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Sommario del 17/11/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Nel pomeriggio, l'udienza di Benedetto XVI con il presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza
  • Convertire i cuori per sconfiggere la fame: sul discorso del Papa alla Fao, il commento di mons. Gandolfo della Cei. Il parere delle Ong
  • Presentato in Vaticano il convegno sulla realtà dei non udenti nella vita della Chiesa e sul loro contributo nell'apostolato
  • L'impegno missionario della Chiesa, espressione dell'amore di Dio per l'uomo. Intervista con mons. Robert Sarah
  • Il commento di mons. Giampietro Dal Toso sulla recente plenaria del Pontificio Consiglio “Cor Unum”
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • “Autismo informatico”, uno dei disagi giovanili da non sottovalutare
  • Il dramma dei 300 mila bambini soldato nel mondo al centro della Conferenza internazionale di Torino. Intervista col prof. Giorgio Greppi
  • Chiesa e Società

  • Australia: dopo il governo, anche la Chiesa rinnova il “mea culpa” verso gli aborigeni
  • Le minoranze in Iraq chiedono più sicurezza
  • Orissa: delegazione europea incontra le vittime dei pogrom anticristiani
  • Una giornata nazionale in ricordo dei martiri dell'Orissa: la proposta dei vescovi indiani
  • USA: Anno sacerdotale e riforma sanitaria al centro della prima giornata della Plenaria dei vescovi
  • USA: il 21 e 22 novembre in tutte le parrocchie colletta per le famiglie vittime della crisi economica
  • I vescovi argentini difendono una norma del Codice civile che impedisce i matrimoni gay, criticata da un giudice
  • La Bolivia in missione permanente si prepara alle elezioni del 6 dicembre
  • I vescovi di El Salvador esprimono vicinanza alle popolazioni colpite dal tornado Ida
  • Mozambico: i vescovi chiedono di fare di più nel campo della democrazia
  • Il governo filippino abbatte la baraccopoli di Manila: 400 mila i senza tetto
  • India: ebrei, cristiani e musulmani ricordano le vittime dell'attentato terroristico a Mumbai
  • I vescovi del Kerala lanciano una campagna contro la Tv spazzatura
  • Comunicato finale dell'Assemblea generale dei vescovi italiani
  • Assemblea Fiuc: le università cattoliche al servizio della crescita integrale dell'uomo
  • Indiani di diverse tradizioni uniti in preghiera a Varanasi
  • Nepal: per il pro-vicario apostolico “la popolazione è stanca della classe politica”
  • Mons. Twal inaugura la nuova charity “Amici di Terra Santa”
  • Seminario ortodosso russo in Francia: un ponte fra i cristiani di Oriente e Occidente
  • Le Chiese cristiane in Scozia preoccupate dalla depenalizzazione del suicidio assistito
  • Il cardinale Sodano: promuovere un’ Europa dello Spirito in cui ogni credente sia rispettato
  • 24 Ore nel Mondo

  • Obama in Cina annuncia uno sforzo congiunto di Washington e Pechino su cambiamento climatico, ripresa economica e proliferazione nucleare
  • Il Papa e la Santa Sede



    Nel pomeriggio, l'udienza di Benedetto XVI con il presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza

    ◊   Benedetto XVI ha in programma per il pomeriggio di oggi, alle 18, l'udienza al presidente della Repubblica del Burundi, Pierre Nkurunziza.

    In Giappone, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Sapporo, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Peter Toshio Jinushi.

    In Camerun, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Douala, presentata per raggiunti limiti di età dal cardinale Christian Wiyghan Tumi. Gli succede mons. Samuel Kleda, coadiutore della medesima arcidiocesi.

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    Convertire i cuori per sconfiggere la fame: sul discorso del Papa alla Fao, il commento di mons. Gandolfo della Cei. Il parere delle Ong

    ◊   Riconoscere il “valore trascendente” di ogni uomo “resta il primo passo per favorire quella conversione del cuore che può sorreggere l’impegno per sradicare la miseria”: è uno dei passaggi chiave del discorso di Benedetto XVI, ieri al palazzo della Fao in occasione del Vertice mondiale sulla sicurezza alimentare. Un aspetto che viene sottolineato da mons. Giovanni Battista Gandolfo, responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo della Conferenza episcopali italiana, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. - Oggi, si dà molta importanza, molto spazio all’“uomo economico”, all’“uomo politico”. Per contro, se ne dà - a mio avviso - molto poca all’“uomo religioso”. Eppure, è sull’esperienza religiosa, e in particolare sull’esperienza cristiana, che effettivamente si raggiunge quel valore trascendente di cui parla il Santo Padre, anche perché è il valore trascendente - come dice sempre Benedetto XVI - che favorisce la conversione della mente e del cuore. L’inizio di questo nostro spirito di solidarietà, di questa promozione umana, resta proprio la conversione del cuore e della mente, perché è attraverso questa conversione che si sradicano davvero tutte quelle forme che allontanano dal rispetto verso l’uomo e la donna di oggi.

     
    D. - “C’è cibo per tutti”, ha affermato con forza il Papa alla Fao; è l’egoismo che produce miseria. C’è dunque bisogno di cambiare gli stili di vita, come peraltro Benedetto XVI chiede anche nella Caritas in veritate?

     
    R. - Certamente. Credo sia uno dei primi punti della vita cristiana quello di cambiare l’attuale stile di vita, anche perché oggi abbiamo poco rispetto nei confronti dei valori veri dell’esistenza. Una di queste situazioni ruguarda proprio il rapporto con gli uomini che soffrono la fame. E quindi, se noi non cambiamo questi stili di vita non possiamo andare incontro a queste persone: si faranno tante parole - anche belle, se si vuole, come si è fatto fino adesso - ma poi deve intervenire il Sommo Pontefice per indicare che, effettivamente, ci sono possibilità per sfamare la gente e queste possibilità non vengono usate.

     
    D. - Gli uomini appartengono ad un’unica famiglia, ha detto il Papa. Una persona che muore di fame, dunque, interroga ognuno di noi. In che modo la Chiesa può promuovere questo spirito di solidarietà, di comunione?

     
    R. - La Chiesa ha sempre cercato di andare incontro alle necessità della gente. Perché si vada veramente incontro a queste necessità, è necessario ritornare ai valori trascendenti della persona e, allo stesso tempo, cercare di dare alla persona non soltanto un aiuto, ma esprimere questo aiuto e questa solidarietà attraverso progetti, attraverso doni che riescano a formare, ad educare le persone così che non vengano soltanto sfamate, ma diventino esse stesse protagoniste della loro lotta contro la fame.

     
    Sull’importanza dei valori e dei diritti dell’uomo, sottolineati dal Papa alla Fao, si sofferma Guido Barbera, presidente del Cipsi, il Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà internazionale, intervistato da Fabio Colagrande:

    R. - Credo che ieri il Santo Padre abbia sottolineato, ancora una volta, che se si vogliono affrontare questi problemi dobbiamo ripartire da una riscoperta dei valori fondamentali e dei diritti fondamentali. Non possono essere semplicemente le grandi coltivazioni, le strategie di chi ha l’interesse di guadagnare a risolvere il problema della fame. Se io aumento la mia quantità di ricchezza, non risolvo i problemi della popolazione. Quello che purtroppo sta succedendo, anche in continenti storicamente provati dalla fame come l’Africa, è che il Prodotto interno lordo sta aumentando: In due anni l’Africa, secondo i dati della Banca mondiale, è cresciuta del cinque e mezzo per cento. Anche adesso, nonostante la crisi, il tasso è in crescita, ma la gente è sempre più povera e negli ultimi due anni 200 milioni di persone in più sono affamate.

     
    D. - E’ per questo che il Papa ha ricordato ieri che vanno anche ridefinite le relazioni internazionali per consentire ai Paesi poveri condizioni paritarie...

     
    R. - Noi dobbiamo metterci in testa - come giustamente ha sottolineato ieri il Santo Padre - che la cooperazione non è un fatto di mercato. La cooperazione non è un fatto di aiuti. La cooperazione è il rispetto dei diritti e della dignità degli esseri umani, per cui essa parte dalla riscoperta di relazioni tra le persone e da una politica che è fatta dalle persone per le persone, cioè una politica che deve rispondere veramente ai problemi delle persone. Negli ultimi tempi, invece, la politica sta mercificando qualunque cosa. Quando noi parliamo di bisogno dell’acqua, di bisogno di più alimentazione, poniamo il problema su un piano puramente commerciale di situazioni in cui l’essere umano, la persona, deve provvedere in qualche modo ad arrivare all’acquisto o al recupero dell’acqua piuttosto che degli alimenti. Se parlo invece di diritto - che sta alla base del concetto della politica - diventa davvero un impegno della comunità affrontare queste problematiche e in questo caso non ci sono più scuse: abbiamo una popolazione mondiale che deve avere il suo diritto riconosciuto di poter mangiare, bere, poter avere l’istruzione, la sanità. Insomma, gli elementi essenziali per vivere non come relitti dimenticati, ma come persone con una propria dignità. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

     
    Proseguono intanto i lavori del Vertice mondiale sull’alimentazione, giunto alla seconda giornata. L'inviata alla sede della Fao, Roberta Gisotti:
     
    Clima purtroppo sottotono qui al Palazzo della Fao, dopo la delusione cocente rispetto ai contenuti della Dichiarazione del Vertice approvata già ieri mattina, priva di indicazioni su finanziamenti e tempi per sconfiggere la fame. Insoddisfatto e rammaricato lo stesso direttore generale della Fao, Jaques Diouf, che si è difeso dicendo “non ho negoziato io il documento, sono stato escluso, non c’ero neppure.” E questo è davvero strano. Intanto, stamani ad aprire i lavori è stato il contestato presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, che si è appellato perché siano sospese le sanzioni - che ha definito “inumane e illegali” - contro il suo Paese, rivendicando il merito di lavorare per strappare i suoi cittadini alla fame. Ha parlato oggi anche il primo ministro turco, Tayyp Erdogan, con parole severe. I problemi della sicurezza alimentare “stanno diventano ingestibili”, ha detto, auspicando maggiori investimenti nel settore agricolo. Ma di che tipo?

     
    Proprio a questo tema è stata dedicata un’interessante conferenza stampa a margine dei lavori in Assemblea con i responsabili della Fao e dell’Ifad, che si stanno occupando insieme all’Undp e alla Banca mondiale di un problema scottante e complesso: il "land grabbing", ovvero l’accaparramento delle terre, mascherato sotto la veste degli investimenti agricoli nei Paesi in via di sviluppo: acquisizioni in grande ascesa specie in Africa, da parte di grandi privati e Stati. Investimenti certo necessari, utili e positivi quando non ledono gli interessi delle popolazioni locali, specie dei soggetti più deboli i poveri rurali. Occorre coinvolgere le comunità locali negli accordi di vendita, ha ammonito il presidente dell'Ifad, Nwanze. Si parla di 20 milioni di ettari acquisiti negli ultimi tre anni da compratori esteri. Ma è una stima in difetto. Si sta quindi lavorando per arrivare a delle Linee guida volontarie e ad un Codice di condotta, che garantisca sul piano legale la trasparenza dei contratti, il diritto dei cittadini, e la sostenibilità ambientale dei progetti. Ma i tempi non sono brevi ed il rischio è di arrivare tardi quando gli scempi saranno in massima parte consumati.

