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Sommario del 14/05/2009
Il Papa a Nazareth: lo Stato sostenga la missione insostituibile della famiglia. Appello a respingere il potere distruttivo dell'odio
◊ Nello splendido scenario del Monte del Precipizio a Nazareth, che si apre ad anfiteatro sulle colline della Galilea, il Papa ha presieduto stamani la Messa per la conclusione dell’Anno della Famiglia indetto dalla Chiesa cattolica in Terra Santa. Oltre 45 mila i fedeli presenti. Nella sua omelia Benedetto XVI ha ribadito che la famiglia ha una “missione insostituibile nella società” che va sostenuta dallo Stato. Poi, in merito alle passate tensioni tra cristiani e musulmani a Nazareth, ha invitato a respingere "il potere distruttivo dell’odio e del pregiudizio”. Linea al nostro inviato Roberto Piermarini:
(Canti ed effetto folla)
Con un entusiasmo travolgente e in un clima di festa e di allegria, 45 mila fedeli hanno accolto in Galilea Benedetto XVI per la Messa sulla Spianata del Monte del Precipizio a Nazareth, la più grande città araba d’Israele e con il maggior numero di cattolici di tutta la Terra Santa. Adagiata tra le colline della Galilea che la circondano e la proteggono, è qui che la Vergine Maria ha ricevuto l’annuncio dell’Angelo, è qui che ha vissuto Gesù nella famiglia di Nazareth. Una celebrazione – alla presenza di 40 vescovi e 250 concelebranti - che ha concluso l’Anno per la famiglia, indetto dalla Chiesa di Terra Santa. Nella sua omelia Benedetto XVI ha esaltato la santità della famiglia cristiana che nel piano di Dio, si basa sulla fedeltà per la vita intera di un uomo e di una donna, consacrata dal patto coniugale ed aperta al dono di Dio di nuove vite. “Il mondo ha bisogno di riappropriarsi di questa verità – ha detto il Papa – per la costruzione della civiltà dell’amore. La famiglia infatti è il primo mattone della costruzione di una società ben ordinata ed accogliente, per questo lo Stato è chiamato a sostenerla nella sua missione educatrice. Così la famiglia fondata sull’amore diventa una ‘Chiesa domestica’, luogo di fede, di preghiera e di preoccupazione amorevole per il bene vero e durevole di ciascuno dei propri membri”. E qui il Papa ha ricordato il ruolo fondamentale delle madri, dei padri e dei figli, innanzitutto guardando a Maria:
“Nazareth reminds us of our need to acknowledge...
Nazareth ci ricorda il dovere di riconoscere e rispettare dignità e missione concesse da Dio alle donne, come pure i loro particolari carismi e talenti: sia come madri di famiglia che come chiamate ad una vocazione religiosa. Le donne hanno un ruolo indispensabile nel creare un ambiente in cui i bambini imparino ad amare e ad apprezzare gli altri, ad essere onesti e rispettosi verso tutti, a praticare la virtù della misericordia e del perdono”.
In Giuseppe, l’uomo giusto che Dio pose a capo della sua casa, Gesù imparò le virtù della pietà virile, della fedeltà alla parola data, dell’integrità e del duro lavoro e potè vedere in lui come l’autorità posta al servizio dell’amore, sia infinitamente più feconda del potere che cerca di dominare.
“How much our world needs the example...
Quanto ha bisogno il nostro mondo dell’esempio, della guida e della calma forza di uomini come Giuseppe!”.
E sull’esempio di Gesù, il Papa ha invitato i giovani non soltanto a mostrare rispetto ai genitori ma anche ad aiutarli a scoprire più pienamente l’amore che dà alla nostra vita il senso completo.
“In the Holy Family of Nazareth....
Nella Sacra Famiglia di Nazareth fu Gesù ad insegnare a Maria e Giuseppe qualcosa della grandezza dell’amore di Dio, suo celeste Padre, la sorgente ultima di ogni amore”.
Nella sua omelia Benedetto XVI ha ricordato anche le tensioni degli anni scorsi a Nazareth, tra cristiani a musulmani, a causa del progetto di costruire una moschea a ridosso della Basilica della Natività ed ha invitato le due comunità ad adoperarsi per edificare ponti e trovare modi per una pacifica coesistenza. “Ognuno – ha detto – respinga il potere distruttivo dell’odio e del pregiudizio, che uccidono l’anima umana prima ancora che il corpo!”. Al termine, il ringraziamento del Papa per gli sforzi della chiesa nelle istituzioni caritative e nelle scuole. “Scuole – ha detto nel suo indirizzo di saluto, il vescovo greco-melkita per la Galilea mons. Elias Chacour, che “sono la prima priorità per la Chiesa perchè sono lo strumento per diffondere il messaggio di Gesù e la riconciliazione. Lottiamo per la loro sopravvivenza – ha detto - facendo grandi sacrifici, ma andiamo avanti”.
(Parole in arabo)
Il presule ha parlato anche del doloroso fenomeno dell’esodo all’estero dei cristiani e del dramma degli sfollati di alcuni villaggi della Galilea espropriati da Israele, che chiedono di ritornare nelle proprie case ed ha denunciato le grandi difficoltà e pericoli che minacciano la presenza della Chiesa in Terra Santa. Al termine della Messa il Papa ha benedetto le prime pietre di tre istituzioni: il Centro Internazionale per la Famiglia che sorgerà a Nazareth; la prima Università araba cristiana di Terra Santa che sarà intitolata a Benedetto XVI e il “Parco Memoriale Giovanni Paolo II”, voluto e realizzato dal governo israeliano sul Monte delle Beatitudini, sullo stesso luogo dove nel 2000 il Pontefice celebrò l’Eucarestia.
(Canto)
Commento da Nazareth: cristiani in sofferenza ma la visita del Papa aiuterà moltissimo
◊ Sulla Messa di questa mattina ascoltiamo il commento di don Rino Rossi, direttore della Domus Galilaeae, il Centro internazionale gestito dal Cammino neocatecumenale nei pressi del Lago di Tiberiade. Fabio Colagrande lo ha raggiunto telefonicamente a Nazareth subito dopo la fine della celebrazione:
R. – E’ stato un evento molto importante per la Chiesa che è presente soprattutto qui, in Galilea, perché la maggior parte dei cristiani si trovano qui, in Galilea. Alla Messa erano presenti i cattolici dei vari riti e poi i fratelli ortodossi, anglicani… E’ stato veramente un momento ecclesiale molto, molto importante. Noi anche abbiamo voluto accompagnare il pellegrinaggio del Santo Padre, come abbiamo fatto nel 2000, con 8 mila giovani provenienti da tutta Europa. E’ stato davvero uno spettacolo, in questi giorni, perché abbiamo potuto – d’accordo con i vescovi, con i parroci – avere degli incontri in tutte le parrocchie. Ci hanno accolto benissimo i parroci, i viceparroci, i fedeli. Abbiamo fatto un incontro di preparazione per questa Eucaristia, abbiamo messo in comune la nostra fede, la nostra esperienza, i giovani hanno dato la loro testimonianza, hanno cantato, sono state delle cose bellissime! E la cosa anche più bella è che in alcune parrocchie ortodosse ci hanno accolto, si è fatto lo stesso incontro, anche nelle parrocchie anglicane … siamo andati negli ospedali, siamo andati anche nei collegi, con i giovani … E’ stato un momento bellissimo culminato con questa Eucaristia.
D. – Don Rino, quali sono le difficoltà delle comunità cristiane in Galilea e quanto il Papa ha potuto incoraggiare proprio queste comunità?
