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Sommario del 25/10/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • “Africa alzati, non sei sola”: così il Papa alla Messa conclusiva del Sinodo per il Continente. All’Angelus, l’annuncio della consegna a Cipro del documento di lavoro dell’Assemblea per il Medio Oriente
  • Il vescovo di Ngozi in Burundi auspica maggiore giustizia per promuovere la pace. L'arcivescovo di Maputo in Mozambico chiede più attenzione dei media sull'Africa
  • Sul tema della riconciliazione trovato il giusto equilibrio tra la dimensione politica e quella spirituale: così il Papa ieri in occasione del pranzo con i padri sinodali
  • La Chiesa ambrosiana in festa per la beatificazione di don Carlo Gnocchi
  • Jozef Kowalczyk, nunzio apostolico in Polonia, ricorda la figura di Pio XI
  • Oggi in Primo Piano

  • Il 24 gennaio elezioni generali nei Territori Palestinesi
  • Anno sacerdotale, l'esperienza di padre James Lengarin, missionario in Europa e in Kenya
  • Chiesa e Società

  • I vescovi colombiani: “Le scuole cattoliche non possono essere obbligate a dare lezioni sull’aborto"
  • Venezuela: oggi a Caracas la “VII Marcia Missionaria Giovanile”
  • Perù: un progetto della Caritas per la sicurezza alimentare di oltre 3000 persone
  • UE: allo studio progetto per promuovere il multilinguismo
  • Thailandia: economia, ambiente e diritti umani nel vertice Asean terminato oggi
  • Quinto centenario della nascita di San Francesco Borgia
  • Inaugurata dopo il restauro la Cappella delle reliquie della Basilica di San Paolo
  • Si è spento a Roma Camillo Cibin, ex ispettore generale della Vigilanza vaticana
  • Abruzzo: domani a L’Aquila un incontro su “disabilità e terremoto”
  • Roma: inaugurato il Museo nazionale dell’emigrazione
  • Concluso a New Orleans l'VIII Simposio dell'organizzazione Religione Scienza e Ambiente
  • Nella diocesi di Narni - Terni – Amelia conclusa l’assemblea ecclesiale su “Eucarestia e città”
  • 24 Ore nel Mondo

  • 132 morti e centinaia di feriti in Iraq per due autobomba esplose a Baghdad
  • Il Papa e la Santa Sede



    “Africa alzati, non sei sola”: così il Papa alla Messa conclusiva del Sinodo per il Continente. All’Angelus, l’annuncio della consegna a Cipro del documento di lavoro dell’Assemblea per il Medio Oriente

    ◊   “Alzati, Chiesa in Africa, famiglia di Dio…Coraggio! Alzati, Continente africano”: questa l’esortazione di Benedetto XVI, durante la Messa conclusiva del secondo Sinodo per l’Africa, presieduta stamani in San Pietro. Nella sua omelia, il Santo Padre ha lanciato un appello alla riconciliazione e ha ribadito l’impegno della Chiesa nella lotta alla fame e nella promozione umana. Insieme al Papa, hanno concelebrato la Messa anche i padri Sinodali, che indossavano la casula verde donata loro dallo stesso Pontefice. All’Angelus, poi, Benedetto XVI ha ricordato il Sinodo per il Medio Oriente, fissato per il 2010, ed ha annunciato che consegnerà il documento di lavoro di tale Assemblea nel corso della sua visita a Cipro. Il servizio di Isabella Piro:

    “Alzati, Chiesa in Africa, famiglia di Dio…Coraggio! Alzati, Continente africano…”

     
    (canto Enwere m anuri)

    È “un messaggio di speranza per l’Africa” quello che il Papa lancia al Continente attraverso la Basilica di San Pietro, trasportato dalle voci ritmate dei cori della comunità nigeriana di Roma e del Collegio etiopico. Perché il disegno di Dio non muta attraverso i secoli, afferma il Papa: il Signore punta alla stessa meta, il Regno della libertà e della pace per tutti. E in particolare per i fratelli africani, che soffrono “povertà, malattie, ingiustizie, guerre e violenze, migrazioni forzate”. “Figli prediletti” di Dio, li chiama il Papa, e ricorda che a loro il Signore ha rinnovato la sua chiamata:

    “Sì, la fede in Gesù Cristo – quando è bene intesa e praticata – guida gli uomini e i popoli alla libertà nella verità, o, per usare le tre parole del tema sinodale, alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace”.

    “Questo è la Chiesa nel mondo – continua il Santo Padre - comunità di persone riconciliate, operatrici di giustizia e di pace; “sale e luce” in mezzo alla società degli uomini e delle nazioni”:

    “Il Sinodo ha ribadito con forza – e lo ha manifestato – che la Chiesa è Famiglia di Dio, nella quale non possono sussistere divisioni su base etnica, linguistica o culturale. Testimonianze commoventi ci hanno mostrato che, anche nei momenti più bui della storia umana, lo Spirito Santo è all’opera e trasforma i cuori delle vittime e dei persecutori perché si riconoscano fratelli. La Chiesa riconciliata è potente lievito di riconciliazione nei singoli Paesi e in tutto il Continente africano”.
     
    Poi, il Papa si sofferma sulla forma sacerdotale della Chiesa, un sacerdozio trasmessole da Cristo e che diventa esistenziale. Unita a Gesù mediante i Sacramenti, afferma Benedetto XVI, “la Chiesa prolunga la sua azione salvifica” e trasmette “il messaggio di salvezza coniugando sempre l’evangelizzazione e la promozione umana”. Qui, il Papa cita come esempio “la storica Enciclica Populorum Progressio” di Paolo VI:

    “Ciò che il Servo di Dio Paolo VI elaborò in termini di riflessione, i missionari l’hanno realizzato e continuano a realizzarlo sul campo, promuovendo uno sviluppo rispettoso delle culture locali e dell’ambiente, secondo una logica che ora, dopo più di 40 anni, appare l’unica in grado di far uscire i popoli africani dalla schiavitù della fame e delle malattie”.

    Questo significa trasmettere l’annuncio di speranza secondo una “forma sacerdotale”, spiega il Pontefice, cioè “vivendo in prima persona il Vangelo”, traducendolo in progetti “coerenti con il principio fondamentale dell’amore”. Quindi, il Papa ribadisce l’esigenza di rinnovare lo sviluppo globale, perché includa tutti i popoli, e si sofferma sulla globalizzazione:

    “Questa – occorre ricordare – non va intesa fatalisticamente come se le sue dinamiche fossero prodotte da anonime forze impersonali e indipendenti dalla volontà umana. La globalizzazione è una realtà umana e come tale è modificabile secondo l’una o l’altra impostazione culturale. La Chiesa lavora con la sua concezione personalista e comunitaria, per orientare il processo in termini di relazionalità, di fraternità e di condivisione”.

    Poi, Benedetto XVI si rivolge direttamente all’Africa, la esorta ad alzarsi per intraprendere con coraggio il cammino di una nuova evangelizzazione:

    “L’urgente azione evangelizzatrice (…) comporta anche un appello pressante alla riconciliazione, condizione indispensabile per instaurare in Africa rapporti di giustizia tra gli uomini e per costruire una pace equa e duratura nel rispetto di ogni individuo e di ogni popolo; una pace che ha bisogno e si apre all’apporto di tutte le persone di buona volontà, al di là delle rispettive appartenenze religiose, etniche, linguistiche, culturali e sociali”.

    In questa missione impegnativa, continua il Papa, “tu, Chiesa pellegrina nell’Africa del terzo millennio, non sei sola”: ti è vicina con la preghiera e la solidarietà fattiva tutta la Chiesa cattolica e dal Cielo ti accompagnano i santi e le sante africane. E allora coraggio, esorta Benedetto XVI, alzati Africa e accogli con entusiasmo il Vangelo:

    “Mentre offre il pane della Parola e dell’Eucaristia, la Chiesa si impegna anche ad operare, con ogni mezzo disponibile, perché a nessun africano manchi il pane quotidiano. Per questo, insieme all’opera di primaria urgenza dell’evangelizzazione, i cristiani sono attivi negli interventi di promozione umana”.

