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Sommario del 27/11/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Messaggio del Papa per la Giornata dei migranti dedicata ai minori: i loro diritti devono essere rispettati da tutti e sempre
  • Udienze e nomine
  • Pace, giustizia e questioni etiche: la mediazione della Santa Sede nel mondo di oggi. Intervista con mons. Tomasi
  • Il cardinale Tauran: Indonesia, buon esempio di dialogo interreligioso, ma sia possibile costruire nuove chiese
  • L'intervento del cardinale Bertone alla Giornata per i 20 anni della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa
  • Colloqui utili tra Santa Sede e Israele sull'Accordo Fondamentale
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Attentati a Mosul: cristiani iracheni sempre più abbandonati
  • La Chiesa irlandese chiede perdono per gli abusi sui minori da parte di sacerdoti dell’arcidiocesi di Dublino. Con noi, mons. Diarmuid Martin
  • Khmer Rossi: processo contro Douch, capo della prigione della morte S-21
  • Etiopia: a Macallé il Congresso internazionale di dermatologia
  • Convegno a Roma su etica e finanza nel magistero di Benedetto XVI
  • Dibattito sulla crisi dell'Occidente: la riflessione del prof. Cardini
  • Chiesa e Società

  • La Chiesa filippina invoca giustizia per il massacro di Maguindanao
  • Sudan: ancora molti ostacoli per il processo di pace in Darfur
  • Messaggio ai gesuiti in Africa per la Giornata mondiale della lotta all’Hiv
  • I Missionari saveriani attendono la pubblicazione del rapporto dell’Onu sul Congo
  • Benin: i vescovi chiedono ai fedeli di pregare per uscire dalla crisi socio-politica
  • Uganda: l’integrazione dei rifugiati passa attraverso le lezioni di diritto
  • Cile: documento dei vescovi a conclusione della plenaria
  • I Missionari redentoristi celebrano il 150.mo anniversario dell'arrivo in Sud America
  • Cina: per la Chiesa il nuovo ponte Shang Hai-Chong Ming rilancerà l'evangelizzazione
  • Libano: dal villaggio dei media cristiani un messaggio di pace per tutto il Medio Oriente
  • Polonia: i vescovi a difesa del Crocifisso "espressione della cultura europea"
  • Svizzera: domenica il referendum sulla costruzione dei minareti
  • Appello delle Chiese canadesi in favore dei rifugiati
  • Viterbo: al forum di Greenaccord oltre 100 giornalisti a confronto sui cambiamenti climatici
  • Critiche agli Usa per il no al Trattato sulle mine anti-persona
  • Laurea 'honoris causa' al cardinale Maradiaga dall'Università cattolica di Budapest
  • Mercatino della solidarietà a Roma per il lebbrosario "Vimala" di Bombay
  • Sabati Mariani: al via a Roma il ciclo di incontri sulle figure sacerdotali mariane
  • 24 Ore nel Mondo

  • L’Aiea condanna l’Iran per la costruzione dell'impianto nucleare di Qom
  • Il Papa e la Santa Sede



    Messaggio del Papa per la Giornata dei migranti dedicata ai minori: i loro diritti devono essere rispettati da tutti e sempre

    ◊   I diritti dei migranti devono essere rispettati da tutti e sempre: è quanto afferma Benedetto XVI nel suo Messaggio per la 96.ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebrerà il prossimo 17 gennaio sul tema: “I migranti ed i rifugiati minorenni”. Ce ne parla Sergio Centofanti.

    Il Papa lo ribadisce in modo forte e chiaro: “il migrante è una persona umana con diritti fondamentali inalienabili da rispettare sempre e da tutti”. Invita tutti a “comprendere le difficoltà di quanti sono lontani dalla propria patria” e pone la sua attenzione sulla “straziante condizione di milioni di bambini di ogni continente. Essi sono più vulnerabili perché meno capaci di far sentire la loro voce”. Ricorda quindi il monito di Cristo, che “nel giudizio finale considererà riferito a Lui stesso tutto ciò che è stato fatto o negato "a uno solo di questi più piccoli" (cfr Mt 25, 40.45)”. “Gesù stesso da bambino – aggiunge - ha vissuto l'esperienza del migrante perché … per sfuggire alle minacce di Erode dovette rifugiarsi in Egitto insieme a Giuseppe e Maria (cfr Mt 2,14)”.

     
    Il Messaggio rileva la drammatica condizione di tanti minori “lasciati in abbandono” e “a rischio di sfruttamento” nonostante i proclami della Convenzione dei Diritti del Bambino. Analizza la situazione dei ragazzi nati nei Paesi ospitanti e quella dei figli che non vivono con i genitori emigrati dopo la loro nascita, ma li raggiungono successivamente: “questi adolescenti fanno parte di due culture con i vantaggi e le problematiche connesse alla loro duplice appartenenza, condizione questa che tuttavia può offrire l'opportunità di sperimentare la ricchezza dell'incontro tra differenti tradizioni culturali”. Benedetto XVI auspica una loro integrazione nei Paesi ospitanti in particolare con la frequenza scolastica e il successivo inserimento nel mondo del lavoro. Nel testo ci si riferisce poi ad una particolare categoria di minori: “quella dei rifugiati che chiedono asilo, fuggendo per varie ragioni dal proprio Paese, dove non ricevono adeguata protezione. Le statistiche rivelano che il loro numero è in aumento. Si tratta dunque - afferma il Pontefice - di un fenomeno da valutare con attenzione e da affrontare con azioni coordinate, con misure di prevenzione, di protezione e di accoglienza adatte, secondo quanto prevede anche la stessa Convenzione dei Diritti del Bambino”.

     
    Il Papa esprime la propria gratitudine alle parrocchie e alle molte associazioni cattoliche che
    “animate da spirito di fede e di carità, compiono grandi sforzi per venire incontro alle necessità di questi nostri fratelli e sorelle” e invita “tutti i cristiani a prendere consapevolezza” della sfida sociale e pastorale posta dalla condizione dei minori migranti e rifugiati.

     
    L'accoglienza “verso lo straniero, specialmente se si tratta di bambini – conclude il Papa - diviene annuncio del Vangelo della solidarietà. La Chiesa lo proclama quando apre le sue braccia e opera perché siano rispettati i diritti dei migranti e dei rifugiati, stimolando i responsabili delle Nazioni, degli Organismi e delle istituzioni internazionali perché promuovano opportune iniziative a loro sostegno”. A tutti, infine, il Papa ricorda le parole di Gesù: “Ero forestiero e mi avete ospitato”.

     
    Il Messaggio del Papa è stato presentato stamani nella Sala Stampa della Santa Sede. Sono intervenuti mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, mons. Agostino Marchetto, segretario, e mons. Novatus Rugambwa, sotto-segretario del medesimo Pontificio Consiglio. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il Messaggio del Papa è dunque dedicato in particolare alla situazione dei migranti minorenni, i più vulnerabili tra gli immigrati. Mons. Antonio Maria Vegliò:

     
    “Se gli immigrati in genere sono vulnerabili perché si trovano in un Paese che non è il loro e nel quale la protezione può non essere garantita, molto più lo sono gli immigrati minorenni, soprattutto se non accompagnati, e dunque privi di rappresentanti legali o di tutori”.

     
    Bisogna poi riconoscere con profonda pena che la “società agisce e reagisce all’arrivo dei rifugiati con “stereotipi, preconcetti e pregiudizi”. Le comunità cattoliche – ha detto mons. Agostino Marchetto – hanno il compito di rispondere a questa sfida sociale:

     
    “Le nostre comunità cattoliche hanno il dovere di accogliere chiunque bussi per necessità alla nostra porta, di dimostrare solidarietà, ospitalità e impegno pastorale rivolto ai bisogni dei minori specialmente non accompagnati e di quelli rifugiati separati”.

     
    Si deve inoltre incentivare il percorso che possa offrire un futuro ai giovani migranti. Mons. Novatus Rugambwa:

     
    “Poiché fornire servizi educativi a questi giovani favorisce non solo loro stessi ma anche la famiglia, la comunità e il Paese, si rende necessario rompere il legame esistente tra svantaggi socio-economici ed educativi. Ugualmente si avverte la necessità di impegnarsi contro la scarsità di risorse finanziarie per risolvere queste difficoltà”.

     
    Rispondendo ai giornalisti, mons. Agostino Marchetto ha poi commentato l’iniziativa di un comune italiano, denominata ''White christmas'', per promuovere un censimento degli stranieri presenti sul territorio:

     
    “Questo di associare il Natale, che è frutto del Mistero dell’accoglienza della Vergine del Verbo di Dio, ad una realtà difficile, che tocca gli esseri umani, io credo che sia una cosa dolorosa”.
     
    Mons. Antonio Maria Vegliò si è infine soffermato sul referendum previsto domenica in Svizzera per proibire la costruzione di minareti:

     
    “Sono per l’apertura verso l’altro. Quindi, non vedo come si possa impedire ad un gruppo di persone di avere il proprio luogo di preghiera, anche se ciò comporta un sentimento di avversione o di paura, perché non c’è alcuna reciprocità. Il cristiano, però, deve passare oltre anche a questo elemento”.

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    Udienze e nomine

    ◊   Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi; Sua Beatitudine il cardinale Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei; alcuni presuli della Conferenza episcopale del Brasile (Regione SUL 1), in visita "ad Limina". Questo pomeriggio riceverà il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    Il Santo Padre ha nominato vescovo ausiliare di Montevideo (Uruguay) il rev. Milton Luis Tróccoli Cebedio, vicario episcopale per la pastorale e parroco a Montevideo, assegnandogli la sede titolare di Munaziana. Il rev. Milton Luis Tróccoli Cebedio è nato a Montevideo il 3 marzo 1964. È stato ordinato sacerdote l’8 maggio 1988 in Florida, da Giovanni Paolo II. Nel 1995 ha conseguito la Licenza in Teologia Spirituale presso la Università Gregoriana.

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    Pace, giustizia e questioni etiche: la mediazione della Santa Sede nel mondo di oggi. Intervista con mons. Tomasi

    ◊   Benedetto XVI riceverà in udienza, domani, i presidenti del Cile, Michelle Bachelet Jeria e dell’Argentina, Cristina Fernández de Kirchner, per celebrare il 25.mo del Trattato di Pace ad Amicizia tra i due Paesi, sei anni dopo la mediazione pontificia che sventò un conflitto tra i due Stati sudamericani. Alessandro Gisotti ha chiesto all’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, quale “valore aggiunto” può offrire la Chiesa per favorire la via del dialogo nel mondo di oggi:

    R. – Il valore aggiunto che la Santa Sede porta è sostanzialmente una visione della persona umana che trascende i confini degli Stati ed i confini degli interessi e apre alla solidarietà e alla capacità di riconoscerci tutti come membri della stessa famiglia umana. Quindi, il messaggio di fraternità, il messaggio di solidarietà che viene proiettato dall’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa, dal comportamento delle Chiese, anche locali, che sempre cercano di trascendere se stesse per allargare il respiro a tutta la famiglia umana, è la fonte della credibilità della Chiesa e della Santa Sede nell’intervenire in situazioni difficili. Secondo me, c’è anche un altro aspetto che dobbiamo prendere in considerazione, di questa capacità di mediazione che la Santa Sede può dare, ed è il lavoro quotidiano che le nunziature fanno, il lavoro che si fa nel contesto internazionale. Il ruolo sostanziale della presenza della Santa Sede, dunque, è quello di difendere la dignità della persona umana. E’ un punto di partenza, una specie di piattaforma su cui si regge tutto l’impianto delle relazioni internazionali.