R. – Il fatto che i cristiani, come sapete, sono una minoranza ... io vedo che c’è una sofferenza, soprattutto nelle zone dell’Autonomia palestinese. Però, qui in Galilea io penso che ci sia un atteggiamento più tranquillo, c’è – secondo me – una migliore collaborazione, sia con i musulmani e anche con gli ebrei. L’ambiente è molto più sereno in tutta la Galilea del Nord. In questo senso penso che le cose stiano andando meglio. Senz’altro, la visita del Papa ha portato anche un’aria di pacificazione, aiuterà moltissimo: perché egli ha potuto incontrare le autorità ebraiche e anche le autorità musulmane; ha cercato di creare questi ponti di comunione che senz’altro nel tempo daranno frutto.
Il Papa al “Caritas Baby Hospital” di Betlemme: i bambini siano sempre al sicuro in tempi e luoghi di conflitto
◊ Incontro commovente, ieri pomeriggio, al Centro “Caritas Baby Hospital” di Betlemme: il Papa ha visitato l’ospedale pediatrico fondato nel 1978 e sostenuto dall’associazione svizzera “Kinderhilfe Bethlehem”, che assicura ogni anno 30 mila prestazioni ambulatoriali e 4 mila degenze. Questo centro, ha detto il Papa, è un faro di speranza ed ha ringraziato quanti - medici, volontari e le Suore Francescane Elisabettiane di Padova – si prendono cura ogni giorno dei bambini ammalati di tutta la regione. Alla visita ha preso parte anche il presidente palestinese Mahmud Abbas. Il servizio di Alessandro Gisotti:
E’ l’Amore, l’amore portato dal Bambino nato duemila anni fa in una Grotta distante solo due chilometri dal “Centro Baby Hospital”, a fare di questo luogo “un’oasi quieta" per i bambini più deboli, “un faro di speranza”. Un faro, ha detto Benedetto XVI, nella sua toccante visita all’ospedale pediatrico di Betlemme, che mostra come l’amore possa “prevalere sull’odio e la pace sulla violenza”. Il Papa ha percorso una corsia della struttura, dove ha potuto incontrare i piccoli pazienti con i loro genitori ed esprimere il suo affetto paterno per i bimbi ricoverati. Uno di loro, Elias, nato prematuro, è stato preso in braccio dal Santo Padre, che ha donato al Centro un respiratore proprio per i bimbi nati prematuramente. Nel suo discorso, il Santo Padre ha tenuto a sottolineare che i bambini “meritano un posto sicuro da tutto ciò che può far loro del male in tempi e luoghi di conflitto”. Poi ha confidato quanto tenesse a questo incontro:
“The Pope is with you! Today he is with you in person…”
“Il Papa è con voi!”, ha affermato, “Oggi egli è con voi in persona, ma ogni giorno egli accompagna spiritualmente ciascuno di voi nei suoi pensieri e nelle sue preghiere”. Ha così rammentato quanto diceva del Centro il suo fondatore, padre Ernst Schnydrig: “è uno dei più piccoli ponti costruiti per la pace”. In verità, ha notato il Pontefice, “non è più un ponte piccolo” giacché accoglie migliaia di bambini ogni anno, di lingue e religioni diverse, “nel nome del Regno di Dio, il Regno della Pace”. Il Papa ha espresso profonda gratitudine a quanti, in diversi modi, permettono al Centro di svolgere la propria attività. In particolare alle Conferenze episcopali tedesca e svizzera che assistono finanziariamente la struttura. A testimoniare questo sostegno, Benedetto XVI è stato accolto al “Caritas Baby Hospital” dall’arcivescovo Robert Zollitsch e dal vescovo Kurt Koch, presidenti dei due episcopati. Il Papa ha infine voluto affidare i bambini e gli operatori del Centro alla Madonna di Fatima, di cui ieri ricorreva la Festa:
“May love triumph over hatred, solidarity over division…”
“Che l’amore trionfi sull’odio, la solidarietà sulla divisione e la pace su ogni forma di violenza!”, è stata la sua invocazione: “Possa l’amore che hai portato a tuo Figlio insegnarci ad amare Dio con tutto il nostro cuore, con tutte le forze e con tutta l’anima”:
“We ask your Son Jesus to bless these children…”
“Noi – ha concluso - chiediamo al tuo Figlio Gesù di benedire questi bambini e tutti i bambini che soffrono in tutto il mondo. Possano ricevere la salute del corpo, la forza della mente e la pace dell’anima. Ma soprattutto, che sappiano che sono amati con un amore che non conosce confini né limiti: l'amore di Cristo”.
L'incontro con i profughi di Aida. Il Papa: tragica la costruzione del muro. Rompere il ciclo della violenza
◊ Israeliani e palestinesi devono abbattere, con l’aiuto della comunità internazionale, il muro di reciproca ostilità che da 60 anni alimenta il conflitto in Medio Oriente. Visitando ieri pomeriggio il Campo profughi “Aida” a Betlemme, che ospita 7 mila persone, il Papa ha insistito molto sulla necessità di “rompere il ciclo delle aggressioni” per arrivare ad una pace giusta e duratura per entrambi le popolazioni. Un pensiero sul quale il Pontefice è ritornato anche nel suo discorso di congedo dai Territori palestinesi, tenuto nel palazzo presidenziale. La cronaca di Alessandro De Carolis:
Lastroni grigi alti quattro uomini, recinzioni e filo spinato. E per contrasto, la mozzetta bianca del Papa, mossa dal vento, che si muove leggera sullo sfondo di cemento armato, quasi a ricordare che, per quanto robusto sia, un muro costruito da uomini può essere superato dallo spirito del dialogo che non può essere soffocato.
(musica palestinese)
Hanno fatto il giro del mondo le immagini di Benedetto XVI che parla nel Campo profughi di Aida, due km da Betlemme e pochi metri dalla lunga parete che da qualche anno divide il confine fra Israele e la Cisgiordania. In settemila convivono in quel campo - famiglie musulmane per lo più, ma anche cristiane - per le quali la precarietà di un rifugio si è trasformata un giorno in normalità, ma senza la serenità di una vita normale, come ha riconosciuto con grande partecipazione il Papa:
“I know that many of your families are divided…
So che molte vostre famiglie sono divise - a causa di imprigionamento di membri della famiglia o di restrizioni alla libertà di movimento e che molti tra voi hanno sperimentato perdite nel corso delle ostilità (...) Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue”.
Nell’apprezzare il lavoro di solidarietà da 60 anni svolto dalla Missione Pontificia per la Palestina, e lodare tutti coloro che in Terra Santa si oppongono alla violenza vivendo con spirito francescano da “strumenti di pace”, Benedetto XVI ha condiviso l’anelito del mondo a che sia spezzata la “spirale” dell’odio. E tuttavia, ha constatato, questo desiderio deve fare i conti con la “dura consapevolezza” di quel muro di cemento, segno - ha detto - “del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e palestinesi”:
“In a world where more and more borders…
In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!”.
Questa implorazione, due ore più tardi - quando il Pontefice si è congedato dai Territori autonomi palestinesi e dal loro presidente, Mahmoud Abbas - è ritornata, con forza, nel richiamo di un Papa che ha visto “con angoscia” la situazione dei rifugiati, ha visto il muro che nasconde Betlemme e spezza intere famiglie:
“Although walls can easily be built…
Benché i muri si possano con facilità costruire, noi tutti sappiamo che essi non durano per sempre. Possono essere abbattuti. Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo. Ecco perché, nelle mie conclusive parole, voglio fare un rinnovato appello all’apertura e alla generosità di spirito, perché sia posta fine all'intolleranza ed all’esclusione”.
“Non importa - ha incalzato Benedetto XVI - quanto intrattabile e profondamente radicato possa apparire un conflitto, ci sono sempre dei motivi per sperare che esso possa essere risolto”. Ciò che occorre, aveva detto in precedenza al Campo di Aida, è un “grande coraggio per superare la paura e la sfiducia”:
“Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati. E tuttavia la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni (…) Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative”.