    (canto Munzu ya)

    E all’Angelus, il Santo Padre ricorda l’esperienza di “preghiera e di ascolto reciproco” offerta dal Sinodo, esprime la gioia per il dinamismo delle comunità cristiane africane, che crescono in quantità e in qualità, ringrazia lo slancio missionario che ha trovato terreno fertile in numerose diocesi. Poi, ricorda alcuni temi principali esaminati dall’Assemblea episcopale:

    “Particolare rilievo è stato dato alla famiglia, che anche in Africa costituisce la cellula primaria della società, ma che oggi viene minacciata da correnti ideologiche provenienti anche dall’esterno. Che dire, poi, dei giovani esposti a questo tipo di pressione, influenzati da modelli di pensiero e di comportamento che contrastano con i valori umani e cristiani dei popoli africani?”.

    E ancora, il Papa sottolinea l’esigenza di riconciliazione, giustizia e pace dell’Africa e la necessità che tutti possano avere di che vivere e di condurre “un’esistenza degna dell’essere umano”. Poi, il Pontefice rammenta il suo viaggio in Camerun e in Angola compiuto nel marzo scorso ed affida a tutte le popolazioni africane il Messaggio finale del Sinodo:

    “È un Messaggio che parte da Roma, sede del Successore di Pietro, che presiede alla comunione universale, ma si può dire, in un senso non meno vero, che esso ha origine nell’Africa, di cui raccoglie le esperienze, le attese, i progetti, e adesso ritorna all’Africa, portando la ricchezza di un evento di profonda comunione nello Spirito Santo. Cari fratelli e sorelle che mi ascoltate dall’Africa! Affido in modo speciale alla vostra preghiera i frutti del lavoro dei Padri sinodali, e vi incoraggio con le parole del Signore Gesù: siate sale e luce nell’amata terra africana!”.

    Infine, Benedetto XVI guarda avanti, all’ottobre 2010 quando, dal 10 al 24, si svolgerà il Sinodo per il Medio Oriente:

    “In occasione della mia Visita a Cipro, avrò il piacere di consegnare l’Instrumentum laboris di tale assise”.

    Nei saluti in varie lingue al termine dell’Angelus, Benedetto XVI ha quindi invocato la materna intercessione di Maria, affidando a Lei i fedeli africani.

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    Il vescovo di Ngozi in Burundi auspica maggiore giustizia per promuovere la pace. L'arcivescovo di Maputo in Mozambico chiede più attenzione dei media sull'Africa

    ◊   Dal Sinodo per l’Africa si è levato anche un forte per la fine delle violenze nella Regione dei Grandi Laghi. L’area, che comprende Rwanda, Burundi Uganda e parte della Repubblica Democratica del Congo, della Tanzania e del Kenya, negli ultimi è diventata scenario di guerre civili che hanno causato situazioni di estrema povertà. Paolo Ondarza ha intervistato mons. Gervais Banshimiyubusa, vescovo di Ngozi in Burundi, che traccia un bilancio sull'Assembela speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi:

    R. – Il bilancio per me è molto positivo. Abbiamo parlato di tanti argomenti, che sono interessanti per la nostra Africa, per la nostra Chiesa in Africa, e soprattutto della riconciliazione, perché in Africa abbiamo conosciuto tanti problemi, tante guerre. Alcuni si chiedevano come uscire da questa situazione e abbiamo avuto “luci” per poter andare avanti: per potere avere la pace bisogna lavorare sulla giustizia. Se non c’è un governo democratico, un governo che rispetti i diritti umani, non si può parlare di pace o di riconciliazione.

     
    D. – Eccellenza, riconciliazione, giustizia e pace in Burundi ...

     
    R. – Stiamo andando avanti. Abbiamo conosciuto in 14 anni una guerra tra gruppi etnici e abbiamo avviato un dialogo tra i protagonisti, che dopo hanno accettato di lavorare insieme. Allora, adesso, il problema è di poter condividere il potere, perché quando si ha il potere si hanno allo stesso tempo le ricchezze. Io direi che per il momento andiamo bene: fra poco avremo nuove elezioni; stiamo preparando bene questo evento con le catechesi, con le prediche, accompagnando anche la gioventù e le famiglie cristiane.

     
    D. – Eccellenza, lei faceva riferimento alle divisioni fra gruppi all’interno di uno stesso Paese. Nell’Aula del Sinodo sono stati fatti gli esempi di più Paesi: pensiamo al Rwanda, che è stato teatro di sanguinosi scontri, di un vero e proprio genocidio. Quando si pensa a queste atrocità del passato, ci si chiede se sia possibile guarire la memoria, perché non è facile essere operatori di riconciliazione laddove si è subìto tanto odio, tanta violenza ...

     
    R. – Secondo me, ci sono da chiamare in causa due elementi. Uno è la cultura locale, e da questo punto di vista si può analizzare quando le persone non andavano d’accordo, cosa facevano. Poi c’è l’elemento evangelico, quello di sapere che Cristo, che è il nostro Maestro, ci ha dato un esempio del perdono, di condivisione della vita, una vita comunitaria con la persona con cui non si va d’accordo in tutto. In alcune casi non si vede come se ne possa uscire; però, come abbiamo sentito durante questo Sinodo, ci sono state testimonianze di persone che hanno saputo superare questa situazione, anche andando contro le idee degli altri, per poter accogliere coloro che gli altri consideravano nemici, e hanno fatto qualcosa di positivo. Io penso che sia sempre possibile: bisogna avere speranza!

     
    Da più parti è stata sottolineata la scarsa attenzione rivolta dalla stampa internazionale ai lavori del sinodo. Nonostante le tre settimane di intenso lavoro in Vaticano sull’’Africa, il Continente ancora una volta “non ha fatto notizia”. E’ di questa idea mons. Francisco Chimoio, arcivescovo di Maputo in Mozambico. Paolo Ondarza lo ha intervistato.

    R. – Quello che noto con una certa amarezza è che si parla veramente poco del nostro continente. Il nostro continente nei mass media appare solamente quando c’è qualche disastro, qualche morte e così via. Le altre cose belle che si fanno lì si vedono poco. Infatti, io è da tre settimane che sono qui e non ho mai sentito parlare del mio Paese. Se ci fosse un’alluvione, certamente ne avrebbero parlato, come è successo per esempio nel 2000, quando tutti ne hanno parlato, ma in seguito non si è sentito più nulla.

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    Sul tema della riconciliazione trovato il giusto equilibrio tra la dimensione politica e quella spirituale: così il Papa ieri in occasione del pranzo con i padri sinodali

    ◊   A conclusione della diciannovesima congregazione generale, Benedetto XVI ha pranzato ieri con i padri sinodali nell’atrio del’Aula Paolo VI. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Benedetto XVI ha riconosciuto il buon lavoro del sinodo per il Continente africano ed espresso la propria gratitudine:

     
    "Cari fratelli e sorelle, è adesso l’ora di dire grazie. Grazie anzitutto al Signore che ci ha convocato, ci ha riunito, ci ha aiutato ad ascoltare la sua Parola, la voce dello Spirito Santo, e così ha dato anche la possibilità di trovare la strada dell’unità nella molteplicità delle esperienze, l’unità della fede e la comunione nel Signore. Perciò l’espressione 'Chiesa-Famiglia di Dio' non è più solo un concetto, un’idea, ma è un’esperienza viva di queste settimane: siamo stati realmente riuniti, qui, come Famiglia di Dio".
     
