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Sommario del 23/10/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Messaggio finale del Sinodo: "Africa, alzati e cammina!"
  • Rispettare senza ritardi e scuse gli impegni per lo sviluppo: così mons. Migliore all’Onu
  • Mons. Zimowski: il binomio etica e spiritualità è fondamentale nella cura dei malati
  • Attese migliaia di persone a Milano per la Beatificazione di Don Gnocchi, papà dei mutilatini
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Si aggrava la crisi politica in Honduras
  • Pillola abortiva. Mons. Crociata: tutelare il diritto all'obiezione di coscienza
  • Inaugurazione a Parigi della nuova Accademia cattolica di Francia
  • Simposio sul Mississipi: il Patriarca Bartolomeo presiede il rito della benedizione delle acque
  • Il nuovo superiore generale dei Comboniani: essere testimoni dell'amore di Dio tra gli ultimi
  • I Venerdì di Propaganda della Lev: Svidercoschi presenta il suo libro su Giovanni Paolo II
  • Stasera la consegna dei premi al Festival del Film di Roma
  • Chiesa e Società

  • In Etiopia sei milioni di persone alla fame
  • Europa: oltre un milione e duecentomila gli aborti praticati nel 2007
  • Rapporto dell’Onu sulla drammatica situazione dei diritti umani in Corea del Nord
  • Nuovo no dei vescovi del Perù alla depenalizzazione dell’aborto
  • Crisi della scuola in Cile. I vescovi invitano governo e sindacati a dialogare
  • Unicef: bambini immigrati discriminati nei Paesi industrializzati
  • Iraq: il Patriarca siro cattolico incontra le autorità politiche del Paese
  • La Chiesa luterana in Svezia apre ai matrimoni tra omosessuali: rammarico di cattolici e ortodossi
  • Grecia: per Msf condizioni inaccettabili nei centri per immigrati
  • Adottata dall’Unione Africana la Convenzione per gli sfollati e i rifugiati
  • Incontro giovanile in Ungheria organizzato dalla Comunità di Taizè
  • Verso la Gmg di Madrid: Convegno Cei a Metaponto
  • A Oviedo la consegna dei premi “Principe delle Asturie”
  • Il cardinale Vallini ha incontrato gli studenti degli atenei cattolici
  • Il cardinale Sepe inaugura a Napoli un centro medico per i bambini immigrati
  • 24 Ore nel Mondo

  • Nuova catena di attentati in Pakistan: almeno 20 i morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messaggio finale del Sinodo: "Africa, alzati e cammina!"

    ◊   Un lungo applauso: così, stamani, il Sinodo dei Vescovi per l’Africa ha accolto la presentazione del Messaggio finale dell’Assemblea. Alla presenza di Benedetto XVI, la 18.ma Congregazione generale ha visto la lettura del documento in quattro lingue: inglese, portoghese, francese e italiano. Il servizio di Isabella Piro:

    “Africa, alzati e cammina!”. E’ forte l’esortazione lanciata dal Messaggio finale del Sinodo: non c’è tempo da perdere, dicono i Padri sinodali, l’Africa deve cambiare e non si deve abbandonare alla disperazione.

     
    Il documento è suddiviso in sette parti, più un’introduzione ed una conclusione. Numerosi gli appelli in esso contenuti: ai sacerdoti, perché siano fedeli nel celibato, nella castità e nel distacco dai beni materiali. Ai fedeli laici, “ambasciatori di Dio”, perché permettano alla fede cristiana di impregnare tutte le dimensioni della loro vita, poiché non ci sono scuse per chi resta ignorante in materia. In quest’ambito, il Messaggio raccomanda la formazione permanente dei laici e l’istituzione di Università Cattoliche.

     
    Un altro appello è rivolto al mondo politico: l’Africa ha bisogno di politici santi che combattano la corruzione e lavorino al bene comune, si legge nel testo. Coloro che non sono formati alla fede, si convertano o abbandonino la scena pubblica per non danneggiare la popolazione e la credibilità della Chiesa cattolica.

     
    Il Messaggio chiama poi in causa le famiglie cattoliche, mettendole in guardia dalle ideologie così dette “moderne” e chiedendo ai governi di sostenerle nella lotta alla povertà, perché una nazione che distrugge la famiglia agisce contro i propri interessi.

     
    Quindi, i Padri Sinodali guardano alle donne e agli uomini cattolici: le prime vengono definite “la spina dorsale” delle Chiese locali; per loro si auspica una promozione maggiore a livello sociale e vengono invitate a non divenire ostaggio di ideologie straniere “tossiche” sul genere e la sessualità. Al contempo, il Messaggio chiama gli uomini cattolici ad essere mariti e padri responsabili, a difendere la vita sin dal concepimento e ad educare i figli.

     
    Poi, l’appello ai giovani e ai bambini, presente e futuro dell’Africa, in cui il 60% della popolazione ha meno di 25 anni. Per entrambi, si raccomanda un apostolato attento, che li tenga lontani dalle sètte e dalle violenze.

     
    E ancora, il Messaggio si rivolge alla comunità internazionale, perché tratti l’Africa con rispetto e dignità, cambi le regole del gioco economico e del debito estero africano, fermi lo sfruttamento delle multinazionali, che distrugge le tante ricorse naturali dell’Africa, non nasconda, dietro gli aiuti, altre intenzioni svantaggiose per gli africani.

     
    Quindi, il Messaggio finale si sofferma sul problema dell’Aids: la Chiesa non è seconda a nessuno nella lotta contro il virus Hiv e nella cura dei malati, si legge. In accordo con Benedetto XVI, definito “amico autentico dell’Africa e degli africani”, i Padri sinodali ribadiscono che la questione non sarà risolta con la distribuzione di profilattici, e sottolineano il successo ottenuto invece dalla castità e dalla fedeltà.

     
    Poi, il documento ribadisce l’importanza del dialogo con le religioni tradizionali, in ambito ecumenico ed interreligioso, in particolare con i musulmani: il dialogo è possibile, si legge nel Messaggio, ma è importante dire no al fanatismo, assicurare il rispetto reciproco e sottolineare che la libertà religiosa è un diritto umano fondamentale e include la libertà di condividere e proporre, non di imporre, la propria fede.

     
    Tra gli altri temi trattati dal Messaggio, l’importanza del Sacramento della Riconciliazione e di programmi diocesani sulla pace, lo stop alla pratica della vendetta, il rafforzamento dei legami con le antiche Chiese di Etiopia e di Egitto e tra l’Africa e gli altri continenti, il ringraziamento ai missionari, la necessità di sostenere i migranti e i rifugiati nel mondo perché l’accoglienza è un dovere.

     
    Infine, l’esortazione a sostenere il Secam (Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar) che ha compiuto 40 anni di attività, e a moltiplicare gli sforzi nella comunicazione sociale della Chiesa. Un esempio su tutti: la potenza della radio. In Africa, quelle cattoliche sono passate da 15 a 163 nel giro di 15 anni, dati da non sottovalutare in un mondo “pieno di contraddizioni e di crisi profonde”, in cui l’Africa fa notizia solo in caso negativo.

     
    Sui contenuti del Messaggio finale del Sinodo Paolo Ondarza ha intervistato il presidente della Commissione incaricata di redigere il testo, mons. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria:

    R. – Il punto centrale è che non possiamo accettare che la situazione in Africa continui così. Tutta questa storia della povertà, delle malattie, delle guerre deve cambiare. Secondo, è possibile cambiare! Per cambiare, però, tutti devono darsi da fare e dobbiamo cominciare da noi stessi, dalla Chiesa, da come gestiamo le nostre diocesi. C’è poi anche la responsabilità delle guide politiche dei nostri Paesi: non si può dire continuamente che abbiamo sofferto la schiavitù, che abbiamo sofferto il colonialismo. Sì, ma sono già passati 50 anni ed è già abbastanza per superare queste cose. Tanti capi di Stato africani hanno fatto l’esperienza dei partiti unici e dicevano che questo era il modo africano per reggere un Paese. Ma siamo nel 2009 e adesso abbiamo imparato che questo non funziona. Vuol dire che dobbiamo accettare il sistema di democrazia multipartitico. Ci sono dei Paesi dove c’è una democrazia multipartitica soltanto nel nome. Quando non c’è una democrazia sincera, le cose non si muovono. Soltanto dopo possiamo parlare anche delle ingerenze esterne.

     
    D. – Lei dice che bisogna partire dall’Africa, cioè da un lavoro interno all’Africa...

     
    R. – Gli inglesi dicono “charity begins at home”, la carità comincia in casa. Questo è un messaggio indirizzato principalmente all’Africa e a tutti i settori della comunità africana, sia ecclesiale sia sociopolitica, perché possiamo fare meglio di ciò che stiamo facendo.

     
    D. – E se dovessimo tracciare un bilancio di questo Sinodo sull’Africa...

     
    R. – Forse il bilancio dovrebbe essere tratto da quelli che dovranno studiare il lavoro che abbiamo fatto. Io personalmente dico che abbiamo lavorato molto e credo che abbiamo fatto un buon lavoro, ma non spetta a me correggere i miei compiti! Saranno altri a farlo.

     
    D. – Sono emerse delle novità, rispetto anche al primo Sinodo sull’Africa?

     
    R. – Sì, credo l’aspetto, per esempio, del dialogo con l’islam. Siamo stati più incisivi, specialmente nei confronti di quei Paesi dove la libertà religiosa non è rispettata e dove si accetta questa situazione come normale. Adesso abbiamo detto che non è giusto e che si deve cambiare. Non sappiamo se cambieranno, ma so che quando cominceremo a guardare quello che succede, specialmente nei Paesi del Maghreb, anche nello stesso Egitto, si saprà se veramente hanno ascoltato il nostro messaggio.

