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Sommario del 25/11/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'udienza generale: il mondo sarebbe più felice se le persone imitassero il rapporto d'amore nella Trinità
  • Nomine
  • Delegazione della Santa Sede a Istanbul per la Festa di Sant'Andrea, Patrono del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli
  • Premiati in Vaticano sei scienziati al servizio della pace
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Un quotidiano dai valori chiari che dà voce agli ultimi e dialoga con i lontani: così il nuovo direttore di "Avvenire" Marco Tarquinio
  • La vita sorprende la scienza: il caso di un uomo ritenuto in stato vegetativo, ma era cosciente
  • A Roma il Consiglio pastorale nazionale dei cappellani delle carceri
  • Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne
  • Verso il vertice dell'Onu sul clima a Copenaghen
  • A Viterbo il Forum internazionale di Greenaccord sui cambiamenti climatici
  • Chiesa e Società

  • Kenya: i vescovi contro la nuova Costituzione
  • I vescovi croati invitano la popolazione a partecipare alle elezioni
  • Spagna: le Reali accademie contro la nuova legge sull’aborto
  • Spagna: la Caritas contro la crisi in aiuto dei “nuovi poveri”
  • Un miliardo e mezzo di persone nel mondo senza elettricità
  • Save the children: nel mondo 6 milioni di bimbi abbandonati in istituti
  • Pakistan: in arrivo aiuti dell’Onu per l’inverno
  • Australia: per San Valentino i vescovi lanciano una campagna sul matrimonio
  • Un convegno all’Urbaniana contro la pena di morte: ‘No justice without life’
  • 24 Ore nel Mondo

  • Filippine: proseguono le indagini sulla strage a Mindanao
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'udienza generale: il mondo sarebbe più felice se le persone imitassero il rapporto d'amore nella Trinità

    ◊   Se le relazioni tra le persone umane fossero modellate sul rapporto d’amore che lega le tre Persone divine, il mondo sarebbe un luogo più felice, nel quale ciascuno vivrebbe “per l’altro”. E’ la considerazione con la quale Benedetto XVI ha terminato questa mattina la catechesi all’udienza generale, in Aula Paolo VI. Il Papa ha tratto ispirazione dagli scritti di due monaci teologi del XII secolo, Ugo e Riccardo, che vissero nella famosa abbazia parigina di San Vittore. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    La storia degli uomini non è un cieco susseguirsi di fatti orientati dal caos, ma il luogo dove Dio ha inviato suo Figlio e dove continua ad agire attraverso lo Spirito Santo. E se l’animo umano fosse più capace di contemplare le realtà celesti sull’esempio della Trinità, e comportarsi di conseguenza, scoprirebbe che il “miracolo” della felicità è possibile anche nella realtà terrena. Sono in estrema sintesi gli insegnamenti ricavati dai due teologi di 800 anni fa - Ugo e Riccardo di San Vittore - che Benedetto XVI ha proposto alle migliaia di fedeli che lo hanno ascoltato in Aula Paolo VI. Nella Parigi del XII secolo, San Vittore è un’abbazia dalla “solida identità culturale”, tanto che i suoi monaci saranno chiamati i “Vittorini”. In essa, ha spiegato il Papa, “si realizzò una sintesi felice” tra le due correnti teologiche più in voga all’epoca: la monastica, più “orientata alla contemplazione dei misteri della fede”, e la scolastica, che utilizzava la ragione “per scrutare i misteri” divini. Ugo di San Vittore, ha detto il Pontefice, è molto interessato “al rapporto tra fede e ragione” e fonda la sua scienza teologica sull’approccio storico-letterale della Bibbia:
     
    “In altre parole, prima di scoprire il valore simbolico, le dimensioni più profonde del testo biblico, occorre conoscere e approfondire il significato della storia narrata nella Scrittura: diversamente - avverte con un efficace paragone - si rischia di essere come degli studiosi di grammatica che ignorano l’alfabeto”.

     
    Di qui, argomenta il monaco Ugo, se si conosce il senso della storia nella Bibbia, allora anche le vicende umane “appaiono segnate dalla provvidenza, secondo un suo disegno ordinato”:
     
    “Così, per Ugo di San Vittore, la storia non è l’esito di un destino cieco o di un caso assurdo, come potrebbe apparire. Al contrario, nella storia umana opera lo Spirito Santo, che suscita un meraviglioso dialogo degli uomini con Dio, loro amico. Questa visione teologica della storia mette in evidenza l’intervento sorprendente e salvifico di Dio, che realmente entra e agisce nella storia, quasi si fa parte della nostra storia, ma sempre salvaguardando e rispettando la libertà e la responsabilità dell’uomo”.
     
    Inoltre, ha ricordato Benedetto XVI, Ugo di San Vittore dà una definizione di “sacramento” che mostra in modo efficace tanto la “corporeità” del simbolo che rende visibile il sacramento stesso, quanto la forza della grazia che in esso è contenuta:
     
    “È importante anche oggi che gli animatori liturgici, e in particolare i sacerdoti, valorizzino con sapienza pastorale i segni propri dei riti sacramentali - questa visibilità e tangibilità della Grazia - curandone attentamente la catechesi, affinché ogni celebrazione dei sacramenti sia vissuta da tutti i fedeli con devozione, intensità e letizia spirituale”.

     
    A differenza di Ugo, il suo discepolo Riccardo è un mistico e dunque “privilegia - ha notato Benedetto XVI - il senso allegorico” della Bibbia. In una sua opera, il monaco:

     
    “Propone ai fedeli un cammino spirituale che invita anzitutto ad esercitare le varie virtù, imparando a disciplinare e a ordinare con la ragione i sentimenti ed i moti interiori affettivi ed emotivi. Solo quando l’uomo ha raggiunto equilibrio e maturazione umana in questo campo, è pronto per accedere alla contemplazione (...) La contemplazione quindi è il punto di arrivo, il risultato di un arduo cammino, che comporta il dialogo tra la fede e la ragione, cioè - ancora una volta - un discorso teologico”.

    “Questa applicazione del ragionamento alla comprensione della fede”, ha constatato il Pontefice, viene praticata “in modo convincente” da Riccardo nel suo capolavoro sulla Trinità. Si tratta di un’acuta descrizione dei rapporti d’amore che uniscono le tre Persone trinitarie, della “gioia incessante” che li caratterizza. Un modello, ha affermato il Papa, che se imitato dall’uomo segnerebbe in positivo l’umanità:

     
    “Come cambierebbe il mondo se nelle famiglie, nelle parrocchie e in ogni altra comunità i rapporti fossero vissuti seguendo sempre l’esempio delle tre Persone divine, in cui ognuna vive non solo con l’altra, ma per l’altra e nell’altra! Lo ricordavo qualche mese fa all’Angelus: ‘Solo l'amore ci rende felici, perché viviamo in relazione, e viviamo per amare e per essere amati’”.
     
    Ai saluti successivi alle catechesi nelle altre lingue, Benedetto XVI ha rivolto ai giovani, ai malati e ai nuovi sposi un pensiero sul prossimo inizio dell’Avvento:

     
    “Esorto voi, giovani, a vivere questo ‘tempo forte’ con vigile preghiera e generoso impegno evangelico. Incoraggio voi, malati, a sostenere con l'offerta delle vostre sofferenze il cammino di preparazione al Santo Natale del popolo cristiano. Auguro a voi, sposi novelli, di essere testimoni dello Spirito d'amore che anima e sostiene l'intera Famiglia di Dio".

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    Nomine

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Potosí (Bolivia), presentata da mons. Walter Pérez Villamonte, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede mons. Ricardo Ernesto Centellas Guzmán, vescovo titolare di Torri di Ammenia, finora vescovo ausiliare della medesima diocesi. Mons. Ricardo Ernesto Centellas Guzmán è nato a Suquistaca, Camargo, dipartimento di Chuquisaca, arcidiocesi di Sucre, il 7 novembre 1962. È stato ordinato sacerdote l’11 agosto 1988. Nominato vescovo ausiliare di Potosí il 30 giugno 2005, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 15 settembre successivo.