     
    D. – Come sottolineava lei, la Chiesa è impegnata oggi in nuove “forme di mediazione”, se così si può dire, su temi fondamentali come la vita e la difesa della famiglia nei consessi internazionali e non solo; una sfida sempre più urgente per rendere ragione della visione cristiana dell’uomo …

     
    R. – I punti di differenza e di contatto nel dibattito internazionale sono soprattutto su questi valori di fondo: come lei ha indicato, la famiglia, il diritto alla vita, la protezione della vita dal concepimento fino alla morte naturale. Ed è in questo contesto, in questa prospettiva, che diventa sempre più complicato e difficile fare entrare nella cultura pubblica la necessità di ritornare e riaffermare questi valori fondamentali che altrimenti fanno danno, al di là di una valutazione etica e morale, alla stessa società. E questo, quando al contempo le politiche non appoggiano la famiglia ma si orientano sempre più verso una considerazione dell’individuo chiuso in se stesso. C’è una visione della persona umana verso un estremo individualismo da una parte. Dall’altra, la difficoltà di fare emergere in questa nostra cultura che ci circonda, il valore innato della persona, una persona che non è più chiusa in se stessa ma aperta agli altri, alla famiglia, alla vita e alla relazione con Dio.

     
    D. – In un tempo di globalizzazione – ci ricorda Benedetto XVI nella “Caritas in veritate” – è necessario anche e soprattutto promuovere uno sviluppo integrale della persona, come dei popoli. Anche su questo fronte c’è una capacità di proposta peculiare della Chiesa?

     
    R. – Diventa quasi un ritornello, negli interventi che si cerca di fare nel contesto internazionale, di dire che se vogliamo veramente salvaguardare il benessere di tutti, quindi dei Paesi ricchi e dei Paesi poveri, delle varie categorie di persone, dei vari gruppi etnici, bisogna che ci rifacciamo ad un modo di capire lo sviluppo che non è limitato alla dimensione economica o alla dimensione tecnica, ma che include i valori fondamentali delle persone, come la spiritualità, il senso di creatività … Questa proposta che fa la Santa Sede non chiude ad una dimensione unica lo sviluppo, ma va al di là della tecnologia e dell’economia per dire che, se vogliamo portare il benessere, dobbiamo tener conto di quello che veramente fa scattare la capacità delle persone a impegnarsi, a essere responsabili. C’è una ricchezza, un patrimonio molto ricco non solo di idee, ma di esperienze e buone pratiche che abbiamo nella nostra tradizione cristiana, che possiamo mettere a servizio di tutta la famiglia umana e che è la strada per arrivare veramente a questo sviluppo integrale.

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    Il cardinale Tauran: Indonesia, buon esempio di dialogo interreligioso, ma sia possibile costruire nuove chiese

    ◊   Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, sta compiendo un importante viaggio in Indonesia, su invito dei vescovi indonesiani. La visita durerà fino al 2 dicembre ed è organizzata in stretta collaborazione con la nunziatura apostolica. Il programma prevede 13 incontri religiosi e accademici con le diverse istanze musulmane del Paese nonché momenti di raduno con la comunità cattolica a Giacarta, Denpasar (Bali), Makassar (Sulawesi-Celebes) e Giogiacarta (Giava). Sono previsti anche colloqui con le autorità indonesiane: il presidente della Repubblica, il ministro degli Esteri e il ministro per gli Affari Religiosi. In Indonesia, ricordiamo, vive il 22% dei musulmani del mondo. Thomas Chabolle, del Programma francese della nostra emittente, ha raggiunto telefonicamente il cardinale Tauran a Giacarta:

    R. – Ma visite a commencé par la visite de la cathédrale catholique, e ça c’est …
    La mia visita è iniziata con una visita alla cattedrale cattolica. Questo è stato un gesto simbolico, perché a pochi metri – basta attraversare la strada – c’è la moschea, luogo di culto e centro culturale e sociale. Già questo richiede una forma di coabitazione armoniosa tra le due religioni. Ecco, la giornata si è posta sotto il segno dell’islam moderato. Ho visitato tre istituzioni che vogliono favorire la pace sociale, l’armonia culturale e religiosa come pure una vita culturale impregnata di pluralismo. Nel corso dei colloqui sono emerse tre convinzioni: innanzitutto, i miei interlocutori sono d’accordo nel sostenere che il dialogo è necessario, che esso debba essere continuato ed approfondito; in secondo luogo – e questa è stata per me una novità – ho rilevato presso i miei interlocutori il desiderio di associare a questo dialogo interreligioso in Indonesia anche i rappresentanti di un islam più fondamentalista. In terzo luogo, poi, tutti i miei interlocutori si sono pronunciati contro uno Stato islamico, auspicando invece la continuazione di uno Stato indonesiano fondato sui principi del Panchasila, sui cinque principi che appartengono alla corrente culturale che qui rappresenta un po’ la filosofia della vita politica e sociale (compassione, onestà, purezza, sincerità, temperanza). Dunque, è stata sicuramente una giornata positiva, che ci ha consentito di condividere convinzioni comuni. Potrei dire che l’Indonesia è un buon esempio di questo dialogo interreligioso; ovviamente noi non abbiamo nascosto le difficoltà esistenti ma che dovranno essere superate mediante il dialogo, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di costruire nuove chiese e di avere un’informazione sulle religioni, nelle scuole, più obiettiva.

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    L'intervento del cardinale Bertone alla Giornata per i 20 anni della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa

    ◊   Si è svolta ieri pomeriggio, presso il Palazzo San Pio X a Roma, una giornata di studio per il ventennale di attività della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa. Tra gli interventi anche quello del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone che ha parlato dell'alleanza tra Chiesa e arte. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    “Da sempre – ha spiegato il cardinale Tarcisio Bertone - gli artisti di ogni latitudine hanno trovato nella Chiesa una ‘casa’ comune dove poter esprimere liberamente il loro genio creativo”. Le grandi basiliche, le splendide chiese disseminate nel mondo intero e le innumerevoli opere d’arte sono il frutto della “costante ospitalità che nella Chiesa hanno trovato gli artisti”. Tra questi, ci sono artisti straordinari come Giotto, Brunelleschi, Michelangelo, Raffaello e Bernini. Anche i Pontefici del XX secolo – ha osservato il porporato – hanno voluto restare fedeli a questa tradizione. In particolare, sono contributi preziosi l’intenso dialogo promosso da Pio XII e il messaggio rivolto agli artisti da Paolo VI alla chiusura del Concilio: “Se voi siete gli amici della vera arte – aveva detto Papa Montini - voi siete nostri amici”. A queste parole ha fatto riferimento sabato scorso Benedetto XVI durante la speciale udienza concessa agli artisti nella Cappella Sistina. Questo incontro – ha sottolineato il cardinale segretario di Stato – “ha inteso confermare e rinnovare l’amicizia della Chiesa con il mondo dell’arte”. Gli oltre venti anni di attività della Pontificia Commissione, istituita con la promulgazione della Costituzione apostolica Pastor Bonus da parte di Giovanni Paolo II, sono anche un invito a ricordare il prezioso impegno profuso da Papa Wojtyla nel promuovere la dimensione artistica: la Pontificia Commissione, che ha il compito “di presiedere alla tutela del patrimonio storico ed artistico di tutta la Chiesa”, e il Pontificio Consiglio della Cultura sono i 'motori' di questo prezioso contributo. “Sono la punta di diamante di una Chiesa - ha concluso il cardinale Tarcisio Bertone - che si prende cura del proprio patrimonio storico e artistico quale elemento primario della missione evangelizzatrice”.

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    Colloqui utili tra Santa Sede e Israele sull'Accordo Fondamentale

    ◊   La Commissione bilaterale permanente di lavoro tra la Santa Sede e lo Stato di Israele ha concluso ieri due giorni di incontri: al centro delle conversazioni l’Accordo di conformità all’articolo 10 paragrafo 2 del Fundamental Agreement tra le due parti, relativo a questioni di proprietà, economiche e fiscali che riguardano in generale la Chiesa cattolica o specifiche comunità o istituzioni cattoliche. Gli utili colloqui si sono tenuti in preparazione della riunione plenaria della Commissione che avrà luogo il 10 dicembre in Vaticano.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Nell'informazione internazionale, i contributi dei ministri degli Esteri di Argentina e Cile per il venticinquesimo della firma del Trattato di pace e amicizia tra i due Paesi a suggello della mediazione della Santa Sede.

    Pio XI tra antinazionalismo e concordati: in cultura, la relazione di Roberto Morozzo Della Rocca al convegno "Santa Sede e potere politico nell'Europa centro-orientale tra le due guerre mondiali (1918-1939)".

    Un articolo di Raffaele Alessandrini dal titolo " 'Humani generis unitas', nessun mistero": "Avvenire" chiude la polemica con "Panorama".

    Quando i Papi presero le chiavi di Pietro: Agostino Paravicini Bagliani sul volume "Il potere del Papa. Corporeità, autorappresentazione e potere".

    La carità è il vero profitto: la cronaca di Luca M. Possati di una tavola rotonda sulla "Caritas in veritate".

    Il demitizzatore del comunismo: Andrea Possieri ricorda Viktor Zaslavsky.

    E' Filippo Neri il padre degli "Annales": l'intervento del procuratore generale della confederazione dell'Oratorio di san Filippo Neri, Edoardo Aldo Cerrato, alla presentazione degli atti del convegno di studi "Baronio e le sue fonti".

    Istruzione, lavoro e integrazione sociale per i bambini migranti: nell'informazione vaticana, il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata del Migrante e del Rifugiato.

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    Oggi in Primo Piano



    Attentati a Mosul: cristiani iracheni sempre più abbandonati

    ◊   La comunità cristiana irachena continua a rimanere sotto attacco. Dopo il drammatico attentato che ieri ha distrutto a Mosul la Chiesa di Sant'Efrem e danneggiato la Casa madre delle suore domenicane di Santa Caterina, crescono la paura tra i cristiani rimasti nel Paese e lo smarrimento di fronte al disinteresse della comunità internazionale. Stefano Leszczynski ha intervistato il procuratore caldeo a Roma, il corepiscopo Philippe Najim:

    R. – Tutti i cristiani iracheni, oggi, si chiedono perché siano lasciati soli, perché nessuno pensi a loro. Poi, però, vengono rivolte loro grandi critiche quando i cristiani lasciano il Paese e chiedono di migrare in Europa, in America, in Australia o in qualsiasi altro Paese. Qui il cristiano non si sente più protetto da nessuno. La Chiesa locale si indebolisce giorno dopo giorno perché vive in uno Stato che non riesce a garantire né la propria sicurezza né quella del suo popolo. Questo popolo ha fatto il suo dovere quando ha eletto il governo, quando ha dimostrato grande fede in un futuro migliore e quando ha dimostrato grande fiducia in questo nuovo Stato, che è stato creato in Iraq. Mi meraviglio della Comunità internazionale e di tutte le autorità coinvolte ed interessate che stanno a guardare questa Chiesa che sta morendo giorno dopo giorno, che versa il proprio sangue e che viene colpita proprio nei suoi luoghi sacri, in quei luoghi dove viene adorato il Dio unico ed onnipotente per tutta la popolazione irachena. Nessuno alza un dito!

     
    D. – Quanti sono i cristiani che rimangono nel Paese e come vivono questa situazione nel quotidiano?

     
    R. – Veramente una cifra esatta nessuno la può dare vista l’attuale situazione in Iraq. Ma sono migliaia e migliaia i fedeli che sono scappati dall’Iraq e questo succede ogni giorno. Io parlo anche come procuratore apostolico per i caldei in Europa: oggi abbiamo 100 mila fedeli caldei, soltanto della Chiesa caldea, sparsi in tutte le nazioni europee. La Chiesa non ha più la capacità neanche di provvedere ad un lavoro pastorale. Non c'è neanche un numero di sacerdoti in grado di assistere questi fedeli sparsi in tutta Europa. Non sappiamo veramente quale futuro ci aspetti. I cristiani caldei oggi vivono una situazione veramente molto difficile sia in Iraq sia fuori dall’Iraq. Ci sentiamo soli, ci sentiamo veramente abbandonati.

