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Sommario del 13/03/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI: formare le comunità cristiane all'adorazione eucaristica, rinnovandola in fedeltà alla tradizione liturgica
  • Altre udienze
  • Il Papa non è solo: le reazioni dei vescovi alla lettera sui presuli consacrati da mons. Lefebvre
  • Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni: la visita del Papa nella Sinagoga di Roma è un segno di rispetto e amicizia
  • Padre Cantalamessa nella prima predica di Quaresima affronta il tema dell'evoluzione alla luce di San Paolo
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Tre giorni di preghiera a Roma per i martiri cristiani di oggi
  • Ad un anno dalla morte di Chiara Lubich la testimonianza di Maria Voce alla guida del Movimento dei Focolari
  • Aperto a Roma il Giubileo Paolino degli Universitari
  • Chiesa e Società

  • Rapporto Onu sull’acqua: il mondo è sempre più assetato
  • Madagascar: attentato contro l’abitazione dell'arcivescovo di Antananarivo
  • Gesuita birmano denuncia: il Myanmar sacrificato agli interessi economici
  • Sri Lanka: per il vescovo di Jaffna più di centomila civili rischiano la vita
  • Cattolici e buddisti insieme per aiutare i profughi dello Sri Lanka
  • Irlanda del Nord: domenica prossima preghiera speciale per la pace
  • Il patriarca Twal: la forza militare non porta speranza alla Terra Santa
  • Brasile: la Chiesa riflette su violenza e cultura della paura
  • In Bolivia tutto pronto per il lancio della Missione continentale
  • Angola: migliaia di senza tetto per piogge e alluvioni
  • Il vescovo di Pavia: necessari aiuti urgenti per lo Zimbabwe
  • Irlanda: proposta della Conferenza episcopale di fronte alla crisi economica
  • Repubblica Ceca: la Cattedrale di San Vito torna allo Stato
  • L'impegno della Chiesa cambogiana nelle comunicazioni sociali
  • India: oltre 2.000 fedeli per il Giubileo Paolino nella diocesi di Vijayawada
  • Convegno sulla cooperazione tra gli atenei nell'ambito del Giubileo Paolino universitario
  • Il 23 marzo nella Basilica ostiense quarto incontro sulle Lettere paoline
  • 24 Ore nel Mondo

  • Opposizione in piazza in Madagascar
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI: formare le comunità cristiane all'adorazione eucaristica, rinnovandola in fedeltà alla tradizione liturgica

    ◊   Le comunità cristiane hanno bisogno di fondare sempre più la loro fede sull’Eucaristia e la prassi dell’adorazione eucaristica è la via liturgica per eccellenza per raggiungere l’obiettivo. E’ quanto ha detto in sostanza Benedetto XVI ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ricevuti questa mattina in udienza al termine di tre giorni di incontri proprio sul tema dell’adorazione eucaristica. Il Papa ha poi concluso il suo discorso con un pensiero sul digiuno quaresimale: ci aiuti, ha detto, “ad allontanare da tutto ciò che distrae lo spirito”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    L’Eucaristia “è alle origini stesse della Chiesa” e grazie all’Eucaristia “la Chiesa continuamente vive e cresce”. Ma l’Eucaristia è pure una infinita “sorgente” di grazia e dunque “un’incomparabile occasione sia per la santificazione dell’umanità in Cristo e per la glorificazione di Dio”. Per esprimere l’importanza di questo “Mistero di fede”, Benedetto XVI ha fatto ricorso a una sequenza serrata di citazioni, tratte dal Magistero del Concilio Vaticano II e dai suoi predecessori. Davanti a “questo ineffabile mistero di fede”, ha affermato, il “nostro compito” è di percepirne il “preziosissimo tesoro”, tanto nella celebrazione della Messa, “quanto nel culto delle sacre specie”. Culto che da sempre la Chiesa ha reso principalmente attraverso l’adorazione eucaristica:

     
    “Nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione: unione col Signore vivente e poi col suo Corpo mistico. Come ho detto ai giovani sulla Spianata di Marienfeld, a Colonia, durante la Santa Messa in occasione della XX Giornata mondiale della Gioventù, il 21 agosto 2005: ‘Dio non è più soltanto di fronte a noi, come il Totalmente Altro. È dentro di noi, e noi siamo in Lui’”.

     
    Apprezzando la riflessione svolta dalla plenaria sui “mezzi liturgici e pastorali con cui - ha osservato il Papa - la Chiesa dei nostri tempi può promuovere la fede nella presenza reale del Signore dell’adorazione”, Benedetto XVI ha ricordato anche la “preoccupazione” dei vescovi - emersa al recente Sinodo sull’Eucaristia del 2005 - riguardo la “confusione”, ingeneratasi dopo il Concilio, sul rapporto tra la Messa e adorazione. In essa, come suggerisce l’originaria parola latina (ad-oratio), è implicita “l’idea di amore” verso Dio, un amore che chiede di essere testimoniato per diventare “misura dominante del mondo”:
     
    “Nell’Eucaristia si vive la ‘fondamentale trasformazione della violenza in amore, della morte in vita; essa trascina poi con sé le altre trasformazioni. Pane e vino diventano il suo Corpo e Sangue. A questo punto però la trasformazione non deve fermarsi, anzi è qui che deve cominciare appieno. Il Corpo e il Sangue di Cristo sono dati a noi affinché noi stessi veniamo trasformati a nostra volta’”.

     
    In definitiva, ha proseguito Benedetto XVI, anche la prassi dell’adorazione eucaristica ha bisogno di rinnovarsi e questo potrà avvenire, ha indicato, “soltanto attraverso una maggiore conoscenza del Mistero in piena fedeltà alla tradizione” e, insieme, “incrementando la vita liturgica delle nostre comunità”, con una particolare attenzione alla formazione dei seminaristi. A partire, ha concluso, dalla Quaresima che stiamo vivendo, periodo privilegiato di “tirocinio spirituale”:

     
    “Ricordando tre pratiche penitenziali molto care alla tradizione biblica e cristiana - la preghiera, l’elemosina, il digiuno -, incoraggiamoci a vicenda a riscoprire e vivere con rinnovato fervore il digiuno non solo come prassi ascetica, ma anche come preparazione all’Eucaristia e come arma spirituale per lottare contro ogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Questo periodo intenso della vita liturgica ci aiuti ad allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e ad intensificare ciò che nutre l’anima, aprendola all’amore di Dio e del prossimo”.

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    Altre udienze

    ◊   Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina un nutrito gruppo di presuli della Conferenza episcopale dell’Argentina, in visita "ad Limina", guidati dal cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires; mons. Robert Zollitsch, arcivescovo di Freiburg im Breisgau (Repubblica Federale di Germania); mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, arcivescovo tit. di Tibica, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede.

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    Il Papa non è solo: le reazioni dei vescovi alla lettera sui presuli consacrati da mons. Lefebvre

    ◊   Profonda gratitudine: è questo il sentimento che contraddistingue le reazioni dei vescovi alla lettera di Benedetto XVI sulla revoca della scomunica ai presuli della Fraternità San Pio X. Un documento che ha destato ampia eco, non solo nel mondo cattolico, e che viene definito da più parti senza precedenti. Stamani, intervenendo ad un convegno del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha affermato che il "Papa non è solo" giacché tutti i suoi più vicini collaboratori "sono profondamente uniti a lui". Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Benedetto XVI non è solo. I vescovi sono con lui. Tutti sono concordi nel sottolineare lo stile inedito, umile e coraggioso, al tempo stesso franco e fraterno, utilizzato dal Papa nella lettera sulla questione dei vescovi lefebvriani. Il presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Robert Zollitsch, che stamani ha incontrato il Papa, ha messo l’accento sulla straordinarietà del gesto del Santo Padre:

    Ich habe ein Schreiben eines Papstes in dieser persönlichen Art …
    “Non mi è mai capitato di leggere uno scritto di un Papa così personale e così aperto. E questo mi piace molto. E’ anche un segno della comunicazione, un segno del fatto che il Papa stesso desidera entrare in colloquio con i vescovi e spiegare a tutto il collegio episcopale quali sono state le ragioni che lo hanno spinto e come lui ha percepito tutta la situazione. Lo ha fatto perché ha avuto la sensazione di non essere stato compreso a sufficienza riguardo allo scopo ultimo del suo agire. Mi piace il fatto che il Papa abbia espresso il tutto in modo così personale”.

    Lo stile inedito di questo documento viene evidenziato anche dal cardinale arcivescovo di Parigi, André Vingt-Trois, intervistato da Marie Duhamel della nostra redazione francese :

    R. – Le style de cette lettre est tout à fait personnel. …
    Lo stile di questa lettera è veramente personale. Penso che il Papa sia stato sensibile, penso che sia stato colpito dalla reazione di alcuni cristiani perché egli ha percepito che per alcuni – come egli stesso ha detto – questa è stata l’occasione di riportare alla luce ferite antiche, rancori, dispiaceri. C’e però anche la possibilità di esprimere un attaccamento profondo alla Chiesa. Per questo era necessario che il Papa rivolgesse un messaggio a questi fedeli. Stando alle prime reazioni che ho sentito, i commenti sono molto positivi e prendono in considerazione le spiegazioni e le riflessioni che il Papa presenta. La seconda riflessione che vorrei fare è che questo rapporto vivo tra la Sede di Pietro e le Chiese particolari è quello che forma il tessuto della vita della Chiesa; quindi, non ci si può meravigliare del fatto che questo tessuto sia vivo, che ci siano scambi sostanziali e ricchi tra il Papa ed i Vescovi: è l’essenza stessa del nostro rapporto!

