dell’amore, che si afferma da sé. Perciò è pacifica, mite e arrendevole; non usa parzialità, né tanto meno ricorre a bugie; è indulgente e generosa, si riconosce dai frutti di bene che suscita in abbondanza".
“Per fare opere di pace bisogna essere uomini di pace”, sottolinea il Papa.
“Se ciascuno, nel proprio ambiente, riuscisse a rigettare la menzogna e la violenza nelle intenzioni, nelle parole e nelle azioni, coltivando con cura sentimenti di rispetto, di comprensione e di stima verso gli altri, forse non risolverebbe tutti i problemi della vita quotidiana, ma potrebbe affrontarli più serenamente ed efficacemente".
Dopo la preghiera mariana, il pensiero del Papa va alle “numerose situazioni di conflitto che esistono nel mondo” da cui “giungono quasi quotidianamente, tragiche notizie di vittime sia tra i militari che tra i civili”. “Non possiamo abituarci”, dice il Papa che esprime “profonda riprovazione” e “sconcerto”. In particolare, esprime “profondo dolore” per “il gravissimo attentato in Afghanistan ad alcuni militari italiani”.
“Mi unisco con la preghiera alla sofferenza dei familiari e delle comunità civili e militari e, al tempo stesso, penso con eguali sentimenti di partecipazione agli altri contingenti internazionali, che anche di recente hanno avuto vittime e che operano per promuovere la pace e lo sviluppo delle istituzioni, così necessarie alla coesistenza umana".
Il Papa assicura la sua preghiera e lancia un appello:
“Desidero qui anche rinnovare il mio incoraggiamento alla promozione della solidarietà tra le Nazioni per contrastare la logica della violenza e della morte, favorire la giustizia, la riconciliazione, la pace e sostenere lo sviluppo dei popoli partendo dall’amore e dalla comprensione reciproca".
Poi l’annuncio del prossimo viaggio, da sabato 26 settembre a lunedì 28, nella Repubblica Ceca, con soste a Praga, a Brno, in Moravia, e a Stará Boleslav, luogo del martirio di san Venceslao, patrono principale della Nazione.
“La Repubblica Ceca si trova geograficamente e storicamente nel cuore dell’Europa, e dopo essere passata attraverso i drammi del secolo scorso, ha bisogno, come l’intero Continente, di ritrovare le ragioni della fede e della speranza".
“Sulle orme del mio amato predecessore Giovanni Paolo II, che visitò quel Paese per ben tre volte, - dice il Papa - anch’io renderò omaggio agli eroici testimoni del Vangelo, antichi e recenti, e incoraggerò tutti ad andare avanti nella carità e nella verità”.
Nei saluti in varie lingue il Papa è tornato sul concetto di sapienza: in francese l’invito a ricordare che “l’importante non è essere primo ma servitore”; in inglese, la riflessione che “chi desidera essere il più grande deve diventare il servitore di tutti”. In spagnolo, un saluto al gruppo della Academia Superior de la Policía Nacional di Colombia. In ceco, un ringraziamento per le preghiere e la richiesta di continuare a pregare perché “la Visita pastorale contribuisca al rafforzamento della fede, della speranza e della carità nel Popolo ceco”. In sloveno, il pensiero alla festa domani di San Matteo, Apostolo ed Evangelista, con un saluto particolare ai pellegrini della Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Janova Lehota.
In polacco, il Papa ricorda che si celebra oggi in Polonia la Giornata dei Mezzi di Comunicazione Sociale ed esprime “particolari parole di gradimento e di riconoscenza alle redazioni cattoliche dei media in Polonia, che festeggiano il 20° anniversario della loro attività”. “Auguro – dice - a tutti gli operatori nel settore delle comunicazioni sociali di propagare una cultura del rispetto, del dialogo e dell’amicizia”.
Infine in italiano un pensiero particolare a due scolaresche di Castel Gandolfo: la Scuola Pontificia Paolo VI e la Scuola Maestre Pie Filippini, al gruppo dell’UNITALSI di Martina Franca e ai partecipanti all’Ecorally di San Marino. E il saluto di “arrivederci” alla comunità di Castel Gandolfo, ricordando che domenica prossima il Papa sarà nella Repubblica Ceca, e nella settimana seguente rientrerà in Vaticano.
Il cardinale Vlk: la visita del Papa in Cechia è una grazia per tutto il Paese
◊ Si è svolta ieri a Brno, nella Repubblica Ceca, una conferenza sul magistero di Benedetto XVI, in preparazione al viaggio apostolico che il Papa compirà in questo Paese dal 26 al 28 settembre prossimi. In tutta la Cechia è un fervore di iniziative in attesa di questo evento. Il Pontefice visiterà Praga, Stará Boleslav e Brno, in occasione della festa di San Venceslao, Patrono della nazione. Il viaggio avviene a 20 anni dalla caduta del comunismo. Cosa è cambiato in questi anni per la Chiesa? Ascoltiamo il cardinale arcivescovo di Praga, Miloslav Vlk, in questa intervista rilasciata alla Tv cattolica slovacca Tele Lux:
R. – Dopo la caduta del comunismo si è aperto uno spazio di libertà molto grande per la pastorale e le altre attività della Chiesa. Invece, a 20 anni dalla caduta del comunismo, non si è risolta ancora la questione della restituzione dei beni della Chiesa: i politici non vogliono risolvere queste questioni e così siamo sempre dipendenti dallo Stato per i salari dei sacerdoti. Noi vogliamo essere veramente liberi, anche in quest’ambito. Noi dialoghiamo con lo Stato ma i vari governi che si sono susseguiti in questi anni non sono stati disponibili ad affrontare questo problema. A vent’anni dalla caduta del comunismo tutto ciò non è stato ancora risolto.
