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Sommario del 11/09/2009
La collaborazione tra Chiesa e Stato al centro dell'incontro tra il Papa e il presidente di Panama
◊ Stamani il Papa ha ricevuto, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, il presidente della Repubblica del Panama, Ricardo Alberto Martinelli Berrocal, che successivamente ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, accompagnato da mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.
“I cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - hanno permesso un fruttuoso scambio di opinioni su temi attinenti all’attuale congiuntura internazionale e regionale. Ci si è poi soffermati su alcuni aspetti della situazione in Panama, in particolare sulle politiche sociali avviate dal Governo, sui progetti di sviluppo per il Paese, nonché sulla collaborazione tra la Chiesa e lo Stato in vista della promozione dei valori cristiani e del bene comune”. Il presidente ha rivolto al Papa l’invito a visitare il Paese.
Altre udienze
◊ Il Papa ha ricevuto stamani anche alcuni presuli della Conferenza episcopale del Brasile (Nordeste 2), in visita "ad Limina", e il cardinale Karl Lehmann, vescovo di Mainz (Repubblica Federale di Germania).
Messaggio per la fine del Ramadan: cristiani e musulmani uniti per sconfiggere povertà ed estremismo che si impossessa del nome di Dio
◊ “Il povero ci interpella, ci sfida, ma soprattutto ci invita a collaborare per una nobile causa: quella di vincere la sua povertà”: è l’esortazione contenuta nel messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso “agli amici musulmani”, in occasione della fine del Ramadan. Tema del documento, a firma del cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del dicastero vaticano, è appunto: Cristiani e musulmani, insieme per vincere la povertà. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“La povertà umilia e genera sofferenze intollerabili”: è quanto denuncia il messaggio per la fine del Ramadan, a firma del cardinale Jean-Louis Tauran. Queste sofferenze, scrive il presidente del dicastero per il dialogo interreligioso, “sono spesso all’origine di isolamento, di ira, addirittura di odio e di desiderio di vendetta”. Ciò, si legge nel messaggio, “potrebbe spingere ad azioni di ostilità con tutti i mezzi disponibili, cercando di giustificarli anche con considerazioni di ordine religioso: impossessarsi, in nome di una pretesa ‘giustizia divina’, della ricchezza dell’altro, ivi compresa la sua pace e sicurezza”. Per questo, scrive il porporato, “respingere i fenomeni di estremismo e di violenza esige necessariamente la lotta contro la povertà attraverso la promozione di uno sviluppo umano integrale”, che Paolo VI definì come “il nuovo nome della pace”.
“L’attenzione, la compassione e l’aiuto che tutti, fratelli e sorelle in umanità, possiamo offrire a colui che è povero per ridargli il suo posto nella società degli uomini – prosegue il messaggio – è una prova vivente dell’Amore dell’Altissimo, poiché è l’uomo in quanto tale che Egli ci chiama ad amare e ad aiutare, senza distinzione di appartenenza”. Il cardinale Tauran ricorda inoltre che l’ultima Enciclica di Benedetto XVI, “Caritas in veritate”, mette in luce “la necessità di una nuova sintesi umanistica” giacché un autentico sviluppo “non potrà non essere ordinato a tutto l’uomo ed a tutti gli uomini”. Ancora, il messaggio distingue tra due tipi di povertà: una “da combattere” e una “da abbracciare”. La povertà da combattere, viene ribadito, “è sotto gli occhi di tutti: la fame, la mancanza di acqua potabile, la scarsità di cure mediche e di alloggi adeguati, la carenza di sistemi educativi e culturali, l'analfabetismo, senza peraltro tacere dell'esistenza di nuove forme" di miseria. La povertà da scegliere è invece “quella che invita a condurre uno stile di vita semplice ed essenziale, che evita lo spreco, rispetta l’ambiente e tutti i beni della Creazione”. E’ questa una povertà che “predispone ad uscire da noi stessi e dilata il cuore”.
“Come credenti – afferma il cardinale Tauran - desiderare la concertazione per cercare insieme soluzioni giuste e durature al flagello della povertà significa anche riflettere sui gravi problemi del nostro tempo e, quando è possibile, impegnarsi insieme per trovare una risposta”. É necessario, in tale contesto, che “il riferimento agli aspetti della povertà legati alla globalizzazione delle nostre società rivesta un senso spirituale e morale, poiché condividiamo la vocazione a costruire una sola famiglia umana nella quale tutti – individui, popoli e nazioni – regolano i loro comportamenti secondo i principi di fraternità e responsabilità”. A proposito dei rapporti tra cristiani e musulmani, nota infine il messaggio, è stato raggiunto “un importante traguardo”: in diversi luoghi, infatti, partendo “da un vissuto comune e da preoccupazioni condivise” si è “passati dalla tolleranza all’incontro”.
La partecipazione della Santa Sede alle Giornate Europee del Patrimonio
◊ La Santa Sede parteciperà anche quest'anno alla celebrazione delle Giornate Europee del Patrimonio, una manifestazione promossa dal Consiglio d'Europa e a cui aderiscono oltre 40 Paesi del Continente. L’evento si svolgerà domenica 27 settembre sul tema «Il Patrimonio europeo per il dialogo interculturale». In questa giornata sarà gratuito l’accesso ai Musei Vaticani e a tutte le Catacombe di Roma normalmente aperte al pubblico. Inoltre, sabato 26 settembre, sarà aperta presso la Catacomba di San Callisto la mostra fotografica sul tema: «Usi e testimonianze funerarie della Roma tardoantica: sepolture cristiane, pagane e giudaiche a confronto» (Via Appia Antica, 110; orario dalle ore 10 alle ore 17; mercoledì chiuso). La mostra resterà aperta fino al 27 ottobre. All'elaborazione del programma vaticano per le Giornate Europee del Patrimonio hanno collaborato la Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, i Musei Vaticani, la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra.
Mons. Marchetto: l’11 settembre, spartiacque per il rapporto tra le religioni. Gli immigrati irregolari hanno diritti inalienabili
◊ L’11 settembre ha evidenziato “grandi contraddizioni nel ruolo delle religioni nella costruzione della pace”: è quanto sottolinea l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, in un discorso che pronuncerà domani a Recoaro Terme e il cui testo è stato anticipato oggi. Il presule chiede inoltre che, sul fronte dell’immigrazione, oltre alla sicurezza si punti anche all’accoglienza e all’integrazione. Il servizio di Alessandro Gisotti:
L’arcivescovo Agostino Marchetto si sofferma sul rapporto tra cristiani e musulmani con riferimento ai valori dell’accoglienza e dell’ospitalità. La tradizione all’apertura, afferma il presule, è “alla base pure della religione islamica, che però conosce oggi frange, anche assai consistenti purtroppo, estremiste e violente”. Il compito dei musulmani, secondo mons. Marchetto, “è quello di individuare nuovi processi educativi, capaci di arginare questi estremismi, di isolarli e far prevalere il dialogo vero, autentico, rispettoso della reciprocità”. E aggiunge: l'11 settembre è stato “sicuramente uno spartiacque, una ‘rivelazione’, che ha evidenziato grandi contraddizioni nel ruolo delle religioni nella costruzione della pace”. Evento, conclude, che “comporta la necessità di un salto di qualità nell'incontro interreligioso” con l’invito ad ascoltare e a mettersi in gioco per l'altro, testimoniando concretamente la propria opposizione ad ogni forma di violenza.
“Dove lo straniero diventa ospite e viene accolto”, sottolinea ancora mons. Marchetto, si smonta “gradualmente la possibilità di vedere l’altro come un nemico”. Certo, sostiene il presule, l’immigrato deve rispettare “l’identità e le leggi del Paese” dove viene accolto. D’altro canto, avverte, “il grande impegno, anche in Italia, oltre la sicurezza è, dovrebbe essere, l’accoglienza, l’integrazione”. Lo “zelo del governo italiano per la sicurezza – ribadisce mons. Marchetto – è degno di miglior causa”, poiché l’impegno per l’integrazione “non si oppone certo alla sicurezza, ma ne è pura espressione”. E torna a evidenziare che “la condizione di irregolarità comunque “non consente [di fare] sconti sulla dignità del migrante”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Cristiani e musulmani insieme per vincere la povertà: il messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso in occasione della fine del Ramadan
La Conferenza episcopale degli Stati Uniti apprezza il discorso di Obama sulla riforma sanitaria: il presidente si è impegnato a non finanziare l’aborto con fondi federali
Nell’informazione internazionale, in primo piano l’appello dell’Onu: aumentano le spese militari in tutto il mondo, nessuno finanzia la pace
Se un comunista e un prete parlano di Dio: in cultura, Lucetta Scaraffia sull’ineludibile questione di Dio
Non fu solo la guerra di Hitler: Gaetano Vallini sulle origini del secondo conflitto mondiale
Il santo dal sultano: Stefano Maria Malaspina sul contatto tra due culture nell’incontro tra Francesco e Al Kamil
Macerie sull’arte: Pietro Petraroia sul salvataggio delle opere custodite nelle chiese dell’aquilano
Gli Stati Uniti ricordano l'11 settembre
◊ E’ il giorno del dolore per gli Stati Uniti. Il giorno del ricordo di quel terribile 11 settembre di 8 anni fa che ha cambiato il mondo. Quasi tremila le vittime solo a New York, dove due aerei civili dirottati, si schiantarono contro le Torri Gemelle, che crollarono qualche ora dopo sotto gli occhi attoniti del mondo intero; un altro velivolo, negli stessi minuti, colpì il Pentagono, mentre un quarto aereo cadde in un campo della Pennsylvania. Una rapida successione di morte che viene ricordata oggi in tutti gli Stati Uniti, per un anniversario che avrà uno spirito diverso. Da New York, il servizio di Elena Molinari.