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Teófilo Otoni (Brasile), presentata da mons. Diogo Reesink, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Aloísio Jorge Pena Vitral, finora vescovo titolare di Tubursico-Bure ed ausiliare di Belo Horizonte. Mons. Aloísio Jorge Pena Vitral è nato il 23 aprile 1955 a Rio de Janeiro, nell’omonima arcidiocesi. Il 18 gennaio 1986 è stato ordinato sacerdote e incardinato nell’arcidiocesi di Belo Horizonte. L’11 febbraio 2006 è stato nominato vescovo titolare di Tubursico-Bure ed ausiliare di Belo Horizonte. Il 25 marzo 2006 ha ricevuto l’ordinazione episcopale.

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    Delegazione della Santa Sede a Istanbul per la Festa di Sant'Andrea, Patrono del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli

    ◊   Com’è ormai tradizione, una delegazione della Santa Sede si recherà a Istanbul per partecipare, lunedì 30 novembre, alle celebrazioni del Patriarcato Ecumenico in onore di Sant’Andrea, Patrono della Chiesa di Costantinopoli. La delegazione, latrice di un Messaggio del Papa, è composta dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, da mons. Brian Farrell, segretario del medesimo dicastero, e dagli officiali Andrea Palmieri e Vladimiro Caroli. La delegazione, cui si unirà l’arcivescovo Antonio Lucibello, nunzio apostolico in Turchia, arriverà ad Istanbul domenica prossima. Martedì primo dicembre si svolgeranno le conversazioni bilaterali con i rappresentanti del Patriarcato Ecumenico. La visita è ricambiata da una delegazione ortodossa, in occasione delle celebrazioni romane per la festa dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno.

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    Premiati in Vaticano sei scienziati al servizio della pace

    ◊   Nella suggestiva cornice della Pontificia Accademia delle Scienze, la Federazione Mondiale degli Scienziati ha premiato stamani sei studiosi che si sono maggiormente distinti nel promuovere una scienza al servizio della pace. Il "Premio Ettore Majorana - Erice - Scienza per la Pace" è stato consegnato ad Herbert Aaron Hauptman, che ha aperto una nuova era nello studio della struttura molecolare, a David Hunter Hubel, per il suo contributo nella comprensione dei meccanismi sensoriali, a Bengt Ingemar Samuelsson, per gli studi nel campo della chimica e della biologia. Gli altri tre scienziati premiati sono Honglie Sun, promotore di una rete cinese per la ricerca sugli ecosistemi, Ada Yonath, per le sue ricerche sulla biosintesi proteica, e Robert Huber, per i suoi studi sulla funzione delle proteine. La cerimonia è stata aperta da mons. Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze. Durante l’incontro è stata ribadita l'alleanza tra scienza e fede. Al microfono di Amedeo Lomonaco il presidente della Federazione Mondiale degli Scienziati, prof. Antonino Zichichi:

    R. – La cultura del nostro tempo ha bisogno della scienza, in quanto la scienza è il motore del progresso. Per capire cosa vuol dire fuoco c’è voluta la scienza galileiana. Capite le leggi fondamentali della natura, le applicazioni sono innumerevoli. Scienza e fede non sono nemiche perché la scienza è nata a casa nostra. La scienza nasce con Galilei che vuole cercare nelle pietre le impronte del Creatore.

     
    D. – Quali sono oggi i nemici più agguerriti della scienza, della pace e dell’umanità?

     
    R. – Le ideologie nefaste che incitano all’odio, alla prepotenza e che producono le 63 emergenze planetarie. La più grave è quella culturale. Il terrorismo è un prodotto dell’emergenza culturale, dell’olocausto culturale verso il quale stiamo andando.

     
    D. – Come prevenire un olocausto culturale?

     
    R. – Facendo capire al grande pubblico che la scienza è il motore del progresso. La gente non sa cosa sia la scienza. Se tutto è scienza, nulla è scienza. Enrico Fermi definì “Hiroshima culturale” il parlare della scienza senza averne mai fatta, dando alla scienza colpe che non ha.

     
    D. – Linguaggio, logica e scienza sono oggi i pilastri di quale futuro?

     
    R. – Sul futuro dell’umanità io sono ottimista, perché non possiamo dimenticare che 20 anni fa abbiamo corso il rischio di saltare tutti in aria. Io penso che vinceremo la battaglia culturale avendo dal nostro lato il grande pubblico. Se facessimo un referendum mondiale su questi temi, vincerebbe la solidarietà, l’amicizia tra i popoli. Non è un caso che Benedetto XVI abbia richiamato l’attenzione della cultura moderna sulla ragione. Perché? Perché siamo l’unica forma di materia vivente dotata di ragione. Per questo il Papa fa bene a richiamare l’attenzione della cultura sulla ragione. Se noi non fossimo dotati di ragione non potrebbero esistere il linguaggio, la logica e la scienza. Il linguaggio ha come grande conquista la memoria collettiva permanente.

     
    D. – Quali linee guida hanno orientato la scelta dei premiati?

     
    R. – Sono grandi scienziati che hanno preso parte allo spirito di Erice che vuole una scienza senza segreti e senza frontiere.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L'amore trinitario modello delle relazioni umane: all'udienza generale il Papa parla di Ugo e Riccardo di San Vittore.

    Guerra e pace: in prima pagina, Giuseppe M. Petrone sul confronto fra Putin e Medvedev.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, la crisi afghana: il ministro della Difesa britannico invita Obama a fare presto nel definire la nuova strategia.

    Il profeta dei muro caduto: a vent'anni dalla morte Eliana Versace ricorda Benigno Zaccagnini.

    Quando l'ominide si è accorto di esserci; su teologia ed evoluzionismo la prolusione di Fiorenzo Facchini all'apertura dell'anno accademico della Facoltà teologica dell'Emilia Romagna.

    Non è un buon economista chi è solo un economista: Silvia Guidi sulla “sociologia cristiana” di Giuseppe Toniolo.

    Un articolo di Sandro Barbagallo dal titolo “Al galoppo nei pascoli dell'astratto”: il Guggenheim di New York festeggia con una retrospettiva dedicata a Vassilij Kandinski il cinquantesimo anniversario del “Blaue Reiter”.

    Con la camera d'aria stretta tra i denti: Giovanni Zavatta intervista Fiorenzo Magni, vincitore di tre Giri d'Italia e presidente della Fondazione Museo del ciclismo Madonna del Ghisallo.

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    Oggi in Primo Piano



    Un quotidiano dai valori chiari che dà voce agli ultimi e dialoga con i lontani: così il nuovo direttore di "Avvenire" Marco Tarquinio

    ◊   Tanti gli auguri giunti a Marco Tarquinio, da ieri nuovo direttore di “Avvenire”, il quotidiano dei cattolici italiani: tra gli altri, anche quelli del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Tarquinio, nato a Foligno 51 anni fa, è sposato, ha due figlie, e lavora dal 1994 per "Avvenire" dove ha ricoperto gli incarichi di caporedattore, vicedirettore e direttore ad interim. Ma ascoltiamo il nuovo direttore al microfono di Debora Donnini:
     
    R. – Naturalmente, c’è una grande emozione in un momento come questo. Io sono ad “Avvenire” dal 1994, quindi è un giornale che ho imparato a conoscere bene; ci sono arrivato per scelta, venendo da altre testate giornalistiche anche importanti, e non mi sono mai pentito di questa scelta. E’ la voce dei cattolici italiani, è un giornale capace di alzare lo sguardo sul mondo e di concentrarlo sui più deboli e sugli ultimi; riusciamo a farlo, ad “Avvenire”, coniugando la sensibilità cristiana e la grande professionalità dei colleghi che ci lavorano. Quindi, l’emozione nasce da tutto questo, oltre che dal fatto di raccogliere un testimone importante da coloro che mi hanno preceduto alla direzione di questo giornale.

     
    D. – Qual è la linea editoriale che lei intende seguire?

     
    R. – La linea editoriale di “Avvenire” non cambia. Siamo un giornale che intende valorizzare tutto il bene che c’è e cresce nella società italiana, guardando a tutti i problemi che ci sono nella nostra società ma con un obiettivo chiaro: dare voce a ciò che è segno di contraddizione rispetto alla crisi, all’incomunicabilità, allo scontro, alla difficoltà di costruire un futuro umano, vale a dire una società centrata sulla persona umana.