     
    Gratitudine viene espressa al Papa anche dall’episcopato austriaco, riunito in questi giorni nell’assemblea di primavera. In una nota, i vescovi dell’Austria sottolineano l’attenzione pastorale di Benedetto XVI, che ha voluto spiegare con ampiezza le ragioni che lo hanno portato a revocare la scomunica ai presuli lefebvriani. Anche i vescovi italiani, attraverso una nota della Cei, esprimono apprezzamento e gratitudine per la parola chiarificatrice del Papa. Dal canto loro, i presuli inglesi sottolineano l'umiltà del Papa espressa in questo documento, mentre quelli belgi apprezzano lo spirito di riconciliazione che anima il Pontefice. E viva soddisfazione viene manifestata dai presuli svizzeri. Ai nostri microfoni, il commento di mons. Pier Giacomo Grampa, vescovo di Lugano:

    “Abbiamo accolto questa lettera del Santo Padre con profonda commozione anche per i toni di umiltà, di fraternità che il Santo Padre dimostra. La lettera sottolinea uno stile di delicatezza. L’auspicio è che tale stile possa entrare nel governo ordinario della Chiesa. Rinnoviamo al Santo Padre la nostra solidarietà. Questa sua lettera è la riprova di quanto fossero ingiustificate le cattiverie rivolte infondatamente contro di lui, ma questo potrebbe anche rappresentare positivamente la riscoperta di dimensioni che ai più sfuggono di questo Papa”.
     
    Dal canto suo, il superiore della Fraternità San Pio X, mons. Bernard Fellay, ha ringraziato il Papa per la lettera ed ha assicurato che non è intenzione dei lefebvriani arrestare la Tradizione al 1962, cioè prima del Concilio Vaticano II.

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    Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni: la visita del Papa nella Sinagoga di Roma è un segno di rispetto e amicizia

    ◊   Benedetto XVI, come confermato ieri dal direttore della Sala Stampa padre Federico Lombardi, visiterà in autunno la Sinagoga di Roma. La visita era stata annunciata dal presidente della Comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, intervenendo ad una trasmissione televisiva. Sul significato di questo evento si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni:

    R. – E’ un gesto importante che segna la volontà di continuare un approccio di rispetto e di amicizia, una volontà di costruire insieme e di camminare insieme, ciascuno tenendo conto delle diversità, di guardarci con simpatia.

     
    D. – Ed è anche un altro passo importante sulla via del dialogo tra Chiesa e mondo ebraico che si aggiunge alla storica visita nel 1986 di Giovanni Paolo II nella Sinagoga di Roma...

     
    R. – Quello fu un episodio epocale perchè chiaramente si è trattato di un evento che non accadeva da millenni… C’è un precedente di un Papa in una sinagoga romana, sicuramente almeno uno: io mi riferisco a Pietro. Il gesto di Giovanni Paolo II è stato un gesto storico e ha aperto una nuova era.

     
    D. – Per quanto riguarda il prossimo futuro, qual è il vostro auspicio per il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa, in programma a maggio?

     
    R. – Anche in questa occasione la presenza del Papa significa attenzione, condivisione, rispetto, e volontà di partecipare ad un progetto di pace che deve essere condiviso.

     
    D. – Il Congresso Mondiale Ebraico ha espresso nei confronti di Benedetto XVI grande apprezzamento per la lettera inviata ai vescovi sulla remissione della scomunica dei presuli consacrati da mons. Lefebvre. Come ha accolto questa lettera la comunità ebraica romana?

     
    R. – E’ stata una lettera molto importante. Ci stupisce positivamente la sottolineatura sul fatto che siano stati proprio gli amici ebrei a comprendere le parole del Papa. Quindi, va letta come un gesto di attenzione nei nostri confronti.

     
    D. – E questa attenzione a cosa può portare in concreto?

     
    R. – Noi abbiamo tanti problemi nel confronto ebraico cristiano: problemi teologici, storici molto delicati che ci dividono. Alcuni ci dividono in maniera insormontabile perchè chiaramente le differenze ideologiche non possono essere colmate. Altri ci dividono dal punto di vista storico-emozionale. Però abbiamo anche impegni di testimonianza comune, possibilità di agire nella società con i valori che condividiamo. Se si toglie la parte conflittuale, ogni cosa che ne consegue può essere un grande frutto e un grande bene per tutti.

     
    D. – Quindi possiamo dire che oggi questi ponti di dialogo sono più praticabili?

     
    R. – Sì, in questi giorni molte delle nubi che si erano addensate non ci sono più. Prevale un clima di buona volontà che è molto importante.

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    Padre Cantalamessa nella prima predica di Quaresima affronta il tema dell'evoluzione alla luce di San Paolo

    ◊   Evoluzionismo, tesi del disegno intelligente, l’azione dello Spirito nella creazione: questi sono i temi toccati dalla prima predica di Quaresima tenuta stamani da padre Raniero Cantalamessa, nella Cappella Redemptoris Mater in Vaticano, alla presenza del Papa e della Curia Romana. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Il predicatore della Casa Pontificia è partito dalle parole di San Paolo ai Romani: “tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”, e le ha sviluppate alla luce delle teorie evoluzioniste, sullo sfondo del bicentenario della nascita di Darwin. Per San Paolo “Dio è all’inizio e al termine della storia del mondo; lo guida misteriosamente a un fine, facendo servire ad esso anche le impennate della libertà umana”: è la tesi del disegno intelligente contrapposta a quanti sostengono che il cosmo si evolva alla cieca, privo di una intelligenza ordinatrice. Una teoria quest’ultima – afferma padre Cantalamessa - che la scienza potrebbe avanzare se potesse da sola spiegare tutto: ma così non è:

     
    “Se ripercorriamo indietro la storia del mondo, come si sfoglia un libro dall’ultima pagina in su, arrivati alla fine, ci accorgiamo che è come se mancasse la prima pagina, l’incipit. Sappiamo tutto del mondo, eccetto perché e come è cominciato. Il credente è convinto che la Bibbia ci fornisce proprio questa pagina iniziale mancante; in essa, come nel frontespizio di ogni libro, è indicato il nome dell’autore e il titolo dell’opera!”

     
    “Una analogia ci può aiutare a conciliare la nostra fede nell’esistenza di un disegno intelligente di Dio sul mondo – ha proseguito - con l’apparente casualità e imprevedibilità messa in luce da Darwin e dalla scienza attuale. Si tratta del rapporto tra grazia e libertà”:

     
    “Come nel campo dello spirito la grazia lascia spazio all’imprevedibilità della libertà umana e agisce anche attraverso di essa, così nel campo fisico e biologico tutto è affidato al gioco delle cause seconde (la lotta per la sopravvivenza delle specie secondo Darwin, il caso e la necessità secondo Monod), anche se questo stesso gioco è previsto e fatto proprio dalla provvidenza di Dio. Nell’uno e nell’altro caso, Dio, come dice il proverbio, scrive diritto per linee storte”.

     
    “Il creato – ha affermato il religioso cappuccino – è opera dello Spirito Santo” che perfeziona le cose, le fa evolvere dal caos all’ordine. Questo accade anche nell’uomo, piccolo cosmo:

     
    “Lo Spirito Santo è colui che fa passare ognuno di noi dal caos al cosmo: dal disordine, dalla confusione e dalla dispersione, all’ordine, all’unità e alla bellezza. Quella bellezza che consiste nell’essere conformi alla volontà di Dio e all’immagine di Cristo, nel passare dall’uomo vecchio e all’uomo nuovo … Noi nasciamo ‘uomini vecchi’ e dobbiamo diventare ‘uomini nuovi’. Tutta la vita, non solo l’adolescenza, è una ‘età evolutiva’! Secondo il vangelo, bambini non si nasce ma si diventa! … La Quaresima è il tempo ideale per applicarsi a questo ringiovanimento … Lo Spirito Santo è l’anima di questo rinnovamento e di questo ringiovanimento”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il discorso del Papa alla plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. L’indirizzo di saluto del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato.

    In prima pagina, un articolo sulla lettera di Benedetto XVI del cardinale Camillo Ruini, Vicario generale emerito di Roma, dal titolo “Il senso della Chiesa”.

    Nell’informazione internazionale, in rilievo la situazione in Vicino Oriente: Hamas e Al Fatah sulla strada della riconciliazione.

    “Una guida per camminare nel mistero”: in cultura, una riflessione di Manlio Sodi sul libro liturgico.

    “Tolleranza è un concetto conflittuale”: stralci della relazione di Vincenzo Poggi in occasione del convegno “Ad ulteriores gentes. I cristiani in Oriente” in corso a Roma presso l’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente.

    Enrico dal Covolo recensisce il volume “La Parola nelle parole” di mons. Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria del Vicariato di Roma.

    Nicola Gori intervista mons. Enrique Eguía Seguí, vescovo ausiliare di Buenos Aires.

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    Oggi in Primo Piano



    Tre giorni di preghiera a Roma per i martiri cristiani di oggi

    ◊   “In Memoriam Martyrum”: questo il titolo del Convegno che si è aperto stamani a Roma, organizzato dall’opera “Aiuto alla Chiesa che soffre”. Tre giorni di preghiera e riflessione sul significato del martirio cristiano nel nostro tempo, accompagnati anche da una mostra sui martiri ed i totalitarismi moderni. L’apertura dei lavori è coincisa con l’anniversario della morte di mons. Paulos Faraj Rahho, arcivescovo di Mosul dei Caldei, rapito il 29 febbraio 2008 e ritrovato morto 13 giorni dopo. Il servizio di Isabella Piro:

    “Un atto di disumana violenza”: così il Papa definì, un anno fa, la morte di mons. Rahho. L’arcivescovo di Mosul dei Caldei era stato rapito alla fine di febbraio, proprio al termine della celebrazione della Via Crucis. Il 13 marzo 2008, il suo corpo era stato ritrovato senza vita nei dintorni di Mosul. Ecco come lo ricorda don Renato Sacco, responsabile per l’Iraq di Pax Christi:
     
    “L’ultima volta l’ho visto l’anno scorso, un mese prima della sua morte. Era un uomo mite e nello stesso tempo scherzoso. L’ultima volta che ci siamo salutati, gli ho detto: 'Ma adesso com’è a Mosul?'. E lui, con tono un po’ scherzoso, mi disse: 'Eh, vieni, vedi!'. Credo sia importante ricordarlo insieme ai cristiani uccisi in questi ultimi anni – sono 710, quelli di cui si conosce il nome. Poi ci sono tutti gli altri anonimi, che conosce solo il Signore”.
     