     
    In seguito, sollecitato dai giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede, mons. John Onaiyekan, presidente della Commissione per il Messaggio, ha espresso apprezzamento per la recente Costituzione Apostolica per gli anglicani che desiderano entrare nella Chiesa cattolica, approvata da Benedetto XVI. Dal suo canto, mons. Sarraf, vescovo del Cairo dei Caldei, ha sottolineato come nelle Chiese Orientali, ad esempio in quella egiziana, si registri una tendenza crescente al celibato sacerdotale. Infine, una citazione speciale è andata a Julius Nyerere, presidente cattolico della Tanzania, noto per la sua integrità e morto di leucemia nel 1999. La sua causa di canonizzazione è già in corso, un atto che i Padri sinodali definiscono “incoraggiante”.

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    Rispettare senza ritardi e scuse gli impegni per lo sviluppo: così mons. Migliore all’Onu

    ◊   La disoccupazione nei Paesi industrializzati è cresciuta negli ultimi 12 mesi tanto da essere paragonabile al livello degli Anni ‘30. Lo ha ricordato mons. Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, intervenendo alla 64.ma Sessione dell’Assemblea generale nell’ambito del dibattito sullo “sradicamento della povertà e altre questioni di sviluppo”. Il servizio di Fausta Speranza:

     
    Per quanti hanno perso il lavoro la crisi non è certo superata: il suo costo sociale e umano persiste. Mentre si plaude all’inizio di una ripresa dell’economia a livello globale, mons. Migliore ricorda “l’acuirsi della povertà in un mondo già tenuto in ostaggio da un’intollerabile miseria”. Lo fa sottolineando anche che la ripresa si presenta molto lenta e senza garanzie che non ci siano ulteriori battute d’arresto o contraccolpi. Mons. Migliore guarda agli ultimi decenni e denuncia “un declino dell’aiuto allo sviluppo già prima dell’emergere della crisi economica” e “una mancanza di solidarietà e responsabilità per gli effetti a lungo termine delle misure economiche”. Mons. Migliore chiarisce il punto centrale del suo intervento: gli impegni sul piano internazionale per lo sviluppo devono essere rispettati “senza ritardi e senza scuse”. Bisogna sradicare le principali e strutturali cause della povertà. E cita diverse dichiarazioni ufficiali di intenti degli ultimi anni, tra i quali quelli espressi a Copenaghen nel 1995, al G8 del 2005 e anche il G20 di Londra a marzo scorso. Soltanto un investimento su tutti gli uomini e le donne del mondo, a partire da un più vasto accesso all’istruzione, potrà assicurare un minimo di stabilità economica e politica necessaria per il bene comune di tutti. “Non può bastare – aggiunge mons. Migliore - il rilancio dell’economia globale o l’istituzione di nuove regole e controlli che assicurino meno traumi nel settore finanziario”. Piuttosto – spiega mons. Migliore - “è necessario ora più che mai lavorare per un cambiamento nella gestione degli affari internazionali”.

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    Mons. Zimowski: il binomio etica e spiritualità è fondamentale nella cura dei malati

    ◊   Guardare alla persona malata nella sua integralità: è l’esortazione dell’arcivescovo Zygmunt Zimowski, nella prolusione al Seminario “Etica e spiritualità della Sanità. Medicine tradizionali e complementari. Nuove ricerche e orientamenti”, svoltosi in questi giorni a Roma, sotto la presidenza del cardinale Paul Poupard. Nel suo intervento, il presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari si è soffermato sulla dimensione spirituale della cura dei malati. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Nella cura del malato, il medico deve considerare che “l’etica e la spiritualità costituiscono l’essenza dell’essere umano”: è l’invito rivolto agli operatori sanitari dall’arcivescovo Zygmunt Zimowski. Il presule ha sottolineato che l’etica e la spiritualità rivelano tutto il loro significato e le proprie ricchezze nell’ambito della salute, della sofferenza e della malattia. L’etica e la spiritualità, ha detto, “si presentano molto più come un’esigenza e un’esperienza”, che "un’elaborazione teorica”. Dati i limiti della medicina ufficiale, ha rilevato mons. Zimowski, è necessario che il personale sanitario guardi alla persona malata “nella sua integralità”. Il servizio ai malati, ha ribadito, “abbraccia tutte le dimensioni della persona umana: fisica, psichica, spirituale e sociale”. Ecco perché, nei suoi insegnamenti, ha rilevato il presule, la Chiesa fornisce “una base antropologica solida per la riflessione etica e bioetica” e al tempo stesso “riconosce espressamente delle responsabilità etiche agli operatori sanitari”.

     
    La Chiesa, ha proseguito, insegna che il ministero pastorale, “in seno alle strutture sanitarie, non può in alcun caso ridursi all’amministrazione dei Sacramenti ai malati”. Si tratta piuttosto, è stata la sua riflessione, di “un’azione ecclesiale dove la vita sacramentale dei malati e del personale medico si integra con l’annuncio vigoroso e continuo del Vangelo”. Ancor più oggi, ha detto riecheggiando Giovanni Paolo II, in un mondo in cui “i pericoli possono nascondersi dietro un arsenale di tecniche e dispositivi d’apparecchiature ultramoderne o provenire dalla desolante solitudine dei malati lasciati a se stessi”. Tuttavia, ha precisato, nella visione cristiana, la salvaguardia della buona salute non è il fine ultimo della vita. Come afferma, infatti, Benedetto XVI nella Spe Salvi, “dobbiamo fare di tutto per superare la sofferenza, ma eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità “, “questo potrebbe realizzarlo solo Dio”.

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    Attese migliaia di persone a Milano per la Beatificazione di Don Gnocchi, papà dei mutilatini

    ◊   Sono attese oltre 40mila persone domenica prossima a Milano, in Piazza Duomo, per la Beatificazione di Don Carlo Gnocchi, il “papà dei mutilatini”. In rappresentanza del Papa, sarà presente al rito l’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Don Gnocchi maturò la sua esperienza sul fronte bellico, come cappellano degli Alpini, durante il secondo conflitto mondiale che lo spinse ad accogliere i primi orfani di guerra e i bambini mutilati. Di questo sacerdote ci parla mons. Ennio Apeciti, postulatore della diocesi di Milano per la causa di beatificazione di Don Carlo. L'intervista è di Fabio Colagrande:

    R. – Questo prete è stato un prete entusiasta, in un’epoca in cui tanti erano i drammi, le sofferenze e le preoccupazioni, dove era forse più facile scoraggiarsi o lamentarsi. Mi ha sempre colpito questo suo entusiasmo, questa sua fiducia nel tempo, fiducia nel mondo. Lui diceva: “Se dovessi rinascere mille volte e dovessi scegliere il secolo in cui nascere, senza esitazione sceglierei il ‘900, perché è il secolo delle grandi dimensioni, dei grandi dibattiti, ma anche del grande coraggio”. Questo credo serva, tanto più nell’epoca in cui è vissuto, dopo le grandi tragedie della guerra, dopo il tentativo di prevalere del fascismo: un uomo che ha vissuto profondamente quello che diceva. E’ stata una di quelle persone che dicono ciò che vivono e vivono secondo la profondità della loro fede.

     
    D. – Nel suo lavoro di raccolta, di studio, di ascolto, ci sono degli aspetti che le sono rimasti particolarmente impressi?

     
    R. – La commozione delle persone. Ho ancora in mente più volte, i itestimoni sia del processo sulla sua vita e le virtù, sia quelli sul miracolo di Sperandio Aldeni - morto nel 2007 - che ancora si commuoveva pensando a come aveva chiesto, nel momento in cui stava per arrivare la scarica elettrica mortale di 15mila volt e che invece non fu mortale: “Don Carlo, ricordati dei miei bambini”. Lui si salvò e ancora ne piangeva. E una signora, che alla domanda: “Ma perché ritiene che sia santo Don Gnocchi?” mi rispose: “Andai una volta nelle sue case e vidi i bambini che giocavano a pallone. Era un pallone strano, perché c’erano dei campanelli, dei pezzi di metallo attaccati. Mi incuriosii e scoprii che erano ciechi. Non me ne ero accorta, perché ridevano e correvano come tutti i bambini di questo mondo, felici di inseguire il pallone. Don Carlo mi spiegò: ‘Vede, sono ciechi, ma anche loro hanno diritto di gioire’. Allora capii - disse la signora - che avevo incontrato un santo, che non si preoccupava semplicemente di accogliere, custodire, ma di riabilitare, rilanciare, far gioire un giovane.”

     
    D. – La Fondazione don Carlo Gnocchi oggi è una realtà importante davvero estesa, ma ha allargato anche l’ambito di intervento, rispetto agli intenti del suo fondatore?

     
    R. – Ha semplicemente percorso il cammino di Don Carlo. Don Carlo non partì con un progetto preciso. Questa è la cosa più affascinante anche del processo. Si trovò un bambino mutilato in braccio, lasciato dalla mamma, Paolo Balducci, l’8 dicembre del ’45, e capì che doveva seguire questi ragazzi. Incontrò per strada un bambino orfano e capì che non bastava andare a trovare i parenti dei soldati morti in guerra. E così iniziò. Poi fece l’esperienza dei poliomielitici: poteva e doveva servire loro, perché erano questi quelli che più avevano bisogno di non rassegnarsi ed essere riabilitati. La fondazione di Don Carlo Gnocchi oggi continua su questo cammino che ha un solo ideale: servire i fratelli, questo grande ideale di carità coniugando la scienza, che è un dono di Dio, con la carità che è il volto stesso di Dio.(Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Oltre la dottrina sociale: in prima pagina, il vicepresidente di Goldman Sachs International, Brian Griffiths di Fforestfach, sulla “Caritas in veritate”.

