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Sommario del 19/05/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Domenica prossima la visita del Papa a Montecassino: il legame speciale tra Benedetto XVI e San Benedetto
  • I temi dell'udienza del Papa al presidente polacco Kaczyński
  • Sul web dal 21 maggio "Pope2you", il nuovo portale vaticano dedicato alla "generazione digitale". Ne parla mons. Claudio Maria Celli
  • Mons. Vegliò: nella Chiesa nessuno è straniero, i migranti meritano rispetto e gratitudine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Sri Lanka: il presidente parla di riunificazione e chiede aiuti per gli sfollati
  • Il cardinale Toppo dopo le legislative in India: è prevalso il buon senso, adesso chiediamo sicurezza per le minoranze
  • "Adottare" un restauro delle opere danneggiate dal sisma in Abruzzo: successo dell'iniziativa vaticana, rilanciata dal prof. Buranelli
  • Chiesa e Società

  • Pakistan: l'impegno della Chiesa per i due milioni di sfollati dallo Swat
  • Gli aiuti della Chiesa italiana per le popolazioni dello Sri Lanka
  • Somalia: Medici Senza Frontiere chiede di il rispetto della tregua
  • Gaza: Caritas Gerusalemme finanzia protesi per le vittime della guerra
  • Kenya: appello dell’arcivescovo di Mombasa ai leader della nazione
  • RD del Congo: 144 milioni di dollari devoluti dalla Chiesa per le vittime dell’Aids
  • Oltre 11 milioni i profughi in Africa centrale e orientale
  • Fao: in Africa “investimento nel settore agricolo, unica via contro la fame”
  • Nell'Africa orientale cresce il traffico di esseri umani
  • Avviata la costruzione di una cappella nel carcere di Umuahia in Nigeria
  • Burundi: conclusa l’inchiesta sulla morte del nunzio, mons. Courtney, ucciso nel 2003
  • Messaggio dei vescovi italiani per la Giornata per la salvaguardia del creato
  • Il Premio Carlo Magno 2009 ad Andrea Riccardi e alla Comunità di Sant’Egidio
  • Argentina: 24.mo Incontro delle Diocesi di Frontiera sul tema della faternità e della sicurezza
  • Cina: sostegno dei vescovi per la celebrazione della Messa nelle zone industriali
  • Non abbassare la guardia contro la nuova influenza A: il monito dell’OMS
  • Bill Clinton sarà nominato dall’ONU inviato speciale per Haiti
  • A Leopoli, in Ucraina, seminario sull'ecumenismo
  • Germania: permesso di soggiorno ai "tollerati"
  • Irlanda: dichiarazione dei vescovi per la Giornata di commemorazione della carestia
  • Il 51.mo Pellegrinaggio a Lourdes dei militari italiani, "uomini di pace"
  • Il Festival di Cannes giunto al giro di boa
  • 24 Ore nel Mondo

  • Divergenze tra Obama e Netanyahu sulla strategia per la pace in Medio Oriente
  • Il Papa e la Santa Sede



    Domenica prossima la visita del Papa a Montecassino: il legame speciale tra Benedetto XVI e San Benedetto

    ◊   La Chiesa di Montecassino attende con trepidazione la visita pastorale di Benedetto XVI, domenica prossima. Uno dei momenti forti del viaggio sarà la celebrazione dei Vespri nell’Abbazia benedettina con gli abati e le badesse di tutto il mondo. Un momento per sottolineare quanto il Papa sia legato alla figura di San Benedetto da Norcia. In questo servizio di Alessandro Gisotti, ripercorriamo alcune riflessioni offerte da Benedetto XVI sul Patrono d’Europa, padre del monachesimo occidentale:

    (Canti gregoriani)
     
    San Benedetto non è solo nel nome del Papa. E’ innanzitutto nel suo cuore. Pochi giorni prima di essere eletto alla Cattedra di Pietro, il primo aprile 2005, Joseph Ratzinger è al Monastero di Santa Scolastica a Subiaco dove pronuncia un discorso memorabile sul valore permanente della fede cristiana di fronte ai limiti dell’attuale cultura razionalista. “Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia - è la sua esortazione - il quale in un tempo di dissipazione e decadenza” riuscì “a fondare a Montecassino la città sul monte” e a mettere “insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo”. “Abbiamo bisogno - afferma ancora l'allora porporato - di uomini”, che come San Benedetto, “tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità”.

     
    Tre settimane dopo, il 27 aprile, in piazza San Pietro, il nuovo Pontefice tiene la sua prima udienza generale e si sofferma sulla scelta del nome Benedetto, sottolineando quanto il Patriarca del monachesimo occidentale sia venerato nella sua terra natale, la Baviera:
     
    “San Benedetto (…) costituisce un fondamentale punto di riferimento per l’unità dell’Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà”.

     
    Il Papa rammenta la raccomandazione lasciata da Benedetto ai monaci nella sua Regola: “Nulla assolutamente antepongano a Cristo”. Un monito che il Pontefice fa suo all’inizio del ministero petrino:

     
    “All’inizio del mio servizio come Successore di Pietro chiedo a San Benedetto di aiutarci a tenere ferma la centralità di Cristo nella nostra esistenza. Egli sia sempre al primo posto nei nostri pensieri e in ogni nostra attività!”

     
    Del modello benedettino, della sua attualità, il Papa parla al mondo della cultura al Collège des Bernardins di Parigi, nel settembre 2008. Le radici della cultura europea, ribadisce, affondano nel terreno fertile del monachesimo occidentale. I monaci, rileva, cercando Dio fondarono una nuova civiltà. Un’esperienza che va riscoperta:

     
    Quaerere Deum, chercher Dieu et se laisser trouver par Lui..."
    Quaerere Deum, cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo - è la riflessione del Papa - oggi non è meno necessario che in tempi passati”. E mette in guardia da una cultura “meramente positivistica” che rimuova la domanda circa Dio. Sarebbe, avverte, “un tracollo dell’umanesimo”. “Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo - ribadisce - rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”. E il 20 settembre 2008, ricevendo agli abati benedettini di tutto il mondo, li esorta ad annunciare senza compromessi il primato di Dio, specie in un mondo sempre più desacralizzato:

     
    “Nei vostri monasteri, voi per primi rinnovate e approfondite quotidianamente l’incontro con la persona del Cristo, che avete sempre con voi come ospite, amico e compagno. Per questo i vostri conventi sono luoghi dove uomini e donne, anche nella nostra epoca, accorrono per cercare Dio e imparare a riconoscere i segni della presenza di Cristo, della sua carità, della sua misericordia”.
     
    A San Benedetto, “astro luminoso”, come lo definì San Gregorio Magno, il Papa dedica la catechesi dell’udienza generale del 9 aprile dell’anno scorso. E mette l’accento sul significato della costruzione dell’abbazia di Montecassino:
     
    “Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. (…) questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. (…) la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita”.
     
    Il Papa esorta dunque l’Europa smarrita, alla ricerca della propria identità, a guardare a San Benedetto e ai suoi insegnamenti:

     
    “Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa (...) Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero”.

     
    (Canti gregoriani)

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    I temi dell'udienza del Papa al presidente polacco Kaczyński

    ◊   La realtà della Polonia e i rapporti che la Repubblica est europea mantiene con la Santa Sede hanno occupato il colloquio che ieri pomeriggio Benedetto XVI ha avuto con il presidente della Repubblica polacca, Lech Aleksander Kaczyński. Durante l’udienza svoltasi in Vaticano, informa la nota ufficiale, il presidente “ha voluto manifestare gratitudine al Santo Padre per l’attenzione sempre riservata alla Polonia”. Inoltre, prosegue il comunicato, “sono state affrontate alcune questioni bilaterali e regionali, rilevando altresì l’affinità di posizioni tra la Santa Sede e la Polonia in vari ambiti internazionali”. Il presidente polacco ha incontrato anche il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che era accompagnato dall’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati.

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    Sul web dal 21 maggio "Pope2you", il nuovo portale vaticano dedicato alla "generazione digitale". Ne parla mons. Claudio Maria Celli

    ◊   Si chiama "Pope2you" la nuova finestra sul web dedicata ai giovani e curata dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Il micro-portale verrà inaugurato dopodomani ed è stato preparato in vista della 43.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali di domenica prossima. Gli obiettivi di questa iniziativa sono stati spiegati ai giornalisti dal presidente del dicastero pontificio, l'arcivescovo Claudio Maria Celli. La collega Philippa Hitchen ha raccolto le sue parole:
     
    “E’ un sito che abbiamo preparato in occasione della 43.ma Giornata mondiale delle comunicazioni, che sarà celebrata il 24 maggio. Volevamo che fosse un sito rivolto ai giovani e lo vedete subito dalla grafica iniziale: il Papa, i giovani. Credo che questo sia un primo tentativo valido di un sito che si rivolge ai giovani e cerca di avere con i giovani un dialogo ricco, gradevole, aperto, cordiale. E questo perché il tema quest’anno della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali è proprio “Nuove tecnologie, nuove relazioni” e il Papa ci invita a promuovere una cultura di dialogo, di rispetto, di amicizia. Quindi, abbiamo desiderato che in questo sito ci fosse tutto questo e volevamo che fosse un sito capace di dialogare, capace di essere propositivo e, quindi, vicino alla cultura giovanile di questa "generazione digitale", così come il Santo Padre la chiama. Il sito si muove in cinque lingue, si rivolge a giovani di lingua italiana, inglese, spagnola, francese e tedesca. La prima parte, quella che per noi di profondo significato, è la presentazione del messaggio. Dal prossimo giovedì mattina, il sito sarà accessibile a tutti. Dopo questa breve presentazione, c’è il testo del messaggio. Il sito è frutto di una grande cooperazione con l’Ufficio delle Comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana, il Centro televisivo vaticano, la Radio Vaticana, H2O News, e con coloro che tecnicamente lo hanno realizzato”. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Mons. Vegliò: nella Chiesa nessuno è straniero, i migranti meritano rispetto e gratitudine

    ◊   “Dio non fa preferenze verso alcuno, a qualunque nazione appartenga”: è quanto sottolineato dall’arcivescovo Antonio Maria Vegliò nella Messa in San Giovanni in Laterano per la Festa dei Popoli, celebrata domenica scorsa. Un rito caratterizzato dalla ricchezza di musiche e canti nelle diverse lingue dei fedeli migranti che si sono raccolti nella Basilica lateranense. Il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti ha esortato tutti, dai cittadini alle autorità civili, a guardare con occhi diversi gli immigrati. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    “Nella Chiesa di Dio nessuno è straniero”: mons. Vegliò ha preso spunto dal celebre slogan di Giovanni Paolo II per ribadire che l’amore di Cristo raggiunge il cuore di ogni uomo. Il presule ha sottolineato che la varietà delle lingue dei migranti è segno di cattolicità, di quella “stupenda ricchezza” che caratterizza la Chiesa che è in Roma. Si è soffermato, dunque, sul tema della Festa dei popoli - “Roma con altri occhi” - e ha assicurato il suo impegno affinché le parrocchie, i responsabili della politica e dell’informazione, di tutta la cittadinanza guardino con occhi nuovi ai migranti. “Meritate rispetto, ammirazione” e “gratitudine”, è stato il richiamo di mons. Vegliò, che ha soggiunto: “La vostra presenza è preziosa e indispensabile in questa città”.