     
    D. – Nel comunicato del Cda di “Avvenire” si legge che il quotidiano offre una lettura della realtà, prima ancora della sua interpretazione, ispirandosi al primato della verità e non curante di logiche omologanti. Le chiedo qualche esempio di questa non-omologazione che “Avvenire” fa e intende continuare a fare, e come ispirarsi oggi al primato della verità?

     
    R. – Noi abbiamo una bussola chiara nel nostro lavoro: la centralità della persona umana e, se vogliamo usare termini molto efficaci che ci sono stati consegnati dal Magistero di Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto XVI, abbiamo dei valori sui quali non mercanteggiamo, nel leggere la realtà e nel valutare i fatti della politica, dell’economia, della società: il valore assoluto della vita umana dal suo inizio fino al termine naturale, la centralità naturale e giuridica della famiglia, la libertà profonda delle famiglie nell’educare i figli. Tutto questo ci dà la griglia con la quale guardare alla realtà e ci fa incamminare verso la ricerca della verità. Tutto questo rischia anche di diventare pietra dello scandalo, in tante situazioni, perché il nostro approccio ai fatti di cronaca risulta sorprendente per chi guarda con ottimismo esagerato a ciò che sta accadendo nel nostro mondo. Per spiegarmi bene: i conseguimenti della scienza e della tecnologia sono importanti e aiutano l’uomo a vivere meglio sulla faccia della terra, ma nella misura in cui sono al servizio dell’uomo, non se diventano strumenti per manipolare l’umanità e per fare della terra un grande laboratorio senza regole.

     
    D. – Queste logiche non omologanti sono appunto anche quelle di parlare di temi come la persecuzione dei cristiani nel mondo?

     
    R. – Questo è un impegno quotidiano: tenere monitorata la realtà dei nostri fratelli di fede. Ma non solo per una solidarietà inevitabile: per una scelta culturale. I cristiani sulla faccia della terra sono un segno di pace e sono testimoni della possibilità della convivenza. Questo è frutto della storia ed è il frutto di una consapevolezza crescente di quello che significa essere fedeli al Vangelo ed essere Chiesa. Tutto questo non è percepito in un Occidente che ancora ha sulla coscienza l’epoca della colonizzazione, gli errori che sono stati commessi dalle grandi nazioni europee nello sfruttare la terra … C’è una sorta di incapacità di comprendere che i cristiani sono vittime, in tante situazioni. Noi pensiamo sempre al cristianesimo come ad un dato solamente europeo: il cristianesimo è un dato mondiale e le società nelle quali il dato cristiano è profondamente radicato sono oggi spesso in condizione di minoranza. E minoranza drammaticamente perseguitata. Non saper riconoscere questo significa non capire che il problema della libertà religiosa nel mondo va affrontato in maniera radicalmente diversa da chi si crede al sicuro. E purtroppo, non è così!

     
    D. – Rispetto all’Europa, lei ritiene centrale la difesa della famiglia, anche con politiche adeguate?

     
    R. – Lo sforzo che stiamo facendo è di far capire che in una società che si va “precarizzando” per tanti motivi, difendere oggi nella nostra Europa, in Italia, l’idea di una famiglia così strutturata e tendenzialmente stabile, significa continuare a rendere un grande servizio all’idea di una società nella quale la rete di solidarietà non è un’idea astratta, ma è la concretezza di vita. L’idea comunitaria appartiene profondamente alla visione cristiana dello “stare insieme” in una società, ma è anche la via per l’integrazione dei “diversi da noi” culturalmente, e per costruire quindi società che abbiano un futuro.

     
    D. – Paolo VI fu l’ideatore di “Avvenire”; voleva – come viene appunto sottolineato nel comunicato del Cda oggi – un quotidiano fatto da cattolici ma non solo per i cattolici. Ecco: come realizzare questo intento?

     
    R. – L’esperienza di questi anni dice che “Avvenire” è un giornale che riesce a parlare a coloro che sono parte della comunità cattolica, ma riesce ad interessare e coinvolgere anche i cosiddetti “lontani”. Abbiamo trovato tanti compagni di strada, lungo questo cammino, e anche lettori. Io credo che questa strada debba essere ancora battuta. Abbiamo la capacità per farlo perché quando si hanno valori chiari di riferimento, il dialogo diventa possibile. Quello che riteniamo essere necessario oggi, è che la voce dei cattolici ci sia e si faccia sentire in questo dialogo con la sua specificità e la sua capacità profetica e di futuro.

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    La vita sorprende la scienza: il caso di un uomo ritenuto in stato vegetativo, ma era cosciente

    ◊   Ha fatto il giro del mondo il caso, in Belgio, di Rom Houben, l’uomo considerato per 23 anni in stato vegetativo permanente e che invece, si è scoperto, era quasi completamente cosciente. “Questa vicenda deve servire a non usare più il termine “permanente”, dobbiamo invece parlare di “sindrome persistente nel tempo” da valutare volta per volta”, così commenta Fulvio De Nigris, direttore della Casa dei Risvegli “Luca De Nigris” di Bologna. Giuseppe Petrocelli lo ha intervistato.

    R. – L’errore diagnostico su questi casi è molto evidente, oltrepassa anche il 40 per cento dei casi. Quindi, nulla di più facile che questa persona fosse stata dichiarata in stato vegetativo e probabilmente non si trovasse in questo stato. Per noi non è una novità, nel senso che rafforza la nostra convinzione, e la speranza che i familiari hanno, che qualcosa possa accadere.

     
    D. – Questo caso apre una frontiera culturale: vengono messe in crisi le certezze...

     
    R. – Lo stato vegetativo è una persona gravemente cerebrolesa, ma è una persona che, come tale, va accolta, ha un problema che va condiviso e alla quale bisogna riservare un ruolo in questa società. Questo forse è l’aspetto più difficile: guardare a queste persone con gli occhi della sensibilità, della socievolezza e della democrazia. Questa è una cosa ancora un po’ in là da raggiungere, ma penso che noi ce la faremo.

     
    D. – In che senso?

     
    R. – Nel senso che oggi noi dobbiamo anche capire che il coma va comunicato con grande serietà e grande approfondimento. Si fa molta confusione tra coma, stato vegetativo. L’uso delle parole, invece, è molto importante, per far capire anche, in questo caso ai familiari, che si sta parlando proprio del proprio caro e non di un’altra persona.

     
    D. – Ci spieghi le differenze dei vari stati...

     
    R. – Il coma dura poche settimane: è uno stato in cui non c’è relazione con l’ambiente e non c’è nessun tipo di sollecitazione con l’esterno. Poi, dopo poche settimane si aprono gli occhi e lì si va in uno stato cosiddetto vegetativo, che oggi può essere persistente. Si tende a non usare più la parola permanente, anche perché molti familiari hanno potuto constatare loro stessi che questo è uno stato che si modifica nel tempo, ma è uno stato che può essere transitorio o può durare a lungo nel tempo e portarsi dietro anche delle gravi o gravissime disabilità.

     
    D. – Questo caso apre anche una frontiera a livello di mezzi clinici, di progresso scientifico. Quali mezzi si possono mettere in campo?

     
    R. – Oggi abbiamo la possibilità di poter analizzare attraverso sofisticate risonanze magnetiche quelle che sono le percezioni di queste persone. Abbiamo anche la capacità di poter sperimentare protocolli con la luce, piuttosto che con il monitoraggio di queste persone. Bisogna sicuramente osservare molto.

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    A Roma il Consiglio pastorale nazionale dei cappellani delle carceri

    ◊   E’ in corso a Roma il Consiglio pastorale nazionale dei cappellani delle carceri italiane: al centro dell’incontro l’esigenza di una rinnovata testimonianza evangelica dei sacerdoti in un ambito sempre più difficile, sia per i detenuti e le loro famiglie che per la polizia penitenziaria. Gli interventi hanno messo in luce anche la drammatica questione dei suicidi tra i carcerati. Ascoltiamo in proposito il cappellano di Rebibbia, don Sandro Spriano, al microfono di Fabio Colagrande:

    R. – Non ho quasi più parole, perché non si vede nessuna luce da nessuna parte. E’ chiaro che non mi aspetto interventi che possano assolutamente eliminare queste problematiche gravissime dei suicidi. Le condizioni di vita si possono cambiare, ma non vedo alcuna volontà da parte di noi liberi, da parte di chi ci governa, da parte di chi amministra - perché non ci sono soldi, perché non c’è la voglia – non vedo la possibilità. Allora parlarne è quasi uno schiaffo a questi morti. Non abbiamo numeri dietro le sbarre, abbiamo persone, e noi cosa facciamo come cristiani per convincere chi governa a intervenire al più presto? Altrimenti davvero si va verso la catastrofe.