    Nell’informazione religiosa, i lavori sinodali durante i quali è stato presentato il Messaggio finale.

    L’educazione deve mirare all’unità della famiglia umana: nell’informazione internazionale, intervento della Santa Sede alla 35 sessione della Conferenza generale dell’Unesco.

    Evoluzione e sapienza divina: in cultura, il vice presidente Jean-Robert Armogathe della nuova Accademia Cattolica di Francia, che si inaugura oggi a Parigi.

    Giuseppe Fiorentino recensisce lo studio di Piero Boitani “Il Vangelo secondo Shakespeare”, un'opera ingabbiata da interpretazioni forzate e facili etichette.

    Se non rompi le regole non ti danno retta: Oddone Camerana su “Il male minore” di Eyal Weizman.

    Donna, ecologista e contro il potere (ed era il XII secolo): Luca Pellegrini intervista Margarethe von Trotta, regista del film, presentato a Roma, sulle visioni di Hildegarde von Bingen.

    Come lampi di un domani tanto atteso: Timothy Verdon illustra un programma di vetrate e dipinti contemporanei realizzato in una chiesa siciliana del Quattrocento.

    L’armonia è l’altro volto del bene: l’arcivescovo Gianfranco Ravasi sul prossimo incontro di Benedetto XVI con gli artisti.

    Domenica 25 ottobre, a Milano, don Carlo Gnocchi sarà proclamato beato: contributi di Giulia Galeotti e Angelo Bazzari.

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    Oggi in Primo Piano



    Si aggrava la crisi politica in Honduras

    ◊   L’improvvisa interruzione del dialogo in Honduras, comunicata oggi dal presidente deposto, Manuel Zelaya, al governo de facto di Roberto Micheletti, aggrava le tensioni politiche nel Paese. Lo scontro riguarda l’eventuale reinsediamento di Zelaya alla guida del Paese prima delle elezioni presidenziali del novembre prossimo, alle quali né Zelaya né Micheletti sono candidati. I favoriti sono Porfirio Lobo del Partito Nazionale, che si opponeva a Zelaya, accreditato dai sondaggi del 42% dei consensi, ed Elvin Santos, del Partito Liberale, già vicepresidente di Zelaya, al quale potrebbero andare il 37% dei voti. Su questi ultimi sviluppi Giancarlo La Vella ha raccolto l’analisi di Luis Badilla Morales, esperto della nostra emittente di America Latina:

    R. – Secondo me la situazione diventa ancora molto più delicata, perché in definitiva sembra che l’ex presidente Zelaya, in sostanza, chieda che non si facciano le elezioni presidenziali, che sono state da lui stesso fissate per il 29 novembre. E quindi chiede che venga preventivamente dichiarata questa tornata elettorale illegale ed incostituzionale. Ciò naturalmente non potrà essere accettato da parte né del governo ad interim di Micheletti, né da parte dei sei candidati che, nonostante la sospensione delle garanzie costituzionali, hanno continuato la campagna elettorale come se la situazione fosse normale.

     
    D. – Si può prevedere un ritorno delle proteste di piazza?

     
    R. – Penso di sì perché ci sono già dichiarazioni in questo senso. I sei candidati, compreso il candidato del partito liberale, che è il partito del presidente Zelaya, hanno detto che l’eventuale sospensione del voto è da escludere ed invitano la gente alla protesta. Quindi, i prossimi giorni potranno essere molto delicati per questo Paese, che si trova già in una situazione estremamente difficile.

     
    D. – Dopo gli interventi dell’inizio di questa crisi, la comunità internazionale sembra ora un po’ assente. Sarebbe auspicabile invece un intervento?

     
    R. – Da una parte, la comunità internazionale, o settori della comunità internazionale, si sono allontanati dalle posizioni intransigenti di Zelaya e, dall’altra, verbalmente continuano ad esprimere solidarietà all’ex governante. Succede allora che si è creato una sorta di polo di quelli che vorrebbero il ripristino dell’ordine costituzionale. Ma se si va a guardare all’interno dell’Honduras, la gente vuole le elezioni presidenziali. Dare ascolto a Zelaya, nel senso di dire che queste elezioni presidenziali non si faranno, che cosa significa? Significa andare avanti con questo negoziato altri cinque, sei, sette mesi, per non arrivare ad alcuna soluzione. Nel frattempo, il Paese sta crollando economicamente, politicamente e internazionalmente.

     
    D. – In questa situazione, la Chiesa locale potrebbe avere un ruolo teso a favorire la distensione?

     
    R. – Già lo ha avuto e lo sta avendo, perché per la ripresa del dialogo nelle ultime tre settimane, il contributo della Chiesa è stato fondamentale. Il problema è che la Chiesa non può fare più di tanto: interviene quando viene richiesta da tutte le parti. La Chiesa continua a battersi per la ricerca di una soluzione politica. La soluzione politica sembrerebbe essere proprio quella delle elezioni presidenziali regolari fissate molti mesi fa dallo stesso Zelaya.

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    Pillola abortiva. Mons. Crociata: tutelare il diritto all'obiezione di coscienza

    ◊   “Ripartire dal ruolo educativo delle coscienze ricoperto dai farmacisti, che sono gli intermediari tra medico e paziente": così mons. Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, è intervenuto, stamani a Roma, al Convegno dei farmacisti cattolici che rivendicano il diritto all’obiezione di coscienza riguardo alla vendita delle pillole abortive. C’era per noi Annarita Mariani.

    L’aborto non può essere considerato un anticoncezionale. Lo ha detto stamani mons. Crociata nel Convegno dei farmacisti cattolici. “Vi esorto”, ha aggiunto rivolgendosi ai farmacisti, “ad essere testimoni del valore inalienabile della vita, specie nei suoi momenti più fragili”. Da mons. Crociata poi parole di appoggio ad una regolamentazione dell’obiezione di coscienza anche per i farmacisti:

    “Riteniamo che debba essere salvaguardato e tutelato il diritto all’obiezione di coscienza di fronte ad un problema così grave, come quello che tocca, nell’esercizio della loro professione, la vita stessa, cioè il diritto alla vita. In questo senso, ritengo che anche il diritto all’obiezione di coscienza dei farmacisti vada tutelato e vada difeso”.

    Un diritto dovere che – ha poi concluso il segretario generale della Cei – è un obbligo di coscienza, che non tocca solo i farmacisti cattolici, ma appartiene alla coscienza di ogni essere umano. Alle parole del segretario generale della Cei hanno fatto eco le parole del giudice Giacomo Rocchi del Tribunale di Firenze:

    “In base all’art. 9 della legge 194 sull’aborto anche i farmacisti possono invocare l’obiezione di coscienza rispetto alla vendita della pillola del giorno dopo. E, quindi, il titolare della farmacia ha il diritto di non acquistare e non tenere presso la farmacia la pillola del giorno dopo, che ha un effetto abortivo, cioè soppressivo della vita dell’embrione umano. Impedire ad un embrione di attecchire nel corpo di una donna, significa sopprimerlo, farlo morire”.

    E sulla regolamentazione della giurisprudenza è intervenuto anche Antonio Baldassarre, docente di Diritto costituzionale alla Luiss e presidente emerito della Corte Costituzionale:

    “Siccome dal punto di vista dei valori costituzionali il farmacista ha un diritto all’obiezione di coscienza quando c’è da vendere un prodotto come la pillola abortiva, e non c’è una legge corrispondente a questi principi costituzionali, sarebbe bene che il Parlamento ne facesse una, attraverso la quale questo diritto sia riconosciuto, anche perché è un diritto che deve essere regolato. E l’auspicio di una legge è una parte fondamentale della tutela di questo diritto del farmacista ad obiettare, quando è tenuto a dare un medicamento che ha una sola finalità, quella dell’aborto”.

    Infine un passaggio importante delle richieste avanzate dai farmacisti: l’obiezione di coscienza che si circoscrive solo alla vendita delle pillole abortive e non degli altri medicinali. Piero Uroda, presidente dell’Unione Italiana Farmacisti Cattolici:

    “L’unico caso riguarda questo prodotto, che è contro la vita. Per principio, noi vogliamo che venga riconosciuto il nostro diritto all’obiezione di coscienza”.

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    Inaugurazione a Parigi della nuova Accademia cattolica di Francia

    ◊   Un colloquio su “Dio, il tempo e la vita” inaugura oggi a Parigi la nuova “Accademia cattolica di Francia”, un’istituzione di laici ed ecclesiastici accomunati dall’obiettivo di dare maggiore visibilità al pensiero cattolico. Al colloquio inaugurale, che trae origine dal 150.mo della pubblicazione dell’Origine delle specie di Charles Darwin, interviene anche il cardinale arcivescovo di Parigi, André Vingt-Trois. L’Accademia ha sede nel Collège des Bernardins, dove, il 12 settembre del 2008, Benedetto XVI pronunciò uno storico discorso al mondo della cultura francese. Le finalità di questa nuova istituzione culturale sono illustrate da padre Jean-Robert Armogathe, dell’arcidiocesi di Parigi, vice presidente dell’Accademia, intervistato da Thomas Chabolle della nostra redazione francese:

    R. – L’Académie Catholique de France permettra de faire entendre des voix des laïcs …
    L’Accademia cattolica di Francia permetterà di fare ascoltare la voce dei laici e del clero, di persone che ricoprono funzioni varie. E’ importante la voce di esperti che non fanno mistero della loro appartenenza al cattolicesimo; questo dovrebbe consentire – almeno lo spero! – di dare un messaggio più chiaro, che non rimanga confuso tra i pregiudizi, che accolga le dichiarazioni della Conferenza episcopale di Francia, quando si esprime a nome della Chiesa. Il 2009 è stato un po’ travagliato, il messaggio della Chiesa è rimasto offuscato da una serie di eventi, che sono – per la maggior parte – dovuti a difetti di comunicazione. Quest’ultima non è andata al fondo delle questioni ma è rimasta legata ad un determinato modo di percepire la Chiesa.