     
    Insoddisfazione per lo svolgimento del Vertice viene espressa da molte Ong impegnate nella lotta contro la fame. Ecco il commento di Sergio Marelli, presidente della Focsiv, la Federazione degli organismi cristiani per il Servizio internazionale volontario. L’intervista è di Massimiliano Menichetti:

    R. - Non c’è più nessun riferimento alla scadenza temporale per arrestare la fame nel mondo: non c’è accenno ai 44 miliardi di dollari l’anno chiesti da Diouf per sostenere l’agricoltura nel mondo e non c’è una chiara scelta di campo su chi dovrà gestire queste risorse tra la Banca mondiale e le agenzie delle Nazioni Unite. E’ fin troppo evidente che non possono che essere le Nazioni Unite a gestire le politiche mondiali.

     
    D. - Il Papa ha ribadito: abbiamo bisogno di una solidarietà animata dalla carità. Poi è entrato nelle pieghe del problema:…

     
    R. - Parole chiarissime: dall’affermare il diritto di tutti i Paesi e di tutti i popoli a definire i propri modelli economici e produttivi, passando per dire che le comunità locali devono essere coinvolte e che quindi i poveri sono una risorsa e non un problema, fino ad affermare che la fame non è dovuta a mancanza di cibo ma a cause strutturali come le speculazioni, le sovvenzioni ai prodotti agricoli e un mercato internazionale che marginalizza i Paesi poveri.

     
    D. - Questo vertice è stato disertato da molti leader di Paesi occidentali. Cosa serve, in realtà, per potere affrontare la fame nel mondo?

     
    R. - Serve rimettere la persona al centro, serve rimettere al centro i processi democratici. Serve come ha detto il Papa - coinvolgere le comunità locali. Noi riassumiamo questo in uno slogan, in una parola: serve la sovranità alimentare di tutti i popoli della terra.

     
    D. - E’ necessario riflettere anche sulla questione degli sprechi, del cibo che viene buttato…

     
    R. - E’ fuori dubbio: non a caso, il Papa apre il suo discorso proprio dicendo che c’è cibo sufficiente. Il problema è che non è equamente distribuito e chiude il proprio discorso con un richiamo agli stili di vita sobri, al non accettare la logica del consumo e degli sprechi. Un’apertura e una chiosa finale che richiamano appunto alla necessità non di produrre di più, quanto piuttosto di distribuire più equamente e più giustamente le risorse che ci sono.

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    Presentato in Vaticano il convegno sulla realtà dei non udenti nella vita della Chiesa e sul loro contributo nell'apostolato

    ◊   Offrire “un'opportunità per valorizzare l’apporto delle persone non udenti nei diversi campi di apostolato, dando pieno riconoscimento alla rilevanza del loro operato”. E’ l’obiettivo della Conferenza internazionale incentrata sul tema: “Effatà! La Persona sorda nella vita della Chiesa”. Il Congresso, promosso dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, si terrà in Vaticano dal 19 al 21 novembre prossimi. L’iniziativa è stata presentata stamani nella Sala Stampa della Santa Sede. Alla conferenza stampa hanno partecipato, tra gli altri, mons. Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, e padre Savino Castiglione, della Congregazione Piccola Missione per i Sordomuti. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Nel mondo, sono oltre 278 milioni le persone con deficit uditivo. Tra queste, 59 milioni sono affette da sordità totale. L’80% delle persone non udenti vive nei Paesi meno sviluppati, dove la mancanza di infrastrutture sanitarie adeguate e di interventi tempestivi si aggiunge alle difficoltà economiche per l’acquisto dei farmaci. Spesso, sono compromessi l’inserimento nel mondo del lavoro, la partecipazione alla vita sociale e la possibilità di crearsi una famiglia. Un grave impedimento è anche quello alla possibilità di crescita nella vita spirituale e nella pratica religiosa, come ha sottolineato mons. Zygmunt Zimowski:

    “Le ricadute sono notevoli quanto inevitabili sulla vita della Chiesa cattolica, della quale si stima facciano parte circa un milione e 300 mila sordi”.
     
    Non si può rimanere sordi alla Parola di Dio. Il brano evangelico della guarigione del sordomuto, al quale Gesù dice “Effatà, apriti”, è un invito a non vivere nel nascondimento, a non chiudersi in se stessi. Mons. José Redrado, segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari:

    “Il Signore davanti al sordo grida: Apriti! E’ un grido di speranza, è un esperienza per il sordo che comincia a sentire e a proclamare. E questo gesto di Gesù lo prende la Chiesa e dice: Apriti!”.

    Chi ha aperto il proprio animo - ha aggiunto mons. Redrado - è il grande compositore Beethoven, che ha vissuto l’esperienza della sordità:

    “Beethoven vive isolato vicino a Vienna e scrive pagine amare, desolate dove affiorano propositi di suicidio. E’ condannato a non udire più le sue melodie che nell’intimo dell’animo. Ma compie uno sforzo titanico - a questo mi riferisco come segno di Chiesa - e supera la crisi. La fine non è la tomba, la depressione ma il trionfo, il premio allo sforzo, la risurrezione dello spirito sulla fragile materia”.

    Il Congresso prenderà in esame gli aspetti medici, sociali e psicologici della sordità e le necessità pastorali delle persone sorde. L’incontro sarà tradotto anche nelle lingue dei segni. Esponenti del clero e di istituti religiosi e del laicato si soffermeranno sulla loro esperienza di persone sorde. Particolarmente toccante sarà la testimonianza di padre Cyril Axelrod, missionario sudafricano sordo-cieco, che annuncia la Parola comunicando con i gesti per lanciare un messaggio universale: nessuno può davvero sentirsi escluso dall’amore di Dio.

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    L'impegno missionario della Chiesa, espressione dell'amore di Dio per l'uomo. Intervista con mons. Robert Sarah

    ◊   Capire meglio le vie per far arrivare il Vangelo e l'amore di Dio al cuore della società moderna. E' questo uno dei temi principali di cui discute in questi giorni a Roma la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Presso la Pontificia Università Urbaniana, la Congregazione è riunita da ieri per la sua assemblea plenaria annuale, durante la quale vengono presi in esame le priorità riguardanti l'attività missionaria. Filo conduttore di quest'anno, "San Paolo e i nuovi aeropaghi". Se infatti la competenza della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli si estende a quasi tutta l'Africa e l'Asia, l'Oceania, e alcune Chiese del Canada, degli Stati Uniti e dell'America Latina, in realtà l'attenzione all'annuncio missionario riguarda oggi anche le Chiese di lunga cristianità. Di qui, l'invito della Congregazione a dedicare un'attenzione speciale alla formazione, per raggiungere i nuovi aeropaghi della società moderna. Come spiega mons. Robert Sarah, arcivescovo emerito di Conakry, Guinea Bissau, e segretario della Congregazioone per l'Evangelizzazione dei Popoli, intervistato da Pietro Cocco:

     
    R. - Abbiamo guardato soprattutto alla vita di San Paolo, che dovrà essere il nostro modello. La prima cosa sulla quale vogliamo insistere è il sacerdote, che dev’essere anche lui un amico innamorato di Cristo per poter portare questo amore agli altri. Se non è convinto, non potrà essere missionario. Ciò vuol dire che devono fare di tutto per incontrare Cristo: e questo è il principio essenziale perché, come ha detto San Giovanni nella Prima Lettera, “ciò che noi abbiamo contemplato, ciò che noi abbiamo toccato con le nostre mani, lo annunciamo”. Dunque, bisogna fare l’esperienza personale di Cristo per poterlo portare agli altri. Come San Paolo, che ha incontrato Cristo, che è stato “afferrato” da Cristo in modo tale da non potersi separare da lui. Abbiamo visto anche tanti luoghi dove dobbiamo insistere a portare la Parola di Dio, il Vangelo: la famiglia, i mezzi di comunicazione, la grandi sacche di povertà nel mondo, cioè quei luoghi dove la politica dev’essere evangelizzata; l’economia… sono tanti luoghi, tanti areopaghi che dobbiamo evangelizzare perché questi luoghi sono quelli dove si decide tutto sull’uomo.

     
    D. - Non è più una questione geografica, dove andare in missione: sono i luoghi in cui, nei diversi Paesi, le persone, le famiglie vivono…

     
    R. - Penso che il luogo principale sia l’uomo. La missione ad gentes, oggi, è ovunque. Anche i Paesi evangelizzati da secoli hanno bisogno di riscoprire Cristo. Le Chiese giovani, i popoli giovani hanno bisogno di riscoprire Gesù Cristo, e dunque non si tratta più di territori ma dobbiamo andare all’uomo che dobbiamo riportare a Dio. Oggi, l’uomo vive senza Dio, o vuole vivere senza Dio. Eppure ha bisogno di Dio, perché senza Dio non possiamo vivere. Dunque, esistono oggi territori in cui portare il Vangelo, ma io penso che oggi sia l’uomo il luogo più importante.

     
    D. - E ciò riguarda la formazione dei sacerdoti ma anche delle comunità cristiane, di ogni cristiano che diventa missionario...

     
    R. - Ogni cristiano dev’essere formato perché riscopra che il suo battesimo lo rende missionario: ricevere Cristo nel suo cuore vuol dire portarlo agli altri. E’ importante dunque la formazione nei seminari, ma anche la formazione di tutto il popolo di Dio. Vuol dire dare a ciascuno la possibilità di conoscere la Parola di Dio, di conoscere la Bibbia. Non soltanto conoscerla a livello intellettuale, ma cercando di vivere la Parola di Dio nella sua vita, nel suo impegno, nella sua famiglia e così via.

     
    D. - In questi due giorni, avete analizzato anche qualche situazione in particolare, dove più urgente dev’essere l’impegno anche vostro, come Congregazione?

     
    R. - Sì, noi ci occupiamo soprattutto dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania, di una buona parte dell’America Latina - cioè, di quei Paesi giovani nella cristianità - per quanto riguarda sostanzialmente la formazione dei sacerdoti, dei catechisti, perché il catechista è veramente l’appoggio più importante per il missionario. Quindi, impostare in questi Paesi una formazione più profonda, non soltanto intellettuale, ma spirituale dei catechisti; e poi anche i seminari: i seminaristi devono essere non soltanto esperti, ma persone che hanno scoperto Cristo. Non bisogna fare del sacerdozio una professione, ma veramente un impegno con Cristo che mi invia a portare il suo amore altrove: agli uomini. Inoltre, non abbiamo dimenticato le Chiese orientali: il cardinale Sandri ha insistito affinché non dimenticassimo, nel nostro documento finale, di toccare anche questa Chiesa importante, quella orientale.