     
    D. – Don Spriano, quale può essere il ruolo difficile dei sacerdoti anche in questa situazione?

     
    R. – Sicuramente è il ruolo di chi annuncia che non sono bestie rinchiuse, ma sono uomini amati da Dio come tutti gli altri, che hanno una dignità eccelsa, anche se lì non si vede più, e che hanno il diritto di sperare in un futuro un poco diverso, chiaramente facendo i conti anche con le loro responsabilità di criminalità, piccola o grande che sia. Questo nostro annuncio è bene ascoltato e richiesto, perché mi sembra quasi di poter dire che in questo momento è l’unico annuncio di speranza che si riceve dentro.

     
    D. – Don Spriano, per la Costituzione la pena detentiva dovrebbe essere anche rieducativa, invece porta le persone alla disperazione, all’autolesionismo, al suicidio. Lei conosce i detenuti da tanti anni. Quale situazione psicologica si crea in questi casi per arrivare a gesti così estremi?

     
    R. – Proprio la situazione di chi vede sulla sua pelle un’ingiustizia. E’ chiaro che le responsabilità ci sono, ma le condanne sono talmente pesanti molto spesso, e non aspettate in quel modo, che provocano proprio la disperazione dentro l’animo. Chi viene in carcere? Vengono questi soggetti fragili. Non viene colui che fa danni e che però ha la capacità, la forza e i soldi per potersi difendere. E allora di fronte ad una vita poi fatta quasi di niente in carcere, è chiaro che una persona non capisce più cosa ci sta a fare in questo mondo e arriva a questi gesti estremi. Poi è chiaro che arrivare ad un suicidio vuol dire anche avere nell’animo una storia di vita assolutamente difficile, drammatica, magari è soltanto il punto finale di qualcosa che anche fuori dal carcere è successo in maniera devastante nella vita di quella persona. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne

    ◊   La battaglia contro la violenza sulle donne è ancora tutta da vincere. E' quanto si ribadisce in occasione dell’odierna Giornata internazionale per l’eliminazione di questo gravissimo fenomeno. Trenta anni fa, l’Assemblea generale dell’Onu approvava la Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, una svolta storica nel percorso dei diritti umani, ma oggi si deve ancora riflettere su un fenomeno purtroppo ancora drammaticamente attuale. Lo sottolinea il presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, nel suo messaggio per l'occasione. “Molto – scrive il capo dello Stato – resta da fare in ogni parte del mondo per sradicare una concezione della donna come oggetto di cui ci si può anche appropriare". Il servizio di Francesca Sabatinelli:

     
    La violenza sulle donne negli anni ha racchiuso le motivazioni più disparate e più numerose rispetto a qualsiasi altro tipo di crimine. Il corpo e la psiche delle donne hanno subìto i colpi del maschilismo, della violenza domestica, così come della guerra, della povertà, spesso all’origine - spiega Amnesty International - della violazione dei diritti umani: donne costrette a sposarsi in età precoce, discriminate a causa di etnia, religione, stato civile o disabilità, senza autonomia economica. Per questo 25 novembre, Amnesty ha lanciato a livello mondiale tre appelli per chiedere la fine della violenza sulle donne. Il commento di Laura Renzi, curatrice delle campagne di Amnesty Italia:

     
    “Ci occupiamo delle donne del Darfur che vivono nei campi profughi in Ciad e che rischiano quotidianamente violenze ed abusi sessuali. Per quanto riguarda l’azione in Tagikistan, ci occupiamo del fenomeno dell’abbandono prematuro del sistema scolastico da parte delle bambine e delle ragazze, che è un problema grave e molto diffuso. Ricordiamo che l’istruzione è un diritto e rappresenta una grande opportunità per le donne, ma ancora oggi non lo rappresenta evidentemente per le ragazze che vivono in povertà. Ci occupiamo, infine, della Bosnia-Erzegovina, dove le donne sopravvissute agli stupri e ad altre forme di violenza durante il conflitto negli anni Novanta, attendono ancora giustizia e riparazione. C’è da dire che migliaia di donne sopravvissute allo stupro hanno perso i loro parenti, hanno perso il loro lavoro e questo proprio a causa sia della loro fragilità psicologica che fisica. Anche per loro si paventa, quindi, la possibilità della povertà”.

     
    Le donne bosniache vittime degli stupri come arma di guerra, erano gli anni Novanta, oggi purtroppo accade ancora. Marcello Flores, docente alla facoltà di Lettere dell’Università di Siena, è autore del volume "Stupri di Guerra":

     
    R. - Oggi questa realtà è soprattutto presente in alcune zone dell’Africa. La Regione dei Grandi Laghi è quella che, forse, desta maggiore preoccupazione, perché sembra – pensiamo al Congo o ad alcune zone dell’Uganda – che sia quasi una situazione endemica, questa in cui le donne possono essere oggetto da parte di tutti - dell’esercito regolare, dei paramilitari, degli oppositori, di chi sta al governo, etc.- di queste violenze contro il loro corpo e contro di loro, senza che si riesca a fare veramente qualcosa per porre freno a questo tipo di situazione.

     
    D. – Professore, lo stupro come arma di guerra: è cambiata la percezione delle società nei confronti di questo gravissimo atto?

     
    R. – Intanto è cambiata la legislazione internazionale. Proprio alla fine del XX secolo, grazie alle decisioni che sono state prese dai Tribunali internazionali per l’ex Jugoslavia e per il Rwanda, è stato stabilito per la prima volta che lo stupro è equiparabile ad un crimine contro l’umanità e a un crimine di guerra. Questo, da una parte, è il risultato di una sensibilità che è cambiata e che certamente è cambiata dal Secondo dopoguerra grazie alla nuova coscienza che le donne hanno preso; e, dall’altra, è una decisione che ha degli effetti per favorire in quelle zone, in quelle regioni del mondo, dove ancora questa percezione non è chiara o è solo di alcune minoranze, di poter andare nella direzione che è invece ormai abbastanza riconosciuta nel mondo occidentale, ma non solo, e quindi in larga parte dei Paesi.

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    Verso il vertice dell'Onu sul clima a Copenaghen

    ◊   Ultimi giorni prima del vertice internazionale sul clima dell’Onu, che si terrà dal 30 novembre prossimo a Copenhagen. Oggi a Bonn il capo negoziatore delle Nazioni Unite per il clima, Yvo de Boer, tiene una conferenza stampa proprio su questa importante assise, appuntamento fondamentale per decidere le misure da adottare a salvaguardia dell’ambiente terrestre, un tema sul quale c’è difficoltà a raggiungere un accordo globale. Su quali posizioni la comunità internazionale si appresta ad affrontare il vertice di Copenaghen? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Antonio Ballarin Denti, docente di Fisica dell’ambiente all’Università Cattolica a Brescia:

    R. – Io credo che al punto in cui sono le cose sia più facile che ci sia un accordo su principi e obiettivi a lungo termine, piuttosto che su azioni concrete da avviare oggi. E questo perché tutto il lavoro che c’è stato in questo periodo tra Unione Europea, Stati Uniti e grandi Paesi emettitori di gas serra – come la Cina – non ha di fatto portato ad un accordo e che non credo possa essere ratificato concretamente a Copenaghen. Importante è che si abbia la percezione della scala temporale su cui agire e che si individuino almeno dei criteri che diano almeno vita – si spera prima della scadenza di Kyoto e, quindi, prima del 2012 - a delle azioni successive.

     
    D. – Anzitutto, secondo lei, c’è da mettere d’accordo le grandi potenze ed i Paesi in via di sviluppo sulla politica del clima?