     
    D. – L’Accademia si propone anche di fare qualcosa contro la “scristianizzazione” in Francia?

     
    R. – Le paysage idéologique français est brouillé, aujourd’hui. …
    Oggi il panorama ideologico francese è molto ingarbugliato, nulla più è chiaro. Nel corso degli anni, ci sono stati la lotta di classe, il marxismo … Abbiamo un presidente della Repubblica eletto a destra che ha dei ministri di sinistra che denunciano lo Stato liberale; abbiamo la laicità con gli imam formatisi a spese dello Stato; abbiamo un dibattito sulla medicina, che è molto appannato … E in mezzo a tutto questo, il pensiero cattolico, le proposte cattoliche, tutto questo è stato come “sepolto” in questo magma …

     
    D. – Come si spiega che il pensiero degli intellettuali cattolici francesi abbia avuto, in questi ultimi anni, così scarso impatto?

    R. – Parce que vous conviendrez volontiers que c’est la société qui a produit cela …
    Perché è la società che, in generale, ha prodotto questo. Guardiamo lo stato del mondo politico, che è alla ricerca di un’identità … Noi viviamo in una società che, per molteplici ragioni di ordine socio-economico, ha confuso, ha perduto i suoi riferimenti. Prendiamo ad esempio i convegni nazionali sulla bioetica: comportano l’idea stessa che le leggi che governano la bioetica debbano essere riviste ogni cinque-sei anni. Quindi, questo significa che non ci sono più riferimenti fissi. E questo lo si può constatare in termini di disgregazione non solo della famiglia – che già di per sé riveste un’importanza considerevole – ma anche del tessuto associativo, e questo è un fenomeno generale. Le grandi ondate associative degli anni Cinquanta si sono dissolte a partire dagli anni Settanta, Ottanta. Mi sembra che sia giunto il tempo – nel prossimo decennio – di riannodare i fili: c’è la necessità di un messaggio comune e chiaro.

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    Simposio sul Mississipi: il Patriarca Bartolomeo presiede il rito della benedizione delle acque

    ◊   Il fiume Mississippi ancora al centro del Simposio di Religione Scienza e Ambiente, in corso a New Orleans. I partecipanti ai lavori hanno preso parte nelle ultime ore alla benedizione delle acque da parte del Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, assieme agli altri leader religiosi presenti al convegno. E un gruppo di scienziati e giornalisti ha sorvolato il Delta del grande fiume americano. Da New Orleans, il servizio di Giada Aquilino:

    E’ un appuntamento che si ripete, ogni anno con rinnovata suggestione. Come nelle scorse edizioni dei Simposi di Religione Scienza e Ambiente, anche sul Mississippi il Patriarca Bartolomeo I ha benedetto le acque del fiume, secondo un antico rito ortodosso. In un’attesa cerimonia a bordo di un battello in navigazione nel tratto che attraversa New Orleans, il Patriarca ha voluto accanto a sé il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, che già nel 2007 partecipò alla benedizione delle acque al largo della Groenlandia. Presenti anche altri rappresentanti della Chiesa ortodossa e il vescovo anglicano di Londra, Richard Chartres. Quest’anno la giornata ha assunto un significato particolare: ricorreva infatti il 18.mo anniversario dell’elezione di Bartolomeo I a Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, dopo la morte del predecessore Dimitrios. Sono proseguiti, intanto, anche i lavori scientifici del convegno, con una sessione dedicata ai cambiamenti climatici e agli effetti sull’innalzamento del livello dei mari, sull’impatto devastante di tempeste e uragani e sul sistema idrogeologico della Terra. I partecipanti al Simposio, a gruppi, hanno sorvolato, a bordo di un bimotore, il Delta del Mississippi, dove le acque del ‘Grande Fiume’ si uniscono a quelle del Golfo del Messico, 160 km a sud di New Orleans, in un tripudio di vegetazione, natura, colori. Ma hanno pure potuto visitare le zone periferiche di New Orleans, colpite nell’estate del 2005 dall’uragano Katrina: si tratta delle aree più povere, dove il 27% della popolazione e il 40% dei bambini vivono sotto il livello di povertà. La ricostruzione, è vero, è ben avviata ma la lacerazione di una terra che ha pianto oltre 1500 vittime non può essere ricucita. Di una cosa sono certi gli esperti che partecipano al convegno: se la maggior parte dei danni nelle aree costiere del Golfo del Messico fu un disastro naturale, ciò che successe a New Orleans e nel resto della Louisiana no. “Capire e ammettere quanto l’uomo contribuì a tale devastazione - ha detto ai lavori John Barry, scrittore ed esperto ambientale - è la chiave per prevenirne un’altra”.

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    Il nuovo superiore generale dei Comboniani: essere testimoni dell'amore di Dio tra gli ultimi

    ◊   Il 17.mo Capitolo generale dei Missionari comboniani, riunito a Roma, ha eletto mercoledì scorso il nuovo superiore generale della Congregazione: si tratta di padre Enrique Sánchez González, 51 anni, messicano. Succede a padre Teresino Serra e resterà per i prossimi sei anni alla guida degli oltre 1.700 comboniani sparsi per il mondo. A padre Sánchez, la collega Helene Destombes ha chiesto come intende la missione:

    R. - Intendo la missione come un servizio che chiama me come persona a essere sempre disponibile, sempre attento, sempre in una atteggiamento di ascolto per servire gli altri il meglio possibile. Poi la sento come una chiamata a mettermi molto vicino al nostro fondatore San Daniele Comboni per cercare di vivere in prima persona la ricchezza del suo carisma, del suo dono per la Chiesa, per la missione, per il mondo.

     
    D. - Essere un Missionario comboniano nel mondo di oggi che significa?

     
    R. - Penso sia soprattutto un appello forte a diventare testimone dell’amore di Dio che continua a essere vicino a noi, che continua a credere in noi, che continua a servirsi di noi per dire la sua Parola nel mondo. Una parola che è Parola di vita, una Parola che vuole trasformare tutta la realtà, che vuole portare un po’ di felicità, di vita, di gioia ai nostri fratelli che sono ancora emarginati, che sono lasciati al di fuori di tutte le grandi scelte che fa il nostro mondo oggi. Io credo che come Comboniani e come missionari siamo chiamati a essere in mezzo ai nostri fratelli con una presenza di questo amore di Dio che non si dimentica di tutti quelli che Lui porta nel suo cuore.

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    I Venerdì di Propaganda della Lev: Svidercoschi presenta il suo libro su Giovanni Paolo II

    ◊   Questo pomeriggio alle 17.30, a Roma, nell’ambito dei “Venerdì di Propaganda” promossi dalla Libreria Editrice Vaticana, si svolgerà l’incontro con il giornalista e scrittore Gian Franco Svidercoschi sul suo ultimo libro intitolato “Un Papa che non muore - L’eredità di Giovanni Paolo II”, Edizioni San Paolo. L’appuntamento è presso la Libreria Internazionale Paolo VI in Via di Propaganda 4. Su quest’opera ascoltiamo lo stesso Svidercoschi al microfono di Luca Collodi e Rosario Tronnolone:

     
    R. – E’ diviso in tre parti. La prima parte riguarda l’elezione, il senso della specificità del suo essere polacco, la sua diversità come Papa. Nella seconda parte tratto quei cinque punti che, a parer mio, sono state le linee forza della sua missione. La terza è l’eredità propria che lui ha lasciato, la testimonianza che ha dato con la sua vita e poi la santità che ha vissuto giorno per giorno. E poi – ecco la novità, forse, del libro – parlo della folla: del popolo di Dio che ha attraversato tutto il suo Pontificato, accompagnandolo, e adesso continua ancora ad accompagnarlo visitando la sua tomba, ogni giorno. E lì, io in qualche modo ho trovato il vero segreto di Giovanni Paolo II, cioè quello di un Papa che ha fatto riscoprire all’uomo di oggi il volto umano di Dio; che ha fatto capire che il primo rapporto tra l’uomo e Dio, fra l’azione umana e la risposta di Dio avviene su questa terra. Allora, c’è questa grande folla che accompagna la rilettura del Pontificato di Giovanni Paolo II.

     
    D. - Svidercoschi, volevo richiamare la sua attenzione sui viaggi di Giovanni Paolo II. Lei ad un certo punto del libro racconta che Giovanni Paolo II aveva un atlante nel suo appartamento...