    Il Papa ha sottolineato che sul tema “Riconciliazione, giustizia e pace” è stato trovato il giusto equilibrio evitando il rischio della politicizzazione e dell’isolamento nella dimensione spirituale. Il tema – ha aggiunto - ha posto una sfida non facile:

     
    "Il tema 'Riconciliazione, giustizia e pace' implica certamente una forte dimensione politica, anche se è evidente che riconciliazione, giustizia e pace non sono possibili senza una profonda purificazione del cuore, senza un rinnovamento del pensiero, una metànoia, senza una novità che deve risultare proprio dall’incontro con Dio. Ma anche se questa dimensione spirituale è profonda e fondamentale, pure la dimensione politica è molto reale, perché senza realizzazioni politiche, queste novità dello Spirito comunemente non si realizzano. Perciò la tentazione poteva essere di politicizzare il tema, di parlare meno da pastori e più da politici, con una competenza, così, che non è la nostra".

    L’altro pericolo – ha spiegato il Santo Padre - è stato quello di “ritirarsi in un mondo puramente spirituale, in un mondo astratto e bello, ma non realistico”:

    “Il discorso di un pastore, invece, deve essere realistico, deve toccare la realtà, ma nella prospettiva di Dio e della sua Parola. Quindi questa mediazione comporta, da una parte essere realmente legati alla realtà, attenti a parlare di quanto c’è, e dall’altra non cadere in soluzioni tecnicamente politiche; ciò vuol dire indicare una parola concreta, ma spirituale. Era questo il grande problema del Sinodo e mi sembra che, grazie a Dio, siamo riusciti a risolverlo, e per me questo è anche motivo di gratitudine perché facilita molto l’elaborazione del documento post-sinodale”.

     
    Il Sinodo – ha concluso il Papa - finisce e non finisce, non solo perché i lavori proseguono con l’Esortazione Post-Sinodale:

    "Synodos vuol dire cammino comune. Rimaniamo nel comune cammino col Signore, andiamo avanti al Signore per preparargli le strade, per aiutarlo, aprirgli le porte del mondo perché possa creare il suo Regno tra di noi".

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    La Chiesa ambrosiana in festa per la beatificazione di don Carlo Gnocchi

    ◊   "Don Carlo Gnocchi, presbitero pieno di zelo pastorale tra i giovani negli oratori e nei pericoli della guerra, che coronò la sua missione dedicando le sue energie ai piccoli orfani, mutilati, poliomielitici, vittime innocenti del dolore", d’ora in poi sarà chiamato Beato e la sua festa "si celebrerà nei luoghi e secondo le regole stabilite dal Diritto ogni anno il 25 ottobre". Sono le parole pronunciate stamani in piazza Duomo a Milano, a nome del Papa, da monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione dei Santi. Alla cerimonia di beatificazione, presieduta dall'arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, hanno partecipato oltre cinquantamila persone. Il servizio da Milano di Fabio Brenna:

    Un compleanno speciale per don Carlo Gnocchi, beatificato nel corso della celebrazione in piazza Duomo a Milano, nel giorno della sua nascita avvenuta il 25 ottobre 1902. Una festa a cui si è aggiunto il saluto del Papa e dei fedeli riuniti per l’Angelus in Piazza San Pietro. Benedetto XVI ha voluto ricordare così il “papà dei mutilatini”:

     
    “Egli fu dapprima valido educatore di ragazzi e giovani. Nella seconda guerra mondiale divenne cappellano degli Alpini, con i quali fece la tragica ritirata di Russia, scampando alla morte per miracolo. Fu allora che progettò di dedicarsi interamente ad un’opera di carità. Così, nella Milano in ricostruzione, Don Gnocchi lavorò per ‘restaurare la persona umana’ raccogliendo i ragazzi orfani e mutilati e offrendo loro assistenza e formazione. Diede tutto se stesso fino alla fine, e morendo donò le cornee a due ragazzi ciechi. La sua opera ha continuato a svilupparsi ed oggi la Fondazione Don Gnocchi è all’avanguardia nella cura di persone di ogni età che necessitano di terapie riabilitative”.
     
    Il collegamento col Papa ha suggellato una domenica di sole, con 50 mila persone accorse a testimoniare ancora una volta l’affetto per il cappellano degli Alpini in Russia, precursore dei trapianti col dono delle sue cornee, quando, alla sua morte, il 28 febbraio 1956, non esisteva ancora una legge in Italia. Il rito di beatificazione è stato presieduto dall’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, alla presenza di mons. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, e del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi. Nell’omelia, il cardinale Tettamanzi ha sottolineato la molteplicità delle vocazioni di questo prete ambrosiano che, ha detto, “ha consumato la sua vita nella ricerca del volto di Cristo impresso nel volto di ogni uomo”, nella convinzione che solo la carità poteva e può salvare il mondo:

     
    “Don Carlo ha saputo coinvolgersi con dedizione entusiastica e disinteressata, non solo nella vita della Chiesa ma anche in quella della società; e lo ha fatto coltivando con grande intelligenza e vigore l’intimo legame tra la giustizia e la carità. Una carità che tende le mani alla giustizia, egli diceva. E noi possiamo continuare la sua opera chiedendo oggi alla giustizia di tendere le mani alla carità!”.
     
    Nel messaggio finale, mons. Amato ha ricordato come don Carlo Gnocchi fu “un prete tutto di Cristo, tutto della Chiesa, tutto del prossimo bisognoso e sofferente”. Del neo beato ha ricordato le parole dal fronte russo: “Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i suoi poveri: ecco la mia ‘carriera’”.

     
    “Amis, vi raccomando la mia baracca”, disse don Gnocchi prima di morire, raccomandando la sua opera che si prendeva cura dei più deboli, provati dalla guerra. La sua “baracca” è cresciuta, prendendosi cura di tutte le persone fragili: dai disabili, agli anziani, ai malati oncologici in fase terminale fino ai pazienti in stato vegetativo persistente. In Italia, la Fondazione che porta il suo nome è presente con 28 centri e 3800 posti letto; quotidianamente presta servizi a oltre 10 mila persone e porta avanti progetti di sviluppo internazionale come organizzazione non governativa in Europa, Asia, Africa e America Latina.

     
    Uno dei “mutilatini” dell’opera di don Carlo Gnocchi è Silvio Colagrande che durante l’infanzia perse la vista a causa di uno spruzzo di calce viva. Venne mandato dai genitori presso un centro di accoglienza aperto a Inverigo, in provincia di Como. Lì conobbe don Carlo Gnocchi e grazie a lui recuperò il dono della vista. Il 28 febbraio del1956 venne infatti sottoposto ad un trapianto, il primo in Italia, delle cornee. Il donatore era il sacerdote lombardo, deceduto poche ore prima. Sono passati 53 anni da quel trapianto ed oggi Silvio Colagrande è direttore del Centro don Gnocchi “Santa Maria alla Rotonda” di Inverigo. Fabio Colagrande gli ha chiesto il significato del suo legame, ancora vivo e profondo, con l'opera del sacerdote lombardo:

    R. – Sentivo la necessità di mantenere con don Carlo un rapporto e continuare a ricambiare il dono che avevo ricevuto, lavorando in quella direzione che lui ci aveva indicato quando eravamo bambini.

     
    D. – Lei aveva circa 12 anni quando ricevette questo dono della vista proprio da don Gnocchi: cosa ricorda di quei giorni, quali erano i suoi sentimenti?

     
    R. – Ricordo bene tutto, i giorni precedenti, quelli dopo e le mie emozioni di allora in un contesto dove non tutto mi era chiarissimo. Ricordo esattamente come ho potuto riscoprire e rivedere dopo tre giorni dall’operazione. Ho avuto i segni di quello che don Carlo già rappresentava per la gente perché qualcuno mi ha mandato anche una medaglietta per dirmi di ricordare che quella cornea era una reliquia di don Carlo, già ritenuto santo allora. Per me questo è stato il pensiero di tutto il resto della mia vita, per coltivare questo rapporto e mantenere un legame sempre vivo che mi pare più importante poter manifestare nella quotidianità operativa.

     
    D. – Lei capì che avrebbe ricevuto in dono una delle cornee di don Gnocchi proprio quando era già in ospedale per l’operazione, per il trapianto?