Al cospetto del presidente palestinese, Benedetto XVI ha inoltre assicurato di voler cogliere “ogni opportunità per esortare coloro che sono coinvolti nei negoziati di pace a lavorare per una soluzione giusta che rispetti le legittime aspirazioni di entrambi, israeliani e palestinesi”. E come “importante passo in questa direzione”, ha concluso, la Santa Sede “desidera stabilire presto, in accordo con l'Autorità Palestinese, la Commissione Bilaterale di Lavoro Permanente che è stata delineata nell'Accordo di base, firmato in Vaticano il 15 febbraio 2000”.
Twal: è possibile abbattere i muri nei cuori. Pizzaballa: importante l'incontro del Papa con Netanyahu
◊ Sulla visita al Campo profughi di Aida, il nostro inviato Roberto Piermarini ha sentito il commento del patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal:
R. – Mi è piaciuto prima di tutto il discorso del Santo Padre, perchè è andato al cuore dei bisogni, in modo speciale alla reintegrazione, alla riunificazione delle famiglie, dando speranza ai giovani che desiderano creare una famiglia, avere una casa e poter vivere insieme, sia a Gerusalemme, sia a Ramallah. Tutti devono sapere che la Chiesa è sempre stata accanto agli oppressi, ai poveri e a quelli che soffrono. E là francamente c’è gente che soffre. I discorsi sono stati ben preparati dalle persone e hanno toccato tutti gli argomenti, sia la separazione delle famiglie, sia la questione dei prigionieri: noi abbiamo 12 mila prigionieri in Israele. Abbiamo il più vecchio prigioniero nel mondo, che sta dentro da 32 anni ed il più giovane nel mondo, in carcere da due mesi, perché una donna ha partorito lì. E’ una ferita nel cuore della Terra Santa. Noi saremo più felici se tutti godranno della libertà di movimento.
D. – La visita ad Haida si è svolta praticamente a ridosso del muro di separazione. Il Papa ha detto che bisogna abbattere i muri nei nostri cuori. E’ difficile in questa terra abbattere questi muri?
R. – Non deve mai essere difficile. Niente è impossibile a Dio. Manca solamente la buona volontà umana. D’altronde, questo muro che vediamo non è che la realizzazione di questi altri muri nei cuori, muri di odio, di sfiducia, di paura. Tutto ciò è stato messo in pratica con un muro che è visibile, ma ci sono tanti altri muri invisibili. Dobbiamo cominciare con il cuore umano. Il Santo Padre lo ha detto molto, molto bene con questa frase.
E sulla giornata di ieri a Betlemme ascoltiamo il custode di Terra Santa, il padre francescano Pierbattista Pizzaballa, al microfono di Roberto Piermarini:
R. – E’ stata una bellissima giornata: la Messa è stata molto bella, molto partecipata, molto viva, che ha portato un’iniezione di fiducia, di entusiasmo ai cristiani di Betlemme. Gli incontri politici sono stati di alto livello e di contenuto, ma anche molto sereni. Quindi, non c’era, grazie a Dio, quella dose forte di rancore, che spesso si può avere. E così anche l’incontro ad Aida, vicino al muro, un luogo drammatico, dove la ferita dentro la geografia, la storia, la vita dei palestinesi è così evidente, è stato fatto dicendo le cose con molta chiarezza, sia da parte dei palestinesi, come anche del Santo Padre, però sempre con una dose di coraggio e di incoraggiamento e di serenità, senza erigere barriere psicologiche. Questo è stato un aspetto, penso, molto positivo, e credo che sia un esempio di come si possano dire le cose, senza chiudere la porta in faccia a nessuno.
D. – Tra poco ci sarà l’incontro con il premier Netanyahu. C’è molta attesa qui in Terra Santa, soprattutto nella Chiesa di Terra Santa. Che cosa chiede questa Chiesa?
R. – L’incontro con il primo ministro è importante, perché non sarà solo un incontro di cortesia, come è giusto che sia, ma anche operativo, nel senso che si dovranno mettere sul tavolo alcuni problemi. Adesso non si può anticipare troppo, ma penso che i problemi siano noti: c’è la trattativa, c’è la questione dei visti per i religiosi, ci sono anche molte famiglie che hanno bisogno di essere riunificate e così via. Sono problemi concreti, specifici che penso usciranno fuori. Non ci attendiamo risposte definitive, ma almeno un rafforzamento e una spinta nel trovare una soluzione.
Domani il Papa al Santo Sepolcro: intervista con padre Manns
◊ Domani il Papa concluderà il suo pellegrinaggio in Terra Santa iniziato l’8 maggio ad Amman. La visita al Santo Sepolcro a Gerusalemme sarà il momento centrale della giornata che terminerà con la cerimonia di congedo a Tel Aviv alle 12.30, ora italiana. Del Santo Sepolcro ci parla padre Frederick Manns, storico della Custodia di Terra Santa. Roberto Piermarini gli ha chiesto se è davvero sicuro che Gesù sia stato sepolto in questo luogo:
R. - Molti pellegrini fanno la Via Crucis che finisce al Santo Sepolcro e si può dire che, di tutte le stazioni della Via Crucis, l’unica assolutamente sicura, al cento per cento, è il Calvario, il “luogo della sepoltura”. Dico bene, il luogo della sepoltura, perché la tomba fu distrutta e questo divenne il motivo della prima crociata. Il luogo rimane ed è assolutamente sicuro. Ormai gli scavi hanno permesso di vedere una grande spaccatura in questa roccia. Quando Gesù morì, infatti, ci fu il grande terremoto. Anche se adesso si trova all’interno delle mura, all’epoca di Gesù era fuori delle mura ed era il grande cimitero. I cimiteri erano sempre fuori ma il terzo muro fu aggiunto soltanto dopo la morte di Cristo.
D. – Padre Manns, qual è il significato teologico del Santo Sepolcro?
R. – Noi sappiamo che gli ebrei avevano una tradizione bellissima legata al Tempio di Gerusalemme; dicevano che Adamo era stato creato con la polvere dell’altare del Tempio. Dio sapeva che Adamo sarebbe stato peccatore e che, portando sacrifici sull’altare, avrebbe avuto il perdono dei suoi peccati. Quando il Tempio è stato distrutto, nel 70 d.C., i primi cristiani – che in gran parte erano giudeo cristiani, ebrei messianici che credevano in Gesù, lo riconoscevano come Messia di Israele - hanno ripreso questa tradizione della creazione di Adamo e hanno scavato addirittura una piccola grotticella sotto il calvario per dire: “Ecco la tomba di Adamo”. Volevano soltanto illustrare l’idea teologica che Cristo è il nuovo Adamo, e che il sangue di Cristo doveva passare attraverso la spaccatura della roccia ed arrivare sul cranio di Adamo. Per questo, l’iconografia rappresenta anche il Calvario con il cranio di Adamo sotto. Cristo che ricrea tutta l’umanità ed il Vangelo di Giovanni lo dice in modo meraviglioso: “Sotto la croce di Cristo c’erano quattro pagani, quattro soldati che si sono divisi le vesti di Gesù e c’erano quattro donne ebree. Quindi, la salvezza portata a Cristo, vale per i pagani, i romani, e per gli ebrei, per gli uomini e per le donne. La salvezza è universale, Cristo nuovo Adamo, porta la creazione nuova a tutta l’umanità.
D. – La Basilica è retta dai francescani di Terra Santa, ortodossi ed armeni; ma come mai, è una famiglia musulmana che ogni mattina ne apre il portone?
