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Sommario del 04/09/2009
I vescovi del Brasile in visita "ad Limina". Mons. Rocha: Chiesa più missionaria e promotrice di dialogo e giustizia
◊ Uno Stato immenso che, assieme a Cina, India, Russia e Messico, fa parte delle cinque economie emergenti con il maggiore tasso di sviluppo a livello mondiale. E’ questo il volto attuale del Brasile, che fatica però a lasciarsi alle spalle il divario tuttora persistente fra le classi più ricche e i tanti poveri che fanno parte dei suoi 190 milioni di abitanti. Ombre e luci che da qualche giorno i vescovi delle Regioni Ovest 1 e Ovest 2 - il primo dei 13 gruppi che si alterneranno in queste settimane in visita ad Limina in Vaticano - stanno portando all’attenzione del Papa e della Curia Romana. Oggi Benedetto XVI ha incontrato nel Palazzo apostolico di Castel Gandolfo altri cinque presuli. Al microfono di Lisa Zengarini, mons. Geraldo Lyrio Rocha, arcivescovo di Mariana e presidente della Conferenza episcopale brasiliana, offre una panoramica della situazione della Chiesa brasiliana oggi, a cominciare dal problema delle sette religiose:
R. - Da una parte, abbiamo il problema di queste sette fondamentaliste, del neo-pentecostalismo e, dall’altra, l’indifferenza religiosa, il pluralismo culturale e tutti i fenomeni che vivono anche le nazioni più sviluppate. Anche noi viviamo il problema del relativismo, dell’ateismo pratico e tutte queste sfide della post-modernità. Le abbiamo perché le grandi città dell’America Latina hanno problemi molto simili a quelli delle città europee e nordamericane. Tuttavia, si può anche vedere un grande sviluppo della Chiesa, perché i cattolici hanno una coscienza più forte della propria fede, partecipano di più alla vita della Chiesa e in questo senso le Comunità Ecclesiali di Base sono sempre una speranza, specialmente tra i poveri e le popolazioni delle periferie urbane, come lo sono i movimenti ecclesiali.
D. - Cosa sta facendo la Chiesa brasiliana per dare attuazione al documento di Aparecida e quindi per realizzare la Missione continentale e quale ruolo avranno i laici in questa missione?
R. - Abbiamo preso il documento di Aparecida e cerchiamo di tradurlo nella vita della Chiesa brasiliana dandole un orientamento più missionario, il che implica - come dice lo stesso documento di Aparecida - una conversione pastorale: ossia, passare da una pastorale di conservazione a una pastorale missionaria. Una Chiesa più aperta ai cattolici che si sono allontanati ma anche alla missione ad gentes, in questo caso con una missione forte nella regione amazzonica, dove i mezzi umani e materiali sono molto ridotti.
D. – Qual è la situazione della pastorale giovanile in Brasile?
R. - Il cambio epocale che stiamo vivendo è molto veloce e senz’altro i giovani sono quelli che vivono tale cambiamento in maniera più vivace e più forte. Questa è una sfida, perché la famiglia non sa come dialogare con loro, così come la scuola. La Chiesa cerca di trovare una strada: è uno sforzo molto grande l’articolare le diverse azioni portate avanti dalla pastorale giovanile e anche gli sforzi dei Movimenti ecclesiali che lavorano con i giovani. La Chiesa deve affrontare la sfida del dialogo con le nuove generazioni senz’altro con molta fedeltà alla sua missione, ma anche con molta apertura ai nuovi tempi.
D. - Anche la Chiesa in America Latina sta affrontando questioni cruciali come la difesa della vita e della famiglia. Qual è la situazione in Brasile?
R. - La situazione è di un impegno molto grande verso la pastorale familiare, a tutti i livelli. I problemi sono molto grandi (…). Oggi, in parlamento, ci sono diversi progetti di legge contro la vita e contro la famiglia, come in altre nazioni. La Conferenza episcopale è sempre molto attenta ad accompagnare questi dibattiti parlamentari per fare presente la posizione della Chiesa sulla difesa della vita e della famiglia.
D. - La Chiesa brasiliana è sempre stata in prima fila nel denunciare le piaghe sociali che affliggono il Paese e in un recente documento il Consiglio permanente della Conferenza episcopale ha condannato ancora una volta la corruzione che ha definito una minaccia al sistema democratico. Oltre alla denuncia, cosa fa per contrastare queste piaghe?
R. - Da una parte, c’è questa missione profetica della Chiesa di denunciare tutto quello che si oppone alla dignità della persona, alla giustizia e tutto quello che va contro la vita e anche una posizione chiara contro la corruzione che è arrivata anche ai livelli superiori delle istituzioni. Dall’altra, c’è lo sforzo che si porta avanti con la pastorale sociale specialmente con i bambini, i giovani, gli anziani. La questione sociale è stata ripresa dalla Conferenza episcopale con molta responsabilità, perché sappiamo che con il peso sociale che ha e continua ad avere, la Chiesa in Brasile può portare un contributo positivo per trovare vie d’uscita a certe situazioni.
D. - Tra le categorie più penalizzate in Brasile ci sono le popolazioni indigene. Come promuove concretamente la Chiesa brasiliana la pastorale degli indigeni?
R, - La Chiesa si occupa di indigeni da molti anni. Nella regione amazzonica ha una Commissione per la missione tra gli indigeni: il Consiglio indigenista missionario del Brasile (Cimi), un organo della Conferenza episcopale che svolge questo lavoro in maniera sistematica e ordinata. La Chiesa ha sempre difeso i popoli indigeni in modo molto chiaro e forte e ha anche una pastorale rivolta alle comunità indigene che cerca di rispettare la loro cultura, ma anche di portare i valori del Vangelo.
D. - Il 7 luglio scorso, Benedetto XVI ha pubblicato la sua prima Enciclica sociale, la Caritas in veritate. Come è stata accolta dalla Chiesa e dalla società brasiliana?
R. - Il Papa ha detto una parola che è di grande luce nel momento attuale in tutto il mondo. In Brasile, è stata accolta con molta simpatia anche dai media più importanti che formano l’opinione pubblica, come pure dalle autorità governative, dal parlamento, dagli intellettuali. L’Enciclica è stata ricevuta con molta speranza e il nostro auspicio è che la parola del Papa possa essere ascoltata da tutti quelli che hanno responsabilità, soprattutto nel campo finanziario ed economico.
Altre udienze
◊ Il Papa ha ricevuto oggi in udienza Valentin Vassilev Bozhilov, ambasciatore di Bulgaria, con la consorte, in visita di congedo.
La visita del Papa a Viterbo: la tappa al Santuario della Madonna della Quercia
◊ Accanto a Santa Rosa, la co-patrona della diocesi di Viterbo è la Madonna della Quercia, venerata nel Santuario omonimo dove Benedetto XVI farà tappa nella sua visita pastorale di domenica prossima. Qui, prima di recarsi a Bagnoregio - dove offrirà una riflessione su San Bonaventura - pregherà insieme a circa 120 claustrali che giungeranno da una dozzina di monasteri della diocesi. Il servizio di Antonella Palermo.
Laddove la fede ha prevalso, la grazia del Signore ha abbondato. E’ la storia del Santuario della Madonna della Quercia, edificato nelle immediate vicinanze di Viterbo, dove è tutto pronto per accogliere il Papa. Qui dalla metà del ‘400 sono accaduti fatti straordinari in cui i viterbesi hanno subito riconosciuto i segni di un intervento divino. Dalla città salvata dalla peste nell’agosto del 1467 al bombardamento che nella II Guerra Mondiale risparmiò proprio questo luogo. Tutto cominciò da un’immagine con il volto della Madonna e il Bambino che un cittadino viterbese fece dipingere su una tegola rimasta attaccata ad una quercia. La devozione dei fedeli crebbe a tal punto che ora quella stessa tegola è custodita in una basilica preziosa di opere d’arte. Nell’attesa di Benedetto XVI è ancora vivo il ricordo di quando Giovanni Paolo II 25 anni fa la incoronò con il suo Rosario. Il rettore don Angelo Massi:
“E’ il ricordo più bello che possiamo avere. Partendo dal Santuario della Quercia disse ai querciaioli: ‘Ho lasciato una corona del Rosario alla vostra Madonna di Quercia. Sia il ricordo di una preghiera che deve sempre circondare la Madonna santissima, per la pace, per il mondo, per i giovani, per tutti’”.
Profondamente legato a questo luogo - perché vi è nato - è mons. Dante Bernini. vescovo emerito di Albano Laziale, spiega l’importanza di San Bonaventura, che fu anch’egli vescovo qui per due anni:
“Bonaventura dà a un francescanesimo, nato dal cuore di Francesco su ispirazione dello Spirito Santo, qualcosa che Francesco nella sua genuinità evangelica non è che avesse dimenticato, ma non aveva messo in luce quanto necessario, e cioè il rapporto fra la fede e la ragione, intendendo al primo posto la fede, perché valeva per Francesco in modo definitivo e ineludibile, e la ragione, sempre conservando quella preminente presenza della carità che Francesco aveva di fatto nel suo cuore e aveva trasmesso alla sua famiglia religiosa e che, però, Bonaventura riesce a coniugare in un modo più profondo – se vogliamo – e più incisivo per la vita della Chiesa”.