     
    R. – Sì, era il 28 febbraio e intorno alle sei di sera gli infermieri mi stavano preparando ma nessuno mi aveva detto esattamente che cosa sarebbe successo in quelle giornate e in quei momenti. Ho sentito alla radio che don Carlo era morto e allora ho capito che ero stato scelto. Quindi, a maggior ragione, il mio legame con don Carlo non poteva disgiungersi da quello che don Carlo aveva creato per noi per ridarci tutte quelle speranze, quelle aspettative di vita, e quest’opera che rappresentava anche un aspetto estremamente spirituale di quanto lui facesse: le ultime parole della pedagogia del dolore innocente ci rivelano come lui pensasse a questo connubio tra le opere umane e le opere di Dio, tra la carità umana e la carità soprannaturale, da cui veniva fuori un’azione di amore che lui ha trasfuso in quest’opera. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Jozef Kowalczyk, nunzio apostolico in Polonia, ricorda la figura di Pio XI

    ◊   “Servo fedele, prudente e buono”: così mons. Jozef Kowalczyk, nunzio apostolico in Polonia, ha tratteggiato la figura di Papa Pio XI nell’omelia per la messa di stamani celebrata nella Basilica parrocchiale di Desio, in provincia di Monza e Brianza. Una funzione che cade in occasione del 90.mo anniversario della Consacrazione episcopale di Achille Ratti, avvenuta a Varsavia il 28 ottobre 1919, e a ricordo dei 70 anni dalla sua morte. Nel pomeriggio di ieri nel corso della presentazione del libro: “Achille Ratti, il prete alpinista che diventò Papa” di Domenico Flavio Ronzoni, mons. Kowalczyk lo aveva definito “vescovo polacco che considerava la Polonia la sua seconda patria”. Il servizio di Benedetta Capelli:

    E’ Benedetto XVI a suggerire la riflessione di mons. Kowalczyk sulla figura di Achille Ratti, nunzio in Polonia prima di diventare Papa Pio XI. A partire dalle caratteristiche del vescovo – ricordate dal Santo Padre diverse settimane fa durante la consacrazione di alcuni nuovi presuli – il nunzio ha rintracciato nella storia di Pio XI la fedeltà, la prudenza e la bontà. “Un servo è fedele – ha detto mons. Kowalczyk – in quanto sa custodire dei beni preziosi che non sono suoi: anzitutto la fede e gli insegnamenti di Gesù”. In quel particolare momento storico, sul finire della prima Guerra Mondiale, egli seppe affrontare i potenti della terra “mettendo la fedeltà a Cristo al di sopra di ogni rispetto umano”. Altra virtù fondamentale fu la prudenza cioè “la capacità di guidare l’azione secondo la retta ragione”; una caratteristica che servì per “i demoni, serpenti e veleni” contro i quali egli si trovò a lottare: l’odio tra i popoli, il dramma dell’oppressione che aveva impedito alla Polonia di vivere da nazione libera e soprattutto il nazionalismo “che – ha continuato il nunzio – tendeva ad insinuarsi anche nella vita religiosa e negli stessi uomini di Chiesa, con la tentazione di strumentalizzare per i propri fini la fede cristiana”.

     
    Veleni che da Papa dovette affrontare in modo più tragico: il nazismo, il comunismo e il nazionalismo. “Prudenza – ha aggiunto il presule – che non fu sinonimo di cautela o timore” ma “sguardo lucido sulla realtà” e scelta oculata nei momenti in cui parlare e agire, “denunciando con coraggio, davanti al mondo, i pericoli che correva l’uomo del suo tempo”. Infine mons. Kowalczyk ha ricordato la bontà di mons. Ratti, simile a quella dei padri di famiglia che sono burberi e allo stesso tempo completamente dedicati al bene delle persone care. Dunque “egli realizzò in maniera singolare quell’ideale di vescovo tracciato dalla grande riforma tridentina, incarnato da San Carlo Borromeo”, un’ideale, ricorda il presule, che conobbe dall’infanzia nella Chiesa ambrosiana. Pio XI è quindi un esempio al quale guardare perché testimonianza di risposta “con generosità e senza paura” alla chiamata di amore di Dio.

     
    Caratteristiche che mons. Kowalczyk ha ritrovato nel lungo excursus storico sulla figura di Ratti prima come visitatore apostolico e poi come nunzio in Polonia. Nel corso della sua prolusione di ieri pomeriggio durante la presentazione del libro “Achille Ratti, il prete alpinista che diventò Papa”, il presule ne ha sottolineato la competenza, la padronanza del diritto canonico, la capacità di prendere decisioni rapide. A lui si deve l’accelerazione del processo di riconoscimento formale dello stato polacco da parte della Santa Sede e la promozione dell’ambasciata polacca a sede diplomatica di prima classe così come la Nunziatura Apostolica a Varsavia. Di mons. Ratti, in Polonia, si ricorda l’impegno nel promuovere la cultura accademica e la testimonianza di coraggio quando restò nella capitale durante la guerra polacco-bolscevica. Da Papa più volte rievocò il suo soggiorno in Polonia, definendosi “vescovo polacco” e lavorando per il Concordato tra la Sede Apostolica e la Repubblica Polacca.

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    Oggi in Primo Piano



    Il 24 gennaio elezioni generali nei Territori Palestinesi

    ◊   Il presidente Abu Mazen ha ufficializzato la data delle prossime elezioni generali palestinesi. Si voterà il 24 gennaio per la scelta del presidente e per il rinnovo del Parlamento. Immediate le reazioni internazionali positive all’annuncio, mentre i fondamentalisti di Hamas, che controllano la Striscia di Gaza, parlano di illegittimità della decisione. All’orizzonte, dunque, il rischio di un nuovo scontro tra le due anime palestinesi. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Giorgio Bernardelli, esperto dell’area mediorientale:

    R. – Il presidente Abu Mazen ha voluto forzare ormai i tempi ma è più che comprensibile: questa trattativa con Hamas va avanti ormai da anni! L’ultima si è svolta nelle scorse settimane ed è naufragata. L’accordo che era previsto al Cairo nelle scorse settimane parlava di elezioni a giugno. Essendo naufragato questo accordo, Abu Mazen gioca la carta istituzionale di tenere le elezioni alla scadenza naturale, cosa che non è affatto gradita ad Hamas. A questo punto Hamas ha davanti due strade: o ritorna al tavolo del negoziato e quindi si riapre una possibilità di un rinvio delle elezioni, oppure le elezioni si tengono a gennaio.

     
    D. – Potremmo trovarci, a fronte delle speranze internazionali della creazione di uno Stato palestinese autonomo, di fronte a due Stati palestinesi, se i contrasti tra Hamas e Fatah dovessero diventare sempre più gravi?

     
    R. - Questo è l’esito più probabile. Hamas non ha alcun interesse di arrivare ad un accordo reale con Fatah, e viceversa. Quindi l’esito più probabile è che avremmo due elezioni il 24 di gennaio: da una parte, appunto, quelle che si svolgeranno sotto l’egida del presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen, e dall’altra parte un’elezione guidata da Hamas autonomamente all’interno di Gaza. Una situazione per cui verrà sancita di fatto la divisione tra la Cisgiordania e Gaza con i due governi autonomi, che di fatto è già la situazione attuale.

     
    D. - Israele vive da protagonista - sia pure esterno - questa situazione: che cosa andrebbe meglio a questo punto per lo Stato ebraico?

     
    R. – L’incubo del governo israeliano è sempre stato quello che questi famosi colloqui tra Abu Mazen e Hamas andassero a buon fine e si arrivasse a un governo di unità nazionale che avrebbe creato grossi problemi a Israele, per qualsiasi trattativa di qualsiasi tipo. Insomma, alla fine chi ci perde davvero in questa situazione è Gaza che rimane sempre più un buco nero, fuori dall’attenzione del mondo: questo è il vero dramma di questa situazione. Dal punto di vista di Israele questo è lo scenario migliore, perché ha la possibilità di ritrovare un interlocutore verosimilmente nella linea della continuità rispetto a quanto accaduto finora con l’Autorità nazionale palestinese, e di disinteressarsi in maniera assoluta di quello che succede a Gaza.