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    La Chiesa irlandese chiede perdono per gli abusi sui minori da parte di sacerdoti dell’arcidiocesi di Dublino. Con noi, mons. Diarmuid Martin

    ◊   Dolore e vergogna, umiltà e pentimento: sono i sentimenti con i quali la Chiesa irlandese ha accolto la pubblicazione, ieri, del rapporto sugli abusi sessuali ai minori da parte del clero dell’arcidiocesi di Dublino. L’indagine, presentata dal ministro della Giustizia irlandese, Dermont Ahern, illustra i terribili crimini compiuti a danno dei minori da parte di 46 sacerdoti, tra il 1975 e il 2004. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Sono scioccato e provo vergogna”, “chiedo scusa a tutti coloro a cui è stato fatto del male e alle loro famiglie”: così, il cardinale Seàn Brady, primate di tutta l’Irlanda, in un comunicato dopo la pubblicazione del rapporto sugli abusi sessuali da parte di sacerdoti dell’arcidiocesi di Dublino. Nel documento, lungo 700 pagine - frutto del lavoro di una commissione istituita nel 2006 - si parla di 320 casi di abusi sui minori. Ad essere chiamati in causa, oltre agli autori delle violenze, anche quattro arcivescovi che, secondo il documento, “misero la reputazione della Chiesa davanti alla protezione di bambini indifesi”. Dal canto suo, il cardinale Brady ha ribadito che “nessuno è al di sopra della legge” ed ha assicurato che la Chiesa sta facendo tutto il possibile per tutelare l’infanzia da questi crimini orrendi. Il 28 ottobre 2006, ricevendo in visita ad Limina i presuli irlandesi, il Papa aveva parlato dei “molti casi dolorosi di abusi sessuali sui minori”. “Nei vostri sforzi continui di affrontare in modo efficace questo problema – fu l’esortazione del Papa ai vescovi - è importante stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i principi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi”.

     
    La pubblicazione del rapporto è stata accolta con profondo dolore dall’attuale arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin. Intervistato da Philippa Hitchen, mons. Martin rivolge innanzitutto il suo pensiero a quanti hanno sofferto a causa delle violenze sessuali perpetrate da sacerdoti della sua diocesi:

    R. – I think of the horror that they went through, I think particularly …
    Mi viene da pensare all’orrore che hanno vissuto; in particolare, penso a quel gruppo di persone che non sono state ancora capaci di raccontare la loro storia e per le quali la lettura di questo Rapporto solleverà emozioni tremende, emozioni che non sono mai riuscite ad elaborare. Nel corso degli anni, io stesso ho incontrato tante, tante vittime e mi sono reso conto che, sotto molti aspetti, la loro vita – o parte della loro vita – è stata rovinata; sono state costrette a convivere con questa sofferenza terribile per anni.

     
    D. – Molti dei sacerdoti che hanno commesso tali abusi sono ora in prigione, molti di loro sono stati comunque portati davanti alla giustizia. Lei pensa che ci debba essere un modo in cui i capi della Chiesa si assumano delle responsabilità per tutto questo in maniera aperta, pubblicamente?

     
    R. – I think on the publication of this Report, people will admit their responsibilities …
    Credo che con la pubblicazione di questo Rapporto le persone ammetteranno le loro responsabilità lì dove queste ci siano; per quanto riguarda l’aspetto penale, investigare è compito delle autorità di polizia e del pubblico ministero. Ma molti di questi casi sono già stati esaminati. Uno dei problemi è che a volte molti dei colpevoli negavano l’evidenza, rifiutando perfino di ammettere l’esistenza di un problema, ed assumevano atteggiamenti subdoli, volti a depistare … Purtroppo, a suo tempo fu presa la decisione di non trattare le offese da loro arrecate seriamente come sarebbe stato giusto che fossero trattate … Il problema è, quindi, che furono prese decisioni che hanno fatto sì che altri bambini subissero gli stessi abusi. Ora, dall’altro canto bisogna dire che in Irlanda sono stati fatti grandi progressi nell’applicazione, in seno alla Chiesa, di normative a tutela dei bambini.

     
    D. – Dall’altro lato, questa vicenda ha richiesto anche un prezzo altissimo al morale dei sacerdoti nella sua diocesi. Cosa pensa di fare?

     
    R. – This is a particular period, when the Church...
    Questo è un momento particolare, perché la Chiesa ha bisogno di instaurare un nuovo dialogo con i giovani, e sarebbe tragico se i sacerdoti si dovessero sentire inibiti in questo ambito. I parrocchiani conoscono e sanno riconoscere i bravi sacerdoti, e credo che questi sacerdoti riceveranno il coraggio e la forza proprio dai loro stessi parrocchiani e dai laici per riconoscere l’importanza della loro missione… La Chiesa deve cambiare ed io credo che sarà meglio per noi aver affrontato questo capitolo fino in fondo. Dovremo essere molto attenti nella formazione dei nostri sacerdoti … Eppure, in mezzo a tutto questo non ho mai perduto il mio ottimismo, perché sono convinto che ci stiamo muovendo nella direzione giusta! Su tutti i fronti.

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    Khmer Rossi: processo contro Douch, capo della prigione della morte S-21

    ◊   La Cambogia fa i conti con il suo sanguinoso passato legato al regime dei Khmer Rossi, il movimento comunista di Pol Pot - al potere dal 1975 al 1979 - che causò, tra esecuzioni, stragi e carestie, oltre tre milioni di morti. A Phnom Penh, di fronte al Tribunale speciale dell’Onu per il genocidio dei cambogiani, è in corso il processo contro Douch, il capo della famigerata prigione S-21, nella quale vennero torturati e uccisi oltre 16 mila uomini, donne e bambini. Douch, accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, stamani si è dichiarato pentito ed ha chiesto l’assoluzione, in quanto mero esecutore di ordini superiori. Ma che cosa rimane nella Cambogia di oggi di quel tragico periodo? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Carlo Filippini, docente all’Università Bocconi di Milano, esperto di Asia orientale:

    R. - Rimane certamente un ricordo molto forte ancora e, probabilmente, una notevole insoddisfazione e una notevole delusione perché giustizia non è stata fatta, sostanzialmente. La cultura, la loro morale, tende più ad una pacificazione che ad una giustizia vendicativa. Rimane però il grande punto interrogativo del comportamento della comunità internazionale - delle Nazioni Unite in primo luogo - che è stato molto ambiguo. Anche perché come sappiamo vigeva la regola: “I nemici dei miei nemici sono miei amici”. Quindi, alcuni Paesi sono stati alquanto complici dei Khmer rossi proprio perché erano avversari dei loro nemici.

     
    D. - Si può parlare di pacificazione, oggi, in questo Paese?

     
    R. - In un senso abbastanza largo, certamente sì: non vi sono più chiaramente le tensioni di un tempo, non ci sono più gli scontri politici ed armati. Certamente, la pacificazione è dovuta anche al fatto che l’attuale primo ministro è stato in qualche modo legato, e potremmo dire anche complice, delle stragi e dell’oppressione dei khmer rossi. In questo senso, si è cercato di evitare scontri proprio perché uno degli imputati da chiamare alla sbarra sarebbe stato proprio il primo ministro.

     
    D. - Dopo quell’esperienza, il processo di democratizzazione di questo Paese - relegato un po' ai margini della comunità internazionale - è un processo reale?

     
    R. - E’ un processo reale, ma certamente ancora molto, molto lento. C’è una certa tendenza fra i Paesi Asean del sudest asiatico, e anche dell’est asiatico, a ripensare alla propria cultura, al proprio modo di governare che, chiaramente, ancora è molto paternalistico. Ci sono state parecchie delusioni, soprattutto per la crisi economica in atto, rispetto alla democrazia occidentale e ai modelli di mercato occidentali.

     
    D. - La Cambogia è un Paese dove le libertà vengono garantite oppure ci sono difficoltà?

     
    R. - No, ci sono ancora molte difficoltà. I diritti dei lavoratori, i movimenti sindacali e anche la stampa troppo critica del regime non sono per usare un eufemismo - "apprezzati", e vi sono certamente dei tentativi di reprimere queste manifestazioni della società civile o della democrazia, come la intendiamo in senso occidentale.

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    Etiopia: a Macallé il Congresso internazionale di dermatologia

    ◊   E’ in corso a Macallé, in Etiopia, il terzo Congresso internazionale di dermatologia, dedicato alle malattie tropicali di popoli e persone dimenticate. L’evento è promosso dall’Istituto nazionale per la salute dei migranti e la lotta alla povertà di Roma. Nel Paese, tra l’altro, opera da 20 anni il Centro italiano dermatologico, svolgendo attività clinica di ricerca scientifica e di formazione sanitaria. Da Macallé, il servizio del nostro inviato Luca Collodi.

    L’Etiopia è il quartultimo tra i 27 Paesi più poveri al mondo e lo si vede girando per le strade di Addis Abeba: quattro milioni di abitanti, con ciechi, storpi e lebbrosi che vagano senza speranza. Il Paese ha scelto la via della democrazia e del multipartitismo. La terra, fonte di sopravvivenza per contadini e pastori, è data in concessione ai Paesi arabi e alla Cina per l’utilizzo in agricoltura. Il governo etiopico, attraverso l’appalto di grandi opere, come la costruzione di strade, case, reti telefoniche e centrali idroelettriche, spera di rimettere in moto un ciclo di sviluppo economico. L’islam però preme alla frontiera con Eritrea e Somalia, e la tratta delle donne, favorita dall’estrema povertà, indebolisce la tradizione cristiana: molte donne, in cambio di una misera paga, lasciano l’Etiopia e si convertono all’islam spesso con la forza. Ma l’identità cristiana del Paese a maggioranza ortodosso, forte di 83 nazionalità e 81 lingue, alimentata dalla presenza delle suore di Madre Teresa e dei missionari salesiani e comboniani tra gli altri, viene attaccata all’interno anche dalla presenza di sette religiose provenienti dall’America Latina, con soldi e offerte di lavoro ai più giovani. L’esercito etiope, in una delle regioni africane a maggiore instabilità, è una componente forte della società, nella quale i matrimoni precoci con le spose bambine producono prostituzione e bambini di strada.

     
    Ascoltiamo, in questa intervista di Luca Collodi, il prof. Aldo Morrone, direttore dell’Istituto nazionale per la salute dei migranti e la lotta alla povertà di Roma:

    R. – Purtroppo in Africa c’è una sorta di ricettacolo di tutte le malattie e quelle più gravi e più diffuse sono quelle della pelle in particolare: persino la lebbra che si stava cercando di sconfiggere è, invece, tornata così come la tubercolosi cutanea. Queste persone vengono completamente escluse dalla convivenza civile e questo è il motivo della lotta in particolare nei confronti di queste malattie proprio per restituire dignità e salute a questa popolazione.

     
    D. – Un tema, questo, che preoccupa l’Africa che si trova già in una situazione economica drammatica. C’è, però, un problema che riguarda non solo l’Africa, ma anche i governi occidentali perché è stato scoperto che anche nei cosiddetti Paesi ricchi stanno tornando le malattie di questo genere per la mobilità delle persone e di questo se n’ è addirittura occupato il G8 dell’Aquila…

     
    R. – Il G8 dell’Aquila ha preso atto che c’è un rischio terribile di diffusione delle malattie tropicali ed esotiche negli ambiti di quei Paesi dai quali si pensava che fossero state sconfitte. E questo proprio a causa della mobilità delle popolazioni: ogni anno sono oltre un miliardo e 300 milioni le persone che attraversano i confini del proprio Stato ed anche a causa della globalizzazione delle merci e quindi negli aerei si possono trovare quelle zanzare anofele che possono determinare la malaria. Le persone che sono presenti qui a Macallé e che provengono dai cinque continenti del Pianeta hanno deciso di dare il loro contributo a questo tavolo di lavoro, portando non soltanto la conoscenza scientifica, ma anche la loro esperienza sul campo. Dobbiamo ricordare che qui in Etiopia, ogni cittadino ha a disposizione per curarsi durante tutto l’anno, 4 dollari a testa. Si comprende bene che in questo modo è impossibile curarsi ed è impossibile sconfiggere le malattie. Il primo punto è proprio quello di sconfiggere la povertà, che è la madre di tutte le malattie.