Cento anni fa nasceva il cardinale Willebrands, protagonista dell'ecumenismo
◊ Cento anni fa, il 4 settembre 1909, nasceva a Bovenkarspel, nei Paesi Bassi, il cardinale Johannes Willebrands, uno dei grandi protagonisti dell’ecumenismo. Ce ne parla Sergio Centofanti.
Un “pastore infaticabile al servizio del Popolo di Dio e dell’unità della Chiesa” che ha dato “un nuovo slancio al dialogo ecumenico”: è quanto ha affermato Benedetto XVI il 2 agosto 2006, nel giorno della morte del cardinale Willebrands. Il porporato, arcivescovo di Utrecht e primate d’Olanda, ha dedicato tutta la sua vita alla promozione dell’unità dei cristiani: per 20 anni, dal 1969 al 1989, è stato alla guida del dicastero vaticano impegnato sul fronte ecumenico, lasciandosi ispirare dal suo motto episcopale: “fare la verità nella carità”. Celebri le sue iniziative di dialogo con gli ortodossi, gli anglicani e i luterani. Decisivo il suo impegno durante il Concilio Vaticano II. Ascoltiamo in proposito l’attuale presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il cardinale Walter Kasper, al microfono di Philippa Hitchen:
R. – Penso che il cardinale Willebrands sia stata una grande personalità: ha cominciato ad operare per l’unità immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando l’ecumenismo non era ancora riconosciuto. Durante il Concilio Vaticano II ha lavorato come segretario dell’allora Segretariato per l’unità dei cristiani. Ha fatto molto per il Decreto per l’unità dei cristiani e anche per la Dichiarazione Nostra Aetate, in particolare riguardo agli ebrei - aspetto difficilissimo durante il Concilio – ed anche per la Dichiarazione sulla libertà religiosa e il testo della Costituzione dogmatica sulla Parola di Dio. Tutto questo è stato un grande lavoro. Lui ha saputo parlare con tutti gli osservatori, i fratelli delle altre Chiese. Si sono incontrati ogni settimana e hanno dato un grande contributo al Concilio. Ecco, era un uomo con una grande visione, ma, d’altra parte, anche molto prudente. Alla fine è riuscito ad ottenere l’approvazione della stragrande maggioranza dei Padri del Concilio. E noi quindi siamo molto riconoscenti per il suo lavoro.
Ma riascoltiamo la voce del cardinale Willebrands in una intervista rilasciata al programma tedesco della Radio Vaticana nel 1989:
"Die liebe, die Christus von Petrus gefragt hat…
L’amore che Cristo ha chiesto a Pietro, non è circoscritto ad un gruppo, nemmeno alla Chiesa cattolica: tutti sono sue pecorelle. E per questo, l’amore è rivolto a tutti i cristiani, e questo amore chiede prima di tutto l’unità, perché è una grande sofferenza quando una famiglia è divisa. In questo spirito io ho inteso il mio nuovo compito e l’ho svolto con tutto il cuore e con tutte le forze – spirituali e materiali – che Dio mi ha dato; il Signore mi ha benedetto e Gli sono profondamente riconoscente per essersi servito così a lungo della mia opera per la Sua Chiesa”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Nell’informazione internazionale, in primo piano l’Afghanistan: vittime civili nel raid della Nato a sud ovest di Kunduz.
Le conversioni di Jean Racine: in cultura, Marco Beck sul ritorno al teatro del drammaturgo francese con “Esther”.
La luce che viene dal freddo: Maria Maggi sui cinquant’anni dell’invenzione del tubo al neon.
Troppa retorica su Monte Sole: Gaetano Vallini sulla realtà storica dell’eccidio di Marzabotto.
Ad Aleppo sulle orme di Efrem il Siro: Giulia Galeotti sulla vita monastica.
Un’attenta opera di formazione per rispondere all’invadenza delle sette: Nicola Gori intervista monsignor Antonino Migliore, vescovo di Coxim e presidente della Conferenza episcopale regionale brasiliana Oeste I.
Solidarietà trasversale a Dino Boffo, dopo le dimissioni da direttore di Avvenire
◊ Un “galantuomo”: l’edizione odierna di Avvenire definisce così il suo ex direttore Dino Boffo, alla guida del giornale cattolico per 15 anni. Un periodo nel quale il quotidiano è cresciuto in qualità e numero di copie vendute, arricchito da una serie di iniziative editoriali di successo. Numerosi gli attestati di stima pervenuti a Boffo dal mondo cattolico e non solo, a testimonianza dell’ottimo lavoro svolto in questi anni alla guida di Avvenire, di Sat2000 (ora Tv2000) e Radio InBlu. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Anni di grande crescita con la direzione giusta”: è quanto rivendica oggi il quotidiano Avvenire, all’indomani delle dimissioni del suo storico direttore Dino Boffo vittima, afferma l’assemblea dei redattori, di un “ripugnante attacco” da parte de “Il Giornale”. Sulla stessa linea le redazioni delle altre due testate guidate da Boffo, Tv2000 e Radio InBlu, che esprimendo la propria vicinanza all’ex direttore, assicurano il proprio impegno nel portare avanti un’informazione che rispetti sempre la persona umana. Dal mensile per la famiglia al tabloid per i bambini agli inserti su lavoro e bioetica, l’Avvenire ricorda le iniziative fiorite nei 15 anni di direzione Boffo e “l’apertura alle diverse voci del mondo cattolico e laico”. Compatte le diverse anime del cattolicesimo italiano nel ringraziare Dino Boffo, da Comunione e Liberazione alle Acli, da “Scienza e Vita”, che definisce le dimissioni “traumatiche, tristi e coraggiose”, al Forum delle associazioni famigliari. Anche il sindacato dei giornalisti italiani, la Fnsi, attraverso il suo segretario Franco Siddi, esprime solidarietà a Boffo. Le sue dimissioni, scrive Siddi, sono un “gesto estremo e doloroso a tutela della propria libertà, di quella del suo giornale e del sue editore particolare, i vescovi italiani”.
Dal canto suo, l’Unione cattolica della stampa italiana (Ucsi) parla di “giornate orribili per il giornalismo italiano” in cui si sono usati i giornali “come strumenti di lotta politica e come pugnali per colpire alla schiena gli avversari del momento”. E l’agenzia cattolica Sir, assieme alla Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), - in una nota congiunta - condanna “l’inqualificabile attacco mediatico” contro Boffo, sottolineando che “questa intimidazione” non riuscirà a zittire le voci dei giornalisti che “intendono tenere vigile la loro coscienza e libera lo loro professione”. Tra i tanti editoriali, commenti e attestati di stima dei colleghi delle testate più diverse, si segnala quella del direttore del Foglio. Di Boffo, scrive Giuliano Ferrara, “resta un lascito interessante, che onora il dimissionario: l’opera non banale, pluralista e critica, di un cattolico laico interessato con intelligenza alle grandi questioni della vita umana e della società civile e politica, fino al punto da fare un giornale cattolico che si poteva leggere. Che si doveva leggere”.
Pakistan. Accorato appello dei cristiani: stop a violenze e discriminazioni
◊ La violenza anticristiana in Pakistan non accenna a diminuire: l’ultimo attacco due giorni fa, nel Belucistan costato la vita a cinque persone. Da più parti si levano appelli al governo pakistano affinchè assicuri protezione e sostegno alle minoranze e provveda ad abrogare la legge sulla Blasfemia, spesso all'origine delle violenze. Dopo il messaggio di Benedetto XVI, inviato alla comunità cristiana pakistana è arrivata anche la solidarietà di molti vescovi e molte diocesi del mondo, pronte ad aiutare i cristiani a non desistere dal loro impegno per costruire una società radicata nei valori religiosi e umani. Il servizio di Cecilia Seppia:
È una sorta di apartheid sociale, politico e giudiziario quello che vivono i cristiani in Pakistan. Un piccolo quattro per cento su 170 milioni di abitanti per lo più musulmano, facile bersaglio dell’estremismo islamico, vittima di attacchi devastanti e spesso premeditati: uno tra tutti quello del primo agosto a Gorya nel Punjab: otto cristiani sono stati bruciati vivi e tra questi quattro donne e due bambini, con l’accusa - per altro falsa - di blasfemia. L’ultimo in ordine di tempo il 2 settembre: due uomini armati hanno aperto il fuoco nel pieno centro cittadino di Quetta, capoluogo del Belucistan, uccidendo cinque cristiani. Un clima di terrore e di persecuzione, come racconta padre Iftikar Moon, sacerdote pakistano, comboniano della diocesi di Fasalabad, sopravvissuto al tragico attacco del primo agosto:
“Christians in Pakistan are afraid still…
I cristiani in Pakistan hanno ancora paura. Certo il governo pakistano cerca di aiutarci, di sostenerci, ma la violenza spesso è incontrollabile e passa attraverso il fanatismo religioso. I musulmani estremisti non perdono occasione di terrorizzare tutta la comunità cristiana, loro vogliono destabilizzare questo Paese. La gente ha sempre paura, non è mai al sicuro, però noi dobbiamo vivere lì perché questo è il nostro Paese, lì abbiamo le nostre case, il nostro lavoro”.