     
    R. – Lui aveva un atlante e diceva che ogni giorno faceva un viaggio spirituale e dove andava poi a vedere, nell’atlante, la diocesi, la città del vescovo o dei vescovi che lui il giorno dopo avrebbe ricevuto in udienza. Lui era il Vicario di Cristo, era Pietro, ma nello stesso tempo era Paolo, il grande viaggiatore. Era uno che aveva viaggiato prima, aveva sentito il bisogno di viaggiare o – come lui diceva: non bisogna aspettare che i fedeli vengano in Piazza San Pietro … Aveva bisogno proprio di questo rapporto fisico con la gente, lui aveva bisogno di andare a vedere gli uomini, conoscere gli uomini - come disse una volta agli africani - 'dove voi lavorate, dove voi soffrite, dove voi fate la vostra vita'. E viaggi io li ho messi in un capitolo che fa, appunto, da accompagnamento ai cambiamenti della storia. Quando il Papa ha incominciato a viaggiare, il mondo era ancora diviso in due, c’erano due blocchi contrapposti che si facevano la guerra per interposti popoli: la facevano in Africa, la facevano in Asia e in altre parti! E questo Papa, invece, che andava in giro per il mondo a portare questa parola di speranza, certe volte riusciva anche a cambiare le situazioni! E’ andato in giro per il mondo, ha dato anche l’idea di una unitarietà che il mondo forse non concepiva: che i popoli sono uniti, hanno un destino comune! Anche a questo credo che siano serviti i viaggi del Papa. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Stasera la consegna dei premi al Festival del Film di Roma

    ◊   Il Festival di Roma ha programmato negli ultimi giorni film di grande interesse storico che hanno coinvolto emotivamente gli spettatori. Per questa sera è attesa la consegna dei premi ufficiali, alla presenza dell’attrice americana Maryl Streep. Il servizio di Luca Pellegrini.

    Sergio Diritti e l’eccidio nazista di Monte Sole ha travolto i cuori, Margarethe von Trotta e la vita claustrale della santa mistica tedesca Hildegarde von Bingen ha acceso gli animi. Sono due esempi di film di altissimo spessore artistico e morale che il Festival ha giustamente inserito in concorso. L’uomo che verrà si apre con la visione di una vita contadina, quella che tanto piace ad Ermanno Olmi, intaccata appena dalla violenza della guerra all’indomani del tragico armistizio. Sulle colline emiliane lo scoppio delle bombe è lontano, ma la ferocia dei nazisti vicina. Uno dei più efferati eccidi compiuti nel settembre del 1944 ed uno degli episodi più strazianti che ha investito e annientato una comunità di quasi ottocento anime, viene vissuto attraverso le esperienze di una bambina sordomuta cui sarà affidato il corpicino dell’ “uomo che verrà” e per il quale ci si augura non debbano mai più aprirsi scenari di tale atrocità. Mentre per la giovane Hildegarde nel 1106, a soli otto anni, si aprono le porte del convento di Disibodenberg nell’Assia-Palatinato e si aprono i cieli per una serie di visioni che ne hanno accompagnato la vita claustrale e intellettuale. Celebrata come la “Profetessa tedesca” e raccontata come una donna moderna e carismatica, curiosa nelle scienze, operosa nella carità, capace di affrontare il potere del suo tempo mettendolo in guardia dal male, Hildegarde morirà a ottantuno anni dopo una vita intensa che la von Trotta racconta in modo rigoroso e rispettoso, quasi didattico, basandosi esclusivamente sulle fonti e sull’amore che ha da sempre nutrito per questo personaggio della storia e della Chiesa.

     
    Infine, per tornare al puro spettacolo, la giornata di ieri è stata caratterizzata da una continua festa allestita per la protagonista assoluta di questo giorno di chiusura, nel corso del quale riceverà il Marc’Aurelio d’oro alla carriera: Meryl Streep. Nell’incontro avuto con il pubblico, l’attrice americana ha commentato molti dei film che l’hanno vista protagonista, alcuni con Premio Oscar, e si è soffermata sulla professione dell’attore. Una vita fatta anche di molte incertezze:

     
    "Oh, I totally agree! I think it’s true for everyone, …
    Oh, sono assolutamente d’accordo! Credo che sia vero per tutti, e invecchiando lo percepisco sempre di più: il fatto che gli attori comprendano lo 'zen' della vita … che in realtà, non c’è nulla su cui puoi fare affidamento … Puoi cercare di rendere il tuo nido il più sicuro possibile, secondo le tue possibilità, puoi cercare di essere una buona persona secondo le tue possibilità, ma non puoi prevedere cosa ti aspetta. E gli attori vivono quel 'momento', in cui non sai che cosa ti aspetta: infatti, quando fai bene, in realtà non lo hai previsto! Se fai bene, ti sorprendi, perfino sul ciak numero sei … o sul ciak numero trentasei, come nell’ultimo film …"

    Si tratta di Julie&Julia, una commedia di Nora Ephron che racconta con piacevole discorsività la vita di Julia Child, la donna che negli anni Cinquanta ha fatto conoscere all’America l’arte della cucina francese. Ancora una volta l’attrice ha dimostrato un’incredibile versatilità: dopo sole due settimane dal termine del drammaticissimo "Il dubbio", nel quale interpretava con raggelante freddezza una suora accecata da un dubbio terribile, iniziava le riprese vestendo i panni di una cuoca borghese e 'bon vivant', calzandoli a pennello. E’ vero, Maryl Streep è la più grande attrice vivente.

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    Chiesa e Società



    In Etiopia sei milioni di persone alla fame

    ◊   Sono trascorsi 25 anni dalla terribile carestia che ha provocato in Etiopia la morte di oltre un milione di persone. Oggi il Paese africano è nuovamente sull’orlo del disastro umanitario: sono almeno 6 milioni le persone che rischiano la morte per fame. Il governo etiope ha lanciato un appello alla comunità internazionale, richiedendo 159 mila tonnellate di cibo per un totale di 121 milioni di dollari. Secondo diverse Ong - riferisce il quotidiano Avvenire - è necessario un cambiamento di approccio negli aiuti allo Stato africano. Non solo la comunità internazionale si deve concentrare sui frequenti disastri, ma deve anche tentare di prevenirli costruendo ad esempio delle dighe per raccogliere l’acqua piovana da utilizzare poi durante i periodi di siccità. “Gli aiuti in cibo offrono risultati temporanei ed evitano la morte di molte persone in situazioni difficili – fa notare il direttore dell’associazione Oxfam, Panny Laurence – ma non contrastano le cause delle carestie che rendono via via più vulnerabili le popolazioni anno dopo anno”. (A.L.)

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    Europa: oltre un milione e duecentomila gli aborti praticati nel 2007

    ◊   Sono oltre un milione e duecentomila gli aborti praticati in Europa nel 2007. Ogni minuto, negli Stati dell’Unione Europea, sono 25 le interruzioni di gravidanza. E’ quanto emerge dal rapporto intitolato “L’aborto in Europa” e reso noto recentemente dall’Istituto europeo di politica familiare. “Le cifre - si legge nello studio – parlano di migliaia di tragedie personali, familiari e sociali davanti alle quali la società non può più continuare a restare indifferente”. I dati del rapporto sono drammatici: un milione e duecento mila bambini non nati in un anno rappresentano l’intera popolazione di una città europea. Nell’ultimo decennio l’Unione Europea ha perso 13 milioni di bambini perché abortiti. Il rapporto dell’Istituto europeo di politica familiare – che si basa su dati Eurostat – smonta alcuni cliché delle organizzazioni pro-aborto, ad esempio quello che recita “più contraccettivi = meno aborti”. In realtà anche se negli ultimi anni gli strumenti anticoncezionali hanno dilagato, non per questo si assiste ad un calo delle interruzioni di gravidanza. Nel rapporto si sottolinea poi che la Spagna è il Paese dei 27 dove l’interruzione di gravidanza si è più diffusa negli ultimi dieci anni. L’Istituto europeo di politica familiare lancia anche un appello: “E’ necessario e urgente che le amministrazioni pubbliche realizzino una vera politica di prevenzione dell’aborto basata sull’aumento dell’aiuto sociale ed economico a favore delle donne incinte”. “E’ necessario cogliere la sfida – si legge infine nel documento ripreso dal quotidiano Avvenire – e realizzare una vera politica di formazione in favore della vita”. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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    Rapporto dell’Onu sulla drammatica situazione dei diritti umani in Corea del Nord

    ◊   La Corea del Nord deve bloccare le esecuzioni pubbliche e le punizioni per quanti vengono catturati e rimpatriati dopo aver cercato rifugio all’estero. È quanto afferma Vitit Muntarbhorn, relatore speciale dell’Onu per la Corea del Nord. “Solo un terzo della popolazione” – pari a due milioni di persone – riceve gli aiuti stanziati dal Programma mondiale alimentare delle Nazioni Unite. L’emergenza cibo - aggiunge - è a livelli “disperati”. Muntarbhorn ha presentato il suo rapporto al comitato dell’Assemblea generale Onu che si occupa di diritti umani. Il dossier è stato stilato con la collaborazione di agenzie umanitarie, Ong e profughi nord-coreani. Il rapporto – riferisce l’agenzia AsiaNews – è stato smentito con fermezza da Pak Tok-hun, vice-ambasciatore di Pyongyang alle Nazioni Unite, che lo definisce “un documento di cospirazione politica, pieno di distorsioni, bugie e falsità”. Il diplomatico ha anche aggiunto che la politica di pressioni verso il suo Paese è “totalmente inutile” e rafforza “l’orgoglio nel sistema nordcoreano a protezione dei diritti umani”. Vitit Muntarbhorn chiede iniziative di lungo periodo che portino il regime comunista a sostituire la politica “dello Stato militarizzato” con una che guarda “prima di tutto al popolo”. Il relatore speciale dell’Onu per la Corea del Nord esorta anche la classe dirigente del Paese a garantire sicurezza e libertà personali, smantellando il sistema di sorveglianza diffuso in tutto il territorio. Tra le emergenze quella più preoccupante è legata al cibo: dopo un miglioramento nei primi mesi del 2009, gli esperimenti missilistici e nucleari di Pyongyang nella scorsa primavera hanno fatto precipitare la situazione. Attualmente, sottolinea Muntarbhorn, c’è un bisogno “disperato” di aiuti. In passato è stato più volte denunciato che gli aiuti, invece di arrivare alla popolazione, venivano sottratti dai vertici militari e dai funzionari di governo. (A.L.)