D. – Che dire della partecipazione del laicato alla vita della Chiesa?
R. – Durante il comunismo, durato 40 anni, tutta l’attività della Chiesa era controllata: solo i sacerdoti avevano il permesso di svolgere attività ecclesiali. I laici, invece, non potevano collaborare con i sacerdoti nelle attività apostoliche e pastorali: era vietato. Quindi, dopo la caduta del comunismo, si rendeva necessario ravvivare la partecipazione dei laici all’attività pastorale della Chiesa. Questo era un grande compito: far ripartire la collaborazione tra laici e sacerdoti. E pian piano si è andati avanti su questa strada.
D. – Quali sono, da una parte, i problemi più grandi della Chiesa e, dall’altra, le gioie più grandi, le speranze?
R. – Tra i nostri problemi più grandi c’è l’urgenza di una testimonianza più incisiva del Vangelo: dobbiamo portare questa testimonianza cristiana nella società che ci circonda. Credo che questo si dovrebbe realizzare in modo più veloce ma la situazione in cui siamo non è quella ideale. Tuttavia, questa società secolarizzata ha bisogno della testimonianza della vita cristiana. Innanzitutto, perciò, si deve vivere il Vangelo, farne esperienza personale e poi testimoniare. Questo, purtroppo, non si è ancora realizzato del tutto e questa è una nostra carenza ma anche la nostra prospettiva. Per quanto riguarda le gioie, invece, posso dire che ci sono, soprattutto grazie alle conversioni. Ci sono tanti catecumeni: due volte all’anno abbiamo il rito dell’accoglienza dei catecumeni nella Cattedrale e l’ultima volta, prima delle vacanze, ce n’erano 150. E’ un numero davvero notevole e questo è sicuramente fonte di gioia.
D. – Quali sono allora le aspettative per la visita del Santo Padre?
R. – Siamo un piccolo popolo, un piccolo Stato nel cuore dell’Europa, e per noi è una grazia, una vera benedizione la visita del Santo Padre. Ci aspettiamo da questa sua visita un rafforzamento nella fede.
Intervento della Santa Sede alla conferenza generale dell’Aiea: passi concreti verso il disarmo nucleare
◊ Disarmo e non proliferazione, ma anche crescita della domanda di energia, terrorismo, mercato nero di materiale nucleare. Sono queste alcune delle sfide che la società di oggi può e deve affrontare coltivando una cultura della pace fondata sul primato del diritto e sul rispetto della vita umana. Lo sostiene l’arcivescovo Marcelo Sanchez Sorondo, capo della delegazione della Santa Sede intervenuto alla 53° conferenza generale dell’Aiea, svoltasi a Vienna dal 15 al 18 settembre. "Al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera"- spiega il presule, riprendendo le parole di Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate, "è necessario difendere e promuovere instancabilmente un vero sviluppo umano di portata universale tra i saperi e le operatività". In questo ambito anche l’Aiea può e deve contribuire per favorire la cosidetta interazione etica delle coscienze essenziale per rispondere a queste sfide. "Tra le priorità di questa importante agenzia, afferma ancora il presule deve esserci quella di sollecitare e accrescere in tutto il mondo il contributo dell’energia atomica alle cause della pace e della prosperità; ma anche orientare le conoscenze nucleari verso altri campi quali la medicina, l’agricoltura, la sicurezza alimentare, l’accesso all’acqua potabile, attività queste che vanno inserite all’interno di un più esteso quadro di sviluppo, che metta al centro la persona umana, contemplando ripercussioni importanti non solo per le generazioni presenti ma anche per quelle future". L’arcivescovo Sorondo invita dunque gli Stati a perseguire come scopo ultimo il bene comune dei popoli e non il potere nazionale, sia esso economico o militare. "La Santa Sede -conclude il presule- nota con soddisfazione alcuni segnali positivi della volontà di mettere di nuovo il disarmo nucleare al centro del dibattito internazionale su pace e sicurezza. Ciò lascia ben sperare anche per gli esiti della prossima conferenza di esame del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, dove la comunità internazionale è chiamata a porre in essere passi concreti, trasparenti e convincenti". (C.S.)
In Congo l'Unicef denuncia violenze su donne e bambini da parte di soldati e ribelli
◊ Donne e bambini vittime di stupri e violenze perpetrate da soldati e ribelli che rimangono impuniti. Accade nella Repubblica Democratica del Congo nonostante la guerra sia ufficialmente terminata nel 2003. È questa la denuncia di Ann Veneman, direttore generale dell’Unicef, di ritorno dalla sua visita nella regione. Marco Bruno ha sentito Donata Lodi, direttore dei programmi Unicef.
R. – La situazione è pesantissima, soprattutto nell’Est del Congo: lo stupro usato come arma nel conflitto è purtroppo una pratica molto diffusa. Il nostro direttore generale, Ann Veneman, che si è recata in Congo, ha riportato testimonianze agghiaccianti: donne e bambine che avevano subito violenze molteplici. Il tutto s’inserisce in un contesto di una delle guerre peggiori. Ricordiamo che in Congo ci sono stati cinque milioni di morti: forse la guerra più sanguinosa dalla fine del secondo conflitto mondiale.