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    Anno sacerdotale, l'esperienza di padre James Lengarin, missionario in Europa e in Kenya

    ◊   Essere missionari significa lasciare casa, terra, cultura e tradizioni, offrendo la propria vita per portare il Vangelo, nei Paesi dell’Occidente ricco e sviluppato come tra i popoli più poveri del pianeta. Ma significa anche vivere tra confratelli di molteplici nazionalità, testimoniando, giorno dopo giorno, come l’unità nella diversità sia un miracolo possibile. E’ l’esperienza di padre James Lengarin, keniano, da 15 anni missionario della Consolata, prima in Europa ed ora in Kenya, nella provincia di Nyeri. Al microfono di Claudia Di Lorenzi, racconta come è nata la sua vocazione:

    R. – Io sono figlio di pastori nomadi dei Samburu. Nella mia vita c’è sempre stata la domanda: cosa devo fare della mia vita? Mi piaceva molto aiutare le persone che venivano da noi, che non avevano tante mucche come noi; di andare ad assistere gli altri che erano meno fortunati di me. Mio padre è stato ucciso da un elefante tre-quattro mesi prima della mia nascita, e quindi quando sono nato c’era soltanto la mamma. Eravamo otto e la mamma doveva occuparsi di tutti noi. Anche alla mamma piaceva questo mio modo di fare … Un giorno ho detto: “Mamma, senti, io devo andare in seminario dove si insegna alla gente ad andare ad aiutare gli altri, anche fuori dalla nostra famiglia, fuori dalla nostra nazione”. E lei disse: “Va bene …”. Mia madre, la sera, pregava; al mattino, pregava, ringraziando il Signore per tutto quello che aveva avuto, e io la sentivo, perché dormivamo tutti insieme. E questo mi ha sostenuto in tutta la mia vita, fino ad adesso …

     
    D. – Perché la scelta di farsi missionario?

     
    R. – La scelta di farmi missionario è stata veramente la sfida di andare oltre la mia vita di casa, perché queste persone che sono venute da lontano hanno cercato di aiutare soprattutto le persone che non avevano neanche il denaro per mandare i bambini a scuola. Ma amandole! Mi ricordo che quando mia madre, quando le ho parlato dei Missionari della Consolata, che erano soltanto bianchi, mi ha detto: “Ma non ti vedi che sei nero?”. Io le ho risposto: “Senti, mamma, io andrò a lavorare con loro e io sarò anche una sfida per loro!”.

     
    D. – In Kenya ha formato novizi missionari di diverse nazionalità che ora vivono e operano insieme. Quali gioie ripagano la difficoltà di lasciare tutto?

     
    R. – La cosa più bella è stare insieme: l’altro apre il mio cuore, la mia mente e aprendomi, i pregiudizi che avevo verso gli altri, diminuiscono e così nascono i valori del rispetto, della solidarietà, della condivisione, della giustizia, della pace che si crea con lo stare insieme. Vivo con confratelli di diversi continenti, eppure mi sento a casa mia. Queste sono le cose belle che si possono fare sempre, però bisogna lasciare qualcosa. Se non lasci trasformare la tua vita, questo non sarà possibile. Ci vuole apertura di mente, un cuore grande … Solo Gesù Cristo ci fa vivere tutto questo. Altrimenti anche noi saremo soltanto “turisti” … Una delle sfide è anche quella di lasciare la casa per tanti anni: nei primi anni, i contatti non sono stati facili! Nel ’90 non c’erano ancora i telefonini, come adesso: potevi mandare una lettera, che sarebbe arrivata dopo due mesi. Però, se ami tanto quello che ti ha portato lì, anche queste piccole cose che fanno parte della vita, fanno bene! Io parto per la fede, e questa fede mi porta tante cose che altrimenti non potrei nemmeno immaginare di potere avere!

     
    D. – Nella regione di Nyeri i missionari della Consolata sono impegnati in progetti di assistenza. Di cosa si tratta?

     
    R. – Cerchiamo di aiutare con quelle cose che portano speranza. Non soltanto il cibo, che finisce subito. Noi aiutiamo soprattutto i bambini affinché non diventino delinquenti: insegniamo loro come vivere insieme … In questo momento si parla di giustizia e di pace per l’Africa: nell’insegnare, parliamo di giustizia, parliamo di riconciliazione. Si inizia proprio da lì: attraverso i bambini, arriviamo anche alle famiglie.

     
    D. – Quale auspicio per il Sinodo dei vescovi sull’Africa in corso in questi giorni?

     
    R. – Auguro che l’Africa sia veramente un continente che possa evangelizzare: siccome noi abbiamo ricevuto tanto, è venuto il momento anche in cui noi dobbiamo dare. E credo che questo Sinodo sia rivolto non soltanto ai nostri vescovi, sacerdoti e religiose ma anche ai nostri laici: per dare loro maggiore responsabilità. Per giungere alla riconciliazione, alla giustizia, alla pace ciascun singolo membro della Chiesa deve fare la propria parte, e poi tutti insieme.

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    Chiesa e Società



    I vescovi colombiani: “Le scuole cattoliche non possono essere obbligate a dare lezioni sull’aborto"

    ◊   “Le scuole cattoliche non possono essere obbligate a dare lezioni sull’aborto”. Lo ha affermato il segretario generale della Conferenza Episcopale della Colombia (Cec), mons. Juan Vicente Córdoba Villota, intervenuto in merito ad un provvedimento in materia emesso dalla Corte Costituzionale del Paese. Nello specifico - si legge in una nota dell'agenzia Fides - la sentenza ribadisce che il Governo è obbligato a diffondere la conoscenza dell’aborto nelle istituzioni educative, così come viene richiesto agli enti sanitari presso i quali opera personale specializzato nella pratica dell’aborto, quando venga richiesto e approvato da un giudice. Al riguardo il presule ha detto che la Chiesa colombiana “rigetta in maniera assoluta questo pronunciamento” e che questa posizione non rappresenta un “atto di disobbedienza alla Corte Costituzionale, ma un atteggiamento che difende la vita ed il diritto all’obiezione di coscienza affermato nella Costituzione politica”. Il segretario della Conferenza Episcopale colombiana ha quindi aggiunto: “Sono molto vicino ai pastori cristiani e ai rabbini e parlo a nome loro in questo momento, per respingere con forza che si insegni nella scuole che l’aborto è un diritto”. “L’aborto - ha ribadito infine - continua ad essere un delitto”. (C.D.L.)

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    Venezuela: oggi a Caracas la “VII Marcia Missionaria Giovanile”

    ◊   Si è svolta questa mattina a Caracas, in Venezuela, la VII Marcia Missionaria Giovanile promossa dai Missionari della Consolata. Sul tema “Giovane Discepolo, vivi in comunione con la Creazione”, l’evento segue la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, lo scorso 18 ottobre. “Siamo nel mese dell’ottobre missionario, e (…) rinnoviamo l’invito alle Chiese locali ad aprirsi alla Missione evangelizzatrice” scrive in un comunicato diffuso dall’agenzia Fides padre Claudio Moratelli, dei Missionari della Consolata, spiegando le finalità dell’iniziativa. “Oggi la nostra società - si legge nel testo - ha bisogno di persone che ascoltino la voce di Dio che le chiama costantemente a seguirlo. Noi missionari, missionarie e laici missionari, desideriamo che questa Marcia sia per la Chiesa venezuelana un’occasione autentica per prendere coscienza del nostro battesimo, per trasformarci in autentici discepoli e missionari di Gesù”. Quest’anno in particolare i giovani saranno chiamati a riflettere sui temi dell’ecologia e della tutela dell’ambiente, “così importante - conclude padre Moratelli - per la nostra società attuale come per il nostro futuro”. (C.D.L.)