    Domani, nella chiesa di San Paolo a Mosul, il vicario patriarcale di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, celebrerà una Messa in suffragio di mons. Rahho. Il rito prevede anche la traslazione della salma dell’arcivescovo, per sua espressa volontà testamentaria, nella parte destra della chiesa, dove abitualmente prende posto il coro dei giovani. Ma ad un anno dalla morte di mons. Rahho, come è cambiato l’Iraq? Ancora don Renato Sacco:

     
    “La prospettiva del ritiro delle truppe americane, le elezioni, la spartizione del potere fanno cambiare un po’ l’assetto. Resta la fatica, soprattutto dei profughi, resta anche il grosso interrogativo della presenza cristiana. Il rischio che non ci sia più una presenza cristiana sarebbe un grave impoverimento per tutti”.
     
    Il primo anniversario della scomparsa di mons. Rahho è concisa con l’apertura del convegno “In Memoriam Martyrum”, presso la Pontificia Università della Santa Croce. Voluto da “Aiuto alla Chiesa che soffre” (Acs), l’incontro intende ricordare coloro che hanno versato il sangue per amore di Cristo. Nei tre giorni di lavori, si alternano momenti di preghiera, testimonianze dirette e riflessioni. Domenica, in chiusura, il concerto della “Passione secondo Giovanni” di Bach. Ascoltiamo mons. Sante Babolin, presidente di Acs-Italia:
     
    “Il titolo, che è in latino ed è 'in memoriam', con l’accusativo, indica movimento, il ché significa che questa iniziativa non sarà l’unica. E’ l’inizio di iniziative di questo tipo che si ripeteranno ogni anno”.
     
    Momento centrale del convegno è la mostra “Sia che viviate sia che moriate. Martiri e totalitarismi moderni”. Un modo per sottolineare che, anche nel XXI secolo, la Chiesa continua a contare nuove vittime. Ancora mons. Babolin:

     
    “Questo è il punto centrale, cioè l’eventualità del martirio è parte essenziale della vocazione cristiana. Perché più volte Gesù nel Vangelo dice: ‘Chi vuole essere mio discepolo, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua’. Vuol dire accettare questa eventualità di dover dare la vita per Cristo, perché se devo scegliere tra vivere e rinnegare la mia fede, se sono un discepolo vero di Gesù darò la vita per lui perché la grazia – come dice il Salmo – vale più della vita”.
     
    Secondo il Rapporto 2008 di Acs, sono oltre 60 i Paesi del mondo in cui si registrano gravi violazioni della libertà religiosa: basti citare l’Iraq, l’India, la Cina e la Nigeria, specialmente negli Stati in cui vige la sharia. Ma come far comprendere oggi, soprattutto ai giovani, il valore del martirio? Mons. Babolin:

     “Penso che i giovani lo capiscano se si illustra il martirio come un atto d’amore supremo”.

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    Ad un anno dalla morte di Chiara Lubich la testimonianza di Maria Voce alla guida del Movimento dei Focolari

    ◊   Domani ricorre il primo anniversario dalla morte di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. La sua figura sarà ricordata con varie iniziative a carattere ecumenico, interreligioso e interculturale, in Italia e nel mondo. Si inizia domani in mattinata con la Santa Messa nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore presieduta dal cardinale Paul Poupard, a seguire, nel pomeriggio, a Castel Gandolfo un incontro con diversi contributi sull’eredità lasciata dalla fondatrice. Ma che rapporto si vive oggi con Chiara, al di là della naturale nostalgia? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Maria Voce attuale presidente del Movimento dei Focolari:

    R. - Il rapporto che si vive con lei mi sembra che è la sfida quotidiana di essere fedele al cento per cento al carisma che lei ci ha donato. Io sento e noi sentiamo tutti che nella misura in cui teniamo fede a questo carisma, di unità, di presenza di Gesù fra noi siamo uniti a lei e continuiamo la sua vita.

     
    D. – Lei, Maria Voce, ha assunto la grande responsabilità di succedere a Chiara alla guida dei Focolari. Qual è stata in quest’anno la nota dominante nella sua azione e nell’impegno del Movimento nel suo insieme?

     
    R. - Mi sembra che la nota caratteristica è stata quella di sentirci tutti insieme più responsabili dell’opera che Dio ci ha affidato attraverso Chiara e, quindi, mi sembra che c’è stato un maggiore impegno proprio nell’avere tutto in comune e nell’occuparsi tutti di tutto. Dagli adulti ai ragazzi, dai laici ai sacerdoti, si sente che ognuno è interessato a portare avanti l’opera perché porti tutti quei frutti per cui Dio l’ha fatta nascere.

     
    D. - Chiara ha detto più volte che chi verrà dopo di lei farà cose anche più grandi di quelle finora realizzate e, in effetti, si nota anche un grande sviluppo del Movimento in tante parti del mondo. Ci può dire qualcosa su questo?

     
    D. - Vedo anch’io questa avanzata del Movimento nel mondo, nei viaggi che ho fatto dal Belgio all’Africa, alla Svizzera, ultimamente. Trovo dappertutto un grande desiderio di portare avanti quanto iniziato, soprattutto nei vari dialoghi con le altre Chiese, con le altre religioni, con persone di buona volontà che non si riconoscono in una fede religiosa. Continuo ad essere io stessa commossa e grata a Dio che mi fa toccare con mano questi frutti. Sento anche che questa è la testimonianza più diretta e più autentica della presenza di Dio nell’opera: Dio non si ferma e finché l’opera non avrà compiuto la missione per cui è nata di portare l’umanità ad essere una sola famiglia andrà avanti perché è Dio che la porta avanti.

     
    D. – Il carisma di Chiara è proprio questo dell’unità che genera gioia. Allora, Maria Voce, come rendere più unito, più gioioso un mondo che oggi, invece, sembra avvolto dalla crisi, dall’egoismo dalla violenza?

     
    R. – Dove non c’è amore metti amore e troverai amore, diceva sempre Chiara. L’amore manca in tante parti, purtroppo, perché al posto dell’amore ha preso il sopravvento la paura: la paura del diverso, la paura di cedere qualcosa di noi stessi, la paura di non essere riconosciuti. La paura naturalmente genera muri, divide le persone e, soprattutto, non dà gioia perché alla fine le persone si ritrovano sole e nella solitudine non c’è gioia. Quindi cercare di ricostruire questi legami mettendo l’amore dove non c’è, può anche ridare gioia alle persone ed è quello che noi sperimentiamo e che vorremmo condividere con tutti.

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    Aperto a Roma il Giubileo Paolino degli Universitari

    ◊   Fede e culture in dialogo per fondare un nuovo umanesimo: è la sfida rivolta al mondo accademico dal Giubileo Paolino degli Universitari. Promossa dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, il Pontificio Consiglio della Cultura e l’Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato, l’iniziativa ha preso avvio ieri in Campidoglio con il Forum Internazionale delle Università sul tema “Vangelo e cultura per un nuovo umanesimo”, e culminerà domenica 15 marzo con una concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, e con la professione di fede degli universitari nella Basilica romana di San Paolo fuori le mura. Il servizio di Claudia Di Lorenzi:

    Portare la luce del Vangelo alla cultura contemporanea, affinché la Verità sull’uomo svelata dalla fede possa fondare e guidare il progresso dei saperi nella direzione di un nuovo umanesimo. Il Giubileo Paolino degli Universitari lancia al mondo accademico una sfida coraggiosa: fronteggiare la crisi della modernità promuovendo una vera e propria rivoluzione culturale che riconosca come falsa, riduttiva e fallace la dicotomia tra fede e ragione, fra la dimensione trascendente dell’esistenza e la realtà empirica, fra il riconoscimento della centralità di Dio nella storia dell’uomo e un autentico umanesimo, fra la libertà umana e il diritto divino, per valorizzare piuttosto il contributo della dottrina sociale della Chiesa ad una più profonda comprensione del reale, e rendere testimonianza della fecondità storica dell'incontro fra fede e ragione. Il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone:

    “Fin dalle origini l’incontro del Vangelo con la cultura si è realizzato non solo con le sue manifestazioni storiche, qual è appunto la civiltà di un popolo, ma anche e soprattutto con il suo nucleo generatore, che è l’uomo che cerca la verità, dal momento che il Vangelo non si identifica con nessuna specifica cultura, ma le anima e le promuove tutte dall’interno.”

    Citando il Papa nel discorso ai docenti europei nel giugno scorso il porporato ha quindi aggiunto:

    “Da sempre la fede cristiana non può essere rinchiusa nel mondo astratto delle teorie, ma deve essere calata in un’esperienza storica concreta che raggiunga l’uomo nella verità più profonda della sua esistenza. L’annuncio del Vangelo infatti non è la proposta di un’idea o di un’etica, ma l’incontro con una Persona che è fondamento della realtà cosmica e storica. Pertanto l’evangelizzazione non si pone mai in contrapposizione con la cultura delle diverse civiltà, ma le incontra tutte per aiutarle con il realismo della propria fede nell’opera salvifica di Cristo e per sostenere lo sviluppo della cultura in modo che ogni civiltà possa liberarsi dai pregiudizi e dalle strumentalizzazioni ideologiche”.