D. – A questo si aggiunge il senso di vergogna e la solitudine che la società locale impone a queste donne stuprate. Qual è il loro destino?
R. – Un racconto, raccolto dal nostro direttore generale, è indicativo: si tratta di una donna che aveva subito due volte una violenza, ma la cosa per cui era maggiormente disperata era il marito che la respingeva. Questo fatto di stigma sociale, di condanna è l’aspetto forse più devastante. Ci si rende conto che è difficilissimo aiutare, in queste condizioni, quelle donne e bambine che sono state vittime di violenze orrende.
D. – Per sostenere queste vittime avete creato il programma “City of Joy”. In cosa consiste?
R. – E’ un’iniziativa congiunta dell’Unicef, dell’ospedale Panzi e di organizzazioni non governative che puntano a dare aiuto materiale in primo luogo alle vittime di stupro. Creare quindi un centro specializzato per l’accoglienza delle donne che hanno subito traumi fisici. Serve poi anche un’azione intorno di sostegno psicologico, forme di aiuto e di reinserimento, di formazione professionale che creino prima uno spazio protetto per queste donne e poi una trasformazione dell’atteggiamento della società dell’est del Congo verso le donne vittime di stupri.
D. – Quali sono le prospettive?
R. – La situazione è di conflitto devastante. Al di là delle violenze sulle donne c’è anche una mancanza di risorse. Ricordiamo che questa è una zona potenzialmente ricchissima di risorse minerarie – dal coltan all’oro e ai diamanti –. E’ anche una zona in cui passano traffici mercantili, camion e purtroppo anche gli eserciti in guerra. Nella regione ha trovato quindi una situazione davvero devastante. Le varie forze ribelli – che in teoria hanno siglato accordi di pace – continuano comunque a controllare varie porzioni di territorio. In questo senso c’è perciò un grande lavoro da fare, per tutti gli organismi delle Nazioni Unite e di aiuto in generale, per cercare di arrivare in tutte le aree. Uno dei problemi più grandi che ha constatato il direttore generale andando lì è la difficoltà di arrivare in determinate aree del Paese. In queste zone portare gli aiuti è quindi ancora più difficile. C’è da fare un grosso lavoro ma c’è soprattutto da mobilitare la comunità internazionale, perché questa è un’area che produce una ricchezza che viene sfruttata da tutte le nostre società. Col coltan dell’est e del sud del Congo si fanno i computer portatili ed i telefonini; è un materiale fondamentale per tutta l’elettronica di seconda generazione. Le popolazioni locali vengono però lasciate in balia dei conflitti che si formano proprio attorno a queste ricchezze depredate.
“Insieme per l’Europa 2009”: da ieri al Centro Internazionale di Loppiano sono riunite 1200 persone di 60 movimenti e comunità italiane
◊ “In uno scenario internazionale caratterizzato da profondi mutamenti e da sfide di portata globale, assume particolare rilevanza l’impegno di quanti contribuiscono a promuovere un forte spirito di solidarietà e di coesione sociale”. Così il Presidente italiano Giorgio Napolitano in un telegramma ai 1200 partecipanti di 60 movimenti e comunità italiane riuniti da ieri al Centro Internazionale di Loppiano, nei pressi di Firenze, per la manifestazione nazionale “Insieme per l’Europa 2009”. Segna una nuova tappa nel cammino decennale di movimenti e comunità cristiane europei, impegnati nella costruzione di “un popolo unito che cammina nella luce del Vangelo per rinnovare l’Europa e contribuire a darle un’anima e un volto più fraterni”. Questa mattina, nell’Auditorium del centro internazionale di Loppiano, è echeggiata la domanda di “speranza creativa” cui i movimenti si impegnano a dare risposta in un’Europa attraversata da “paura e scetticismo”, dal “disimpegno dell’egoismo”. Speranza motivata da fatti: innumerevoli le esperienze concrete di fraternità in atto nei più diversi settori della società, comunicate in questi due giorni. Sorprendenti i frutti: mostrano che quando nasce un’opera, in qualsiasi campo, è contagiosa e si moltiplica se viene dallo Spirito”. Dello spirito dell’incontro a Loppiano Fabio Colagrande ha parlato con Salvatore Martinez, presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo:
R. – Di tappa in tappa, di meta in meta ci avviciniamo sempre di più al raggiungimento del desiderio di Gesù, cioè che tutti siano uno. L’unità è un fine, il mezzo attraverso il quale raggiungiamo visibilmente e nell’unica modalità che la Chiesa ci ricorda da 2 mila anni: stare insieme, costruire quella spiritualità della comunione tanto cara a Giovanni Paolo II e ribadita poi da Benedetto XVI, in un tempo in cui le diversità e le differenze vengono accentuate e sono soltanto sorgente di contrapposizioni, di violenze, di inimicizie. Nello sguardo della Pentecoste, nello sguardo dello Spirito, direi che ci sono uomini e donne che vogliono riconciliare gli opposti, che non hanno paura di esaltare le differenze, i carismi, i talenti, le culture, le etnie perché queste possano essere ricondotte in unità.
D. – Cosa manca ancora all’Europa per essere quell’Europa dello Spirito voluta da Giovanni Paolo II ed ora da Benedetto XVI?