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    Il commento di mons. Giampietro Dal Toso sulla recente plenaria del Pontificio Consiglio “Cor Unum”

    ◊   Si è conclusa sabato scorso la 28.ma plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum, l'organismo vaticano istituito da Papa Paolo VI nel 1971 allo scopo di coordinare le iniziative delle istituzioni caritative cattoliche. L’assemblea, presieduta dal presidente del dicastero, il cardinale Paul Joseph Cordes, si è svolta a Roma sul tema "Percorsi formativi per gli operatori della carità". Per l'occasione erano rappresentate le diocesi, le Caritas, le Organizzazioni internazionali di aiuto e di assistenza dai cinque continenti. Al sottosegretario di Cor Unum, mons. Giampietro Dal Toso, Roberto Piermarini ha chiesto cosa è emerso nella plenaria da parte dei responsabili delle attività caritative della Chiesa:

    R. - E’ emersa una varietà di impegno nel campo della formazione: il tema era, appunto, quello dei percorsi formativi. Ci siamo immediatamente resi conto della diversità delle situazioni sia geografiche, che storiche, che culturali e che questo comporta anche una notevole diversità di approccio al problema della formazione. Ci sono poi diversi ambiti di lavoro e quindi diversa è anche la formazione - ad esempio - di un manager in un organismo caritativo rispetto alla formazione di chi opera concretamente in un Paese del terzo mondo. La prima cosa di cui ci siamo resi immediatamente conto è che il tema formazione ha diverse variabili. Questo, però, non significa che non si possano trovare dei punti fondamentali, che valgano in genere per chiunque operi all’interno di un organismo cattolico di aiuto.

     
    D. - Quali questi punti fondamentali toccati dalla plenaria?

     
    R. - Devo dire, ed anche con grande soddisfazione, che in diversi interventi nel corso della plenaria è emerso che c’è un orizzonte comune nel quale ci muoviamo ed è la testimonianza cristiana e che questa testimonianza cristiana si misura su Cristo. Dunque, tutti i nostri operatori sono chiamati a maturare nella fede e anche a maturare un incontro personale con Cristo, affinché la loro testimonianza sia pienamente cristiana. E proprio per rispondere, non solo ai bisogni immediati - che sono certamente importanti ed che è necessario affrontare - ma anche per raggiungere le profondità del cuore dell’uomo, che chiede di essere amato per come è, è necessario passare attraverso una testimonianza cristiana e trasmettere l’amore che Dio ha per ogni uomo. Su questo orizzonte, verso il quale dobbiamo muoverci, si è trovato un consenso - credo - unanime.

     
    D. - Nel campo della carità cosa può offrire in più la fede?

     
    R. - Io credo proprio questo. Sono stato colpito dal discorso del Santo Padre che diceva che proprio l’incontro con Cristo dona lo Spirito Santo, trasforma il cuore dell’uomo e lo rende sensibile anche ai bisogni dell’altro. Credo che questo sia un punto cruciale per ogni cristiano sia che lavori in un organismo caritativo, sia che lavori come volontario, sia anche per la sua vita cristiana quotidiana. Essere raggiunti dall’amore di Dio significa lasciarsi cambiare il cuore per diventare sensibili ai bisogni di chi ci sta vicino.

     
    D. - Nel suo discorso alla Fao, Benedetto XVI ha toccato il tema della cooperazione per sconfiggere la fame. Questo aspetto quanto coinvolge le agenzie cattoliche caritative legate a Cor Unum?

     
    R. - Ovviamente, il tema della fame è un tema che ci sta molto a cuore e che ci vede impegnati in prima linea a combattere la fame. Come diceva ieri il Santo Padre, è drammatico il fatto che anche nel mondo moderno, pur avendo tanti mezzi a disposizione, il problema resti e riguardi soprattutto un problema di distribuzione, come è stato ampiamente rilevato: il cibo ci sarebbe, ma non raggiunge tutti. Per quanto riguarda i nostri organismi, ovviamente, rispondono alla necessità concreta: il problema della fame non è solo un problema di mancanza di cibo, ma molte volte è anche legato ad una mancanza di acqua, mentre altre volte è legato ad una mancanza di competenze tecniche per l’agricoltura e in altri casi ancora è legato ad una mancanza di denaro da investire in acquisizioni di competenze specifiche o di attrezzature. In base alla situazione si cerca, quindi, anche di dare una risposta. E’ emblematico, in questo senso quando - dopo la visita di Giovanni Paolo II nei Paesi del Sahel nel 1984 - si decise di istituire la Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel proprio per riuscire ad andare incontro ad un problema che era quello dell’acqua, cercando di dare quelle risorse idriche che facilitassero la coltivazione ed anche la produzione di beni da mangiare. Non posso poi sottacere tante altre iniziative che ci sono in questo settore, come quella del Banco alimentare che opera anche in Italia, che raccoglie il cibo e lo distribuisce a persone che non sono più in grado di comprarlo. Ricordiamo che il problema della fame purtroppo non riguarda solamente i Paesi in via di sviluppo, ma attualmente riguarda alcune fasce deboli di popolazioni anche nei nostri Paesi occidentali.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Tra Obama e Hu Jintao accordo senza domande: in rilievo, nell'informazione internazionale, l'incontro tra i presidenti statunitense e cinese, che parlano del loro colloquio in una conferenza stampa senza possibilità di intervento per i giornalisti.

    Per un'equa rappresentanza nel Consiglio di Sicurezza: intervento della Santa Sede alla 64 sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

    Hollywood a Roma per una storia cristiana, e il 18 novembre 1959 il "Ben-Hur. A Tale of the Christ" di William Wyler concludeva il ciclo dei kolossal americani ambientati nell'antichità: in cultura, i contributi di Emilio Ranzato, Giuseppe Fiorentino e di Ornella Petrucci, della quale viene riproposto l'articolo - uscito nel 2008 su "Il Velino" - dedicato alla lunga storia d'amore tra Charlton Heston e la moglie, Lydia Marie Clarke.

    Il codice primario di un capolavoro: Antonio Paolucci presenta la collana, curata da monsignor Roberto Zagnoli, "La parola dipinta. La Bibbia nella Cappella Sistina", quattro volumi editi dai Musei Vaticani in collaborazione con "Il Sole 24 Ore".

    L'evangelizzazione delle culture impegno primario della missione: nell'informazione vaticana, i lavori della diciottesima assemblea plenaria di Propaganda Fide.

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    Oggi in Primo Piano



    “Autismo informatico”, uno dei disagi giovanili da non sottovalutare

    ◊   Ottocentomila minori in Italia sono senza cittadinanza; nella regione Lazio il 56,6% delle famiglie afferma di arrivare a fine mese con difficoltà. Sono solo alcuni dei dati emersi nell’incontro di lavoro voluto dalla vicepresidente del parlamento europeo, Roberta Angelilli, con il mondo dell’associazionismo italiano, per fare il punto sulla condizione delle famiglie e sul disagio minorile. C’era per noi Fausta Speranza:

     
    Capire la condizione dei minori in Italia e in Europa: questo l’obiettivo di un incontro durante il quale hanno preso la parola la Comunità di Sant’Egidio e l’Associazione nazionale famiglie numerose, ma anche tante altre associazioni che si occupano da vicino di disagio e di minori. Emerge un quadro in cui a preoccupare sono le nuove forme di povertà di un’immigrazione mal gestita o di famiglie toccate dalla crisi, ma anche i disagi da eccesso di benessere: l’on. Roberta Angelilli sintetizza così:

    “Abbiamo molto da fare per quanto riguarda la lotta alle nuove povertà, all’emarginazione, all’esclusione sociale. Ci sono persone che davvero soffrono e a volte non hanno neanche nulla da mangiare, famiglie che stentano ad andare avanti quotidianamente. Ma abbiamo anche bisogno di contrastare quella che il Papa ha definito una povertà in termini valoriali, in termini educativi, formativi. Noi abbiamo tanti giovani allo sbaraglio perché le famiglie - prese purtroppo da tante problematiche - non riescono a dare risposte. Abbiamo quindi fenomeni come il bullismo, in crescente aumento, ma abbiamo anche tanti ragazzi che soffrono di psicopatologie e di deviazioni del comportamento caratterizzati da ansia, stress, ma anche da bulimia ed anoressia e quindi da disturbi alimentari. Un altro fenomeno sottovalutato è quello dell’obesità, che sta diventando una vera e propria emergenza. Questi sono tutti sintomi conclamati di un forte disagio interiore”.

     
    Per affrontare concretamente tutto ciò l’impegno non può essere solo nazionale ma a livello europeo. Ancora Roberta Angelilli:

     
    “Ci vuole un grande sforzo da parte delle istituzioni, cercando di mettere anche a disposizione delle risorse finanziarie: le leggi sono importanti, ma bisogna poi sostenere i progetti. E’ necessario mettere in rete tutti gli operatori e le figure attive che sul territorio sono tanti: le grandi associazioni, ma anche le associazioni più piccole di volontariato, che cercano quotidianamente di dare delle risposte. Sicuramente, quindi, è necessario un budget più importante a partire dall’Unione Europea e una compartecipazione, una governance di questi processi”.

    Non si può dimenticare, osserva inoltre l'on. Angelilli, il ruolo troppo spesso inadeguato o negativo dei media:

    “Purtroppo, soprattutto i minori e i problemi dei minori sui media o vengono banalizzati o l’obiettivo è soltanto quello, come si dice, di sbattere il mostro in prima pagina. Quando c’è il dramma, quando c’è l’emergenza, quando muore qualcuno o quando c’è qualche scandalo, i media sono attentissimi a demonizzare i minori. Noi i minori invece li dobbiamo aiutare, dobbiamo accompagnarli in un processo di crescita formativo e quindi ci vuole più attenzione, più ascolto e meno demonizzazione”.

     
    Tra le forme di disagio dei giovanissimi c’è “l’autismo informatico”: in pratica la dipendenza da video, che sia Internet, videogiochi o chat. A denunciarlo è il prof. Vincenzo Mastronardi, presidente dell’Osservatorio sui comportamenti e la Devianza dell’Università La Sapienza di Roma:

    “L’autismo informatico ha a che fare con il mono-ideismo, nel senso che una sola idea possiede la propria mente e si entra in una nevrosi ossessiva. Il rapporto è unicamente con lo schermo ed è un rapporto peraltro virtuale. Ci si priva di vere possibilità emozionali, quali quelle che realmente si possono avere a livello interpersonale. Detto questo, però, non possiamo pretendere di cancellare Internet, di cancellare tutta quella che è l’evoluzione tecnologica. L’uso equilibrato di questi mezzi va fatto tenendo presente l’evoluzione fisiologica e positiva e non l'involuzione. Non bisogna lasciarsi prendere la mano dai mezzi, ma condizionare positivamente i mezzi”.