     
    D. – Questo è il punto principale e l’Oms ha definito la povertà proprio come una malattia…

     
    R. – Già dal 1995, nei documenti ufficiali, l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che la povertà estrema e cioè la miseria è essa stessa una malattia e deve essere combattuta; è una malattia non infettiva, ma altamente contagiosa e deve essere sconfitta questa sua diffusione. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Convegno a Roma su etica e finanza nel magistero di Benedetto XVI

    ◊   L’economia deve essere guidata dalla responsabilità, non dagli interessi e deve essere finalizzata al bene comune. Per realizzare una convivenza umana libera e solidale. È quanto emerso nell’ambito di un convegno organizzato dal Comitato nazionale per il microcredito, dal titolo: “L’amore intelligente. Etica e finanza nel magistero di Benedetto XVI”, che si è tenuto di recente presso l’università Lumsa di Roma. C’era per noi Alessandra De Gaetano:

     
    Una revisione dei paradigmi economico–finanziari dominanti, che hanno stabilito le regole del mercato negli ultimi anni, alla luce di un’etica amica della persona. Sono le parole del Papa, Benedetto XVI, nell’Enciclica Caritas in veritate, che suggeriscono agli addetti ai lavori una riflessione sulla necessità di una nuova visione di economia, che ponga al centro la persona e il bene comune. Ma qual è la forza di questa Enciclica? Mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia:

    “Di fronte all’assenza di visioni, anche di testi e di prospettive, da parte dell’intera società mondiale, l’Enciclica del Papa resta forse il documento anche politicamente più rilevante per una visione, non solo economica, ma sociale dell’intero pianeta. Ecco perché è un’esigenza che è stata colta in maniera particolare da Benedetto XVI, perché il suo sguardo sa cogliere la grande domanda che sale da tutti i popoli.”

    Sotto i riflettori anche le ragioni profonde della crisi economica, cui l’Enciclica propone una via d’uscita nella tensione verso nuovi imperativi economici: come l’etica amica della persona, la gratuità, il dono, il bene comune. La forza per realizzare questo progetto è da ricercare, secondo il Pontefice, nella "caritas", che - come si legge nell’Enciclica Deus Caritas est - è il nome stesso di Dio. Ma come concretizzare l’esortazione del Papa a costruire un’etica amica della persona per il corretto funzionamento dell’economia? Ancora mons. Paglia:

    “La concretizzazione inizia anzitutto partendo da un cambiamento del proprio cuore, del proprio modo di porsi nella società, perché la dimensione dell’egoismo è causata dal cuore di molti. Questo comporta dei microcambiamenti, ma ogni microcambiamento è come un piccolo sasso di solidarietà gettato in uno stagno: in acqua le onde, in un modo o nell’altro, arriveranno a contagiare l’intero sistema. Perché noi non siamo dei piccoli ingranaggi di una macchina, noi siamo gli attori della storia e la storia possiamo o subirla o governarla.”

    Perseguire il bene comune significa anche puntare su una crescita sostenibile, per dare aiuto alle famiglie impoverite dalla crisi e sostenere l’imprenditorialità. Questo il fine del microcredito, una nuova visione di lavoro che ha come obiettivo il benessere della persona. Ascoltiamo l’on. Mario Baccini, presidente del Comitato nazionale per il microcredito:

    “Bisogna uscire dall’assistenza per creare lavoro, perché la sussidiarietà è un aspetto importante del microcredito. Quindi, finanziare non più i consumi, ma finanziare il lavoro. Bisogna passare decisamente all’economia sociale di mercato, come input di fondo, e questo significa rimettere al centro la persona e creare - a partire dalle sacche più emarginate: le donne, i giovani, gli immigrati, gli ex detenuti, cioè quelle fasce oltre la linea della povertà - la possibilità di rimetterle nel mondo del lavoro, creando delle microimprese.”

    L’economia, sostiene infine l'amministratore delegato di Intesa SanPaolo, Corrado Passera, presente all’incontro, deve essere basata sul principio della responsabilità, e le banche possono fare molto per la crescita del mercato. Non senza il sostegno del pubblico, del privato e della società. Intanto, un’esperienza concreta di microcredito è rappresentata dal "Prestito della speranza", avviato dalla Cei in collaborazione con Intesa SanPaolo, come conferma lo stesso Passera:

    “Dal microcredito fatto assieme alla Cei, noi ci siamo presi l’incarico di trovare destinazioni, per 100 milioni di euro di questo credito, in favore di famiglie in difficoltà che hanno bisogno di microcredito a prenderlo, utilizzarlo e quindi poi restituirlo”.

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    Dibattito sulla crisi dell'Occidente: la riflessione del prof. Cardini

    ◊   Si è svolto ieri sera a Roma un dibattito promosso dall’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria sul tema “Crisi dell’Occidente? Luci ed ombre di un’idea”. All'incontro hanno partecipato il prof. Franco Cardini, ordinario di Storia medievale all'Università di Firenze, e il prof. Philippe Nemo, del Centro Ricerche in Filosofia Economica di Parigi. Sul tema della serata ascoltiamo il prof. Franco Cardini al microfono di Marina Tomarro.

    R. – L’Occidente è sinonimo di modernità, anzi: l’Occidente è la modernità. In questo momento siamo alla vigilia di un’altra dimensione, una dimensione nuova. L’Occidente era la modernità come desacralizzazione, ma si è visto che le religioni avevano una loro vitalità, che adesso stanno rinascendo e quindi siamo al di là dell’Occidente-modernità. Bisogna trovare nuovi equilibri. Questi nuovi equilibri li hanno chiamati post-moderni, li hanno chiamati in infiniti modi, e sono quelli che noi stiamo ricercando.

     
    D. – Secondo lei, che cosa è riuscito ad esportare l’Occidente come valori? E invece, in cosa ha fallito?

     
    R. – L’Occidente ha esportato fondamentalmente valori scientifici, valori tecnologici e modelli politici, e se li è fatti pagare estremamente cari in termini economici, in termini di dominazione colonialista … Naturalmente, ha esportato anche un lievito importantissimo, che è il lievito della libertà, il lievito dei diritti umani. Ma questa libertà, questi diritti umani fatalmente hanno finito anche con l’aggredire l’Occidente, perché l’Occidente, che li ha elaborati, attraverso il colonialismo ha anche conculcato questi diritti. E d’altra parte, l’Occidente non è riuscito – evidentemente – a creare una visione del mondo autonoma e solida perché praticamente, una volta liberatosi dal cristianesimo – perché l’Occidente è anche questo: è modernità in quanto processo di secolarizzazione – non è riuscito a creare una società totalmente laica, e infatti il post-moderno significa fondamentalmente contestazione di una desacralizzazione, di un processo di secolarizzazione che ha fallito, che non è riuscito. E noi, che adesso siamo circondati dai fondamentalismi di ogni segno, poi ci rendiamo conto che anche questo progetto dell’Occidente è in fondo fallito. Quindi, l’Occidente ha diffuso i suoi buoni semi in termini di libertà, ma nello stesso tempo la sua schizofrenia ha fatto sì che questi buoni semi fossero diffusi anche a colpi di repressione e di sfruttamento, da cui adesso molti popoli cercano di liberarsi e quindi se l’Occidente, in fondo, morisse, io credo che la civiltà non perirebbe. Passeremmo a nuovi equilibri …

     
    D. – In che modo, secondo lei, il cristianesimo può aiutare a superare questo momento di transizione?

     
    R. – Guardi, il momento di transizione è stato determinato da molte questioni, da molte circostanze e da molte contingenze; ma ce n’è una, fondamentalmente: la ingiustizia che regna sovrana sul mondo. Un mondo dove il 90 per cento della popolazione, quindi circa 5 miliardi, vive al di sotto della linea di sopravvivenza mentre la ricchezza è concentrata in pochissime mani e soltanto un miliardo di persone gode – e in maniera molto ineguale – dei frutti di questa ricchezza. Il cristianesimo – non solo il cristianesimo: anche altre religioni – hanno questa carica di umanitarismo, questa carica di carità, questa carica di altruismo che oggi è necessaria perché la fine dell’Occidente è anche la fine di un sistema che travestiva l’ingiustizia da libertà, dimenticandosi che la libertà dei pochi corrisponde alla non-libertà dei più, e che non esiste soltanto la “libertà di …” – la libertà di pensiero, la libertà di parola, la libertà di associazione … - ma che esiste anche la “libertà da …”: la libertà dalla fame, la libertà dalla paura, la libertà dalla malattia … E tutte queste libertà, il sistema egemonizzato dall’Occidente fino ad oggi le ha – sia pure non totalmente – negate o rifiutate o sottovalutate all’80 per cento del mondo. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Chiesa e Società



    La Chiesa filippina invoca giustizia per il massacro di Maguindanao

    ◊   C’è sgomento e costernazione nella Chiesa cattolica filippina per la strage di Maguindanao del 23 novembre scorso, in cui sono morte 57 persone fra parenti e sostenitori di Ishmael “Toto” Mangudadatu, vice-sindaco di Buluan e candidato alla carica di governatore della provincia. I vescovi del Paese, citati da AsiaNews, parlano di strage “senza precedenti” e invitano il governo a “sanare la profonda ferita” inferta al Paese e alle “istituzioni democratiche”. Mons. Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato e presidente della Conferenza dei vescovi asiatici, chiede “azioni decise perché sia fatta giustizia”. Egli aggiunge però che non è il momento di farsi guidare “dalla logica della vendetta” che può far precipitare la zona “in una spirale di violenza”. Il cardinale Gaudencio Rosales, arcivescovo di Manila, precisa che “è compito del governo esercitare la sua leadership” per sanare la “profonda ferita” che ha segnato il “cuore e le istituzioni democratiche del Paese”. “Bisogna curare le ferite – commenta – per prevenire conseguenze più tragiche”. Padre Cesare Neri, della diocesi di Caloocan, sottolinea che il massacro rivela un volto “disumano” e tutte le persone di buona volontà, senza distinzione di fede religiosa, devono lavorare “per ristabilire la pace”. Suor Mary John Mananzan aggiunge che il governo della presidente Gloria Arroyo ha tollerato troppo a lungo la “cultura della violenza” (il sospettato numero uno della strage è un alleato politico della presidente) concedendo troppe libertà “ai signori della guerra e negando a più riprese la libertà di stampa”. Fra 12 giornalisti vittime del massacro risulta anche una cronista cattolica, volontaria di una radio diocesana. Si tratta di Neneng Montano, giovane reporter dell’emittente DXCP, diretta espressione della diocesi di Marbel. Intanto, sul fronte della indagini, sono iniziati gli interrogatori di alcune persone indicate fra gli esecutori materiali della strage. Una parte avrebbe confermato di eseguire gli ordini di Andal Amaptuan Jr, sospettato numero uno della strage, agli arresti a Manila. L’uomo, rivale politico di Mangudadatu e figlio dell’attuale governatore, nega ogni addebito nella vicenda. Fra le persone sotto inchiesta vi è anche il capo della polizia di Maguindanao, che avrebbe “coperto” il raid del commando. E sul terreno non accenna a fermarsi la violenza: ieri, sempre a Mindanao, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco un impiegato locale dell’Unicef, il fondo Onu per l’infanzia. L’assassinio è avvenuto in una zona poco distante dal punto in cui è avvenuto il massacro del 23 novembre. Dalle prime indagini pare si tratti di un omicidio di “natura privata”. (M.G.)