    Una missione che passa attraverso l’elaborazione di proposte culturali inedite, capaci di rinnovare dall’interno le discipline scientifiche per condurle alla ricerca della Verità e del Bene dell’uomo, e concorrere a realizzare nuovo umanesimo. Mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura:

    “La cultura sicuramente ha davanti a sé tanti percorsi, ma la fede ha il compito di mostrare alcuni percorsi trascendenti, alcune vie ulteriori che danno risposte a domande capitali da un’altra angolatura rispetto alle risposte che può dare l’arte, la cultura, la filosofia, la ricerca umana”.

    Un rinnovamento della cultura – spiega ancora – che si fa specchio dell’incarnazione di Cristo:

    “La frase fondamentale del Vangelo di Giovanni, il Verbo si è fatto carne, vuol dire che l’Eterno, l’Infinito, il Divino, l’Assoluto, il Trascendente si fanno finito, contingente storico, spaziale, relativo, entrano nella carne, nella storia dell’uomo. La Parola per eccellenza diventa le parole della cultura umana”.

    Una proposta, quella dell’inculturazione del Vangelo, che si rivela antidoto contro la crisi della modernità, che – osserva mons. Ravasi – offre dunque una preziosa opportunità di crescita per l’intera società:

    “La crisi della modernità è da un lato sicuramente segno anche di un dramma e segno di una specie di sfacelo in alcuni casi. Abbiamo la dispersione dei valori, abbiamo la dissoluzione dei punti fermi, abbiamo l’incertezza, abbiamo anche i drammi di tipo economico, che travolgono un po’ la società contemporanea, che si illudeva di trovare in sè tutte le risposte. Ma dall’altra parte, è anche un grande momento fecondo. Come nell’esperienza umana il dolore diventa quasi come una gestazione – uno scrittore americano, Saul Bellow, diceva che il dolore rompe il sonno della ragione, cioè fa risvegliare ancora l’intelligenza dell’uomo, così nella stessa maniera possiamo dire che la crisi della modernità può diventare una base feconda per trovare altre risposte a quelle domande eterne che l’umanità si pone”.
     
    Una crescita che – rimarca il Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura – si sostanzia nella tensione al Bene, ed insieme nella ricerca della Verità e della Bellezza, ed è proprio nel profondo legame tra il Bene, il Vero e il Bello che si esprime l’unità dei saperi, i quali tutti insieme individuano un’unica strada di conoscenza per l’umanità.

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    Chiesa e Società



    Rapporto Onu sull’acqua: il mondo è sempre più assetato

    ◊   La richiesta d’acqua non è mai stata così forte, anche a causa dell’evoluzione dei modelli di consumo alimentare e dell’accresciuto bisogno di energia. E’ quanto emerge dal rapporto dell’Onu sulla valutazione delle risorse idriche, presentato ieri in vista del quinto Forum mondiale dell’acqua che si terrà ad Istanbul, in Turchia, dal 16 al 22 marzo prossimi. Il dossier, intitolato “l’Acqua in un mondo che cambia” si sofferma, in particolare, sul ruolo giocato dalle risorse idriche nello sviluppo e nella crescita economica. “In un contesto segnato da penurie crescenti – ha detto il direttore dell’Unesco Koïchiro Matsuura, è più che mai necessaria una buona governance nella gestione dell’acqua”. “La lotta contro la povertà – ha aggiunto - dipende anche dalla nostra capacità di investire in questa risorsa”. Con l’aumento della richiesta d’acqua – si legge nel rapporto – “si delinea una competizione per le risorse idriche tra i Paesi, tra le aree urbane e rurali, ma anche tra diversi settori”. Questa competizione “rischia di tradursi in futuro in una politicizzazione più marcata delle questioni relative all’acqua”. Occorrono quindi politiche immediate in grado di ridurre la dispersione di acqua, migliorare la gestione idrica e ridurre la domanda globale. Si tratta di misure già avviate da numerosi Stati. Ma le riforme – si sottolinea nel rapporto - non hanno dato i loro frutti, perché finora le azioni sono state troppo spesso limitate solo al settore idrico. Per essere efficaci, tali interventi devono coinvolgere anche i responsabili delle politiche in settori quali l’agricoltura, l’energia, il commercio e la finanza”. Nel dossier si ricorda poi che l’accesso ai servizi di base legati all’acqua resta “insufficiente per una larga parte del mondo in via di sviluppo. Oltre 5 miliardi di persone (il 67% della popolazione mondiale) nel 2030 non avrà accesso a strutture igienico-sanitarie decenti”. Ad investire nel settore idrico non dovrebbero essere solo i Paesi ricchi: la prosperità futura dell’intero pianeta dipende dalle politiche per l’acqua. Lo sviluppo e la salvaguardia delle risorse idriche – conclude il rapporto - saranno un elemento chiave per garantire lo sviluppo economico e sociale e, probabilmente, la pace. Alcuni esempi positivi non mancano, come quello della Zambia che ha integrato le strategie di gestione dell’acqua nei suoi piani di sviluppo nazionale, facendo così in modo che numerosi donatori abbiano inserito nei loro investimenti nel Paese africano progetti per la salvaguardia dell’acqua. (A.L.)

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    Madagascar: attentato contro l’abitazione dell'arcivescovo di Antananarivo

    ◊   “La situazione rimane tesa anche perché lo scontro politico rischia di degenerare in uno scontro religioso. Ieri notte, alcuni sconosciuti hanno tentato di dare fuoco alla residenza di mons. Odon Marie Arsène Razanakolona, arcivescovo di Antananarivo. L'intervento delle forze dell'ordine ha evitato il peggio”. È il quadro drammatico riferito da Radio Don Bosco in Madagascar, ripreso dall'agenzia Fides. Il Paese, infatti, è da oltre un mese devastato da una grave crisi politica e decine di migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere le dimissioni del presidente Marc Ravalomanana. Le manifestazioni, che hanno provocato decine di morti, sono scoppiate durante gli scioperi indetti per protestare contro la decisione del governo di chiudere un’emittente televisiva privata, appartenente al leader dell'opposizione e sindaco della capitale, Andry Rajoelina. Le autorità avevano deciso di chiudere la testata lo scorso dicembre, dopo la trasmissione di un programma in cui parlava il presidente in esilio, Didier Ratsiraka. Il governo aveva, infatti, giudicato l’episodio come "un'istigazione al disordine civile”. (I.P.)

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    Gesuita birmano denuncia: il Myanmar sacrificato agli interessi economici

    ◊   Il silenzio della comunità internazionale sul dramma che si consuma ogni giorno in Myanmar è “vergognoso”. Anche l’India mostra interesse “solo per le risorse economiche e commerciali” e non fa alcun accenno “ai diritti umani”, che liquida come “una questione interna”. Il risultato è che la dittatura militare “si gode tutti i privilegi” e la popolazione “continua a soffrire”. È la denuncia di padre Cyril, sacerdote gesuita della provincia di Madurai, nel sud dell’India, nato e vissuto per oltre 10 anni in Myanmar. La denuncia del religioso - riferisce l'agenzia AsiaNews - coincide con la giornata per i diritti umani nella ex-Birmania, che si celebra oggi: attivisti hanno lanciato una campagna di raccolta firme per chiedere la liberazione di Aung San Suu Kyi e degli oltre 2100 prigionieri politici richiusi nelle carceri del Paese. Padre Cyril spiega che la campagna “è un buon segno” e può essere utile per “risvegliare le coscienze nella comunità internazionale”, ma “non sortirà alcun effetto in Myanmar: il governo vigila e chiunque firmerà andrà incontro ad arresti, torture, persecuzioni”. “In Myanmar – denuncia il sacerdote – vi è una violazione totale dei diritti umani. La giunta militare non garantisce una buona educazione e non crea opportunità di lavoro per i cittadini. Non vi sono libertà; anche la libertà religiosa subisce pesanti restrizioni. Non c’è libertà di spostamento, le persone sono sorvegliate, messe in prigione se sospettate di attività anti-governative e torturate in maniera disumana”. Padre Cyril ha visitato il Myanmar nei mesi successivi alla tragedia di Nargis, che il 2 maggio dello scorso anno ha causato la morte di circa 140mila persone, lavorando per quattro mesi a contatto con gli sfollati. Si calcola che oltre 2,4 milioni di birmani abbiano riportato danni di varia entità e siano ancora in attesa di aiuti. Il gesuita denuncia “gli ostacoli” creati dalla dittatura militare che “non tollera interventi esterni”. “Cercavamo di aiutare le persone che avevano perso tutto a causa del ciclone. Fornivamo loro cibo, aiuti, una casa, ma il governo lo impediva. Tra le persone resta comunque la voglia di lottare, di liberarsi di una tirannia che opprime”. (R.P.)

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    Sri Lanka: per il vescovo di Jaffna più di centomila civili rischiano la vita

    ◊   “Più di 100 mila civili rischiano il totale annientamento se non inizia subito l’evacuazione delle zone di guerra del nord-ovest”. Mons. Thomas Savundaranayagam, vescovo di Jaffna, lancia l’ennesimo grido di allarme ed esorta esercito e ribelli tamil a trovare un accordo per risparmiare la vita alla popolazione ancora intrappolati nei distretti di Kilinochchi e Mullaitivu. Il vescovo della città a nord dell’isola - riferisce l'agenzia AsiaNews - afferma che le forze governative e il Liberation Tigers of Tamil Eelam (Ltte) stanno preparandosi allo “scontro finale” e ignorano la “situazione estremamente pericolosa” in cui si trovano i civili raccolti nella zona di sicurezza. I rifugiati sono accampati nel distretto di Mullaitivu in una striscia di costa lunga poco più di 11 chilometri. Soffrono per penuria di cibo, mancanza di generi di prima necessità e la sistemazioni in ripari di fortuna. Da oltre cinque mesi la Chiesa, l’Onu e la Croce rossa chiedono rispetto per civili intrappolati nella zona di guerra esposti agli attacchi delle due fazioni. Sulle cifre degli sfollati ancora presenti nell’area teatro del conflitto, è in atto da tempo un braccio di ferro tra il governo e le organizzazioni umanitarie. La Croce rossa parla di almeno 200mila persone, il ministero della difesa afferma che gli sfollati non sono più di 100mila. Il Regional Director of Health Services (Rdhs) afferma che nei primi dieci giorni di marzo l’ospedale di Puthumaththalan ha soccorso 964 civili feriti dai combattimenti. Più del 95% di essi proviene dalla zona di sicurezza dove sono vittime degli attacchi aerei dell’esercito e delle azioni di guerriglia dei ribelli. L’Rdhs afferma che di questi 40 bambini e 79 adulti sono morti mentre venivano portati all’ospedale o durante il ricovero. Mons. Savundaranayagam chiede che si apra un corridoio per permettere ai civili di abbandonare la zona di sicurezza. “È l’ultima opportunità” che entrambe le parti in conflitto hanno per risparmiare altre vittime innocenti. Il vescovo propone a esercito e ribelli un piano di emergenza per l’evacuazione dei civili, l’immediato accesso alla zona degli aiuti del World Food Programme ed il coinvolgimento dell’Onu nell’affronto della crisi con la proclamazione di un cessate il fuoco che permetta agli inviati delle Nazioni Unite di verificare le reali condizioni della popolazione. (R.P.)