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    Il dramma dei 300 mila bambini soldato nel mondo al centro della Conferenza internazionale di Torino. Intervista col prof. Giorgio Greppi

    ◊   “L’infanzia violata dalla guerra: i bambini soldato” è il titolo della Conferenza internazionale svoltasi ieri a Torino presso la Scuola di applicazione e Istituto di studi militari dell’Esercito. Si tratta di un fenomeno drammatico ed estremamente diffuso al quale la Comunità internazionale non riesce a porre un freno. Da decenni, infatti, nonostante numerose convenzioni internazionali per la tutela dell’infanzia i bambini soldato continuano ad essere arruolati in maniera coatta, ad uccidere ed essere uccisi. Stefano Leszczynski ha intervistato il prof. Giorgio Greppi, coordinatore dell’Osservatorio sui diritti umani dell’Ispi, l'Istituto per gli studi di politica internazionale:

    R. - La situazione è particolarmente drammatica ed è una sfida alla comunità internazionale contemporanea. Si parla di circa 300 mila bambini utilizzati in oltre 80 Paesi del mondo in conflitti armati, la maggior parte dei quali sono conflitti non internazionali. Questo implica che il problema dei bambini soldato non comporti soltanto la necessità, per gli Stati, di rispettare le norme internazionali per quanto riguarda le loro forze armate regolari, ma anche in tutte le situazioni di conflittualità non internazionale nella quale i bambini soldato vengono reclutati da forze armate irregolari, da formazioni di guerriglia. In altre parole, le norme internazionali - anche quelle che vietano il reclutamento dei bambini nei conflitti armati - si indirizzano essenzialmente agli Stati e questo determina, come conseguenza, la difficoltà di trovare puntuale applicazione nelle situazioni in cui lo Stato non è interamente responsabile di quello che succede.

     
    D. - Sono soprattutto gruppi irregolari ad arruolare i bambini. Il problema si pone quando la guerriglia si trova a fronteggiare eserciti regolari. In questo caso, gli Stati come devono comportarsi?

     
    R. - Mi ha colpito stamattina l’appello di uno dei relatori al nostro convegno. Nel rivolgersi ai presenti, un ex bambino soldato africano che ha fatto la sua relazione ha detto: “La prima obbligazione che grava su di voi è ‘disarmate i bambini soldato’”. Il primo obbligo che ha lo Stato con le sue formazioni irregolari è ovviamente quello di non reclutare i bambini soldato. Il secondo, invece, è quello di disarmare e di porre delle condizioni perché i bambini soldato non partecipino ai conflitti.

     
    D. - I bambini soldato comunque combattono. Nel caso si macchiassero di crimini di guerra, la normativa internazionale cosa può fare?

     
    R. - Le norme sono ancora agli inizi della loro applicazione. Per ora non abbiamo grandissimi casi, ci sono stati casi marginali. E’ ovvio che ove vi siano condizioni di imputabilità, anche il bambino soldato può essere considerato criminale di guerra.

     
    D. - Quindi vittima e carnefice allo stesso tempo…

     
    R. - Sì. Vittima e carnefice ma non solo: uno studio della Croce Rossa internazionale mette in evidenza che uno dei problemi gravi dei bambini soldato è che questi bambini sono particolarmente inclini alla ferocia, perché ovviamente sono privi dei freni morali che invece ha l’adulto.

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    Chiesa e Società



    Australia: dopo il governo, anche la Chiesa rinnova il “mea culpa” verso gli aborigeni

    ◊   Dopo le parole del Premier Kevin Rudd, che ha chiesto scusa per “le sofferenze inflitte ai bambini aborigeni” fra il 1930 e il 1970, anche la Chiesa cattolica australiana ha rinnovato il “mea culpa” per la cosiddetta stolen generation, la “generazione rubata”. Si tratta di quei bambini che, per una ideologia coloniale che disprezzava la cultura locale, furono tolti alle loro famiglie, adottati da bianchi o chiusi in orfanotrofi e forzatamente “rieducati” , subendo violenze e maltrattamenti. Come l’agenzia Fides apprende dalla Chiesa locale, la Conferenza episcopale ha fatto eco alla storica presa di posizione del governo australiano che ha ammesso le proprie responsabilità e chiesto scusa alla comunità aborigena: “Siamo profondamente amareggiati per il dolore causato se la parola della Chiesa ha negato o minimizzato la sofferenza delle vittime”, ha dichiarato mons. Philip Wilson, presidente della Conferenza episcopale australiana, ricordando il documento “Towards Healing” (“Verso la guarigione”), pubblicato nel 1996, in cui la Chiesa già affrontava la questione, chiedendo perdono per le proprie mancanze. “Imploriamo che queste scuse, espresse dal Primo Ministro nel Parlamento nazionale, possano giocare un ruolo importante nel guarire molte delle ferite” che ancora oggi si notano nella società australiana – ha continuato mons. Wilson – auspicando la piena riconciliazione e integrazione delle comunità aborigene nel tessuto sociale australiano. Il Premier Rudd, nel corso di un’audizione al Parlamento di Canberra, aveva dichiarato: “L’Australia è desolata per la tragedia assoluta delle migliaia di persone che hanno visto la loro infanzia perduta o violata” ha continuato, ricordando che “il Paese guarda con desolazione alle vicende dei bambini presi dalle loro famiglie e chiusi in istituti dove hanno subito violenze e maltrattamenti”. Attualmente gli aborigeni nella società australiana sono circa 470.000 e la Chiesa ha avviato numerosi programmi di sviluppo umano, istruzione, e solidarietà per contribuire alla crescita e allo sviluppo delle comunità. (R.P.)

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    Le minoranze in Iraq chiedono più sicurezza

    ◊   Un forte appello alle autorità irachene affinchè difendano le minoranze religiose mettendo in campo maggiori misure di sicurezza anche in vista delle prossime elezioni di fine gennaio. Lo hanno rivolto alcuni gruppi religiosi che vivono nella provincia settentrionale di Ninive in Iraq denunciando la sensazione continua di essere nel mirino di gruppi estremisti. Tra le comunità maggiormente prese di mira in quest’area c’è quella degli shabak, poco più di trecentomila persone che professano una religione che ha elementi di islam e cristianesimo; le altre minoranze sono rappresentate da yazidi e dai cristiani, questi ultimi composti da caldei, ortodossi, cattolici, assiri, armeni e anglicani. “Dal 2003, spiega un abitante cristiano di Mosul, subiamo rapimenti, estorsioni e anche uccisioni. Siamo stati ripetutamente presi di mira da violenti attacchi da parte di estremisti sunniti, la maggior parte dei quali affiliati, per loro stessa ammissione, ad al-Quaeda”. Tra l’altro in Iraq le minoranze sono accusate di cooperare con le forze americane e gli attentati verso di loro, come ha spiegato Abdul-Raheem al-Shimari, capo del comitato di sicurezza e difesa della provincia di Ninive, potrebbero aumentare proprio in vista delle elezioni politiche. "Credo - ha detto - che ci saranno problemi di sicurezza non solo per le minoranze, ma per tutti gli abitanti della provincia. Tutti i partiti, specialmente quelli che dispongono di milizie influenti, avranno un ruolo determinante nel destabilizzare la sicurezza a scapito delle minoranze". (C.S.)

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    Orissa: delegazione europea incontra le vittime dei pogrom anticristiani

    ◊   I rappresentanti di cinque Paesi dell’Unione europea sono in visita in Orissa. Scopo della missione è verificare la condizioni dei rifugiati cristiani, accertare la situazione della sicurezza nella zona e incontrare alcuni sopravvissuti alle violenze indù che hanno insanguinato la regione. I delegati di Danimarca, Svezia, Finlandia, Norvegia e Islanda non hanno ricevuto il permesso da New Delhi di visitare il distretto del Kandhamal. Ieri hanno incontrato Manmohan Praharaj, direttore generale della polizia a Cuttack, insieme ad altri alti ufficiali. E prima ancora hanno dialogato con 10 vittime dei pogrom, accompagnate nella capitale dello Stato, presso l’arcivescovado di Bhubaneswar-Cuttack. A seguito dell’incontro privato con gli scampati ai pogrom - riferisce l'agenzia AsiaNews - i rappresentanti dei cinque Paesi del nord Europa non hanno rilasciato dichiarazioni. Aoulsen Ole Lonsmann, ambasciatore di Danimarca e membro della delegazione, ha parlato di una “discussione privata” il cui contenuto “non può essere diffuso in pubblico”. Oggi i cinque inviati visiteranno Kalahandi e Koraput per sincerarsi anche della situazione della regione alle prese con i ribelli maoisti. Mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Bhubaneswar-Cuttack, afferma che i cinque inviati hanno manifestato “preoccupazione” per la situazione, ma aggiunge che “hanno ascoltato le vittime, ma non hanno promesso nulla”. Il vescovo ha manifestato loro l’angoscia per le persone che ad oltre un anno dai pogrom vivono ancora lontano da casa e sotto minaccia. “Pensiamo che circa 50mila persone abbiano abbandonato il Kandhamal durante le rivolte”, ha detto mons. Cheenath. “Ora il 50% di esse ha fatto ritorno, ma stanno affrontando problemi per le abitazioni e il governo dello Stato dovrebbe affrontare con più serietà questo problema”. (R.P.)

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    Una giornata nazionale in ricordo dei martiri dell'Orissa: la proposta dei vescovi indiani

    ◊   Una Giornata nazionale in memoria di tutti i martiri indiani, sacerdoti, religiosi e laici, da celebrare annualmente a livello ecumenico, nell'ultima domenica di agosto. A lanciare la proposta — rende noto l'agenzia Fides — è stata la commissione per l'ecumenismo della Conferenza episcopale dell'India, con l’intenzione di dare rilevanza a tutti coloro che hanno sacrificato la vita a causa della loro fede in Cristo, i cosiddetti “moderni martiri” dell'India di oggi. “In particolare, ha spiegato la Commissione in una nota, è stata scelta la data dell'ultima domenica di agosto per commemorare i cristiani morti a causa delle violenze che hanno colpito l'Orissa, che hanno avuto inizio proprio nello stesso mese del 2008". Il vescovo di Jullundur e presidente della commissione per l'ecumenismo, Anil Joseph Thomas Couto, hanno sottolineato che il martirio è la più alta forma di amore. "Ricordare quanti sono morti nel nome di Gesù Cristo — ha aggiunto il presidente— è un atto che vogliamo confermare e continuare a beneficio delle nuove generazioni. Inoltre, celebrarla a livello ecumenico, significa rafforzare l'unità fra le comunità cristiane in India”. La proposta elaborata dalla commissione passerà ora all'esame dei vescovi che si pronunceranno sulla fattibilità dell'iniziativa. Intanto, un appello per la fine delle violenze è giunto anche dall'assemblea dell'Indian Catholic Youth Movement, i cui delegati si sono riuniti nei giorni scorsi a Mangalore. In occasione dell'incontro, il vescovo di Mangalore, Aloysius Paul D'Souza, ha esortato i giovani a rendere la loro testimonianza nella società civile, pur nelle difficoltà che essa presenta. «Voi — ha evidenziato il presule rivolgendosi ai partecipanti all'assemblea — siete il futuro della Chiesa e della nazione». La comunità cristiana denuncia, fra l'altro, la lentezza della giustizia: fino a oggi sono state soltanto ventisette, su oltre seicento arrestate, le persone che hanno subito una condanna per i fatti accaduti in Orissa. (C.S.)