R. – Il sultano voleva dare la chiave del Santo Sepolcro al console di Francia ma il console rispose: “Io non sono il sacrestano”. Allora il sultano si arrabbiò e la diede ad una famiglia musulmana e fino ad oggi bisogna pagare questa famiglia musulmana. Sono le meraviglie dell’Oriente! (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Nomine
◊ Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Bangkok (Thailandia), presentata dal cardinale Michael Michai Kitbunchu, per raggiunti limiti di età. Nuovo arcivescovo di Bangkok è stato nominato mons. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, finora vescovo di Nakhon Sawan.
Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Kurunegala (Sri Lanka), presentata da mons. Anthony Leopold Raymond Peiris, per raggiunti limiti di età. Gli succede mons. Harold Anthony Perera, finora vescovo di Galle.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ In prima pagina, un editoriale del direttore sul viaggio del Papa in Terra Santa.
In rilievo, nell'informazione internazionale, la situazione nella Repubblica Democratica del Congo: decine di civili massacrati in Nord Kivu dai ribelli hutu rwandesi.
Davanti alla pietra del Santo Sepolcro: in cultura, un articolo dell’arcivescovo Gianfranco Ravasi dal titolo “La culla da cui tutto rinasce”.
Tutte le basiliche dell’imperatore della pace: Fabrizio Bisconti ricorda Costantino costruttore degli edifici di culto sulle memorie bibliche.
Raffaele Alessandrini recensisce il volume “Periferie. Da problema a risorsa” dei sociologi Franco Ferrarotti e Maria Immacolata Macioti.
Un articolo di Maria Maggi su Achille Compagnoni, uno degli eroi del K2, scomparso ieri.
Myanmar: torna in carcere Aung San Suu Kyi
◊ La leader dell'opposizione birmana e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, è stata nuovamente rinchiusa oggi in carcere dal regime militare di Rangoon a seguito di una visita non autorizzata ricevuta la settimana scorsa da un cittadino americano, che aveva raggiunto a nuoto la casa in cui è agli arresti domiciliari da due decenni. La notizia dell’arresto di Aung San Suu Kyi ha sollevato un coro di proteste unanime negli ambienti internazionali degli attivisti per i diritti umani. Stefano Leszczynski ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:
R. – Come sempre, ogni anno, alla vigilia della scadenza degli arresti domiciliari - la data di quest’anno è il 27 maggio - il governo birmano trova qualche pretesto per continuare a privarla della libertà personale. Più in generale, è un nuovo segnale che arriva dell’impunità di questo regime che fa parte di un organismo regionale come l’Asean - che in questi anni è stato decisamente silente - e che gode quindi, se non di una protezione esplicita, almeno di una connivenza forte che impedisce iniziative decise da parte della comunità internazionale.
D. - Aung San Suu Kyi è ormai agli arresti e comunque in una situazione di privazione della libertà, da tantissimo tempo. Com’è iniziata la sua vicenda?
R. - Aung San Suu Kyi è stata la leader di quella che ha rappresentato da sempre la forma più seria, organizzata, di opposizione politica, ad un regime che ormai è in vita da mezzo secolo, la Lega Nazionale per la Democrazia. Questo organismo vinse le elezioni 20 anni fa, nel 1989. Aung San Suu Kyi da allora, insieme a tutta la leadership, la dirigenza politica della Lega Nazionale per la Democrazia, venne posta in stato di arresto. Ha trascorso 13 anni in carcere ed i successivi sei agli arresti domiciliari. Tutta la dirigenza politica di questo partito è o agli arresti o in esilio, quindi non c’è più una forma organizzata di opposizione.
D. – Nonostante tutto, nonostante questa situazione, la figura di questa donna, a livello internazionale, è rimasta sempre dominante…
R. – Sì, questo è un risultato positivo, insomma. Come sempre, dare un nome, un volto ed una storia alle vittime delle violazioni dei diritti umani, è importante e serve a non farle dimenticare. In queste ore però, devo dire che tutto quanto risulta abbastanza, se non inutile, poco importante perché nonostante la notorietà, nonostante il prestigio internazionale, nonostante sia un Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi rischia di trascorrere molto altro tempo privata della libertà personale, aggiungo anche in condizioni di salute che appaiono niente affatto buone.
D. - Aung San Suu Kyi ha mai voluto abbandonare il proprio Paese. Quante persone, come lei, ci sono nel mondo nelle stesse condizioni?
R. – Il suo è un caso di grande coraggio. La scelta è sempre difficile tra chi decide di condurre una battaglia di opposizione, di rispetto dei diritti umani dall’esilio, e chi cerca di farlo, nel suo Paese, correndo gravi rischi personali. In questi giorni, un’altra figura femminile importante, è Yoani Sànchez, la blogger di Cuba che ha deciso di rimanere nel suo Paese a fare una battaglia per i diritti umani. La sta facendo in condizioni di semi libertà perché poi le autorità dell’Avana la minacciano, la intimidiscono e le restringono la libertà di movimento, ecc. Aung San Suu Kyi è certamente in una situazione grave, gravissima, e credo che vada a suo merito la decisione di aver cercato di continuare la propria battaglia per i diritti umani, lì.
Oltre cento civili uccisi nel Kivu
◊ Tornano in drammatica evidenza le violenze nella regione congolese del Kivu. Nello scorso fine settimana ribelli hutu provenienti dal Rwanda avrebbero ucciso decine di civili, forse cento, in una zona a nord-est del capoluogo Bukavu. Lo ha riferito l’organizzazione americana per la difesa dei diritti umani “Human Rights Watch”. La notizia è stata confermata anche dai portavoce della Monuc, la missione dell'Onu in Repubblica Democratica del Congo. Sulla situazione nella regione, Giancarlo la Vella ha sentito l’esperto di Africa, Michele Luppi:
R. – La situazione nel Kivu, nel nord e nel sud e in generale in tutto l’est congolese, è in rapida evoluzione. Questo massacro viene attribuito alle forze democratiche di liberazione del Rwanda che sono una milizia formata da hutu rwandesi rifugiatisi nell’est congolese dopo il genocidio nel ’94. Di questo gruppo cui fanno parte anche hutu rwandesi che vivevano in Congo già prima del genocidio. La situazione è estremamente complessa perché, nelle scorse settimane, l’esercito di Kinshasa ha lanciato, con il sostegno logistico della Monuc - la Missione delle Nazioni Unite in Congo - un’operazione militare contro queste forze, proprio nel tentativo di costringere questi ribelli a deporre le armi e ad accettare il rimpatrio in Rwanda. In un territorio come quello congolese, difficilmente accessibile, questa operazione militare ha portato ad una sorta di sparpagliamento di queste forze ribelli che da un lato vanno a colpire i civili ritenuti conniventi con il governo di Kinshasa, e dall’altro attaccano i villaggi per poter rifornirsi di cibo e di quello che gli serve per sopravvivere.
D. - Un altro dei drammi che sta colpendo il Congo, è il continuo arrivo di armi, probabilmente, secondo una denuncia fatta dall’Istituto internazionale di ricerca per la pace, attraverso le stesse compagnie aeree che portano aiuti umanitari…
R. – Purtroppo, quello che non manca nelle zone di guerra, sono le armi. Le armi arrivano in maniera massiccia e costante e molto spesso sono proprio la contropartita che viene data a queste formazioni ribelli, in cambio di quello che è il patrimonio delle risorse, incredibilmente vasto in queste zone. Quindi i ribelli solitamente tendono a guadagnare quello che gli serve per sopravvivere, prendendo il controllo di miniere o di risorse che poi prendono e scambiano con armi o con quello che gli serve per vivere. Negli ultimi anni ci sono stati vari scandali. addirittura, in alcuni casi, si parlò di aerei dell’Onu che furono utilizzati per il trasporto di queste armi.