Sarà dedicato allo spirito di servizio l’ottavo anniversario del crollo delle Torri Gemelle, il primo da quando Obama è alla Casa Bianca. Un modo per cambiare volto alla ricorrenza e guardare alle difficoltà del presente e alla possibilità del futuro più che alle paure del passato, almeno nelle intenzioni dell’amministrazione. Quanto alla destra, buona parte è già insorta, accusando il presidente di voler svuotare l’11 settembre del suo spirito patriottico. Obama, infatti, con una legge voluta dal senatore Ted Kennedy, ha proclamato che l’anniversario del peggior attacco terroristico su suolo americano, sarà d’ora in poi una Giornata nazionale del ricordo e del volontariato. Lo slogan è diventato: “uniti, serviamo”. Per commemorare gli attentati Obama sarà al Pentagono; a New York verranno letti, invece, come sempre gli elenchi dei caduti nello schianto delle torri, ma quest’anno a leggerli saranno squadre di volontari che poi si sparpaglieranno per la città. Intanto 250 mila americani in tutti i 50 Stati si sono impegnati a offrire il loro tempo a favore di programmi di solidarietà, dall’assistenza medica alla pulizia dei parchi. A Washington, ad esempio, 2000 mila persone aiuteranno i veterani ricoverati in ospedale e metteranno a posto i campi sportivi.
Gli attentati al World Trade Center e al Pentagono hanno avuto pesanti ripercussioni sulla politica estera internazionale, causando la guerra globale contro il terrorismo, e gli attacchi in Afghanistan e Iraq. Ma cosa è rimasto oggi dell’11 settembre 2001? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Giuseppe Mammarella, docente di Relazioni internazionali presso la Stanford University di Bologna:
R. – E’ rimasta un’eredità pesante che la nuova amministrazione, quella di Obama, cercherà di assorbire e anche di far dimenticare. Non c’è dubbio che in questi anni sono cambiate molte cose: i rapporti, intanto, fra gli Stati Uniti e gli alleati europei. Non ci dimentichiamo che alla vigilia dell’attacco americano all’Iraq, l’Europa si è divisa. C’è stato l’indebolimento dell’immagine dell’America nel mondo, davanti ad episodi come quello di Abu Ghraib e di Guantanamo. La questione israelo-palestinese non ha fatto un passo avanti in questi anni. Poi c’è stato il deterioramento dei rapporti fra l’America e la Russia, che negli anni ’90 erano indirizzati verso una certa collaborazione. C’è stato un deterioramento generale della politica estera americana. Credo che il motivo di tutto questo sia stata la reazione eccessiva a seguito dell’attacco alle torri.
D. – Tra le prime conseguenze dell’11 settembre, ricordiamo l’attacco degli Stati Uniti contro l’Afghanistan, che ancora oggi resta una spina nel fianco dell’amministrazione americana...
R. – Quell’attacco sarebbe stato in un certo senso giustificato, se si fosse limitato ad una operazione punitiva. Poi gli americani hanno dimenticato per vari anni la situazione afghana, che naturalmente andava trattata a quel punto con strumenti diversi da quelli militari, quegli strumenti che oggi si invocano come soluzione di un problema che, però, si presenta molto più complesso: quello del miglioramento della condizione di vita, nella rivoluzione, direi, culturale e sociale del Paese, che, naturalmente, doveva essere condotta gradualmente, con rispetto anche di quelli che erano i valori locali. Ecco, tutto questo non c’è stato. C’è stato invece l’Iraq. Evidentemente la vicenda irachena, che oggi tutti quanti riconoscono come un drammatico errore, ha sottratto all’Afghanistan attenzione e soprattutto risorse.
Ed ecco la drammatica testimonianza di padre Alfonso Aguilar, ex cappellano della Croce Rossa di New York, che ha vissuto in prima persona quella tragica giornata. L’intervista è sempre di Salvatore Sabatino:
R. – Io andavo con un gruppo di seminaristi verso Philadelphia ed eravamo lì al nord di Manhattan, quando abbiamo visto le Torri Gemelle cadere. All’inizio tutti eravamo sconvolti e tutta la gente non sapeva cosa stesse succedendo. Sembrava addirittura ci fosse stato un gravissimo incidente, ma nessuno pensava naturalmente ad un attacco terroristico. Sembrava un film horror.
D. – La Croce Rossa fu immediatamente coinvolta negli aiuti...
R. – Sì, effettivamente la Croce Rossa è arrivata subito. In quel momento, dopo gli attacchi, hanno chiuso tutte le strade d’accesso a New York, naturalmente, per permettere di aiutare i sopravvissuti e per motivi di sicurezza. Poi, il giorno successivo, sono arrivato sul luogo della tragedia, come cappellano della Croce Rossa, mi hanno fatto fare un allenamento veloce - eravamo una decina di sacerdoti – per aiutare i parenti delle vittime. C’era sempre la speranza di trovare qualche sopravvissuto, anche se poi abbiamo visto che solo cinque sono stati ritrovati vivi il giorno successivo, mercoledì, e nessun altro.
D. – Secondo lei, negli americani, è ancora viva l’emozione per quegli attacchi oppure oggi si sta un po’ dimenticando?
R. – No, penso che sia ancora vivo il ricordo, perché non soltanto c’è stato questo shock storico, ma le immagini che abbiamo visto tutti, sono rimaste stampate nel nostro cuore, nella nostra memoria. Penso che saranno per sempre indimenticabili. La gente ha reagito con molta religiosità, oltre che con molta solidarietà. Tante persone sono venute ad offrire pranzi, cibo, soldi ai parenti, spontaneamente, e ci sono stati anche molti servizi funebri, molti servizi religiosi, molte persone che hanno pregato in pubblico. La gente ha sofferto con molta pazienza, con molta calma. Io mi aspettavo reazioni blasfeme contro Dio o contro i musulmani e invece no: c’è stato soprattutto silenzio, silenzio sereno, ma molto doloroso. Penso che ci sia sempre qualche grazia speciale che Dio dà a queste persone, per sopportare queste sofferenze terribili.
Unicef: in calo il tasso di mortalità infantile nel mondo
◊ Anche nel 2008 è in calo il tasso di mortalità infantile. A rivelarlo è il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef). Ma il dato complessivo resta drammatico: sono quasi 9 milioni i bambini morti nel 2008 sotto i 5 anni. Negli ultimi 19 anni la situazione ha fatto comunque registrare dei miglioramenti: rispetto al 1990, muoiono ogni giorno 10.000 bambini in meno. A quali misure e decisioni è legata questa riduzione della mortalità infantile? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Roberto Salvan, direttore generale di Unicef Italia:
. – I Paesi dove la mortalità è più elevata - anche con l’aiuto delle agenzie internazionali e delle Ong che lavorano in rete - hanno migliorato i servizi sanitari integrati e gli interventi a basso costo per ridurre la mortalità infantile. Tali progressi sono stati compiuti attraverso la distribuzione della vitamina A, campagne di vaccinazione e la promozione dell’allattamento al seno. Si deve anche lavorare con maggior intensità nella distribuzione delle zanzariere perché la malaria rimane una tra le principali cause della mortalità infantile.
D. – Un dramma sempre molto radicato, soprattutto in Africa…
R. – Il maggior numero di bambini che muoiono si registra sicuramente in Africa, in particolare in Nigeria e nella Repubblica Democratica del Congo. A questi due Paesi possiamo aggiungere anche l’India. Soltanto lavorando con più intensità in questi tre Stati si può raggiungere l’obiettivo di sviluppo del millennio della riduzione della mortalità di due terzi rispetto ai dati del 2000.
D. – In concreto quali passi si devono compiere per raggiungere quest’obiettivo?
R. – Si deve lavorare ed intervenire nelle comunità più dimenticate e più povere. Bisogna cercare di coinvolgere, in modo particolare, tutte le strutture sanitarie ed integrarle tra loro. Anche poche risorse, ma mirate verso interventi a basso costo, possono dare dei risultati positivi.
D. – Anche se sono stati compiuti importanti progressi, rimane inaccettabile che ogni anno quasi nove milioni di bambini muoiano prima di aver compiuto cinque anni. Come evitare che alla solidarietà si sovrapponga la sensazione d’impotenza?
R. – Credo che sia fondamentale, da una parte, indignarsi per questo dato e, dall’altra, vedere che la strada intrapresa in quei Paesi particolarmente attivi contro questa piaga presenta dati positivi. Si deve quindi dare anche un messaggio di speranza: la mortalità infantile può essere ridotta e si può raggiungere, entro il 2015, quel traguardo che la comunità internazionale si era prefissata.
D. – Oltre al prezioso contributo delle agenzie umanitarie, anche la Chiesa svolge un ruolo di primo piano nel contrastare la mortalità infantile nel mondo. La sua presenza in diversi Paesi martoriati è una delle poche luci di speranza…
R. – La Chiesa, con tutta la sua rete presente in moltissimi dei Paesi dove si interviene, è fondamentale perché ha il contatto con la famiglia, con la mamma, elemento cruciale proprio per ridurre la mortalità infantile. L’attenzione della Chiesa verso la mamma, la donna e la famiglia ed il contatto che ha con le comunità è dunque di aiuto e di stimolo per ridurre la mortalità materna e infantile. E’ fondamentale lavorare in rete, insieme, per raggiungere questi due obiettivi che la comunità internazionale si è data.
Allarme della Chiesa romena per la costruzione di un grattacielo accanto alla cattedrale di Bucarest
◊ In Romania la Chiesa cattolica esprime il proprio disappunto per il progetto di costruzione, a Bucarest, di un grattacielo di 19 piani accanto alla cattedrale di San Giuseppe. L’arcidiocesi della capitale romena ha anche ribadito la propria preoccupazione per la staticità della cattedrale. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Nel cuore di Bucarest la cattedrale di San Giuseppe offre una ricca combinazione di bellezza ed eleganza affiancando lo stile romanico a diversi elementi gotici. A pochi metri da questo straordinario patrimonio artistico e religioso incombe minaccioso un grattacielo. I primi piani finora costruiti sono ingabbiati da impalcature che quasi toccano i contrafforti della chiesa. Nel 2007 i lavori sono stati interrotti in seguito a proteste e denunce. Ma lo scorso 25 giugno le autorità romene hanno convalidato l’autorizzazione a procedere nella costruzione dell’edificio che, una volta completato, sarà alto 75 metri. La decisione di consentire la ripresa dei lavori è stata accolta con stupore e disappunto dai cattolici, come sottolinea padre Ieronim Iacob, portavoce dell’arcidiocesi romano-cattolica di Bucarest:
“Lo stupore dei cattolici e di tutti gli uomini di buona volontà è indicibile. La sentenza, in totale contrasto con tutto l’iter giudiziario dei tre anni precedenti, calpesta tra l’altro la decisione del Senato della Romania, del febbraio 2006 e la dichiarazione del Parlamento europeo del settembre 2007”.