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    USA: Anno sacerdotale e riforma sanitaria al centro della prima giornata della Plenaria dei vescovi

    ◊   L’Anno Sacerdotale indetto dal Santo Padre, l’esame preliminare di due importanti documenti pastorali dedicati al matrimonio e alle tecnologie riproduttive e delle traduzioni in inglese di alcune sezioni del nuovo Messale Romano, la riforma sanitaria recentemente approvata dalla Camera dei Rappresentanti. Questi alcuni dei temi che hanno dominato la prima giornata di lavori della plenaria dei vescovi degli Stati Uniti iniziata ieri a Baltimora. Ad introdurre la sessione è stato il cardinale Francis E. George, presidente della Conferenza episcopale (USCCB), che ha dedicato la parte centrale del suo intervento ad una riflessione sul sacerdozio. L’arcivescovo di Chicago si è soffermato in particolare sulla specificità e l’imprescindibilità del sacerdozio ordinato nella Chiesa. “Senza un ministero sacerdotale radicato negli ordini sacri – ha ricordato - il compito di insegnare la fede ricadrebbe sugli accademici a cui spetta cercare la verità nell’ambito della loro disciplina e la cui autorità di insegnamento deriva dalla loro esperienza professionale”. “Senza i sacerdoti ordinati – ha aggiunto - l’unica istanza di governo in una qualsiasi società sarebbe quella delle autorità civili e politiche” e la consulenza spirituale sarebbe lasciata agli psicoterapeuti che si limitano ad “analizzare le dinamiche della personalità umana, senza considerare l’influenza della grazia di Dio”. Ma soprattutto, ha sottolineato il cardinale George, “senza i sacerdoti la Chiesa sarebbe privata dell’Eucaristia e il suo culto sarebbe centrato solo sulla lode e il ringraziamento”. La prima giornata di lavori dell’assemblea dei vescovi americani, in cui è intervenuto anche il nunzio apostolico mons. Pietro Sambi, è stata dedicata all’esame preliminare di alcune sezioni del nuovo Messale Romano, della Lettera pastorale “Matrimonio: vita e amore nel piano divino” e del documento sulle tecnologie riproduttive “L’amore che dona la vita nell’era della tecnologia”. Il voto su questi testi è previsto per oggi. I presuli hanno inoltre ascoltato diversi rapporti, tra cui una relazione sulla riforma sanitaria, facendo propria la dichiarazione diffusa dal cardinale George all’indomani dell’approvazione del provvedimento alla Camera dei Rappresentanti, in particolare il no ai finanziamenti pubblici all’aborto. Tra i punti in agenda della giornata odierna, figura anche il voto sul piano di azione pastorale “Approfondire la fede, alimentare la speranza, celebrare la vita”, su una serie di piani strategici ed operativi per gli uffici e i dipartimenti della USCCB, l’approvazione del bilancio di previsione 2010 e la nomina dei presidenti dei comitati e uffici episcopali della Conferenza episcopale. (L.Z.)

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    USA: il 21 e 22 novembre in tutte le parrocchie colletta per le famiglie vittime della crisi economica

    ◊   “Le famiglie sono in difficoltà, la fede chiama” è il tema della colletta speciale che si raccoglierà in tutte le parrocchie degli Stati Uniti d’America sabato e domenica prossimi, destinata ad aiutare le famiglie che stanno attraversando un periodo di difficoltà a causa delle conseguenze della crisi economica. Ogni anno - riferisce l'agenzia Fides - la Catholic Campaign for Human Development (Cchd) della Conferenza episcopale dei vescovi cattolici degli Stati Uniti d’America promuove una colletta speciale per una particolare intenzione, e la Colletta 2009 tiene conto del fatto che la crisi economica ha lasciato negli Stati Uniti molte persone senza lavoro, senza assistenza sanitaria, senza fondi per la pensione. Le statistiche del censimento sulla povertà rilevano che negli Stati Uniti d’America ci sono 39,8 milioni di persone in povertà, circa 3 milioni in più rispetto al precedente censimento. Un bambino su 6 vive al di sotto della soglia di povertà. “La missione della Cchd è cruciale nel 2009 – ha scritto mons. Roger Morin, vescovo di Biloxi, Mississippi, presidente della Sottocommissione episcopale per la Cchd, nella lettera inviata alle parrocchie con l’invito ad essere generosi -. Quest’anno la chiamata come cattolici a portare il lieto annuncio ai poveri, a proclamare la libertà ai prigionieri, a ridare la vista ai ciechi, a liberare gli oppressi (cfr Lc 4,18) è più importante che mai”. La Cchd è membro della Caritas internationalis ed il 25% delle offerte raccolte attraverso la sua Campagna annuale vengono destinate a sostenere i progetti delle diocesi in cui i fondi vengono raccolti, mentre il resto viene distribuito a livello globale. Nel 2008 hanno partecipato alla Campagna 776 parrocchie cattoliche, 18 organizzazioni caritative cattoliche, 51 comunità religiose. (R.P.)

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    I vescovi argentini difendono una norma del Codice civile che impedisce i matrimoni gay, criticata da un giudice

    ◊   I vescovi dell’Argentina, in una dichiarazione del Comitato permanente, hanno definito un “grave allontanamento dalle leggi” che regolano la vita del Paese la sentenza di un giudice che ha dichiarato incostituzionale il Codice Civile poiché vieta il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Dall’altra parte, i presuli, ritengono che la decisione del Capo del governo della città di Buenos Aires che ha bloccato la possibilità di appellare questo verdetto “sia una leggerezza”. Il verdetto del giudice è considerato da parte dell’Episcopato una “decisione illegale” e quella del capo del governo cittadino “una decisione politica”. Ad ogni modo, osservano i vescovi, nei due casi si tratta di “segni di grave leggerezza che creano un serio precedente legislativo sia per l’Argentina sia per l’America Latina. “La crisi di valori che colpisce la nostra società, scrivono i presuli argentini, fa addirittura dimenticare la stessa origine della parola matrimonio". Già nel Diritto romano infatti il termine stabiliva il vincolo al diritto di ogni donna a procreare figli riconosciuti espressamente all’interno della legalità. Dunque la parola ‘matrimonium’ si riferisce in primis e giustamente a quella specifica qualità di ‘madre’ che la donna acquisisce tramite l’unione coniugale. Spesso, prosegue il documento episcopale, il termine è stato erroneamente associato con il sacramento cattolico che porta lo stesso nome senza tener conto che il vocabolo, esprime appunto una realtà già sancita nel diritto romano molto prima che il cristianesimo facesse la sua comparsa nella storia dell’umanità”. Infine il documento, che porta la firma di sette vescovi tra cui quella dell’arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Jorge Mario Bergoglio, sottolinea che la discussa e discutibile decisione del giudice in questione “potrebbe essere considerata contraria a diversi Trattati internazionali che hanno rango costituzionale dal 1944 come, ad esempio, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (art. 16); il Patto Internazionale dei diritti civili e politici (art. 23 comma 2) e la convenzione America dei diritti dell’uomo (art. 17 comma 2 ss); strumenti giuridici dai quali si evince che solo il matrimonio formato da persone di sesso differente è costituzionale”. (A cura di Luis Badilla)

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    La Bolivia in missione permanente si prepara alle elezioni del 6 dicembre

    ◊   L'arcivescovo di Santa Cruz, il cardinale Julio Terrazas, ha chiesto che il voto di tutti i boliviani nelle prossime elezioni non sia frutto della paura, ma un atto secondo la loro coscienza: "Dobbiamo cominciare a preparare la nostra coscienza in modo che quando arrivi il momento di dare il nostro voto, sia la coscienza a comandarci e non la paura o il timore". "In questi giorni c’è qualcosa che ci fa pensare che possiamo coltivare la speranza. E’ l’entusiasmo che vediamo in tutti coloro che corrono una volta dietro a uno e poi dietro a un altro. Si sente parlare dei pregi ma di seguito dei difetti, molti applausi, ma poco dopo anche degli insulti. In mezzo a tutto ciò che vediamo, noi cristiani, credenti, dobbiamo sapere che nessuna parola sostituisce la parola di Dio, che nessuna parola che arriva alla nostra coscienza, la può offuscare, assolutamente nulla (anche le cose fatte con entusiasmo) può farci dimenticare che siamo nati per cose molto più grandi, per cose molto più profonde e che perdurano nel tempo" ha sottolineato il cardinale. L’arcivescovo - riferisce l'agenzia Fides - ha ricordato l'espressione di Giovanni Paolo II: "Sì alla fame di Dio. E’ proprio quello che dobbiamo fare noi, farla diventare pratica, abbiamo bisogno di riempire e soddisfare quella fame. Invece no alla fame di pane! Ecco dove deve essere il nostro impegno per porre fine a tutti questi ostacoli: alla promozione e alla dignità di ogni persona in ogni luogo dove vive". "Che il Signore della vita, espressione che continuamente io so che ripetono i nostri sacerdoti e i nostri catechisti, che il Signore della vita dunque ci manifesti il Suo amore per darci una vita abbondante, per far si che la missione permanente diventi davvero una dono totale del pane della vita, il pane della verità e il pane della giustizia ". In Bolivia le elezioni generali si terranno il 6 dicembre e la Chiesa cattolica per mezzo dei vescovi e dei sacerdoti, sta predicando la necessità di una preparazione fondata sulla dottrina sociale della Chiesa. La Chiesa ha alcuni punti chiave ai quali non si può rinunciare: il diritto alla vita fin dal concepimento, il diritto dei genitori ad educare i propri figli, il diritto ad avere istituti di istruzione, il diritto di tutto ciò che manifesta la libertà di pensiero, il diritto che la Chiesa cattolica possa continuare il suo lavoro. Occorre quindi concentrarsi su questi punti chiave che sono anche parte di tutto ciò che è la giustizia sociale. (R.P.)

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    I vescovi di El Salvador esprimono vicinanza alle popolazioni colpite dal tornado Ida

    ◊   "Sebbene grande sia la distanza geografica, tuttavia abbiamo vissuto da vicino, con la mente e con lo spirito, e nella preghiera, la calamità naturale che ha colpito El Salvador sabato 7 e domenica 8 novembre: le inondazioni e gli smottamenti causate dal tornado Ida, che ha provocato un gran numero di morti e lasciato molte famiglie senza tetto". Così i vescovi di El Salvador hanno espresso il loro dolore per la recente calamità che ha colpito il Paese, in un comunicato rilasciato mentre partecipavano, insieme con presuli dell'America Latina, a un incontro di riflessione e di preghiera promosso dal Cammino neocatecumenale a Tiberiade in Israele, nella Domus Galilaeae. "Siamo toccati nel profondo — si legge nel messaggio — dalla città di San Jose Verapaz e da altri luoghi colpiti e devastati dall'uragano. Abbiamo pregato tutti per i nostri fratelli defunti e per le vittime di questo grave, luttuoso evento. Desideriamo, al più presto tornare nel Paese, per aiutare più da vicino le popolazioni colpite, ora nel lutto e nel pianto". I vescovi, nel ringraziare la «generosa prontezza» della comunità nazionale e internazionale mostrata nei soccorsi e negli aiuti alle vittime della calamità, si dicono "orgogliosi del grande senso di solidarietà dei nostri fratelli che certamente Dio ricompenserà". Secondo i presuli è però necessario continuare l'opera di soccorso specialmente verso coloro che, già provati, vivono in aree geografiche più vulnerabili. Un appello viene rivolto al Governo della Repubblica e a tutta la società salvadoregna, così pure alla comunità internazionale, perché incrementino le strategie di aiuto e di assistenza in favore di quanti hanno patito la calamità, sia sotto il profilo materiale ma anche e soprattutto sotto quello psicologico con una speciale attenzione alle fasce più deboli della società, anziani e bambini. "È urgente allora — si legge ancora nel messaggio — un impegno che coinvolga tutte le realtà del Paese. Occorre mobilitare le coscienze risvegliando i cuori a lavorare con grande premura per tentare di risolvere i molti problemi". (C.S.)