Proprio in questi giorni il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha condannato gli attentati e denunciato il clima di terrore in cui la minoranza cristiana è costretta a vivere, richiamando il governo pakistano al rispetto delle minoranze e chiedendo l'abolizione di una legge che prevede l'arresto immediato e la pena di morte per gli accusati di blasfemia. Questo è l’appello di padre Iftikar:
“Well, the work is still going on…
C’è ancora molto da fare e noi ci affidiamo molto a Dio e speriamo che questa legge sulla blasfemia varata nel 1991 ed ancora in vigore sia cancellata. Le vittime di questa legge tra l’altro non sono solo i cristiani ma anche i musulmani. Noi chiediamo al governo che faccia qualcosa e ci appelliamo ai mezzi di comunicazione, affinché raccontino quello che succede qui”.
Raid Nato in Afghanistan: oltre 90 morti. Molte vittime tra i civili
◊ Ancora un altro drammatico episodio stamani in Afghanistan. Si contano almeno 90 morti ed un numero imprecisato di feriti nella provincia settentrionale di Kunduz. Molti civili tra le vittime. Un nuovo attacco aereo del contingente internazionale Isaf della Nato ha fatto esplodere due autocisterne di carburante, che, sembra, fossero state sottratte dai ribelli talebani. L’operazione è avvenuta mentre numerosi abitanti della zona approfittavano della situazione, prelevando il carburante. Su questo tragico evento, Giancarlo La Vella ha sentito Simona Lanzoni, dell’organizzazione Pangea Onlus, che da anni opera in Afghanistan con progetti di solidarietà:
R. – Cose di questo genere vanno purtroppo a rafforzare il sentimento di delusione della popolazione afghana nei confronti della presenza internazionale. Bisognerebbe capire meglio che cos’è l’Afghanistan in questo momento e come funziona. Questa è la prima volta che al nord avviene un attacco Nato; di solito le operazioni dell’Isaf sono concentrate nel sud. A nord c’è il passaggio di petrolio e gas dalle repubbliche dell’ex Unione Sovietica verso l’interno del Paese. Sono strade in cui appena succede un evento tutti vanno a guardare. Bisogna, quindi, conoscere bene come funziona la vita in Afghanistan. Solo questo darà le chiavi per realizzare realmente operazioni militari vincenti non solo dal punto di vista strategico, ma anche nei confronti della popolazione ed è fondamentale sapere che, nel momento in cui si attacca un mezzo che trasporta carburante, non si stanno attaccando solo i talebani, ma anche tutte le persone che, con loro, cercano di approfittare di quella situazione, per appropriarsi di qualche litro di carburante.
D. – Da una parte, quindi, il contingente internazionale che ha difficoltà a controllare il territorio, dall’altra il rischio che i talebani riprendano in mano le sorti del Paese. Di questo secondo aspetto che cosa pensano gli afghani?
R. – Gli afghani sono semplicemente stanchi. Vogliono la pace, la possibilità di poter portare i loro figli all’ospedale e a scuola tranquillamente, saper che cosa dar loro da mangiare giorno per giorno e questo ancora non succede. Per gli afghani quindi, che siano talebani o altri ad andare al potere diventa quasi ininfluente, anche se in realtà non è così, perché sappiamo bene che non vogliono tornare indietro né al periodo dei mujaheddin, né a quello talebano. Noi, come fondazione Pangea, siamo presenti in Afghanistan ormai dal 2003 ed abbiamo visto peggiorare la situazione lentamente, nel tempo, in quanto a mancanza di sicurezza, ma soprattutto anche all’impoverimento che subisce la gente giorno per giorno. Le difficoltà scoraggiano sempre di più le persone, soprattutto rispetto a tutte le speranze che dal 2001 ad oggi sono purtroppo state deluse.
Convegno nazionale dell'Azione Cattolica. Il presidente Miano: far crescere ciò che unisce
◊ Si apre oggi pomeriggio a Roma il Convegno nazionale dei presidenti e degli assistenti dell’Azione Cattolica Italiana, sul tema “Legami da rinnovare – Ac Parrocchia e Territorio”. Sugli obiettivi di questo incontro, Federico Piana ha intervistato il presidente dell’Azione Cattolica Franco Miano:
R. – Riteniamo che oggi sia urgente far crescere tutto ciò che unisce rispetto a ciò che divide, che sia importante ritrovare i legami profondi che appartengono alla nostra storia locale e nazionale. Valorizzare l’esperienza dei laici cattolici – che sono impegnati nell’Azione Cattolica ma, anche più in generale, nella vita della Chiesa -, le nostre parrocchie che danno un contributo particolarmente significativo per le persone, in tutta la nostra realtà italiana ed il territorio. Quanti più legami significativi vengono rinnovati, rilanciati e ripensati, tanto più cresce la vita stessa della nostra realtà italiana e tanto più è un’esperienza significativa, anche per la stessa realtà di Chiesa.
D. – Quali sono questi legami, entrando nel particolare?
R. – Il legame dell’Azione Cattolica con la propria realtà parrocchiale. L’Azione Cattolica nasce concretamente come esperienza che appartiene ad una chiesa locale. L’Azione Cattolica è con il vescovo. Significa che sente la propria Chiesa, sente il proprio compito come l’essere pienamente parte della vita di una chiesa locale, di una Chiesa concreta. Come dire: c’è un luogo, c’è una terra, ci sono persone che il Signore ci affida. Di conseguenza vi è un legame con il territorio, perché non vi può essere legame con una chiesa locale senza legame con il territorio.
D. – Come si può essere un’associazione che è unitaria e allo stesso tempo diversificata. Quali sfide comporta?
R. – Sicuramente c’è tanta fatica, però è un’esperienza bellissima. E’ l’esperienza di una coralità che si sviluppa a vari livelli, nell’intersezione tra livelli diversi. E’ molto bello pensare che in una piccola parrocchia lontana, su un’isola sperduta, si possa fare un cammino che ha analogie molto forti con il cammino di persone che vivono in una grande città. E’ molto bello pensarlo perché è proprio questo che ci fa crescere insieme. La caratteristica dell’associazione è quella di essere contemporaneamente associazione nazionale e diocesana ed in questo senso quello che l’Azione Cattolica rende è un servizio all’unità. L’unità del Paese che però è anche – voglio peraltro sottolineare – unità fra le generazioni, perché la proposta dell’Azione Cattolica è una proposta fondamentalmente intergenerazionale. Tocca tutte le età della vita, c’è una proposta per ognuna di queste età e, proprio per questo, è una proposta che è contemporaneamente attenta alla persona ma è anche attenta al mettersi insieme tra le persone. Non è quindi solo esperienze per ragazzi, per famiglie o per adulti. E’ la pluralità delle esperienze nella loro specificità ma anche insieme, in un’idea di associazione, in un essere associazione.
Le Acli a Perugia sulla cittadinanza negata: intervista con Andrea Olivero
◊ Si è aperto ieri a Perugia il 42.mo incontro nazionale di studi delle Acli sul tema “Cittadini in-compiuti. Quale polis globale per il XXI secolo”. Al centro del Convegno delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani il tema della cittadinanza: in particolare si è parlato della possibilità di passare, per concedere la cittadinanza agli stranieri, dallo jus sanguinis allo jus soli: ovvero, chi nasce in Italia sarebbe automaticamente italiano. Le Acli sono convinte che l’attuale normativa in fatto di cittadinanza neghi diritti a tanti cittadini. Alessandro Guarasci ha intervistato al riguardo il presidente Andrea Olivero:
R. – Innanzitutto, sono negati a tantissimi cittadini che in Italia vivono da lungo tempo, che hanno scelto di vivere nel nostro Paese, che vogliono bene al nostro Paese, hanno messo al mondo figli e si stanno impegnando. Sono circa un milione e 600 mila quelli che sono nati in Italia e quelli che da più anni, almeno cinque, risiedono stabilmente, che potrebbero avere la cittadinanza e che oggi ne sono esclusi. In più ci sono tanti che la cittadinanza ce l’hanno, ma che non riescono a godere fino in fondo dei diritti. E ci sono, in particolare, soggetti sociali, che sono dimenticati: la famiglia, che viene considerata nelle dichiarazioni politiche, ma che poi è costantemente dimenticata nei momenti delle scelte; giovani, donne, soggetti anche come i lavoratori, in particolare i lavoratori precari, che non vedono riconosciuti quei diritti, che pure sono sanciti nella Costituzione e che dovrebbero essere l’elemento determinante dello stare insieme.