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    Sudan: ancora molti ostacoli per il processo di pace in Darfur

    ◊   Le trattative di pace continuano ad essere minate da incessanti violenze che minacciano l'Africa Subsahariana, in particolar modo in Sudan. Il cardinale Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo di Khartoum, capitale del Paese, dichiara: “La Chiesa continuerà la sua opera di evangelizzazione e di testimonianza cristiana oltre che di promozione umana. Sul resto è difficile fare previsioni”. Per attuare l’Accordo Comprensivo di Pace (Cpa), sottoscritto nel 2005 dal governo di Khartoum e dai movimenti indipendentisti delle regioni meridionali, entro il 2010 dovrebbero svolgersi le elezioni politiche e quelle presidenziali, mentre nel 2011 dovrebbe tenersi il referendum per chiedere alle popolazioni del sud del Sudan di rimanere parte di uno Stato unitario o di creare uno Stato indipendente. Questi piani d’azione sono però compromessi dall’intensificarsi delle violenze in questo Paese africano, ha sottolineato il porporato in un colloquio con un inviato dell’agenzia Fides. Solo negli ultimi giorni – come riportato dall’Osservatore Romano – oltre cinquanta persone sono state uccise e circa venti ferite in scontri armati. Il porporato aggiunge “i sudanesi non vogliono una nuova guerra civile tra nord e sud, perché conoscono bene gli orrori della guerra che si è conclusa da poco. Spero solo che non intervengano interessi esterni, legati al petrolio che attizzino nuove tensioni che possono sfociare in un nuovo conflitto”. Per quanto riguarda la questione del Darfur, la regione occidentale del Sudan dal 2003 teatro di scontri tra esercito, milizie filo-governative e diversi gruppi di guerriglia, il cardinale Zubeir Wako sottolinea: “La comunità internazionale è presente nella regione con una forza di pace mista Onu-Unione africana ma non mi sembra che questa faccia molto per proteggere effettivamente la popolazione locale”. Dall’inizio del 2008 in Darfur è in corso una nuova ondata di combattimenti tra esercito e ribelli, in particolare nella parte occidentale della regione, dove oltre 50mila persone sono rimaste sfollate e altre 10mila si sono rifugiate in Ciad, in seguito ad un'offensiva dell'esercito. Nel complesso, la situazione si presenta in costante deterioramento ormai dalla seconda metà del 2006, dando luogo a una crisi umanitaria che, solo nel corso del 2007, ha provocato oltre 300mila sfollati. Inoltre, il conflitto assume sempre più un carattere regionale, con scontri, violenze e flussi di profughi che continuano a riversarsi in Ciad orientale e nella Repubblica Centrafricana. Circa i forti investimenti fatti negli ultimi anni in Africa da potenze estere per l’affitto di enormi terreni dove produrre derrate alimentari per soddisfare le proprie popolazioni, l’arcivescovo di Khartoum ritiene che “questo dimostra che la fame nel mondo si può vincere con forti investimenti”, tuttavia “i contadini locali vengono espulsi dalle loro terre e vanno ad ingrossare i quartieri più poveri delle città, si tratta dunque di un processo molto pericoloso per la stabilità di diversi Paesi africani”. (C.P.)

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    Messaggio ai gesuiti in Africa per la Giornata mondiale della lotta all’Hiv

    ◊   “Imparare ad affrontare l’Aids come famiglia” deve essere il primo passo da compiere per evitare di continuare a condannare, rifiutare, emarginare o etichettare le persone contagiate come “praticamente morte” e dimostrare che “appartenere alla famiglia di Dio significa agire come Gesù ci ha mostrato”. È questo il messaggio, ripreso dalla Fides, inviato a tutti i gesuiti del Continente africano da padre Masawe, gesuita, moderatore di Jesam - Conferenza dei Superiori Maggiori dell’Africa e Madagascar. In vista della prossima Giornata Mondiale dell’Aids, che si celebrerà in tutto il mondo il 1° dicembre, padre Masawe ha ricordato che non bisogna aver paura o scoraggiarsi per “l’enormità dei problemi del nostro continente, tra i quali l’Hiv e l’Aids. Fanno parte della vita e lo faranno a lungo. Come una grande famiglia dobbiamo affrontare la sfida con fiducia”, sostiene nel messaggio. “L’Aids, insieme alla malaria e alla tubercolosi, è una pandemia che sta decimando le popolazioni africane e sta danneggiando gravemente la loro vita economica e sociale”. Questa malattia, ha sottolineato il gesuita, non deve essere affrontata solo come un problema medico-farmaceutico o di cambiamento del comportamento umano, perché è “una questione di sviluppo e giustizia integrali, che richiede un approccio e una risposta olistici da parte della Chiesa”. Inoltre, parlando dei comportamenti sessuali, riconosce che la visione ecclesiale “è spesso ritenuta rigida, irrealistica o moralistica”, e che altri fattori, come “povertà, fame, guerra e sfollamento forzato, violenza domestica e commercio sessuale” favoriscono la diffusione del virus tra migliaia di persone. Sono molti i programmi della Chiesa per garantire assistenza, cibo e sostegno ai sieropositivi, “l’obiettivo è vivere come una famiglia: rispettare la dignità e la vita di ciascuno, mostrare solidarietà con chiunque sia nel bisogno”. Il messaggio si conclude così: “Come Gesù, Maria e Giuseppe nella Santa Famiglia, così la Chiesa-Famiglia di Dio in Africa conosce i suoi figli e figlie, le loro necessità, forze e debolezze, paure e speranze. Essa manifesta questa amorevole conoscenza indicando i modi di prevenzione dell’Hiv nell’ambito familiare e prendendosi cura dei malati e di quanti sono affetti dall’Aids, lavorando per la riconciliazione, la giustizia e la pace. Con il Sinodo, Jesam ringrazia tutti coloro che sono generosamente impegnati in questo difficile apostolato di amore e di attenzione”. (C.P.)

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    I Missionari saveriani attendono la pubblicazione del rapporto dell’Onu sul Congo

    ◊   In relazione alle indiscrezioni di stampa sul rapporto dell’Onu nel quale si farebbe riferimento a due missionari saveriani che lavorano nella Repubblica Democratica del Congo, la Curia generalizia dei saveriani comunica all’agenzia Fides che “sarà fatta una dichiarazione ufficiale solo dopo che avremo letto il testo del documento ufficiale”. Infatti il rapporto elaborato da un gruppo di esperti per conto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu non è stato ancora reso pubblico, tuttavia diversi organi di stampa internazionali hanno pubblicato delle indiscrezioni sul suo contenuto. “Non avendo letto il rapporto non posso esprimere nessuna valutazione; posso solo dire che occorre essere prudenti sulle anticipazioni pubblicate dalla stampa” dice all’agenzia Fides padre Loris Cattani, missionario saveriano che conosce molto bene la situazione congolese. Il documento dell’ONU descrive i canali di finanziamento e le complicità di cui si avvalgono le Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (Fdlr), un gruppo di guerriglia che opera nel nord e sud Kivu (nell’est della Repubblica democratica del Congo) dal 1994. (R.P.)

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    Benin: i vescovi chiedono ai fedeli di pregare per uscire dalla crisi socio-politica

    ◊   In vista delle elezioni politiche del 2011 i vescovi del Benin chiedono ai fedeli di “vegliare e pregare” perché il Paese esca dall’attuale crisi socio-politica. In una dichiarazione pubblicata al termine della loro assemblea plenaria a Cotonou sul quotidiano locale “L’Autre Quotidien” e ripresa dall’agenzia Apic, i presuli si dicono preoccupati dal persistente clima di tensione che percorre la società beninese. Un clima – ricordano - già denunciato un anno fa nel messaggio pastorale “Ripristinare la fiducia e preservare la pace”, in cui avevano espresso la “speranza e l’auspicio” di vederlo smorzato. “Con grande dolore” i vescovi ora constatano invece che “la situazione non è affatto migliorata. Al contrario le posizioni dei diversi attori politici e sociali si sono ulteriormente indurite e sono diventate più aggressive”. In più, prosegue la dichiarazione, “gli intrighi e i calcoli” per “interessi particolari e partigiani si moltiplicano con l’avvicinarsi del 2011, un anno cruciale che sembra aprire la porta a tutti gli intrallazzi”. Di qui l’accorato appello a “pregare e a vegliare” per il Paese: “Esortiamo con tutto il nostro cuore i fedeli, i movimenti cattolici, le associazioni e i gruppi di preghiera, gli uomini e le donne di buona volontà a partecipare a Messe mensili e ad impegnarsi in questa catena di solidarietà spirituale pregando intensamente per il bene del Benin, la nostra Patria comune”. I vescovi rilevano come in diverse occasioni in passato altre mobilitazioni di questo genere abbiano “aiutato il Paese ad uscire da situazioni molto più angoscianti”. In conclusione, i vescovi ribadiscono “la speranza di un futuro più radioso” per il Benin. A questo scopo essi continueranno la loro riflessione e prossimamente pubblicheranno una lettera pastorale sull’evolversi della situazione del Paese. (L.Z.)

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    Uganda: l’integrazione dei rifugiati passa attraverso le lezioni di diritto

    ◊   Trenta leader di rifugiati provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Burundi, dall'Eritrea e dall'Etiopia, hanno approfondito la conoscenza dei propri diritti e doveri grazie al workshop organizzato a Kampala, in Uganda, dal Jesuit Refugee Service. L’obiettivo è far condividere questa esperienza con le rispettive comunità di rifugiati e richiedenti asilo al fine di fornire gli strumenti per la loro integrazione nelle società ospitanti. Secondo quanto riferisce Fides, il workshop si è aperto presentando ai partecipanti la teoria e la terminologia della migrazione forzata, dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei rispettivi fondamenti giuridico-legali. Sono state quindi spiegate in dettaglio le varie questioni legate al processo di asilo, alla possibilità di accedere all'educazione, nonché ai servizi di formazione e al mercato del lavoro. Dopo aver risposto a una serie di quesiti specifici, l'avv. Buwa ha fornito ai partecipanti informazioni sulla proprietà di beni mobili e immobili, soffermandosi in particolare sulla legislazione riguardante il titolo di proprietà. Il legale del Refugee Law Project ha illustrato successivamente il ruolo del governo ugandese e dell'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) in fatto di protezione dei rifugiati. Secondo stime dell'UNHCR, nel maggio di quest'anno in Uganda si trovavano oltre 140 mila tra rifugiati e richiedenti asilo. Gran parte dei rifugiati sono ospitati in undici insediamenti sostenuti dalla stessa UNHCR, tuttavia le politiche liberali ugandesi in fatto di rifugiati consentono a quanti sono autosufficienti di vivere al di fuori delle strutture di accoglienza. È per questo motivo che nella sola Kampala risiedono 20mila tra rifugiati e richiedenti asilo. Il Programma urbano del Jesuit Refugee Service presta fin dal 1988 assistenza a richiedenti asilo e rifugiati che vivono a Kampala in condizioni di vulnerabilità. Nel 2009 il programma si è incentrato su tre obiettivi: aiuti di emergenza, advocacy ed educazione. Più di 1300 rifugiati e richiedenti asilo hanno fin qui ottenuto una qualche forma di assistenza in fatto di sistemazione abitativa, aiuti alimentari, prestazioni sanitarie e trasporti. Il personale JRS costituisce inoltre un punto di riferimento per le vittime di torture e per quanti necessitano di assistenza legale. (M.G.)