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    Perù: un progetto della Caritas per la sicurezza alimentare di oltre 3000 persone

    ◊   L’arcivescovo metropolita di Piura e presidente della Caritas Piura e Tumbes, mons. José Antonio Eguren Anselmi, ha presentato recentemente il “Progetto integrale per lo sviluppo della sicurezza alimentare in 19 agglomerati agricoli del dipartimento di Tumbes”. Obiettivo dell’iniziativa – riporta la Fides - è contribuire “al miglioramento della qualità di vita e allo sviluppo sostenibile delle risorse naturali” nella regione, attraverso lo sviluppo di un sistema di acqua potabile e di irrigazione, servizi igienici, corsi di salute, organizzazione e gestione, oltre alla costruzione di vivai, orti biologici, magazzini, stalle. Nel suo intervento, mons. Eguren ha richiamato ad un impegno responsabile nella realizzazione del progetto, “per aprire le porte ad ulteriori investimenti stranieri”. Il progetto sarà sostenuto dall’Agenzia Cattolica “Manos Unidas” e sarà di beneficio ad oltre 3000 cittadini degli agglomerati agricoli di Tumbes. (C.D.L.)

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    UE: allo studio progetto per promuovere il multilinguismo

    ◊   “Incoraggiare il dibattito pubblico sul modo migliore per promuovere un uso più ampio di lingue diverse”: la nuova “piattaforma della società civile” costituita a Bruxelles su impulso della Commissione Ue, si propone di rafforzare il multilinguismo nell’Europa comunitaria. All’iniziativa – riporta il Sir - hanno aderito una trentina di sigle di Paesi diversi, in rappresentanza del mondo dell’istruzione, della cultura e dei media, fra cui Réseau européen des centres internationaux de traduction littéraire, Association of Commercial Television in Europe, Fundación Academia Europea de Yuste, Club of Madrid, European Federation for Intercultural Learning, European Association of History Educators. Per l’occasione il commissario Leonard Orban ha sottolineato “l’importanza delle lingue ai fini della coesione sociale e del superamento delle barriere che si frappongono all’integrazione” ed ha spiegato che la piattaforma “costituirà una tribuna per lo scambio di buone pratiche rivolta al mondo dei media, alle organizzazioni culturali e agli attori dell’istruzione” e che sarà rivolta in particolare a “i giovani che hanno abbandonato la scuola, le persone in formazione, gli anziani e gli immigrati”. (C.D.L.)

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    Thailandia: economia, ambiente e diritti umani nel vertice Asean terminato oggi

    ◊   Economia, ambiente, educazione e diritti umani. Sono i temi al centro del 15. mo vertice dell’Asean, associazione che riunisce 10 Paesi del Sud-est asiatico, che si è concluso oggi a Hua Hin, nel sud della Thailandia. Nel discorso inaugurale, lo scorso 23 ottobre - riferisce Asianews - il primo ministro thailandese, Abhisit Vejjajiva, ha elencato le “numerose sfide” che i Paesi asiatici si trovano oggi ad affrontare, da quella dell’economia mondiale agli tsunami, dalla Sars all’influenza aviaria e suina. Il premier ha sottolineato il valore dell’unità e della collaborazione ed ha detto che “i governi da soli non possono raggiungere gli obiettivi comuni”; è dunque necessario “promuovere il lavoro dell’Asean e la mutua cooperazione per contribuire a una crescita sostenibile”. Vejjajiva ha quindi auspicato la creazione, entro il 2015, di una Comunità Asean intesa quale luogo di incontro e di unione fra popoli e individui, occasione di azione comune fra i Paesi dell’Aesan. Tra le proposte anche la creazione di una Commissione inter-governativa sui diritti dell’uomo (Aichr) con il compito di promuovere una linea comune in materia di diritti umani. (C.D.L.)

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    Quinto centenario della nascita di San Francesco Borgia

    ◊   Con la celebrazione oggi di una solenne eucaristia presieduta dall’arcivescovo di Valencia mons Carlos Osoro, nella chiesa del Palazzo Ducale di Gandia, è iniziato l’anno giubilare nell’arcidiocesi di Valencia che commemora il quinto centenario della nascita di San Francesco Borgia. (Gandia, 1510 – Roma 1572). La chiusura dell’anno giubilare, prevista per il 28 ottobre del 2010, sarà presieduta dal preposito generale della Compagnia di Gesu padre Adolfo Nicolas. Il prossimo 28 ottobre, in coincidenza con la data storica della nascita del Santo nel 1510, il Provinciale dei gesuiti della Provincia di Aragon, presiederà una solenne eucaristía insieme alla presentazione del programma delle celebrazioni previste per questo anno giubilare. Con un decreto che porta la data dell’8 settembre scorso la Santa Sede ha concesso la celebrazione di questo anno giubilare. Lo stesso decreto indica le sei chiese che nelle città di Gandia o Llombai potranno essere visitate dai fedeli che vogliono, nelle dovute condizioni, l’indulgneza plenaria concessa per l’occasione. Da circa due anni, sono al lavoro due comissioni, una della città di Gandia e l’altra della regione di Valencia, che hanno reso possibili alcuni importanti restauri architettonici, oltre alla creazione di mostre e centri di studio e l’organizzazione di un gran numero di attività culturali, religiose e sociali. San Francesco Borgia, nato a Gandia (Valencia) nel 1510, è stato una delle personalità piú importanti della vita politica nella Spagna dell’Imperatore Carlos I. Rimasto vedovo, e dopo aver sistemato la situazione dei suoi figli, ha lasciato il suo Paese ed è stato accolto a Roma da Sant’Ignazio come aspirante gesuita. Nel corso della sua esperienza nella Compagnia di Gesù ha ricoperto importanti cariche e svolto compiti di rilievo, sia per conto dei suoi Superiori sia della Santa Sede. Nel 1565 é stato eletto Preposito Generale all’età di 54 anni. (A cura di Ignacio Arregui)

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    Inaugurata dopo il restauro la Cappella delle reliquie della Basilica di San Paolo

    ◊   La presentazione dell'evento, organizzato dall'Arciprete mons. Francesco Monterisi e dall'Abate padre Edmund Power della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, si è tenuta nel transetto della Basilica paolina alla presenza dell'Arciprete emerito il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo e di tanti ospiti e autorità civili e religiose. Un evento eccezionale vista la natura della presentazione che non aveva carattere liturgico. Dopo un lavoro di tre mesi, ad opera dell'architetto torinese Maria Pia Dal Bianco, si è infatti concluso il restauro della Cappella delle Reliquie ubicata accanto alla sacrestia, come vuole la tradizione benedettina. Un’epigrafe situata sull’altare della sacrestia riporta la data della costruzione: “Abbas et monachi S. Pauli sacellum hoc pro reliquiis construxerunt exornaruntque. AD MDCXL” (L’Abate e i monaci di San Paolo costruirono e ornarono questa cappella per le reliquie A.D. 1640). La cappella presenta una volta a botte con degli affreschi dei primi anni del XVIII secolo raffiguranti San Benedetto e Santa Scolastica circondati da santi, martiri, Papi presenti nei reliquiari della cappella. Un luogo caro alla vita monastica e a tutti coloro che come pellegrini visitano l'Abbazia e la Basilica dell'Apostolo delle genti. Come ha detto l'Abate Power, infatti, la cappella è inserita nell'area museale della Basilica, ma si è voluto mantenere il suo carattere di luogo di raccoglimento e di preghiera. Basti pensare solo ad alcune delle reliquie qui custodite come un frammento del Legno della Santa Croce, il bastone ligneo di San Paolo e fino a poco tempo fa le catene che hanno imprigionato l'Apostolo, ora poste accanto alla sua tomba. Per sottolineare questo evento si è organizzata anche l'esposizione nella stessa cappella di un ostensorio di rara bellezza donato alla fine del Seicento dall'Imperatore d'Austria Leopoldo I all'Abate Melchiorre Magistrati ora proprietà del Comune di Bene Vagienna, esposizione che si protrarrà fino al 31 gennaio 2010. L'Abate benedettino Edmund Power nel suo discorso di benvenuto ha sottolineato che pur non essendo un reliquiario, l'ostensorio ci invita a saper guardare oltre; saper attingere alla sorgente stessa della santità: Gesù Cristo, che sotto la specie eucaristica si mostra con grande umiltà e forza ai nostri occhi attraverso un oggetto di grande bellezza che ci rimanda alla bellezza suprema che nasce da lui. All'evento era presente anche una folta delegazione proveniente dalla città accompagnata dal Sindaco, l'Associazione amici di Bene, con il suo presidente Michelangelo Fessia  promotore dell'evento e gli eredi della famiglia Magistrati.  Questa raffinata opera di oreficeria degli Asburgo fu realizzata dall'argentiere Thomas Joseph Hueber e reca inciso lo stemma, il nome dell'Abate e ha tra i vari simboli religiosi cesellati anche la corona imperiale asburgica. Un'occasione per tutti i romani e i pellegrini di vedere un oggetto liturgico esposto in un luogo di grande fascino e spiritualità quale è appunto la Basilica e Abbazia di San Paolo fuori le Mura.