D. – Un primo punto da cui partire è lo ius soli?
R. – Sì, uno ius soli che, naturalmente, deve essere anche contemperato con lo ius sanguinis, che dovrà mantenersi. Noi siamo un Paese di emigranti e di immigrati. Questa è una condizione particolare, che riguarda l’Italia. Non dobbiamo troncare il rapporto con chi è andato via, anche se dobbiamo limitare naturalmente lo ius sanguinis, che non può continuare ad allargarsi, come stiamo facendo da anni. Dobbiamo, però, mettere lo ius soli, dobbiamo consentire a chi nasce in Italia di essere italiano fino in fondo.
D. – Sulla politica migratoria serve comunque stabilire dei criteri più precisi e più ampi per concedere, per esempio, l’asilo?
R. – Chiaramente noi dobbiamo andare a stabilire quali sono le regole. In molti casi, siamo ancora con definizioni vaghe che consentono ai governi di chiudere tendenzialmente, non di aprire. Noi dobbiamo essere molto attenti a quanti hanno diritto di entrare nel nostro Paese: non possono essere cacciati come è successo in questi mesi. Ne va di mezzo non soltanto una questione umanitaria generica, ne va di mezzo la nostra stessa identità. Noi siamo un Paese che ha fatto dell’accoglienza, della solidarietà, del rispetto dei diritti umani la sua bandiera nel mondo. Andare a dimenticarsi questo, vuol dire non voler bene all’Italia.
D. – E per venire incontro ai bisogni delle famiglie, secondo lei servono più servizi o meno tasse?
R. – Secondo me serve il riconoscimento della famiglia come soggetto ed è per questo che noi abbiamo da più tempo sostenuto la necessità di un quoziente familiare, che da un lato appunto diventa meno tasse, ma che dall’altro consente anche allo Stato di vedere la famiglia in quanto tale, come un soggetto autonomo, che determina anche le sue stesse scelte, la sua possibilità di operare all’interno della società. E’ chiaro che la questione deve essere tenuta in considerazione nella sua complessità e non possono essere tolti i servizi, a fronte anche di una riduzione delle tasse. Non possiamo dimenticarci che siamo agli ultimi posti in Italia per i servizi per le famiglie, e quindi dobbiamo fare uno sforzo anche in quella direzione. Ribadisco, però, prima di tutto: osiamo oggi introdurre il quoziente, perchè è l’unico modo per fare i conti con questo soggetto sociale.
Festival di Venezia. Mons. Ravasi consegna il Premio Bresson al regista brasiliano Walter Salles
◊ E’ stato consegnato questa mattina nell’ambito della Mostra del Cinema di Venezia il Premio Bresson al regista brasiliano Walter Salles. Il riconoscimento è stato consegnato da mons. Gianfranco Ravasi che ha portato la voce della Chiesa alla manifestazione veneziana, incoraggiando un dialogo già felicemente iniziato. Il servizio di Luca Pellegrini.
Un’anima in movimento. Questa dimensione spirituale e cinematografica caratterizza l’opera del cinquantatreenne regista brasiliano Walter Salles che ha ricevuto questa mattina a Venezia il Premio Bresson istituito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo insieme ai Pontifici Consigli delle Comunicazioni Sociali e della Cultura. E non è un caso che anche per questa sua decima edizione il Premio guardi ancora una volta al sud del mondo, all’America Latina, dopo l’argentino Daniel Burman lo scorso anno. Dimostra la vitalità del cinema di quel continente e l’attenzione ai temi importanti e delicati della storia, della società, dell’uomo. Mons. Ravasi lo ha ribadito, confermando come la Chiesa cattolica sia sempre disponibile nel leggere e ascoltare con attenzione ciò che il cinema riesce a proporre allo sguardo e all’intelligenza:
R. – Io sono convinto che sia da fare ancora una strada, soprattutto a due livelli. Da un lato, direi, sulla produzione cinematografica di qualità, che tante volte sembra apparentemente lontana da orizzonti di tipo religioso tradizionale, mentre in realtà è sempre sottintesa una profonda ricerca. Dall’altra parte, io direi che non bisogna automaticamente esorcizzare tutto il cinema di intrattenimento, quello forse più nazional-popolare, perché anch’esso certe volte, se evita le degenerazioni, le derive, nell’interno della banalità, della superficialità, della volgarità, rappresenta per l’uomo contemporaneo quello che accadeva in passato, quando l’uomo entrava nella piazza e vedeva la vita della città.
D. – Eccellenza, come cattolici e credenti spesso nell’ambito di questo dialogo con il mondo del cinema siamo considerati impermeabili, lontani, incapaci di aprirci ad un confronto, a un dibattito. Come poter far capire ai nostri interlocutori che l’universalità della Chiesa permette invece di ascoltare tutti e con tutti, nel rispetto delle proprie convinzioni, dialogare per il bene dell’uomo?
R. – Questa è veramente una delle grandi sfide, come si suol dire, ai nostri giorni, da affrontare da parte della pastorale in genere, ma io direi della cultura nella sua dimensione anche religiosa o ecclesiale. Ed è proprio per questo motivo che io spero di poter sempre di più, anche nella mia funzione di presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, di incrementare almeno tre linee diverse di dialogo con questo mondo. Primo, sicuramente, quello del cinema. Qualcosa si sta facendo, se pensiamo al Festival Tertio Millennio. In Messico abbiamo costituito una vera e propria scuola di cinematografia, “Filmar Lo Inefable”, a Guadalajara. Le strade sono ancora tanto aperte. La seconda linea è quella sicuramente dell’arte contemporanea, quindi anche ricordare questo dialogo con un mondo che è continuamente mutevole, ma che vuole, è pronto, ad accogliere le provocazioni. Quindi, non aver paura di entrare da questo ingresso. E da ultimo, la terza via, è forse quella, in genere, della cultura, nel senso più lato del termine, cioè far sì che tutti i percorsi, gli itinerari della cultura contemporanea, che tante volte sembrano essere vietati a noi, sono invece sentieri che possiamo percorrere con una nostra originalità e anche forse con una certa provocazione.
Di Walter Salles è stata riconosciuta la profondità e l’attualità narrativa della sua opera. In questo momento della sua vita, come considera il suo rapporto con il cinema?
“Ho avuto un’infanzia da nomadi, perché mio padre era un diplomatico, e noi lo seguivamo in ogni latitudine, in ogni paese, e questo mi ha dato la possibilità di capire molte culture diverse, e mi ha dato anche l’idea della necessità di capire la diversità. Questo, direi, è stato il lato positivo di questa esperienza. Il negativo è che c’era sempre la sensazione di perdita, associata a questa deriva. Quando lasciavamo una nazione per andare in un’altra, perdevo tutti gli amici e anche i riferimenti culturali, dovevo imparare tutto nuovamente. E’ stato un momento d’instabilità, ma anche molto interessante. Tutto il mio lavoro di 'documentarista' in Brasile è il risultato di questo desiderio di capire il mio Paese, visto che ero stato fuori tanto tempo. La scelta del documentario come inizio di una traiettoria nel mondo del cinema si deve direttamente alla mia infanzia”.
La Caritas sostiene le vittime del terremoto in Indonesia
◊ 63 morti, 37 persone ancora intrappolate sotto le macerie, oltre 400 feriti, 31 mila case distrutte: è il bilancio ancora provvisorio del terremoto, di magnitudo 7.3 che ha colpito l’Indonesia il 2 settembre. La scossa, durata oltre un minuto, con epicentro a circa 200 Km a sud della capitale Jakarta, ha indotto le autorità locali a lanciare un allarme tsunami, fortunatamente rientrato dopo poche ore. La rete Caritas - a livello locale e con il sostegno degli operatori di tutte le Caritas estere presenti nel paese, si è prontamente attivata. Secondo le prime informazioni sui danni, molte aree colpite si trovano nel distretto di Cilacap, dove centinaia di case e di edifici sono crollate. Danni di entità variabile sono stati riscontrati nei distretti di Cipari, Patimuan, Jeruklegi, Gandrungmangu, Cilacap Tengah, Kawunganten e Kedungreja, dove il mercato nel villaggio di Tambakreja è stato completamente distrutto. Si hanno notizie di danni anche nel distretto di Bandung e nel distretto di Tasikmalaya. Il team di Caritas Bandung, sta provvedendo all’invio di teli impermeabilizzati o tende per soccorrere le persone le cui case sono state danneggiate dal terremoto. Attiva sul territori da anni anche Caritas Italiana con attività di vario tipo che si sono intensificate nel periodo successivo allo Tsunami del dicembre 2004. Negli ultimi 5 anni sono stati realizzati interventi per circa 2,5 milioni di euro.Tra questi, grossi progetti di ricostruzione, riabilitazione e sviluppo, oltre le attività di preparazione alla gestione delle emergenze, di animazione sociale, di formazione, di sensibilizzazione sui temi della condizione femminile. (C.S.)