     
    D’altro canto, è stato ancora il suo auspicio, spero che i migranti guardino con occhi diversi Roma, rendendosi conto della tanta gente che gli vuole bene e che si impegna affinché si sentano “cittadini fra cittadini, fratelli tra tanti fratelli”. Il capo dicastero vaticano ha esortato gli italiani ad estendere il loro amore, “fatto non solo di parole” verso i migranti che vengono da lontano fino a scorgere in loro il volto stesso di Cristo. Infine, la speranza che “il meraviglioso pluralismo introdotto” dai migranti “sia accolto da tutti” come una grande risorsa e che porti ad una convivenza pacifica e benefica”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Due Stati, una sola pace: in prima pagina, Luca M. Possati sull’incontro tra Obama e Netanyahu

    Da Shylock al “Mein Kampf”: in cultura, Gaetano Vallini recensisce “La biblioteca di Hitler” di Timothy Ryback

    Un articolo di Inos Biffi dal titolo “Dicevano che fosse troppo liberale”: nella primavera del 1879 Leone XIII creò cardinale John Henry Newman

    La malinconica privacy di Mussolini: Luca Pellegrini sul film “Vincere” di Marco Bellocchio in concorso a Cannes

    Un intellettuale al servizio della diplomazia: la prefazione al volume, a cura di Nino Del Bianco, “Tommaso Gallarati Scotti. Memorie riservate di un Ambasciatore (1943/1951)”, che offre un’accurata ricostruzione della politica estera italiana nel secondo dopoguerra

    L’Anno sacerdotale un tempo di rinnovamento interiore: nell’informazione religiosa, un articolo sulla lettera inviata dalla Congregazione per il clero a tutti i vescovi del mondo.

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    Oggi in Primo Piano



    Sri Lanka: il presidente parla di riunificazione e chiede aiuti per gli sfollati

    ◊   Un Paese “liberato dal terrorismo”. Con queste parole il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapaksa, si è rivolto oggi al parlamento nazionale. Nel suo discorso, il capo dello Stato cingalese ha parlato della sconfitta inflitta dall’esercito ai separatisti Tamil, affermando che il Paese è stato “interamente unificato per la prima volta in 30 anni”. Mentre il capo dello Stato pronunciava il suo intervento, l'agenzia Tamilnet pubblicava dichiarazioni che smentivano la morte del leader storico tamil, Velupillai Prabhakaran. Pronta la replica del generale Sarath Fonseka, che ha invece ribadito che il corpo del leader separatista è nelle mani dell’esercito. Sul difficile scenario politico del dopo-conflitto, la collega della redazione inglese della nosta emittente, Emer McCarthy ha intervistato l’arcivescovo di Colombo, Oswald Gomis:

    R. – What we are doing now...
    Quello che adesso stiamo facendo è risolvere politicamente il problema. Infatti, il presidente stesso, nel discorso di questa mattina, ha detto che non c’è una minoranza o una maggioranza in Sri Lanka. Siamo tutti una sola nazione e ci sono solo due tipi differenti di persone in Sri Lanka: quelli che amano il Paese e quelli che non lo amano. Le altre differenze non contano. Quindi, è stata una grande dichiarazione. La seconda cosa è che troveremo una nostra soluzione politica, che darà a tutti uguali diritti nel Paese. Questa mattina ero in parlamento con altre persone e questo è ciò che è stato detto oggi nel discorso alla nazione.

     
    D. – Dopo aver cercato di promuovere l’unità nazionale, la riconciliazione e la pace per i tamil e per la popolazione cingalese, quale ruolo particolare la Chiesa cattolica deve giocare adesso in Sri Lanka? Cosa potete dare alla nazione, che forse nessun altro può dare?

     
    R. – Immediately, we are sending...
    Stiamo inviando subito soccorso a queste persone, beni di prima necessità, cibo e riparo. E stiamo collaborando con il governo perchè mandi parte di queste cose. Poi dovremo lavorare ad un processo di riconciliazione. Già alcune suore e altri volontari sono là per occuparsi dei malati, dei feriti, di coloro che non hanno una casa, che stanno soffrendo. Dobbiamo continuare in questo impegno, perché abbiamo detto al presidente che offriremo il nostro servizio in questo senso.

     
    D. - I media hanno parlato di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini vittime della guerra, che ora devono affrontare il problema di non avere una casa, un posto dove andare. Può descriverci la situazione?

     
    R. – They have been shifted…
    Sono stati spostati in differenti campi e molti Paesi stranieri hanno offerto tende e così via. Certo, non abbiamo il comfort assoluto, ma gli sfollati verranno presto sistemati e il prima possibile dovrebbero tornare alle loro case.

     
    D. – Un obiettivo molto importante questo...

     
    R. – Very much, because...
    Molto. Io ho incontrato di persona il presidente e l’ho pregato di occuparsi di queste persone, perché possano tornare nei loro territori e ricominciare il loro lavoro. Specialmente gli agricoltori, i coltivatori, sarebbero felici se potessero ritornare.

     
    Al di là delle questioni politiche, a destare grande preoccupazione in Sri Lanka sono le condizioni al limite della vivibilità delle migliaia di civili, rimasti intrappolati per settimane nella morsa dei combattimenti. Nel suo discorso al parlamento, il presidente Rajapaksa ha chiesto alla comunità internazionale aiuti per i rifugiati e investimenti per aiutare lo sviluppo della regione settentrionale del Paese. Ecco la testimonianza in merito di Paolo Beccegato, responsabile dell'area internazionale della caritas italiana, al microfono di Federico Piana:

    R. - Si parla di almeno 300 mila persone sfollate, interne, delle ultime settimane, con mille problemi. In particolare, il problema degli anziani e quello delle donne, soprattutto delle donne incinte. Ma anche il problema della malnutrizione - pare che colpisca almeno una persona su quattro - e il problema dell’igiene personale. Per cui sono moltissime le questioni: ci sono delle zone ad altissima concentrazione di sfollati in questo momento, in particolare la zona di Vavuniya, Mullaitivu, le zone storiche. Molti si stanno spostando nell’est, a Trincomalee: vengono forniti, in particolare, generi alimentari e sanitari, ma certamente ciò non è sufficiente anche perché il numero degli sfollati continua ad aumentare. Basti pensare agli ultimi settemila morti delle ultime settimane, 16.700 feriti gravi e i 50 mila delle ultime ore che pare siano gli sfollati degli ultimi combattimenti. E' un quadro veramente tra i peggiori, in questo momento, a livello internazionale.

     
    D. - Beccegato, dobbiamo dire che il governo di Colombo ha praticamente negato alle istituzioni umanitarie di entrare e vedere la situazione. Adesso, cosa farà secondo lei?

     
    R. - Noi abbiamo avuto delle limitazioni sicuramente a livello di logistica, quindi di spostamenti di operatori, anche se alcuni hanno sempre lavorato anche nelle zone controllate dalle Tigri Tamil. Però le forniture di generi di prima necessità hanno avuto dei grossi problemi. Poi, soprattutto, è cambiato il quadro delle presenze degli sfollati - e queste ultime settimane sono state veramente terribili - i quali hanno affollato dei campi dove prima non c’era nessuno. Quindi, sicuramente, l’auspicio fatto il Papa che queste operazioni belliche abbiano termine quanto prima, e si permetta di dare accesso alle zone colpite a tutte le organizzazioni umanitarie, va sottoscritto perché in caso contrario si rischia anche la morte per fame di molte persone.

     
    D. - La comunità internazionale cosa può fare e cosa deve fare?

     
    R. - Bisogna lavorare su due fronti: certamente sul fronte umanitario, perché appunto i generi di prima necessità non sono sufficienti. E poi a livello carattere politico cioè il diritto di guerra: il diritto umanitario prevede che ci siano corridoi umanitari per tutelare i diritti dei civili. In più, per un processo di pace, bisogna sempre considerare l’importanza anche di una rappacificazione dal basso. Io ho visitato dei campi a Trincomalee, qualche anno fa, e certamente la gente era arrabbiata, quindi c’era una sorta di consenso al conflitto. Se non si rimuovono i focolai - che poi alimentano il conflitto, come ci ha insegnato la storia - la ciclicità di queste ondate di violenza organizzata rischia di ripetersi.

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    Il cardinale Toppo dopo le legislative in India: è prevalso il buon senso, adesso chiediamo sicurezza per le minoranze

    ◊   In India, le consultazioni, cominciate il 16 aprile e terminate il 13 maggio, sono state segnate da una netta vittoria della coalizione guidata dal partito del Congresso di Sonia Gandhi. I nazionalsiti hindu dello schieramento Bharatiya Janata (Bjp) hanno invece riconosciuto la sconfitta. Il risultato può avere rilevanti riflessi su temi importanti, come quelli della tutela delle minoraze e della libertà religiosa. Sulle elezioni in India si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco, l’arcivescovo di Ranchi, il cardinale Telesforo Placidus Toppo:

    R. - Io ho sempre pensato che il popolo indiano avesse un grande senso di democrazia. Votano veramente come pensano. Dobbiamo avere fiducia nel popolo indiano perché è la più grande democrazia del mondo e funziona. Ci sono persone ricche e persone povere, istruite e non istruite, ma la democrazia funziona. Anche questa volta il buon senso prevale.

     
    D. - Per quanto riguarda il Partito del congresso, si tratta di una vittoria non prevista in queste proporzioni...

     
    R. - Sì, il Partito del congresso, prima dell'esito elettorale, riteneva che in parlamento non avrebbe riportato una vittoria così netta. L’affermazione poi è stata schiacciante. Il Partito del congresso non ha bisogno di altre formazioni per comporre questo governo. La loro alleanza è in grado di formare il governo.