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    Cattolici e buddisti insieme per aiutare i profughi dello Sri Lanka

    ◊   In Sri Lanka due sacerdoti cattolici e tre monaci buddisti sono riusciti a raccogliere insieme aiuti per oltre 5 mila euro che hanno donato a gruppi di profughi provenienti dalle zone dove sono ancora in corso i combattimenti tra guerriglieri Tamil e truppe governative. “Cristiani e buddisti – ha dichiarato Akurana Gunarathana - hanno dato un’offerta in denaro o generi alimentari per aiutare chi ha più bisogno di loro”. “I rappresentanti religiosi – ha sottolineato padre Neil Chrishantha – dovrebbero sempre più lavorare insieme per portare pace e armonia”. Per il sacerdote i credenti dello Sri Lanka devono mostrarsi caritatevoli verso la popolazione tamil in questo momento di grande sofferenza. Mons. Oswald Thomas Colman Gomis, arcivescovo di Colombo, aveva espresso lo scorso febbraio la sua preoccupazione e il proposito di solidarietà per quanti, in entrambi i fronti, stanno soffrendo per le gravi conseguenze del conflitto in corso. In quell’occasione – ricorda l’Osservatore Romano – il presule aveva esortato i fedeli della sua arcidiocesi a donare cibo e medicinali per i profughi “nel vero spirito della carità cristiana”. (A.L.)

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    Irlanda del Nord: domenica prossima preghiera speciale per la pace

    ◊   Un forte “messaggio di unità, speranza e determinazione” e “una speciale preghiera per la nostra terra e per la nostra gente”: è quanto hanno chiesto ieri pomeriggio, dopo “i tragici eventi dei giorni scorsi con gli omicidi di due giovani soldati e un poliziotto” a Massereene e a Craigavon, i leader della Chiesa d’Irlanda, insieme con il Consiglio irlandese delle Chiese e l’Alleanza evangelica. Il cardinale Sean Brady, arcivescovo di Armagh e primate di tutta l’Irlanda il presidente dei metodisti Aian Ferguson, l’arcivescovo Alan Harper, primate della Chiesa d’Irlanda; Donald Patton, moderatore presbiteriano, e Stephen Cave, direttore nazionale dell’Alleanza evangelica, hanno presentato in conferenza stampa la lettera pastorale “Insieme per il bene”. Nel documento ripreso dal Sir esprimono “solidarietà alle famiglie, agli amici e ai colleghi delle vittime” e lodano “i politici per la loro risolutezza sia nel condannare gli omicidi, sia nel tenere insieme la comunità”. “Siamo consapevoli – si sottolinea nella lettera – che la gente vuole fare di più e mandare il messaggio chiaro e forte che siamo una comunità unita contro chiunque voglia ritornare alle minacce e alle violenze, piuttosto che alla democrazia e alla pace come cammino da percorrere”. Di qui la richiesta “a tutte le nostre Chiese di creare per la gente l’opportunità di lanciare un messaggio di speranza e determinazione”. Domenica prossima “la più vicina alla festa di San Patrizio” è secondo i leader religiosi “la più adatta per offrire speciali preghiere per la nostra terra e per il nostro popolo”. Lasciando ad ogni comunità la libertà di farlo all’interno delle normali funzioni domenicali, oppure “creando spazi e tempi speciali” e magari “riunendosi con comunità vicine di altra tradizione”, la lettera suggerisce infine che ognuno indossi, “quale segno concreto di rifiuto della violenza e di volontà di tutta la comunità di parlare con una sola voce, un nastro o qualche altro indumento viola”, colore “della Quaresima e forte simbolo esteriore della volontà di lavorare insieme per il bene”. (A.L.)

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    Il patriarca Twal: la forza militare non porta speranza alla Terra Santa

    ◊   “Una situazione politica che si basa sul potere e la forza militare non porta alla speranza ma ad altri problemi”. Lo ha detto il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, nella sua catechesi per questa terza domenica di Quaresima proposta su YouTube attraverso Telepace Holy Land Tv e ripresa dall'agenzia Sir. “Abbiamo bisogno di soluzioni che non sopprimano il problema umano sopprimendo l’uomo ma che ci aiutino ad affrontarlo con speranza e fede” ha dichiarato il patriarca che ha proseguito: “in Terra Santa viviamo con enormi problemi politici” davanti ai quali “possiamo essere impazienti, mettendo da parte o addirittura ignorando del tutto i nostri e gli altrui bisogni, per trovare una fine rapida a questi problemi”. Una fretta, che per Twal, “è uno dei motivi per cui molti cristiani emigrano. Essi concepiscono le loro vite come un problema senza soluzione. Gesù, invece, ci mostra che è possibile lavorare con pazienza per la soluzione di ogni problema dell’uomo. Ed è quello che ci mostra questa stagione di penitenza”. Sull’emigrazione dei cristiani dalla Terra Santa il patriarca aveva già parlato il 9 marzo, all’università cattolica di Lione, nel corso della sua visita in Francia su invito dell’Ordine del Santo Sepolcro. In quell’occasione Twal aveva ribadito la necessità di recarsi in pellegrinaggio in Terra Santa “per conoscere le comunità cristiane locali e pregare con esse” e al tempo stesso “lavorare per la giustizia e la pace”. “I cristiani, in quanto minoranza soffrono particolarmente l’instabilità generale che regna nella regione e che rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo dei fondamentalismi di ogni tipo. Una soluzione rapida del conflitto mediorientale è importante per l’avvenire della presenza cristiana in Terra Santa”. (R.P.)

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    Brasile: la Chiesa riflette su violenza e cultura della paura

    ◊   La Campagna di fraternità che nel tempo liturgico della Quaresima ogni anno impegna la Chiesa brasiliana sta animando, dallo scorso 25 febbraio, in tutte le comunità ecclesiali del Paese un grande dibattito sulla “fratellanza e la sicurezza pubblica” poiché, hanno scritto i presuli, “la pace è frutto della giustizia”. Si tratta di una questione molto sentita da parte della popolazione brasiliana che, da diversi anni, registra un incremento della violenza nonostante gli sforzi per combatterla da parte degli ultimi governi. Secondo dati recenti, confermati da accurate ricerche, negli ultimi 30 anni si sono verificati nel Paese almeno un milione di morti violente. La preoccupazione dei vescovi è concorde con quella delle autorità anche perché, secondo il Ministero per la salute pubblica, l’omicidio continua ad essere la principale causa di morte. I dati offerti da questo dicastero sono chiari: la media degli omicidi è di 5,5 ogni 60 minuti e ciò corrisponde a 27 morti violente ogni 100 mila abitanti. Si tratta di una delle medie più alte al mondo. Recentemente l’Università di São Paulo, nel suo rapporto nazionale sullo stato dei diritti umani, ha ricordato che ogni anno le morte violente sono 48 mila circa. È chiaro dunque il perché i vescovi del Brasile abbiano scelto per la Campagna di fraternità 2009, per la prima volta da quando è cominciata l’iniziativa nel 1964, la grande e delicata questione della violenza. D’altra parte, quella di quest’anno si potrebbe leggere come un prolungamento di quella del 2008 che aveva come tema centrale “fraternità e difesa della vita”. Già allora si cominciarono ad approfondire nelle comunità ecclesiali e nelle parrocchie le grandi sfide, insidie e minacce contro la vita umana e contro il creato. Oggi, secondo il messaggio dei vescovi, queste riflessioni dovrebbero condurre ad una maggiore consapevolezza e presa di coscienza sull’importanza “della sicurezza pubblica dei cittadini”; al tempo stesso, dovrebbero portare alla mobilitazione generale “per contribuire alla promozione della cultura della pace tra le persone, nelle famiglie, nella comunità e nella società”. Da osservare, infine, che queste riflessioni, spesso animate non solo dai pastori ma anche da esperti di diverse discipline, tentano di capire ed individuare, per una migliore comprensione del fenomeno, le diverse modalità della pratica della violenza, in particolare nelle grandi metropoli. Tra queste, i maltrattamenti che subiscono i carcerati nelle prigioni, lo sfruttamento sessuale, il lavoro minorile e il traffico di esseri umani. Il 25 febbraio scorso Benedetto XVI ha inviato ai vescovi e cattolici brasiliani un messaggio sottolineando che “la Quaresima ci invita a lottare senza sosta per fare il bene, proprio perché sappiamo quanto sia difficile perseguire seriamente la giustizia. Molto manca perché la convivenza sia ispirata alla pace e all’amore, e non all'odio o all'indifferenza”. (L.B.)