Alluvioni in Burkina Faso: i bambini a rischio malaria
◊ “Le operazioni di ricerca dei dispersi nelle alluvioni sono in corso mentre le autorità provvedono a pulire le strade e le strutture pubbliche danneggiate, in primo luogo il principale ospedale cittadino”: lo ha detto alla Misna Suor Amélie, delle Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli, raggiunta telefonicamente nella casa provinciale nel quartiere di Zogona. La missionaria racconta che se l’acqua si sta ritirando e le condizioni meteorologiche più miti aiutano gli interventi dei soccorritori, a due giorni della pioggia battente che ha colpito Ouagadougou le case fatte di ‘banco’ - la terra non cotta utilizzata per costruire molte abitazioni popolari – continuano a crollare. “E’ la salute dei bambini che desta maggiore preoccupazione – sottolinea l’interlocutrice, infermiera di formazione, appena rientrata dall’ospedale – sia di quelli evacuati dall’ospedale inondato che quella dei piccoli senza tetto, più esposti a carenze alimentari e a malattie come la malaria”. Se il bilancio diffuso dal governo burkinabè, ancora provvisorio, rimane quasi invariato con sette morti e 150.000 persone che hanno perso la loro abitazione – ora provvisoriamente alloggiate nelle scuole – col passare delle ore sono i danni materiali che si fanno più pesanti. “Oggi, la capitale è ancora sotto choc per l’intensità delle piogge e col passare delle ore le famiglie realizzano che hanno perso tutto: casa, mobili, vestiti. Molte di loro stanno tentando, senza grande successo, di recuperare sotto fiumi di fango indurito i loro effetti personali e di ripulirli” prosegue Suor Amélie concludendo che “la catena della solidarietà si sta lentamente mettendo in moto per aiutare i senza tetto fornendogli coperte, acqua potabile e cibo”. (R.P.)
Dal Consiglio Ecumenico delle Chiese un documento sulla Terra Santa
◊ Il comitato centrale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec) ha chiesto al Governo israeliano di iniziare a smantellare gli insediamenti nei territori palestinesi occupati e ha invitato le autorità alla non violenza e a mantenere inalterati i negoziati di pace. In un documento approvato a Ginevra dal Cec si chiede al Governo di Israele di attuare con estrema urgenza un congelamento senza restrizioni di qualsiasi costruzione o di espansione come primo passo verso lo smantellamento di tutti gli insediamenti nei Territori. Secondo quanto affermato dal Consiglio infatti, circa 200 insediamenti con più di 450 mila coloni nei territori palestinesi occupati sono incompatibili con la pace e contrari agli interessi legittimi dello Stato di Israele. Il comitato ha ribadito ancora una volta il suo invito alle Chiese del Cec di accompagnare e incoraggiare l'impegno alla non violenza e di mantenere e favorire i negoziati di pace, ma anche a dare un sostegno morale e pratico agli atti di resistenza non violenti che vengono esercitati al fine di opporsi alla confisca delle terre e allo sgombero delle persone dalle loro case e dalle loro terre. Il Cec ha invitato a praticare investimenti moralmente responsabili in considerazione di quanto accade nei Territori contesi da israeliani e palestinesi. Gli insediamenti e le loro infrastrutture, infatti, compreso il muro di separazione, hanno conseguenze dirette sulla vita e sulla dignità del popolo palestinese, perché negano l'accesso alle terre e alle risorse idriche, limitano la libertà di movimento dei palestinesi, sviliscono la dignità umana e, in molti casi, il loro diritto alla vita, ostacolano anche il loro diritto all'istruzione e l'accesso alle cure sanitarie, nonché distruggono l'economia palestinese. Gli insediamenti intorno alla città di Gerusalemme — prosegue il Cec — mettono in serio pericolo il futuro della città santa che dovrebbe essere aperta a tutti e condivisa dai due popoli e dalle tre religioni presenti da secoli. (C.S.)
Mons. Sako: verso la riconciliazione tra cristiani e musulmani in Iraq
◊ "È molto importante che la Chiesa in Iraq abbia l'occasione per farsi conoscere: noi siamo per la pace, il dialogo, per costruire ponti. La Chiesa è forse l'unica che può fare questo perché non è coinvolta nel conflitto e la gente lo comprende, ci rispetta e ci offre la sua amicizia». L'arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, Louis Sako, affida così a L'Osservatore Romano i sentimenti di soddisfazione per il clima di fiducia e di speranza che lentamente, ma tenacemente, si fa largo nei rapporti tra la comunità cristiana e il mondo musulmano. Il riferimento è alla vasta eco che ha avuto nel Paese l'incontro conviviale organizzato il 29 agosto dallo stesso mons. Sako, con i responsabili religiosi musulmani in occasione del ramadan. Un incontro ribadisce il presule, giudicato con soddisfazione anche dal presidente del parlamento kurdo, Kamal Kirkuki al quale questa mattina è stato presentato il documento con cui i leader musulmani presenti hanno invitato i cristiani iracheni, a farsi promotori di un comitato per il dialogo e la riconciliazione. "È il segnale — commenta ancora mons. Sako — che quando ci si incontra, ci si conosce veramente, svaniscono i sospetti e le invidie e nasce un clima di ascolto e di fiducia reciproca". Un esempio di questo rinnovato clima di fiducia, è l’appello lanciato da diverse autorità sciite e sunnite per la liberazione del medico cristiano rapito il 18 agosto scorso. Mons. Sako si dice infine convinto che il rapporto fra cristiani e musulmani sia cambiato e che il tempo della separazione, delle divisioni settarie sembra ormai passato, mentre prendono forma nuovi motivi di scontro politici ed economici, ma non confessionali; ora i musulmani riconoscono il ruolo di mediatore svolto dalla Chiesa nella storia e l'impegno costante a favore "della pace e della riconciliazione". (C.S.)
I vescovi delle Filippine in difesa dell'occupazione
◊ “E’ necessario ridisegnare il quadro economico per il futuro e lavorare con forza per evitare una nuova crisi economica”. Così l’arcivescovo di Manila il cardinale, Gaudencio Rosales, nel corso dell’incontro con la Conferenza episcopale delle Filippine, sul tema dell’occupazione. Insieme ai rappresentanti di alcune organizzazioni sindacali i vescovi hanno voluto esaminare i provvedimenti più idonei da parte delle associazioni caritative per soccorrere le famiglie dei lavoratori che hanno perso il loro impiego nelle fabbriche a causa degli effetti negativi della crisi economica. Nel corso della riunione, il cardinale Rosales ha ribadito che il fine delle istituzioni finanziarie deve essere il bene dell'uomo e l'attuale crisi è dovuta al fatto che le opportunità offerte dalla globalizzazione economica sono state invece sfruttate per il profitto di pochi. Precedentemente il porporato, in una dichiarazione rilasciata ad alcuni rappresentanti della stampa, sul tema della crisi si era riferito all'insegnamento di Benedetto XVI contenuto nell'enciclica "Caritas in veritate", sottolineando come il documento, sia "un opportuno strumento per focalizzare l'attenzione su uno sviluppo integrale dell'uomo invece che su uno sviluppo incentrato sull'avidità e sul profitto". I rappresentanti della Federation of Free Workers (Ffw) presenti all'incontro con i vescovi, hanno posto all'attenzione il caso dei lavoratori licenziati recentemente dalla Cirtek Electronic Corporation. Oltre agli arbitrii sui luoghi di lavoro, ai licenziamenti ingiustificati, ai contratti in nero, nelle Filippine, si afferma nei rapporti dell'Ilo (International Labour Organization) sono frequenti le uccisioni e i rapimenti di rappresentanti sindacali, specie quelli del settore agricolo. (C.S.)
Darfur: per la Chiesa la guerra non è ancora finita
◊ “Non si può dire che la guerra nel Darfur sia finita. Le parti in conflitto stanno ancora cercando di giungere ad un accordo di cessate il fuoco”. Con queste parole, riferisce l'agenzia Fides, mons. Antonio Menegazzo, amministratore apostolico di El- Obeid, la diocesi sudanese in cui rientra il Darfur, ha replicato alle dichiarazioni del generale Martin Luther Agwai, comandante uscente della forza di pace mista Nazioni Unite-Unione Africana in Darfur (MINAUD), secondo il quale “la guerra in Darfur è virtualmente conclusa”. “Ad oggi - continua Agwai - non direi che sia in corso una guerra. Dal punto di vista militare non c’e’ molto. Quello che abbiamo di fronte sono al più problemi di sicurezza: banditismo, persone che cercano di risolvere dispute per il controllo dell’acqua e della terra, a livello locale”. A smentire quanto detto, i diversi operatori umanitari che operano nella regione occidentale del Sudan, i quali hanno sottolineato come la situazione umanitaria nel Darfur rimanga estremamente grave e risenta degli attacchi contro i convogli di aiuti inviati dalla comunità internazionale. Ad avvalorare le dichiarazioni sullo stato di prosecuzione bellica in questa zona del Sudan, sempre mons. Menegozzo ribadisce che “nonostante la situazione nella regione sia migliorata e attualmente non c’è nessun combattimento in corso, la guerra potrebbe ricominciare in qualsiasi momento”. Non bisogna dimenticare che vi sono ancora 2 milioni e 700.000 abitanti del Darfur che vivono in campi per rifugiati. Sul piano politico, la ribellione locale è divisa in una ventina di gruppi e ha perso buona parte della sua capacità militare. In più le trattative di negoziato tra i 9 più importanti gruppi di guerriglia e il governo di Khartoum, risentono molto del mandato di arresto emesso dalla Corte Internazionale nei confronti del Presidente sudanese Omar Al Bashir, accusato per i crimini contro l’umanità perpetrati nel Darfur. (G.C.)