D. – Ci sono novità per quanto riguarda la situazione umanitaria?
R. – La situazione umanitaria rimane grave. Quello che è importante seguire in questi giorni sono i negoziati che si stanno tenendo a Kinshasa tra il governo congolese e alcune formazioni ribelli, quelle formazioni ribelli che il 23 marzo hanno firmato, con il governo congolese, un accordo di pace. Questo è legato anche ad un progetto di legge che è stato approvato dal Senato congolese di amnistia per i gruppi ribelli e di trasformazione di questi gruppi in partiti politici. Tale progetto potrebbe segnare un punto estremamente importante per la stabilizzazione dell’est congolese. Questo avrà certamente delle ricadute anche sulla situazione umanitaria che, comunque, rimane estremamente difficile.
Elezioni in Messico: documento dei vescovi
◊ Durante una conferenza stampa convocata dalla Conferenza dell’Episcopato Messicano e dalla Commissione Episcopale per la Pastorale Sociale, è stato presentato il Messaggio dei Vescovi del Messico in occasione delle prossime elezioni federali di luglio, intitolato “Non c’è democrazia vera e stabile senza partecipazione cittadina e giustizia sociale”. In queste elezioni, oltre al rinnovo della Camera dei Deputati, è prevista la scelta di sei nuovi governatori e il rinnovo di alcuni Congressi locali e municipi. Il documento dei vescovi – rende noto l’agenzia Fides- è però incentrato sul tema comune a tutta la nazione, ossia l’elezione dei propri rappresentanti alla Camera dei Deputati. Per i presuli “le prossime elezioni rappresentano un’opportunità per consolidare la democrazia nel Paese”. Per questo l’obiettivo prioritario è quello di “sostenere il voto responsabile”: “Non pretendiamo di utilizzare il nostro ministero per avere influenza sui fedeli affinché votino per qualcuno in particolare, bensì esortarli affinché discernano criticamente e decidano in maniera conforme al Vangelo e alla loro coscienza rettamente formata”. I presuli indicano anche alcuni criteri per la scelta dei propri rappresentanti, che sono chiamati a rispondere “ad un profilo etico minimo che permetta loro di rendere presenti, nell’esercizio del loro mandato, le aspirazioni della nazione che rappresentano”. Tra questi criteri vi è l’onestà da parte del candidato, l’impegno per la riconciliazione e la giustizia, la sensibilità per i poveri, per gli esclusi, per gli indifesi, dimostrata non solo nelle campagne elettorali, ma soprattutto nella vita quotidiana. Per incoraggiare la partecipazione responsabile dei cittadini alle elezioni, i vescovi hanno lanciato inoltre una Campagna che cerca di favorire spazi di dialogo e riflessione sull’importanza di una reale ed effettiva rappresentatività in Messico. Oltre alla diffusione del messaggio verranno offerti diversi materiali pedagogici, sussidi e contenuti formativi nelle Province ecclesiastiche e nelle diocesi. (A.L.)
Sipri: compagnie aeree trasportano aiuti e armi in Africa
◊ Gli stessi aerei che trasportano aiuti umanitari nelle zone di guerra in Africa portano anche le armi con le quali quei conflitti vengono combattuti. E’ quanto denuncia in uno studio l’Istituto internazionale di ricerca per la pace (Sipri). Dalla ricerca emerge che il 90% delle compagnie aeree coinvolte nei traffici di armi ha consegnato anche aiuti umanitari per conto di agenzie delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, della Nato, dell’Unione Africana e di diverse Ong. Tra le compagnie aeree indicate nello studio, la più nota è la sudanese Badr Airlines: “Le missioni di pace dell’Onu in Sudan - si legge nel rapporto - hanno continuato a utilizzare gli aerei della Badr Airlines anche dopo la raccomandazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di non fare ricorso a questa compagnia perché aveva violato l’embargo sulle armi”. Leggendo il rapporto – rende noto Avvenire – si scopre non soltanto che queste compagnie sono legate al traffico di armi: “Alle loro spalle ci sono importanti politici”. La Hewa Bora Airlines, ad esempio, è stata fondata dall’ex presidente della Repubblica Democratica del Congo, Laurent Désiré Kabila. Uno dei proprietari della Wimbi Dira è Joseph Kabila, attuale capo di Stato congolese. Dallo studio emergono anche altri preoccupanti dati: la società Dyncorp, che fornisce assistenza militare al governo statunitense, viene indicata nel rapporto per aver utilizzato la Aerolift, accusata nel 2006 dal Consiglio di sicurezza dell’Onu di complicità in un traffico di armi a favore della milizia islamica al-Shadaab. Si tratta di un gruppo inserito dal Dipartimento di Stato americano nella lista delle organizzazioni terroristiche e considerato il braccio di al Qaeda in Somalia. Nella relazione il Sipri sottolinea infine che gli aerei usati per le operazioni di pace hanno trasportato anche sostanze stupefacenti. (A.L.)
I vescovi filippini: “istruzione e integrazione” per gli aborigeni
◊ “Non possiamo godere dei servizi di prima necessità e la nostra difficoltà di comunicazione non ci permette di informare il governo dei nostri bisogni” afferma Catherine Dumlot leader degli aborigeni Aetas di Zambales. Per questo motivo la Conferenza episcopale delle Filippine promuove un convegno per favorire l’inserimento sociale dei gruppi tribali. Gli aborigeni presenti nelle Filippine rappresentano circa il 10% della popolazione e si distribuiscono lungo tutto l’arcipelago. I gruppi di maggiore entità, come gli Igorot e gli Aetas, si concentrano nelle catene montuose dell’isola di Luzon. Qui, la presenza di fitte foreste ha consentito loro il mantenimento delle usanze e di un’economia di sussistenza e un progressivo isolamento dal resto del mondo. Tra il 1960 e il 1980 lo sviluppo economico del paese e la conseguente espropriazione delle terre hanno posto in serio pericolo l’esistenza di queste popolazioni. L’attenzione della Chiesa Cattolica per l’integrazione del popolo aborigeno non è storia recente. Fra le iniziative avviate – ricorda l’agenzia AsiaNews, che dà notizia del convegno- vi è il programma di educazione informale (Nfe), che consiste nell’insegnare la scrittura e calcolo considerando la capacità di apprendimento degli aborigeni. Le lezioni sono gratuite, non prevedono limiti di età e si svolgono all’aperto. Inoltre la frequenza di tre appuntamenti settimanali permette a chi lavora di non abbandonare la propria occupazione. L’Nfe è stato utilizzato sin dal 1983 nella provincia di Zambales dalle suore missionarie francescane per l’educazione della popolazione indigena degli Aetas, considerata la più antica dell’arcipelago. Essa possiede un dialetto e tradizioni estranee a quelle del resto del Paese e ha sempre vissuto in una condizione di totale isolamento dalla società. La devastante eruzione nel 1991 del vulcano Pinatubo ha costretto l’intera popolazione (circa 40.000 individui) ad abbandonare i territori d’origine con il trasferimento coatto nelle città limitrofe, aggravando ulteriormente la loro condizione sociale. La Chiesa è stata da sempre sensibile alle minoranze locali. Nel 1995, è stata istituita la Commissione episcopale per le popolazioni indigene (Ecip). Essa ha lo scopo di difendere i diritti delle minoranze e di aiutarle a sviluppare una mediazione tra la loro cultura e il mondo. Nel 2006, grazie al coinvolgimento dell’Ong Projet Development Institute (Pdi) e ai fondi concessi dalla compagnia svedese Svenka Kullager Fabriken (Sfk) il programma di educazione informale Nfe è stato esteso a ben 11 comunità di Aetas. Ciò ha permesso la formazione nel 2007 di 108 studenti alfabetizzati e in grado di insegnare ad altri membri dell’etnia, consentendo loro di uscire dai margini della società. (A.V.)