Sulla vicenda della cattedrale di San Giuseppe a Bucarest si è espresso anche Benedetto XVI che nel 2007, ricevendo l’ambasciatore romeno presso la Santa Sede, aveva chiesto “di preservare il patrimonio storico e i valori di fede che questa rappresenta, non solo per la comunità cattolica, ma per tutta la popolazione romena”. Se prevarranno gli interessi economici il grattacielo diventerà un albergo. A Bucarest, intanto, sono diverse le iniziative organizzate dalla comunità cattolica per protestare contro la costruzione. Domenica 12 luglio sono rimaste chiuse, senza la celebrazione della Santa Messa, le chiese dell'arcidiocesi dal Mar Nero al confine con la Serbia. Oltre sei mila persone hanno partecipato alla processione conclusasi davanti alla sede del gioverno. La scorsa settimana, poi, le porte della cattedrale di San Giuseppe sono rimaste aperte per nove giorni e nove notti. Ancora padre Ieronim Iacob:
“Si è svolta una novena d’adorazione continua, dinanzi al Santissimo Sacramento. Fedeli di ogni età e condizione sociale, sacerdoti, monaci e monache hanno pregato il Signore Gesù per allontanare la minaccia che incombe sulla nostra cattedrale”.
Si teme che il progetto edilizio possa compromettere la stabilità della cattedrale. Se i piani del grattacielo continueranno a salire verso il cielo le fondamenta della chiesa e degli edifici circostanti potrebbero, infatti, subire gravi danni strutturali. I cattolici aspettano la revisione della sentenza che autorizza la ripresa dei lavori e continuano a pregare in attesa del processo, previsto per il prossimo 28 settembre.
La testimonianza di Clara Rojas, ex ostaggio delle Farc in Colombia
◊ Prigioniera. E’ il titolo del libro di Clara Rojas, l’avvocatessa colombiana rapita nel febbraio 2002 dalle Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia, e rilasciata sei anni dopo, nel gennaio 2008. Sequestrata assieme ad Ingrid Betancourt, Clara Rojas è tornata in libertà qualche mese prima dell’ex candidata presidenziale dei Verdi. Adesso nel libro, appena pubblicato in Italia da Cairo Editore, la Rojas racconta al mondo la drammatica esperienza nella giungla colombiana. Di quel trascorrere lento del tempo, la donna non ha dimenticato nulla, soprattutto perché durante la prigionia ha partorito un figlio. Un libro che vuole essere un passo verso il futuro, senza lasciarsi alle spalle quei giorni in cui a volte l’unico contatto col resto del mondo era una piccola radio, dalla quale Clara è riuscita ad ascoltare non solo la voce di sua madre ma anche la Radio Vaticana. Al microfono di Giada Aquilino, parla dei suoi anni da prigioniera delle Farc e dice: “credo di non essermi mai abituata a vivere priva di libertà”.
R. – Realmente es un bien supremo...
La libertà è il bene supremo, è un qualcosa d’intangibile, è un valore fondamentale nella vita di ogni persona: l’apprezzo soprattutto ora che l’ho ritrovata. La libertà è fatta anche di cose semplici, come poter scegliere tra una cosa ed un’altra.
D. – Lei è stata sei anni nelle mani delle Farc, a contatto con un mondo che noi non possiamo nemmeno immaginare. Ha parlato di guerriglieri abituati a fare la guerra fin da bambini, di donne soldato che le hanno fatto anche da infermiere quando ne ha avuto bisogno, di capi guerriglieri senza scrupoli. Che mondo è?
R. – Un grupo en general aislado...
E’ un gruppo isolato, ben organizzato, ma che purtroppo si dedica ad attività delinquenziali. Proprio perché questi guerriglieri vivono così isolati pensano di potersela cavare, vivendo senza Dio. Per questo commettono crimini efferati, come il sequestro di persona. Sono giovani che magari non hanno mai conosciuto un’alternativa, che non sono consapevoli di altre possibilità e per questo usano il loro libero arbitrio per fare danno. Il libero arbitrio va sempre accompagnato da una forma di responsabilità.
D. – Vista questa situazione così radicata, lei pensa che nel futuro della Colombia le Farc ci saranno ancora?
R. – Yo creo que en algún momento...
Penso che prima o poi arriverà un momento in cui la situazione cambierà, forse perché ho una visione sempre positiva ed ottimista del futuro. Magari ci sarà un cambiamento, anche se non so in quale momento decideranno di abbandonare le armi e di passare a condurre un’esistenza come la nostra. Ritengo che sarà importante lanciare un ponte perché possano inserirsi nella vita sociale.
D. – Si dice che il presidente Uribe punti ad un terzo mandato. Cosa ne pensa?
R. – Pues digamos que hay dos sentimientos…
Come prima impressione ho due sentimenti. Il presidente gode senz’altro di un grandissimo appoggio ed ha dato anche prova di grande leadership negli anni del suo mandato. C’è però un secondo aspetto, che è quello della democrazia. La democrazia comporta l’alternanza al potere e quindi mi piacerebbe vedere una varietà di candidati, perché penso sia sano un cambiamento di potere. E’ appunto questo cambiamento a garantire il processo democratico.
D. – Torniamo alla sua prigionia, col lento passare del tempo. C’è un’immagine, c’è un momento che ricorda particolarmente?
R. – El paso del tiempo es muy dificil...
Sì. Il passare del tempo così lento si sente moltissimo in un posto tanto isolato, senza risorse. Le ore si fanno pesanti, proprio perché non c’è modo di riempirle. Il momento più doloroso è stato quello della separazione da mio figlio: mi ha lasciato addosso un vuoto ed una malinconia davvero profondi. E’ stata la fede a darmi grande speranza e a permettermi di sopravvivere.
D. – Parliamo di suo figlio, Emmanuel. Quando lo aspettava, si raccomandò a Dio. Lei ha scritto: “Io voglio vivere, metto nelle Tue mani la vita del mio bambino e la mia”. Quanto l’ha aiutata la fede?
R. – Yo creo que casi al ciento por ciento...
Quasi il 100 per cento, direi. Il fatto che io ne sia uscita viva e che poi sia riuscita a ritrovare mio figlio è stato veramente un miracolo. E’ stata la fede a darmi la speranza di poter ritrovare il mio bambino.
D. – Racconta che lì, nella foresta colombiana, era riuscita ad avere una radiolina. Ed ha così potuto sentire la voce di sua mamma, ma anche la notizia della morte di Papa Giovanni Paolo II. Quando poi è stata liberata ha letto un libro di Benedetto XVI. Sono quasi delle tappe nella sua vita…
R. – Pues, mire...
Il fatto di sentire la voce di mia madre lì, nella foresta, mi ha dato veramente una grandissima forza. Sentivo poi la voce del Papa recitare il Rosario in latino, perché nella selva arrivano soltanto le onde corte e quindi riuscivo a sentire la Radio Vaticana, la mattina molto presto. Quando mi svegliavo, alle 5, mi sintonizzavo sulla radio. Ascoltavo anche la Radio Catolica Mundial. Sentivo le preghiere e a volte le notizie del Vaticano. Era molto interessante. Anche questo mi ha dato un’enorme energia. Poi, un giorno, ho sentito la notizia della morte di Giovanni Paolo II. Mi ha provocato un immenso dolore, come se avessi perso una persona di famiglia, anche perché era una figura molto carismatica. Sono poi venuta a conoscenza del fatto che era stato eletto un nuovo Papa e volevo sapere chi fosse. Una volta liberata mi hanno regalato tanti libri di Benedetto XVI ed ho letto quello sulla preghiera e la vita di Gesù. All’Udienza generale, mercoledì scorso, ho ricevuto la sua benedizione ed ho anche avuto l’occasione di ringraziarlo per quello che ha fatto per i prigionieri, per i sequestrati e per tutte le persone che erano e sono nel mio stesso stato. Ho chiesto di continuare a pregare per loro, perché la figura del Papa e quello che il Pontefice può fare è molto importante per la liberazione delle persone sequestrate. Alla fine di quest’udienza c’erano tantissime persone e, dopo il saluto ai vescovi, mi è stato permesso di avvicinarmi a lui e di potergli parlare. E’ stato estremamente stimolante, penso che siano momenti molto significativi nella vita di un credente: vedere tutto il suo interesse – un interesse rivolto non soltanto ai sequestrati, ma anche a tutta la Colombia – ti fa sentire come sia veramente vicino al popolo, agli uomini.
Domani la conclusione del Festival di Venezia: il bilancio di Marco Müller
◊ A pochi giorni dal termine della Mostra del Cinema di Venezia, il direttore Marco Müller incontra la Radio Vaticana e riflette sull’importante presenza quest’anno di film che in modo maturo e mai banale sono stati capaci di affrontare le questioni e le aspettative più intime e nascoste che toccano l’animo umano e governano le sue scelte. Il servizio di Luca Pellegrini:
“Il cinema come avrebbe potuto essere assente dai grandi temi che assillano la società?”, si è domandato il presidente della Biennale Paolo Baratta. Venezia è in questi giorni il punto di prima risonanza di questi problemi e il cinema, nei film proiettati, reagisce in modo forte. Quando siamo ormai al termine del percorso della Mostra, un fatto non può essere ignorato: molti di questi problemi e temi sono invisibili e diversamente percepibili, toccano l’anima e il cuore. Una scelta equilibrata e intelligente ha contraddistinto in questo senso il lavoro del direttore della Mostra, Marco Müller:
R. – Il nostro lavoro di selezione abbiamo cercato di farlo, non soltanto con passione e determinazione, ma anche con un’onestà che viene per far coincidere una battaglia estetica con una battaglia su alcuni valori etici del cinema, che per noi sono fondamentali. Per questo per noi era importante andare ogni volta a cogliere alcune delle punte, perché non vedo altro modo per chiamarle, di un cinema estremamente riflessivo. E per noi più importante è partire da alcuni dei film che ci hanno emozionato e che abbiamo proprio per questo programmato in modo da scandire la mostra. Film che ci dicono come di fronte alle crisi, di fronte ai traumi del presente, raccogliendosi in se stessi, gli uomini e le donne possono poi ritrovare le ragioni del continuare a vivere.