R. – Manca un’anima. Bisogna costruire un’Europa dello Spirito. Questo è un tema oggi tanto caro a Benedetto XVI. Ma perché si possa costruire un’Europa dello Spirito noi dobbiamo promuovere una nuova cultura, direi anche una nuova dimensione interiore e spirituale dell’uomo. Non più quell’uomo ad una dimensione che già Marcuse – oltre 40 anni fa – individuava: un uomo frammentato, ripiegato, un uomo senza speranza che è un po’ il volto della nostra Europa che appare come una madre invecchiata sotto il peso di tanti secoli. Noi dobbiamo ritrovare freschezza, entusiasmo, voglia di vivere, voglia di trasmettere desiderio di vita alle nuove generazioni a partire dai valori dello Spirito. Un uomo più interiorizzato, più capace di silenzio e di meditare su ciò che è bene e su ciò che è male, quindi saper discernere. Trasmettere alle nuove generazioni queste ragioni di vita e di speranza è la grande sfida dell’uomo europeo. Una sfida che si è ancor di più accentuata sotto i colpi implacabili di una tecnologia, di una scienza, di una modernità e di un’etica che sembra volersi affrancare completamente da Dio. Per questo i movimenti possono svolgere un ruolo fondamentale: dire “Insieme per l’Europa” significa unire le nostre forze, le nostre virtù, i nostri carismi per costruire una nuova cittadinanza europea. E’ una cittadinanza dello Spirito.
D. – Dal vostro punto di vista a quale risultati concreti e in quali settori potrà arrivare questa collaborazione a servizio della dignità dell’uomo?
R. – Bisogna proprio rieducare alla fede e trasmettere la fede a partire da un disegno e da una visione comuni della storia. Ritengo che questo tema possa certamente abbracciare le grandi sfide del nostro tempo. Ce n’è poi un altro che è strettamente connesso: è la cultura del dialogo per costruire una pace vera, uno sviluppo sociale adeguato ed è un altro tema dominante per le politiche sociali della nostra Europa. Ci sono tanti modi di servire il bene comune e i movimenti lo fanno talvolta in silenzio, attraverso le loro opere, le realtà diffuse sul territorio ma alimentano costantemente questo disegno di rinnovamento, di ricostruzione di una cittadinanza che sia solidamente fondata su un’identità, su una tradizione, su una cultura che i nostri padri ci hanno consegnato. Giovanni Paolo II intuì questo disegno proponendo in modo così evidente il kairòs, la grazia, la bellezza dei nostri movimenti. Nello stare insieme non vogliamo ribadire alcuna primazia o supremazia; diciamo soltanto che abbiamo riscoperto nella nostra vita – e lo proponiamo ai nostri amici, ai nostri fratelli – la possibilità di essere uomini autenticamente e di vivere bene il nostro tempo.
Tra i promotori dell’incontro a Loppiano c’è Valeria Martano, della Comunità di Sant’Egidio, studiosa dell’Oriente cristiano. La sua riflessione, nell’intervista di Fabio Colagrande:
R. – Io direi che “Insieme per l’Europa” ha l’ecumenismo un po’ nel suo Dna. Dobbiamo partire da quando Giovanni Paolo II diceva che l’Europa ha due polmoni: uno in Oriente e uno in Occidente. E credo che “Insieme per l’Europa” abbia voluto recepire questo. Sulla scia del movimento iniziato da Giovanni Paolo II, di fraternità tra movimenti, nuove comunità cristiane, cattoliche all’inizio, noi abbiamo voluto vivere questo spirito guardando all’Europa tutta: quindi l’Europa dell’Est e l’Europa dell’Ovest. Per noi di Sant’Egidio, che torniamo adesso da Cracovia dove abbiamo avuto un grande incontro di dialogo tra le religioni e abbiamo potuto toccare con mano e vedere anche che parte importante ha l’Est dell’Europa, con tutta la tradizione dell’Oriente … Credo veramente che non possiamo pensare ad un’Europa unita senza pensare ad un’Europa dello Spirito, senza tener conto anche delle tradizioni dell’Oriente, delle tradizioni del Nord Europa, quindi, delle denominazioni evangeliche. “Insieme per l’Europa” è forse la prima volta di questo incontro di movimenti, di comunità di denominazioni cristiane diverse, che si riuniscono per conoscersi, per parlare, per convergere su alcuni temi.
R. – Non a caso negli ultimi anni si parla proprio di un ecumenismo che funziona perseguendo finalità di tipo sociale: tutela della dignità dell’uomo, pace, accoglienza degli ultimi. Su questi argomenti, l’amicizia tra i movimenti funziona…
D. – Su queste cose l’amicizia funziona, e io vorrei dire che noi sentiamo come cristiani che abbiamo una missione di unità e di pace, che dobbiamo consegnare all’Europa e che dobbiamo vivere dentro l’Europa. E’ un momento storico – non possiamo nascondercelo – piuttosto complesso, piuttosto difficile. Sembrerebbe che tante cose portino a guardare soltanto sé, a proteggersi dall’altro, dall’immigrato, lo straniero, colui che cerca di condividere qualcosa anche del benessere e anche dei valori democratici che l’Europa ha costruito. Siamo molto tentati di fare ciò, mi sembra. La cronaca degli ultimi mesi ci parla di notizie tristi, di chiusura, di respingimento e di allontanamento. Allora, invece, ci sembra molto importante che convergano coloro che hanno a cuore che l’Europa, che è stata segno di pace, rimanga e continui ad essere un segno di pace. (Montaggi a cura di Maria Brigini)
Oggi in Italia, Giornata dedicata ai malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica
◊ Oggi in Italia, Giornata Nazionale dedicata ai malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica, malattia neurodegenerativa al momento inguaribile. E’ la seconda volta che l’associazione Aisla Onlus promuove una giornata di iniziative ma anche di momenti di festa per promuovere l’integrazione dei 5.000 malati e la raccolta di fondi per un progetto di ricerca seguitoi dall’ Agenzia per la Ricerca sulla Sla. Aisla Onlus è co-fondatrice insieme a Fondazione Cariplo, Fondazione Telethon e Fondazione Vialli e Mauro. Presidente di Aisla Onlus è il dott. Mario Melazzini, un medico che ha famiglia e che è ammalato di sclerosi laterale amiotrofica. Delle prospettive di ricerca e di vita ha parlato con Eliana Astorri:
R. – E’ una malattia neurodegenerativa che colpisce elettivamente un particolare tipo di cellule nervose che si chiamano motoneuroni, il cui compito è quello di portare impulsi a tutta la muscolatura volontaria del nostro corpo. E’ malattia inguaribile, rara, malattia verso la quale non c’è una terapia specifica ma verso la quale si può fare molto con il supporto alla persona, alla famiglia ma in particolare anche con la ricerca.