Medici senza Frontiere denuncia l’escalation di violenza nel Sud Sudan
◊ Le ondate di violenza non sembrano abbandonare il Sud del Sudan. E’ quanto si è appreso dall’organizzazione umanitaria di Medici Senza Frontiere che hanno denunciato - secondo l'agenzia Sir - i forti attacchi che continuano a flagellare questa parte del Sudan e che lo scorso 29 agosto, nella contea di Twic East, nello stato di Jonglei, hanno causato la morte di 42 persone, tra cui numerose donne e bambini. “ Quest’anno - spiega Jonathan Whittall, capo missione di Msf in Sud Sudan - si è verificata una pesante escalation di violenza a motivo degli attacchi sferrati dai gruppi armati dell’Lra (Lord’s Resistance Army) negli stati Equatoriali, che hanno costretto 65 mila civili ad abbandonare le proprie abitazioni, causando la morte e il rapimento di centinaia i persone”. In un clima che terrorizza la popolazione, Medici Senza Frontiere sottolinea il bisogno urgente di aiuti umanitari, tra cui cibo e ripari. L’organizzazione da parte sua ha già provveduto a donare forniture mediche ad un centro di salute di Paniangor ed è impegnato a distribuire cibo d’emergenza per 4.500 bambini di età inferiore ai 5 anni, tentando così di arginare il pesante problema della malnutrizione da cui è afflitta già da tempo la popolazione. (G.C.)
Usa : i vescovi in difesa della vita in attesa del Labor Day
◊ In attesa del Labor Day, giornata che gli Stati Uniti dedica al lavoro e che quest’anno si celebrerà il 7 settembre, i vescovi della chiesa statunitense sono intervenuti sui temi caldi del dibattito politico in corso nel Paese nordamericano: la riforma sanitaria e le leggi sull’immigrazione. Secondo quanto ha affermato il vescovo di Rockville Centre, William Francis Murphy in una dichiarazione dal titolo: 'Il valore del lavoro; la dignità della persona umana', "in questa giornata del lavoro dovremmo prenderci un momento per pregare per tutti i lavoratori e per chi è senza lavoro. Dovremmo anche chiedere l’aiuto di Dio nel difendere la vita e la dignità umane e proteggere il lavoratori e i loro diritti in questo tempo di crisi economica”. La dichiarazione annuale per il Labor Day ha toccato anche altri principi della dottrina sociale della Chiesa, principi che rispettano la dignità del lavoratore e la pongono come priorità di ogni economia. Sono stati affrontati anche altri temi legati alla salute e all’immigrazione. Il Labor Day arriva in un momento in cui si sta discutendo in modo acceso sul tema della riforma sanitaria negli Stati Uniti. Più volte la Chiesa cattolica ha caldeggiato una riforma sanitaria che dia a tutti la possibilità di poter accedere alle cure. I presuli americani hanno mostrato una posizione ferma anche nel sollecitare il governo federale a mantenere il divieto di finanziare l’aborto o prevederne la copertura assicurativa obbligatoria. Per quanto riguarda il problema immigrazione, la Chiesa statunitense ha tenuto a sottolineare la necessità di garantire il rispetto della dignità degli immigrati che arrivano in America, anche se da questi ultimi ci si attende l’adeguamento alle leggi americane e un comportamento da buoni cittadini. (G.C)
Lettera dei vescovi tedeschi sulle elezioni federali
◊ Con una lettera che verrà diffusa domenica prossima in tutta la Germania, i vescovi tedeschi hanno rivolto un appello ai cittadini in occasione delle elezioni federali che si svolgeranno il 27 settembre prossimo. Nel documento, che sarà letto in tutte le parrocchie cattoliche del Paese, i vescovi invitano i fedeli a partecipare alle elezioni. “L’astensione dal voto non è una risposta ragionevole e costruttiva alle storture vere o presunte", recita il documento. "Chi non fa uso del proprio diritto di voto, rinuncia a influenzare attivamente la politica". Allo stesso tempo, i vescovi esortano i politici a rilasciare "dichiarazioni elettorali" che abbiano "fondamento anche dopo le elezioni". Tra le questioni politiche da tener presente in vista del voto, - riferisce l'agenzia Sir - la Conferenza episcopale tedesca individua “le misure contro la crisi economico-finanziaria", che devono essere "etiche", soprattutto "dal punto di vista del carico sulle prossime generazioni o a livello internazionale". Un altro punto "fondamentale" è, secondo i vescovi, "la tutela della dignità e della vita della persona in tutte le fasi della sua esistenza”. Inoltre, "tra i compiti della politica rientra anche la promozione di un ambiente favorevole ai bambini e alla famiglia". Nell'appello ai fedeli, i vescovi chiedono anche l’introduzione di sistemi previdenziali sostenibili: “Le persone che hanno bisogno di assistenza e i disabili, nonché le loro famiglie, non possono essere abbandonati”. Viene inoltre ribadita l’inaccettabilità della povertà e della crescente disoccupazione: “La povertà infantile, in un Paese ricco come il nostro, è uno scandalo che richiede interventi urgenti". Infine, i vescovi hanno sottolineato la necessità di una migliore politica dell’istruzione, al fine di eliminare la disparità dell’accesso all’istruzione: “Migliorare le opportunità nell’istruzione, soprattutto nelle persone socialmente deboli, è un’importante sfida politica. La riuscita della politica per gli stranieri e per l'immigrazione si misura al livello di diritti fondamentali e delle condizioni di vita garantito alle persone coinvolte". Infine, ribadiscono i vescovi, “le persone dei Paesi in via di sviluppo necessitano della nostra solidarietà”. (R.P.)
Il ricordo di Madre Teresa di Calcutta a 12 anni dalla sua morte
◊ Domani 5 settembre, saranno 12 anni dalla morte di Madre Teresa di Calcutta, avvenuta nella sua città elettiva e centro della sua missione, dopo un lungo periodo di malattia. Quando nel 2003 Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata, l’ha anche definita “icona della missione del XXI secolo”. Domani infatti la Chiesa ne celebra la memoria liturgica. Per l’occasione, suor Prema, superiora delle Missionarie della carità, l’ordine di suore fondato dalla Madre, ha inviato a tutti gli amici un messaggio - pubblicato da AsiaNews - nel quale sottolinea che "la santità eroica della sua vita ci assicura che la sua morte sulla terra è stata la sua nascita al cielo. Mentre sentiamo la sua mancanza, con la stessa intensità ci rallegriamo di avere in cielo un’amica e un intercessore come lei. Madre Teresa ci ha mostrato che non vi è povertà più dolorosa di quando ci si sente non amato e non voluto. Per guarire questo dolore, Dio chiama ciascuno di noi a divenire il Suo amore, la Sua presenza e compassione verso i più poveri dei poveri, poveri materiali e spirituali. Ricordiamo la Madre - scrive suor Prema, per la gioia del suo sorriso, il calore del suo tocco. Un giorno, un vecchio senzatetto ha avvicinato la Madre e gli ha stretto la mano. E ha detto: 'Da lungo tempo non sentivo il calore di una mano umana'. Ma ricordare la Madre nel giorno della sua festa non è sufficiente. Anche noi - afferma la superiora delle Missionarie della carità - possiamo portare una gioia inesprimibile, speranza e coraggio nelle vite di coloro che sono attorno a noi, che soffrono per la mancanza di cibo, medicine, vestiti, una casa, ma anche per la mancanza di un sorriso, di una parola gentile, della presenza di un amico. Prepariamoci ad essere pronti a donare noi stessi, ad amare fino a che non ci duole. Quando un giorno andremo alla casa di Dio, - conclude suor Prema - Egli ci chiamerà beati e ci dirà: 'Quello che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli lo avete fatto a Me' ". (R.P.)