D. - Da Jessica Hausner a Francesca Comencini, dalle donne del regista cinese Yonfan a quelle della persiana Shirin Neshat: sembra che quest’anno la donna sia particolarmente attenta e sensibile a percepire la realtà che ci circonda, frutto della storia e di scelte responsabili.
R. – Questo è stato vero per molti di quei Paesi, dove la rappresentazione di quello che era accaduto, di come si è vissuto in un clima oppressivo, con un regime politico oppressivo, doveva fare perno sulle donne. Le donne erano quelle che avevano vissuto più profondamente gli effetti che le deviazioni ai gomiti di una linea politica avevano avuto sui rapporti interpersonali. Stavolta, improvvisamente, questo discorso lo si fa a tutto campo sulle nostre società così dette occidentali e avanzate.
D. - Müller, qual è il momento del suo lavoro che le dona più profonda emozione, rimanendo a contatto ogni giorno con gli artisti e il pubblico che visitano la Mostra veneziana?
R. – Devo dire che - anche se ormai invecchiando sono più capace di controllare le mie emozioni - io delle volte mi trovo con le lacrime agli occhi, come se fossi uno di quelli che il film l’hanno fabbricato. In fondo, noi fabbrichiamo appunto la mostra con dei mattoni che altri ci hanno regalato, però proprio per questo ci sentiamo molto vicini alle opere e a chi le ha firmate.
Visita in Estonia del segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati mons. Mamberti
◊ La scorsa settimana, dall' 1 al 4 settembre, il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Dominique Mamberti, ha accettato l’invito del governo di Tallin a compiere una visita ufficiale in Estonia. Durante il viaggio il presule ha incontrato il presidente della Repubblica, Toomas Hendrik Ilves, il premier, Andrus Ansip, il ministro degli Affari Esteri, Urmas Paet, il ministro degli Affari Regionali, responsabile per i rapporti con le comunità religiose, Siim Kiisler, e il Presidente del Parlamento nazionale (il Riigikogu), Ene Ergma. L’Osservatore Romano ha raccontato che le autorità hanno espresso apprezzamento per l’opera della Chiesa cattolica, che in Estonia conta 7mila fedeli circa, su una popolazione di oltre un milione e trecentomila persone. Com’è stato sottolineato anche nella conferenza stampa congiunta dell’arcivescovo Mamberti e dell’omologo Paet, dopo il loro colloquio, "la comunità cattolica è piccola, ma dinamica e visibile e, sotto la guida del suo giovane e zelante pastore - l'amministratore apostolico di Estonia, il vescovo Philippe Jourdan - contribuisce notevolmente alla vita sociale ed educativa del Paese”. I due hanno parlato del buono stato delle relazioni bilaterali e dei progressi compiuti nel corso degli anni, soprattutto grazie alla convenzione tra la Santa Sede e la Repubblica di Estonia che quest’anno compie 10 anni. Giovedì 3 settembre l’arcivescovo Mamberti ha presieduto una Messa nella cattedrale della capitale dedicata ai santi Pietro e Paolo, affollata di fedeli. Durante l'omelia, il presule ha citato le parole pronunciate proprio nella stessa chiesa da Giovanni Paolo II nel 1993: “Carissimi, oggi siete una piccola fiaccola. Se sarete fedeli alla grazia di Dio, domani potrete essere una grande fiamma”. Prendendo spunto dalla memoria liturgica di san Gregorio Magno, il segretario ha spiegato che la Chiesa cattolica in Estonia “rappresenta un piccolo gregge, tuttavia se saprete vivere il comandamento nuovo di Cristo, che equivale a formare la Chiesa come comunità di amore e di servizio, chi viene in contatto con voi sarà colto dallo stesso stupore dei pagani di un tempo che, vedendo i cristiani uscire dalle loro riunioni, esclamavano: ‘Guardate come si amano tra loro’”. E’ questo legame soprannaturale che lega i battezzati fra loro, ha detto, a permettere alla “Chiesa di sopravvivere quando si scatenano i flutti della prova o addirittura la persecuzione”, come insegna la storia estone. L’arcivescovo Mamberti è stato anche in visita all’Università di Tartu, che riconduce le sue origini al Gymnasium Dorpatense fondato dai gesuiti nel 1583. Nell’aula magna dell’ateneo l’arcivescovo ha tenuto una prolusione sulla presenza della Santa Sede nella comunità internazionale. L’Osservatore Romano spiega che questa visita in Estonia è stata anche “una proficua occasione per testimoniare lo slancio ecumenico che contraddistingue i rapporti tra la comunità cattolica e le varie confessioni cristiane presenti nel Paese baltico”. (V.F.)
Apprezzamento dei vescovi Usa per l'impegno di Obama su aborto e obiezione di coscienza
◊ “Nessuno deve andare in rovina perché si è ammalato”, ha detto Obama spiegando al Congresso degli Stati Uniti la sua idea di riforma sanitaria. E su questo punto concorda con lui anche la Chiesa americana. La responsabile per lo Sviluppo sociale della Conferenza episcopale, Kathy Saile, ha spiegato che è proprio “per questo che i vescovi americani hanno lavorato per decenni affinché ci fosse un’assistenza sanitaria decente per tutti”. La Chiesa cattolica, ha detto, “dà assistenza sanitaria a milioni di persone” e “raccoglie i pezzi di un sistema sanitario fallimentare”. Una riforma veramente universale, che rispetti la vita e la dignità di tutti, non è soltanto una priorità nazionale, per la Chiesa, ma un vero “imperativo morale”. E i vescovi americani non perdono occasione di ribadire la loro posizione sulla riforma: per spiegarla hanno anche aperto un sito Web. Ma un altro punto sul quale la Chiesa è irremovibile è l’aborto, che non deve essere finanziato con le casse federali. Per questo, come ha detto uno dei responsabili delle attività pro-life della Chiesa americana, Richard Doerflinger, è stato accolto come un’opportunità l’impegno espresso da Obama a non utilizzare i finanziamenti federali per le interruzioni di gravidanza e mantenere le attuali leggi che proteggono l’obiezione di coscienza. Doerflinger ha sottolineato che la Chiesa americana lavorerà “con il Congresso e l’Amministrazione per assicurare che queste garanzie si riflettano nella nuova legge”. (A cura di Valentina Fizzotti)
Terra Santa: le tre religioni "a tavola insieme" per ricordare l'11 settembre
◊ Religioni “a tavola insieme” l'11 settembre. Un'iniziativa dalla Terra Santa nel giorno dell'attentato alle Torri Gemelle: ebrei, cristiani e musulmani insieme per la cena al tramonto del Ramadan. L'11 settembre - riferisce l'agenzia Sir - è la data che tutti ricordiamo per gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono che nel 2001 fecero migliaia di morti. Ma quest'anno l'11 settembre è anche un venerdì del mese di Ramadan. E proprio a partire da qui - nella Terra Santa da troppo tempo martoriata dal conflitto tra israeliani e palestinesi - è nata l'idea di dare vita a un segno di pace del tutto particolare. Le giornate del Ramadan per i musulmani si concludono con il rito dell'Iftar, la cena comune con cui la famiglia al tramonto rompe il digiuno. Ma al venerdì sera anche le famiglie degli ebrei osservanti si ritrovano insieme per la cena attraverso cui insieme si entra nello shabbat, il giorno sacro degli ebrei. Così attraverso il sito mepeace.org (un social network che ha per tema la pace in Medio Oriente) è nata l'idea di una cena interreligiosa, che si terrà questa sera in un posto particolare: la Thalita Kumi School di Beit Jalla, un istituto educativo evangelico che si trova tra Gerusalemme e Betlemme e a cui si può accedere sia da Israele sia dai Territori Palestinesi. (R.P.)
Vicino Cafarnao scoperta una sinagoga dei tempi di Gesù
◊ Con un comunicato stampa, l'Autorità per le antichità di Israele ha reso nota ieri l'importante e sorprendente scoperta dei resti di una sinagoga dei tempi di Gesù durante gli scavi sul terreno di un futuro centro per pellegrini a Magdala, sulle rive del Mare di Galilea. L'11 maggio scorso, durante la sua visita in Terra Santa, Benedetto XVI ha benedetto la prima pietra del Magdala Center, di cui è incaricata la Congregazione religiosa dei Legionari di Cristo. Gli scavi archeologici, diretti da Dina Avshalom-Giorni e Arfan Najar, dell'Autorità per le antichità di Israele, sono iniziati il 27 luglio, e circa un mese dopo sono stati trovati i primi resti di un luogo importante. Con il passare dei giorni si sono aggiunti ritrovamenti significativi che hanno portato alla conclusione che si tratti di una sinagoga del I secolo, probabilmente distrutta negli anni della rivolta degli ebrei contro i romani, tra il 66 e il 70 d.C. L'elemento più interessante è una pietra scolpita di 11 metri per 11 ritrovata nel centro dell'edificio. Su di essa appaiono vari segni, tra cui una menorah, il candelabro a sette braccia; a quanto pare è la menorah più antica ritrovata finora in una sinagoga. Fino a questo momento, sono state scoperte solo altre sei sinagoghe risalenti a quel periodo (l'epoca del secondo Tempio di Gerusalemme). Le autorità israeliane hanno chiesto di proseguire gli scavi nell'area della sinagoga, che i ritrovamenti siano preservati sul luogo e che vengano inclusi nel progetto del Magdala Center. Numerosi archeologi israeliani e cristiani si sono dati appuntamento negli ultimi giorni per visitare i resti. Il progetto del Magdala Center è nato quando i Legionari di Cristo sono giunti a Gerusalemme, nel 2004, su richiesta di Papa Giovanni Paolo II per incaricarsi dell'Istituto Pontificio Notre Dame of Jerusalem. Il Centro vuole completare il servizio che si offriva ai pellegrini a Gerusalemme anche nella zona nord di Israele, la Galilea. Il terreno si trova sulle rive del Lago di Tiberiade, nella località di Migdal (Magdala in aramaico, paese natale di Maria Maddalena), e il progetto si sviluppa grazie al sostegno di migliaia di cristiani di tutto il mondo e di ogni confessione, su cui si spera di poter continuare a contare per portare a termine l'opera. Il Magdala Center vuole preservare ed esporre le rovine di quel luogo santo, ora rafforzato dalla scoperta della sinagoga dei tempi di Gesù. Ospiterà inoltre un albergo per pellegrini della Terra Santa, un centro multimediale per mostrare con le nuove tecnologie il messaggio e la vita di Gesù e la storia del luogo e un centro che, ispirandosi alla figura di Maria Maddalena, promuova la vocazione umana e la dignità della donna. Padre Juan María Solana, direttore dell'Istituto Pontificio Notre Dame of Jerusalem e promotore del progetto, ha affermato: "Sapevo che Magdala era un luogo santo e ho avuto sempre il presentimento che sarebbe stato un luogo speciale per i pellegrini delle varie religioni, ma il ritrovamento che abbiamo fatto supera sicuramente di molto le nostre aspettative". L'apertura del Magdala Center è prevista per il 12 dicembre 2011. Ad ogni modo, bisognerà valutare se le scoperte recenti richiederanno una modifica del calendario. (R.P.)