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    Nuovo no dei vescovi del Perù alla depenalizzazione dell’aborto

    ◊   In una breve dichiarazione l’episcopato del Perù, ieri, ha lamentato che la Commissione del Congresso nazionale che si occupa delle riforme da introdurre al Codice penale abbia dato il via libera alla discussione sulla depenalizzazione dell’aborto. “Riteniamo, scrivono i vescovi, che questa decisione sia già di per sé una minaccia, seppure latente, al diritto alla vita di persone indifese e innocenti”. I presuli rivolgono a “tutti cittadini che devono prendere decisioni su questo tema” un appello per “misurare le terribili conseguenze” delle loro azioni e delle loro scelte. D’altra parte ricordano al Congresso e a tutte le autorità pubbliche, che questa decisione - che apre la strada alla legalizzazione dell’aborto seppure in condizioni particolari - “non riflette il sentimento del popolo peruviano, chiaramente schierato in favore della vita”. In considerazione di questi nuovi fatti, i presuli indirizzano a “tutte le persone di buona volontà” un’esortazione a “mantenersi in uno stato di allerta per difendere la vita di ognuno e di tutti dal suo concepimento fino alla morte naturale”. Lo scorso 13 ottobre, mons. Hector Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo e Presidente della conferenza episcopale peruviana in una nota aveva già sottolineato che "il primo diritto di una persona è quello di vivere; a nessuno compete attribuirlo ad alcuni e privarlo ad altri”. “Se in Perù non c'è la pena di morte per i peggiori criminali – si chiedeva il presule - come è possibile che siamo in grado di accettare la pena di morte per un embrione che non ha nemmeno il tempo di commettere errori e non può neanche difendersi? È giusto tutto questo? È umano?”. Inoltre – affermava la nota di mons. Cabrejos Vidarte - “non è il riconoscimento da parte di altri a stabilire” chi gode del diritto di vivere e chi no, “ma qualcosa di precedente”: negare questo diritto è dunque una discriminazione, una vera e propria “ingiustizia”. La Costituzione peruviana – si legge nella nota - riconosce che la vita umana inizia dal concepimento, e sottolinea che il concepito è un soggetto di diritto a tutti gli effetti. E il più grande di questi diritti è proprio quello alla vita”. Quindi “nessun motivo può conferire oggettivamente il diritto di disporre della vita degli altri, anche nella sua fase iniziale”. “Anche il cosiddetto aborto terapeutico – rilevava il presidente dei vescovi del Perù - è la via ad una pianificazione sistematica eugenetica delle nascite” e “sta aprendo la strada ad una cultura dell’eutanasia” secondo la quale in determinate circostanze la vita “non è considerata degna di essere vissuta”. Anche nel caso tragico dello stupro – spiega - abortire significa considerare che “la vita della madre vale più di quella del bambino”. Invece “tutti gli esseri umani hanno la stessa dignità e uguale valore”. (L.B.)

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    Crisi della scuola in Cile. I vescovi invitano governo e sindacati a dialogare

    ◊   “Per quanto legittime siano le richieste dei professori, non è buono per il Paese che si interrompa la via del dialogo e che si facciano pressioni per paralizzare le scuole”. In queste parole si può riassumere la dichiarazione diffusa ieri a Santiago del Cile dal vescovo di Rancagua, mons. Alejandro Goic, presidente della Conferenza episcopale, in riferimento al lungo sciopero di maestri e professori che, in sostanza, ha bloccato le attività didattiche in tutta la nazione sudamericana. Mons. Goic chiede soprattutto dialogo e invita a cercare un accordo per la scuola - bene ultimo che tutti gli attori del conflitto dicono di voler difendere - e ricorda l’importanza di garantire a migliaia di bambini e giovani l’insegnamento scolastico. In particolare, il presule, esprime grande preoccupazione per la rottura del dialogo e per il crescente scontro tra autorità pubbliche e rappresentanti sindacali, esorta tutti ad agire subito, in prossimità della chiusura a dicembre dell’anno scolastico, per trovare “le condizioni per risolvere il conflitto”. Da più parti tra l’altro si esprime preoccupazione perché il conflitto, in qualche modo, potrebbe inserirsi nella cornice della campagna elettorale in corso per le prossime elezioni presidenziali e ciò finirebbe per complicare ulteriormente la sua auspicata soluzione. Il presidente dell’episcopato chiede dunque a tutti di evitare i condizionamenti e le minacce “perché – scrive - sono tutte componenti che ostacolano la strada verso posizioni comuni”. In questo momento, ed è il pressante invito di mons. Goic, occorre che tutti sappiamo “guardare al bene maggiore e cioè offrire nella nostra patria un’educazione migliore”. E’ necessario ricorda il presule che “professori e assistenti siano rimunerati con dignità”, ed è ugualmente necessario “salvaguardare anzitutto il diritto delle famiglie all’educazione dei loro figli”. Perciò, in particolare, l’episcopato chiede ai sindacati di riconsiderare la sospensione delle attività didattiche e ciò “a beneficio dei bambini e dei giovani ai quali loro consacrano il proprio generoso servizio”. Mons. Goic, infine, chiede anche alle autorità pubbliche di far tutto il possibile per ristabilire al più presto possibile le vie del dialogo con i scioperanti. (A cura di Luis Badilla)

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    Unicef: bambini immigrati discriminati nei Paesi industrializzati

    ◊   I bambini e adolescenti immigrati in otto Paesi ricchi sono in condizioni di svantaggio rispetto ai ragazzi autoctoni. E’ l’importante denuncia che arriva dal rapporto “Innocenti Insight”, uno studio dell’Unicef reso noto ieri. Una situazione – avverte l’agenzia Onu – che rischia di compromettere il futuro delle società che li accolgono. Australia, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti sono gli 8 Paesi industrializzati monitorati dall’Unicef con lo scopo di fornire un quadro preciso della condizione dei bimbi e adolescenti immigrati. Un panorama variegato nel quale è comunque possibile trovare dei tratti comuni. Nonostante le differenze culturali, religiose, linguistiche ed etniche, i figli di immigrati presentano spesso situazioni simili ai loro coetanei autoctoni in particolare per quanto riguarda la composizione della famiglia – vivono con entrambi i genitori e con uno o più fratelli - e la condizione lavorativa dei genitori. Affrontano però sfide educative ed economiche maggiori e tassi di povertà più alti che vanno dal 6-7% dell’Australia fino al 12-13% di Germania, Francia e Stati Uniti. Un dato importante che il rapporto evidenzia riguarda la salute e l’inclusione sociale, ambiti nei quali esistono notevoli differenze tra i bambini delle famiglie immigrate e di quelle autoctone soprattutto in campo sanitario mentre il successo nell’inclusione sociale è più evidente in bambini immigrati che integrano la loro cultura d’origine con quella del Paese di accoglienza e che parlano entrambe le lingue. Negli otto Paesi presi in esame, la presenza dei minori rappresenta con il suo 23% una larga parte della popolazione complessiva infantile: il 10% in Italia; 16% nel Regno Unito; il 17% in Francia; il 22% negli Usa e Paesi Bassi; il 26% in Germania; il 33% in Australia e il 39% in Svizzera. L’Italia è la nazione che vanta il più ampio ventaglio di Paesi d’origine: nel 2001 le comunità più consistenti erano marocchine e albanesi, oggi provengono dal Pakistan, Macedonia e Senegal. Sull’accesso all’istruzione – altro punto sensibile – pesa il rischio di evasione scolastica e i risultati dei bambini immigrati sono anche condizionati dal loro Paese d’origine. Aspetti che non bisogna sottovalutare perché saranno questi bambini i futuri lavoratori e genitori nei Paesi accoglienti. Infine, l’Unicef evidenzia un’importante difficoltà quella di conoscere con certezza le condizioni di vita dei minori: si sa molto poco della loro salute e del loro grado di inclusione sociale. A volte i dati, soprattutto in Italia, arrivano da studi locali e le risposte politiche risultano disomogenee e non riflettono una visione d’insieme. (A cura di Benedetta Capelli)

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    Iraq: il Patriarca siro cattolico incontra le autorità politiche del Paese

    ◊   Il Patriarca della Chiesa siro cattolica, Mar Ignatius Joseph III Younan, ha incontrato in Iraq le massime autorità politiche del Paese. Domenica scorsa il Patriarca e i vescovi che lo hanno accompagnato, hanno incontrato il primo ministro iracheno, Nouri al Maliki. Le parole di solidarietà del premier sono riecheggiate il giorno dopo durante l’incontro della delegazione con il presidente della Repubblica irachena, Jalal Talabani. Il capo di Stato iracheno – si legge sul sito www.baghdadhope.blogspot.com - ha espresso la propria vicinanza alla comunità cristiana del Paese. Talabani ha anche ricordato il contributo dato dai cristiani nella crescita dello Stato. Il presidente ha ribadito, infine, la necessità di preservare i pieni diritti della comunità cristiana irachena. (A.L.)