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    Mozambico: i vescovi chiedono di fare di più nel campo della democrazia

    ◊   Per rispondere al messaggio che i Padri Sinodali hanno rivolto all’Africa occorre in primo luogo affidarsi al sacramento della riconciliazione. È quanto scrivono i vescovi del Mozambico nel comunicato finale inviato all’agenzia Fides, pubblicato al termine della loro seconda Assemblea plenaria che si è conclusa il 7 novembre. Nel corso dell’Assemblea, i vescovi hanno ascoltato le relazioni dei partecipanti mozambicani alla Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi ed hanno esaminato le sue conclusioni. Per mettere in pratica le conclusioni sinodali, la Conferenza episcopale ha rivolto un appello alla riconciliazione fondato sul perdono: “Nel cammino di riconciliazione c’è il perdono. Non c’è riconciliazione senza perdono. Un vero perdono trasforma i nemici in amici, le vittime in fratelli e sorelle. Questo è il modo di far cessare l'odio e la vendetta causate dalla guerra”. I vescovi sottolineano l’importanza del sacramento della riconciliazione: “Cristo ci ha lasciato il sacramento della riconciliazione per rinnovare di continuo la nostra amicizia con Dio. Questo sacramento ha forza ed efficacia propria per riconciliarci gli uni con gli altri”. Per quel che concerne le recenti elezioni politiche e presidenziali mozambicane, i vescovi esprimono la soddisfazione per il loro svolgimento pacifico: “ringraziamo Dio perché l'intero periodo elettorale si svolto nell’ordine, nel rispetto reciproco e senza violenza. Rendiamo lode al nostro popolo e agli organizzatori della campagna elettorale. Si sono fatti progressi notevoli sulla strada della democrazia”. I vescovi ricordano però che “sebbene i risultati finali sono evidenti e indiscutibili, ci dispiace che le garanzie per elezioni libere, eque e trasparenti, siano state frustrate in diverse zone, a cause di irregolarità che non aiutano la corretta educazione politica del nostro popolo. Quindi dobbiamo continuare a lavorare per la crescita della cittadinanza e della responsabilità sociale e politica di ogni cittadino”. (R.P.)

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    Il governo filippino abbatte la baraccopoli di Manila: 400 mila i senza tetto

    ◊   Nei prossimi mesi oltre 400mila persone della baraccopoli di Laguna Lake, a Manila, rischiano di restare senza un tetto. Per evitare future inondazioni - riferisce l'agenzia Fides - il governo vuole demolire tutte le costruzioni abusive presenti nell’area. Ciò senza trovare una reale soluzione alternativa per i suoi abitanti. “Non demolite le case dei poveri senza un adeguato piano di trasferimento - afferma in una lettera pastorale il cardinale Gaudenzio Rosales, arcivescovo di Manila - non si possono incolpare i poveri delle inondazioni che hanno colpito la città, che sono frutto della continua costruzione di miniere nelle montagne e della gestione irresponsabile dei rifiuti”. Il porporato aggiunge che “per trasferire i poveri e riqualificare la città la priorità è dare un lavoro a questa gente. “Il problema delle baraccopoli – continua - non è dovuto alla mancanza di case, ma di lavoro”. Il trasferimento dei residenti in altre aree della città, non collegate con il centro, colpisce oltre ai poveri anche la classe media, quali insegnanti, tassisti, colf e poliziotti, che saranno costretti ad abbandonare la loro occupazione. La città di Manila ha 11,5 milioni di abitanti, di questi oltre 4milioni vivono in baracche costruite sotto i ponti, nelle discariche e nelle aree libere da edifici. Nel 2002 il governo ha destinato alcuni ettari di terreno per la costruzione di nuovi quartieri situati nell’estrema periferia di Manila. Essi distano però anche 100 km dalla capitale e a tutt’oggi non esistono strade di collegamento. Nei nuovi quartieri non c’è lavoro e gli abitanti si rifiutano di abbandonare le loro abitazioni di fortuna e preferiscono vivere nella spazzatura. Le recenti inondazioni causate dai tifoni Ketsana e Parma hanno aumentato a dismisura il problema. Secondo le autorità le costruzioni abusive avrebbero bloccato il deflusso delle acque, allagando l’80% dell’area urbana e provocando oltre 500 morti e 1,3 milioni di sfollati. Ciò ha spinto il governo a velocizzare le demolizioni e il trasferimento forzato della popolazione. “Senza di loro la città non può andare avanti - afferma ancora il cardinale Rosales – è inutile dare ai poveri e alla classe media terreni inutilizzabili e tenere invece quelli utili per creare centri commerciali di lusso o campi da golf”. Per il porporato occorre realizzare una nuova divisione delle terre che tenga conto delle necessità dei più poveri. Egli invita il governo ad alzare le tasse sulle proprietà improduttive, spesso oggetto di speculazione, e a vietare la costruzione di industrie in aree residenziali. Egli aggiunge che “solo quando la società è attenta ai bisogni dei più piccoli essa potrà raggiungere in futuro un reale e definitivo sviluppo”. La Chiesa è da anni attenta al problema delle baraccopoli. Caritas e organizzazioni cattoliche finanziano da anni progetti per la costruzione di case a basso costo, con particolare attenzione alle esigenze lavorative della popolazione. Finora sono state realizzate oltre 1000 abitazioni. Proprio ieri il governo ha annunciato la futura donazione di 1500 ettari di terreno edificabile, destinati alla costruzione di abitazioni per impiegati statali e per la popolazione alluvionata. (R.P.)

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    India: ebrei, cristiani e musulmani ricordano le vittime dell'attentato terroristico a Mumbai

    ◊   Il Simon Wiesenthal Center e la fondazione indiana The Art of Living hanno promosso oggi un incontro interreligioso per ricordare le vittime dell’attentato terroristico che ha colpito Mumbai il 26 novembre. Leader ebrei, cristiani, indù, musulmani provenienti dall’India e da varie parti del mondo si sono riuniti presso il Nariman Point del Trident Hotel, uno dei quattro luoghi attaccati dai terroristi. Da lì i partecipanti si sono diretti verso Hormusji Street dove ha sede la Chabad House, uno dei principali centri culturali ebraici di Mumbai colpito durante gli attacchi del 26 novembre scorso. Il rabbino Abraham Cooper, vice presidente del Simon Wiesenthal Center, afferma che “i leader religiosi hanno un obbligo particolare nel condannare pubblicamente gli attacchi terroristici ispirati e ordinati da chi si auto-proclama servitore di Dio”. Rav Cooper dice che “questo è un momento in cui le persone credenti devono ripudiare in modo chiaro la cultura della morte perpetrata in nome della religione” e “unirsi ai nostri fratelli indiani per promuovere la santità della vita, la tolleranza e la libertà”. Parlando con AsiaNews, l’alto rappresentante del Simon Wiesenthal Center sottolinea che “l’India è il primo esempio di tolleranza religiosa” e che “i leader delle diverse confessioni devono essere in prima linea contro il terrorismo giustificato con la religione”. Cooper invita anche “genitori e insegnanti a combattere le tendenze discriminatorie che stanno separando la popolazione e gettano semi di discordia e sospetto tra persone di fedi diverse”. Alla commemorazione di oggi partecipano i rappresentanti di 9 diverse confessioni e il rabbino afferma che questo è un “segnale forte” che dice ai terroristi che “non possono avere successo nel portare fuori strada il popolo”. La lotta al terrore perpetrato con giustificazioni religiose per il rabbino è uno dei principali obiettivi del dialogo tra le diverse fedi. “Ho avuto la grande opportunità di incontrare due volte Giovanni Paolo II e nel giugno del 2005 il privilegio di incontrare Benedetto XVI: il punto principale della nostra conversazione è stato proprio il terrorismo”. (R.P.)

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    I vescovi del Kerala lanciano una campagna contro la Tv spazzatura

    ◊   Una campagna capillare nelle parrocchie per mettere in guardia le famiglie contro l’influenza negativa esercitata soprattutto sui giovani dalla tv spazzatura. L’iniziativa è dei vescovi del Kerala, preoccupati dalla qualità sempre più scadente dei programmi diffusi dai canali televisivi locali, ma anche dal cattivo uso delle nuove tecnologie. Una lettera circolare diffusa nelle parrocchie dalla Commissione per la Famiglia e intitolata “La famiglia e i media” chiede ai genitori di controllare quello che guardano i loro figli, criptando i programmi con scene di violenza e sesso. “Dovrebbe essere la gente a controllare i media, ma sta succedendo invece l’esatto contrario”, si legge nella lettera che invita i genitori, insegnanti e parroci a educare insieme le famiglie a non scegliere programmi di bassa qualità che spesso propongono cattivi modelli ai giovani. “Siamo molto preoccupati dall’indebita influenza dei media televisivi e di info-intrattenimento sulle famiglie e riteniamo giunto il momento di affrontare il problema”, così ha spiegato l’iniziativa all’agenzia Ucan il Presidente della Commissione episcopale mons. Mathew Anikuzhikattil. “I programmi trasmettono spesso messaggi incompatibili con quello cristiano presentando la vita come una tragedia senza speranza e le relazioni extraconiugali come un fatto normale. È compito della Chiesa tutelare la gente da queste trappole”, ha aggiunto il vescovo rilevando che “La società rischia di pagare gravi conseguenze nel lungo termine, perché la gente diventa dipendente da programmi che non hanno contenuti”. I vescovi del Kerala hanno deciso di promuovere nel 2010 una serie di seminari sul problema. Intanto, un commento positivo all’iniziativa dei vescovi è giunto da un esponente del governo del Kerala: “A molti genitori non interessano gli effetti della televisione sui loro figli e la campagna potrebbe servire anche a migliorare la qualità dei programmi proposti dai canali televisivi”, ha dichiarato il responsabile. (L.Z.)