In India atti di vandalismo in una chiesa
◊ A un anno dagli attacchi alle chiese di Mangalore, Bangalore e altre città del Karnataka, continuano le violenze e le intimidazioni contro la minoranza cristiana in India. Nella notte tra il 9 e il 10 settembre un gruppo di 15- 20 persone si è introdotto con bastoni e assi nella chiesa di San Francesco di Sales, a Hebbagudì, rovesciando 2 statue e distruggendo 40 vetrate delle finestre. Il Global Concil of Indian Christians – secondo quanto riporta AsiaNews - ha chiesto un’inchiesta sull’incidente e la protezione dei luoghi di culto della comunità cristiana. Al riguardo il capo della polizia ha dichiarato che d’ora in poi gli agenti useranno la forza contro tutti coloro che rubano o danneggiano chiese, moschee e templi. (G.C.)
Pakistan: la Chiesa ricorda le vittime cristiane di Gojra
◊ I cristiani di Faisalabad hanno celebrato una messa di suffragio per le vittime di Gojra. Il rito si è tenuto mercoledì scorso scorso nella cattedrale dei Ss. Pietro e Paolo ed è stata organizzata da padre Yaqoob Yousaf, direttore del Centro diocesano per la catechesi, con la collaborazione della locale comunità di Sant’Egidio. Alla messa - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno partecipato anche i membri dell’equipe pastorale della parrocchia di San Paolo a Jaranawala, le suore domenicane, le suore francescane e una nutrita rappresentanza di fedeli della diocesi. Una gigantografia che ritraeva i volti delle persone uccise è stata posizionata vicino all’altare; molti hanno acceso una candela e offerto fiori, in segno di amore e gratitudine per le vittime. Il 30 luglio scorso migliaia di fondamentalisti islamici hanno assaltato il villaggio di Koriyan, bruciando 51 case cristiane. Il primo agosto, almeno 3mila estremisti hanno preso di mira la comunità cristiana di Gojra, bruciando vive sette persone (tra cui due bambini e tre donne) ferendone 19 e incendiando un centinaio di abitazioni. Durante l’omelia padre Yaqoob ha sottolineato “il coraggio della gente di Gojra” che ha “sacrificato la propria vita per testimoniare la fede cristiana”. “Questo tipo di attacchi e l’uccisione dei cristiani – ha aggiunto il sacerdote – non sono una novità per la Chiesa, perché la storia è piena di testimonianze di martiri, che hanno donato [con il loro sacrificio] una nuova vita alla Chiesa”. Egli ha infine aggiunto che “la morte non potrà mai vincere la nostra fede in Cristo”. Nelle ultime settimane in diverse chiese e parrocchie del Pakistan si sono celebrate messe e preghiere per ricordare i morti e tutte le minoranze perseguitate a causa della loro fede. (R.P.)
Dotti egiziani: è contro la sharia pregare per la distruzione dei non musulmani
◊ Pregare per la distruzione dei non musulmani è un errore perché è contro il pensiero di Maometto e contro la sharia, la legge islamica. E i non musulmani vanno avvicinati all'islam, non spinti a odiarlo. A dirlo sono stati alcuni dotti sunniti dell’università del Cairo al Azhar, in una indicazione diretta agli imam. L’Osservatore Romano, citando l’agenzia spagnola Efe, riporta le affermazioni di Abdel Moati Bayumi, del Centro di studi islamici di al Azhar, secondo il quale “alcuni imam, che non sono bene informati, incitano i fedeli a pregare per la distruzione dei non musulmani, la qual cosa è un errore" perché Maometto "pregava contro i non musulmani quando aggredivano i suoi fedeli”. Bayumi è tra coloro che hanno appoggiato una fatwa (l’equivalente di un decreto per i tribunali islamici) emessa di recente in Arabia Saudita, che considera pregare per la distruzione dei non musulmani - come è abitudine in numerose moschee - contraddittorio con la leggi musulmana della sharia, e che per questo proibisce tale pratica. Anche Mohamed Raafat Osman, del centro di ricerca islamico che fa capo all’Università al Azhar, ha dichiarato al periodico egiziano indipendente Al Masri Al Youm che “i musulmani devono attrarre alla loro religione gli altri facendo in modo che la accettino invece di odiarla”. Già ad aprile Osman osservò che la festa dello Sham el-Nessim simbolo di appartenenza alla stessa nazione, è un giorno in cui cristiani e musulmani “provano il piacere di condividere” le tracce di una cultura che li unisce. (V.F.)
Il cardinale Antonelli invita le famiglie a diventare "soggetti di evangelizzazione"
◊ La famiglia deve diventare il “soggetto dell'evangelizzazione”: questo è l’obiettivo del pontificio Consiglio per la Famiglia, che ieri ha inaugurato a Roma un seminario internazionale. Secondo il presidente del dicastero vaticano, cardinale Ennio Antonelli, questo incontro deve mettere le basi per la preparazione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie, in programma a Milano nel 2012. Al seminario il cardinale ha presentato due progetti: uno vuole promuovere in diversi Paesi una ricerca psicologica, descrittiva e applicativa, su quanto bene facciano le famiglie stabili ai loro figli e alla società; il secondo punta proprio a promuovere la famiglia come “soggetto di evangelizzazione”. Il cardinale Antonelli ha sottolineato l’importanza di rafforzare la missione pastorale della famiglia, perché “come destinataria di evangelizzazione è già molto presente all'attenzione degli operatori pastorali”, mentre “come soggetto di evangelizzazione è da valorizzare molto di più, risvegliando la sua responsabilità missionaria al servizio di tutti gli uomini e di tutto l’umano”. Ad evangelizzare, ha spiegato, sono i credenti: “con la loro spiritualità, la loro testimonianza, la loro attività, il loro annuncio, la loro professione di fede. O meglio ancora, è Cristo stesso che evangelizza attraverso di loro”. Il campo che le famiglie hanno per evangelizzare è ampio: dalla casa alla scuola, dalla parrocchia alle associazioni. (V.F.)
Intervento del cardinale Etchegaray al convegno di Bose sulla "lotta interiore"
◊ “Mentre lavoriamo perché cessino i conflitti tra gli uomini dobbiamo essere consapevoli “che la lotta interiore non avrà mai fine”: lo afferma il card. Roger Etchegaray, vice decano del Sacro Collegio, a margine del Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa in corso presso il monastero di Bose fino a domani, sul tema “La lotta spirituale nella tradizione ortodossa”. “Come inviato del Papa in tutto il mondo – ha affermato il cardinale – ho portato il messaggio di pace del Vangelo tra gli uomini”. “E' un paradosso – ha affermato – che ci sia lotta tra l'uomo e Dio che ci ha fatti a sua immagine, ma questo avviene perché non siamo fedeli al suo progetto su di noi”. Tuttavia “il nostro cuore deve essere in pace perché riposa sulla certezza che Dio ama ogni uomo, qualunque sia la sua condizione di vita”. “Alla fine della mia lunga vita – ha affermato il cardinale – posso dire di essere in pace e che la vita vale sempre la pena di essere vissuta, anche quando, come in tante parti del mondo, ci sono povertà e difficoltà”. Condividere la riflessione sulla lotta spirituale con le chiese ortodosse, ha concluso Etchegaray “ è condividere il cuore della nostra fede e rafforzare il nostro desiderio di camminare insieme, sull'esempio dei grandi santi orientali”. Dal canto suo Hervé Legrand, docente presso l'Institut Catholique di Parigi, nel suo intervento ha affermato che “occorre riprendere coscienza della forza delle nostre tradizioni spirituali” non solo “come fenomeno del passato ma come dinamica del presente” anche in relazione alle “strutture di ingiustizia che nessuna ascesi personale può combattere adeguatamente”. Se “l'unità tra le chiese esige di essere fatta nella verità”, sono tuttavia “insufficienti i soli consensi dottrinali”. Occorre, secondo Legrand “intensificare gli scambi pastorali che includano la formazione del clero e la conoscenza delle tradizioni spirituali”. “Per comunicare – ha affermato Legrand – occorre conoscersi “stando attenti a non trasformare le differenze culturali in differenze evangeliche”. (R.P.)
Congo: la Caritas rilancia l'economia per favorire la pace
◊ Rilanciare l’economia locale per reintegrare gli ex combattenti, i rifugiati e gli sfollati e contribuire ad una pace duratura nel Paese: con questi obiettivi, la Caritas sta lavorando ad un progetto nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare nella provincia di Maniema. In particolare, informa una nota, si tratta di favorire il rilancio “della produzione agricola, della pesca e dell’allevamento, la costruzione di granai comunitari e di mercati rurali e il riassestamento delle strade e dei ponti”. “Previsto anche – continua la nota - il sostegno alle piccole e medie imprese, all’artigianato e l’istituzione di organi di mediazione nei conflitti”. “Siamo già operativi al 60% - spiega il responsabile del progetto, Christophe Tshishiku – Quanto realizzato finora è stato molto apprezzato dalla popolazione locale, che si vede aiutata per la prima volta, dopo tanti anni di guerra”. “La gente si sente consolata – continua Tshishiku – l’introduzione della coltivazione di alcune sementi è stata ben accolta dalla popolazione e la ricostruzione di strade e ponti ha permesso ad alcuni villaggi e comunità di uscire dall’isolamento”. Inoltre, dice ancora il responsabile del progetto Caritas-Congo, i mercati rurali e i granai comunitari hanno avuto “un notevole impatto sull’unione delle comunità ed il libero scambio, riducendo la discriminazione”. Naturalmente, non mancano i problemi, come la mancanza di mano d’opera qualificata e la vastità del territorio, ma Tshishiku conta di affrontare queste sfide “soprattutto con una buona gestione delle risorse”. (I.P.)