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    La Chiesa luterana in Svezia apre ai matrimoni tra omosessuali: rammarico di cattolici e ortodossi

    ◊   In Svezia la Chiesa luterana ha approvato una norma che consente a persone dello stesso sesso di poter celebrare la loro unione in chiesa. L’espressione “marito e moglie” sarà sostituita nei nuovi casi con la formula “sposi uniti legalmente”. La norma entrerà in vigore dal prossimo primo novembre. Se lo volessero, i singoli pastori potrebbero comunque continuare a rifiutarsi di celebrare il matrimonio. La decisione arriva dopo che il primo maggio scorso una legge civile ha introdotto in Svezia la possibilità, anche per gli omosessuali, di contrarre matrimonio davanti all’ufficiale di stato civile. Dei 250 delegati che compongono il Sinodo della Chiesa di Svezia, 176 hanno votato a favore, 62 contro e 11 si sono astenuti. I rappresentanti della Chiesa cattolica e ortodossa di Svezia si sono detti dispiaciuti per la decisione: “È con grande dispiacere - hanno scritto in una dichiarazione congiunta il vicario Frederik Emanuelson della Chiesa cattolica e padre Misha Kaksic, coordinatore della famiglia delle Chiese ortodosse al Consiglio cristiano di Svezia (Ccs) - che abbiamo ricevuto la notizia che la Chiesa di Svezia ha deciso di sposare persone dello stesso sesso chiamando matrimonio questa unione”. “È un passo indietro, non solo dalla tradizione cattolica ma anche dalle visioni sul matrimonio delle principali religioni del mondo”. “Nelle nostre Chiese – si legge infine nel documento - non sposiamo coppie dello stesso sesso perché tutto ciò è in chiara opposizione con la tradizione della nostra Chiesa e con le nostre vedute sulla Creazione”. (A.L.)

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    Grecia: per Msf condizioni inaccettabili nei centri per immigrati

    ◊   Da due mesi Medici Senza Frontiere (Msf) è tornata a fornire supporto psicologico e sociale agli immigrati irregolari e ai richiedenti asilo detenuti a Pagani, nell’isola di Lesbo, in Grecia. Nel settembre 2008 l’organizzazione umanitaria aveva sospeso le attività nel centro per l’impossibilità di assistere liberamente i pazienti. Per chi vive nel centro di detenzione – si legge nel comunicato di Medici Senza Frontiere - la realtà quotidiana è fatta di ristrettezze estreme, povertà e incertezza per il futuro. Nelle ultime settimane la popolazione reclusa ha intensificato le azioni di protesta contro le condizioni sanitarie e di vita nel centro. A scontare le conseguenze di questo clima di tensione, sono i soggetti più vulnerabili come donne, bambini, adolescenti e le persone che hanno bisogno di cure mediche particolari. Molti hanno vissuto esperienze traumatiche nel loro Paese d’origine ma anche durante il viaggio che li ha condotti in Europa. Alcuni soffrono di stress post-traumatico, attacchi di panico e angoscia. Queste condizioni di disagio psicologico vengono aggravate dallo stato di detenzione e dalle condizioni igienico sanitarie del centro. Dall’inizio del settembre 2009, Medici Senza Frontiere sta fornendo sostegno psicologico e sociale agli immigrati trattenuti in altri due centri nel nord della Grecia, a Fylakio (Evros) e Venna (Rodopi), dove sono al lavoro due psicologi e tre mediatori culturali. L’organizzazione umanitaria si occupa inoltre di monitorare la situazione in questi centri di detenzione e verificare che siano garantiti i bisogni essenziali della popolazione reclusa. (A.L.)

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    Adottata dall’Unione Africana la Convenzione per gli sfollati e i rifugiati

    ◊   L’Unione Africana ha approvato a Kampala la Convenzione per la protezione e l’assistenza dei rifugiati e degli sfollati. “Ci sono stati alcuni emendamenti – ha detto un portavoce dell’Unione Africana - in particolare sul tema delle formazioni armate, sulla loro definizione e il loro ruolo. Ma i documenti sono stati approvati”. Insieme con la Convenzione, i capi di Stato e di governo dovevano discutere e adottare la Dichiarazione di Kampala, un testo-quadro che chiede un impegno concreto degli Stati nella protezione e nell’assistenza di rifugiati e sfollati. La Convenzione – ricorda l’agenzia missionaria Misna - entrerà in vigore se, dopo il via libera del vertice, sarà ratificata da almeno 15 dei 53 Paesi dell’Unione Africana. Ieri, nella prima delle due giornate del summit di Kampala, l’Alto commissario dell’Onu per i rifugiati Antonio Guterres aveva definito la Convenzione “una svolta per i diritti umani, un risultato che resterà nella storia”. (A.L.)

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    Incontro giovanile in Ungheria organizzato dalla Comunità di Taizè

    ◊   A partire da oggi e fino al 25 ottobre, prende il via a Pécs, in Ungheria, un incontro giovanile organizzato dalla Comunità ecumenica di Taizé al quale prenderanno parte ragazzi ungheresi tra i 17 e i 35 anni e coetanei dei Paesi vicini. L’iniziativa intende sensibilizzare i giovani alla loro missione di essere segni di pace e di riconciliazione nella Chiesa e nella società e guidarli nella preghiera e nel silenzio alla scoperta della vita interiore e della comunione con Dio. Si vuole inoltre accompagnare le giovani generazioni nella loro ricerca di senso ed orientarle a percepire la Chiesa come “lievito di comunione” all’interno della famiglia umana. Come è tradizione negli incontri di Taizé, i giovani sono invitati ad aprirsi alla conoscenza di altre nazioni e tradizioni e a stabilire nuovi rapporti personali, facilitati dall’ospitalità delle famiglie del luogo. Le giornate saranno scandite al mattino da visite ai “luoghi di speranza e di sofferenza”, organizzate dalle parrocchie locali, mentre nel pomeriggio si terranno incontri di dialogo in diversi luoghi della città che verteranno su aspetti sociali, culturali e religiosi della comunità locale. I momenti spirituali includono la preghiera comunitaria quotidiana a mezzogiorno e alla sera ma anche celebrazioni liturgiche nelle chiese delle diverse confessioni religiose. (M.V.)

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    Verso la Gmg di Madrid: Convegno Cei a Metaponto

    ◊   Nel corso del convegno nazionale Cei di pastorale giovanile a Metaponto, in provincia di Matera, padre Eric Jacquinet, responsabile della sezione Giovani del Pontificio Consiglio per i Laici, ha ricordato l’importante appuntamento della Giornata Mondiale della Gioventù del 2011 che si terrà a Madrid, in Spagna. “La Gmg è un segno forte per la Spagna – ha detto - un Paese che ha bisogno di rinnovamento spirituale”. “Partecipare alla Gmg di Madrid – ha continuato - sarà importante anche per i giovani spagnoli”. Padre Jacquinet – riferisce il Sir – ha parlato di 5 buone ragioni per partecipare come l’invito venuto direttamente dal Papa a Sydney e il fatto che sarà “un momento intenso di vita ecclesiale”. A Madrid sono attesi circa mille vescovi, diecimila sacerdoti e quasi due milioni di giovani. “Per quei giovani che vivono la loro fede quasi esclusivamente all’interno delle loro comunità - ha proseguito il religioso - sarà un’opportunità per conoscere altre persone ed aprirsi ad altre esperienze”. “La Gmg è un ottimo investimento per le nostre comunità e associazioni che si riscoprono missionarie”. (B.C.)

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    A Oviedo la consegna dei premi “Principe delle Asturie”

    ◊   E’ in programma oggi ad Oviedo, in Spagna, l’annuale cerimonia di consegna dei premi "Principe delle Asturie": un’iniziativa che intende promuovere i valori scientifici, culturali e umanistici considerati come patrimonio comune dell’umanità. A ricevere il riconoscimento dalle mani dell'erede al trono di Spagna Felipe saranno per la comunicazione e le scienze umane: l’Università Nazionale Autonoma del Messico, per aver ispirato significative correnti del pensiero umanistico, liberale e democratico nel Continente americano e per aver contribuito ad innestare il mondo accademico nella società circostante; per le scienze sociali, il naturalista britannico David Attenborough, i cui lavori di forte spessore sociale costituiscono un rilevante contributo alla difesa della vita e alla salvaguardia del Pianeta; per le arti, l’architetto britannico Norman Foster, creatore di opere capaci di coniugare qualità estetica, riflessione intellettuale e dialogo tra territorio e cittadinanza; per le lettere, lo scrittore albanese Ismail Kadaré, per il respiro della sua creazione letteraria radicata nella grande tradizione letteraria del mondo greco e impegnata nella difesa della ragione e della libertà e nella denuncia di ogni forma di totalitarismo; per la ricerca scientifica e tecnologica, gli scienziati statunitensi Martin Cooper e Raymond Samuel Tomlison, considerati entrambi “padri” del telefono mobile e della posta elettronica, innovazioni tecnologiche di grande portata per il progresso della comunicazione e della conoscenza; per la cooperazione internazionale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per la capacità di orientare la ricerca in materia sanitaria, stabilire norme e sviluppare politiche improntate a principi etici e sociali, prestare sostegno tecnico ai Paesi che lo richiedano; per lo sport, l’atleta russa Yelena Isinbayeva, campionessa mondiale di salto con l’asta, miglior atleta di tutti i tempi in quella disciplina; per la concordia e nel ventennale della caduta del Muro, la città di Berlino, un riconoscimento che intende ricordare quanti hanno perso la vita o la libertà per tentare di oltrepassare quella barriera e quanti hanno saputo costruire sulle cicatrici della divisione una società aperta, accogliente e innovativa. (M.V.)