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    Cile: documento dei vescovi a conclusione della plenaria

    ◊   A conclusione della loro 98.ma assemblea plenaria, ieri, i vescovi del Cile hanno annunciato alle comunità ecclesiali del Paese un rinnovato impegno ìmissionario. Questa sfida pastorale, alla quale ha esortato Benedetto XVI, i presuli cileni la considerano di fondamentale importanza per “andare incontro ai fratelli e sorelle che si sono allontanati” così come per entrare “nelle famiglie con particolare attenzione per i bambini e i giovani”, chiamati a scoprire la bellezza “ e l’attualità della novità contenuta nel Vangelo del Signore”. I vescovi cileni tornano a riflettere anche sulla rilevanza delle celebrazione del bicentenario dell’indipendenza nazionale. “Nelle radici del Cile, scrivono, si trova l’annuncio del Vangelo e la presenza della Chiesa, che agisce sia nella vita personale sia in quella comunitaria dei cileni”. Ricordando altri messaggi recenti, i presuli ribadiscono l’urgenza di costruire una nazione per tutti: il “Cile, un tavolo per tutti”, come una famiglia, come un focolare “dove nessuno resta escluso e dove tutti possono dare un proprio contributo con i loro talenti creativi ed efficaci per superare le disuguaglianze sociali”. Dall’altra parte i presuli cileni ricordano di aver discusso anche sull’ambiente e sull’impatto di questi problemi nella vita delle persone. Nell’ambito delle questioni sociali rilevano che “i conflitti, gli scioperi, la qualità dell’educazione e della assistenza sanitaria così come la realtà dei popoli aborigeni” sono stati temi dell’agenda di lavoro di primaria importanza. Con riferimento alle prossime elezioni presidenziali i vescovi cileni da una parte sottolineano l’importanza di un modello di sviluppo capace di includere tutti e dall’altra la necessità di difendere e se necessario recuperare le tradizioni e l’identità nazionali. Si tratta, spiegano i presuli, di scopi da tener presente al momento di votare con responsabilità e discernimento. Nel campo dei valori i vescovi tornano a ricordare la centralità del valore della vita umana sin dal suo concepimento fino al suo termine naturale; l’importanza della famiglia; il superamento della miseria di ogni forma di esclusione sociale; lo sviluppo umano sostenibile e integrale, capace di generar uguaglianza, giustizia e solidarietà; e, infine, quale riassunto di questi principi, la centralità della persona umana e della sua dignità. Alla vigilia dell’udienza di Benedetto XVI ai Presidenti di Argentina e Cile in programma domani, la Conferenza episcopale ha infine voluto commemorare i 25 anni della firma del Trattato di pace e amicizia, che vide la luce grazie alla mediazione di Giovanni Paolo II : “Vogliamo esprimere la nostra gratitudine al Servo di Dio Giovanni Paolo II, poiché insieme ai suoi collaboratori seppe “aprire un cammino di pace e di amicizia” fra i due Paesi quando la guerra stava alle porte. Questa pace “è la vocazione dei credenti e vogliamo che si possa riflettere nella nostra convivenza nazionale così come in quella con i nostri fratelli argentini”. (A cura di Luis Badilla)

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    I Missionari redentoristi celebrano il 150.mo anniversario dell'arrivo in Sud America

    ◊   I Missionari redentoristi della Colombia hanno ricordato con una celebrazione nei giorni scorsi, i tre missionari italiani che arrivarono nel 1859 nella allora Repubblica della Nuova Granada, oggi Colombia. Erano i sacerdoti Enrico Tirino, Gioacchino D'Elia e Vittorio Loyodice, ed erano stati inviati dalla Santa Sede come responsabili di tutto il territorio del Casanare, antica missione dei gesuiti e degli agostiniani, che era stata abbandonata da molti anni. Questi missionari raggiunsero il territorio loro assegnato il 1° novembre 1859 e subito iniziarono ad evangelizzare i gruppi indigeni e i coloni presenti. Come ricorda una nota inviata all’agenzia Fides sulla celebrazione dei 150 anni dall’arrivo dei primi missionari redentoristi, la loro missione finì molto presto. Uno dei missionari morì annegato nel fiume Ariporo, un altro è morto di febbre gialla mentre, in barca, andava verso la zona di Arauca, e il terzo fu espulso dal paese dal governo anticlericale di Tomás Cipriano de Mosquera (1862). Nel frattempo gli altri quattro candidati che si preparavano a rafforzare la missione, non potevano lasciare l'Italia a causa dei moti rivoluzionari di Garibaldi. La celebrazione del 150° anniversario di questa missione, nella parte orientale della Colombia, si è svolta a Yopal e a Paz de Ariporo, nel dipartimento di Casanare, Colombia, il 23 e 24 novembre. Sono venuti espressamente per la celebrazione, l'arcivescovo di Villavicencio, mons. Oscar Urbina, e il vescovo di Arauca, mons. German Meza. Convenuti nel luogo dell’antica missione anche più di 80 missionari Redentoristi, per dare gloria a Dio per questo seme missionario piantato nel continente americano un secolo e mezzo fa. Erano proprio missionari redentoristi alcuni degli ultimi sacerdoti assassinati a marzo, nel dipartimento di Vichada. Nel comunicato dei redentoristi della Colombia diffuso per la triste circostanza si ricordava: “Offriamo con il sacrificio di Gesù Cristo sulla croce, i dolori e la perdita di questi nostri fratelli, rispettivamente di appena 41 e 46 anni. Chiediamo giustizia. Offriamo il perdono cristiano. Ribadiamo il nostro impegno di servire i poveri, in accordo alla vocazione che ereditiamo da San Alfonso Maria dei Liguori”. (R.P.)

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    Cina: per la Chiesa il nuovo ponte Shang Hai-Chong Ming rilancerà l'evangelizzazione

    ◊   L’apertura del ponte che collega l’isola di Chong Ming alla terraferma, alla città di Shang Hai, viene accolto dalla Chiesa locale come una nuova opportunità di rilanciare la missione dell’evangelizzazione in occasione dell’Expo 2010 che avrà luogo a Shang Hai. Infatti, dopo l’apertura del ponte, il primo gruppo di pellegrini, composto da 200 fedeli della cattedrale della diocesi di Shang Hai, guidati dal parroco e dal vicario diocesano, mons. Ai Zu Zhang, si è recato sull’isola di Chong Ming. Secondo le informazioni pervenute all’agenzia Fides, i pellegrini hanno celebrato una solenne Santa Messa nella chiesa dedicata al Sacro Cuore, quindi hanno ascoltato la presentazione storica e il progetto di evangelizzazione per il futuro illustrato dal parroco don Song Jian Li. Questo pellegrinaggio è stato considerato come una “prova generale” per rilanciare la missione dell’evangelizzazione durante l’Expo 2010 da parte della Chiesa locale. Il nuovo ponte, lungo 26 chilometri, aperto per l’Expo, si può attraversare in due ore. L’isola di Chong Ming, oggi decanato di Chong Ming, è un luogo ricco di testimonianze missionarie, quindi la Chiesa intende cogliere l’opportunità dell’Expo, approfittando del facile collegamento tra Shang Hai e l’isola, per rilanciare l’impegno missionario. Il decanato di Chong Ming, che si trova sull’isola di Chong Ming, la terza isola della Cina per le sue dimensioni, è composto da 12 tra parrocchie e cappelle. L’evangelizzazione richiede grande impegno e dedizione, a causa della difficoltà dei trasporti, del basso livello di istruzione dei fedeli (la maggior parte sono contadini e pescatori), della carenza di sacerdoti e religiose. Ma, senza scoraggiarsi, i sacerdoti che lavorano a Chong Ming hanno detto: “noi seminiamo la fede curandola, annaffiandola pazientemente. Per quanto riguarda il raccolto, affidiamo tutto al Signore. Lavorare qui sull’isola richiede zelo, capacità missionaria e spirito di dedizione, una grande fede e profonda preparazione interiore. Noi cerchiamo di essere all’altezza di questa missione”. (R.P.)

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    Libano: dal villaggio dei media cristiani un messaggio di pace per tutto il Medio Oriente

    ◊   Un’area di 27mila metri quadri con 155 uffici attrezzati, 8 studi di registrazione, tre canali satellitari, altrettante stazioni radio, un giornale quotidiano, un magazine, un internet provider. È quanto prevede il progetto del villaggio mediatico che sorgerà nel quartiere di Fatka, alla periferia di Beirut, presentato al Papa durante l’udienza generale di mercoledì scorso dai responsabili dell'emittente radiotelevisiva libanese Télé Lumière-Noursat. Accompagnato nell'Aula Paolo VI dal Patriarca maronita Nasrallah Boutros, il direttore generale di Télé Lumière, Jacques Kallassy, ha detto che si produrrà informazione in dodici lingue, da quelle internazionali - come il francese, l'inglese e l'arabo - a quelle più antiche del Medio Oriente: “Caldeo, assiro, armeno, ma anche greco, portoghese e tutti gli altri idiomi parlati dalle minoranze cristiane che abitano l'area”. Secondo quanto riferisce la Zenit, sono inoltre previste librerie, un museo sulla presenza cristiana in queste terre, un teatro, una struttura per formare operatori dell'informazione, persino un centro teologico. La prima pietra del villaggio multimediale è stata posta il primo ottobre 2008. Ora è tutto pronto per partire con i lavori. “Sarebbe meglio dire - ha puntualizzato Kallassy - con la ricostruzione, visto che durante la guerra del 2006, tra il 12 e il 22 luglio, tre torri per la trasmissione, una delle quali installata appena tre mesi prima, vennero bombardate e distrutte sulle montagne di Sannine e Terbol al nord e sulla collina di Fatka”. Télé Lumière è nata nel 1991 proprio in seguito a un altro conflitto - quello che per sedici anni aveva insanguinato il Libano dal 1975 al 1991 - con lo scopo di riaccendere la speranza tra la gente comune. Fondata da un monaco eremita, fratel Nour, e gestita da laici impegnati, “è l'emittente di tutti i cristiani del Medio Oriente - ha spiegato la responsabile dei programmi Marie-Therese Kreidy - e di quelli della diaspora nei cinque continenti”. (M.G.)

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    Polonia: i vescovi a difesa del Crocifisso "espressione della cultura europea"

    ◊   La Conferenza episcopale polacca ha fortemente criticato la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo emessa il 3 novembre scorso sul Crocifisso. In un comunicato emesso subito dopo l’Assemblea plenaria, che si è tenuta ieri, presso il santuario mariano nazionale di Jasna Gora a Czestochowa, i vescovi hanno sottolineato che "la Croce è un’espressione di amore e di devozione per gli altri. Non è un simbolo sacro solamente per tutti i cristiani, ma costituisce anche una componente importante dell'identità della cultura europea". È anche "presente nei simboli nazionali di molti Paesi e organizzazioni". Per questo, - riferisce l'agenzia Sir - i vescovi ne sottolineano la “dimensione universale". Secondo l’episcopato polacco, la difesa del Crocifisso “è un compito per tutti noi", perché "i diritti della minoranza non-credente deve andare di pari passo con il dovere di rispettare i diritti della maggioranza dei credenti". "Non si può ferire i sentimenti di persone per le quali la Croce è un simbolo dei valori più alti. Occorre rispettare il diritto di espressione pubblica delle loro convinzioni religiose”. Nel corso di una conferenza stampa l'arcivescovo Jozef Michalik, presidente della Conferenza episcopale, ha detto che su queste questioni, i vescovi e i cattolici “non possono tacere”. (R.P.)

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    Svizzera: domenica il referendum sulla costruzione dei minareti

    ◊   Domenica prossima, gli elettori svizzeri saranno chiamati a votare per un referendum che chiede il bando della costruzione dei minareti nel Paese. La proposta è sostenuta dal Partito popolare svizzero che teme i minareti come segno di una progressiva totale islamizzazione della Federazione. I musulmani della Svizzera - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono circa 400 mila, provenienti in maggioranza da Turchia o dai Balcani. Secondo un’inchiesta governativa, solo il 15% di essi praticano la fede in modo attivo. A tutt’oggi, su 150 moschee presenti nel Paese, solo cinque hanno un minareto. La discussione sui minareti sì-o-no ha polarizzato la popolazione. Quelli a favore del bando più che i minareti, temono una diffusione dell’islam e della violenza nei quartieri delle pacifiche comunità svizzere. Il partito popolare cita una frase del premier turco Erdogan, secondo cui “i minareti sono le baionette dell’Islam”. Quelli contrari al bando sono preoccupati che esso manifesti xenofobia e tradisca la tradizione di apertura e libertà del Paese. Anche la comunità del business è preoccupata perché ha molti legami economici con i Paesi islamici e temono che un bando ai minareti produca un boicottaggio dei prodotti svizzeri nei mercati del Medio oriente, che lo scorso hanno registrato una crescita del 14%. (R.P.)