Bolivia: appello dei vescovi per elezioni libere e democratiche
◊ Si chiuderanno dopodomani i lavori del Comitato di presidenza della Conferenza episcopale della Bolivia, riunito da ieri nella città di Cochabamba, per preparare la prossima seconda plenaria episcopale del 2009 che si svolgerà nel mese di novembre. Dopo la recente ristrutturazione pastorale, in questi giorni hanno lavorato i responsabili delle aree riconfermate e di quelle nuove: comunione ecclesiale ed evangelizzazione e promozione umana. Si tratta di un’altra tappa nel lungo e complesso percorso per il rinnovamento e il riordinamento dell’episcopato locale. Mons. Jesús Juárez, vescovo de El Alto e segretario della Conferenza dei vescovi, spiegando questa riunione ha voluto rinnovare l’appello dei presuli affinché le prossime elezioni di dicembre si svolgano pacificamente e con la massima trasparenza e al tempo stesso ha ribadito che la nazione si attende dai partecipanti un livello alto di discussione, proposte concrete, e soprattutto che all’opinione pubblica siano risparmiati insulti e linguaggi violenti. La campagna elettorale in corso, che la Chiesa segue con particolare attenzione, deve essere anche un’occasione, ha detto mons. Juárez, per dimostrare rispetto per la persona umana e per la sua dignità e ciò si può dimostrare “parlando con toni positivi, senza attacchi personali e senza offese”. Oltre a essere “una campagna positiva - ha osservato - deve essere anche propositiva; vale a dire un dibattito in cui siano illustrati programmi e progetti che rispondano ai bisogni e alle attese della popolazione”. Il segretario dell’episcopato ha chiesto inoltre ai candidati di optare in favore di “campagne che si basino sulla giustizia, la verità, il rispetto e la tolleranza”. I vescovi ricordano anche che ora più che mai occorre rispettare severamente le regole della democrazia, permettendo a ciascuno di esprimere la propria opinione e al tempo stesso consentendo la libera circolazione all’interno del territorio nazionale. Mons. Jesús Juárez ha riaffermato anche l’importanza fondamentale di esercitare il proprio diritto di voto e l’obbligo per ogni cittadino di registrarsi tempestivamente presso i centri elettorali. Una partecipazione ampia e responsabile sarà di sostegno alla trasparenza della consultazione che, sommata alle decisioni personali, libere e in coscienza, e non sotto il condizionamento della propaganda, rafforzerà ulteriormente la democrazia boliviana. Infine, il presule ha rilevato che è in gioco il bene comune e non gli interessi di alcuni, persone o gruppi che siano. In Bolivia, dopo l'entrata in vigore della nuova Costituzione, il 6 dicembre prossimo si voterà per rinnovare in sostanza tutte le autorità del Paese. L'attuale Presidente, Evo Morales, leader del Movimento al Socialismo (MAS), si ripresenta accanto al suo vice Alvaro Garcia Linera. (A cura di Luis Badilla)
Argentina: colletta della Chiesa per le regioni più povere del Paese
◊ “Più solidarietà per una minore esclusione”. È questo il tema della 40.ma Colletta nazionale “Más por menos”, che si svolgerà in tutta l’Argentina domani e domenica, su iniziativa della Commissione episcopale di Aiuto alle Regioni più Bisognose. Per l’occasione - riferisce l'agenzia Fides - Benedetto XVI ha inviato al popolo argentino un messaggio, reso pubblico dal nunzio apostolico in Argentina, mons. Adriano Bernardini, nel quale “esorta i cristiani e quanti partecipano alla colletta a uno sforzo solidale che contribuisca a ridurre lo scandalo della povertà e della disuguaglianza sociale, seguendo così gli insegnamenti evangelici che esortano a rendere possibile una società più giusta e solidale”. Nel manifestare “la sua viva gratitudine a quanti contribuiranno al buon risultato di questa campagna”, il Papa invoca “la protezione di Nostra Signora di Lujan”, patrona del Paese. “Il nostro più grande desiderio – ha affermato mons. Adolfo A. Uriona, presidente della Commissione episcopale – è portare, come Chiesa cattolica, un ‘granello di sabbia’ nella lotta contro l’esclusione nel nostro Paese; situazione che ci addolora e ci obbliga a domandarci perché ciò accada”. “L’egoismo individualista e competitivo della cultura che ci circonda lascia senza possibilità di crescita molti nostri fratelli”, per cui, soltanto attraverso la solidarietà, “che nasce dall’amore”, è possibile combattere “questo male che affligge il Paese”. In questo senso, la Colletta “Más por menos” rappresenta “un mezzo efficace per promuovere la solidarietà ed un modo molto concreto per ‘fare della nostra Chiesa una casa e scuola di comunione’” ha aggiunto mons. Uriona. Dal canto suo, mons. Fernando C. Maletti, vescovo di San Carlos de Bariloche e membro della Commissione episcopale che realizza l’iniziativa, ha dichiarato che “a partire dalle nostre realtà e povertà siamo chiamati a condividere l’identità e la missione”, e a questo proposito, la Colletta nazionale funge come un invito affinché “il dono dell’Amore di Dio arrivi a tutti, colmi il vuoto dei cuori e costruisca reti di incontro e comunione”. La Colletta “Más por menos” sostiene opere utili ad alleviare le difficoltà di gran parte delle popolazioni che vivono emarginate, nelle zone più povere dell’Argentina. Secondo i vescovi del Paese, si potrebbe definire la Colletta come “uno spazio creato per compensare la mancanza di equità sociale”. (R.P.)
Uruguay: messaggio dei vescovi per la Giornata dell’insegnamento cattolico
◊ “Salutiamo con affetto e con apprezzamento i nostri alunni ed alunne di tutte le istituzioni educative cattoliche della campagna e della città, formali e non formali, dalla prima infanzia sino all’università”. Così si apre il messaggio che il Consiglio permanente della Conferenza episcopale dell’Uruguay (CEU) ha diffuso ieri in concomitanza con il "Día de la Educación Católica", la Giornata dell’insegnamento cattolico. Il messaggio elogia subito gli sforzi dei genitori per il loro impegno, anche finanziario, nel mandare i loro figli nelle scuole cattoliche, e quelli dei tanti insegnanti e docenti delle scuole e degli istituti cattolici. Il messaggio per l’odierna Giornata dell’insegnamento cattolico è firmato dal presidente, dal vicepresidente e dal segretario della CEU, rispettivamente i monsignori Carlos Maria Collazzi, Rodolfo Wirz e Luis del Castillo. I prelati raccomandano lo studio attento dei “Criteri orientatori per la pastorale educativa in Uruguay”, in pratica le linee guida per l’educazione cristiana. (A.M.)
Cina: per evangelizzare nell'He Bei, coro, orchestra ed un corpo di ballo
◊ Le iniziative per la nuova evangelizzazione promosse dalla comunità di Wei Xian, della provincia dell’He Bei, sottolineano la necessaria partecipazione di tutta la comunità alla missione della Chiesa. Nonostante la scarsa presenza di cristiani nella zona, la comunità, soprattutto i sacerdoti locali, non si sono scoraggiati. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, concluse le attività di evangelizzazione del periodo estivo, destinate principalmente ai giovani e agli studenti, i sacerdoti hanno lanciato una nuova iniziativa per diffondere il nome di Gesù tra la gente locale. Il coro “Dio è Amore”, l’orchestra, il corpo di ballo, sono tutti mezzi ritenuti utili per l’evangelizzazione dai sacerdoti e dai loro collaboratori. Inoltre due cliniche cattoliche, gestite dalle suore della Congregazione diocesana della Consolazione dello Spirito Santo, hanno dato l’appoggio essenziale per la missione della carità. Dalla fine di agosto quindi, i giovani sacerdoti delle parrocchie (ed anche dei villaggi) di Cheng An, Qu Zhou, Guang Ping, Nan Le del distretto di Wei Xian, stanno compiendo un tour di evangelizzazione con coro, orchestra e corpo di ballo. Hanno visitato i villaggi dei dintorni per presentare questo spettacolo dai contenuti marcatamente cristiani, raccogliendo applausi da tutti, cristiani e non cristiani. Hanno raggiunto anche il villaggio di Hu Zhuang, dove su circa 1.200 contadini, i cattolici sono solo una cinquantina. Ma i sacerdoti e i missionari non li hanno certo trascurati, portando anche tra loro l’animazione evangelizzatrice e, per chi voleva, la celebrazione dei sacramenti. Il risultato è stato sorprendente: i cattolici sono rimasti commossi, i non cristiani stupiti, e tutti hanno ringraziato. Secondo don Lu Rui Qiang, l’ideatore di questa forma di nuova evangelizzazione, “la partecipazione sta non solo nei fedeli che partecipano alla missione, ma anche nei destinatari: devono essere tutti partecipi, anche i più piccoli”. (R.P.)