     
    D. - Per quanto riguarda il futuro, oltre a tutelare i poveri e le minoranze, un’altra sfida sarà quella di difendere la libertà religiosa...

     
    R. - Sì, perché questo è importante per noi. Sulla situazione in Orissa il primo ministro indiano, Manmohan Singh, aveva detto: le violenze compiute in Orissa lo scorso anno da gruppi di fondamentalisti sono una vergogna nazionale.

     
    D. - Eminenza, a proposito delle violenze scoppiate in Orissa la scorsa estate, qual è adesso la situazione dei cristiani fuggiti da quelle terre?

     
    R. - Non è ancora molto soddisfacente. C'è da segnalare comunque che anche il primo ministro dell'Orissa, Naveen Patnaik, ha lasciato il Partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp). Questo è un buon segno: la situazione sta gradualmente migliorando e adesso vediamo cosa riuscirà a fare questo governo.

     
    D. - Cosa chiede in particolare la Chiesa al futuro governo?

     
    R. - La Chiesa chiede sicurezza per le minoranze. I cristiani devono tornare nelle loro case e se non ritornano in Orissa il problema rimane.

     
    D. - Un altro aspetto da mettere in evidenza è quello dei Dalit, i cosiddetti “fuori casta”…

     
    R. - E’ questo un tema sul quale si registrano importanti passi in avanti: politicamente i Dalit stanno emergendo. Molti ministri e anche membri del parlamento sono Dalit.

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    "Adottare" un restauro delle opere danneggiate dal sisma in Abruzzo: successo dell'iniziativa vaticana, rilanciata dal prof. Buranelli

    ◊   A Coppito, in provincia dell'Aquila, c'è grande attesa per l'incontro previsto nel pomeriggio tra il primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, ed il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso. Ad oltre un mese dal terremoto in Abruzzo, prosegue intanto l'impegno della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa che ha proposto di adottare il restauro di opere danneggiate dal sisma da parte di laboratori pubblici e privati. Per aderire a questa iniziativa si può scrivere all'indirizzo e-mail beniculturali@beniculturali.va L'appello è diretto a sensibilizzare l'opinione pubblica per salvaguardare il patrimonio delle opere mobili. E' quanto spiega, al microfono di Luca Collodi, il segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, prof. Francesco Buranelli:

    R. – Il primo pensiero è andato sicuramente alle persone e alle famiglie che hanno vissuto e stanno vivendo in prima persona questo tragico dramma. Bisogna riconoscere che le strutture statali si sono mosse subito e con immediatezza. Noi, dal nostro osservatorio e con le nostre competenze, ci siamo subito sentiti parte in causa per affiancarci allo sforzo generale che tutta la nazione sta compiendo e miratamente verso i beni culturali. Ci siamo subito connessi con il Ministero dei Beni culturali e con l’arcidiocesi dell’Aquila e abbiamo lanciato un appello diretto a sensibilizzare l’opinione pubblica e soprattutto gli addetti alla tutela, restauratori, laboratori di restauro, per salvaguardare quello che è il patrimonio mobile. Tutta la grandissima competenza italiana nel settore ha permesso a noi di svolgere un ruolo di coordinamento tra quelle che sono le disponibilità e le professionalità sul territorio e quelle che sono le emergenze nella diocesi e nella città dell’Aquila.

     
    D. - Professor Buranelli, vogliamo ricordare l’appello da voi lanciato all’indomani del terremoto, proprio per salvare i beni culturali dell’Aquila e dintorni?

     
    R. - Il nostro appello è stato molto semplice, quello di adottare un’opera o più opere mobili da restaurare con la clausola "da chiodo a chiodo": vale a dire che il restauratore, il laboratorio di restauro lo preleva all’Aquila o nel suo territorio, lo restaura e lo riconsegna immediatamente al luogo e alla proprietà d’origine. L’occasione che mi viene offerta è di rilanciare nuovamente questo appello, nonostante già un’adesione che ha superato ogni preliminare aspettativa, sia sul territorio nazionale italiano, sia con adesioni dall’estero, dalla Francia, dalla Spagna... Addirittura, un restauratore dalla Turchia si è fatto avanti proprio per condividere con gli abruzzesi e tutti gli italiani che sono stati coinvolti in questo dramma la necessità di recuperare quelle che sono le radici culturali della nazione e di ogni città. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Chiesa e Società



    Pakistan: l'impegno della Chiesa per i due milioni di sfollati dallo Swat

    ◊   Continua senza sosta l’emorragia dei profughi pakistani che fuggono dalla valle di Swat per trovare riparo e per non restare vittima dei combattimenti fra esercito regolare e miliziani talebani che infuriano nella regione. La Chiesa, la Caritas e altre organizzazioni e associazioni cattoliche si sono mobilitate per l’assistenza, sia nei territori adiacenti al distretto di Swat, sia nelle città di Islamabad e Rawalpindi, dove i profughi continuano ad arrivare: sono in cerca di un luogo sicuro dove accamparsi, in attesa di poter tornare nello loro case, una volta finiti i combattimenti che, secondo il capo delle Forze Armate pakistane, potrebbero protrarsi per almeno tre mesi. “La situazione è ancora molto confusa ed è concretamente difficile riuscire ad organizzare aiuti per questa grande massa di persone in estrema difficoltà”, afferma una fonte di Fides nella Chiesa locale, che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza. “Occorre stare molto attenti: non si tratta solo di una tragedia umanitaria: siamo in mezzo ad un conflitto che può degenerare in qualsiasi momento”, aggiunge con preoccupazione. La tensione è palpabile: sono in gioco gruppi fondamentalisti con le loro istanze, profughi ridotti allo stremo delle forze e sull’orlo della disperazione, la gente delle città che si sente all’improvviso “invasa da un’ondata di gente in condizioni di estrema miseria”, la polizia che, per mantenere l’ordine pubblico, sta trasferendo i profughi in nuovi siti. Tutto ciò costituisce una situazione potenzialmente esplosiva, “per questo è fondamentale muoversi con estrema prudenza”, nota la fonte di Fides. Ma gli aiuti di emergenza scarseggiano e nella capitale Islamabad non sono state approntate misure di accoglienza di alcun tipo: l’impegno della Chiesa cerca, allora, anche di colmare il vuoto delle istituzioni pubbliche. Intanto i civili in fuga dagli scontri nel Nordovest del Pakistan sono oltre due milioni, di cui 1,4 milioni dal 2 maggio scorso: lo ha annunciato a Ginevra l'Alto Commissari dell'Onu per i rifugiati (Acnur) Antonio Guterres, reduce da una missione sul posto. Secondo l’Acnur, si tratta di una delle crisi più drammatiche dei tempi recenti. “Da lungo tempo non assistevamo a un simile esodo. Bisogna risalire al 1994 in Ruanda. Si tratta di un numero enorme di persone”, ha detto Ron Redmond, portavoce dell'agenzia Onu. “Lasciare la popolazione senza aiuti potrebbe costituire un enorme fattore destabilizzante”, ha avvertito Guterres. (R.P.)

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    Gli aiuti della Chiesa italiana per le popolazioni dello Sri Lanka

    ◊   La Chiesa italiana esprime in un comunicato della Presidenza della Conferenza episcopale italiana ripreso dall'agenzia Sir, “la propria vicinanza alle popolazioni vittime del conflitto etnico-bellico nei territori dello Sri Lanka”. La Cei “invita le comunità ecclesiali a pregare per le vittime e a sostenere le iniziativa di solidarietà promosse dalla Caritas italiana con l’obiettivo di alleviare le sofferenze di quelle popolazioni”. Nel comunicato, la Presidenza della Cei fa sapere di aver stanziato un milione di euro dai fondi derivanti dall’otto per mille “per far fronte alle prime emergenze e ai bisogni essenziali delle persone colpite dal conflitto”. Ed aggiunge: “L’apposito Comitato per gli interventi caritativi nei Paesi in via di sviluppo provvederà all’erogazione della somma stanziata, accogliendo le richieste che gli stanno pervenendo o gli perverranno, direttamente sostenendo progetti di enti ecclesiali locali, come le Caritas, che operano in collegamento con le istituzioni caritative della Conferenza episcopale o delle diocesi del luogo”. (R.P.)

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    Somalia: Medici Senza Frontiere chiede di il rispetto della tregua

    ◊   Rispettare le strutture sanitarie e l'indipendenza dell'azione umanitaria in Somalia: a chiederlo alle parti in conflitto è l’organizzazione Medici senza frontiere, costretta a chiudere una clinica nella zona nord di Mogadiscio dopo la nuova ondata di scontri che da giorni infuria nella capitale e che ha causato numerosi feriti e spinto migliaia di civili a fuggire verso zone più sicure. Nell’ultima settimana il team medico di Msf - riferisce l'agenzia Sir - ha curato 112 feriti da arma da fuoco nell’ospedale a Daynile, nella periferia di Mogadiscio. Tra questi oltre un terzo erano donne e bambini sotto i 14 anni. “Vista la scarsità di centri di salute accessibili, è fondamentale che le persone possano accedere a quelle ancora funzionanti” dichiara Alfonso Laguna, capo Missione Msf in Somalia, assicurando che “appena verranno ristabilite le condizioni di sicurezza minime per il personale”, Msf riaprirà il centro di salute chiuso. In Somalia dal 1991, lo staff medico di Msf ha svolto nel 2008 più di 800mila visite ed eseguito oltre 2.700 interventi chirurgici. Nel Sud del Paese Msf si occupa di assistenza primaria e malnutrizione, e distribuisce acqua (15 milioni di litri all’anno) e generi di prima necessità. Di qui l’appello ai contendenti per “continuare ad assistere i feriti e i malati a prescindere dal loro credo politico, religioso o militare”. (R.P.)