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    Comunicato finale dell'Assemblea generale dei vescovi italiani

    ◊   E’ stato pubblicato oggi il documento finale della 60a Assemblea Generale dei Vescovi italiani che si è svolta ad Assisi dal 9 al 12 novembre 2009, con la partecipazione di duecentodue membri e otto vescovi emeriti. Nel corso dell'assemblea è stata pure approvata la bozza della nota su Chiesa e Mezzogiorno, che sarà pubblicata dopo l’ultima lettura rimessa al Consiglio episcopale permanente. “I tratti caratteristici del Sud, come la religiosità popolare, la vivacità educativa e la persistenza della tradizione associativa – si legge nel comunicato - sono beni a disposizione di tutti, ma non vanno sottovaluti i segnali di un degrado che non è solo sociale e economico”. Di qui la necessità di un forte appello alla conversione, per far sì che la nota “non resti un intervento isolato”, ma si inserisca nella “sfida educativa” al centro degli Orientamenti Cei del prossimo decennio. Tra i temi affrontati anche quello sul senso della morte e della vita. “La sensibilità culturale prevalente, si legge ancora nel testo tende oggi a censurare la morte”, mentre l’esigenza di annunciare la “buona notizia” della morte e risurrezione di Gesù Cristo è il “primo servizio da rendere a una sensibilità assopita e dissimulatrice, che coinvolge in particolare le giovani generazioni in un processo di rimozione collettiva”. Secondo i vescovi, inoltre oggi “occorre aiutare le persone a guardare in modo meno evasivo alla prospettiva della fine, considerandola parte integrante dell’esistenza, con l’intento di sollevare lo sguardo a quanto la speranza cristiana confida al cuore umano. La celebrazione delle esequie, “momento largamente partecipato anche da chi non crede o non frequenta abitualmente la chiesa”, per la Cei “rappresenta senza dubbio un’occasione privilegiata per questo annuncio di speranza”. Nella nuova edizione del Rito delle Esequie – approvato dai vescovi ad Assisi, e che verrà pubblicato una volta ottenuta l’approvazione (recognitio) della Santa Sede - sarà inoltre previsto un formulario specifico per quanti scelgono la cremazione. Ancora la questione antropologica e il tema dei media: la Cei torna a ribadire come l’attuale contesto mediatico, “segnato dai caratteri del linguaggio digitale che ormai permeano la cultura in ogni sua espressione”, sia un contesto “inedito” che “rappresenta una sfida e un’opportunità per l’annuncio cristiano”. Riprendendo le parole di Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”, i presuli invitano a ritrovare l’integralità di una proposta antropologica, che non separi ma coordini le due facce della cosiddetta questione antropologica. Infine è stata richiamata l’attenzione sulla dinamica missionaria e il ruolo dei sacerdoti. Una delle “qualità” fondamentali del prete è la “misericordia”, di cui, “paradossalmente, proprio la cultura trasgressiva e intollerante oggi così diffusa sente drammaticamente nostalgia”. “Nonostante circoscritti casi di contro testimonianza”, riferiscono i presuli a proposito del dibattito svoltosi ad Assisi, “più voci” di vescovi hanno fatto notare come “la presenza del sacerdote sia oggi richiesta con speciale attenzione, spesso anche dai cosiddetti lontani”. (C.S.)

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    Assemblea Fiuc: le università cattoliche al servizio della crescita integrale dell'uomo

    ◊   “Le università cattoliche devono porsi sempre più a servizio della crescita integrale degli uomini e delle donne di oggi”. Il cardinale Zenon Grocholewski ha aperto così, ieri pomeriggio, nella sede della Pontificia Università Gregoriana in Roma la 23.ma Assemblea generale della Fiuc, la federazione che raccoglie 207 tra i maggiori atenei di ispirazione ecclesiale dei cinque continenti. Il prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica ha messo soprattutto in rilievo lo stretto legame tra la Chiesa e le università che in tutto il mondo – e sono complessivamente più di 1200, con tre milioni e mezzo di studenti che si rifanno all’ispirazione ecclesiale. “Questi atenei”, ha detto, “devono sentirsi inseriti in un dinamismo della Chiesa come elementi importanti del corpo mistico di Cristo. Devono dunque mantenersi costantemente in comunione con il capo, che è Cristo stesso, e con tutte le altre membra”. “Tale comunione”, ha aggiunto il cardinale, “aiuterà le università cattoliche a mantenersi ferme nel cammino della verità, alla sequela del Signore”. Sulla formazione ha insistito il presidente della Fiuc, Anthony Cernera, nel suo intervento. “La nostra antropologia”, ha sottolineato, “ci ricorda che l’uomo è un essere in relazione con Dio e con i suoi figli. Riteniamo dunque che lo sviluppo spirituale, psicologico e, in definitiva, umano dei nostri studenti sia parte integrante della missione che svolgiamo”. L’Assemblea si protrarrà fino a venerdì 20; i rettori e i rappresentanti degli atenei cattolici saranno ricevuti in udienza dal Papa e discuteranno, con l’ausilio di esperti e studiosi di tutto il mondo, delle sfide che la società contemporanea porta al modo d’insegnare in queste università. (A cura di Mimmo Muolo)

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    Indiani di diverse tradizioni uniti in preghiera a Varanasi

    ◊   Si è conclusa ieri a Varanasi in India il Satsang, l'annuale incontro di preghiera del movimento dei Khrist Bhakta, a cui appartengono i fedeli di Cristo in lingua indù. Si tratta di uomini e donne che appartengono a diverse fedi ma trovano una nuova motivazione spirituale nella persona di Gesù e nei suoi insegnamenti. Ad aprire il raduno di quest'anno presso l'ashram di Matridam - riporta l'agenzia AsiaNews - è stato monsignor Patrick Paul D'Souza, arcivescovo emerito di Varanasi, che da oltre un decennio segue le attività dei sacerdoti della Indian Missionary Society (Ims) che gestiscono il centro spirituale. Al Satsang del 2009 hanno partecipato oltre quindicimila aderenti al movimento. L'incontro ha avuto due fasi: nei giorni 13 e 14 alcuni laici hanno reso testimonianza su come la loro vita è cambiata attraverso un nuovo approccio spirituale verso la religione grazie al messaggio di Gesù Cristo. Il giorno 15 è stato invece dedicato alla preghiera interreligiosa a cui hanno partecipato diversi leader cristiani, indù, buddisti, sikh e musulmani. Padre Anil Dev, il sacerdote dell'Ims responsabile del movimento dei Khrist Bhakta, afferma che "l'intento di ogni annuale Satsang è quello di riaffermare la fede e l’unità dei fedeli”. Le riflessioni svolte nel raduno di quest'anno hanno avuto per tema "Cristo, famiglia ed ecologia". La preghiera per la protezione del creato è tra le più ricorrenti tra i membri del Khrist Bhakta. Molti degli oltre trentamila seguaci vivono negli Stati indiani dell'Orissa, West Bengala, Jharkhand, Chattisgarh, Uttar Pradesh. Uno dei principali motivi che spingono gli appartenenti di diverse religioni a divenire membri del movimento Khirst Bhakta è quello dei raduni di preghiera dove è possibile fraternizzare fra persone di diverse condizioni sociali superando così le barriere che persistono in vaste zone dell'India specie quelle più legate alla tradizione indù. (C.S.)

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    Nepal: per il pro-vicario apostolico “la popolazione è stanca della classe politica”

    ◊   “La situazione potrebbe prendere una brutta piega, data la natura dei nostri leader politici. La popolazione è stanca di questa classe politica che sembra interessarsi solo del potere, tralasciando i bisogni reali della gente”: è quanto dichiara in un colloquio con l’agenzia Fides padre Pius Perumana, pro-Vicario Apostolico del Nepal, commentando la situazione incandescente che sta vivendo la nazione, attraversata dalla protesta dei maoisti e da molti mesi in preda a uno stallo politico. Padre Pius spiega a Fides: “I maoisti sono tornati a manifestare, questa volta in nome della ‘supremazia della società civile’…ma essi stessi non sanno bene cosa significhi questo slogan. L’unica certezza è che vogliono tornare al potere. Hanno annunciato una settimana di agitazioni, minacciando proteste ancor più forti se le loro richieste non verranno ascoltate. Ma nessuno sembra fidarsi di loro. L’equilibrio politico è davvero precario”. “Siamo preoccupati per l’andamento della vita sociale e politica nazionale”, continua il Pro-Vicario. “L’Assemblea Costituente, eletta per redigere la nuova Carta costituzionale, non ha mai iniziato i lavori e nulla sembra muoversi in quella direzione. Intanto la sofferenza e il disagio della gente aumentano: di questo ci occupiamo e, come comunità cattolica, facciamo il possibile per alleviarli”. Fonti di Fides a Kathmandu notano che “il bilancio dello Stato è fermo in Parlamento da 111 giorni e non è ancora stato approvato. L’esercizio provvisorio impedisce i trasferimenti di denaro per la sanità, l’educazione, lo sviluppo. Alcuni ospedali sono già in allarme per assoluta carenza di fondi. Il paese è bloccato in tutti i sensi. (R.P.)

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    Mons. Twal inaugura la nuova charity “Amici di Terra Santa”

    ◊   E’ stata lanciata a Liverpool, dall’arcivescovo della città, mons. Patrick Kelly e dal patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, una nuova charity dal nome “Amici di Terra Santa”. Il patriarca ha incoraggiato tutte le parrocchie di Inghilterra e Galles ad avviare analoghe iniziative: “abbiamo bisogno del vostro aiuto come mai prima di ora”, ha detto Twal. La charity è stata avviata in Inghilterra e Galles nel 2009 per assistere la comunità cristiana della Terra Santa spiritualmente e finanziariamente. E’ stato inoltre garantito l’impegno nell’aiuto a parrocchie, scuole e famiglie della comunità cristiana di Terra Santa per consentire loro di vivere una vita soddisfacente ed evitare così il dramma dell’emigrazione. Da parte sua Michael Whelan, presidente nazionale della charity, ha voluto ribadire che l’obbiettivo prioritario di questa associazione è di avere un gruppo di ‘Amici di Terra Santa’ in ogni parrocchia in Inghilterra e Galles nei prossimi cinque anni. La presentazione odierna ha concluso un weekend nel quale il patriarca Twal ha visitato Liverpool e Birmingham, dove ha celebrato nella cattedrale con il vescovo mons. Philip Pargeter. (C.S.)

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    Seminario ortodosso russo in Francia: un ponte fra i cristiani di Oriente e Occidente

    ◊   Da una parte, permettere ai futuri membri del clero della Chiesa ortodossa di scoprire le ricchezze scientifiche, culturali e religiose dell'Occidente cristiano; dall'altra, far meglio conoscere la tradizione ortodossa russa in Europa. È la duplice vocazione del Seminario ortodosso russo in Francia inaugurato ufficialmente sabato scorso dalla liturgia eucaristica presieduta dall'arcivescovo Hilarion, responsabile del dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. Alla celebrazione erano presenti fra gli altri l'arcivescovo di Chersonèse, Innocent, il metropolita Emmanuel, presidente dell'Assemblea dei vescovi ortodossi di Francia, il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza episcopale francese, e il vescovo di Evry-Corbeil-Essonnes, Michel Dubost. Per l’occasione anche il Patriarca di Mosca Kirill ha inviato un messaggio sottolineando come oggi più che mai sia indispensabile che la Chiesa ortodossa russa abbia a disposizione specialisti ben formati, che conoscano perfettamente la società europea e capaci di esercitare il loro ministero non solo nel proprio campo scientifico ma anche in quello delle relazioni interecclesiali e diplomatiche. “Allo stesso tempo – si legge nel testo - essa ha più bisogno di preti che possano servire con dignità le nostre parrocchie all'estero”. Tra gli obiettivi del seminario, spiega poi il Patriarca di Mosca, “c'è anche quello di cooperare con la civiltà cristiana europea: un passo significativo sul cammino dell'approfondimento delle relazioni con le altre Chiese”. Creato dal sinodo del Patriarcato di Mosca nell'aprile 2008, il Seminario è infatti il primo istituto di formazione superiore della Chiesa ortodossa russa in Europa occidentale. Ponte spirituale tra la Francia e la Russia, ha appunto l'obiettivo di formare e di far incontrare i cristiani di Oriente e Occidente. (C.S.)