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    Il cardinale Vallini ha incontrato gli studenti degli atenei cattolici

    ◊   “Essere protagonisti della propria vita”: è l’augurio che il cardinale vicario Agostino Vallini ha fatto agli studenti universitari presenti all’incontro che si è svolto ieri sera a Roma nella Pontificia Università Lateranense e rivolto alle matricole iscritte agli atenei cattolici della capitale. Al’evento, organizzato dall’Ufficio della Pastorale universitaria del Vicariato, erano presenti ragazzi provenienti dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, dall’Università Europea di Roma, dal Campus Biomedico e dalla Libera Università Maria Santissima Assunta (Lumsa). “Quando si arriva all’università si desidera fare un percorso di scienza. Non si tratta solo di affrontare gli esami ma è qualche cosa di più. Ma quando comincia questo viaggio, arriva anche il tempo del dubbio, il momento di domande che restano senza risposta, interrogativi che solo il Risorto può aiutarci a chiarire”. Così il cardinale vicario Agostino Vallini ha salutato gli studenti presenti all’incontro rivolto alle matricole iscritte alle università cattoliche di Roma. Un caloroso incoraggiamento per la nuova avventura universitaria che questi ragazzi si apprestano a vivere. “Avere dubbi, subire delusioni - ha spiegato il porporato - è normale durante la vostra vita, perché proprio da quelle sconfitte troverete le risposte ai vostri interrogativi. Anche i discepoli lungo la strada di Emmaus erano disorientati dalla morte di Gesù. Cristo stesso allora si avvicinò loro e spiegò che per entrare nella Gloria era necessario che patisse il supplizio della Croce. Dalle tenebre alla luce della Risurrezione. Solo allora ai discepoli si aprirono i cuori e lo riconobbero”. I ragazzi hanno salutato il cardinale esprimendo la loro riconoscenza per l’incontro e raccontandogli l’importanza delle cappellanie universitarie all’interno degli atenei, punti di riferimento soprattutto per gli studenti fuori sede, che in esse possono trovare non solo un aiuto spirituale ma anche una mano concreta nei piccoli disagi quotidiani di chi comincia un nuovo cammino lontano da casa. (A cura di Marina Tomarro)

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    Il cardinale Sepe inaugura a Napoli un centro medico per i bambini immigrati

    ◊   Si chiama progetto “Smile” l’iniziativa che inaugurerà nel pomeriggio di oggi il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli. Si tratta di un centro di assistenza ortodontica e ottica a favore dei bambini immigrati, promosso dall'ufficio diocesano Migrantes di Napoli e finanziato dalla fondazione Banco di Napoli per l'assistenza all'infanzia-Fbnai. Sarà realizzato da varie associazioni, tra queste quella dei Medici Cattolici Italiani, dalla fondazione S. Maria della Misericordia, dall’ordine degli avvocati della Provincia di Napoli. L’iniziativa prevede assistenza sanitaria e legale totalmente gratuita anche per gli adulti immigrati. (B.C.)

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    24 Ore nel Mondo



    Nuova catena di attentati in Pakistan: almeno 20 i morti

    ◊   Triplice attentato, questa mattina, in Pakistan. Una base dell’aviazione militare è stata attaccata da un kamikaze a Kamra, causando la morte di almeno sette persone. Un ristorante, invece, è stato distrutto da un’autobomba a Peshawar; una ventina le persone ferite, mentre 18 civili hanno perso la vita quando l'autobus su cui viaggiavano è esploso passando su una mina nell'area di Mohmand, nel nord-ovest del Paese. La cronaca, nel servizio di Salvatore Sabatino:

    Il Pakistan vive l’ennesima giornata sotto attacco; l’ennesima giornata di guerriglia di matrice talebana che colpisce in maniera indiscriminata. Una chiara risposta alle operazioni militari condotte dal governo nel nord-ovest del Paese al confine con l’Afghanistan, per stanare i talebani che negli ultimi mesi hanno occupato decine di centri abitati. A Peshawar, in un primo momento, si era parlato di una forte deflagrazione nel quartiere abitato dagli statunitensi; solo succesivamente si è saputo che un’autobomba si era diretta contro un famoso ristorante. Più chiara, invece, la dinamica dell’attacco di Kamra, dove un kamikaze si è fatto esplodere all’ingresso della base dell’aviazione militare, nel tentativo di entrarvi. Elemento, questo, da non sottovalutare, visto che la struttura – secondo i media locali – sarebbe legata al programma nucleare del Paese islamico. Oltre ad ospitare gli aerei che trasportano le testate nucleari e, secondo indiscrezioni, le testate stesse, ci sarebbe anche un centro di ricerca per le attività atomiche. Più drammatico, invece, il bilancio dell’ultimo attacco, avvenuto poco fa a Mohmand, nel Nord-ovest del Paese, dove un autobus è saltato in aria su una mina piazzata sul ciglio di una strada. Tutte le vittime erano invitate ad un matrimonio. Ancora una volta, dunque, sono i civili a pagare il prezzo più alto in una guerra senza esclusione di colpi.

     
    Afghanistan
    Nessuna decisione sull’invio di rinforzi in Afghanistan prima che il governo di Kabul sia legittimato dal ballottaggio e che gli Stati Uniti elaborino la loro strategia militare. È questa la linea emersa nella riunione dei ministri della Difesa Nato, tenutasi stamani a Bratislava, in Slovenia. Molti esponenti dell’Alleanza ritengono, quindi, che ogni scelta sarà rinviata alla riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri della Nato, prevista a Bruxelles agli inizi di dicembre. A parte il recente annuncio della Gran Bretagna sull'invio di 500 nuovi uomini, per ora le disponibilità degli altri Paesi membri è limitata al mantenimento delle truppe. Intanto sul terreno si segnala l’ennesima vittima tra gli uomini del contingente Isaf: un soldato di nazionalità ancora non precisata è morto per l'esplosione di un ordigno artigianale nel sud del Paese.

    Nucleare iraniano
    Mosca ha accettato la proposta dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica in base alla quale l’uranio iraniano destinato ad usi civili verrà arricchito sul territorio russo. La bozza dell'accordo è stata valutata positivamente anche da Francia e Stati Uniti. Sale quindi l’attesa nella comunità internazionale per la risposta di Teheran. Il servizio di Marco Guerra:

     
    La “proposta di accordo'' elaborata dall’Aiea per l'arricchimento all'estero di parte dell'uranio iraniano incassa il sì del ministro degli Esteri russo Lavrov. Il pacchetto prevede che l’Iran consegni fino al 75% delle sue riserve di uranio a Paesi terzi, in particolare Russia e Francia. Qui l’uranio verrebbe arricchito fino a circa il 20% per essere poi restituito a Teheran che lo utilizzerà in un reattore di ricerca medica controllato dall’Aiea. La bozza dell’accordo era stata sottoposta mercoledì a Iran, Stati Uniti, Francia e Russia, perché fosse approvato entro oggi. Parigi in mattinata ha confermato l’assenso già espresso nei giorni scorsi, la stessa cosa farà Washington nel pomeriggio. Le attenzioni sono quindi tutte rivolte al governo della Repubblica islamica, ma non è ancora chiaro se la risposta sarà fornita direttamente all'Agenzia di Vienna. Tuttavia, l’Iran ha già più volte espresso il suo scetticismo sulle ipotesi di accordo trapelate nei giorni scorsi. Solo ieri poi Teheran ha smentito seccamente la notizia diffusa dal quotidiano "Haaretz" di un primo incontro interlocutorio tra autorità israeliane ed iraniane per discutere di un Medio Oriente privo di armi nucleari.

     
    Somalia
    All’indomani dei violenti scontri avvenuti a Mogadiscio tra le truppe della missione "Amisom" dell’Unione Africana e i ribelli integralisti somali, costati la vita ad oltre 30 persone, il gruppo radicale Al Shabaab ha annunciato un attacco alle capitali di Uganda e Burundi. Gli Shabaab accusano i peacekeeper dei due Paesi africani della responsabilità della strage dovuta ai bombardamenti su alcuni mercati della capitale somala. Le minacce di portare il conflitto fuori dalla Somalia erano state rivolte nei giorni scorsi anche al Kenya, che secondo un rapporto di Human Rights Watch partecipa al reclutamento di giovani somali profughi sul proprio territorio per inviarli come miliziani a combattere gli integralisti islamici che tentano di rovesciare il debole governo di transizione appoggiato dalla comunità internazionale.

    Darfur
    Sta bene l’operatore francese della Croce Rossa Internazionale rapito ieri in Darfur. La rassicurazione è arrivata dal ministero per gli Affari Umanitari sudanese. Il cooperante, da cinque anni al seguito dell’organizzazione e da 15 mesi presente nella regione africana, è stato sequestrato da uomini armati nei pressi della frontiera con il Ciad.
     
    Israele - Sharon
    Migliorano le condizioni di salute dell’ex premier israeliano Ariel Sharon, in coma dal 2006 in seguito a un’emorragia cerebrale. Secondo il suo ex consigliere personale sarebbe uscito dalla fase grave del coma avviandosi verso il risveglio. La notizia è stata smentita dai medici che lo hanno in cura, i quali hanno precisato che Sharon si trova in uno stato vegetativo persistente.

     
    Trattato Lisbona
    La Repubblica Ceca sempre più vicina alla ratifica del Trattato di Lisbona. Il presidente ceco Klaus ha accettato una proposta da parte della presidenza di turno svedese, "che risponde alla rivendicazioni di Praga riguardo la ratifica del Trattato di Lisbona". Il capo di Stato ceco è rimasto l’ultimo, tra i Paesi membri dell’Ue, a non aver ancora ratificato il testo.

    Italia: è morto il prof. Giuliano Vassalli
    È morto a Roma, all’età di 94 anni, il prof. Giuliano Vassalli, già ministro di Grazia e Giustizia e presidente della Corte Costituzionale. La morte è avvenuta il 21 ottobre e la notizia è stata diffusa, per espressa volontà della famiglia, solo ad esequie avvenute. A Vassalli è legata una delle principali riforme del Codice penale italiano approvata nel 1988. Cordoglio è stato espresso da tutto il mondo politico e dal presidente della Repubblica, Napolitano. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 296

     
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