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    Gaza: Caritas Gerusalemme finanzia protesi per le vittime della guerra

    ◊   Caritas Gerusalemme, con l'aiuto dell'Artificial Limbs & Polio Centre – un centro pionieristico per le protesi – fornirà protesi a quanti sono rimasti vittime dei conflitti armati. In particolare, coloro che hanno perso uno o più arti. Cento le vittime che riceveranno inizialmente aiuto. Nella maggior parte dei casi, queste persone dovranno attendere finché le loro ferite saranno guarite, e solo in seguito potranno ricevere le protesi. Diverse le testimonianze di chi si trova in lista di attesa per ricevere l’impianto. Alì, ad esempio, riceverà a breve una nuova protesi. Ha 36 anni e la gamba destra amputata dal primo giorno della guerra scoppiata a Gaza. In precedenza, gli era stato già amputato un braccio, perso a causa di un missile nel 2007. L'aspetto più straordinario della storia di quest'uomo è dato dalla sua tolleranza e dal suo buonumore, - riferisce l’agenzia Zenit- che fanno sì che voglia vivere e cercare di condurre una vita normale. E' padre di 8 figli ed è pronto a tornare al lavoro per sostenere la sua famiglia. “Le mie ferite hanno rallentato il mio corpo, ma non hanno intaccato il mio spirito – ha raccontato Alì – anche se perdo tutti i miei arti, continuerò a lavorare e cercherò di vivere al massimo la mia vita”. Hazem Al Shawa, manager dell'Artificial Limb & Polio Centre, ha assicurato che quello di Ali “è uno dei casi più rari che abbia mai visto” “Penso – ha continuato il manager - che camminerà da subito e normalmente con l'arto artificiale”. “Ali è pronto a tornare a lavoro, anche su una sedia a rotelle. Vuole continuare a sfamare la sua famiglia”, ha aggiunto Mervat Naber, che guida il Dipartimento Sociale di Caritas Gerusalemme. “E' riuscito a superare il trauma – conclude Naber - e cerca di condurre una vita normale”. Quando, nel gennaio scorso, è terminata l'Operazione Piombo Fuso, lanciata da Israele contro Gaza, migliaia di famiglie erano rimaste senza cibo nè acqua potabile, alloggio o accesso alle cure sanitarie. Per fare fronte a questa grave crisi, la Caritas Gerusalemme ha lanciato un appello d'emergenza per raccogliere 1,5 milioni di euro, ricevendone alla fine 1,4 milioni. Il 48,1% del progetto è già stato avviato per aiutare la popolazione locale. (A.V.)

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    Kenya: appello dell’arcivescovo di Mombasa ai leader della nazione

    ◊   “Solo attraverso il rispetto degli altri e l'uso corretto del dialogo questo governo può andare avanti per affrontare i temi che incidono sulla vita dei keniani afferma mons. Boniface Lele, arcivescovo di Mombasa, in Kenya, in un messaggio inviato all’agenzia Fides. Nelle ultime settimane, infatti, le tensioni che covavano da tempo nella coalizione governativa sono diventate ancora più accese, creando forti preoccupazioni tra i cittadini. Il governo di unione nazionale è frutto dell'accordo che ha messo fine ai gravissimi scontri dello scorso anno tra i sostenitori del Presidente Kibaki e quelli del Primo ministro Odinga, che si contendevano la Presidenza. “La Chiesa, come coscienza della società, ha il dovere di riappacificare le persone per favorire la costruzione della nazione e la coesistenza pacifica” afferma l’arcivescovo di Mombasa. “In questo momento il nostro Paese è segnato da grandi sfide, originate dai nostri leader, che riguardano direttamente i keniani. Vi sono indagini in corso su scandali che coinvolgono il granturco e il combustibile, vi sono gravi casi di impunità, di corruzione, oltre agli sfollati interni che vivono ancora nei campi, oltre al contenzioso dell’isola Migingo”. L’isola Migingo sul Lago Vittoria è contesa da Kenya e Uganda, soprattutto per le potenziali riserve di idrocarburi che si suppone siano celate nel suo sottosuolo e nel fondale adiacente. “I keniani sono affamati, arrabbiati e stanchi dei litigi meschini dei ministri. I keniani sono costretti ad affrontare la fame, la siccità, le inondazioni, la disoccupazione, le malattie, oltre ad altri problemi, e i nostri leader hanno il dovere di migliorare la vita dei loro cittadini” sottolinea mons. Lele. “Come Chiesa, vi invitiamo a ripristinare la ragionevolezza nel nostro governo che altrimenti rischia di cadere rapidamente. Prendete il tempo di trovare una soluzione duratura per questa travagliata coalizione. Mettete da parte il vostro interesse personale per concentrarvi sul destino della nazione”, conclude l’arcivescovo di Mombasa. (R.P.)

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    RD del Congo: 144 milioni di dollari devoluti dalla Chiesa per le vittime dell’Aids

    ◊   La Chiesa cattolica della Repubblica Democratica del Congo destinerà più di 144 milioni di dollari per aiutare le vittime dell'Aids e a combattere la diffusione dell'Hiv. Lo prevede il programma triennale (2009-2011) per la lotta all'Aids, presentato di recente in una tavola rotonda convocata dalla Conferenza episcopale del Congo attraverso Caritas Congo per promuovere una raccolta fondi per il progetto. Secondo quanto ha reso noto l'agenzia Fides, le 47 Diocesi congolesi hanno partecipato all'elaborazione del programma, con cui la Chiesa vuole unirsi agli sforzi del governo e di altri organismi per combattere la diffusione del virus. Il presidente della Commissione episcopale Caritas Développement, mons. Javier Kataka, vescovo di Wamba, ha sottolineato che del programma beneficerà milioni di congolesi. Il Ministro della Salute del Congo, Auguste Mopipi, ha ringraziato per gli sforzi della Conferenza episcopale per la lotta contro la malattia. Mopipi ha affermato che la nazione ha bisogno del sostegno delle confessioni religiose e in particolare della Chiesa cattolica per sconfiggere l'Aids. Il direttore di Caritas Congo, Bruno Miteyo, ha presentato l'iniziativa e ha ricordato che la sua elaborazione è iniziata con una serie di consultazioni a livello diocesano tra febbraio e giugno 2007. Sulla base dei suggerimenti e delle proposte, è stato redatto il documento “Orientamenti pastorali nella lotta contro l'Hiv/Aids”, dopo l'Assemblea Plenaria dei vescovi nel luglio 2007. Alla recente tavola rotonda ha partecipato anche monsignor Robert J. Vitillo, consigliere speciale per l'Aids di Caritas Internationalis e responsabile della delegazione Caritas presso gli uffici delle Nazioni Unite a Ginevra. Il presule ha ricordato che l'Africa subsahariana è la parte del mondo più colpita dall'Aids: il 64% delle persone che convivono con questa malattia si trova nel Continente africano e l'Africa ha il maggior numero di bambini orfani a causa dell'Aids. (A.L.)

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    Oltre 11 milioni i profughi in Africa centrale e orientale

    ◊   Sono oltre 11 milioni i profughi a causa di conflitti e disastri naturali in 16 Paesi dell'Africa centrale ed orientale. Lo rende noto l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha), spiegando che il flusso di persone in fuga è in aumento per gli attacchi ai civili nella Repubblica Democratica del Congo da parte dell'Esercito di resistenza del Signore (Lra) - sanguinario gruppo ribelle proveniente dall'Uganda - e per le perduranti ostilità in Somalia. Il maggior numero di profughi appartiene però al Sudan, oltre quattro milioni, mentre la Repubblica Democratica del Congo e la Somalia ne hanno ciascuno più di 1 milione e 300 mila. Tra gli altri Paesi con più profughi sono il Burundi, la Repubblica Centrafricana, il Ciad, l'Etiopia, il Kenya e l'Uganda. Le Nazioni che invece ospitano il maggior numero di rifugiati sono il Ciad, il Kenya, il Sudan e la Tanzania, ognuna delle quali alla fine di marzo ne accoglieva oltre 150 mila. (R.G.)

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    Fao: in Africa “investimento nel settore agricolo, unica via contro la fame”

    ◊   “L’investimento nel settore agricolo è l’unica via contro la fame e per uno sviluppo sostenibile in Africa”. Lo ha dichiarato Hervé Lejeune, vice direttore generale della Fao, in occasione del Forum “L’emergenza alimentare in Africa” promosso a Roma dall’associazione “Harambee Africa International Onlus” che promuove iniziative di educazione e di sviluppo in Africa sub sahariana. Alla grave crisi economica e finanziaria globale in corso, si aggiunge quella alimentare che nel giro di pochi anni, per il forte rialzo dei prezzi, ha lasciato 962 milioni di persone malnutrite, per la maggior parte in Africa Sub sahariana. “La causa principale di questa grave emergenza – ha sottolineato Lejeune le cui parole sono state riprese dal Sir - è senza dubbio da attribuirsi ad una debole priorità accordata dalla comunità internazionale agli investimenti in agricoltura”. In effetti, malgrado il 70% della popolazione sia dipendente dal settore, l’agricoltura è ancora fortemente afflitta da una serie di vincoli: bassi livelli di produttività e di capacità tecniche, infrastrutture fisiche inadeguate, politica agricola e sostegno istituzionale deboli. “Eppure l’Africa dispone – ha spiegato il dirigente Fao - di un ampio potenziale, in termini di riserva di terra e di acqua”. Per questo motivo, “appare sempre più urgente rispettare gli impegni globalmente assunti e rafforzare gli investimenti”. (A.L.)

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    Nell'Africa orientale cresce il traffico di esseri umani

    ◊   In Africa Orientale il traffico di esseri umani finalizzato al lavoro forzato o allo sfruttamento sessuale è in preoccupante aumento. È quanto emerge da un nuovo studio condotto dal “Koinonia Advisory Research and Development Service” (KARDS), un’agenzia cattolica di ricerca per lo sviluppo in Africa. Lo studio – riferisce l’agenzia africana Cisa - ha preso in esame due Paesi: il Kenya e la Tanzania, avvalendosi delle informazioni fornite da una cinquantina di organizzazioni non governative, laiche e confessionali, impegnate nella lotta a questa piaga. Come altrove, le principali vittime di queste nuove forme di schiavitù sono minori, soprattutto bambine, e donne. In Tanzania i ragazzi vittime del traffico sono impiegati nelle piantagioni, nelle miniere, nel settore ittico e in altre attività dell’economia sommersa, mentre le ragazze sono destinate alle aree urbane dello Zanzibar, ma anche ad alcuni Paesi mediorientali e persino in Europa, dove vengono impiegate nei lavori domestici e spesso finiscono nel giro delle prostituzione. Molti uomini adulti finiscono invece in Sudafrica. Secondo l’indagine, in Kenya i bambini ridotti in schiavitù sono destinati ai lavori domestici o a lavorare come venditori ambulanti, nei campi, nella pastorizia o come inservienti nei locali. Una parte viene portata in altri Paesi africani, in Medio oriente , in particolare in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti, ma anche in Europa e Nord America. Anche in questo caso molti sono costretti alla prostituzione, soprattutto le bambine. Ma il Kenya e la Tanzania sono anche paesi di transito per bambine e donne provenienti dall’Asia e da altri Paesi africani e destinate al mercato della prostituzione in Europa. Una parte viene sfruttata anche nel mercato del sesso locale. Ad alimentare questo turpe traffico – spiega il rapporto – è come sempre la povertà, la disoccupazione, le migrazioni, la globalizzazione e la mancata registrazione all’anagrafe dei bambini che li rende particolarmente vulnerabili. Lo studio rileva inoltre che il fenomeno è favorito anche dall’’assenza di una legislazione ad hoc nei Paesi interessati. (L.Z.)