D. – Dottor Melazzini che cosa possiamo fare per aiutare la ricerca?
R. - E’ per questo che noi malati, che gridiamo la nostra voglia di vivere, di essere liberi di vivere, abbiamo istituito la giornata nazionale e in questa occasione chi vorrà, chi potrà, potrà acquisire con una cifra simbolica una bottiglia di vino con l’acronimo “Quello buono fa bene alla ricerca”.
D. – Come saranno impiegati i fondi che riuscirete a raccogliere durante questa Giornata?
R. - Tutti i fondi che andremo a ricavare nel corso della nostra Giornata nazionale, saranno destinati ad adottare un progetto di ricerca in maniera mirata, selettivamente scelto dall’Agenzia nazionale per la ricerca sulla Sla. Quello che noi vogliamo trasmettere in occasione di questa giornata è un messaggio positivo. Il nostro è un messaggio di speranza, un messaggio di fiducia per noi malati e per i nostri familiari, un messaggio anche culturale, affinché si possa coniugare il concetto che con la malattia – anche inguaribile – se correttamente supportati, si può vivere con dignità. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Vivere il sacerdozio da religioso cappuccino con una missione ispirata alla spiritualità francescana
◊ E’ vicario della Provincia francescana dei cappuccini di Sant’Angelo e Padre Pio, è assistente spirituale dell’Ordine francescano secolare di Puglia e Molise, è giornalista, poeta e missionario part-time. Fra Antonio Belpiede è un religioso sempre in movimento, ma con lo sguardo volto sempre al Crocifisso, come ha imparato da San Francesco. La possibilità di scegliere il sacerdozio nella sua vita l’ha considerata dopo un pellegrinaggio, come racconta al microfono di Tiziana Campisi:
R. - Ho partecipato ad una marcia durante l’Anno Santo della Gioventù - ero un adolescente - da Assisi a Roma: andammo a celebrare la Messa con Paolo VI il giorno di Pasqua. Quindi durante la Settimana Santa viaggiavamo a piedi da Assisi a Roma. C’era un gruppo del Rinnovamento Carismatico americano che era sorto da pochi anni a Pittsburgh. Un giovane padre di famiglia che conoscevo appena, il terzo giorno fra Spoleto e Terni, mi fermò fra 150 persone in mezzo alla strada e mi disse in inglese: “Tu diventerai sacerdote”. Credo che per la prima volta in vita mia sentii il Signore passare, toccarmi l’anima. Ebbi paura e fui attratto. Ho resistito 4 anni. A 21 anni ho lasciato la ragazza, ho lasciato la gioventù francescana di cui facevo parte: nella mia Cerignola, in Puglia, sono entrato in convento, fra i Cappuccini.
D. - Che cosa le ha dato la spiritualità francescana?
R. - La bellezza della spiritualità francescana è che è nudamente evangelica. Francesco è uomo evangelico; quindi la spiritualità francescana è comunione e fraternità, comunione con Dio e fraternità con tutti gli uomini e con il cosmo stesso, con tutte le creature. Una visione poetica, evangelica, creativa e feconda della vita.
D. – Come uomo, quanto ha ricevuto da questo percorso?
R. – Siamo nella categoria dell’inestimabile, perché noi siamo uomini e siamo uomini di Dio. San Tommaso diceva: “Gratia a supponit natura”, la nostra natura umana viene permeata dalla grazia, viene trasformata, viene resa traslucida, luminosa… non si può dire! E’ un bene immenso, è qualcosa che supera ogni dignità umana, è dono gratuito di Dio riversato su un povero uomo che lo rende un re, un profeta, un sacerdote nei secoli.
D. – Qual è oggi la sua missione?
R. – Ho un lavoro abbastanza articolato, ossia la responsabilità di governo della mia provincia come vicario, sono missionario part-time, vado due mesi l’anno in Africa ad insegnare diritto canonico in lingua francese in un seminario interreligioso nella Repubblica Centroafricana, e sono ancora assistente spirituale dell’ordine francescano secolare - l’antico Terz’Ordine - sia per la Puglia che per il Molise. Dirigo una rivista francescana che esce a Foggia, “l’Amico del terziario”, poi vado ogni anno in Canada, da 11 anni: vado a predicare a Toronto per alcune settimane alla comunità italo-canadese. Più o meno questo è il mio lavoro.