Pakistan: le Missionarie della Carità in aiuto dei profughi
◊ Le suore di Madre Teresa di Calcutta in aiuto anche dei profughi di Swat, che continuano a giungere numerosi nelle città di Islamabad e Rawalpindi, a seguito dei conflitti in corso tra l’esercito e gruppi talebani. La Chiesa locale ha comunicato all’agenzia Fides che “le religiose si sono recate in uno degli accampamenti di fortuna, sorti nell’area della capitale, Islamabad, in uno spazio non urbanizzato al centro della città”. All’arrivo delle religiose, si è presentata una situazione drammatica. “Vi sono accampate 39 famiglie che mancano di tutto, in condizioni indicibili. Senza acqua, né cibo, senza tende o giacigli. Sono stremati dopo la lunga marcia, dormono per terra, non hanno il minimo necessario per vivere”, hanno così raccontato le suore, che riferiscono pure di “molti bambini denutriti e malati”. Per i quali le suore della santa albanese si sono già adoperate “per portare loro cibo e vestiario” e “chiamato alcuni medici perché possano venire a visitare e curare i malati”. “Occorrono aiuti immediati perché gli sfollati rischiano di morire di fatica, fame e sete” l’appello delle suore missionarie. La guerra produce numeri da “emergenza umanitaria”. Duemila le famiglie coinvolte nell’esodo, suddivise in otto accampamenti di fortuna. Esse stazionano nel territorio della capitale Islamabad e di Rawalpindi. La Chiesa locale si organizza per contribuire all’assistenza. (A.V.)
Medici Senza Frontiere: i brevetti non dovrebbero impedire l’accesso ai farmaci essenziali
◊ Mentre prevale ancora l’incertezza sulla gravità di una possibile pandemia influenzale, molti Paesi poveri non hanno né scorte di medicinali né accordi di acquisto con le aziende farmaceutiche per assicurare alla popolazione l’accesso adeguato alle cure nel caso scoppi una pandemia. “Se si dovesse diffondere una pandemia, si potrà testare l’effettiva esistenza di una solidarietà internazionale: l’attenzione dovrà concentrarsi sui Paesi poveri, che rischiano di essere particolarmente colpiti, in quanto meno preparati”, spiega Michelle Childs, direttore delle relazioni istituzionali della Campagna per l’Accesso ai Farmaci Essenziali di Medici Senza Frontiere (Msf). “La produzione di farmaci antinfluenzali generici è fondamentale non solo per assicurare a questi Paesi l’accesso ai farmaci ma anche per garantire un prezzo adeguato. I Paesi ricchi non possono continuare a trovare soluzioni a scapito dei Paesi i poveri”. Le popolazioni dei Paesi più poveri saranno più vulnerabili all’Influenza A – si legge nel comunicato diffuso da Msf - perché sono già colpiti dalla malnutrizione e da altre gravi patologie quali la tubercolosi, l’Hiv e la malaria. “L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – aggiunge Michelle Childs - deve attivarsi per aumentare le scorte di farmaci generici per le cure”. "Nei Paesi in cui i farmaci raccomandati dall’Oms sono protetti dal brevetto – sottolinea Msf - i governi e i detentori dei brevetti devono garantire alle compagnie produttrici di generici che il brevetto non costituirà una barriera”. “I governi possono evitare che ciò accada emettendo delle licenze obbligatorie in base alle quali i detentori del brevetto ricevono un compenso”. “Lo stesso livello di attenzione che viene dedicato all’influenza – si legge infine nel comunicato dell’organizzazione umanitaria - dovrebbe essere garantito anche per malattie che continuano a uccidere decine di milioni di persone nei Paesi più poveri”. (A.L.)
Aiuti e fondi per la popolazione abruzzese colpita dal terremoto
◊ Continua la gara di solidarietà in favore della popolazione abruzzese colpita dal terremoto più di un mese fa. La Croce Rossa Italiana ha raccolto finora oltre 5 milioni di euro. Al momento sono 8 i campi gestiti dall’associazione umanitaria. Finora sono stati più di 3.300 i volontari ed operatori ad offrire il loro prezioso contributo in Abruzzo. In poco più di un mese – si legge nel comunicato diffuso dalla Croce Rossa - sono stati serviti oltre 370 mila pasti. Sono attive inoltre squadre di supporto psicologico vicine alle famiglie colpite dalla tragedia. Si deve poi sottolineare che si è conclusa la campagna di raccolta fondi promossa da Sisal per supportare interventi urgenti in Abruzzo. La somma raccolta, oltre 400 mila euro, è stata consegnata alla Croce Rossa Italiana. A partire dall’8 aprile scorso, Sisal ha attivato molteplici modalità di donazione: in ricevitoria, con donazione libera e tramite la giocata SuperEnalotto. Sono state donate somme anche via Internet, cellulare e attraverso il portale Match Point. (A.L.)
Comunione anglicana: rinviata l'approvazione dell’Anglican covenant
◊ Si è concluso ieri a Kingston, in Giamaica, il 14.mo incontro dell’Anglican Consultative Council, l’organo più autorevole della Comunione Anglicana e composto da vescovi, pastori e laici. Durante l’incontro è stato deciso di rimandare l’approvazione dell’Anglican covenant, il documento che ha lo scopo di essere il mezzo più importante per mantenere l’unità tra le diverse province anglicane del mondo. I temi al centro del dibattito sono stati l’ordinazione di pastori omosessuali e l’ordinazione episcopale da aprire anche alle donne. Il Covenant contiene una sezione che si occupa del metodo da adottare nel caso in cui vi siano dispute. La Comunione Anglicana - ricorda il Sir - è composta da 77 milioni di membri ed è divisa in Chiese regionali e nazionali presenti in 164 Paesi in tutto il mondo. Risale al 2003 l’inizio di una “crisi” all'interno della Comunione: è stata infatti l’ordinazione del primo vescovo dichiaratamente omosessuale, Gene Robinson, a generare una divisione tra le diverse Province. Divisione che ha portato lo scorso anno alcuni vescovi a boicottare la “Lambeth Conference”, uno degli strumenti di unità della Comunione anglicana, e a riunirsi a Gerusalemme in una conferenza alternativa. (A.L.)
Si informatizza l’inventario dei beni culturali ecclesiastici
◊ “Dopo l’inventario. Le potenzialità di una risorsa culturale”. E’ questo il tema della XVI Giornata nazionale per i beni ecclesiastici che si tiene oggi nella sede della Conferenza episcopale italiana (Cei). La Giornata, dedicata all’inventario informatizzato per i beni mobili di valore storico e artistico, si è aperta con il saluto del vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Cei. Il lavoro - spiega don Stefano Russo, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali – ha ormai raggiunto importanti risultati e “le diocesi possono sfruttarne tutte le potenzialità culturali, pastorali ed amministrative”. Nel corso della giornata – rende noto il quotidiano Avvenire – è stata presentata anche “la scrivania spirituale” con la quale gli uffici diocesani per l’arte sacra e i beni culturali potranno fare ricerche tematiche. Sarà così possibile seguire le pratiche di autorizzazione al restauro dei beni culturali, avviare quelle per il prestito di opere d’arte per mostre o comodati temporanei. “La scrivania virtuale – aggiunge don Stefano Russo – permette agli uffici di avere una gestione informatizzata delle pratiche consentendo l’uso delle diverse funzioni e lo svolgimento di procedure semplici e intuitive per accompagnare gli uffici nelle diverse fasi delle attività, anche quando alcuni di questi processi risultano non frequenti nelle diocesi”. “Questa maggiore consapevolezza nell’uso degli strumenti informatici – conclude don Stefano Russo - favorirà una sempre più efficace collaborazione in rete tra le realtà ecclesiali”. (A.L.)