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    Avviata la costruzione di una cappella nel carcere di Umuahia in Nigeria

    ◊   E’ stata avviata la costruzione di una cappella nel carcere di Umuahia, in Nigeria, un progetto che è sostenuto dal “Umuahia Diocesan Council of Catholic Women Organisation”. Secondo quanto riferiscono all'agenzia Fides fonti della Diocesi, la cerimonia per la posa e la benedizione della prima pietra, è stata presieduta dal vicario generale della Diocesi di Umuahia, mons. Domenic Ibe. Nella sua omelia, il cappellano padre Okike ha sottolineato l'importanza, anche in carcere, di un ambiente favorevole alla preghiera, che comincia dal silenzio del cuore dell'uomo. Per questo ha lodato l'iniziativa di costituire un luogo dove tutti possono andare e adorare Dio “in spirito e verità”. Il religioso ha inoltre invitato i carcerati a non scoraggiarsi, ricordando che tutti gli esseri umani sono creati a immagine di Dio, che siano fuori o dentro una prigione. Padre Okike ha anche ricordato ai reclusi che il loro soggiorno nel carcere è di breve durata, e che non devono considerarsi dimenticati da Dio. La loro reclusione - ha ricordato - è volta a correggere il loro comportamento per far crescere la loro umanità. Il cappellano ha infine invitato anche i reclusi che sono in attesa di giudizio ad utilizzare la cappella che viene eretta per la preghiera quotidiana e la conversione a Dio. Alla fine della Messa, il vice parroco di St. Anthony’s Catholic Church Isiama-Afara, padre Clifford Ogbenna, ha ringraziato il vicario generale a nome del suo parroco, padre Anyanwu, per essere venuti a porre la prima pietra della cappella del carcere, che rientra nella giurisdizione della parrocchia. (A.L.)

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    Burundi: conclusa l’inchiesta sulla morte del nunzio, mons. Courtney, ucciso nel 2003

    ◊   Ad uccidere mons. Michael Aidan Courtney, il nunzio apostolico in Burundi assassinato il 29 dicembre 2003, è stato uno sconosciuto armato di pistola ed in cerca di cibo. Lo ha stabilito la Commissione d’inchiesta sull’omicidio, conclusasi venerdì scorso. L’inchiesta, avviata all’epoca su richiesta del fratello di mons. Courtney, non dà quindi un volto all’assassino. Il nunzio apostolico in Burundi, lo ricordiamo, era deceduto in ospedale a Bujumbura, dove era stato ricoverato d’urgenza dopo essere stato ferito gravemente da alcuni colpi di armi da fuoco. Il ferimento di mons. Courtney era avvenuto nel primo pomeriggio del 29 dicembre di sei anni fa a Minago, una località 50 chilometri a sud di Bujumbura, dove il presule si era recato per impegni pastorali. L’auto su cui il rappresentante pontificio viaggiava - assieme ad un sacerdote, ferito nell’agguato, all’autista e ad un’altra persona - era stata raggiunta da colpi d’arma da fuoco provenienti da una collina lungo la strada. Trasportato con grande difficoltà al più vicino ospedale di Bujumbura, Mons. Courtney non aveva più ripreso conoscenza a causa delle gravi ferite e era poi morto a causa di una grave emorragia. Papa Giovanni Paolo II, appreso l’accaduto, - ricorda l'agenzia Cisanews - si raccolse subito in preghiera “affidando a Cristo Buon Pastore l’anima di questo fedele e generoso servitore della Chiesa e della Santa Sede, morto nell’esercizio della difficile missione affidatagli”. Il Pontefice fece poi giungere ai familiari dell’arcivescovo i suoi “profondi sentimenti di partecipazione” al dolore che li aveva colpiti. Mons. Courtney era nato a Nenagh, Irlanda, il 5 febbraio 1945 ed era stato ordinato sacerdote il 9 marzo 1968. Il 25 marzo 1980 era entrato nel Servizio diplomatico della Santa Sede, prestando la propria opera presso le Rappresentanze Pontificie in Africa Meridionale, Senegal, India, Jugoslavia, Cuba, Egitto. Dopo essere stato Inviato Speciale con funzioni di Osservatore Permanente presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, il 18 agosto 2000 era stato infine nominato Nunzio Apostolico in Burundi. In sua memoria, nel luglio del 2006, è stato inaugurato un monumento, su iniziativa della Parrocchia di Minago e della diocesi di Bururi. (I.P.)

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    Messaggio dei vescovi italiani per la Giornata per la salvaguardia del creato

    ◊   “Il clima è un bene che va protetto”; occorre pertanto “un profondo rinnovamento del nostro modo di vivere e dell’economia” perché “l’impegno per la tutela della stabilità climatica è questione che coinvolge l’intera famiglia umana”. Questo, in sintesi, il cuore del messaggio della Chiesa italiana per la IV Giornata per la salvaguardia del creato, che si celebrerà il prossimo primo settembre, diffuso oggi. Nel documento, le Commissioni episcopali per i problemi sociali e del lavoro, e per l’ecumenismo e il dialogo, propongono all’attenzione delle comunità ecclesiali il rinnovato impegno “per quel bene indispensabile alla vita di tutti che è l’aria” sottolineando “la necessità di respirare aria più pulita” e l’importanza del “contributo personale” di ciascuno “perché ciò avvenga”. “Viviamo in un mondo contrassegnato dal peccato e nel contempo già redento e avviato a un processo di trasformazione”, affermano i vescovi, secondo i quali “la crisi ecologica appare come un momento di questo processo: è conseguenza del peccato se la rete delle relazioni con il creato appare lacerata e se gli effetti sul cambiamento climatico sono innegabili, se proprio l’aria è inquinata da varie emissioni, in particolare da quelle dei cosiddetti gas serra”. Rammentando che il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa segnala la necessità di considerare “i rapporti tra l’attività umana e i cambiamenti climatici” che “devono essere opportunamente e costantemente seguiti a livello scientifico, politico e giuridico, nazionale e internazionale”, i vescovi sottolineano: “Il clima è un bene che va protetto” attraverso comportamenti responsabili di consumatori e operatori di attività industriali. “Una tempestiva riduzione delle emissioni di gas serra” è pertanto “una precauzione necessaria a tutela delle generazioni future, ma anche di quei poveri della terra, che già ora patiscono gli effetti dei mutamenti climatici”. “Occorre – si legge nel messaggio ripreso dal Sir - un profondo rinnovamento del nostro modo di vivere e dell’economia, cercando di risparmiare energia con una maggiore sobrietà nei consumi, per esempio nell’uso di automezzi e nel riscaldamento degli edifici, ottimizzando l’uso dell’energia stessa e valorizzando le energie pulite e rinnovabili”. (A.L.)

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    Il Premio Carlo Magno 2009 ad Andrea Riccardi e alla Comunità di Sant’Egidio

    ◊   Il premio internazionale “Carlo Magno” 2009 sarà conferito, giovedì prossimo, con una cerimonia nella Sala dell'Incoronazione del Municipio di Aachen (Germania), allo storico Andrea Riccardi e alla Comunità di Sant'Egidio, da lui fondata. Nella motivazione per il conferimento del premio tedesco, tra i più importanti premi europei, assegnato in passato a personaggi quali Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Javier Solana, Carlo Azeglio Ciampi, Giovanni Paolo II e l'anno scorso alla cancelliera tedesca Angela Merkel, si legge tra l'altro: “Per il suo straordinario impegno civile in favore di un'Europa più umana e solidale all'interno e all'esterno delle sue frontiere, per la comprensione tra i popoli, le religioni e le culture, per un mondo più pacifico e giusto. Egli vive l'Europa dei valori”. “E' un grande onore e una felice sorpresa che questo prestigioso premio – ha dichiarato il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo - sia stato conferito ad Andrea Riccardi e alla Comunità di Sant'Egidio. E' un premio che rafforza il lavoro della Comunità per il dialogo tra culture e religioni diverse e che incoraggia l'opera quotidiana di migliaia di membri che si impegnano per la pace, per una società del vivere insieme e non dello scontro e per avvicinare Europa e Africa”. (A.L.)

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    Argentina: 24.mo Incontro delle Diocesi di Frontiera sul tema della faternità e della sicurezza

    ◊   Da ieri, presso il Centro pastorale di Fatima, nella città di Posadas in Argentina, è in corso il XXIV Incontro delle Diocesi di Frontiera sul tema “Ricostruire la fraternità in situazioni di insicurezza e violenza”. Come ogni anno, partecipano all’iniziativa vescovi, sacerdoti, religiosi e laici delle diocesi confinanti dell’Uruguay, del Brasile, del Paraguay e dell’Argentina, per dialogare, analizzare e riflettere su problematiche comuni in America Latina ed assumere come cittadini la sfida di ricostruire la fraternità, in situazioni marcate dall’insicurezza e dalla violenza. L’evento - che si concluderà domani - è organizzato dall’episcopato di Posadas, attraverso la Commissione diocesana dei Laici. L’Incontro - riferisce l'agenzia Fodes - è iniziato ieri con una Santa Messa nella cattedrale San José di Posadas presieduta dal vescovo locale, mons. Juan Rubén Martínez. Le giornate di lavoro prevedono interventi e tavole rotonde durante tutto il giorno. Al termine saranno redatte delle conclusioni finali che faranno parte del documento conclusivo. Oggi sono previste conferenze, lavori di gruppo e testimonianze delle diocesi, oltre alla tradizionale assemblea dove ciascuna diocesi presenterà il percorso pastorale o l’aspetto che desidera far emergere della vita diocesana. Nella giornata di chiusura si realizzerà un ultimo lavoro di gruppo, suddiviso per Paesi, da cui usciranno suggerimenti, proposte e sfide per la prossima edizione dell’Incontro, di cui verrà tra l’altro proposto data, luogo e tema. (R.P.)