D. – Può definirsi un uomo felice?
R. – Mi definirei in maniera più umile e concreta: un uomo in costante cammino sul sentiero della felicità. Sono felice e lotto tutti i giorni per essere felice obbedendo alla volontà di Dio, servendo i miei fratelli, la Chiesa e il Regno di Dio.
Ucciso in Amazzonia il missionario don Ruggero Ruvoletto, originario di Padova
◊ Tragico episodio di violenza in Amazzonia. Un sacerdote italiano, don Ruggero Ruvoletto è stato brutalmente assassinato nella sua parrocchia alla periferia di Manaos alle 7 di ieri ora locale. Cordoglio unanime dal mondo religioso, sconcerto e dolore sono stati espressi dalla Diocesi di Padova città di cui il sacerdote era originario. Don Ruggero Ruvoletto da due anni operava nella parrocchia di Santa Evelina alla periferia di Manaos nel nord-est del Brasile. Dopo le prime ricostruzioni, la polizia ha parlato di un possibile tentativo di rapina, ma l’ipotesi sembra non tenere visto che nella Chiesa sarebbero stati rubati solo una cinquantina di reali (circa una quindicina di euro), mentre altro denaro è stato lasciato nell'abitazione del sacerdote. Alcuni testimoni affermano però di aver visto due ''sconosciuti'' fuggire con alcuni oggetti appartenenti al religioso. Le forze dell’ordine hanno intanto arrestato tre persone sospettate di essere coinvolte nell'assassinio ma l’identità dei tre e l’eventuale movente restano sconosciuti. 52 anni, padovano Direttore del Centro missionario diocesano dal '95 al 2003, don Ruggero era partito nel luglio di 6 anni fa per il Brasile, come missionario fidei donum, poi 2 anni fa aveva raggiunto la periferia di Manaus un luogo di confine tra la città e la foresta dove la criminalità è particolarmente aggressiva. Dopo la notizia centinaia di abitanti del sobborgo di Manaos si sono raccolti attorno alla parrocchia per rendere omaggio alle spoglie del missionario italiano, che verrà sepolto in Italia. Questa mattina da Padova il vescovo della città Antonio Mattiazzo ha ricordato don Ruggero: si e' sempre speso tantissimo per la missione –ha detto il presule- era uomo e prete di animo buono, sereno, sempre sorridente e di una disponibilità totale. Il vescovo ha poi rivolto il suo pensiero a ''tutti i missionari che vivono il loro servizio, consapevoli di rischiare la vita per annunciare il Vangelo". (A cura di Cecilia Seppia)
Il Fmi vende oro per aiutare i Paesi poveri
◊ Via libera definitivo del Fondo monetario internazionale alla vendita di oltre 403 tonnellate di oro, pari a un ottavo delle sue riserve auree complessive, in favore dei Paesi in via di sviluppo. Il direttore generale del Fmi, Dominique Strauss Kahn, si è detto soddisfatto di una decisione che dà al Fondo gli strumenti per accelerare gli indispensabili prestiti ai Paesi più poveri. Nonostante i primi segnali di ripresa economica, intanto, la crisi finanziaria globale continua a far sentire i suoi effetti anche sui lavoratori dei Paesi ricchi. Nei Paesi del G20, cioè appunto quelli economicamente più forti, il numero complessivo dei disoccupati nel 2009 sarà tra i 219 e i 241 milioni, il più alto mai registrato. Lo afferma Juan Somavia, direttore generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), in una nota diffusa in vista del vertice dei capi di Stato e di Governo dello stesso G20, la settimana entrante a Pittsburgh. Somavia aggiunge comunque che quest'anno dai 7 agli 11 milioni di posti di lavoro saranno salvati o creati nei Paesi del G20 grazie alle misure di protezione sociale e di impiego adottate dai loro Governi dall’inizio della crisi economica. Tuttavia, la disoccupazione resta massiccia e Somavia ammonisce che se le misure speciali adottate saranno attenuate o ritirate troppo presto, la crisi dei posti di lavoro potrà ulteriormente peggiorare. Di conseguenza, il direttore dell'Ilo sollecita il vertice del G20 di Pittsburgh a migliorare le misure di sostegno all’occupazione e alla protezione sociale. (C.S.)
Onu: misure più adeguate per la protezione dei richiedenti asilo in Francia
◊ Creare un vero sistema comune di asilo europeo con regole e procedure ben definite. E’ questo l’appello dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, nel corso di un incontro ieri a Ginevra tra il Ministro per l’Immigrazione francese, Eric Besson, e l’Alto Commissario dell’Onu, António Guterres, per fare il punto sulle problematiche legate all’immigrazione nel nord della Francia. Gueterres ha espresso la speranza che siano prese misure adeguate per la protezione dei richiedenti asilo e dei minori non accompagnati durante l’operazione che si svolgerà la prossima settimana nella città di Calais, nel nord del Paese. Questa esortazione arriva a seguito dell’annuncio fatto dal Ministro Besson sulla chiusura degli insediamenti improvvisati nei dintorni della città di Calais – conosciuti come “la giungla” – dove molte centinaia di stranieri senza documenti stanno aspettando nella speranza di potersi recare nel Regno Unito. L’Alto Commissario ha riconosciuto le sfide poste dalla migrazione irregolare e lo sforzo che la regione di Calais è costretta ad affrontare a causa della vasta rete di trafficanti, così come il diritto del governo francese di mantenere l’ordine pubblico. Ha però anche fatto notare che fra i migranti irregolari presenti in quella regione vi sono persone bisognose di protezione internazionale, provenienti da zone di guerra come l’Afghanistan, l’Iraq, l’Eritrea, il Sudan e la Somalia e che tale necessità riguarda soprattutto i numerosi minori non accompagnati. Il governo francese, dal canto suo ha assicurato che la situazione di ogni individuo sarà attentamente valutata e verranno trovate soluzioni adeguate per ciascuno, come l’accesso ad una procedura di asilo giusta e completa e l’opzione del rimpatrio volontario assistito. Considerate le attuali difficoltà, l’UNHCR ha chiesto anche più flessibilità nell'applicazione del Regolamento Dublino II, secondo il quale le richieste di asilo devono essere prese in esame nel primo Paese europeo in cui il richiedente entra. (C.S.)