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    In Bolivia tutto pronto per il lancio della Missione continentale

    ◊   la Missione continentale permanente, che verrà lanciata in Bolivia il prossimo 26 aprile, punterà soprattutto, tramite diversi temi di riflessione, “alla formazione delle coscienze”. E’ quanto ha osservato il vescovo di El Alto, mons. Jesús Juárez Párraga, segretario della Conferenza episcopale. La Quaresima - ha spiegato il presule - “ci offre l’opportunità per approfondire questa nostra preparazione destinata alla formazione di missionari”. Si intende anche prendere coscienza del fatto “che occorre un impegno missionario visto che con il battesimo siamo diventati discepoli di Cristo”. Il lancio della Missione continentale è stato organizzato nella città di Cochabamba il 26 aprile e ormai la fase preparatoria si sta concludendo con la definizione dei gli strumenti pastorali che saranno utilizzati nelle parrocchie del Paese. Nel corso dell’incontro con i giornalisti, mons. Jesús Juárez è stato interpellato in merito alle notizie sul ritiro, negli atti pubblici, di tutti i simboli religiosi, definendo “unilaterale” un tale comportamento. D’altra parte - ha aggiunto il presule - “non corrisponde alla profonda religiosità del popolo boliviano” e certamente non può essere messa in rapporto col fatto che la nuova Carta costituzionale stabilisce nell’articolo 4, la separazione tra Chiesa e Stato. Tra l’altro, proprio in queste settimane, si lavora intensamente per redigere e approvare nelle sedi competenti l’insieme dei numerosi provvedimenti che dovranno attuare i principi costituzionali. Al riguardo, il vescovo ha nuovamente auspicato “un dialogo serrato con le istituzioni ecclesiali e civili” per evitare qualsiasi tipo di conflitto. A suo avviso non si deve agire tentando di “ignorare o mettere all’angolo” le confessioni religiose poiché alla fine “si ferisce il sentimento religioso di un popolo che ha diritto ad esprime la sua fede pubblicamente”. Assicurando che la Chiesa boliviana continuerà, come è suo dovere, ad invitare le autorità del Paese ai principali atti religiosi, il vescovo di El Alto ha sottolineato infine che “ciascuno come sempre farà la sua scelta”: “coloro che confessano la fede cattolica prenderanno parte alla celebrazione eucaristica; coloro che hanno un’altra fede assisteranno ai propri culti”. (A cura di Luis Badilla)

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    Angola: migliaia di senza tetto per piogge e alluvioni

    ◊   Sono almeno 20.000 le persone rimaste senza casa nella provincia di Cunene, estremo sud dell’Angola, a causa delle forti piogge che da giorni cadono sulla regione e che hanno provocato alluvioni e smottamenti. Il bilancio è stato fornito dalla Croce rossa angolana ma si tratta di una stima parziale perché molte zone dell’area risultano ancora isolate. Si teme infatti - riferisce l'agenzia Misna - che il numero delle persone colpite possa salire rapidamente e che, se i soccorsi non si attiveranno rapidamente, possano diffondersi malattie legate all’acqua (a cominciare dal colera) endemiche in queste zone del paese e particolarmente virali in questo periodo dell’anno. Ieri sul posto è giunto in visita anche il capo di Stato maggiore dell’Esercito angolano, dal momento che il governo ha chiesto ai militari di coordinare soccorsi e gestione degli aiuti. Fonti locali, intanto, fanno sapere che la prima conseguenza immediata delle alluvioni è stata quella del rapido aumento dei prezzi dei beni alimentari di base sui mercati dei principali centri abitati di Cunene, dal momento che le piogge e le alluvioni hanno interrotto i collegamenti con le zone rurali. Ad aggravare la situazione contribuiscono infine le previsioni meteorologiche, secondo cui le piogge continueranno ancora per almeno 48 ore, facendo salire ulteriormente il livello dei fiumi. (R.P.)

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    Il vescovo di Pavia: necessari aiuti urgenti per lo Zimbabwe

    ◊   “Un aiuto allo Zimbabwe è assolutamente necessario”. È quanto afferma mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia, dopo aver partecipato a “una missione di solidarietà per la Chiesa dello Zimbabwe”. Organizzata da “Misereor”, l’Opera assistenziale fondata nel 1958 dall’allora arcivescovo di Colonia cardinale Josef Frings per sostenere i poveri nei cinque Continenti, la “missione” si è svolta dal 9 al 10 marzo e ha visto la presenza di vescovi europei e dell’America Latina. Intervistato dal settimanale diocesano di Pavia “Il Ticino”, mons. Giudici parla di una “situazione paradossale” in Zimbabwe “perché il Paese si trova in una condizione geografica ottimale. Quest'anno la pioggia è stata abbondante per cui i campi sono verdi e il mais è quasi vicino alla raccolta”. Tuttavia, “vi è un sostanziale sfascio delle istituzioni dello Stato”. Mons. Giudici ricorda che “il sistema sanitario nazionale è del tutto compromesso. Rimangono ancora in attività gli ospedali che noi diciamo missionari, intendendo con questa parola, le iniziative delle Chiese cristiane; invece è bloccata ogni tipo di presenza della sanità pubblica”. “L’università – spiega poi il presule le cui parole sono state riprese dall’agenzia Sir – è chiusa e, nell'anno scolastico trascorso, i ragazzi sono stati a scuola solo 27 giorni”. Per questo “è assolutamente necessario un aiuto al Paese”. In Zimbabwe - racconta mons. Giudici - “la Chiesa cattolica rimane una realtà molto viva. L’impressione che ne ho ricavato è di una grande tensione ideale della Chiesa. C'è un problema oggi molto sentito dalle comunità cristiane e, in particolare, da quella cattolica” dovuto al fatto che le elezioni dello scorso anno sono state accompagnate “anche da molte violenze”. Attualmente, conclude il vescovo, “c’è un processo di pacificazione, di perdono, di presa di coscienza della violenza commessa che deve essere realizzato e sul quale vedo che la comunità cristiana è molto impegnata. Quasi ogni parrocchia ha fatto sorgere un gruppo intitolato Giustizia e pace che intende richiamare i promotori dell’ingiustizia a prendere coscienza della disumanizzazione dei loro gesti”. Secondo l’ultimo Rapporto di Medici senza frontiere, i primi mesi del 2008 hanno segnato un periodo di ulteriore tracollo economico e di violenza politica: la situazione del Paese, in crisi da anni, si è deteriorata raggiungendo livelli allarmanti. Per le Nazioni Unite, l'aspettativa di vita nello Zimbabwe è precipitata a 34 anni a causa della pandemia di Aids. (A.L.)

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    Irlanda: proposta della Conferenza episcopale di fronte alla crisi economica

    ◊   Rinegoziare i mutui delle abitazioni per evitare che le famiglie colpite dalla crisi economica globale perdano la propria casa: è la proposta di mons. Christopher Jones, presidente della Commissione per la Famiglia nell’ambito della Conferenza episcopale irlandese. “Di fronte alla paura di molte persone di perdere la propria casa, a causa della recessione - scrive il presule in una nota diffusa ieri – propongo che le abitazioni delle famiglie a rischio non vengano espropriate”. Ma “non si tratta di un assegno in bianco”, continua mons. Jones, poiché “ciascun caso dovrà essere valutato da un’autorità competente. In sostanza, il mio suggerimento è che i termini e le condizioni dei contratti di mutuo possano essere rinegoziati dare alle famiglie la possibilità pagare rate adeguate alle circostanze attuali”. Poi, il presule specifica che “in Irlanda, la proprietà della casa di famiglia è sempre stata considerata importante. La disgregazione delle famiglie, quindi, deve essere evitata in ogni modo. Per questo, io chiedo allo Stato, secondo i dettami della Costituzione, di proteggere la famiglia, come base necessaria dell’ordine sociale ed elemento indispensabile per il benessere della nazione e dello Stato”. Di qui, l’accento posto da mons. Jones sui disagi ed i traumi che la perdita della casa può provocare, “soprattutto sui bambini”. Riconoscendo l’emergenza attuale, il vescovo irlandese poi afferma: “Se il governo può intervenire per aiutare il sistema bancario, essenziale per il corretto funzionamento della società, allo stesso modo chiedo all’esecutivo di esaminare, per i contratti di mutuo, il modo di proteggere le famiglie dall’esproprio”. Il presule si appella quindi alle banche affinché “rivedano urgentemente le loro pratiche per i mutui, in modo da assicurare all’economia il supporto necessario per uscire dalla crisi attuale” e chiede a tutti i cittadini “di avere riguardo per il bene comune, pagando le tasse richieste per la stabilità economica”. (I.P.)

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    Repubblica Ceca: la Cattedrale di San Vito torna allo Stato

    ◊   Il 5 marzo scorso, la Corte suprema della Repubblica Ceca ha sentenziato che la celebre cattedrale di San Vito, situata nel cuore del castello di Praga, appartiene allo Stato e non alla Chiesa cattolica. La sentenza è giunta dopo un contenzioso legale, durato 17 anni, intorno a quello che può essere ritenuto uno dei luoghi storici della capitale ceca. Il portavoce della Corte suprema, Petr Knötig , ha detto che si tratta di una sentenza definitiva, in quanto non è più possibile il ricorso in Cassazione. Di proprietà della Chiesa nel corso dei secoli, la più grande chiesa di Praga, che fu fondata nel 1344 dal re di Boemia Carlo IV, venne dichiarata dal regime comunista proprietà nazionale dallo Stato. Quarant’anni dopo, nel 1994, caduto ormai il regime comunista, la cattedrale di San Vito venne riconsegnata alla Chiesa. La Corte distrettuale di Praga, nel 2007, fece ricorso al presidente della repubblica, Vaclav Klaus, ed ottenne che la cattedrale tornasse ad appartenere allo Stato. L’arcidiocesi contestò la decisione ricorrendo in appello alla Corte suprema, che ha bocciato con la sentenza del 5 marzo il ricorso. Dal canto suo, il portavoce della curia vescovile di Praga, Ales Pistora, ha da parte sua preannunciato un altro ricorso, questa volta alla Corte Costituzionale e alla Corte europea, perché la decisione della Corte suprema "non è giusta". (A.M.)