Bolivia: domenica si celebra la Giornata del Migrante
◊ “Migranti, costruendo l’unità tra popoli e culture” è il tema scelto per la celebrazione della Giornata nazionale del Migrante, che si svolgerà in Bolivia domenica prossima. Per l’occasione, - riferisce l'agenzia Fides - la Pastorale della Mobilità Umana (PMH) del Paese sta celebrando diverse attività in sintonia con il tema. Il coordinatore nazionale della PMH della Bolivia, don Mario Videla, ha esortato tutti a “ricordare che l’importante, come cristiani, è non limitare la creatività, perché ciò significherebbe limitare la volontà di Dio”. Piuttosto bisogna “accettare tutto ciò che ci circonda, con naturalezza, a cominciare dalla diversità dei nostri fratelli e dalla diversità di credo, per costruire insieme l’unità”. Quindi ha ricordato che “l’immigrato non deve essere visto come una minaccia, bensì come una ricchezza che, come segnala il tema di quest’anno, contribuisce all’unità tra i popoli e le culture, che a loro volta si rinnovano, crescono e si rafforzano”. Don Videla ha anche fatto riferimento a ciò che sta accadendo nella regione di Pando dove, a seguito dell’approvazione della nuova costituzione, si stanno rimpatriando quei cittadini brasiliani che si erano già stabiliti lì con le loro famiglie, hanno avuto dei figli e si sentivano ormai boliviani: “in nome del principio di superiorità nazionale, li si sta cacciando dalle loro terre”. Si tratta di famiglie “che non erano affatto preparate a questo evento, e ciò sta generando molta tensione tra fratelli”, ha segnalato il coordinatore nazionale della PMH.Come attività preparatorie della Giornata nazionale del Migrante, mercoledì scorso, nella basilica minore di Maria Ausiliatrice a La Paz, mons. Gonzalo del Castillo, Ordinario castrense, ha celebrato una Santa Messa e condiviso l’esperienza missionaria avuta con le comunità boliviane radicate in Argentina. Ieri pomeriggio, invece, presso l’Università Salesiana de La Paz, si è svolto il seminario-laboratorio: “Immigrazione e famiglia”. La Santa Messa di domenica, Giornata nazionale del Migrante, sarà presieduta dal vescovo de La Paz, mons. Edmundo Abastoflor, nella basilica di San Francesco. (R.P.)
Chiesa ortodossa autocefala ucraina più vicina al Patriarcato di Costantinopoli
◊ "Abbandonare l'isolamento canonico artificiale e rinnovare la comunione con l'ortodossia ecumenica". Questa l’intenzione con cui la Chiesa ortodossa autocefala ucraina (Uaoc) - la più piccola delle tre esistenti nel Paese - ha chiesto formalmente al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli di porsi sotto la sua giurisdizione, con diritti di autonomia. La notizia è stata resa nota dal Religious information service of Ukraine (Risu), a conclusione del sinodo svoltosi nei giorni scorsi a Kiev sotto la presidenza del metropolita Mefodiy Kudryakov. Tema al centro del sinodo è stata la situazione ecclesiale-confessionale in Ucraina dopo la visita del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Cirillo, svoltasi dal 27 luglio al 5 agosto. In discussione è il futuro stesso della Chiesa autocefala e la sua identità all'interno delle divisioni che affliggono l'ortodossia in Ucraina, divisioni viste dall'Uaoc come conseguenza "della crisi della consapevolezza ecclesiale, staccatasi dall'ideale dell'universalismo cristiano". Proprio per trovare rimedi che portino "a una nuova, più universale consapevolezza ecclesiale in Ucraina", l'Uaoc si è rivolta direttamente al Patriarca Bartolomeo, chiedendo la sua benedizione e la sua protezione. Secondo alcuni osservatori, la decisione sarebbe diretta conseguenza del rifiuto da parte di Mosca di appoggiare la creazione di una Chiesa nazionale in Ucraina. La richiesta sarà esaminata durante la sessione del sinodo che si terrà a Costantinopoli il 28 settembre. (C.S.)
Slovenia: preoccupazione dei vescovi per la nomina del nuovo direttore per gli Affari religiosi
◊ “Profonda preoccupazione per il futuro dei rapporti tra il Governo della Repubblica di Slovenia e la Chiesa Cattolica” è stata espressa in una nota dalla Conferenza episcopale della Slovenia, per la nomina del nuovo direttore dell’Ufficio per gli affari religiosi del Governo di Lubiana, Aleš Gulič, avvenuta ieri da parte del premier sloveno Borut Pahor. I vescovi fanno notare che da come “risulta dalla sua biografia”, il nuovo direttore Aleš Gulič, è tra i fondatori e attualmente membro di un club che si richiama alla “MC Satan’s brothers”. Preoccupano anche le “dichiarazioni date in pubblico” da Gulič, “ma soprattutto dalla sua posizione nel dibattito sulla Legge sulla libertà religiosa”. “Un candidato, quindi – aggiunge la Ces - di dichiarate posizioni ideologiche in materia di fede”. La notizia della sua nomina ha suscitato preoccupazione anche nei rappresentanti della comunità evangelica, ortodossa e musulmana in Slovenia. La Conferenza episcopale - riferisce l'agenzia Sir - si dice “stupita per tale nomina, dato che il Governo non ha posto attenzione ed ascolto alle questioni aperte tra lo Stato e la Chiesa. I Presuli Sloveni vedono in questa mossa una forte motivazione politica che non è supportata dalle competenze professionali del nuovo direttore, ma è alimentata da correnti anti-clericali che sono presenti nell’attuale formazione di Governo”. (R.P.)
Hong Kong: nell'Anno Sacerdotale delle Vocazioni promossa la formazione dei chierichetti
◊ “I chierichetti sono privilegiati a rispondere alla chiamata del Signore, perché servono all’altare, vicini alla Santissima Eucaristia. Inoltre con l’incoraggiamento e l’accompagnamento dei sacerdoti, ci sono date maggiori possibilità di individuare la volontà del Signore”. Così il presidente dell’Associazione dei chierichetti della diocesi di Hong Kong definisce con orgoglio il loro impegno straordinario nella piena celebrazione dell’Anno Sacerdotale delle Vocazioni. Secondo quanto riferisce Kong Ko Bao (il bollettino diocesano in versione cinese ripreso dall'agenzia Fides), per vivere questo Anno speciale indetto dalla diocesi in concomitanza con l’Anno Sacerdotale della Chiesa Universale, l’Associazione ha organizzato diverse iniziative di formazione spirituale per promuovere la vocazione sacerdotale tra i chierichetti. “Stiamo collaborando con l’Associazione della Formazione Cattolica per organizzare i corsi in modo più mirato, aiutando i chierichetti a capire l’importanza della vocazione sacerdotale, soprattutto nell’Anno Sacerdotale delle Vocazioni” continua il presidente dell’Associazione. Nei suoi 22 anni di cammino nel servizio dell’altare, l’Associazione ha sempre cercato di aiutare i suoi membri a rispondere alla chiamata del Signore. Oggi l’Associazione è presente in una trentina di gruppi parrocchiali, offre ancora di più il suo contributo per la formazione e una guida sistematica ai giovani cattolici. Diversi sacerdoti e direttori spirituali seguono da vicino il cammino di discernimento dei chierichetti, anche per aiutarli ad approfondire la vita cristiana. (R.P.)
Portogallo: il cardinale Policarpo chiede ai presbiteri radicalità nel servizio sacerdotale
◊ “La radicalità del servizio è la più bella realizzazione della libertà”. E’ quanto ha detto il cardinale-patriarca di Lisbona Josè Policarpo, in occasione delle seconda giornata del VI Simposio del Clero del Portogallo riunito a Fatima conclusosi ieri. “ La radicalità a cui è chiamato il sacerdote - secondo le parole del patriarca riportate da Zenit - è la dimensione in cui il sacerdote si umanizza, esercitando il suo ministero, dal momento che vivere la vita come un dono per Dio e per i fratelli è la più perfetta realizzazione dell’ideale umano in un mondo pieno di egoismi e di ricerca dei propri interessi. Il cardinale Policarpo ha sottolineato anche che “molti tra i sacerdoti sono generosi nel lavoro e svolgono tantissime attività, tuttavia mostrano il loro egocentrismo nel momento in cui rivendicano autonomia di criteri, nella gestione degli affetti, nello stabilire le priorità, nell’ atteggiamento di fronte ai beni materiali”. (G.C.)
Comincia a Madrid il pellegrinaggio della Croce dei giovani
◊ A Madrid, il 14 settembre, giorno in cui ricorre la festa dell’esaltazione della Santa Croce comincerà il pellegrinaggio della Croce dei giovani e dell’Icona della Madonna nell’arcidiocesi della capitale spagnola, che accoglierà la Giornata Mondiale della Gioventù. L’evento, secondo l'agenzia Zenit, sarà scandito da una celebrazione di una veglia di preghiera alle ore 20.00, nella cattedrale dell’Almudena dove accorreranno soprattutto i giovani. La Croce sarà poi ricevuta dalla Vicaria III (Nordest) e V (Sud), rimanendo in entrambe dalle 2 alle 4 settimane. In seguito la Croce sarà anche accolta dalla Fiera della Gioventù Juvenalia, il carcere del Real e la Javierada. Quest’ultimo rappresenta il grande pellegrinaggio annuale di carattere giovanile e internazionale indetto dal Vescovo di Pamplona e dedicato a San Francesco Saverio, patrono delle missioni. Nel marzo 2010 il simbolo più importante del cristianesimo peregrinerà nell’arcivescovado militare e accompagnerà per 10 giorni i giovani della pastorale universitaria. Il 31 marzo 2010, in coincidenza con il Mercoledì Santo, la Croce sarà poi consegnata alle diocesi di Getafe e Alcalà de Henares per poi percorrere dal 26 aprile dello stesso anno, altre diocesi spagnole. (G.C.)