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    Appello delle Chiese canadesi in favore dei rifugiati

    ◊   L’apertura di un tavolo di dialogo sulla questione della protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati. È quanto chiedono le Chiese cristiane canadesi in una lettera aperta al Premier Stephen Harper. Nella missiva, firmata anche dal presidente della Conferenza episcopale canadese mons. Pierre Morissette, vescovo di Saint-Gerôme, gli esponenti religiosi esprimono forti preoccupazioni per le recenti misure messe in atto dal Governo, in particolare i nuovi requisiti per ottenere il visto e la chiusura delle frontiere alle persone provenienti da Paesi con moratorie. A destare preoccupazione sono anche le recenti dichiarazioni del Ministro della cittadinanza e dell’immigrazione che ha proposto l’introduzione di un sistema a due velocità per la definizione dello status di rifugiati. “Queste misure – osserva la lettera – renderebbero il sistema meno equo e garantirebbe minori tutele ad alcuni richiedenti asilo che (sarebbero discriminati) in base ai loro Paesi di origine”. I firmatari della lettera ricordano inoltre che le Chiese e le organizzazioni religiose hanno contribuito al “successo del programma di patronato dei rifugiati provenienti da tutte le parti del mondo e di tutte le confessioni religiose”. Tra gli aderenti all’appello il Servizio per i Migranti e dei Rifugiati dei Gesuiti in Canada e il World Relief Development Fund della Chiesa anglicana canadese. (L.Z.)

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    Viterbo: al forum di Greenaccord oltre 100 giornalisti a confronto sui cambiamenti climatici

    ◊   Sono oltre 120 i giornalisti, provenienti da 53 Paesi del mondo che in questi giorni si sono riuniti a Viterbo nel forum internazionale della stampa organizzato dall’associazione culturale Greenaccord. Tema dell’incontro che si concluderà domenica: “Il Clima sta cambiando. Storie, fatti, persone”. Sono dieci i testimoni del cambiamento climatico che hanno raccontato le loro storie ai giornalisti presenti al forum internazionale. Testimonianze che parlano del pastore della Mongolia: a causa del surriscaldamento del clima, la siccità è diventata una minaccia di vita per lui e il suo bestiame; della contadina del Kenya, dove coltiva mais e the, che spiega come la mancanza di pioggia oltre a diventare un problema per le coltivazioni, favorisce un aumento di zanzare portatrici della malaria. “Fin dall’epoca dei Maya ai giorni nostri, il clima con i suoi capricci ha sempre influenzato il destino di intere civiltà”, ha spiegato ai presenti Brian Fogan, docente di antropologia dell’Università della California. “A causa dei gas serra siamo in una fase di riscaldamento del pianeta, tutto ciò è causato soprattutto dagli uomini”. E se il caldo aumenta, oltre alla siccità, c’è il grande problema dello scioglimento dei ghiacciai, con conseguenze disastrose non solo in Antartide, ma in tutto il pianeta soprattutto per il rischio di estinzione di molte specie animali. E domani i convegnisti affronteranno i cambiamenti causati dagli eventi estremi del meteo, e l’adattamento delle popolazioni ai mutamenti climatici del bacino del Mediterraneo. (Da Viterbo, Marina Tomarro)

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    Critiche agli Usa per il no al Trattato sulle mine anti-persona

    ◊   Sono già 127 i Paesi che si sono registrati per partecipare e una cinquantina quelli che saranno presenti con delegazioni di alto profilo alla Seconda Conferenza di revisione del Trattato di Ottawa per la messa al bando delle mine anti-uomo, in programma a Cartagena (Colombia) dal 29 novembre al 4 Dicembre. Lo apprende l’agenzia Misna da fonti colombiane che confermano anche la partecipazione, per la prima volta, di una delegazione americana. Oggetto di critiche e osservazioni la possibilità, da parte degli Stati Uniti - membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu - di inviare una sua delegazione in occasione della Conferenza. Questo comunicato è stato però accompagnato da una dichiarazione di Ian Kelly, portavoce della Casa Bianca, che ha ribadito la posizione del suo Paese di non voler aderire, almeno per ora, al Trattato di Ottawa. Dichiarazioni criticate dalla Campagna internazionale contro le mine (Icbl) che in una nota ha espresso “disappunto” chiedendosi “quale sia lo scopo di inviare allora una delegazione a Cartagena”. Dietro le posizioni ufficiali, fonti della MISNA sottolineano però che il passo della Casa Bianca dovrebbe essere letto positivamente almeno in considerazione del tenore delle dichiarazioni di Kelly, il quale ha detto che “l’amministrazione americana è impegnata in una revisione della sua politica sulle mine e che questa revisione è in corso”. Kelly ha anche detto che la revisione, la prima dal 2003, richiederà tempo e che, dovendo decidere se inviare o meno una delegazione a Cartagena, si è alla fine deciso in favore della prima opzione. “Fin quando questa revisione andrà avanti – ha concluso il portavoce – la nostra posizione non cambierà”. Secondo Steeve Goose, responsabile del dipartimento ‘armi’ dell’organizzazione non governativa americana ‘Human rights watch’ (Hrw) e relatore di una parte del rapporto annuale dell’Icbl sulle mine, la presenza di una delegazione americana a Cartagena è comunque da considerarsi un passo avanti. Goose ha anche detto che, pur non aderendo al Trattato, gli Stati Uniti rispettano già alcune sue importanti direttive: non usano infatti mine dal 1991, non le esportano dal 1992 e non le producono dal 1997. Gli Stati Uniti non hanno mai aderito al Trattato in vigore dal 1999, così come Russia, Cina, India e Pakistan, la maggior parte dei Paesi mediorientali e delle repubbliche ex-sovietiche. Il numero di Paesi che però hanno deciso di rinunciare ad un sistema d'arma il cui impatto umanitario a lungo termine è decisamente sproporzionato alla sua utilità militare, è più che triplicato. Più di 50 milioni di mine, immagazzinate negli arsenali di questi ed altri Paesi sono state distrutte. Anche il numero delle vittime sta lentamente diminuendo, parallelamente all'avanzare delle attività di sminamento e di prevenzione. E nel dicembre 2002 per la prima volta un Paese minato, il Costa Rica, è stato dichiarato "libero da mine". (C.P.)

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    Laurea 'honoris causa' al cardinale Maradiaga dall'Università cattolica di Budapest

    ◊   L’Università Cattolica “Péter Pázmány” di Budapest ha consegnato la laurea “honoris causa” al cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa in Honduras e presidente di Caritas Internationalis. La laurea ha voluto premiare l’ impegno del cardinale Maradiaga per la tutela dei diritti umani. L’atto accademico ha avuto inizio con la prolusione del decano della facoltà di filosofia dell’università. Successivamente il Rettore, don György Fodor, ha officiato il rito di consegna della laurea a cui ha fatto seguito la “lectio magistralis” tenuta dal cardinale Rodriguez Maradiaga. In dieci punti il presule ha motivato l’importanza di una università cattolica in una nazione. Essa ha il compito di divulgare il Vangelo nella società; di insegnare la dottrina sociale della Chiesa mostrandone per prima la concreta realizzabilità; di trasmettere le conoscenze con gli occhi della fede; di comunicare i principi di giustizia a amore affinché la società possa vivere nella pace. Nella sua lezione, inoltre, il cardinale Rodriguez Maradiaga ha dato una netta indicazione dei compiti che una università cattolica deve attuare e portare a termine, affinché percorra la strada dell’amore e conduca gli studenti e i docenti a camminare sulla strada che porta verso Dio, ad una fede più profonda e ad una speranza sostenitrice nella vita. Egli ha concluso ricordando che l’università cattolica ha bisogno di credere fermamente nella società basata sull’amore. Il porporato, in Ungheria già nei giorni precedenti alla consegna della laurea, ha incontrato anche i salesiani della comunità ispettoriale, insieme a don Van Hecke Albert, superiore dell’Ispettoria “Santo Stefano Re” dell’Ungheria, e la comunità formatrice di Budapest. (A.M.)

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    Mercatino della solidarietà a Roma per il lebbrosario "Vimala" di Bombay

    ◊   Un mercatino della solidarietà, in vista del prossime festività natalizie, sarà ospitato lunedì e martedì prossimi, 30 novembre e 1 dicembre, presso la Casina sociale del Circolo del Polo a Roma. L’iniziativa è dell’Associazione “Amici delle Missionarie dell’Immacolata”, sorta nel 1997 con finalità di solidarietà sociale a favore di persone svantaggiate per condizioni fisiche, psichiche, economiche e sociali o familiari. L’associazione ha soci benefattori in tutta Italia, che sostengono le opere già attuate o da realizzare, intraprese dalla Congregazione delle Missionarie dell’Immacolata. I fondi raccolti nel mercatino prenatalizio saranno interamente devoluti all’Ospedale lebbrosario “Vimala” di Bombay, in India, dove le missionarie dell’Immacolata, sono presenti con 50 case. (R.G.)

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    Sabati Mariani: al via a Roma il ciclo di incontri sulle figure sacerdotali mariane

    ◊   “Figure sacerdotali mariane, ieri e oggi”, è il tema che accompagnerà al 32.ma edizione dei Sabati mariani, che si apre domani a Roma, nella Basilica di santa Maria in via Lata, in via del Corso, alla presenza di mons. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle cause dei Santi. La serie di Sabati mariani si prolungherà fino al 29 maggio 2010, in concomitanza con l’anno dedicato da Benedetto XVI al sacerdozio. Per questo motivo i promotori del Centro di cultura Mariana hanno deciso di mettere al centro di questa edizione i grandi sacerdoti della storia che tanto hanno amato la Vergine Maria, di Lei hanno scritto e a Lei hanno consacrato intere famiglie religiose. L’obiettivo dell’iniziativa resta comunque l’approfondimento, dall’Avvento alla Pentecoste, della figura di Maria e del posto che la Vergine ha nel mistero di Cristo e della Chiesa. Perché il sabato – si legge nella nota degli organizzatori – “per antica tradizione è stato consacrato dalla Chiesa a Maria ed è chiamato Santa Maria in sabato, memoria viva di quel Sabato Santo nel quale solo la Madre mantenne indubitata la fede e salda la sua speranza nella trepida attesa della Resurrezione del Signore”. Ogni Sabato mariano si svolgerà dalle ore 16.00 ore 18.00 nella Basilica di Santa Maria in via Lata. Gli incontri saranno aperti da una lezione tenuta da Professori delle Università teologiche di Roma, seguirà un incontro fraterno e un tempo di preghiera “Con Maria la Madre di Gesù” per imporre su tutti gli uomini i doni dello Spirito, la misericordia e la pace. (M.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    L’Aiea condanna l’Iran per la costruzione dell'impianto nucleare di Qom

    ◊   L'Agenzia internazionale per l’energia atomica (l’Aiea) ha approvato poche ore fa, a Vienna, una risoluzione di "censura" contro Teheran per la mancata collaborazione sul suo programma nucleare. Teheran viene condannata per aver tenuto segreta, fino allo scorso ottobre, la costruzione di un nuovo impianto nucleare e per avere respinto la recente offerta dell'Aiea di far arricchire all'estero il suo uranio. L’ambasciatore iraniano all'Agenzia Onu, Ali Asghar Soltanieh, ha definito la condanna "un danno al clima dei colloqui fra Teheran e l’Aiea sul programma nucleare iraniano". Il servizio di Roberta Rizzo:

    L'Iran deve sospendere i lavori di costruzione dell’impianto nucleare di Qom: dopo ore di attesa, arriva la condanna ufficiale. Il Consiglio dei governatori dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea) ha votato poco fa una risoluzione di censura nei confronti dell'Iran per aver costruito, in segreto, il sito per l'arricchimento dell'uranio, nei pressi della città di Qom. La risoluzione, approvata a larga maggioranza (25 voti a 3, con 6 astensioni) è la prima in quattro anni, da parte dell'organismo, in cui siedono i rappresentanti di 35 Paesi e ha ricevuto l'inusuale appoggio di Russia e Cina. Ma soprattutto è un chiaro messaggio dell'irritazione internazionale per il comportamento tenuto dal regime di Teheran sul nucleare. L’Iran, infatti, aveva respinto di recente anche l’ultima offerta negoziata dall’Aiea: quella di far arricchire all’estero il suo uranio. Questa mattina, l’ambasciatore iraniano presso l’Agenzia Onu aveva chiesto ai membri del Consiglio dell’Aiea di non votare una risoluzione di censura contro Teheran. Per l'adozione della risoluzione bastava la semplice maggioranza dei 35 membri del consiglio dei governatori. Tre Paesi - Cuba, Venezuela, Malesia - hanno votato contro e sei si sono astenuti. Il sì di Russia e Cina è un fatto nuovo: finora i due membri con seggio permanente all'Onu si erano sempre mostrati riluttanti a condannare l'Iran. Non è chiaro, però, se la mossa di Mosca e Pechino, sponsorizzata dalle sei potenze mondiali, si tradurrà in un assenso automatico dei due Paesi a nuove sanzioni Onu contro Teheran.