Il ricordo del beato Carlo d’Asburgo nelle parole del card. Rodè
◊ "Un uomo di pietà profonda, animato da un profondo amore verso il suo popolo. Un principe giusto che ha dedicato la sua vita alla difesa e al rispetto delle libertà costituzionali, ispirandosi sempre ai principi del Vangelo". Con queste parole il card. Franc Rodè, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrati e le Società di vita apostoliche, ha ricordato nella sua omelia ad Anversa il beato Carlo d’Asburgo, in occasione ieri della festa in suo onore. "Nato nel 1887 al castello di Persenbeug, pronipote di Francesco Giuseppe, Carlo d’Asburgo – ricorda il porporato – divenne imperatore a 29 anni, in piena guerra mondiale. Il giorno della morte del vecchio imperatore, il 21 novembre 1916, si inginocchiò davanti all'immagine della Madonna, la corona in mano, accettando da Dio la dignità imperiale". Dal momento in cui salì al trono intraprese negoziati in vista di un armistizio con la Francia e l'Inghilterra. Nella primavera del 1917 è il solo capo di Stato che accoglie l'appello di Benedetto XV a mettere fine all'«inutile strage» della guerra. Appoggia le trattative segrete per la pace avviate da Sisto di Borbone-Parma, soprattutto si sente investito di una autorità che gli viene da Dio, ma esercita il potere con modestia in uno spirito di umile servizio a Dio e agli uomini. Il card. Rodè esorta a riconoscere il valore esemplare della civilizzazione operata dalla dinastia degli Asburgo. "Essa -sostiene il porporato- potrebbe servire da modello all’Europa nel suo processo di unificazione, ricondandoci che l’economia e la tecnocrazia da sole non bastano a dare un fondamento solido alla sua costruzione; contro la deriva del materialismo e del nazionalismo si impone all’Europa un riconoscimento e un ritorno ai suoi fondamenti spirituali, alle sue radici cristiane". (C.S.)
La commozione di Napolitano all’arrivo delle salme dei soldati italiani uccisi a Kabul. Nel pomeriggio la camera ardente, domani mattina i funerali
◊ Le salme dei sei soldati italiani morti nell’attentato di Kabul sono giunte stamattina allo scalo romano di Ciampino, dove hanno ricevuto gli onori militari e il saluto commosso dei parenti e del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nel pomeriggio, terminati gli esami medico legali, l’apertura della camera ardente all’ospedale militare del Celio. Domani alle 11,00 i funerali di Stato nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura, celebrati dall’Ordinario militare per l’Italia mons. Vincenzo Pelvi. In Afghanistan intanto esperti della Nato, affiancati da un team di carabinieri del Ros, proseguono le indagini per chiarire la dinamica dell’attentato. Il presidente Karzai in un messaggio per la fine del Ramadan ha ricordato le vittime italiane e ha chiesto ai Talebani di deporre le armi. Il leader supremo della guerriglia, il Mullah Omar, già ieri però ha sfidato le potenze occidentali Occidente annunciando la loro sconfitta in Afghanistan. Per fermare le violenze e stabilire nuove strategie da più parti arriva l’invito ad una Conferenza internazionale di Pace sull’Afghanistan. Massimiliano Menichetti ne ha parlato con Guido Barbera, presidente del Cipsi, associazione che raggruppa oltre 40 organizzazioni non governative impegnate sul fronte della solidarietà e della cooperazione internazionale:
R. – Ritengo che, dopo otto anni di conflitto, i risultati ottenuti siano decisamente insufficiente. Quindi, dobbiamo trovare nuovi strumenti per una soluzione alla situazione drammatica del popolo afghano. La conferenza di pace credo che possa veramente essere utile ed importante solo nella misura in cui ci si pone in un’ottica di una politica internazionale che vuole il dialogo, e soprattutto dobbiamo fare cooperazione.
D. – Chi dovrebbero essere gli attori principali della Conferenza internazionale di pace?
R. – Se si vuole costruire la pace, io credo che bisogna portare intorno al tavolo tutti gli elementi rappresentativi del popolo afghano, ma anche alcuni intermediari internazionali che si sappiano assumere le responsabilità di indirizzare un nuovo tipo di politica: una politica dal volto umano, non una politica del potere.