Sud Corea: riapre a Seul il "Museo dei Martiri coreani"
◊ “E’ un luogo di straordinaria importanza per far conoscere la storia della Chiesa in Corea e la fede dei nostri predecessori”: con queste parole, raccolte dall’agenzia Fides, il cardinale Nicholas Choeng, arcivescovo di Seul ha salutato la riapertura del Museo dei Martiri Coreani, sito a Jeoldusan, nell’arcidiocesi di Seul, dopo un lavoro di due anni in cui la struttura è stata ampiamente rimodernata, anche grazie alle nuove tecnologie, per diventare un moderno museo multimediale che racconti la storia del cristianesimo in Corea e dei suoi martiri. Il Museo-Santuario – l’edificio è tale perchè contiene anche sale liturgiche e luoghi adatti al raccoglimento e alla preghiera – è stato pensato e costruito nel 1967 proprio sul sito che ha visto molti martiri morire nel periodo 1866-1873, quando migliaia di cattolici vennero uccisi in un feroce periodo di persecuzioni. Sono numerosi i documenti storici, le ricostruzioni visive, le fotografie e le immagini, i documenti video che accompagnano oggi il visitatore nel percorso del museo che, ha sottolineato il Cardinale Choeng “intende essere anche un percorso che risveglia o rinnova la fede” di ogni persona che lo compie. La riapertura della struttura è avvenuta nel mese di settembre, che in Corea è definito “Mese dei martiri”, in quanto il 20 settembre la Chiesa universale celebra la festa di Sant’Andrea Kim Taegon (1821-1846), il primo coreano sacerdote e martire, patrono del clero coreano. Per l’occasione tutte le diocesi del Paese organizzano eventi per commemorare i martiri coreani, soprattutto con il pellegrinaggio ai santuari loro dedicati. L’annuncio del Vangelo giunse in Corea agli inizi del secolo XVII, grazie all'apostolato di alcuni laici che formarono una forte e fervorosa comunità. Questa comunità cristiana subì dure persecuzioni soprattutto nella seconda metà dell’800: la Corea vanta oltre 10.000 martiri, uccisi nelle diverse ondate di persecuzione. La Chiesa coreana ne venera già 103, canonizzati nel 1984 a Seul da Giovanni Paolo II, nella prima cerimonia di canonizzazione avvenuta fuori dal Vaticano. Inoltre nel 2004 si è aperta ufficialmente a Seul la fase diocesana di una nuova Causa di beatificazione: quella del Servo di Dio Paul Yun Ji-chung e dei suoi 123 compagni, torturati e uccisi in odium fidei nel 1791, agli albori dell’introduzione del cristianesimo in Corea. (R.P.)
Amnesty chiede al Giappone di fermare le esecuzioni dei malati mentali
◊ “Il governo del Giappone deve porre fine alla pratica inumana di mettere a morte persone affette da malattia mentale”. Lo ha chiesto ieri Amnesty International, rendendo pubblico il rapporto “Vite appese a un filo: salute mentale e pena di morte in Giappone”, ripreso dall'agenzia Sir. Secondo l’organizzazione per i diritti umani, mettere a morte persone affette da malattia mentale costituisce una violazione degli standard internazionali, sottoscritti dal Giappone. Sono 102 i prigionieri, attualmente nei bracci della morte del Paese, in attesa di sapere se e quando la loro esecuzione avrà luogo. Molti sono costretti a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, poiché la notifica dell’esecuzione arriva con un preavviso di poche ore. Per alcuni di loro, la vita va avanti in questo modo anche da decenni. “Far vivere una persona per un periodo di tempo prolungato sotto la costante minaccia di una morte imminente è un trattamento crudele, inumano e degradante che rende assai probabile l’insorgenza di gravi problemi mentali”, ha dichiarato James Welsh, esperto di Amnesty. L’esatto numero dei condannati a morte affetti da malattia mentale non è noto. Il governo non consente contatti con i condannati alla pena capitale e ha respinto la richiesta di Amnesty di entrare nei bracci della morte. I condannati non possono parlare tra loro e sono detenuti in condizioni di stretto isolamento. (R.P.)
Australia: si è spento il missionario irlandese Tom White
◊ Si è spento all’età di 86 anni nella sua abitazione di Melbourne padre Tom White, figura di riferimento del cattolicesimo australiano, essendo stato il fondatore del Catholic Enquiry Centre (CEC), centro di ricerca cattolico. ”Una figura decisiva per l’evangelizzazione e la formazione cattolica in Australia”, commenta l’arcivescovo John Bathersby, presidente della Commissione episcopale per la missione e la formazione. “La chiesa cattolica australiana – aggiunge - sarà per sempre riconoscente di aver ricevuto un pastore come lui, decisivo e così importante nel suo lavoro di evangelizzazione che continua ancora oggi”. Padre White, era nato in Irlanda nel 1923. Sacerdote dal 1948, dieci anni dopo diede vita al CEC con sede a Melbourne. La nascita di questo Centro - riferisce l'agenzia Sir - volle essere la risposta alle richieste dei vescovi australiani, che negli anni ’50, volevano raggiungere i non-cattolici e incrementare anche il dialogo con le altre religioni. In questo senso acquistava peso la scelta di approfondire e conoscere i tratti distintivi della fede cattolica. La morte del sacerdote irlandese è sopravvenuta proprio nel 50.mo del CEC, che, come ha ribadito lo stesso arcivescovo Bathersby, “continuerà la sua opera nella direzione indicata da padre White attraverso mezzi come internet, televisione, radio, cinema. Tutto il Paese gli è grato per quello che ha fatto”. (A.M.)
Conclusa a Czestochowa la Conferenza internazionale dei Canonisti
◊ “La Chiesa disunita è contro la volontà di Gesù Cristo, è una realtà non missionaria e non evangelizzatrice. Bisogna usare tutti i mezzi a disposizione, come la preghiera, per realizzare la volontà di Gesù. Bisogna mantenere lo spirito di Cristo e dare testimonianza dell’unità”: è quanto ha affermato all’agenzia Fides, l’arcivescovo Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, che ha partecipato alla Conferenza Internazionale dei Canonisti, a Czestochowa, l’8 ed il 9 settembre scorsi. “La problematica interconfessionale nella realizzazione della missione santificatrice della Chiesa” è stato il tema della Conferenza che si è svolta nell’Aula Giovanni Paolo II del Seminario maggiore dell’arcidiocesi di Czestochowa. Alla conferenza hanno partecipato circa 150 canonisti di vari paesi: Polonia, Repubblica Ceca. Slovacchia, Bielorussia, Francia, Italia. Tra loro anche mons. Tadeusz Pikus, presidente della Commissione dell’ episcopato polacco per l’Ecumenismo; canonisti dell’Università Cattolica di Lublino, dell’Università cardinale Wyszyński di Varsavia, della Pontificia Università Grogoriana di Roma. I canonisti hanno discusso su temi come il Vincolo dei Sacramenti – una delle condizioni necessarie per la partecipazione dei fedeli alla comunione ecclesiale -, il diritto dei fedeli ai sacramenti, la “Communicatio in sacris” nella legge e nella pratica delle Chiese particolari nei Paesi Europei; il processo per lo scioglimento del vincolo matrimoniale in favore della fede; la forma legislativa del matrimonio misto. (R.P.)
In Ucraina restituita una chiesa ai cattolici
◊ “Simbolico il fatto che nostro Signore Gesù abbia percorso le vie che portavano il nome di Marx, Lenin”. Con queste parole padre Zielinski ha commentato la restituzione della chiesa di San Giuseppe della città di Dniepropetrovsk, in Ucraina, ai cattolici. Dopo tre anni di contenzioso - riferisce Zenit - l’edificio è stato riconsacrato in una cerimonia solenne presieduta dal vescovo della diocesi di Kharkiv-Zaporizhia, monsignor Marian Buczek. Chiuso ed espropriato nel 1949 dai comunisti, è stato venduto illegalmente nel 1998 dalle autorità statali a un’impresa, cambiando più volte proprietario. In diverse occasioni alcuni membri della parrocchia che si riunivano nella chiesa per pregare, sono stati minacciati anche dopo l’entrata in vigore della sentenza che ne assegnava la restituzione. Quest’anno la Chiesa cattolica a Dniepropetrovsk celebra anche diversi anniversari tra cui la presenza dei cattolici da 230 anni, la costruzione della prima chiesa cattolica 130 anni fa e il ritorno da 10 anni dei Cappuccini nella parrocchia. (G.C.)
Il cardinale Bagnasco spiega il valore dell'ora di religione a scuola
◊ L’insegnamento della religione “non è una dimensione catechistica ma culturale”, ha detto il presidente dei vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco. L’occasione per ribadire l’importanza dell’ora di religione in classe è stata ieri la firma, in provincia di Genova, con la quale la Chiesa ligure e la regione Liguria hanno rinnovato l’accordo per la valorizzazione della funzione sociale ed educativa degli oratori. Davanti ai bambini, ai loro genitori e agli educatori, scrive Avvenire, il cardinale ha spiegato che l’intesa di revisione del concordato, raggiunta nel 1984 “parla molto chiaro, parla del valore e della religione nell’educazione completa e integrale della persona, parla della dimensione religiosa, cristiana e cattolica, la forma religiosa più tradizionale della storia italiana”. Per questo, ha spiegato Bagnasco, l’intesa siglata “ribadisce in questo senso la conoscenza della dottrina, del fatto cristiano e cattolico, che sono la nostra storia”. “L’educazione – ha spiegato – deve vedere uniti e complementari tutti i soggetti che hanno la responsabilità e il desiderio di educare: genitori, scuola, associazioni e parrocchie che hanno una lunghissima storia nella Chiesa”. Il presidente della Cei ha ricordato che la Chiesa italiana sta ponendo l’educazione come obiettivo pastorale per i prossimi dieci anni. (V.F.)
In Vaticano il nuovo impianto di raffreddamento solare
◊ Sarà presto attivo in Vaticano un innovativo impianto solare di conversione dell’energia solare in energia termica e frigorifera che conferma l’interesse di Benedetto XVI e della Santa Sede nel dare applicazione concreta alla questione ambientale. “A differenza di quello fotovoltaico – ha spiegato all’Osservatore Romano il direttore dei Servizi tecnici della città del Vaticano, Pietro Cuscianna - generatore di energia elettrica da immettere nella rete, questo è un impianto di conversione dell’energia solare in energia termica e frigorifera". L’impianto consente, attraverso l’uso di una particolare macchina frigorifera, di trasformare il calore captato dai collettori solari in acqua refrigerata, da usare lì dove si rende necessario il freddo. Sulla base della producibilità, il beneficio in termini ambientali ed energetici è calcolato attraverso la massa di anidride carbonica all’anno e altrettante ottanta tonnellate di petrolio. (G.C.)