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    Si è spento a Roma Camillo Cibin, ex ispettore generale della Vigilanza vaticana

    ◊   E’ morto questa mattina a Roma, presso la clinica Pio XI, all’età di 83 anni, il commendatore Camillo Cibin, ex ispettore generale del Corpo della Vigilanza vaticana, oggi Gendarmeria. Nel suo servizio di lunghissimo corso ci sono stati certamente un giorno, un’ora e un minuto, che non avrebbe mai voluto vivere: quel 13 maggio 1981, ore 17.17. In quell’istante di 28 anni fa, Giovanni Paolo II cadeva ferito e insanguinato, vittima dell’attentato compiuto da Alì Agca. Fu un giorno di emozione e di dolore, che Camillo Cibin, nominato ispettore generale nel 1971 durante il Pontificato di Paolo VI, visse da testimone. Fu anche testimone di 104 viaggi apostolici di Papa Giovanni Paolo II all’estero, di quelli italiani e dei soggiorni estivi di Lorenzago di Cadore e di Introd. Una carriera di straordinarie responsabilità e contraddistinta anche dalla riconferma ricevuta per un anno, nel 2005, da Benedetto XVI. Cibin, di origini venete, andò in pensione nel 2006, dopo ben 58 anni di servizio, lasciando il posto al suo vice di allora Domenico Giani - tuttora ispettore generale della Gendarmeria. (A.L.)

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    Abruzzo: domani a L’Aquila un incontro su “disabilità e terremoto”

    ◊   “Disabilità e terremoto: contributi e testimonianze per un nuovo modello di intervento”. È il titolo del seminario che la Protezione Civile organizza domani a L’Aquila nella Scuola sottufficiali della Guardia di Finanza di Coppito. “La giornata – spiegano i promotori, secondo l'informativa diffusa dal Sir – vuole essere un momento di incontro e riflessione per associazioni di volontariato, enti, istituzioni, e cittadini interessati al tema o coinvolti in attività di sostegno e soccorso”. L’incontro, dalle ore 9.30 alle 18.30, sarà scandito da tre momenti: l'esperienza del terremoto in Abruzzo da parte delle persone con disabilità, il ruolo delle associazioni e delle istituzioni e un dibattito sulle nuove prospettive. Al seminario parteciperanno dieci associazioni di volontariato che operano su ambiti e disabilità diverse.

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    Roma: inaugurato il Museo nazionale dell’emigrazione

    ◊   Racconta la storia dell’emigrazione italiana, dall’unità di Italia, nel 1861, ai giorni nostri, attraverso testimonianze audio, foto, oggetti, giornali e riviste d’epoca, distribuiti lungo percorsi tematici dedicati al cinema, la letteratura, la musica e la fotografia. E’ il Museo Nazionale dell’Emigrazione inaugurato venerdì 23 ottobre a Roma, alla presenza del presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano. “Oggi che accogliamo gli immigrati e siamo diventati un Paese di grande immigrazione – ha detto Napolitano, secondo quanto diffuso dal Sir - non dovremmo mai dimenticare di essere stati un Paese di emigrazione”. Tra i presenti alla cerimonia anche padre Lorenzo Prencipe, coordinatore del comitato scientifico per il Museo Nazionale dell’Emigrazione e presidente del Centro Studi Emigrazione di Roma (Cser), che ha ricordato come “L’attenzione e l’impegno della Chiesa per i migranti” sia “parte del suo fondamentale compito di evangelizzazione e promozione umana”. Di fronte al “dramma migratorio di milioni d’italiani, che in 150 anni hanno dato vita al più grande esodo di un popolo che la storia moderna abbia mai conosciuto” ha spiegato padre Prencipe, la prima risposta della Chiesa è stata quella di “garantire un’assistenza religiosa ai migranti, facendo ricorso all’invio di clero della loro stessa nazionalità (…) Diverse congregazioni religiose, come pallottini, salesiani, barnabiti si adoperarono, allora, in questo apostolato tra i migranti in America e in Europa”. Oggi, dinanzi alla crescita esponenziale dell’emigrazione italiana, aggiunge il presidente del Cser, la Chiesa “percepisce l’importanza di un’azione stabile e integrale per e con gli emigrati”. Al Museo Nazionale dell’Emigrazione ha collaborato anche la Fondazione Migrantes, con materiale fotografico e documentale. (C.D.L.)

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    Concluso a New Orleans l'VIII Simposio dell'organizzazione Religione Scienza e Ambiente

    ◊   Ultime ore di convegno in Louisiana per i 150 partecipanti all’ottavo Simposio dell’organizzazione Religione, Scienza e Ambiente, promosso dal Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Oggi a New Orleans la conclusione dei lavori, dedicati al fiume Mississippi. Gli scienziati, gli esperti e i giornalisti partecipanti hanno discusso in questi giorni delle minacce per il bacino del Mississippi, e in particolare per il delta del grande fiume americano, evidenziando i pericoli dovuti a erosione, innalzamento del livello del mare, inquinamento, uragani e tempeste. A tutte le sessioni di studio ha partecipato il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, che dal ’95 promuove questi appuntamenti dedicati alla salvaguardia del Creato. Sottolineata la vulnerabilità delle città costiere o sorte nelle aree di importanti bacini idrici: l’allarme è alto per New Orleans, Londra, New York, Dacca, Manila, tutte aree di forte umanizzazione, densamente popolate. Dal 1990 ad oggi il rischio di calamità naturali su aree abitate è via via aumentato. Al Simposio gli studiosi hanno cercato di mettere in luce che gli effetti immediati dei cambiamenti climatici si faranno sentire nei Paesi in via di sviluppo e non solo. Lo ha spiegato John M. Barry, scrittore e consulente della Casa Bianca per il Delta del Mississippi, affermando che la prova si è avuta nel 2005 con l’uragano Katrina in Louisiana, che ha ucciso oltre 1500 persone, ponendo una pesante incognita sulla sostenibilità a lungo termine di New Orleans. L’importante - ha spiegato al convegno il prof. Gerald E. Galloway, dell’Università del Maryland - è non dimenticare la portata del disastro e non sottovalutare il rischio di future alluvioni. Anche di questo si parlerà a Copenhagen in dicembre alla quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Perché agire contro i cambiamenti climatici “non deve essere inteso come un onere - ha detto il Patriarca Bartolomeo I ai lavori - ma come un'opportunità importante per un pianeta più sano, di cui possa beneficiare tutta l’umanità”. (A cura di Giada Aquilino)

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    Nella diocesi di Narni - Terni – Amelia conclusa l’assemblea ecclesiale su “Eucarestia e città”

    ◊   Sul tema “Eucaristia e città” si conclude oggi la due giorni dell’assemblea ecclesiale nella diocesi di Terni-Narni-Amelia. “L’assemblea ecclesiale – ha spiegato don Giorgio Brodoloni, vicario episcopale per la pastorale, secondo il Sir – è uno dei momenti più alti della vita della comunità diocesana, sia per il cammino di comunione sia per l’unico impegno pastorale. È un percorso partito negli anni scorsi con la riflessione sul rapporto tra Eucarestia e città, in quell’invito ad "andare" che viene pronunciato al termine della Messa, e che richiede ad ogni credente di stare nella realtà quotidiana, nello sviluppare pienamente il rapporto tra vita e religione, perché l’Eucarestia sia veramente fermento di vita nuova, fervore di crescita umana nella città”. In questo anno, ha aggiunto, don Brodoloni, “abbiamo riflettuto sul nostro essere nella e per la città segno e strumento di unione e di unità del genere umano, abbiamo compreso il valore del cammino sin qui svolto e la responsabilità della Chiesa locale a rispondere in modo sempre più autentico alla sua vocazione per il bene di tutti”. (C.D.L.)