     
    Iran - Shirin Ebadi
    Le autorità iraniane hanno confiscato il premio Nobel per la Pace all'avvocato Shirin Ebadi. La denuncia arriva dal Ministero degli esteri norvegese, che ha convocato l'ambasciatore iraniano a Oslo per presentargli una protesta formale. La medaglia d’oro e il diploma, ricevuti nel 2003 per l'impegno a favore dei diritti umani, sono stati prelevati dalla cassetta di sicurezza dov'erano custoditi. Teheran respinge le accuse avanzate dal ministro degli Esteri norvegese.

    Corea del Nord - nucleare
    La Corea del Nord insiste e riafferma il suo status di potenza nucleare. Il regime nordcoreano ha effettuato complessivamente due esperimenti nucleari, nel 2006 e nel maggio scorso, ma gli Stati Uniti e altre nazioni hanno sempre rifiutato di riconoscergli lo status di appartenenza al ristretto "club" dell'atomica, al fine di non legittimare il suo programma militare. Il mese prossimo, tuttavia, avrà luogo il primo vertice tra rappresentanti di Pyongyang e dell'amministrazione Usa.

    Germania - Afghanistan
    L'ex ministro della Difesa tedesco e attuale ministro del Lavoro, Franz Josef Jung (Cdu), ha rassegnato le dimissioni. Lo ha annunciato lo stesso Jung con una breve dichiarazione a Berlino. La decisione è la conseguenza dello scandalo seguito alla mancata pubblicazione dei rapporti sul bombardamento Isaf di due convogli cisterna, rubati dai talebani, a Kunduz. La stampa tedesca accusa i vertici militari e il governo di avere occultato informazioni sul numero delle vittime della strage. Ieri, per lo stesso motivo si erano dimessi il capo di Stato maggiore dell'esercito, Wolfgang Schneiderhan, e il sottosegretario alla Difesa.

    Afghanistan - Karzai
    Intanto in Afghanistan cresce la tensione. Il presidente afghano Hamid Karzai ha ripetuto oggi il suo appello ai talebani ostili al governo, ed in particolare al mullah Omar, "ad unirsi agli altri afghani per il rinnovamento e la ricostruzione del nostro Paese". In mattinata stava per consumarsi un nuovo attentato dinamitardo contro il governatore della provincia meridionale afghana di Kandahar. Tooryalai Wesa stava recandosi stamani alla preghiera per la festa religiosa dell'Eid al-Adha, quando l'esplosione di un ordigno nascosto sul ciglio della strada ha investito il convoglio di mezzi su cui viaggiava il governatore. Tooryalai Wesa è uscito illeso mentre un agente di scorta è rimasto ferito.

    Medio Oriente
    Un'improvvisa recrudescenza di violenza si registra tra israeliani e palestinesi, mentre si attende di conoscere se l'accordo con Hamas per lo scambio di prigionieri, slittato alla settimana prossima, andrà in porto. A nord della città turistica di Eilat, una pattuglia israeliana ha sventato un probabile attentato: i militari hanno trovato 15 kg di esplosivo lasciati da un uomo che è riuscito però a dileguarsi. Dopo i colpi di mortaio lanciati nel Neghev, Israele ha compiuto un raid aereo a Jabaliya, nella Striscia di Gaza. Quattro palestinesi sono stati feriti. Le forze israeliane avrebbero ucciso un terrorista di Al Qaeda.

    Dubai - crac finanziario
    Il governo di Dubai rassicura i mercati dopo l'annuncio della richiesta di una moratoria da parte del Fondo "Dubai World". L'economia del Paese è "durevole" e "i fondamentali economici, le infrastrutture e il nostro centro finanziario permetteranno a Dubai di restare un posto attrattivo nella regione", sostiene in una nota il presidente del comitato fiscale, lo sceicco Ahmed ben Said Al Maktoum. I mercati hanno i nervi scoperti e il timore di un eventuale crac della holding dell'emirato, che ha chiesto alle banche di sospendere per sei mesi i pagamenti sul debito di 59 miliardi, ha portato gli indici guida a cedere oltre il 3% e in Europa a bruciare oltre 150 miliardi di euro.

    Filippine - violenza
    Individuato il responsabile del massacro nell’isola di Mindanao, nelle Filippine, ma le violenze non sembrano arrestarsi. Ucciso anche un impiegato dell’Unicef. Il servizio di Chiara Pileri:

    Il politico bersaglio della strage di lunedì scorso, nell'isola filippina di Mindanao, non ha rinunciato a presentare la sua candidatura a governatore della provincia di Maguindanao. La polizia conferma che il responsabile della strage, costata la vita ad almeno 57 persone, è Andal Ampatuan Junior, sindaco della città di Datu Unsay. Un testimone ha affermato di aver visto il sindaco prendere parte al massacro impartendo personalmente alcuni ordini. Secondo quanto poi riferito dal colonnello Romeo Brawner due comandanti dell'esercito delle Filippine sono stati rimossi dai loro incarichi, perché sospettati di cattiva condotta, ma non di coinvolgimento diretto con quanto accaduto. Nella stessa isola filippina, un dipendente del Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia (Unicef) è stato ucciso da uno sconosciuto. La vittima, durante l’agguato, è stato raggiunto da alcuni colpi d’arma da fuoco allo stomaco, ed è morto subito dopo il trasporto in ospedale. Gli inquirenti stanno indagando per far luce sulle cause dell'aggressione, avvenuta nonostante le straordinarie misure di sicurezza adottate nella provincia.

     
    Namibia - elezioni
    Si sono aperti questa mattina, in Namibia, i seggi per le elezioni politiche e presidenziali, le quarte dall'indipendenza del Paese dal Sudafrica nel 1990. Poco più di un milione gli aventi diritto al voto, per il quale sono in corsa 14 partiti per 74 seggi parlamentari; 12 i candidati alle presidenziali. L'esito del voto sembra scontato: quasi certa vittoria dello Swapo (Organizzazione del Popolo del Sud Africa Occidentale), da sempre al potere con larghissima maggioranza. Appare certa anche la conferma a presidente del leader dello Swapo, Hifikepunye Pohamba, 74 anni, succeduto al "Padre della Patria" Sam Nujoma nel 2005. Le urne si chiuderanno domani sera.

    Cina - condanne a morte
    Sono state eseguite in Cina le condanne a morte di due uomini accusati di traffico di bambini. I due erano stati riconosciuti colpevoli del sequestro di 15 minori di età compresa tra i 3 ed i 6 anni. Nei primi dieci mesi dell'anno, oltre 1.714 persone sono state condannate in Cina per questo tipo di reato.

    India - clima
    L’India dice "no" alle concessioni sulla riduzione dei gas che producono l'effetto serra. L’annuncio di Usa e Cina, dei giorni scorsi, sul taglio delle emissioni e la conferma della loro presenza al vertice di Copenhagen non ha convinto il Paese asiatico a schierarsi a fianco dei due colossi. Inaugurando a New Delhi una Conferenza internazionale sulle tecnologie legate ai mutamenti climatici, il premier indiano, Manmohan Singh, ha detto che “solo il criterio pro capite è equo quando si vogliono misurare i livelli di emissione di gas serra nelle differenti nazioni e si vuole trovare un accordo a lungo termine sui mutamenti climatici”. Singh sta valutando comunque l'opportunità di accettare l'invito a partecipare ai lavori della Conferenza dell'Onu che si terrà a dicembre a Copenaghen.

    Nomine Ue
    Il presidente della Commissione europea, Barroso, ha annunciato i nomi dei nuovi commissari dell’Unione. Antonio Tajani è stato nominato commissario europeo per l'Industria. Attualmente commissario ai Trasporti, Tajani manterrà anche la carica di vicepresidente dell'Esecutivo europeo. La scorsa settimana erano stati nominati il presidente stabile, il belga Herman Van Rompuy, e la britannica Catherine Ashton, come Alto rappresentante della politica estera.

    Berlusconi - Processo Mills
    E' stato fissato per il 4 dicembre prossimo il processo nei confronti del primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, imputato a Milano per corruzione in atti giudiziari. Niccolò Ghedini, che insieme a Piero Longo difende il presidente del Consiglio nel processo milanese nel caso Mills, ha annunciato che il 4 dicembre il premier è legittimamente impedito, perché impegnato in Consiglio dei ministri. Questa mattina il collegio che ha giudicato David Mills, che aveva sospeso il processo nei confronti di Berlusconi nonché stralciato la sua posizione, si è dichiarato incompatibile e sarà sostituito da nuovi giudici.

    Honduras - elezioni
    Tensione in Honduras in attesa delle consultazioni elettorali di domenica 29 novembre. Tra i candidati non figurano né il presidente deposto, Manuel Zelaya, nè quello appoggiato dai golpisti, Roberto Micheletti, ma il leader espulso dal Paese il 28 giugno scorso e rientrato clandestinamente ha invitato i suoi sostenitori a boicottare il voto, considerandolo una legittimazione del colpo di Stato. I sondaggi danno per favorito il conservatore Porfirio "Pepe" Lobo, membro del Partito Nazionale, sconfitto da Zelaya alle elezioni del 2005.

    Ua - diritti umani
    Il presidente della Commissione africana dei diritti dell'uomo e dei popoli ha lanciato un appello agli Stati membri dell'Unione Africana a firmare, qualora non l'abbiano ancora fatto, il protocollo che istituisce il Tribunale africano dei diritti dell'uomo. Le procedure giudiziarie e di legge sono state tutte armonizzate e adottate a Dakar il mese scorso. Il presidente della Commissione, Bahame Mkirya Tom Nyaamdunga, ha invitato gli Stati africani a inviare all'organismo rapporti periodici al fine di instaurare un dialogo costruttivo e consentire alla Commissione di avere un quadro sempre completo sulla situazione dei diritti umani nei vari Paesi.

    Capo Verde - Costituzione
    Maggioranza e opposizione hanno raggiunto l'intesa per modificare la Costituzione di Capo Verde, l'arcipelago-Stato al largo delle coste dell'Africa occidentale. L'accordo è arrivato dopo undici mesi di contrasti e tensioni nelle trattative, che hanno portato più volte il Paese sull'orlo di una grave crisi interna. Il nuovo testo sarà discusso e approvato il 9 dicembre durante una sessione straordinaria dell'assemblea nazionale. Il Partito africano per l'Indipendenza di Capo Verde (Paicv, al potere) e il Movimento per la Democrazia (Mpd, opposizione) in un comunicato congiunto hanno salutato l'accordo come "una vittoria della democrazia" e una "vittoria di tutti i capoverdiani". La nuova Costituzione rivoluzionerà totalmente il settore della Giustizia, l'aspetto più controverso e dibattuto della trattativa. Cambierà, in particolare, il regime di nomina dei giudici della Corte Costituzionale, mentre il creolo di Capo Verde affiancherà il portoghese come lingua ufficiale. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Rizzo e Chiara Pileri)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 331

     
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