Riconoscimento del ministro della cultura francese per il cardinale Roberto Tucci
◊ Il cardinale Roberto Tucci è stato insignito ieri a Roma a Villa Bonaparte, sede dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede, del titolo di “Commandeur des Art et des Lettres” da parte del ministro delle Cultura francese. Il riconoscimento per meriti culturali è stato conferito al porporato dall’ambasciatore francese presso la Santa Sede Stanislas de Laboulaye nel corso di una cerimonia nella quale il diplomatico ha ricordato l’impegno del cardinale Tucci al servizio della Santa Sede durante i lavori del Concilio Vaticano II, come direttore della nota rivista dei Gesuiti “Civiltà Cattolica”, poi come direttore generale della Radio Vaticana ed infine il suo instancabile lavoro come organizzatore dei viaggi papali durante il Pontificato di Giovanni Paolo II. L’ambasciatore francese ha detto che il cardinale Tucci - dalle origini napoletane e anglosassoni - è stato sempre “un grande amico della Francia che ha conosciuto ed amato nel preparare i viaggi di Papa Wojtyla nel nostro Paese”. Motivando il riconoscimento, il diplomatico ha tracciato del cardinale Tucci le qualità dell’uomo e del teologo ed ha sottolineato il suo lavoro, silenzioso ed intenso, nel far conoscere l’opera del teologo francese Jacques Maritain. Nel suo intervento il porporato ha ricordato i suoi continui viaggi in Francia per la preparazione dei viaggi del Papa. Presenti alla cerimonia i cardinali Paul Poupard e Albert Vanhoye, gli ambasciatori d’Italia e del Canada presso la Santa Sede, l’attuale organizzatore dei viaggi papali Alberto Gasbarri, il padre Gianpaolo Salvini direttore di Civiltà Cattolica ed alcuni collaboratori del cardinale Tucci alla Radio Vaticana. (R.P.)
Falliscono gli sforzi per formare un governo di unità nazionale libanese. Sparati due razzi dal Libano verso Israele
◊ Nuovo stallo politico in Libano dopo la decisione di Saad Hariri di rinunciare alla formazione di un governo di unità nazionale, mentre sale la tensione nell'area per il lancio di due razzi dal confine libanese verso Israele. A portare alle dimissioni del primo ministro designato, dopo dieci settimane di difficili mediazioni, è stato l'ennesimo “no” di Hezbollah che ha respinto la sua lista di ministri. Appare comunque molto probabile - secondo gli analisti – un reincarico ad Hariri per cercare di ricomporre le fratture nel complesso panorama politico libanese. Sulle ragioni di questa crisi, Stefano Leszczynski ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di relazioni internazionali all’Università di Firenze:
R. - Il vero problema della democrazia libanese è che è una democrazia su base confessionale, cioè al di là dei voti espressi dagli elettori, come hanno fatto a giugno del 2009. Il Parlamento è automaticamente diviso a metà, tra seggi musulmani e seggi cristiani, con una complicata divisione interna. Anche le cariche istituzionali sono già predisposte. Il presidente deve essere maronita, il primo ministro sunnita, e così via. In questo contesto Saad Hariri ha provato a formare un governo che unisse i due campi, anche perché il blocco di Hariri e il blocco di opposizione non sono monolitici. Dentro l’uno e l’altro ci sono presenze cristiane, sunnite, sciite e così via.
D. – Come mai in un Libano che sembrava tutto sommato abbastanza normalizzato negli ultimi tempi, continuano a esserci tante e forti influenze e pressioni dall’esterno?
R. – Perché il Libano è sempre stato, nella sua lunghissima storia, una "dependance" della Siria e questo non si può cambiare facilmente. Inoltre, è un Paese che ha subito grandissimi scossoni, basti pensare agli arrivi dei profughi palestinesi - sia nel ’48 sia in parte minore nel ’67 - e alla Guerra Civile libanese che è nata per ragioni interne. C’è inoltre una democrazia molto fragile nelle sue strutture di base.
D. – Il pericolo che possa riesplodere la violenza in Libano è sempre molto reale. Questo cosa comporterebbe oggi per gli equilibri della regione?
R. – Può scoppiare una guerra per un incidente simile a quello accaduto nel 2006, cioè una guerra per sbaglio – come ammise Hezbollah – tra Hezbollah e Israele o situazioni del genere, ma credo che i libanesi - dopo i terribili anni ’70 - siano vaccinati da questo punto di vista.
D. – L’unica strada percorribile resta quella della soluzione politica. Secondo lei ci sono degli spiragli in un contesto del genere o si rende necessario tornare al voto?
R. – Il voto non cambierebbe molto proprio perché il sistema è ingessato su questa Costituzione. Quello che probabilmente accadrà è che con altre settimane di passione si formerà un blocco governativo con Hariri, però con posizioni di debolezza reciproca che possono anche essere una garanzia di lunga vita.
Iran – Ue - Nucleare
"Chi si oppone al sistema e tira fuori la spada dovrà fronteggiare una dura risposta". Con queste parole la guida suprema dell’Iran, l'ayatollah Khamenei, è tornato oggi a mettere in guardia l'opposizione e a difendere la rielezione del presidente Ahmadinejad. Oggi a Teheran un altro alleato dell’ex candidato riformista Mussavi è stato fermato. Si tratta del terzo oppositore ad essere arrestato in settimana dalle autorità di Teheran. Intanto sul nucleare, lunedì prossimo, a Bruxelles, i ministri degli Esteri dell'Ue discuteranno il dossier presentato dall'Iran mercoledì ai Paesi occidentali. Lo ha annunciato oggi la presidenza svedese dell’Ue, in occasione della riunione del Consiglio Esteri.
Pakistan – Cattura portavoce talebano
Catturato il portavoce dei talebani del Pakistan. Lo ha annunciato l’esercito di Islamabad che da cinque mesi conduce un’ampia offensiva nella Valle di Swat definita roccaforte della guerriglia afgana. Sull’uomo pendeva una taglia di circa 90mila euro. Con lui sono stati arrestati altri quattro comandanti.
Sahara Occidentale
“Attirare l'attenzione internazionale sul dramma dei profughi del Sahara Occidentale”. Con questo intento António Guterres, il responsabile dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati (Acnur) ha fatto visita a Tindouf, nel Sahara algerino, dove si trovano i campi di raccolta che ospitano circa 150 mila profughi del popolo saharaoui, in fuga dai combattimenti tra le truppe marocchine e il Fronte Polisario, attivo dal 1973 nella lotta contro la colonizzazione. Il servizio di Marco Guerra:
Era dal 1976 che un Alto Commissario dell''Acnur non si recava nel profondo sud dell’Algeria, terra d’approdo degli esuli saharaoui da oltre 30 anni. Nel ‘75 la Spagna si era ritirata, infatti, dal Sahara Occidentale, ma l’ex colonia fu subito occupata dal Marocco. Ancora oggi si tratta del più grande territorio non indipendente al mondo. “Un dramma dimenticato dalla comunità internazionale'', lo ha definito l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, António Guterres, ringraziando l'Algeria “per la protezione data a questa gente per un così lungo periodo”. Nel corso della visita agli accampamenti l’esponente dell'Acnur ha quindi annunciato un piano di aiuti di 12 milioni di dollari. “Questa somma è insufficiente'', ha spiegato Guterres, “rispetto ai bisogni enormi dei rifugiati il cui numero totale supera le 200mila persone”. Il responsabile dell’agenzia dell’Onu ha poi assicurato il sostegno ad un programma per riunire le famiglie saharaoui divise. Alla visita ha presenziato anche Abdelkader Taleb Omar, presidente della Repubblica Democratica Araba Sahrawi, riconosciuta dall'Unione Africana, ma non dall'Onu, che è tornata a chiedere un impegno internazionale per una soluzione diplomatica del conflitto nel Sahara Occidentale.
Uganda
Secondo giorno di violenze Kampala, capitale dell’Uganda, dove continuano gli scontri fra le forze dell’ordine e i fedeli del re del Buganda, il principale dei quattro regni che formano il Paese. Fonti ufficiali della polizia parlano di due morti e 43 feriti ricoverati in ospedale, alcuni dei quali in gravi condizioni. Ma i media locali segnalano che i morti potrebbero essere una decina. All'origine dei moti un contenzioso durissimo tra le autorità governative e Ronald Mutebi II. Al re del Buganda sarebbe stato impedito l'accesso in alcune aree del suo 'regno', di qui la sollevazione popolare dei suoi seguaci.
Usa – Cina antiterrorismo
Stati Uniti e Cina terranno discussioni bilaterali sull'anti-terrorismo il prossimo autunno. Lo ha annunciato il segretario di Stato Hillary Clinton a Washington durante l’incontro tra alcuni imprenditori americani e il numero due del partito comunista cinese Wu Bangguo.
Taiwan
L'ex presidente di Taiwan Chen Shui-bian è stato condannato all'ergastolo per corruzione, al termine di un procedimento giudiziario definito come il “processo del secolo”. La sentenza odierna del tribunale distrettuale di Taipei conclude uno scandalo clamoroso durato quasi tre anni e nel quale sono stati coinvolti anche la moglie di Chen, diversi altri membri della sua famiglia e collaboratori. Chen, indebolito dallo scandalo, si ritirò nel maggio dello scorso anno dopo l'elezione del suo successore Ma Yingjeou.
Russia-Venezuela
Dopo Russia e Nicaragua, il Venezuela è il terzo Paese a riconoscere l’indipendenza di Ossezia del Sud ed Abkazia. È questo il maggior esito della visita a Mosca del presidente Hugo Chavez. Nell’incontro di ieri, tra i due Paesi, sono stati siglati importanti accordi economici. Sul riarmo, il presidente russo, Medvedev, ha assicurato che Mosca è pronta "a fornire a Caracas le armi che il Paese chiederà", nel rispetto - ha precisato - delle norme internazionali.
Croazia-Slovenia
La Croazia e la Slovenia hanno raggiunto un accordo sulle modalità per risolvere la disputa frontaliera nel nord Adriatico, e di conseguenza Lubiana ha annunciato di essere disposta a togliere il veto sull'adesione della Croazia all'Unione europea, posto a dicembre. Lo hanno dichiarato il primo ministro sloveno Borut Pahor e la premier croata Jadranka Kosor al termine di un incontro avvenuto questa mattina a Lubiana.
Moldova
Il presidente comunista moldavo, Vladimir Voronin, ha annunciato le sue dimissioni e consegnato il potere alla nuova maggioranza filo-occidentale, uscita vittoriosa delle scorse elezioni del 29 luglio. Per la prima volta dal 1991, il partito comunista ha ottenuto solo la maggioranza relativa, ottenendo 48 seggi contro i 53 di cui dispone la coalizione composta da quattro partiti liberali formatasi dopo le elezioni. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 254
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