D. – Cosa serve per creare stabilizzazione nel Paese?
R. – Sono convinto che il dialogo sia sempre una soluzione. Dobbiamo aiutarli a ritrovare, tutti insieme, l’equilibrio di ognuno nella convivenza reciproca. Abbiamo visto anche in Sri Lanka, gli anni della guerriglia terminata in un mare di sangue negli ultimi mesi, che hanno portato allo sterminio dei ribelli: ma la situazione non è ancora di tranquillità e di pace, nonostante questo bagno di sangue. Dobbiamo veramente cercare il punto d’incontro. Se non ri-definiamo a livello di politica internazionale e quindi di mandato alle forze della Nato e alle forze internazionali presenti in Afghanistan, il loro ruolo in una ricostruzione di dialogo e di pace, la forza non credo che potrà risolvere il problema.
Pressing degli Stati Uniti per la ripresa del processo di Pace in Medio Oriente: martedì a New York vertice tra Obama, Netanyahu e Abu Mazen
Nuovo tentativo di rilancio del processo di pace in Medio Oriente. Il presidente americano Barak Obama incontrerà martedì prossimo a New York il premier israeliano Netanyahu e il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen. Il colloquio dopo la missione dell’inviato USA nella regione, Mitchell, che nei giorni scorsi non è riuscito ad ottenere concessioni da parte di Israele sulla controversa questione delle colonie ebraiche nei Territori. E in mattinata è ripreso il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza verso Israele, senza tuttavia provocare vittime.
Yemen
Più di 140 ribelli sciiti sono stati uccisi oggi dall’esercito yemenita a Saada, nel nord del Paese. Lo ha reso noto una fonte militare. Testimoni parlano dei combattimenti più violenti da quando è iniziata l’offensiva delle milizie regolari, lo scorso 11 agosto, contro i guerriglieri che chiedono l’indipendenza della loro provincia al confine con l’Arabia Saudita. Solo ieri il governo yemenita aveva annunciato la sospensione delle operazioni militari per consentire l’arrivo degli aiuti umanitari in occasione della fine del Ramadan.
In Iran dure parole di Khamanei “contro il cancro sionista”
“Un grido dei musulmani contro il cancro sionista”. Così la guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, nel suo discorso per la fine del Ramadan, ha definito le manifestazioni organizzate dal regime venerdì scorso a Teheran a sostegno dei palestinesi. La giornata era stata caratterizzata anche da massicce proteste contro il presidente Ahmadinejad, con scontri tra forze di sicurezza e manifestanti dell’opposizione. La polizia oggi ha fatto sapere che sono state 35 le persone arrestate.
Morto il leader talebano catturato nei giorni scorsi in Pakistan
Un importante leader talebano in Pakistan è morto per le ferite riportate dopo essere stato catturato la settimana scorsa dall'esercito di Islamabad nella valle dello Swat. Sher Mohammad Qasab era considerato uno dei capi più influenti dell’area. Su di lui pendeva una taglia di circa 83 mila euro.
Tragedia del mare al largo di Ceuta
Nuova tragedia del mare al largo di Ceuta, l’enclave spagnola in territorio marocchino. Recuperati almeno otto corpi di immigrati africani che viaggiavano a bordo di un gommone, con a bordo una quarantina di persone, naufragato ieri mattina. Proseguono le ricerche dei dispersi. Una decina gli stranieri tratti in salvo fino ad ora. E 133 extracomunitari, in prevalenza eritrei, sono stati bloccati in Italia dopo essere sbarcati in mattinata a Portopalo di Capo Passero, nel Siracusano.
Terrorismo: arresti Usa
Tre afghani arrestati negli Stati Uniti. L’FBI sospetta che abbiano lavorato alla preparazione di un attentato terroristico, probabilmente contro un’importante stazione ferroviaria di New York. Uno dei fermati, durante l’interrogatorio, avrebbe ammesso il suo legame con Al Qaeda. Tutti compariranno domani davanti al tribunale per il processo in cui rischiano otto anni di reclusione ciascuno.
Somalia
Sempre delicata la situazione in Somalia. Uno dei più alti responsabili degli islamisti radicali nel Paese ha chiesto di realizzare altri attacchi suicidi contro le forze di pace dell’Unione Africana presenti in Somalia, dopo l’attentato di giovedì scorso contro la base allestita all'interno dell’aeroporto di Mogadiscio.
Italia vittima nuova influenza
Una donna di 46 anni, affetta da broncopolmonite, è morta ieri in ospedale a Messina dopo aver contratto il virus dell’H1N1. Era ricoverata dal 30 agosto scorso. Sale così a due il numero delle vittime in Italia per la nuova influenza, dopo il caso del 51 enne di Napoli. Resta sempre il Brasile il Paese maggiormente colpito, con oltre 900 vittime. A seguire gli Stati Uniti, con 593 morti e l’Argentina, con 514.
Noriega chiede la grazia a Sarkozy
L’anziano ex dittatore panamense Manuel Antonio Noriega ha scritto al presidente francese Nicolas Sarkozy chiedendo la grazia come ultimo tentativo per evitare l’estradizione in Francia, dove lo aspetta un processo per riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico. Oriega si trova in carcere in Florida per una condanna per traffico di droga.
Esplosione in miniera polacca
In Polonia è salito ad almeno 13 morti il bilancio dell’esplosione di metano avvenuta venerdì in una miniera carbone nel sud del Paese. I feriti sono 42, di cui almeno 15 in gravi condizioni. Il presidente Lech Kacyznski ha proclamato due giorni di lutto nazionale a partire da domani, mentre il premier Donald Tusk si è impegnato pubblicamente a indagare a fondo sulla vicenda.
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 263
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