     
    R. – Ci sono divergenze di interesse anzitutto sui tempi con cui si possano mettere in campo delle tecnologie e dei modelli economici sostenibili ai fini del cambiamento climatico. Certamente abbiamo delle economie che sono sfasate nel loro sviluppo: quella cinese- ad esempio - cresce molto, ma è ancora tecnologicamente qualche decennio indietro rispetto a quelle più di frontiera; gli stessi Stati Uniti hanno nella loro industria energetica dei ritardi rispetto all’Europa. E’ quindi difficile che possano trovare un accordo quei Paesi, che non sono ancora perfettamente allineati nel loro rapporto tra produzione, economia e tecnologie.

     
    D. – Quello che ci preoccupa di più è il riscaldamento del clima. E’ veramente reale, secondo lei, questo andamento?

     
    R. – Su questo ormai c’è un consenso non solo molto ampio nella comunità scientifica, ma il fatto che tutti i governi, con le loro dichiarazioni ufficiali, supportino questa visione - anche quando di fatto in qualche modo è controproducente rispetto al proprio assetto economico – io credo che sia una prova che i governanti del mondo si fidano dell’opinione ormai abbastanza largamente prevalente della comunità scientifica. Certo ci sono sempre dei margini di incertezze, ma credo che queste riguardino non tanto le evoluzioni del clima, ma quanto possano incidere su questo delle specifiche politiche, come - per esempio - la politica del ruolo e dei sistemi agricoli e forestali è ancora soggetta ad ampie incertezze.

     
    D. – Basterà rispettare l’ambiente per evitare il rischio di nuove catastrofi naturali?

     
    R. – Su scala planetaria bisogna anzitutto aver coscienza che tutti questi grandi problemi sono un po’ tutti interconnessi fra loro. Il cambiamento climatico, la desertificazione, la biodiversità e le risorse idriche sono tutti collegati in una rete di equilibri ambientali. Questo è il primo elemento di coscienza che devono oggi assumere i governanti. Certamente situazioni pesanti a livello locale possono sempre capitare. L’importante è riuscire a mantenere un equilibrio generale per tutto il Pianeta, anche perché ormai siamo globalizzati da ogni punto di vista e non soltanto da un punto di vista economico-finanziario, ma anche da un punto di vista del rapporto tra uomo e natura, tra uomo e ambiente.

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    A Viterbo il Forum internazionale di Greenaccord sui cambiamenti climatici

    ◊   Si è aperto questa mattina a Viterbo il settimo Forum internazionale dell’informazione per la salvaguardia della natura, promosso dall’ associazione culturale Greenaccord sul tema “Il clima che cambia. Fatti, storie e persone”. Ai partecipanti ha fatto giungere il suo saluto il cardinale Renato Raffaele Martino. Sull’obiettivo dell'incontro ascoltiamo Andrea Masullo, presidente del comitato scientifico di Greenaccord, intervistato da Marina Tomarro:

    R. – L’obiettivo è di sollecitare il Vertice che ci sarà a Copenaghen dall’8 dicembre in poi a prendere provvedimenti definitivi per risolvere questa gravissima emergenza, ormai un’emergenza acclarata ampiamente: anche nell’ultimo vertice della Fao, lo stesso Benedetto XVI ha ricordato come i cambiamenti climatici siano strettamente legati alla povertà, e gli scienziati ormai hanno acclarato la gravità della situazione con i fenomeni già in corso. Quindi, non si capisce perché si debba ancora perder tempo e non prendere decisioni definitive nel Vertice di Copenaghen.

     
    D. – Quali potrebbero essere gli effetti disastrosi di questi cambiamenti climatici?

     
    R. – Già sono in corso: è misurato lo slittamento di quattro gradi di latitudine verso i poli degli habitat delle regioni subtropicali, e i ghiacciai artici si stanno sciogliendo soprattutto nella stagione estiva … Quindi, diciamo che ormai le emergenze sono più che evidenti. Il limite massimo di concentrazione di questi gas serra nell'atmosfera, definito dagli scienziati in 350 parti per milione, nel 2008 l'abbiamo superato. Questo significa che siamo entrati all’inizio di uno scenario inquietante e molto pericoloso.

     
    D. – Questa è la settima edizione del Forum: quanto è stato importante sensibilizzare i media e di conseguenza anche le persone, al problema ambiente?

     
    R. – E’ stato estremamente importante, e lo vediamo nell’organizzazione stessa di questo Forum, dove si confronteranno come al solito scienziati di altissimo livello internazionale che ci parleranno, appunto, di quello che già sta accadendo al clima di oggi, non di quello che accadrà; e soprattutto, una decina di persone comuni che sono state definite "testimoni del clima", che vivono sulla loro pelle la situazione grave nella loro attività: dal contadino africano che vede che non riesce più a produrre quanto produceva prima, al pescatore di corallo che vede che il corallo comincia a scomparire … tutte testimonianze vive che sono state verificate anche scientificamente. Quindi noi, attraverso questo Forum, vorremmo lanciare anche questo messaggio a livello mondiale attraverso la rete di giornalisti internazionali che si raccoglie intorno a Greenaccord, di questi cambiamenti in atto, quindi di questa urgenza. Il clima sta cambiando: questo è un messaggio che consegneremo attraverso la sottoscrizione di un memorandum nelle mani del presidente Rajendra Patchauri in un incontro a Bruxelles, il 3 dicembre, proprio per chiedere al Vertice che lui presiederà a Copenaghen di prendere i provvedimenti definitivi, almeno di siglare una "road map" chiara per uscire da questa emergenza.

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    Chiesa e Società



    Kenya: i vescovi contro la nuova Costituzione

    ◊   Non piace ai vescovi del Kenya la bozza per la nuova Costituzione presentata al Parlamento del Paese. In una nota riportata dall’agenzia Sir, la Conferenza episcopale locale ha definito il testo “non al servizio degli interessi comuni dei cittadini” e invita quindi alla presentazione di un nuovo testo. Secondo i presuli, infatti, la bozza così com’è impedisce la trasparenza e la responsabilità della leadership politica di fronte ai cittadini. La nuova Costituzione manterrebbe i tribunali islamici nalla loro forma attuale, prevedrebbe una presidenza con poteri pressoché illimitati, un primo ministro con ampie attribuzioni, un esecutivo composto per metà da ministri non parlamentari, un parlamento bicamerale e un forte decentramento dello Stato con un sistema di governo organizzato su tre livelli. (R.B.)

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    I vescovi croati invitano la popolazione a partecipare alle elezioni

    ◊   Non soltanto un “dovere civico responsabile”, ma “un’occasione per esercitare le libertà conquistate con grandi sforzi e sacrifici generosi, non solo nostri ma anche delle generazioni precedenti”: così i vescovi della Conferenza episcopale croata invitano la popolazione a recarsi alle urne il 27 dicembre prossimo e votare alle elezioni presidenziali. “Il nuovo presidente avrà la responsabilità di riconoscere i modi di preservare la sovranità croata e l’identificabilità dei suoi valori – scrivono i presuli nel loro messaggio riportato dall’agenzia Sir – un presidente che rappresenti e protegga i principi cristiani”. Infine, nell’auspicio dei vescovi, il nuovo presidente dovrà raggiungere “la verità sul passato, affinché le interpretazioni basate su fatti non veri non siano fonte di nuovi conflitti e dissensi nella nazione”. (R.B.)

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    Spagna: le Reali accademie contro la nuova legge sull’aborto

    ◊   Un secco no alla nuova legge in favore dell’aborto che verrà discussa a partire da domani dal parlamento spagnolo è quello che viene dai membri delle Reali accademie di Medicina, Farmacia, Scienze morali e politiche, Giurisprudenza e legislazione, da giudici, avvocati, notai, Pubblici ministeri, procuratori e professori di diritto, scienziati delle discipline biomediche riuniti oggi a Madrid. Secondo quanto riportato dall’agenzia Sir, i saggi, firmatari dei documenti di riferimento sulla posizione delle eccellenze in materia di riforma della legge sull’aborto, chiedono ai parlamentari il riconoscimento della personalità giuridica del nascituro e un aiuto concreto per le donne in attesa: “Spetta a ogni cittadino responsabile la difesa senza ambiguità del diritto inalienabile alla vita”, dicono i membri delle Reali accademie, firmatari del Manifesto degli accademici, del Manifesto dei giuristi e della Dichiarazione di Madrid. (R.B.)