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    Cina: sostegno dei vescovi per la celebrazione della Messa nelle zone industriali

    ◊   La politica governativa di grande sviluppo economico del nord-ovest, la zona storicamente più povera e meno sviluppata della Cina continentale, ha comportato un'ondata di emigrazione verso le province di Ning Xia, Qing Hai, Gan Su. Tra i lavoratori immigrati ci sono anche quelli cattolici con le loro famiglie. Di fronte a questa nuova realtа ed alle esigenze pastorali che essa comporta, la Chiesa locale si è subito data da fare. L’anziano vescovo novantenne, mons. Liu Jin Shan, ordinario della diocesi di Yin Chun, capoluogo della provincia di Ning Xia, e il suo coadiutore, mons. Giuseppe Li Jing, hanno mobilitato i sacerdoti per portare la celebrazione della Santa Messa tra i fedeli cattolici immigrati, provenuti dalla diocesi di Yong Nian della provincia dell’He Bei, che lavorano nella zona industriale di Yin Chuan, dove non ci sono luoghi di culto. Oggi questa comunità conta circa una ottantina di operai e i loro famigliari. La zona industriale è lontano dalla città, dalle chiese, “ma non è lontana dalla Chiesa” afferma mons. Li. Sono quattro infatti i sacerdoti di questa “Chiesa mobile” che assicurano la celebrazione della Santa Messa e l’amministrazione dei sacramenti perché “non manchi mai la presenza della casa del Padre, perché i cattolici possano seguire costantemente Gesù dovunque si trovino”. Inoltre “la diocesi di Yong Nia da dove sono venuti, è una delle roccaforti del cattolicesimo cinese. (R.P.)

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    Non abbassare la guardia contro la nuova influenza A: il monito dell’OMS

    ◊   Altri 5 morti e 1001 casi in più - rispetto a ieri - per l’influenza A, che fanno salire a 79 il numero di decessi, notificati all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Sale quindi a 9.830 il numero complessivo di persone ammalate in 40 Paesi, fra i quali i più colpiti sono gli Stati Uniti con 5.123 casi di cui 5 mortali, seguiti dal Messico con 3.648, di cui 72 letali e dal Canada con 496 infezioni e un decesso. L'altro Paese ad aver segnalato una vittima su 9 casi è il Costa Rica. Per quanto riguarda le previsioni l’OMS invita alla prudenza nell’abbassare i livelli di guardia. ''Abbiamo tutte le ragioni di temere un'interazione” tra il virus della nuova influenza A con quelli dell'influenza stagionale o dell'influenza aviaria, ha ammonito ieri il direttore dell’OMS, Margaret Chan Chan, rivolta a ministri e delegati di 193 Paesi, riuniti a Ginevra per la 62ma Assemblea annuale dell'organizzazione. Per ora, il livello di rischio di pandemia indicato dall’OMS resta alla fase 5, che precede il livello massimo di 6 di una pandemia in corso. Per la prima volta, grazie ad un'intesa con la Cina, anche una delegazione di Taiwan partecipa all'Assemblea dell’OMS, che concluderà i suoi lavori con anticipo venerdì prossimo, per consentire ai responsabili della Sanità di tornare in patria e prepararsi ad una eventuale pandemia. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Bill Clinton sarà nominato dall’ONU inviato speciale per Haiti

    ◊   Il segretario generale della Nazioni Unite, Ban Ki-moon, prevede di nominare l'ex presidente americano, Bill Clinton, suo inviato speciale per Haiti. Lo hanno riferito ieri fonti dell'Onu, in merito ad un progetto che dovrebbe attrarre investimenti verso le Nazioni più povere dell'emisfero occidentale e contribuire quindi alla stabilizzazione di Haiti. Bill Clinton, che ha dato impulso agli sforzi per sostenere Haiti già impoverito, a riprendersi dall'impatto devastante dei quattro uragani dello scorso anno, aveva accompagnato il segretario generale Ban in una visita nel Paese caraibico, all'inizio del 2009. (R.G.)

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    A Leopoli, in Ucraina, seminario sull'ecumenismo

    ◊   Si è svolto il 15 maggio scorso a Leopoli in Ucraina un importante seminario internazionale ed ecumenico che ha riunito nella Università cattolica di Ucraina rappresentanti delle Chiese cristiane per riflettere sulla ricerca di una data comune della Pasqua che i cristiani di Occidente e di Oriente celebrano in date diverse. Il seminario, cui hanno partecipato rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese, del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e della Chieda ortodossa ucraina, si è concluso con un documento finale diffuso oggi dall’Università e ripreso dal Sir nel quale i partecipanti ripropongono all’attenzione delle Chiese il “documento di Aleppo” approvato nel 1997. Nel documento si proponeva di calcolare la data della Pasqua seguendo le norme del primo Concilio ecumenico di Nicea. Nel comunicato i partecipanti ritengono che la comune celebrazione della Pasqua rappresenti una “testimonianza cristiana del Vangelo nel mondo” ma affermano anche di essere “consapevoli che il problema principale non sta nei calcoli”. Il problema va piuttosto ricercato nella “complessità delle relazioni e nella mancanza di fiducia tra le diverse denominazioni cristiane a causa delle lunghe divisioni. E’ questa una delle principali ragioni della difficoltà ad accettare le diverse proposte di soluzione. E’ pertanto necessario un gran lavoro di comprensione reciproca e di riconciliazione”. Secondo i partecipanti, il documento di Aleppo può comunque rappresentare “un passo concreto e reale verso la comune celebrazione della Pasqua e allo stesso tempo dimostrare al mondo il desiderio dei cristiani di dare testimonianza alle parole del Vangelo, ‘che tutti siano uno’”. Nel documento si ricorda inoltre che nel 2010 e nel 2011, le date delle due Pasque coincideranno nelle tradizioni orientali e occidentali. I partecipanti però invitano le loro chiese “a fare tutto il loro possibile perché una simile coincidenza non sia più un’eccezione ma una regola”. Il seminario si è aperto con un messaggio del card. Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani che ha definito il documento di Aleppo come “una delle proposte più interessanti finora formulate” ed ha manifestato il suo apprezzamento per il seminario. “Se è difficile trovare una soluzione che sia accettabile a tutti – scrive Kasper - quello che possiamo fare nel frattempo è preparare il terreno perché ciò possa essere una giorno realtà”. (A.L.)

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    Germania: permesso di soggiorno ai "tollerati"

    ◊   Assicurare il diritto di residenza in modo permanente: è quanto hanno chiesto i rappresentanti delle Chiese cattolica e protestante tedesche per l'immigrazione in una dichiarazione congiunta, ripresa dall’agenzia Sir. Alfred Buss, presidente della Commissione per l'immigrazione e l'integrazione della Chiesa evangelica tedesca (Ekd) e mons. Josef Voss, presidente della Commissione per l'immigrazione della Conferenza episcopale tedesca hanno auspicato la proroga del diritto di soggiorno per gli immigrati "tollerati", ossia coloro che non sono riconosciuti come rifugiati, ma si trovano in Germania da anni. I rappresentanti delle Chiese si sono richiamati alla normativa sui cosiddetti "vecchi casi", invocando una "maggiore considerazione degli aspetti umanitari". "La normativa rappresenta un passo in avanti nella giusta direzione", hanno osservato. "Tuttavia, finora solo la metà dei circa 100.000 immigrati che a fine 2006 viveva in Germania da almeno sei anni con lo status di 'tollerato', ha ottenuto un permesso di soggiorno temporaneo. E solo circa 6.500 persone hanno ottenuto un permesso di soggiorno certo, oltre il 31 dicembre 2009". Buss e Voss - riferisce l'agenzia Sir - hanno sottolineato la necessità di "trovare una soluzione adeguata anche per le oltre 102.000 persone 'tollerate' che non rientrano nei casi previsti dalla normativa sui vecchi casi". "Lasciare queste persone in una perenne incertezza contrasta con l'esigenza fondamentale delle persone di avere una prospettiva di vita affidabile. Le persone integrate in Germania, dalle quali non si può pretendere l'espatrio, devono ottenere un permesso di soggiorno e di lavoro", hanno auspicato i rappresentanti delle Chiese. (L.Z.)

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    Irlanda: dichiarazione dei vescovi per la Giornata di commemorazione della carestia

    ◊   “Un’opportunità per ricordare il passato e riflettere sul tema della fame e della carestia al mondo d’oggi”: così la Conferenza episcopale irlandese definisce la prima Giornata nazionale di commemorazione della carestia, celebrata ieri nel Paese. “Oggi – scrivono i presuli – oltre 963 milioni di persone al giorno non hanno cibo sufficiente; ogni sei secondi, un bambino muore di malnutrizione; ogni anno, decine di migliaia di persone sono costrette a diventare sfollati a causa della fame”.“Dobbiamo ricordarci – precisano i vescovi – che la carestia si verifica soprattutto a causa dell’attività umana. La malnutrizione permane, mentre il mondo stanzia sempre più finanziamenti per gli eserciti e per gli strumenti di distruzione di massa. La carestia è provocata da strutture politiche ed economiche ingiuste che, spesso, sono il frutto del comportamento immorale dei singoli individui. In un mondo di abbondanza, la gente soffre ancora la fame”. Ribadendo, inoltre, che “la fame e la malnutrizione non si verificano solo in Paesi lontani”, ma sono sempre più diffuse anche in Irlanda, la Conferenza episcopale locale sottolinea che “come comunità cristiana, chiamata a rispondere al Comandamento del Signore “Amatevi gli uni con gli altri, come io ho amato voi” (Gv, 15:12), il flagello perdurante della fame e della carestia ci spinge ad avere un animo generoso di solidarietà e cooperazione, fondato sui valori e sui diritti inerenti la vita e la dignità della persona umana”. “Dietro ad ogni statistica sulla fame e sulla malnutrizione – si legge ancora nella dichiarazione – c’è un essere umano sofferente nel quale vediamo il volto di Cristo che ci ha detto: “Ogni volta che avete fatto queste cose all’ultimo dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt, 25:40)”. Poi, i presuli si soffermano sull’attuale crisi economica mondiale che rischia di alimentare l’egoismo: un pericolo che va evitato, invece, interessandosi “alle necessità dei poveri in Irlanda e nel mondo” e supportando quelle agenzie ed associazioni di sviluppo che aiutano i bisognosi. Infine, un ulteriore appello viene rivolto ai governi: “Dal momento che, di fronte alla crisi attuale, i leader mondiali cercano di attuare una riforma del sistema economico e finanziario globale – scrivono i vescovi irlandesi – è necessario che essi garantiscano di fare tutto il possibile per aiutare i Paesi colpiti da fame e carestia”. (I.P.)