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    Le Chiese cristiane in Scozia preoccupate dalla depenalizzazione del suicidio assistito

    ◊   I leader delle tre principali Chiese della Scozia (la cattolica, la presbiteriana e l’episcopaliana) hanno incontrato recentemente il Primo Ministro scozzese Alex Salmond per esprimere le loro preoccupazioni sulla recente depenalizzazione del suicidio assistito nella vicina Inghilterra. Il timore è che le nuove disposizioni possano essere ora introdotte anche nell’ordinamento giuridico scozzese, che è autonomo da quello inglese. “Restiamo contrari all’aiuto al suicidio e non vogliamo più vedere misure il cui scopo è di banalizzare questa pratica”, ha puntualizzato dopo l’incontro all’agenzia Eni il pastore presbiteriano Alexander Horsburgh. Le nuove direttive – lo ricordiamo - sono state pubblicate in Inghilterra e Galles lo scorso mese di settembre dopo la battaglia legale vinta da Debbie Purdy, una donna malata di sclerosi multipla che si era rivolta ai giudici per sapere quale sarebbe stato il destino del marito nel caso in cui questi l’avesse aiutata ad andare all’estero per un suicidio assistito. Esse stabiliscono che una persona che aiuta a morire un malato terminale non è penalmente perseguibile se non si può dimostrare che essa ha agito per ottenere un vantaggio economico personale. Il suicidio assistito resta comunque ancora un reato nel Regno Unito, ai sensi della legge del 1961. Nel luglio scorso la Camera dei Lord britannica ha rigettato una proposta di legge per renderlo legale. Contro la legalizzazione e la depenalizzazione del suicidio assistito si sono mobilitati in questi mesi i vescovi inglesi, gallesi e scozzesi e i movimenti pro-vita, ma anche la Chiesa anglicana e la comunità ebraica. In una dichiarazione congiunta, lo scorso luglio, l’arcivescovo cattolico di Westminster, mons. Vincent Nichols, il Primate anglicano Rowan Williams e il Grande Rabbino d’Inghilterra Jonathan Sacks hanno evidenziato il pericolo che essa possa tradursi in una sorta di istigazione al suicidio verso le persone più vulnerabili che potrebbero convincersi , o essere convinte da altre, ad anticipare la propria morte. (L.Z.)

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    Il cardinale Sodano: promuovere un’ Europa dello Spirito in cui ogni credente sia rispettato

    ◊   “Rimuovere il macigno del laicismo dalla strada dell’integrazione europea”. E’ l’auspicio espresso dal cardinale Angelo Sodano, già Segretario di Stato vaticano ed oggi decano del Collegio cardinalizio, nel corso della presentazione del suo libro “Per una nuova Europa. Il contributo dei cristiani” presentato ieri presso l’università europea di Roma. “Nessuno vuole restaurare stati confessionali – ha spiegato all’agenzia Sir il cardinale - desideriamo, però, un’Europa dello Spirito, in cui ogni credente sia rispettato e possa diffondere i propri ideali nel campo della scuola, della cultura, della carità. Non vogliamo che l’Europa sia un’istituzione laicista, dimentica di quei valori spirituali che l’hanno animata nel corso dei secoli”. Il cardinale Sodano ha poi invitato cattolici, ortodossi e riformati ad essere presenti e uniti in questo impegno per far si che in questa società europea ci sia il lievito del Vangelo che ha trasformato in 2000 anni i popoli europei. Ricordando il ventennale della caduta del muro di Berlino il porporato ha poi concluso con una forte esortazione: “onore alla nuova Europa, della libertà, dopo la caduta del muro, onore all’Europa della pace, grande ideale ormai conquistato dopo i 55 milioni di morti dell’ultimo conflitto mondiale, onore all’Europa della solidarietà e dell’integrazione, ma questo virus del laicismo deve essere estirpato, perché i valori spirituali sono essenziali per il futuro dell’Europa”. (C.S.)

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    24 Ore nel Mondo



    Obama in Cina annuncia uno sforzo congiunto di Washington e Pechino su cambiamento climatico, ripresa economica e proliferazione nucleare

    ◊   Riflettori della comunità internazionale puntati sulla tappa cinese del tour asiatico del presidente degli Stati Uniti, Barack Omaba, che stamani ha incontrato a Pechino il suo omologo cinese Hu Jintao. In quello che è stato ribattezzato il vertice G2 sono state affrontate tutte le questioni di più stretta attualità, dalla proliferazione nucleare al prossimo vertice sul clima di Copenaghen. Sfide che vedranno lo sforzo congiunto delle due superpotenze. Ce ne parla Marco Guerra:

    Cambiamento climatico, ripresa economica, proliferazione nucleare e diritti umani. In due ore di colloquio, il presidente statunitense Obama e il suo omologo cinese Hu Jintao hanno messo a punto un approccio comune sulla maggior parte delle questioni sulle quali dovrà confrontarsi la comunità internazionale nei prossimi anni. Un incontro definito costruttivo che contribuisce ad un rafforzamento della collaborazione bilaterale tra i due Paesi, dalla quale ormai dipendono le sorti dell’intero pianeta. Di questo ne sono consapevoli anzitutto i due leader che hanno espresso l’intenzione di non far naufragare la conferenza sul clima di Copenaghen. “Senza gli sforzi congiunti dei due maggiori consumatori e produttori di energia, non può essere raggiunta una soluzione”, ha detto Obama, ribadendo la volontà di raggiungere un accordo che possa avere “effetti immediati”. Intesa ancora più completa sull’economia che mostra segnali di ripresa ed è per questo importante – hanno spiegato - che entrambi i Paesi "si oppongano e rifiutino il protezionismo". Pechino e Washington - ha assicurato Obama - lavoreranno insieme anche per scongiurare la minaccia di un Iran dotato dell'arma atomica. Il presidente americano ha quindi avvertito che ci saranno "conseguenze" se Teheran non dimostrerà che le sue intenzioni sono pacifiche. Toni più misurati infine sulla questione tibetana: Obama ha esortato le autorità cinesi ad aprire colloqui con il Dalai Lama. Le due parti hanno poi convenuto di lanciare un dialogo bilaterale sui diritti umani all'inizio dell'anno prossimo.

     
    Corea del Nord
    Alla vigilia dell’arrivo di Obama in Corea del Sud, si registrano nuove aperture a Seul da parte della Corea del Nord, che ha promesso ''sforzi attivi per migliorare i rapporti'' tra i due Paesi. Sul quotidiano ufficiale del Partito comunista nordcoreano si legge che "da una situazione di reciproca ostilità non può nascere che guerra", riferendosi all'incidente navale della scorsa settimana al confine delle acque territoriali delle due Coree.

    Medio Oriente
    La presidenza svedese dell'Unione Europea giudica “prematura” la richiesta dell'Autorità Nazionale Palestinese di sostegno alla domanda di riconoscimento, in sede di Consiglio di Sicurezza Onu, di uno Stato palestinese indipendente. Ieri lo stesso parere era stato espresso dal Dipartimento di Stato Usa, che si è detto contrario ad una proclamazione unilaterale poiché il riconoscimento di uno Stato palestinese “deve essere il risultato di un negoziato tra le parti”. Intanto, proseguono gli sforzi per rilanciale il processo di pace: nella regione è giunto il ministro degli Esteri francese Kouchner, il quale ha in agenda un colloquio ad Amman con il presidente palestinese Abu Mazen, prima di incontrare domani i responsabili israeliani.

    Iran
    Il ministro degli Esteri russo, Lavrov, ha detto che è prematuro ritenere “fallite” le discussioni sul nucleare iraniano, dal momento che le grandi potenze mondiali sono in attesa di una risposta da Teheran alla loro proposta. Lavrov ha inoltre sottolineato che non esiste alcun legame tra la vicenda del nucleare iraniano e il rinvio, annunciato ieri dal ministro dell'Energia Serghiei Shmatko, dell'avvio della prima centrale iraniana di Bushehr, previsto inizialmente entro fine anno. Intanto, il rappresentate iraniano all’Aiea liquida come il frutto di “un gioco fiacco”, il nuovo rapporto sul programma nucleare del suo Paese firmato dal direttore generale dell'Agenzia di Vienna, Mohamed El Baradei, il quale a sua volta ha confermato una serie di visite in corso al cantiere della centrale nucleare di Qom, che al momento risulta ancora senza "centrifughe nè materiale nucleare". Secondo El Baradei, resta ancora un clima di sfiducia dovuta al mancato avvertimento di Teheran dell’inizio della costruzione dell’impianto.

    Pakistan - attentato
    Ancora violenza in Pakistan: una bomba è esplosa oggi nella città di Quetta, capoluogo del Balochistan, provocando due morti ed alcuni feriti. Il bilancio è ancora provvisorio. L’ordigno, collocato su una motocicletta, è esploso nel momento in cui passava l'auto del capo della polizia, Nizam Shahid Durrani.

    Myanmar - incidente fluviale
    Potrebbe ammontare ad almeno 50 morti il bilancio di un incidente fluviale in Myanmar. Un traghetto passeggeri è affondato dopo essersi scontrato contro una chiatta. L'incidente è avvenuto nel tardo pomeriggio di domenica. L'imbarcazione di legno stava trasportando circa 178 persone lungo il fiume Ngawun, nella parte meridionale del delta dell'Irrawaddy. “Abbiamo recuperato 34 corpi e si ritiene che altre 16 siano annegati”, ha riferito un funzionario locale.

    Cina - valanga
    Sono 23 le persone decedute ieri a causa di una valanga caduta nella provincia settentrionale cinese dello Shanxi. Le vittime sono tutti migranti che lavoravano in una vicina miniera di carbone o membri delle loro famiglie. “I morti erano tutti nativi della provincia meridionale dello Yunnan”, specifica l'agenzia Xinhua. La frana ha colpito la contea di Zhongyang, seppellendo cinque case, dalle quali sono state estratte vive due persone.

    Pirati - Somalia
    Ennesimo assalto dei pirati somali che, al largo delle coste della Tanzania, hanno sequestrato un cargo specializzato nel trasporto di sostanze chimiche, la Theresa VIII, battente bandiera delle Isole Vergini, con a bordo un equipaggio di 28 nordcoreani. Secondo la missione antipirateria dell'Unione Europea, il cargo era diretto a Mombasa. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Chiara Pileri)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 321

     
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