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    Spagna: la Caritas contro la crisi in aiuto dei “nuovi poveri”

    ◊   Giovani disoccupati in cerca di primo impiego, disoccupati di oltre 45 anni, neodisoccupati, famiglie giovani con bambini piccoli a carico, donne sole con figli, migranti, anziani con pensioni minime: sono questi i “nuovi poveri” individuati dalla Caritas spagnola nel III rapporto dell’Osservatorio della Realtà che fa una fotografia della società spagnola alle prese con la crisi economica. I dati presentati, e riportati dall'agenzia Fides, si basano sull’evoluzione delle richieste di aiuto urgenti giunte alla rete dell’organizzazione di accoglienza e cura primaria nel primo semestre del 2009, in cui si registra un aumento del 40,7 per cento rispetto all’anno precedente. In particolare, le richieste di aiuto alimentare sono cresciute del 58 per cento, mentre i prezzi delle case del 44,9. Insieme con il rapporto è stato diffuso anche il resoconto annuale della Confederación Cáritas Espaňola, composta da 68 Caritas diocesane e seimila parrocchiali, secondo le quali nel 2008 sono stati destinati ai programmi sociali oltre 216 milioni di euro di cui hanno beneficiato più di 9 milioni di persone dentro e fuori la Spagna. (R.B.)

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    Un miliardo e mezzo di persone nel mondo senza elettricità

    ◊   Povertà estrema e impossibilità di accesso all’energia elettrica: è questa la condizione di un miliardo e mezzo di persone nel mondo, l’80 per cento nei Paesi meno sviluppati, molti dei quali appartengono all’area geografica dell’Africa subsahariana. Questi i dati allarmanti del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) diffusi nei giorni scorsi a Parigi. Il rapporto, realizzato in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha preso in esame 140 Paesi in via di sviluppo, 50 dei quali considerati tra i meno avanzati, quelli, cioè, in cui la maggior parte della popolazione vive sotto la soglia di povertà, individuata in meno di due dollari al giorno. La mancanza di energia elettrica è indicata come uno dei maggiori fattori di povertà e sottosviluppo: ne soffre il 74 per cento dei Paesi dell’Africa subsahariana. In particolare, usufruiscono della corrente elettrica meno del 3 per cento degli abitanti di Burundi, Ciad e Liberia; meno del 5 di quelli di Rwanda, Repubblica Centrafricana e Sierra Leone; in Asia, meno del 13 per cento della popolazione di Birmania e Afghanistan. “Per tutti questi Paesi sarà molto difficile conseguire gli obiettivi di sviluppo del millennio”, ha detto Minoro Takata, responsabile del settore Energia e ambiente dell’Unpd. Per centrare l’obiettivo, infatti, servirebbe che un miliardo e 200 milioni di persone in più beneficiassero di energia elettrica e che un miliardo e 900 milioni usassero combustibili moderni. Il rapporto, infatti, conclude che il 45 per cento della popolazione mondiale dipende ancora da combustibili solidi quali biomasse e carbone, che ogni anno, secondo gli esperti, causano circa due milioni di morti per malattie all’apparato respiratorio e tumori. (R.B.)

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    Save the children: nel mondo 6 milioni di bimbi abbandonati in istituti

    ◊   Non sono solo orfani, anzi, molti dei bambini ospitati in orfanotrofi e strutture simili hanno uno o entrambi i genitori: sono, perciò, abbandonati. È questo il dato più rilevante che emerge dal rapporto ‘I bambini fuori dagli istituti’ elaborato da Save the children. Si calcola che nei Paesi a basso reddito, i minori in istituto siano circa 8 milioni (ma la cifra è sottostimata) e di questi 6,4 non sono orfani. La percentuale dei bambini abbandonati sale drammaticamente in alcuni Paesi dell’Europa centrale e dell’est (98 per cento), in Indonesia (94) e Ghana (90). La povertà, ma non solo, è la causa più ricorrente degli abbandoni, insieme con eventi traumatici come disastri naturali, guerre o epidemie, ma si fa strada anche l’ipotesi del ‘business economico’. In Africa e in Asia in particolare, infatti, i gestori delle strutture ottengono incentivi in base al numero dei bambini che ospitano e così adescano le famiglie più indigenti con la promessa di una vita migliore per i piccoli. Sembra che in Indonesia, i cosiddetti ‘orfani dello tsunami’ siano in realtà finiti negli orfanotrofi con il consenso delle stesse famiglie, impossibilitate a mantenerli. Ma una volta in queste strutture, spiega la curatrice del rapporto, Corinna Csaky, incorrono in “violenze, abusi, sfruttamento che hanno spesso e volentieri conseguenze gravi e irreversibili”. I bambini che devono affrontare il distacco dai genitori, inoltre, vanno più soggetti al rachitismo, a problemi comportamentali e ad avere un quoziente intellettivo più basso. Save the children chiede, dunque, ai Governi di monitorare la situazione all’interno degli istituti, ma anche di promuovere una campagna di sensibilizzazione che vada di pari passo ad aiuti concreti che consentano alle famiglie di tenere i figli con sé o comunque presso le comunità di appartenenza, sistemazioni alternative agli istituti. (R.B.)

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    Pakistan: in arrivo aiuti dell’Onu per l’inverno

    ◊   Coperte, materassi, teli di plastica utili per l’isolamento dall’esterno e anche la sostituzione di alcune tende di tela con altre adatte a ogni clima: sono questi gli aiuti che l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur) ha previsto per l’inverno che si sta facendo sempre più rigido nel Pakistan nordoccidentale. La campagna, che aiuterà complessivamente 85mila persone, è iniziata dal campo di Jalozai, nei pressi di Peshawar, vicino al confine con l’Afghanistan, e proseguirà in quelli di Jalala, nel complesso di Benazir, nei campi Wali Kandow e Palosa, nella provincia della frontiera di nordovest. Gli sfollati pakistani ospitati nei vari campi, potrebbero essere 900mila, ma le stime sono molto difficili a causa del continuo movimento della popolazione da e verso i rifugi, anche se l’Acnur sta tentando di effettuare un censimento in sette poli. Per tutte queste persone si sta mettendo a punto un piano che comprende l’assistenza agli sfollati in situazioni protratte, programmi di rimpatrio e reintegrazione e di intervento per le nuove ondate di sfollati come quella proveniente dal Waziristan del sud. (R.B.)

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    Australia: per San Valentino i vescovi lanciano una campagna sul matrimonio

    ◊   In occasione della prossima festa di San Valentino, il 14 febbraio, i vescovi dell’Australia hanno deciso di lanciare una campagna nazionale sul matrimonio. Un documento approvato lo scorso mese di maggio e pubblicato in questi giorni sul sito della Conferenza episcopale, propone alle parrocchie e alle scuole varie idee per festeggiare in modo diverso la festa degli innamorati, ma anche suggerimenti per le omelie e le celebrazioni liturgiche. Lo scopo, riferisce l’agenzia cattolica statunitense Cns, è di approfittare di questa ricorrenza commerciale per richiamare l’attenzione sul valore e il significato autentico dell’istituto matrimoniale. Come spiega mons. Eugene Hurley, presidente della Commissione episcopale per la vita pastorale, infatti, nessuno nega oggi i benefici che derivano alla famiglia e alla società da un’unione stabile, “eppure i matrimoni stabili non ricevono grande attenzione dalla Chiesa e dalla società civile finché non vanno in crisi”. Nella lettera pastorale che accompagna il documento, i vescovi invitano i fedeli “a un rinnovato apprezzamento della sacralità dell’amore coniugale”, criticando i sentimenti contrari alla famiglia. Sempre più diffusi nella società: “Oggi – si legge - anche in alcuni ambienti cattolici esiste una sorta di pregiudizio contro le famiglie numerose che si sentono considerate strane o innaturali. Una quarta o quinta gravidanza è accolta con commiserazione da amici benintenzionati, invece che con gioia e incoraggiamento”. Un atteggiamento che “può scoraggiare i genitori e indurli a pensare che essere in gravidanza e desiderare più bambini non sia una cosa buona”. Citando l’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II i presuli australiani richiamano, in conclusione, i cattolici a restare fedeli agli insegnamenti della Chiesa sul valore sacro di ogni vita umana dall’inizio fino alla fine. (L.Z.)