Prosegue a Roma il Simposio intercristiano su Sant'Agostino
◊ Proseguono a Roma, i lavori dell’XI Simposio intercristiano sul tema “Sant’Agostino nella tradizione occidentale e orientale”. “Un argomento particolarmente interessante - ha scritto Papa Benedetto XVI nel Messaggio inviato al cardinale Walter Kasper per l’occasione - perché il grande Padre della Chiesa Latina riveste una fondamentale importanza per la teologia e per la stessa cultura dell’Occidente, mentre la recezione del suo pensiero nella teologia ortodossa si è rivelata piuttosto problematica”. Su questo si è soffermato mons. Ioannis Spiteris che aprendo i lavori del convegno ha ribadito come erroneamente si sia arrivati ad imputare al vescovo di Ippona di essere “all’origine di 25 eresie che vanno dalla dottrina trinitaria all’antropologia teologica”. “L’accusa non è certamente frutto di pregiudizi, sottolinea mons. Spiteris, ma di una mancata conoscenza della dottrina di S. Agostino, spiegabile perché, purtroppo, non ci sono traduzioni delle sue opere in greco”. Dato questo evidenziato anche da Sua Beatitudine Ieronymos, Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia nel Messaggio inviato ai partecipanti al Simposio. Per ovviare a questa e ad altre spiacevoli situazioni che da tempo avevano suscitato un comprensibile malessere in molti teologi ortodossi, i professori del dipartimento della Facoltà Teologica dell’Università Aristotele di Tessalonica e quelli dell’Istituto di Spiritualità Francescana della Pontificia Università Antonianum di Roma, hanno scelto di parlare del pensiero e della dottrina di Agostino nelle 12 relazioni previste per il Simposio che si concluderà domani. (A cura di padre Egidio Picucci)
Fondo monetario internazionale: ripresa vicina ma fragile
◊ Per il Fondo monetario internazionale la ripresa è vicina, ma la situazione economica resterà fragile. A rischio, soprattutto, l'occupazione. L'intervento segue i dati dell’Ocse, l'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica, che ieri ha rivisto al rialzo le stime di crescita del Pil dei Paesi del G7. L'economia globale comincia dunque ad uscire dalla recessione. Ma i problemi non macheranno. Il servizio di Marco Guerra:
Non bisogna abbassare la guardia, non siamo ancora fuori crisi. È questa la chiave di lettura dei primi segnali di ripresa adottata dai principali attori dell’economia e della politica mondiale. Ad invitare alla cautela sono soprattutto i leader europei, che vedono aleggiare lo spettro dell’incremento della disoccupazione in tutto il vecchio continente. Dopo l'Ocse e il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, la situazione è stata nuovamente messa a fuoco oggi dal direttore generale del Fondo monetario internazionale, Strauss-Khan, intervenuto alla lettura annuale della Bundesbank. “L’economia globale sembra emergere dalla peggiore crisi economica dei nostri tempi. La ripresa, comunque, sarà relativamente lenta”, ha detto Strauss-Khan da Berlino, spiegando che in questa fase il rischio maggiore sarà rappresentato dalla disoccupazione che continuerà ad aumentare fino al prossimo anno. “Non è quindi tempo - ha aggiunto - di ritirare gli stimoli straordinari dei governi che servono a sostenere la domanda”. Intanto, i capi di governo europei hanno iniziato una serie di incontri per elaborare una strategia in vista del G20 di Pittsburg di fine mese. Ieri, a Londra, hanno fatto fronte comune Bronw, Merkel e Sarkozy per fissare un tetto ai bonus dei banchieri. Il 7 settembre si riuniranno tutti i capi di Stato dell’Ue sotto la presidenza svedese.
Gabon
In Gabon, è stata ufficializzata l’elezione a nuovo presidente di Ali Bongo, figlio del defunto Omar Bongo, per 41 anni alla guida del Paese. Secondo i risultati ufficiali, Ali Bongo, 50 anni, ha ottenuto il 41,7% dei suffragi, seguito dal ex ministro degli Interni, André Mba Obame, con il 25,8%. Il risultato è stato da subito contestato dai candidati sconfitti. Scontri si sono verificati nella notte in diverse parti del Paese e il governo ha proclamato fino a sabato prossimo il coprifuoco a Port-Gentil, seconda città del Gabon. Secondo fonti di polizia, sono state arrestate una cinquantina di persone, tra cui diversi adolescenti, autori dei saccheggi.
Cina: ancora violenze nel Xinjiang
Resta alta la tensione ad Urumqi, capitale della Regione autonoma del Xinjiang, nel nordovest della Cina, teatro di violenze e tensioni fra la minoranza islamica e turcofona degli uiguri e i cinesi di etnia han. Stamani, la polizia ha disperso con i gas lacrimogeni i manifestanti cinesi che per il terzo giorno consecutivo chiedevano protezione contro presunti attacchi a colpi di siringhe infette perpetrati da uiguri. Il centro della città è tuttora pattugliato dalle forze antisommossa e il governo cinese ha proibito tutte le “dimostrazioni non autorizzate''. I nuovi episodi di violenza tra le due etnie arrivano dopo appena due mesi dai disordini dello scorso luglio, che costarono la vita a quasi 200 persone.
Myanmar
La magistratura del Myanmar ha accettato di esaminare l'appello della leader dell'opposizione, Aung San Suu Kyi, contro la condanna dell'11 agosto scorso a 18 mesi di arresti domiciliari per violazione delle norme di detenzione. Lo ha reso noto uno dei legali del Premio Nobel per la pace. “Ora ambedue le parti, il governo e noi stessi - ha spiegato l'avvocato - dovranno presentare le rispettive argomentazioni il 18 settembre prossim”. Aung San Suu Kyi è stata condannata per aver ospitato nella sua residenza un pacifista statunitense, arrivato a nuoto dal lago dove si affaccia la casa. La dissidente ha trascorso quasi quattordici degli ultimi diciotto anni agli arresti domiciliari e l’ultimo prolungamento della detenzione potrebbe impedirle di partecipare alla campagna per le elezioni politiche, promesse per l'anno prossimo dalla giunta militare al potere nel Myanmar.
Corea del Nord
Si fa sempre più concreto il programma nucleare della Corea del Nord, che preoccupa la comunità internazionale. Secondo l’agenzia nordcoreana Kcna "l'arricchimento sperimentale dell'uranio è stato condotto con successo ed è entrato nella fase di completamento". La Kcna - dice che Pyongyang - ha anche comunicato al Consiglio di sicurezza dell'Onu di essere pronta "sia per le sanzioni che per il dialogo". La notizia è stata definita ''preoccupante'', dall'invitato speciale americano, Stephen Bosworth, impegnato proprio in questi giorni una missione diplomatica con i partner dei cosiddetti ''colloqui a sei'' per il disarmo nucleare di Pyongyang.
Israele
Raid dell’aviazione israeliana la notte scorsa contro obiettivi palestinesi, nel sud della Striscia di Gaza. L’azione mirava in particolare a colpire un tunnel scavato per l’infiltrazione di combattenti palestinesi in territorio israeliano. Un portavoce del governo ha intanto confermato che il premier israeliano, Netanyahu, avrebbe accettato una sospensione parziale della costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania per favorire la ripresa del dialogo con i Paesi arabi.
Influenza A
È salito ad ''almeno 2837'' il numero dei decessi provocati dalla pandemia di influenza A H1N1, secondo i dati resi noti dall'Oms. L'aumento dei decessi - più di 600 rispetto ai dati resi noti la settimana scorsa - è dovuto al numero dei casi, mentre il virus non è mutato o cambiato in alcun modo, ha detto il portavoce dell'Oms, Gregory Hartl. La pandemia ha tra l’altro causato il primo morto in Italia, precisamente a Napoli. I medici hanno tuttavia precisato che il decesso è “da imputare solo indirettamente” all’influenza A. Lo stesso Ministero della salute sottolinea che il paziente presentava condizioni di base molto deteriorate.
California
I roghi che stanno ancora imperversando in California sono di origine dolosa. Lo ha reso noto l'Ufficio forestale, annunciando che sarà aperta un’indagine per omicidio. Il fuoco, divampato il 26 agosto nel Parco nazionale di Los Angeles, a 30 km a nord dalle metropoli, ha provocato la morte di due vigili del fuoco e ha ridotto in cenere quasi 60 mila ettari, compresa la distruzione di 64 abitazioni. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 247
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