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    Il 51.mo Pellegrinaggio a Lourdes dei militari italiani, "uomini di pace"

    ◊   L’esercito oggi è una forza che “porta la pace” in Italia – dove l’abbiamo visto recentemente all’opera a fianco dei terremotati – così come all’estero, dove ci si reca per “difendere la propria casa e i propri cari” combattendo il terrorismo internazionale. Ne è convinto Aldo Cinelli, generale dell’esercito e segretario generale della Difesa, intervistato dal Sir a margine del 51.mo Pellegrinaggio militare internazionale a Lourdes, al quale ha partecipato come capo della delegazione italiana. Il generale ricorda come gli interventi internazionali si compiano sotto le bandiere della Nato, dell’Onu o dell’Unione Europea; l’Italia, essendo uno dei Paesi più sviluppati, “non può esimersi dall’offrire la propria disponibilità”. Nelle missioni all’estero le attività dei militari italiani sono universalmente additate per il loro “valore umano” e, conoscendo bene ciò che fanno, si scopre come dietro a “scorze dure” ci siano valori che sono il cardine della vita, della moralità, della famiglia. Quanti vanno nelle missioni internazionali, dunque, vanno riconosciuti e rispettati: non si tratta di spericolati con il gusto della battaglia, ma di “persone generose, che si allontanano dai loro cari e dal loro Paese”, consapevoli “di correre dei rischi e di mettere in gioco anche la vita”. (A.L.)

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    Il Festival di Cannes giunto al giro di boa

    ◊   Vendette stereotipate, banalità analitico-esoteriche, autocelebrazioni etico-sportive, lucidi e visionari attraversamenti del passato, ricostruzioni di percorsi esistenziali finiti male, ricordi accorati di chi non c’è più. Giunto a metà del suo programma, il Festival di Cannes mostra decisamente le linee essenziali di un progetto che unisce lo spettacolo popolare, il marketing commerciale e l’audacia dei cineasti. I due primi caratteri – lo spettacolo e il marketing – sono evidenti in film come "Vengeance" di Johnny To e "Looking For Eric" di Ken Loach, mentre il terzo – l’audacia – si applica ad "Antichrist" di Lars Von Trier, "Vincere" di Marco Bellocchio, "Le Père de mes enfants" di Mia Hansen-Løve e "Irène" di Alain Cavalier. Bisogna poi però fare delle opportune distinzioni rispetto alla riuscita di ogni singola opera. Se "Vengeance", raccontando di affari sporchi, omicidi su commissione, codici d’onore e vendette sanguinose non si distacca, nonostante qualche buona invenzione di messa in scena, dai consunti meccanismi irreali e frenetici di tanti film orientali d’azione, "Looking for Eric", pur dichiarandosi apertamente una promozione di due miti calcistici come il giocatore Eric Cantona e la squadra del Manchester United, risulta una piacevole commedia, condita di battute folgoranti e soprattutto portatrice di positivi valori di vita. Quanto all’audacia, essa può essere un elemento esaltante se alle premesse corrispondono i risultati. Altrimenti diventa pura presunzione e inutile esercizio retorico. Parliamo di "Antichrist", che, dopo essersi presentato in odore di scandalo, nel raccontare una storia di pulsioni sessuali, depressioni e follia, si è rivelato un triste e ridicolo tentativo di coniugare, attraverso la forza delle immagini, i turbamenti personali dell’autore, un certo numero di sciocchezze esoteriche e alcuni ben noti precetti della psicoanalisi. Se il film di Von Trier demolisce un cineasta di culto, dall’esperienza di Cannes esce prepotentemente "Vincere" di Marco Bellocchio. Potente rievocazione di vite perdute nel vortice della Storia e al contempo feroce ritratto di un mondo e di un’epoca, il film del regista italiano mostra come privato e pubblico non siano mai separabili sul piano dell’etica e dei sentimenti, consegnandoci un film che mescola coraggiosamente ispirate performance attoriali e incalzanti filmati d’archivio. L’elemento della rievocazione, che è la base portante di "Vincere", sta al centro di altri due film che hanno in se il senso del dono e della trasmissione. Ispirato ad una storia vera, "Le Père de mes enfants" ripercorre gli ultimi giorni di un produttore sommerso dai debiti, prima del gesto fatale che mette fine alla sua vita, e soprattutto la lotta della vedova e delle figlie per raccoglierne l’eredità spirituale. Film lineare, non enfatico né nella sofferenza né nel ritorno alla vita, interpretato sommessamente e con grande rigore da un gruppo di attori bravissimi, "Le Père de mes enfants" è insieme un esercizio di ammirazione e una serena elaborazione del lutto. Nello stesso solco si colloca "Irène", diario intimo di uno dei grandi del cinema francese, Alain Cavalier, che riflette con tenerezza e lucidità sul grande amore perduto della sua vita, la moglie, morta in un incidente stradale molti anni fa. Qui il procedere del cineasta, ormai anziano, è esitante come la memoria che ripercorre i luoghi, gli oggetti, la pagina scritta. Costruito come uno zibaldone di immagini e di pensieri che le accompagnano, il film ci fa sorprendentemente scoprire il dono della vita, nel momento stesso in cui tutto ciò che la riempiva è scomparso per sempre. (Da Cannes, Luciano Barisone)

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    24 Ore nel Mondo



    Divergenze tra Obama e Netanyahu sulla strategia per la pace in Medio Oriente

    ◊   L'intenzione degli Stati Uniti di operare in direzione di un accordo regionale fra Israele e il mondo arabo viene sottolineata oggi dalla stampa israeliana, che rileva d'altra parte l'esistenza di forti divergenze di opinioni fra il presidente Usa Barack Obama e il premier Benyamin Netanyahu. Il servizio di Fausta Speranza:

     
    Nel primo colloquio alla Casa Bianca tra Obama e Netanyahu sono emerse chiaramente le divergenze sulla "questione dei due Stati": il presidente Usa ha sottolineato che la via di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi è legata alla soluzione dei "due Stati", mentre il premier Netanyahu ha parlato solo di "autogoverno" dei palestinesi senza mai parlare però di uno "Statò palestinese". Un altro punto di attrito tra Obama e Netanyahu è emerso sulla questione degli insediamenti. Il presidente Usa ha ricordato che Israele, accettando gli impegni della 'road map', è vincolato anche a non creare nuovi insediamenti. Sul fronte della ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi, Obama ha esortato le due parti “a cogliere questa opportunità e questo momento” per raggiungere la pace. C’è poi il fronte Iran: la minaccia di un Iran nucleare è stato l'altro argomento al centro del primo incontro alla Casa Bianca tra il presidente Obama e il nuovo premier israeliano Netanyahu. Obama ha ribadito la volontà di dialogo senza porre “scadenze artificiali”, ma indicando che comunque il dialogo deve produrre risultati entro la fine dell’anno e che restano aperte tutte le opzioni. Uscendo dalla Casa Bianca, Netanyahu ha detto ai giornalisti che “Israele si riserva il diritto di difendersi dall'Iran”. Resta da dire che il presidente Obama ha in programma nei prossimi giorni colloqui alla Casa Bianca anche col presidente palestinese Mahomoud Abbas e il presidente egiziano Hosni Mubarak.

     
    Nuova data per il vertice Iran-Pakistan-Afghanistan annullato ieri
    È stato riprogrammato per il 24 maggio a Teheran un incontro fra i presidenti di Iran, Pakistan e Afghanistan per discutere di un'azione comune contro il terrorismo e il traffico di droga. Lo scrive oggi il quotidiano "Tehran Times", citando l'ambasciatore pachistano in Iran. Il vertice, inizialmente organizzato per oggi, era stato rinviato per la necessità del presidente pachistano Asif Ali Zardari di rimanere in patria per la difficile situazione creatasi dopo un'offensiva lanciata dalle forze armate contro i militanti talebani nella Swat Valley. La lunga operazione dell'esercito del Pakistan per liberare la Valle dello Swat dai talebani più radicali continua senza soste con scontri che nelle ultime 24 ore hanno causato la morte di 16 militanti islamici e quattro militari.

    Iraq
    Alcuni soldati americani hanno ucciso ieri a Mossul, nel nord dell'Iraq, un civile che si era rifiutato di fermarsi con la sua macchina a un posto di blocco. Lo ha annunciato oggi il comando statunitense.

    Dramma dei profughi dalla Somalia, avanzano i gruppi fondamentalisti
    Drammatiche le condizioni umanitarie per i profughi somali rifugiati nei campi in Kenya: la denuncia viene da "Medici Senza Frontiere" che chiede all'Unhcr, oggi in visita ai campi, ai donatori internazionali e al governo di Nairobi “di rispondere urgentemente alla mancanza di assistenza e protezione per i rifugiati in arrivo e di alleviare le terribili condizioni di vita nei campi”. Intanto, in Somalia gruppi di integralisti islamici hanno preso il controllo dell’intera regione centrale del Medio Shebeli, rendendo sempre più pressante la morsa che gli integralisti islamici, in larga misura ricollegabili ad al Qaeda, stanno stringendo intorno agli ultimi bastioni in mano al Governo Federale di Transizione (Tfg), a guida moderata, che ormai controlla solo aree di Mogadiscio. Da Mogadiscio stanno fuggendo 42.000 persone. I combattimenti, iniziati il 7 maggio, hanno provocato finora circa 200 morti ed oltre 500 feriti. Paolo Ondarza ha raggiunto telefonicamente Nino Sergi, segretario generale dell’Ong InterSos, presente dal 1994 a Jowhar, città della zona appena caduta sotto il controllo degli integralisti:

    R. – La gente che desidera pace, tranquillità, fa meno caso a chi governa ma fa più caso alla stabilità che porta chi arriva, perciò come è già successo in altre città, quando sono arrivati gli Shabaab e hanno garantito stabilità, la gente li ha accettati. La situazione in Somalia è molto delicata. C’è stato il nuovo tentativo da parte di istituzioni unitarie, nazionali, con un nuovo presidente, un nuovo governo, che è stato appoggiato dalla comunità internazionale, di cercare una soluzione unitaria. In realtà non è stato così. Alcuni sono rimasti fuori da questo accordo di unità nazionale, però quelli che sono rimasti fuori oggi si fanno sentire.

     
    D. – Gli Shabaab sono, come è stato detto, legati ad Al Qaeda? E se sì quanto Al Qaeda approfitta di questa situazione di instabilità?