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    Un convegno all’Urbaniana contro la pena di morte: ‘No justice without life’

    ◊   Si è svolto oggi presso la Pontificia Università Urbaniana il convegno ‘No justice without life’ contro la pena di morte nel mondo, organizzato dall’associazione di studenti Omnes Gentes e in cui è intervenuto Carlo Santoro, membro del gruppo ‘No alla pena di morte’ della Comunità di Sant’Egidio. Come riferisce la Fides, il convegno è stato organizzato in vista del 30 novembre, giornata di mobilitazione ‘Città per la vita-Città contro la pena di morte’, che Sant’Egidio promuove dal 2002 e oggi è sostenuta dalle maggiori associazioni internazionali che si occupano di diritti umani. La data del 30 novembre non è stata scelta a caso, ma ricorda la prima abolizione della pena capitale in uno Stato europeo: il Granducato di Toscana nel 1786. Nonostante negli ultimi due anni l’approvazione di due risoluzioni per una moratoria universale della pena di morte presso l’assemblea generale dell’Onu costituiscano un buon risultato, il rapporto annuale di Amnesty International rivela che nel 2008 siano state eseguite 2390 condanne in 25 Paesi e ne siano state emesse altre 8864 in 52 Paesi. (R.B.)

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    24 Ore nel Mondo



    Filippine: proseguono le indagini sulla strage a Mindanao

    ◊   Dopo il ritrovamento di altri sei cadaveri in una fossa comune, è salito a 57 morti il bilancio della strage compiuta a Mindanao, nelle Filippine. Un alleato politico del presidente, Gloria Arroyo, è stato indicato dalla polizia come il principale sospettato per il massacro del 23 novembre scorso. Un rapporto della polizia indica in Andamal Ampatuan Jr. - sindaco di Datu Unsay e figlio del governatore provinciale - il comandante del gruppo che ha assaltato parenti e sostenitori di Ishmael “Toto” Mangudadatu, vicesindaco di Buluan e candidato alla carica di governatore della provincia. Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite, ha condannato il “crimine ignobile” commesso “nel contesto di una campagna elettorale locale”. Il presidente Arroyo ha dichiarato per oggi una giornata di lutto.

    Usa-Afghanistan
    Nessuna trattativa con il governo Karzai, né un arretramento nella lotta alla islamizzazione dell’Afghanistan. In un messaggio reso pubblico in occasione della festa dell’Eid Al Adha - ricorrenza islamica legata al pellegrinaggio alla Mecca - il leader supremo dei talebani, il mullah Mohammad Omar, ha espresso il suo rifiuto a collaborare con Hamid Karzai. Nei giorni scorsi, il presidente “rieletto” aveva teso la mano ai “fratelli talebani” chiedendo loro di partecipare al processo di pace. E nella notte tra ieri e oggi, in Afghanistan, ci sono state nuove vittime in combattimenti tra guerriglieri talebani e truppe della coalizione, mentre la tensione si fa sempre più acuta anche nelle zone di frontiera del vicino Pakistan. Intanto, il presidente statunitense, Barack Obama, ha deciso la nuova strategia di Washington sull'Afghanistan e la renderà nota entro pochi giorni. Secondo la Cnn, il piano del capo della Casa Bianca prevede un aumento delle truppe Usa di circa 34 mila unità.

    Iraq
    Ancora violenza in Iraq. Almeno 25 persone sono rimaste ferite, oggi, per un duplice attentato a Kerbala, città santa a 120 chilometri a sud di Baghdad. Secondo le forze della sicurezza irachene, la prima bomba sarebbe scoppiata in un ristorante del centro città, frequentato da molti militari. Pochi minuti dopo un kamikaze, a bordo di una moto, si è fatto saltare in aria all’ingresso del locale, mentre arrivavano i soccorsi.
     
    Cambogia
    Una condanna a 40 anni di carcere. È questa la pena richiesta per Douch, il capo della prigione del regime dei Khmer Rossi di Pol Pot, in Cambogia, dove almeno 15 mila persone sono state torturate e uccise, tra il 1975 e il 1979. Il procuratore internazionale, William Smith, a sorpresa non ha chiesto l'ergastolo per l'accusato - il cui vero nome è Kaing Guek Eav - giudicato per crimini di guerra e contro l'umanità per aver diretto la prigione nota come “S-21”. Oggi, l’uomo è comparso in aula riconoscendo di ''essere stato un membro delle forze di Pol Pot” e di essere “psicologicamente responsabile” di fronte all'intera popolazione cambogiana”. Douch, 67 anni, aveva già chiesto più volte perdono sostenendo di non aver avuto altra scelta che eseguire gli ordini, altrimenti sarebbe stato ucciso. La fine del processo, il primo contro un ex membro del regime dei Khmer Rossi, che ha causato un milione e 700 mila morti, è prevista per marzo 2010.
     
    Gran Bretagna, inchiesta sulla guerra in Iraq
    Sono iniziati ieri i lavori della Commissione d'inchiesta sulla partecipazione del Regno Unito alla guerra in Iraq. Sotto la lente d’ingrandimento la politica estera del Regno Unito dal 2001 (anno dell'attentato alle Torri gemelle) al 2009 (anno del ritiro delle truppe britanniche dall'Iraq). L’indagine tenterà di stabilire quali furono le motivazioni per l’entrata in guerra nel 2003 e la sua stessa legalità. Gli interrogatori pubblici culmineranno, a febbraio. La deposizione più attesa sarà quella dell’ex premier, Tony Blair, che non avverrà prima di gennaio.
     
    Pakistan, incriminati sette militanti per attentato a Mumbai
    Alla vigilia del primo anniversario dell'attacco terroristico a Mumbai, del 26 novembre 2008, un tribunale pakistano specializzato nei processi di terrorismo ha incriminato sette militanti islamici considerandoli implicati in quella sanguinosa vicenda. Lo scrive il quotidiano indiano Hindustan Times. Fra gli accusati, anche il comandante delle operazioni del movimento Lashkar-e-Taiba, Zakiur Rehman Lakhvi, considerato la ''mente'' dell'attacco terroristico che per 60 ore sconvolse Mumbai causando oltre 170 morti. Nel complesso, la Corte sta giudicando 16 imputati, fra cui anche Ajmal Kasab, l'unico terrorista catturato vivo e processato anche in India. I giudici, si è appreso, hanno respinto tutti i ricorsi degli avvocati difensori degli imputati che si sono dichiarati ''non colpevoli''.

    Yemen
    Cinque persone, tra cui due militari, sono rimasti uccise e altre 10 ferite negli scontri scoppiati alle porte di Ataq, città del sud dello Yemen. Le tensioni sono esplose quando le forze di sicurezza e i soldati hanno cercato di impedire ad alcune migliaia di manifestanti di entrare in città per prendere parte al corteo in occasione dell'anniversario della proclamazione dell'indipendenza dell'ex Yemen del Sud, nel 1967. Le violenze nella parte meridionale dello Yemen sono cominciate nel 1990, anno dell’unificazione con il Nord: appelli alla secessione vengono lanciati spesso dai separatisti del sud, che ritengono di essere discriminati rispetto ai nordisti.

    Israele-Hamas
    L’accordo fra Israele e Hamas per lo scambio di prigionieri sembra più vicino. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha convocato oggi il Consiglio di difesa forse per discutere le modalità dell’eventuale intesa con Hamas. Secondo la radio militare, la consultazione è stata posticipata dalla mattina al pomeriggio nell'ipotesi che nel frattempo giunga una risposta di Hamas per decidere gli ultimi dettagli. Nei giorni precedenti, Netanyahu aveva espresso forti dubbi richiedendo un “dibattito politico” precedente all’eventuale accordo. Con lo scambio, Israele intende recuperare il caporale Ghilad Shalit (rapito a Gaza nel giugno 2006) e accetta di liberare diverse centinaia di palestinesi.