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    24 Ore nel Mondo



    132 morti e centinaia di feriti in Iraq per due autobomba esplose a Baghdad

    ◊   Si aggrava di ora in ora il bilancio delle vittime provocate in Iraq dall’esplosione di due autobomba, avvenuto in mattinata nella zona verde di Baghdad. La polizia parla di almeno 132 morti e di centinaia di feriti. Nel mirino della guerriglia il ministero della Giustizia e la sede del governatorato provinciale, nei pressi del fiume Tigri. Le strade limitrofe sono piene d’acqua. I vigili del fuoco stanno recuperando con difficoltà decine di corpi dilaniati e carbonizzati. Si tratta dell’attentato più grave di quest’anno nella capitale. Secondo ufficiali americani, questi attacchi hanno lo scopo di rinfocolare il conflitto settario fra sciiti e sunniti e di minare la fiducia nei confronti del primo ministro, Nouri al Maliki, in vista delle elezioni legislative in programma il prossimo anno.

    Medio Oriente
    In Medio Oriente dopo un periodo di relativa calma fedeli islamici e reparti della polizia israeliana sono tornati ad affrontarsi in mattinata nella Spianata delle Moschee di Gerusalemme, uno dei luoghi più sacri per l’Islam ma anche per gli ebrei. Il servizio:

    Gli agenti hanno utilizzato gas lacrimogeni contro decine di giovani palestinesi che hanno reagito in modo violento nei confronti di visitatori - stranieri e israeliani - che si apprestavano ad entrare nel luogo sacro. I disordini, segnati da lanci di pietre e bottiglie incendiarie contro la polizia, hanno provocato l’arresto di una ventina di persone e altrettanti feriti. La situazione, al momento, sembra sotto controllo. L’area è stata chiusa al pubblico, anche se all’interno di una moschea sono barricati un centinaio di fedeli islamici, che non intendono abbandonare la zona. Si teme però che gli scontri possano riprendere stasera, quando durante un convegno organizzato da un gruppo ultra-ortodosso israeliano si affermerà il diritto degli ebrei di avere accesso e di pregare nella Spianata. L’iniziativa ha allarmato i leader islamici locali i quali hanno chiesto ai fedeli di “difendere la moschea al-Aqsa” collocata a poca distanza dal Muro del Pianto. La polizia ha annunciato misure severe contro il movimento islamico in Israele, dopo la richiesta avanzata da qualche politico di dichiararlo fuori legge. Pesanti le reazioni dell’Autorità nazionale palestinese, di al Fatha e di Hamas che hanno accusato la polizia ebraica di aver dissacrato la Spianata. Gli agenti sono stati invece criticati dalla destra nazionalista israeliana per aver abbandonato l’area “al volere di fedeli islamici turbolenti”.

    Iran
    Al via oggi in Iran la visita dei 4 ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) nel sito di arricchimento dell’uranio nei pressi della città Qom. Gli ispettori, giunti nella notte a Teheran da Vienna, dovrebbero restare per tre giorni. Ieri intanto, a seguito di una telefonata tra il presidente americano Obama, quello francese Sarkozy e quello russo Medvedev, Washington, Parigi e Mosca hanno ribadito piena convergenza sul dossier nucleare di Teheran e sull’accordo messo a punto dall’Aiea che prevede l’invio in Iran di uranio arricchito all’estero. La risposta della Repubblica Islamica è attesa nei prossimi giorni.

    Pakistan
    In Pakistan prosegue la lenta avanzata dell’esercito nel nono giorno della sua offensiva contro i talebani nella regione del Waziristan del Sud. In queste ore almeno 15 ribelli e un soldato hanno perso la vita. Ed è di sei soldati morti il nuovo bilancio dello schianto dell’elicottero dell’aviazione di Islamabad, avvenuto ieri sera sempre nella zona tribale al confine con l’Afghanistan a causa di quello che i responsabili militari definiscono un “errore tecnico”.

    Afghanistan
    Manifestazione anti americana per le strade di Kabul, la capitale dell’Afghanistan, dopo che alcuni militari stranieri sono stati accusati di aver bruciato una copia del Corano. I partecipanti al corteo, soprattutto studenti, hanno dato alle fiamme una bandiera statunitense e una foto del presidente Usa Obama. La polizia ha sparato in aria per calmare la folla quando il corteo è giunto davanti alla sede del Parlamento.

    Influenza A
    Il presidente Obama ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale negli Stati Uniti per l’influenza A, che finora ha colpito un milione di persone uccidendone un migliaio in 46 dei 50 stati dell’Unione. L’obiettivo - ha spiegato la Casa Bianca in una nota – è quello di accelerare la distribuzione di vaccini e avviare operazioni speciali, in caso di grossa pandemia, senza rispettare tutte le regole federali in vigore in situazioni normali. Intanto primo decesso in Turchia provocato dal virus H1N1. Si tratta di un uomo deceduto in un ospedale di Ankara.

    Presidenziali in Uruguay
    Uruguay oggi al voto per le presidenziali. In testa ai sondaggi c’è l’ex guerrigliero Jose' Alberto Mujica, appartenente alla coalizione di centrosinistra al potere dal 2004. Non si prevede però una vittoria sufficiente per evitare il ballottaggio, in programma il prossimo 29 novembre. Circa due milioni e mezzo i cittadini chiamati ad esprimere la propria preferenza.

    Elezioni Tunisia
    Urne aperte stamattina anche in Tunisia per l’elezione del capo dello Stato e dei deputati del nuovo Parlamento. Favorito il presidente uscente Ben Ali, che, dopo 22 anni al potere si presenta per un quinto mandato. Buone probabilità anche per la sua formazione, il Raggruppamento costituzionale democratico, che mira a consolidare la sua maggioranza in parlamento. La tornata interessa oltre 4 milioni di cittadini. Al voto, per la prima volta, anche i 18enni. I seggi si chiuderanno alle 18.00, i risultati ufficiali sono attesi per domani.

    Nigeria
    In Nigeria annunciato un nuovo cessate-il-fuoco illimitato da parte del Movimento per l’emancipazione del delta del Niger (Mend), il principale gruppo armato ribelle del Paese che da anni chiede un’equa ripartizione dei proventi dell’estrazione del petrolio con le popolazione locale. La decisione, comunicata all’agenzia italiana Ansa, ha effetto a partire da mezzanotte di ieri. Fondamentale la mossa del governo federale nigeriano che – si legge – “ha reso noto di essere pronto ad impegnarsi in un serio dialogo con ogni gruppo che punti ad una pace duratura nel Delta”.

    Somalia
    In Somalia 12 pirati condannati a pene che vanno da 3 a 8 anni di prigione da un tribunale del porto di Bosasso nel Puntland, la regione semi autonoma del nord-ovest del Paese africano. Le autorità dell’area, dove si trovano le principali basi dei pirati, hanno già inflitto pene severe per altre decine di ribelli catturati dalle forze navali internazionali che pattugliano l’Oceano indiano e il golfo di Aden.

    Egitto scontro treni
    Tragedia in Egitto. Almeno 18 morti e una sessantina di feriti per lo scontro tra due treni passeggeri avvenuto a sud-ovest del Cairo, nella città di El Ayat. Secondo la ricostruzione fornita dalla polizia, ieri sera uno dei due treni si è fermato improvvisamente sul binario ed è stato colpito dal secondo.

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 298

     
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