Ospedale Bambino Gesù: tecnologie d'avanguardia e un nuovo logo
◊ La mano stilizzata, che accoglie sul proprio palmo la figura appena accennata di un bambino, sostenendolo e dandogli impulso per un nuovo slancio. E’ il nuovo logo dell’ l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che ha inteso ripartire da un messaggio simbolico che racchiuda la storia, guardando al futuro. E' lo spirito con cui questo polo di eccellenza di respiro internazionale, ha inteso ricordare i 140 anni dalla sua fondazione. Al logo, realizzato dalla società internazionale leader di brand identity InArea, si aggiungono le nuove dotazioni tecnologiche d'avanguardia ed altre strutture. Si allarga l’offerta medica, restano i valori che muovono il personale medico e paramedico operante. Quattro sedi, organizzate per elementi funzionali, una struttura per le ricerche con laboratori ad alta tecnologia su più di 3.000 metri quadrati, un centro di alta formazione internazionale in campo pediatrico e un riammodernamento tecnologico di ultima generazione. Il profilo con cui si presenta oggi l’Ospedale Bambino Gesù: assistenza, cura, ricoveri, interventi talvolta unici nel genere, accompagnati dall’innovazione tecnologica. La nuova veste si lega anche ad una campagna di questi giorni: “Mettiamoci la faccia”. Un’iniziativa che ha fatto posare tutti i professionisti per una foto originale, con cui i medici si presentano ai pazienti ed alle loro famiglie in modo da trasmettere l’idea di un ospedale vicino alla sofferenza ed alle speranze di chi bussa alla porta. I numeri parlano da soli. Sono quasi 800 i posti letto (592 per acuti, 21 per la riabilitazione e 185 per i day hospital), il Bambino Gesù nel 2008 ha fatto registrare 32.875 ricoveri, 108.001 casi trattati in day hospital e day surgery, 6.883 giornate di riabilitazione, 930.448 prestazioni ambulatoriali e 53.921 accessi al pronto soccorso. Sono appena partiti i lavori per il potenziamento strutturale e tecnologico del Dipartimento Emergenza e Accettazione che, al termine dell'intervento, sarà più ampio, più accogliente per i genitori in attesa e con un'area di "osservazione breve intensiva" in grado di migliorare ancor di più l'incisività e il numero delle prestazioni di emergenza (più di 600.000 casi in 10 anni). Nel dettaglio il progetto prevede la realizzazione di un edificio che si sviluppa su tre piani, di cui uno fuori terra e due parzialmente interrati. Il piano superiore fuori terra, denominato “piano Obi”, avrà una superficie complessiva di circa 318 mq e ospiterà gli spazi principali e di servizio della funzione Osservazione Breve Intensiva, con alcuni punti di comunicazione con l’attuale Dea. Le cure, ricerche e studi portati avanti dall’Ospedale Pediatrico superano pure i confini italiani. Tra gli obiettivi strategici per il triennio 2009-2011, sempre più rilevanza rivestono le missioni internazionali (più di 40 i Paesi in cui i professionisti dell’Ospedale sono andati a prestare soccorso) e le partnership paritetiche con strutture all’avanguardia nel panorama sanitario mondiale (Mayo Clinic di Rochester-New York, Kinderspital di Monaco di Baviera e i Children’s Hospital di Miami, Houston e Boston). (A.V.)
Al via la Fiera internazionale del libro a Torino
◊ Si è aperta al Lingotto di Torino la 22.ma edizione della Fiera internazionale del libro. Il Paese ospite quest’anno è l’Egitto e grande spazio dunque sarà dato alla letteratura araba. Inaugurando la Fiera, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, si è soffermato sull'ipotesi di organizzare “nel prossimo autunno a Montecitorio la Giornata del libro politico”. “Saranno invitati - ha spiegato Fini - gli editori e gli autori che vorranno presentare le loro opere sulla vita politica italiana e internazionale. Cercheremo di offrire il più ampio ventaglio possibile di proposte all'insegna di un doveroso pluralismo e di una altrettanta indispensabile ricchezza culturale”. Ad offrire un prezioso contributo culturale saranno, durante la Fiera internazionale del Libro, centinaia di scrittori e intellettuali, molti invitati a declinare il tema di quest’anno dal titolo: “Io e gli altri”. Un tema scelto “in un momento in cui - afferma il direttore della Fiera, Ernesto Ferrero - sembra prevalere l’edonismo, l’egoismo e una sorta di ateismo sociale”. All’edizione 2009, che si concluderà il prossimo 18 maggio, parteciperanno tra gli altri lo scrittore anglo-indiano Salman Rushdie, il Premio Nobel turco, Orham Pamuk, e il narratore israeliano David Grossman. (A.L.)
Mons. Crepaldi presenta un nuovo volume intitolato “Dio o gli dei”
◊ Un socialista anarchico dell’Ottocento, Proudhon, affermava che solo negando Dio l’uomo può arrivare alla scienza, al benessere, alla ordinata e giusta vita sociale. Di qui la conseguente irrilevanza, se non la dannosità, di quanto la Chiesa può dire in materia sociale. Non siamo più nell’Ottocento e la storia si è incaricata di smentire Proudhon e quanti la pensano come lui ieri e oggi, dando invece ragione a Giovanni Paolo II, il quale più volte ha messo in guardia che una società senza Dio diventa fatalmente un società contro l’uomo, come insegnano i lager, i campi di sterminio, gli olocausti del secolo appena trascorso. Da questo presupposto muove l’interessante raccolta di scritti di mons. Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e presidente dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla dottrina sociale della Chiesa, dal titolo: “Dio o gli dei”, pubblicato dall’editrice Cantagalli. Lo rende noto un comunicato del dicastero. Il volume, che verrà presentato il 18 maggio pomeriggio alla Gregoriana, reca la prefazione del presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, cardinale Renato Raffaele Martino, il quale sottolineava l’originalità del libro e specialmente della sua impostazione metodologica, chiarendo tra l’altro il significato del titolo. Se gli uomini negano Dio, finiscono per diventare vittime degli dei, cioè degli idoli, come dire oggi del danaro, del successo, del potere, del piacere, del diritto della forza anziché della forza del diritto. Il testo di Crepaldi, che si articola in quattro parti (Nuovi aspetti della questione antropologica; Fede, ragione e politica; I diritti umani oggi; Il recente Magistero sociale della Chiesa), sarà illustrato alla Gregoriana, con la partecipazione dell’autore, dall’ambasciatore Guillermo Escobar Herràn, docente della Facoltà di Scienze Sociali allo stesso Ateneo pontificio; dal professor Stefano Fontana, direttore dello dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla dottrina sociale della Chiesa, e dal professor Rocco D’Ambrosio, pure della Facoltà di Scienze Sociali della Gregoriana.
Sabato all’Urbaniana convegno promosso dal Centro Volontari della Sofferenza
◊ “Amore e sofferenza: mistero di Dio e speranza dell’Uomo”: è il tema del Convegno che si terrà a Roma sabato prossimo presso la Pontificia Università Urbaniana. L’incontro si propone di offrire una rilettura degli insegnamenti di mons. Luigi Novarese, fondatore del Centro Volontari della Sofferenza e dei Silenziosi Operai della Croce. Il convegno intende anche proporre alcune indicazioni tratte dalla lettera apostolica Salvifici Doloris. L’intento è di dare ulteriore profondità all’esperienza e ai contenuti che hanno caratterizzato l’azione pastorale del Centro Volontari della Sofferenza (Csv) nell’apostolato per la promozione integrale della persona sofferente. L’incontro si aprirà con il saluto del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. I temi per le singole relazioni sono proposti a partire dal binomio amore e sofferenza. L’espressione viene intesa nel suo radicarsi come “mistero” nella Trinità e nel suo esprimersi come “speranza” dentro il cammino della persona umana. (A.L.)