     
    R. – Ci sono due riflessioni da fare. La prima è che noi siamo molto schematici, anche i giornali sono molto schematici, fin dall’inizio hanno dichiarato che gli Shabaab sono legati ad Al Qaeda. Mi pare una eccessiva semplificazione. La seconda è che negli ultimi tempi ci sono testimonianze di militanti all’interno di questi gruppi Shabaab stranieri, alcuni chiari di pelle. Vuol dire che ci sono collegamenti con l’estero. È difficile dire quali tipi di collegamenti, se ad Al Qaeda o altro, e questo rende ancor più complicata la vicenda. Tutto questo ci insegna che le nostre perdite di tempo, le nostre indecisioni - parlo della comunità internazionale – non sono di aiuto per una soluzione definitiva a favore della Somalia. Forse è giunto il momento di invitare i somali a sedersi ad un tavolo, compresi quelli che sono stati esclusi, e che essi stessi trovino una soluzione, senza influenze esterne.

     
    D. – Questo sedersi a un tavolo è realmente una situazione prospettabile?

     
    R. – Se fosse stato fatto qualche tempo fa sarebbe stato meglio. Oggi, con le armi che sono così calde, diventa difficile. Però quali altre prospettive ci sono?

     
    Quasi 200 africani sbarcano sulle coste spagnole
    Quasi 200 migranti africani sono giunti nelle ultime 48 ore sulle coste spagnole dell'Andalusia: lo riferisce l'edizione elettronica di El Mundo. I migranti sono arrivati a bordo di diverse imbarcazioni in più punti della costa andalusa, nel sud della Spagna e sono stati intercettati da imbarcazioni della Guardia Civil o della sicurezza marittima. L'ultimo sbarco è avvenuto nell'area di Tarifa, dove su un barcone sono giunti 54 persone, fra cui due donne incinte e sei bambini, tutti di origine subsahariana.

    Immigrazione, Boldrini: “Sì al tavolo tecnico con Libia ed Italia”
    “Il respingimento è previsto dalle leggi italiane, ma deve essere comunicato alle persone interessate con un decreto contro il quale possono fare ricorso e inoltre non va mai esteso ai richiedenti asilo”. Laura Boldrini, portavoce italiana dell'Unhcr (Alto Commissariato Onu per i rifugiati), interviene stamane, dopo la presa di posizione ieri dell’Alto Commissario nei confronti degli “inaccettabili commenti” di esponenti del governo italiano. “La preoccupazione - aggiunge l'esponente dell'Unhcr - è che su quelle carrette del mare respinte verso la Libia, possano esserci persone che fuggono da guerre e da persecuzioni”. La portavoce ha anche ricordato che “delle 36 mila persone arrivate in Italia via mare nel 2008, il 75% ha fatto richiesta di asilo e di queste, il 50%, ha ricevuto dallo Stato italiano una forma di protezione”. No ai respingimenti senza garanzie per i richiedenti asilo, dunque, è la linea delle Nazioni Unite, decise nella “protezione dei diritti dei rifugiati”. Intanto, il Ministero dell’Interno italiano cerca una soluzione comune sul problema degli sbarchi sulle coste italiane attraverso il “tavolo tecnico” che coinvolgerà l'Italia, la Libia, la Ue e l'Unhcr. Il problema, però, è che “Tripoli – conclude Boldrini - non riconosce formalmente l'Unhcr e non ha una legge sul diritto di asilo e non ha ratificato la Convenzione di Ginevra”.

    Caso Mills-Berlusconi
    “Riferirò in Parlamento”. È la risposta del presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, alla richiesta di un commento sulle motivazioni, uscite stamane, della sentenza di condanna dell'avvocato inglese David Mills nel processo che vede coinvolto anche il premier. L'avvocato inglese condannato a Milano a 4 anni e 6 mesi per corruzione in atti giudiziari agì “da falso testimone” - si legge nelle motivazioni - "per consentire a Silvio Berlusconi e al gruppo Fininvest l'impunità dalle accuse, o almeno, il mantenimento degli ingenti profitti realizzati". Mills era accusato di aver preso 600mila dollari per fornire dichiarazioni false o reticenti in due datati processi milanesi: All Iberian e quello sulla corruzione nella Guardia di Finanza. La posizione di Silvio Berlusconi, coimputato di Mills, era stata stralciata in quanto i giudici della decima sezione del Tribunale di Milano avevano trasmesso gli atti del processo alla Consulta perchè verificasse la corrispondenza alla Costituzione del cosiddetto Lodo Alfano, che prevede la sospensione dei processi penali nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato. Il dibattimento nei confronti di Berlusconi è quindi stato sospeso.

    Colloqui tra Russia e Stati Uniti sul disarmo
    Il disarmo nucleare è da oggi al centro dei colloqui tra Russia e Stati Uniti in vista di una nuova intesa, che possa entrare in vigore il 5 dicembre prossimo, data di scadenza del Trattato Start. Dopo l’incontro preparatorio di aprile a Roma, i rappresentanti dei due Paesi si incontrano a Mosca per un primo round negoziale. Ai partecipanti è giunto oggi l’appello del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, affinché si produca un nuovo slancio per una concreta limitazione degli armamenti atomici. A margine del vertice anche molte organizzazioni non governative hanno espresso la loro posizione al riguardo e nutrono molte speranze sugli esiti degli incontri di Mosca. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Giorgio Alba, tra i fondatori di Bang, la Rete Europea Giovani per il disarmo nucleare:

    R. – Questa grande attesa si deve tradurre, attraverso questi negoziati, in accordi che limitino le armi nucleari nelle dottrine militari. Deve cambiare proprio l’ottica su come devono essere considerate le armi nucleari: non più come minaccia. Penso che le cose debbano essere superate insieme in un nuovo clima internazionale di cooperazione per dedicarsi, invece, ai nuovi problemi che si affronteranno nel 21.mo secolo. Quindi, uno dei punti fondamentali è che questi accordi debbano essere un punto di svolta per ridurre le spese militari e per investire, invece, in quelle che sono le spese per prevenire il cambiamento climatico e per la lotta alla fame e alla povertà nel mondo.

    D. – I due Paesi come si pongono di fronte a tanti altri Stati, dove, invece, sembra ci sia una corsa alla bomba atomica?

     
    R. – La nostra attenzione si concentra su due aree, quella del Medio Oriente, con l’Iran, ma anche con Israele, che ha armi nucleari, e tutta l’area del nord-est asiatico con Corea del Nord, ma anche Corea del Sud, Giappone, Taiwan, che potrebbero cercare di sviluppare delle armi nucleari. Le armi nucleari sono un grande strumento di pressione politica e in questo modo nel mondo di oggi, in cui le singole nazioni si sentono insicure, l’arma nucleare è ancora vista come uno strumento di privilegio. E' urgente che le armi nucleari non siano più considerate degli strumenti da utilizzare all’interno della politica internazionale e in questo quadro gli sforzi degli Stati Uniti e della Russia possono anche essere di esempio ad altri Paesi. Il rischio nucleare non è in realtà calato, anzi si va verso un suo incremento, rispetto al periodo della Guerra Fredda. Tante volte si è levata la voce, da Benedetto XVI a Giovanni Paolo II: “Mai più la guerra”! Quel “mai più” deve essere preso in considerazione veramente in maniera seria dai leader politici di oggi, per non lasciare un futuro nucleare a noi giovani.

     
    India
    Il primo ministro indiano uscente, Manmohan Singh, è stato eletto presidente del gruppo parlamentare del Partito del Congresso, primo passo verso la riconferma a capo del governo. Sonia Gandhi, presidente del partito, è stata riconfermata alla guida della formazione risultata vincitrice delle elezioni appena terminate e a capo dell'alleanza, non ancora definita nei dettagli, che governerà l'India dal prossimo 2 giugno.

    Birmania, processo ad Aung San Suu Kyi. “Preoccupazione” dell’Asean
    “Grave preoccupazione” viene manifestata dall’Asean (l'associazione dei dieci Paesi del Sud-est asiatico) per il processo a carico di Aung San Suu Ky, cominciato ieri nel penitenziario di Insein. La leader dissidente è stata arrestata il 14 maggio scorso con l’accusa di avere violato gli arresti domiciliari per aver accolto un uomo americano giunto a nuoto nella sua casa. Il governo tailandese, che ha la presidenza di turno dell'Asean, ha rivolto un appello alla giunta birmana affinché “conceda adeguate e tempestive cure mediche ad Aung San Suu Kyi”. La donna, che ha 63 anni, verserebbe infatti in gravi condizioni di salute. Tuttavia, la Thailandia ha precisato che, a differenza dell’Unione Europea, non imporrà sanzioni economiche nei confronti della Birmania, “perché non si tratta della soluzione più appropriata al problema”. Dell’Asean fanno parte: oltre a Birmania e Thailandia, anche Singapore, Vietnam, Laos, Cambogia, Indonesia, Malaysia, Brunei e Filippine. Intanto le autorità locali hanno impedito a un gruppo di ambasciatori europei l’ingresso nella prigione di Insein per assistere al processo. Per la liberazione del Premio Nobel per la Pace si sono mobilitati nel chiedere la liberazione Rita Levi Montalcini e la première dame francese Carla Bruni.

    Bolivia: mandato di cattura per ex presidente Sanchez Losada
    Una “persecuzione politica”: l’ex presidente Gonzalo Sanchez de Losada definisce così il mandato di cattura a suo carico, spiccato dall’autorità giudiziaria della Bolivia. L’ex leader nazionale è accusato della morte di 66 persone, avvenuta nel 2003, quando era in atto la repressione delle proteste che portarono alle dimissioni dell’ex presidente della Bolivia. L’uomo sarà processato in contumacia. È stata accolta la richiesta della Procura, che porta all'apertura del processo per genocidio contro Lozada e tre dei suoi ex ministri e cinque alti ufficiali militari. Per la legale dell’imputato, il processo “non ha alcun fondamento giuridico, poiché l'ex presidente agì del tutto legalmente, in risposta a “manifestanti armati e violenti che avevano giurato di abbattere il governo eletto democraticamente, preso 800 persone come ostaggio e bloccato la capitale La Paz”. L’ex presidente boliviano, che vive da sei anni negli Stati Uniti, respinge le accuse. Intanto, il processo è stato aperto ed immediatamente sospeso, a causa di una richiesta di ricusazione del tribunale presentata dall'ex ministro Yerko Kukoc, che dovrà ora essere esaminata dai magistrati. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Anna Villani)

     

     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 139

     
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