    Belgio: Yves Leterme nominato primo ministro
    Il cristiano democratico fiammingo, Yves Leterme, è stato nominato oggi primo ministro del Belgio da Re Alberto II, al posto di Hermann Van Rompuy, che ha lasciato l'incarico per quello di presidente stabile dell'Ue. Leterme, 49 anni, è al suo secondo mandato. Alla guida del governo dopo aver vinto le elezioni nel 2007, un anno fa era stato costretto alle dimissioni, travolto dalle accuse di aver fatto pressione sui giudici nell'ambito dell'inchiesta sul salvataggio della Banca Fortis. Il ritorno di Leterme suscita timori soprattutto nella parte del paese di lingua francese, che lo ritiene un fiammingo su posizioni radicali e più propenso verso le richieste di autonomia che vengono dalla regione delle Fiandre, di cui è stato presidente.

    Honduras
    Il presidente eletto dell'Honduras, Manuel Zelaya, deposto nel giugno scorso a seguito di un colpo di Stato, ha esortato gli Stati Uniti a non sostenere le elezioni del prossimo 29 novembre. Secondo l’ex presidente, la consultazione elettorale, giudicata “illegale”, potrebbe dividere le Americhe e costituire un ''pericoloso precedente'' per gli Usa se decidessero di appoggiarla. Washington non ha ancora preso una posizione ufficiale sul voto. Alle elezioni non sono candidati né Zelaya né il leader de facto, Roberto Micheletti.
     Economia, Bce
    Le banche dovrebbero rafforzare i propri bilanci e utilizzare i profitti per rimpinguare le riserve, invece di destinarli alla distribuzione di dividendi. È quanto ha detto il presidente della Banca centrale europea (Bce), Jean-Claude Trichet, in un'intervista al giornale olandese Het Financieele Dagblad. Trichet ha anche ribadito la necessità che i governi europei taglino i deficit. Quanto alla situazione economica e alla crisi, ha detto che la Bce è stata in grado di evitare che il rischio di deflazione diventasse un forte ancoraggio delle aspettative di inflazione.

    Congo
    Appaiono fallimentari i risultati della missione dei Caschi Blu nella Repubblica Democratica del Congo. E' quanto si legge in un rapporto presentato da una missione di esperti dell'Onu svolta sul territorio, e presentata all'inizio di novembre al Palazzo di vetro. La missione - la più imponente del mondo, forte di circa 25 mila uomini - non è riuscita a bloccare la deriva anarchica della ricchissima regione dell'Est del Congo (Nord e Sud Kivu), di fatto sotto il controllo delle truppe ribelli degli hutu ruandesi, i cui capi si erano rifugiati in quella zona dopo il genocidio del '94. Il gruppo delle Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda, non solo non è stato sbaragliato ma ha esteso, con spietate violenze sui civili, il suo controllo nel Kivu e sul commercio dei suoi ricchissimi prodotti naturali. Secondo il rapporto, i ribelli godono anche del sostegno di una rete internazionale di finanziamenti e appoggi.
     
    Thailandia
    Le ''camicie rosse'' thailandesi - i sostenitori dell'ex premier, Thaksin Shinawatra - hanno rinviato a data da destinarsi la grande manifestazione contro il governo di Abhisit Vejjajiva, indetta per sabato prossimo. La protesta di piazza, ribattezzata ''lo scontro finale'', doveva durare cinque giorni. Il rinvio è stato annunciato oggi dai leader del movimento, all'indomani della decisione dell'esecutivo di applicare la “legge per la sicurezza interna”, che conferisce maggiori poteri all'esercito. A un anno dall'occupazione dei due aeroporti di Bangkok da parte delle ''camicie gialle'', un movimento monarchico-nazionalista ostile a Thaksin, la tensione in Thailandia è recentemente tornata alta. Le ''camicie gialle'' hanno comunque indetto una manifestazione per il 5 dicembre, giorno in cui il re Bhumibol compirà 82 anni.

    Israele: Ong finanziate da Ue
    ''Un cavallo di Troia” è questo il titolo del rapporto, redatto dall''Istituto di strategie sioniste e dalla ong “Ngo-Monitor”, che analizza l'impatto dei finanziamenti dei governi europei sulle Ong in Israele. Le organizzazioni oggetto dello studio - fra cui organizzazioni ben note come Peace Now, Betzelem e Ir Amim - nonostante si proclamino israeliane in diversi casi, ricevono cospicui finanziamenti stranieri che sono divenuti determinanti per le loro attività. Questa è la severa conclusione del rapporto che sarà discusso prossimamente alla Knesset, il parlamento israeliano. Il gruppo per i diritti umani Betzelem ha disposto, nel 2007, finanziamenti per il 27% provenienti dall'estero. Il 40% per Peace Now, il 46% per Shovrim Shtikà, Ong formata da ex militari israeliani impegnanti nella denuncia di soprusi patiti ai danni dei palestinesi in Cisgiordania. Fra i principali finanziatori sono menzionati, fra gli altri, l'Unione europea e i ministeri degli Esteri di Gran Bretagna, Germania e Olanda.
     
    Iran, ex deputato riformista condannato a 74 frustate
    Un ex deputato riformista iraniano, Ali Tajernia, arrestato dopo le elezioni presidenziali dell'estate scorsa, è stato condannato a sei anni di reclusione e a 74 frustate. La pena corporale gli è stata comminata per ''avere insultato il presidente Mahmud Ahmadinejad e il governo''. Tajernia è uno dei molti esponenti riformisti arrestati dopo le contestate presidenziali, che hanno visto rieletto Ahmadinejad. Un altro oppositore, Soheil Navidi Yekta, è stato condannato a sette anni di reclusione e 74 frustate. Cinque anni di reclusione sono stati inflitti a Tajernia per ''raduni e complotti volti a turbare la sicurezza pubblica'' e un anno per ''propaganda contro il sistema'' islamico. La magistratura ha reso noto la settimana scorsa che cinque persone arrestate per le proteste post elettorali sono state condannate a morte e altre 81 a pene detentive fino a 15 anni di reclusione. Per tutte si attendono i processi d'appello.

    Iran
    Molti studenti sono stati incarcerati in Iran, probabilmente per evitare che nel corso della Giornata dello studente, prevista il mese prossimo, scoppino nuove proteste come quelle avvenute dopo le contestate elezioni presidenziali del 12 giugno. L'opposizione riformista sostiene che le elezioni siano state segnate da brogli diffusi per assicurare che il presidente uscente, Ahmadinejad, venisse rieletto. Le autorità hanno sempre respinto l'accusa. "Per mettere a tacere il movimento studentesco, è in corso un massiccio giro di vite sugli studenti iraniani, che non solo viola i loro diritti, ma turba il loro percorso di studi e la vita dei loro familiari", ha scritto ieri in un comunicato il portavoce del gruppo, Hadi Ghaemi, denunciando che alcuni sono stati addirittura sospesi dal loro corso di studi. Finora, sono stati arrestati circa 60 leader studenteschi", scrive il sito riformista Norooz.

    Indonesia: Greenpeace contro la deforestazione, arrestati 14 attivisti
    Le autorità indonesiane hanno arrestato 14 attivisti di Greenpeace mentre stavano protestando contro la Asia Pulp and Paper (APP), il principale gruppo cartario indonesiano, divenuto tristemente noto agli ambientalisti per l'abbattimento di vaste aree di foreste convertite in piantagioni per la produzione di cellulosa. Nove degli attivisti detenuti sono stranieri, quattro di loro sono tutt’ora incatenati su una gru, nelle strutture portuali nella provincia di Riau, Sumatra, sventolando striscioni di contestazione. Tra loro ci sono ambientalisti provenienti da Australia, Canada, Germania e India. All'inizio del mese, a seguito di un'analoga protesta nella provincia di Riau, le autorità indonesiane hanno arrestato 13 attivisti di Greenpeace e due giornalisti stranieri, tra cui un italiano. Secondo le ultime stime, la crescente deforestazione ha reso l'Indonesia il terzo più grande emettitore di gas serra del mondo. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Rizzo e Chiara Pileri)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 329

     
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