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    L'impegno della Chiesa cambogiana nelle comunicazioni sociali

    ◊   In Cambogia il Centro per le Comunicazioni Sociali si prepara a nuove sfide. Tra queste ci sono l’annuncio del Vangelo, la risposta ai bisogni e alle speranze della popolazione e la promozione dei valori cristiani attraverso le nuove tecnologie. Nel Paese asiatico ha Chiesa ha lanciato, in particolare, una serie di iniziative nel campo delle comunicazioni per rendere maggiormente significativa la presenza del messaggio cristiano nella società. Tra i numerosi strumenti a disposizione – ricorda l’agenzia Fides – ci sono un giornale, trasmissioni radio settimanali, un sito web, la produzione di filmati e sussidi per la pastorale. Nei prossimi anni – ha affermato mons. Emile Destombes, vicario apostolico di Phnom Penh – saranno tre le linee guida da seguire: formazione, collaborazione e dialogo. Per quanto riguarda la formazione, servono operatori competenti che siano “comunicatori del volto di Gesù”. La collaborazione consisterà nel restare sempre in contatto con i vescovi cambogiani ma anche nel prestare attenzione alle iniziative locali, di parrocchie e associazioni cattoliche. Infine il dialogo – ha sottolineato mons. Destombes – “genera fiducia e migliora la comunicazione”: allargando gli orizzonti, il dialogo “promuove la verità, la giustizia e la pace”. (A.L.)

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    India: oltre 2.000 fedeli per il Giubileo Paolino nella diocesi di Vijayawada

    ◊   In sintonia con numerose chiese locali in tutto il mondo, che stanno proponendo ai fedeli speciali celebrazioni dedicate a San Paolo nell’Anno Paolino, nei giorni scorsi si è svolto nella diocesi di Vijayawada (stato indiano di Andra Pradesh, in India Sudorientale) uno speciale giubileo per celebrare il bimillenario della nascita dell’Apostolo delle Genti. L’evento, celebrato nella cattedrale della città, ha richiamato sacerdoti, religiosi e laici da tutta la diocesi: la comunità intera si è stretta attorno al vescovo, mons. Prakash Mallavarapu, per pregare, riflettere e fare propria l’esperienza di San Paolo. La giornata giubilare è stata vissuta intensamente da oltre 2.000 persone radunatesi dalle diverse parrocchie e dai movimenti ecclesiali della diocesi, e ha rappresentato il momento culminante delle celebrazioni e delle iniziative paoline vissute dalle comunità locali nei diversi vicariati diocesani. Ogni fedele è stato richiamato a vivere nel proprio quotidiano lo spirito che ha animato l’Apostolo delle Genti, infaticabile evangelizzatore. Il vescovo ha invitato tutti a imitare San Paolo testimoniando Cristo ed ha ricordato ai fedeli di impegnarsi in modo particolare nella preghiera e nella penitenza, in questo periodo di Quaresima. La diocesi di Vijayawada conta circa 260mila cattolici, su una popolazione di 4,8 milioni di abitanti. (R.P.)

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    Convegno sulla cooperazione tra gli atenei nell'ambito del Giubileo Paolino universitario

    ◊   “La cooperazione universitaria per uno sviluppo economico sostenibile”. E’ il tema del convegno che si è aperto ieri a Roma in occasione delle giornate del giubileo paolino degli universitari in corso in questi giorni nella capitale, promosso dal Ministero degli affari esteri e dall’Ufficio per la pastorale universitaria del vicariato di Roma. L’ incontro, che si concluderà oggi pomeriggio presso l'università La Sapienza di Roma, vede la partecipazione di rettori e studenti provenienti da tutto il mondo. Creare un network di collegamento tra le varie università del mondo, in modo da favorire un lavoro di rete soprattutto tra quei Paesi che per diversi motivi sono in conflitto tra di loro, affinchè anche in questo modo possa aprirsi una strada per il dialogo e per la pace. Questo il fine principale del convegno sulla Cooperazione universitaria in cui per la prima volta hanno partecipato e si sono confrontati oltre 50 rettori provenienti da diverse università dei cinque continenti. “Questo meeting – ha spiegato monsignor Lorenzo Leuzzi direttore dell’ufficio per la pastorale universitaria – è molto importante perché permette di individuare strategie comuni per aiutare le giovani generazioni ad affrontare nella maniera più opportuna le grandi questioni della società attuale”. All’ incontro ha partecipato anche il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola, che ha sottolineato come la cooperazione universitaria debba puntare alla creazione di una comunità culturale transnazionale, rispettosa delle singole identità, sensibile ai processi di innovazione e in grado di realizzare un “ponte” tra culture diverse. (A cura di Marina Tomarro)

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    Il 23 marzo nella Basilica ostiense quarto incontro sulle Lettere paoline

    ◊   La Basilica papale di San Paolo fuori le Mura accoglierà lunedì 23 marzo alle ore 20,30, il quarto Incontro del ciclo sulle Lettere Paoline, promosso per celebrare il bimillenario della nascita dell’Apostolo e per testimoniare (con lo slogan “San Paolo parla”) l’attualità del suo insegnamento. Al centro della manifestazione sarà la Lettera agli Efesini, presentata da un esegeta illustre, il biblista padre Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose. A introdurlo sarà il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, arciprete della basilica. Testimonieranno il loro legame spirituale con San Paolo il presidente nazionale del Movimento ecclesiale “Rinnovamento nello Spirito Santo” Salvatore Martinez, per la Congregazione dei Legionari di Cristo il vicario generale padre Luis Garza Medina, e Chiara Amirante, che guarita dalla cecità, ha fondato la Comunità Giglio. Altri protagonisti del nostro tempo a confronto con l’Apostolo saranno per il mondo della comunicazione il giornalista televisivo e scrittore Bruno Vespa e per quello della cultura Claudio Strinati, sovrintendente ai Beni culturali artistici e storici di Roma e del Polo museale romano. A condurre l’incontro sarà la giornalista televisiva Paola Saluzzi. Passi della Lettera agli Efesini saranno letti dall’attrice Miriam Mesturino. Il quinto e ultimo “Incontro con le Lettere Paoline” si svolgerà, sempre nella basilica Ostiense, il 27 aprile, dedicato alle Lettere a Timoteo di cui sarà esegeta il pastore valdese prof. Paolo Ricca. Previste delle testimonianze di personalità del mondo dell’economia e del lavoro. (A cura di Graziano Motta)

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    24 Ore nel Mondo



    Opposizione in piazza in Madagascar

    ◊   Nuova manifestazione di piazza dell'opposizione, nel centro di Antananarivo, capeggiata da Roland Ratsiraka, il candidato sconfitto alle presidenziali del 2006, che ha affermato che la vittoria è ormai vicina. Alla manifestazione non ha potuto intervenire il leader dell'opposizione, Andry Rajoelina, nei confronti del quale è stato emesso un mandato di arresto ed è pertanto nascosto. Nella notte, militari dissidenti hanno dispiegato carri armati nella capitale del Madagascar con la dichiarata intenzione di impedire l'arrivo di non meglio precisati mercenari. Sullo sfondo della crisi, la totale confusione nel Paese in seguito al braccio di ferro che oppone da settimane il presidente, Marc Ravalomananna, al leader dell'opposizione, Rajoalina. Il servizio di Fausta Speranza:

     
    Le truppe tradiscono la neutralità che aveva caratterizzato la loro posizione finora. I mercenari dai quali dicono di volersi difendere sarebbero quelli che il presidente vorrebbe assoldare per rafforzare la propria posizione. Potrebbero anche essere semplicemente gruppi di militari a lui fedeli. Due giorni fa, c'è stato un confuso cambiamento al vertice delle forze armate, pare senza il consenso del presidente. A questo punto, lo stesso presidente lancia un appello agli abitanti della capitale affinchè respingano l'attacco di militari ribelli: chiede che siano difesi il presidente e il palazzo stesso. Da parte loro, gli ammutinati parlano solo di azione precauzionale. Emerge, in ogni caso, la spaccatura, anche tra le forze armate, tra chi sostiene il presidente Ravalomananna e chi il leader dell’opposizione, Rajoalina, che da settimane hanno ingaggiato un duro braccio di ferro, con scontri di piazza, dimissioni del ministro della Difesa, protezione da parte dell’ONU per il capo dell’opposizione. Due giorni fa, i militari avevano chiesto una sollecita risposta politica annunciando altrimenti il loro intervento.

     
    Sulla situazione che si è venuta a creare nel Paese, Stefano Leszczynski ha intervistato padre Cosimo Alvati, già direttore di Radio Don Bosco nella capitale malgascia, Antananarivo.

    R . - La situazione effettivamente è entrata in un caos tale che la gente sembra non riuscire a capire bene verso quale direzione si stia andando. Ma, forse, l’obiettivo principale è proprio quello di una situazione di destabilizzazione pensata per far cadere il governo.

     
    D. - Chi sono i due principali protagonisti di questa situazione in Madagascar?

     
    R. - Ravalomanana è un grande uomo di affari nel campo della comunicazione, che nel 2002 è salito al potere dopo elezioni democratiche un po’ turbolente, perché non gli veniva riconosciuta la vittoria. Dall’altra parte, abbiamo Rajoelina che è un giovane uomo di affari di 34 anni: l’anno scorso, di sorpresa, ha vinto le elezioni comunali di Atananarivo. Due contendenti che rappresentano ancora una volta l’esempio classico di uomini di potere, di una certa posizione economica, che cercano di ottenere il potere politico.