L’Onu: "La crisi umanitaria si aggrava in Sri Lanka"
◊ Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si è detto oggi “gravemente preoccupato” per la situazione dello Sri Lanka, in cui “la crisi umanitaria si aggrava”. I 15 membri del Consiglio di Sicurezza hanno adottato all'unanimità il testo di una dichiarazione alla stampa nella quale si “condannano” i ribelli Tamil “per i loro atti di terrorismo che durano da anni e per il loro utilizzo costante di civili come scudi umani”. In serata, anche il presidente americano, Barack Obama, era intervenuto sulla crisi in Sri Lanka chiamando direttamente il governo dello Sri Lanka per invitarlo a cessare i bombardamenti e invitando i ribelli tamil a deporre le armi. Il governo dello Sri Lanka ha respinto anche gli ultimi appelli del Consiglio di sicurezza dell'Onu perchè arresti la sua offensiva contro i ribelli separatisti. L’esercito intanto ha fatto sapere che nel nordest dello Sri Lanka migliaia di civili stanno fuggendo attraverso una laguna.
Pakistan
Almeno 60 militanti talebani sono stati uccisi durante operazioni nel Lower Dir, nella parte nord occidentale del Pakistan. Inoltre, almeno altri undici talebani e cinque militari dell'esercito sono morti in scontri nella valle dello Swat, dove l'esercito, con l'utilizzo degli elicotteri, ha attaccato a Peuchar uno dei quartier generali talebani. Per il quinto giorno consecutivo, è in vigore un coprifuoco nel distretto di Makaland, nel quale c'è anche la Valle dello Swat, creando problemi ai locali.
Afghanistan
Almeno 16 talebani sono rimasti uccisi in un raid aereo della coalizione internazionale nella provincia di Paktika, nel sudest dell'Afghanistan, mentre nella provincia centro-orientale di Ghazni altri tre ribelli integralisti sono morti in uno scontro a fuoco con alcuni vigilantes privati. Il raid, fa sapere il portavoce del governatore di Paktika, è avvenuto la scorsa notte in risposta ad un attacco degli insorti alle forze di polizia afghane, che hanno chiesto la copertura aerea alla coalizione. Fra i ribelli uccisi, fa sapere il portavoce, oltre a talebani afghani vi sono alcuni pachistani e alcuni arabi. Inoltre, un attentatore suicida si è fatto esplodere nei pressi di una stazione di polizia di frontiera a Spin Boldak, nel sud dell'Afghanistan, ferendo quattro persone. La frontiera tra Spin Boldak e la città pakistana di Chaman è il secondo più importante varco di confine tra Afghanistan e Pakistan.
In Iraq, attacchi armati nei pressi di Kirkuk e Baghdad
Un membro dei Sahwa, i comitati tribali anti al Qaeda, è stato ucciso e altri tre sono stati feriti in un attacco armato nella provincia petrolifera di Kirkuk, 255 km a nord di Baghdad. Intanto, a Baghdad un caporedattore di un giornale locale iracheno è sfuggito questa mattina ad un agguato in cui è rimasto ucciso il conducente della sua auto.
Nucleare
Il capo della Cia, Leon Panetta, ha avuto a Gerusalemme colloqui segreti con i dirigenti israeliani ai quali ha chiesto che Israele non lanci alcun attacco a sorpresa contro gli stabilimenti nucleari iraniani. Lo ha riferito la Radio statale israeliana, secondo la quale la visita di Panetta ha avuto luogo due settimane fa. Sempre a detta dell'emittente, i responsabili israeliani hanno effettivamente assicurato che non lanceranno attacchi a sorpresa. Il quotidiano Haaretz precisa in merito che il messaggio inoltrato a Israele dal presidente statunitense Obama aveva il carattere di un avvertimento perentorio. In un commento, il giornale afferma che l’apprensione del capo della Casa Bianca deriva da recenti dichiarazioni del premier israeliano, Benyamin Netanyahu, fra cui l’assicurazione che per quanto concerne Israele “l'Iran non entrerà in possesso di armi nucleari”.
Economia
L'economia mondiale, inclusa quella dell'area euro, permane in “forte rallentamento, con la prospettiva di un continuo marcato ristagno della domanda sia interna che esterna nel 2009 e di una sua graduale ripresa nel corso del 2010”. Lo afferma la Bce nel Bollettino di maggio, aggiungendo che emergono “incerti segnali di stabilizzazione su livelli molto contenuti, dopo un primo trimestre nettamente più negativo delle attese”. Il tasso di occupazione in Eurolandia arriverà al 9,3% nel 2009 per salire ulteriormente al 10,5% nel 2010. Da parte sua, il commissario Ue agli Affari economici e monetari, Joaquin Almunia, ha detto che anche se vi sono segnali che la recessione “sta allentando”, un ritorno alla crescita economica “non c'è ancora” e restano rischi legati alla fragilità del settore finanziario.
Italia - disegno di legge sulla sicurezza approvato alla Camera
La Camera dei deputati ha votato "sì" al disegno di legge sulla sicurezza messo a punto dal governo Berlusconi, il quale l’ha definita “una legge assolutamente necessaria”, tanto che ieri l’esecutivo aveva posto in Aula ben tre voti di fiducia su propri maxiemendamenti. Il controverso ddl tornerà ora all’esame del Senato per il varo definitivo. Il servizio di Roberta Gisotti:
In diretta televisiva da Montecitorio le dichiarazioni di voto, con scontri verbali e gestuali tra governo e opposizione: 297 "sì", 255 "no" e 3 astenuti. L’obiettivo ora è che il testo diventi legge entro maggio, prima degli appuntanti elettorali di giugno, ha sottolineato il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dopo i distinguo nella stessa maggioranza che hanno accompagnato l’iter di questo provvedimento. Ddl contestato in più punti dall’opposizione, oltre che da enti e movimenti della società civile e criticato anche della Chiesa italiana, laddove pone misure restrittive ritenute lesive dei diritti umani delle persone immigrate regolarmente o meno. “Il grande tema tenuto sotto silenzio” - ha ribadito padre Gianromano Gnesotto, direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale degli immigrati e dei profughi - è quello “dell’integrazione”, per ottenere la quale “sono prioritarie le strategie della difesa dell'unità familiare, dei ricongiungimenti familiari, dei minori tutelati'', ignorati in questo "pacchetto" sicurezza. Sono in molti a chiedere che il testo venga corretto e la stessa maggioranza non esclude che si possa e si debba farlo nelle norme più controverse e di dubbia interpretazione, che riguardano l’assistenza sanitaria per tutti, l’iscrizione a scuola dei minori e la tutela delle donne incinte. Collegato al tema sicurezza, il dibattito sui respingimenti in Libia degli immigrati irregolari, che ha sollevato le proteste dell’ONU. L’Italia non farà passi indietro, ha ripetuto oggi il ministro Maroni, sollecitando l’Unione Europea a sostenere i Paesi più esposti agli sbarchi clandestini, come l’Italia. Maroni in diretta Tv, alle ore 15, risponderà alle interrogazioni in merito poste in Aula.
Nigeria
Il Mend, il principale gruppo armato del sud della Nigeria, ha annunciato di aver portato la scorsa notte due attacchi contro l'esercito e consiglia alle compagnie petrolifere operanti nel Delta del Niger di evacuare il loro staff per l'arrivo imminente di un uragano. Il gruppo armato, che mercoledì aveva annunciato di aver subito un attacco dell'esercito in due dei suoi campi e messo in guardia contro una recrudescenza delle violenze, ha affermato in un comunicato di aver attaccato due basi delle forze congiunte polizia-esercito (Jtf) operanti nel Delta del Niger, senza fare vittime. Il Mend “consiglia” inoltre alle compagnie petrolifere di “evacuare tutte le istallazioni nel Delta prima dell'arrivo imminente di un uragano”. Il gruppo armato raccomanda di lasciare la regione “entro 24 ore”. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 134
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