     
    D. - C’è, secondo la sua esperienza, la possibilità che la comunità internazionale intervenga in maniera efficace?

     
    R. - La comunità internazionale può intervenire e deve assolutamente farlo per arrivare attraverso il dialogo ad una soluzione. Certamente, l’obiettivo di capovolgere l’attuale presidente indicendo delle nuove elezioni lo vedo ancora improbabile.

     
    D. - Qual è la situazione della Chiesa nel Paese?

     
    R. - Sia la Chiesa cattolica che la comunità protestante si sono riunite in una federazione di Chiese cristiane e sono loro che ora stanno facendo da intermediari. Secondo la cultura e la tradizione malgascia, loro rappresentano le autorità "genitoriali" riconosciute a livello spirituale anche al di sopra della stessa autorità politica, per cui la gente guarda loro con estremo favore e ascolta quello che esse danno come indicazione: attualmente, non hanno appoggiato né l’uno né l’altro contendente ma hanno cercato semplicemente di favorire l’incontro.

     
    Localizzati i tre operatori di Msf rapiti in Darfur
    Il governo del Sudan annuncia di aver individuato con precisione il luogo dove si trovano i tre operatori umanitari di Medici senza frontiere (Msf) rapiti in Darfur mercoledì sera. Sembra sia stato stabilito un contatto e si stanno vagliando le richieste dei rapitori. Ma quali le notizie in possesso di Medici senza Frontiere? Adriana Masotti l’ha chiesto a Sergio Cecchini, responsabile comunicazione della sezione italiana dell’Organizzazione.
     
    R. - Le notizie che abbiamo per via indiretta è che le tre persone rapite sono in buone condizioni.

     
    D. – Ci può dire qualcosa sull’italiano, il medico Mauro D’Ascanio?

     
    R. - Si trovava in Darfur dal settembre 2008 nello stesso luogo dov’è stato rapito, a Serif Umra, dove era il responsabile del presidio ospedaliero che Medici senza frontiere aveva in quella zona per dare assistenza oltre a 55 mila sfollati dalla guerra. È un medico con specializzazione in medicina d’urgenza e medicina tropicale e prima di Medici senza frontiere aveva avuto modo di lavorare in Guinea Bissau, Brasile, Guatemala, con altre organizzazioni umanitarie.

     
    D. - Perché le organizzazioni non governative e Medici senza frontiere tra queste danno fastidio?

     
    R. - Perché abbiamo come unico obiettivo quello di assistere la popolazione vittima della guerra, senza schierarci contro il regime sudanese né contro alcuno dei gruppi ribelli attivi in zona. E, soprattutto, senza prestarci a una confusione che viene fatta a livello internazionale tra i bisogni umanitari di chi è vittima del conflitto e le agende della comunità internazionale rispetto al regime sudanese.

     
    D. - Adesso Medici senza frontiere ha deciso il ritiro di tutto il personale: una decisione, penso, anche sofferta…

     
    R. - Una decisione sofferta e dolorosissima per un’organizzazione che lavorava in Darfur dall’inizio della guerra, dalla fine del 2003, e che prestava assistenza medica a oltre 500 mila persone in Darfur. Al momento, manterremo una piccola unità che segua la vicenda del rapimento dei nostri tre operatori sanitari.

    Striscia di Gaza
    In un clima di cauto ottimismo, il premier israeliano, Ehud Olmert, condurrà oggi consultazioni con l'emissario che nei giorni scorsi ha condotto al Cairo, con la mediazione egiziana, trattative ad oltranza con Hamas per uno scambio di prigionieri. L'incontro fra Olmert e Dekel ha luogo mentre nei pressi dell’abitazione del premier, da una settimana, sono accampati sotto una tenda i genitori di Ghilad Shalit, il caporale tenuto in ostaggio da Hamas dal giugno 2006. La loro protesta ha avuto una vasta eco nella opinione pubblica locale. Il quotidiano Haaretz riferisce intanto, citando fonti palestinesi, che Israele e Hamas sono vicini a un’intesa sul numero e sull’importanza dei detenuti palestinesi che saranno rilasciati in cambio di Shalit. Intanto, si discute sulle cifre relative all’operazione "Piombo fuso". Sono stati 1.434 i morti palestinesi, tra i quali 960 civili e più in particolare 288 bambini o ragazzi, secondo quanto afferma il Centro palestinese per i diritti umani (Pchr-Gaza), ma Tshal, le forze armate israeliane, contestano i dati e per bocca di un portavoce militare, affermando che la ong ha taciuto in particolare “sull'uso mostruoso da parte di Hamas dei civili come scudi umani”.

    Iraq
    Una donna irachena è stata uccisa e altre sette persone, tra cui quattro poliziotti, sono state ferite stamani dall'esplosione di tre ordigni in tre zone diverse di Baghdad. Lo ha riferito l'agenzia irachena Nina citando fonti di polizia, secondo la quale un ordigno è esploso nel quartiere di al-Micanin, della zona meridionale di Dora, causando la morte di una donna e il ferimento di un'altra persona. Un altro ordigno, hanno aggiunto le stesse fonti, è esploso nel quartiere sudorientale Baghdad al-Jadida, al passaggio di una pattuglia di polizia, provocando il ferimento di quattro agenti e gravi danni ad una delle vetture della pattuglia. Il terzo ordigno, hanno precisato le fonti, è esploso nel quartiere occidentale di al-Khadraa, causando il ferimento di due civili e diversi danni materiali nei palazzi vicini.

    L’Iran favorevole a partecipare a colloqui sull’Afghanistan
    L'Iran è favorevole a colloqui bilaterali o multilaterali sull'Afghanistan, ma non ha ancora ricevuto un invito ufficiale alla conferenza Nato-Onu in programma il 31 marzo prossimo all'Aja. Lo ha detto il vicepresidente iraniano, Esfandiar Rahim Mashai, durante una conferenza stampa a Ottawa, dove si è recato per un incontro con la comunità iraniana residente in Canada. Ieri, l'edizione online in inglese dell'agenzia semi-ufficiale iraniana Fars aveva riferito, citando il portavoce del Ministero degli esteri, Hassan Qashqavi, che Teheran aveva accettato l'invito degli Stati Uniti a partecipare alla conferenza.
     
    Pakistan
    I missili sparati da un aereo senza pilota su alcune costruzioni appartenenti ad un campo di addestramento di movimenti talebani - nell'area di Kurram, alla frontiera con l'Afghanistan - hanno causato almeno 24 morti. L'area di Kurram è una delle sette regioni semi-autonome vicine alla complicatissima frontiera pakistana con l'Afghanistan, dove le forze statunitensi cercano di arginare l'attività dei talibani.

    Commissario Ue in visita a Lampedusa
    “Occorre capire come far sì che l'Europa possa rimanere rigida rispetto al problema dell'immigrazione irregolare e al contrasto dei traffici che ci sono dietro i viaggi verso il nostro continente e, allo stesso tempo, sia aperta e solidale nei confronti dei migranti”. Lo ha detto, al termine della visita al Cie di Lampedusa, durata oltre un'ora, il commissario Ue alla giustizia e alle libertà civili, Jacques Barrot. “I Paesi dell'Unione europea devono essere più solidali - ha aggiunto il commissario - ad esempio attraverso una politica dei visti più generosa”. “Non va trascurato, però - ha concluso - come ho cercato di spiegare ai migranti che ho incontrato che i nostri Paesi, in questo momento attraversano un periodo di crisi grave”. Attualmente, dopo gli sbarchi dei giorni scorsi, a Lampedusa ci sono 690 migranti. Venti, tra i quali una donna, si trovano nel Cpa, presso l'ex base navale Loran, mentre 670, tutti tunisini, sono ospiti del Cie in contrada Imbriacola.
     
    Svizzera: attenuato il segreto bancario
    La Svizzera allenta il segreto bancario. Il governo elvetico ha deciso di semplificare le condizioni per lo scambio di informazioni conformemente alle regole dell'Ocse. La Svizzera vuole rendere più agile questa procedura in caso di sospetti “concreti”, ha riferito l'agenzia di stampa svizzera Ats.

    Obama pronuncerà un discorso all’Assemblea Nazionale turca
    Il presidente Usa, Barack Obama, pronuncerà un discorso davanti ai membri dell'Assemblea nazionale, il parlamento turco, nel corso della sua prima visita in Turchia, in programma il 6 ed il 7 aprile. Il giornale sottolineando, inoltre, che l'invito rivolto ad Obama a parlare all'Assemblea nazionale è un segno di riconoscenza da parte del governo di Ankara per la decisione del capo della Casa Bianca di venire in Turchia. Obama sarà il secondo presidente Usa, dopo Bill Clinton, a fare un discorso al parlamento turco.

    Tibet
    La Cina è disposta a riprendere i colloqui con gli inviati del Dalai Lama, il leader tibetano che vive in esilio in India, se questi “rinuncerà a perseguire l'indipendenza” del Tibet. Lo ha affermato oggi il primo ministro cinese, Wen Jiabao. Parlando ai giornalisti nella Sala dell'Assemblea del popolo, il premier ha accusato “alcuni Paesi occidentali” di “sfruttare” il Dalai Lama per i suoi fini. “Con il Dalai Lama - ha sostenuto Wen - bisogna guardare a quello che dice, ma anche a quello che fa. La chiave è la sincerita”'. Il leader tibetano chiede per il territorio quella che definisce una “genuina autonomia” ma Pechino ritiene che in realtà il suo progetto sia quello di staccare il Tibet dalla Cina. Secondo Wen “i fatti” - tra i quali ha citato la crescita dell'economia e la “libertà religiosa” di cui godono i tibetani - hanno dimostrato che “la politica seguita dalla Cina in Tibet è giusta”. Il Dalai Lama, in un discorso tenuto a Dharamsala in India, ha accusato Pechino di aver creato nel Tibet un “inferno in terra”, nel quale hanno perso la vita “centinaia di migliaia di tibetani”. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 72

     
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